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Programma Cedrini:
Si ripartirà in:
Politica economica
Cicli economici
Debito pubblico
Sistema internazionale
Introduzione:
Per comprendere lo stato attuale della macroeconomia è necessario prima di tutto inquadrare il contesto
storico nel quale gli attuali modelli macroeconomici si sono formati, il contesto è infatti essenziale per
capire la scienza economica. Lo situazione macroeconomica odierna è piuttosto confusa e i modelli che
analizzeremo sono spesso imprecisi.
Ad esempio una svolta storica che è stata vitale per l’economia italiana attuale, fu l’elezione a presidente
del consiglio di Romano Prodi nel 1996, con un progetto politico che era basato quasi interamente su
un’inclusione ancora più marcata dell’Italia nell’Unione Europea. Inizia quindi il periodo europeista
dell’Italia e si dà il via alle pratiche per l’adozione della moneta unica; inizia il periodo della cosiddetta
“grande moderazione”.
Il periodo della grande moderazione ha coperto all’incirca gli ultimi vent’anni della nostra storia, ed è stato
un periodo dove il pensiero comune era quello di essere finalmente giunti a una situazione in cui
l’economia era perfettamente controllabile, di essere quindi giunti a un modello economico stabile e
perfettamente funzionante. Questa credenza fu però smentita con la crisi del 2008, dove fu purtroppo ben
chiaro che i modelli economici in uso chiaramente erano inefficaci (modelli tuttora in uso, come quelli IS-
LM e AS-AD).
All’epoca (e tuttora a dire il vero) si preferiva adottare una visione cumulativa dell’economia: l’economia
veniva vista come una scienza in continuo progresso, a cui con il passare del tempo si aggiungeva via via
sempre più conoscenza. Si credeva quindi che l’economia progredisse verso modelli sempre più esatti, e le
nuove teorie si andavano a sommare a quelle precedenti.
Questa visione tuttavia rischia di fallacia: molto spesso infatti, le nuove teorie non vanno a implementare
quelle precedenti e sovente vi sono chiare contraddizioni.
Il nostro corso preferisce un approccio diverso all’economia, più competitivo: le teorie economiche vanno
infatti comparate l’una all’altra e messe in competizione visione competitiva dell’economia.
Ad esempio, Keynes quando scrisse “La teoria generale” non aveva intenzione di comporre una teoria che
sarebbe andata ad aggiungersi a quella già socialmente accettata dei classici, bensì voleva dimostrare che la
teoria classica era una teoria particolare, e non adatta al generale. Nei libri di testo però, queste teorie
vengono accumunate e messe insieme, anche se hanno evidenti contraddizioni: la teoria di Keynes viene
applicata al breve periodo e quella classica si utilizza per il lungo.
[Sempre per ricollegarci al contesto storico, le attuali elezioni di Donald Trump in America e la carica
affidata a Theresa May in UK, mostrano un chiaro scontento del pubblico ai modelli che tuttora vengono
utilizzati in economia e che evidentemente non risultano efficaci in questo periodo: vi è un’inversione di
rotta nell’economia, che si allontana dalla visione cumulativa].
Il cosiddetto “nuovo consenso macroeconomico” a cui si pensava di essere giunti negli anni ’90- 2000, fu
quindi smentito. Non si è giunti a uno stadio di conoscenza economica tale da permetterci di non pensare
più a un problema economico – come ad esempio una crisi –.
No, infatti l’analisi dei dati che vengono raccolti, viene sempre effettuata secondo il modello economico
prescelto diversi modelli porteranno a diversi risultati; non c’è obiettività.
La curva IS è il luogo geometrico dei punti di equilibrio nel mercato dei beni, cioè il punto di incontro tra
domanda e offerta nel mercato dei beni e servizi.
La curva IS è ottenuta incrociando un grafico degli investimenti e una croce keynesiana; e si chiama così a
partire dall’equazione I = S; ma come abbiamo ottenuto questa equazione?
(r)
Ma a livello teorico, come ci spieghiamo questo rapporto di uguaglianza tra gli investimenti e i risparmi?
Partiamo dal presupposto che siano le imprese a produrre i beni e che i lavoratori li consumino con il reddito.
I beni di consumo (output) prodotti dalle imprese sono quelli che noi consumiamo; quindi C, consumo, è
uguale in entrambe le equazioni. Ma I sono i beni di investimento (creazione di nuovo capitale), e siccome il
reddito viene in parte consumato e in parte risparmiato, come siamo sicuri che quello che noi risparmiamo
(S) vada direttamente nei beni di investimento creati dalle imprese (I)? Assumere che I sia uguale a S non è
semplice perché i soggetti che prendono le decisioni circa queste due grandezze sono diversi.
Guardiamo al sistema in termini di domanda:
C= consumi
I= domanda aggiuntiva da parte delle imprese di beni d’investimento
S= domanda sottratta, perché rappresenta la parte che non viene consumata
Equilibrio= la domanda aggiuntiva compensa quella sottratta. Il problema è: di che equilibrio si tratta?
S=I è un’identità contabile in un sistema chiuso ➡ è sempre vera, ma solo dal punto di vista contabile ➡
sono grandezze ex-post.
Ex-ante potrebbero esserci discrepanze tra I e S, perché i diversi agenti economici hanno aspettative diverse.
Ma se prima I ≠ S e poi I=S ➡ qualcosa deve mettere a posto l’equilibro, ed è su questo punto che si
dividono neoclassici e keynesiani.
Approccio neoclassico
Legge di Say: l’offerta crea la domanda. Non necessariamente tutti i mercati sono in equilibrio ➡ il prezzo
aumenta o diminuisce per portare il mercato all’equilibrio. Le imprese produrranno i beni per i quali c’è un
eccesso di domanda.
È stata formulata ai tempi in cui i consumi erano concentrati su beni di prima necessità e in cui i consumatori
non erano interessati a detenere moneta a scopo precauzionale.
Y determina D in base all’offerta, i consumatori domandano: l’offerta trova la sua domanda nel mercato.
[K e L sono dotazioni predeterminate; nel sistema classico Y deriva da una funzione di capitale e lavoro,
combinati con la relativa tecnologia]
Per i pre keynesiani quindi domanda e offerta sono sempre in equilibrio, cioè si eguagliano sempre, ma come
giustificano questa loro assunzione? Come è possibile?
si determina R* = reddito
reale
ma come si è sicuri che
sia il reddito di
equilibrio?
Si usa il grafico IS
La posizione di S è
determinata da R
La posizione della curva è determinata dall’offerta di moneta, decisa dalla Banca Centrale → esogena
Possiamo osservare che ad un aumento della spesa pubblica dovuta ad una politica espansiva, con
mantenuto costante secondo la teoria neoclassica poiché corrisponde alla piena occupazione e costante,
sempre in ottica neoclassica, ottengo che l’unico elemento su cui posso agire per compensare la variazione è
I.
Da un punto di vista contabile questa variazione risulta molto logica: se Y è fisso e G aumento, l’unico modo
che ho per compensare la variazione è diminuire I.
Ma da un punto di vista economico?
Io so che S si divide in risparmio pubblico e risparmio privata: , e che vale sempre l’equazione
S = I, quindi .
Aumentando la spesa pubblica, vado ad intaccare questa equazione, poiché logicamente aumentando la
spesa, farò diminuire i risparmi pubblici e di conseguenza diminuiranno gli investimenti: .
Abbiamo quindi ottenuto che aumentare la spesa pubblica G fa salire il tasso di interesse, ma perché?
Se T rimane costante, lo stato si deve finanziare attraverso l’emissione di titoli sul mercato finanziario. I
consumatori acquisteranno tali titoli, perché a parità di tasso di interesse, risultano più sicuri. Ma i
consumatori sono gli stessi che finanziavano le imprese, le quali ora dovranno aumentare i tassi per ottenere i
finanziamenti.
Ciò porta al crowding out delle imprese, cioè allo spiazzamento degli investimenti privati: la spesa pubblica
“spiazza” gli investimenti privati poiché spaventa gli investitori. L’effetto cumulativo è nullo, perché Y
rimane uguale. Anzi la spesa pubblica non solo è inutile ma anche dannosa, perché lo stato fa le cose peggio
dei privati.
Se si vuole aumentare la spesa pubblica, il risparmio pubblico deve diminuire → la retta si sposta verso
sinistra.
Non c’è dunque possibilità di intervento per lo stato.
Su questo Keynes non è d’accordo. Egli proponeva un intervento statale per ridurre la disoccupazione. Se gli
imprenditori vedono che lo stato non interviene, diminuiscono ancora di più gli investimenti, perché hanno
aspettative negative.
Qual è il problema di questo ragionamento?
Se aumenta la quantità di moneta, ma le risorse sono sempre le stesse, l’offerta non si adegua alla domanda,
per tornare all’equilibrio i prezzi devono aumentare.
Approccio keynesiano
La variabile chiave per i keynesiani sono quindi gli investimenti, poiché una variazione positiva di I porta a
una variazione positiva della domanda e quindi ad un aumento del reddito:
Aumentando il reddito (che non è predeterminato), aumentano i consumi, che portano ad un ulteriore
incremento della domanda. Si crea quindi un circolo che si rigenera fino a che l’effetto del moltiplicatore
Keynesiano non si esaurisce.
Con l’aumentare progressivo del reddito, aumentano i risparmi, quindi secondo Keynes sono gli investimenti
a determinare i risparmi (al contrario dei neoclassici).
Supponiamo invece S > I: i risparmi sono quindi elevati, superiori a quanto le imprese vogliono
investire; nel sistema si crea quindi un eccesso di offerta, che causa un accumularsi di prodotti
invenduti nei magazzini e si creano delle scorte. In economia le scorte vengono contabilizzate come
investimenti, quindi ecco che I cresce e si compensa con S.
Un’altra soluzione può risiedere nel fatto che le imprese, invece di lasciare i prodotti invenduti in
magazzino, licenzino del personale, facendo così calare il reddito Y.
Es ∆I = 100
Pmc= 0.8
∆S = 100
Nell’ottica keynesiana gli investimenti determinano i risparmi. L’unico modo per uscire dalla crisi è
consumare di più → crociata contro i risparmi, i quali sono problematici perché quando Y aumenta,
aumenta anche S, quindi paradossalmente tanto più un paese cresce tanto più si trova ad
affrontare il problema dei risparmi → problema della stagnazione secolare: le economie mature
non riescono a trascinare i consumi e non trovano nuove fonti autonome per farli aumentare.
Neoclassici: soluzione per far aumentare gli investimenti: ridurre i tassi di interesse con una politica
monetaria espansiva.
Keynesiani: se gli investimenti sono bassi il problema è più complesso, perché in un contesto di
aspettative pessimistiche, gli imprenditori non sono interessati al fatto che i tassi siano bassi, anzi
riducono ancor di più gli investimenti.
Come possiamo vedere dal grafico, la domanda determina la quantità ottima di lavoro L*, che secondo
l’ottica keynesiana può essere inferiore al livello di piena occupazione , che corrisponde a una domanda
più alta; questo perché Keynes sosteneva ci fosse una “disoccupazione involontaria” nel sistema
macroeconomico, che corrispondeva alla differenza tra e .
Graficamente:
C=
I=
REDDITO=
RISPARMI (Y-C)=
Cosa succede se i consumatori si fossero aspettati Y1, ovvero un reddito più elevato di quello che si è
realizzato → reddito ex-ante > reddito ex-post → reddito diminuisce perchè i consumatori spendono meno
C=
I=
REDDITO=
RISPARMI (Y-C)=
Il valore di Y è determinato da C, che però al suo interno contiene Y. Il valore di equilibrio di Y * è quello che
determina i consumi ed è l’unico che rende compatibili i piani economici ex-post.
POLITICA ECONOMICA
La teoria normativa è utile in quanto ci permette di paragonare questa analisi con lo stato reale delle cose:
è quindi uno strumento di miglioramento importante.
La politica economica dovrebbe quindi mirare alla “programmazione”, cioè stabilire piani di intervento
economici coerenti e compatibili.
Una buona programmazione economica deve specificare degli obiettivi da raggiungere e una serie di azioni
da compiere, dette strumenti.
Gli strumenti che possono essere utilizzati sono ad esempio: tassi di interesse, spesa pubblica, ecc.
La programmazione è necessaria poiché esistono svariati strumenti disponibili (vedi le diverse visioni di
intervento di keynesiani a monetaristi) e bisogna capire quali strumenti è meglio mobilitare e quali no. Più
strumenti possono però essere utilizzati per raggiungere un medesimo obiettivo.
La valutazione degli strumenti si basa su:
1. EFFICACIA
2. TEMPO: “quanto ci mettono ad agire?”; la critica di Friedman si basa proprio sui ritardi della politica
economica
3. VINCOLI: es sul debito pubblico
La programmazione è inoltre necessaria perché nella macroeconomia risulta difficile differenziare i vari
problemi quando questo sono interconnessi; ad esempio le politiche di austerity risultano efficaci in alcuni
campi, ma deleterie in altri: ad esempio un aumento della distribuzione del reddito avvantaggia i debitori
ma svantaggia i creditori. I problemi devono essere risolti in maniera coordinata, al fine di non focalizzarsi
su un solo problema, trascurando gli effetti che questo ha su altri elementi.
Inoltre ciascun problema ha una dimensione temporale: le azioni che decidiamo di compiere oggi
influiranno le generazioni future; anche per questo è importante la programmazione.
Politica normativa
Gli obiettivi e gli strumenti devono essere il più possibile misurabili e sono delle variabili, anche dette leve,
espresse numericamente.
Modello= insieme di relazioni espresse in modo matematico, che esprime in modo astratto e semplificato il
problema economico.
Modello in forma strutturale= presenta le connessioni fra grandezze, così come vengono suggerite
dall’analisi economica. Se da questo modello si eliminano le variabili irrilevanti e si esprime ogni variabile
endogena residua con una variabile esogena, si ottiene il modello in forma ridotta. Da qui si può ottenere il
modello in forma ridotta invertita.
Questa equazione racchiude tutti i casi di equazioni analizzati, eliminando le variabili non necessarie e
concentrandosi solo sulla variabile obiettivo N e la variabile strumentale G (l’unica su cui posso operare
delle modifiche nel modello, poiché gli investimenti sono fissi).
equazione che lega lo strumento all’obiettivo
“come deve variare la spesa pubblica in relazione a diversi obiettivi di occupazione?” assegniamo un valore
alla variabile obiettivo, per vedere l’ammontare di spesa pubblica necessaria (al contrario di prima).
detta anche forma ridotta del modello, che lega obiettivo e strumento.
Solitamente gli obiettivi sono molteplici, bisogna quindi scegliere come abbinarli e di conseguenza scegliere
gli strumenti da utilizzare tra quelli a disposizione.
Strumenti di politica economica:
Ci sono quattro modi per stabilire gli strumenti di politica economica:
1. Metodo ad obiettivi fissi
2. Metodo delle priorità
3. Metodo degli obiettivi flessibili con SMS variabile
4. Metodo degli obiettivi flessibili con SMS costante
Obiettivi fissi (di Tinbergen) specificare due valori per Nord e Sud da porsi come obiettivi: fisso dunque
dei valori obiettivo come base e li inserisco nel modello.
Un tipico esempio di trade off di questa politica economica è quello tra disoccupazione e inflazione:
stabilisco dei valori da raggiungere per l’inflazione e la disoccupazione e costruisco il mio modello intorno
ad essi.
2. Priorità
Se non si conosce esattamente la posizione della curva non è possibile stabilire obiettivi fissi. La politica che
si adotta è quella di stabilire un obiettivo prioritario, ad esempio per il caso del reddito nord/sud, e lasciare
che la variabile del secondo obiettivo si stabilisca in modo residuale, si determinerà quindi da sola data la
spinta del primo obiettivo. Il valore di questa variabile dipenderà dalla posizione della curva.
Questa politica consiste nel massimizzare il valore dell’obiettivo non prioritario, mentre l’altro è
predeterminato e viene inserito all’interno del modello.
Si dà quindi priorità ad una variabile a scapito dell’altra.
[Obiettivo BCE: non superare il 2% di inflazione. Oggi il problema è diverso, si cerca di raggiungere il 2%
partendo da un’inflazione nulla.
Il mandato della BCE stabilisce l’obiettivo ma non lo strumento.]
2.Quantitative
Una politica è quantitativa quando va a modificare il valore degli strumenti (ad esempio modifico
l’ammontare della spesa pubblica).
3.Di riforma
Attuo una politica di riforma quando introduco nuovi strumenti che alterano il sistema preesistente (es legge
Fornero).
Obiettivi:
Jan Tinbergen –premio nobel 1969, fondatore dell’econometria (nasce con l’obiettivo di stabilizzare i cicli
economici)-.
Esiste una sorta di regola aurea secondo cui il numero di obiettivi deve essere uguale al numero di strumenti
(n. di incognite = n. di equazioni). Devono essere almeno pari, una corrispondenza uno a uno sarebbe il caso
migliore, altrimenti si rischia di sovradeterminare o sottodeterminare il sistema (troppe variabili nel
modello).
Cosa succede se vi sono più obiettivi che strumenti e si entra in un deficit strumentale?
Il policy maker può:
1. rinunciare a qualche obiettivo
2. introdurre nuovi strumenti nel sistema
3. passare da obiettivi fissi a obiettivi variabili
Le regole, al contrario, ci dicono che strumenti utilizzare per agire con le politiche economiche. Esse
riguardano quindi gli strumenti e si distinguono in attive e passive.
Passive dipendono dalla condizione iniziale dello stato del sistema; le regole non cambiano durante
l’attivazione della politica economica e il policy maker le deve seguire indipendentemente da quello che
succede → attivazione dei programmi in modo automatico.
Esempio: politica monetaria dei monetaristi → obiettivo: evitare l’inflazione → ma qualsiasi offerta di
moneta causa inflazione
∆V= 0
∆Q= es crescita del PIL del 2%
∆P= obiettivo che sia = 0
∆M= a quanto deve essere uguale? Al 2% (in termini di crescita) → deve seguire l’andamento del PIL →
nessuno scostamento da questa regola → vale indipendentemente da cosa fa Q → regola passiva
Questa è detta “Regola semplice”: il ruolo della moneta per i monetaristi è quello di lubrificare le variazioni
rappresentate dalla variazione di Q.
Attive prevedono una strategia di intervento che tiene conto dei cambiamenti nel sistema. Possibilità di
intervento differenziato a seconda della congiuntura. Il policy maker adatta le regole all’evoluzione del
sistema nel tempo; ad esempio il governo non può operare politiche espansive in un periodo di boom. La
regola quindi non dipende solo dallo stato iniziale del sistema, ma anche dalle sue fasi successive.
Sappiamo che i monetaristi sostenevano che nel breve periodo fossero previsti degli spostamenti di Y dal suo
sentiero, ma Friedman sosteneva inoltre che una politica espansiva nel lungo periodo avrebbe portato solo un
aumento dell’inflazione.
Per Friedman quindi, gli scostamenti del PIL dal suo sentiero erano interamente riconducibili a errori: in
seguito ad una politica espansiva il produttore tende a produrre di più, ma è una pratica irrazionale poichè in
teoria gli agenti dovrebbero già sapere di essere in una situazione di piena occupazione. In piena occupazione
infatti, il livello di output prodotto è ottimale rispetto alla richiesta, quindi per chi producono questo ulteriore
output quando la produzione al livello marginale è già efficiente? le imprese non hanno incentivo ad
aumentare la produzione senza dei compratori.
Lo Stato spinge quindi a una maggior produzione dando un incentivo monetario: l’aumento dei prezzi,
determinato da una politica monetaria espansiva, causa un aumento della produzione (le imprese vedono il
loro margine di guadagno aumentare e implementano la produzione di output), ma per sostenere questo
aumento di produzione le imprese saranno costrette a far fare degli straordinari ai lavoratori e ciò causerà un
aumento dei costi del lavoro e un incremento dei salari richiesti.
Quindi è evidente che la scelta di aumentare la produzione non è conveniente per gli agenti; perchè quindi
nel caso di Friedman gli operatori non capiscono che il processo non è vantaggioso, al contrario di quello che
sosteneva Lucas? Questo perchè secondo Friedman, essi non conoscono i modelli.
L’imprenditore infatti tende a scambiare l’aumento dei prezzi come un aumento della domanda dei suoi
prodotti, scambia quindi prezzi relativi e prezzi nominali poichè egli conosce solamente il suo prodotto e di
conseguenza vede il prezzo del suo prodotto salire e non il livello dei prezzi generale.
L’imprenditore e tutti gli altri agenti non hanno quindi abbastanza informazioni per poter operare
razionalmente e il costo di reperimento di queste informazioni è un costo aggiuntivo che non tutti si possono
permettere: vi è quindi una forte inclinazione all’errore.
Possiamo fare l’esempio anche dei lavoratori, che in seguito ad una politica espansiva vedono il loro salario
nominale aumentare ma non si accorgono che nel frattempo è salito anche il livello dei prezzi, causando una
perdita del loro potere d’acquisto; non accorgendosi di questo decremento, nel breve periodo offriranno più
lavoro.
Per Friedman è quindi possibile “fregare” gli agenti nel breve periodo perchè hanno aspettative adattive e le
modificano di volta in volta.
Secondo Friedman dunque, l’obiettivo della politica economica dovrebbe essere di ridurre l’incertezza di
mercato e per fare ciò è necessario vincolare la banca centrale a un’offerta di moneta che segua l’andamento
del PIL (non si adotta più una politica monetaria espansiva).
Al giorno d’oggi però la teoria di Lucas è quella ampiamente più diffusa, la discrezione è stata scartata e non
ha più alcun valore poichè non si sostiene più una sovranità della politica monetaria. È stata infatti la
discrezione a portare le banche americane ad adottare comportamenti rischiosi, concedendo mutui senza
garanzie che hanno portato alla crisi del 2008: quando Reagan abolì la distinzione tra banche di deposito e
banche di credito alla fine degli anni novanta diede il via a una speculazione bancaria senza limiti, credendo
infatti al mito dell’autoregolazione. Questo mito aveva però preso piede inizialmente in Europa e aveva dato
il via alla politica di liberalizzazione bancaria diffuso in tutto il territorio europeo (in qualche modo abbiamo
acceso la miccia che ha portato alla crisi dei mutui sub prime e che poi ci è rimbalzata contro).
Secondo quanto detto fino ad adesso, la soluzione più sensata sarebbe di applicare delle regole attive, ma
Lucas non è d’accordo.
Qui si collegano Kydland e Prescott, che nel 1977 introdussero la “teoria dell’incoerenza temporale”.
Teoria dell’incoerenza temporale:
Riprendiamo il concetto di feedback ottimale dei policy makers rispetto all'equilibrio congiunturale
Questo equilibrio sembrava ottimale, ma Kydland e Prescott dimostrano invece il contrario seguendo le
teorie di Lucas. Essi sostengono infatti che un sistema di regole passive sia più adatto ed efficace quando gli
operatori hanno aspettative razionali; una politica economica viene quindi completamente esclusa dal loro
modello.
Regola ottima= definisce una sequenza temporale dell'ordine degli strumenti che massimizzano la funzione
obiettivo;
Regola coerente nel tempo= quando prevede già all'inizio del programma di politica economica la stessa
sequenza di azioni che i policy makers sceglierebbero anche se compissero la scelta periodo per periodo;
Regola ottimale e coerente nel tempo= se il programma ottimo calcolato al tempo t iniziale, continua ad
essere ottimale lungo tutto il periodo → i policy makers non hanno quindi incentivo durante il periodo di
attuazione della politica economica a cambiare politica.
Le politiche economiche sono fatte dai policy makers, ma sono gli agenti economici a determinarne l'esito:
seguendo quanto detto da Lucas, gli agenti conoscono l'obiettivo dei policy makers e li possono anticipare →
la sequenza di interventi previsti all’inizio non è più ottimale, perché sono cambiati i parametri. Se il policy
maker considera i feedbacks dà vita ad una serie di interventi che non poteva prevedere all’inizio! Una volta
che lavoratori e imprese hanno contrattato il salario nominale, la sequenza di regole che il policy maker ha
creato come ottimali nel tempo, non sono più ottimali.
Gli agenti economici non credono a politiche incoerenti nel tempo → diventano necessarie regole passive
perché sono le uniche credibili. È come se il policy maker rinunciasse alla discrezionalità che deriva dal suo
compito.
Da questa teoria e da Lucas si deriva la volontà di mantenere una banca centrale indipendente, che equivale a
un governo che si lega le mani poiché non ha più il controllo sulla politica monetaria.
L’equazione scritta sopra riflette le scelte degli agenti economici, cioè il vincolo che devono adottare i policy
maker per decidere la politica da applicare.
I policy maker hanno quindi una funzione obiettivo, una funzione da minimizzare:
Più questo valore sarà alto, più raffigurerà un governo di stampo tedesco (con un obiettivo di bassa
inflazione); più sarà basso più rifletterà un governo di stampo italiano ad esempio (con un obiettivo di bassa
disoccupazione).
Presupponiamo ora che il governo voglia applicare una politica economica e annunci come obiettivo
un’inflazione pari a zero è quindi l’obiettivo dell’autorità monetaria.
Tasso di
disoccupazione
naturale= NAIRU
(non-accelerating
inflaction rate of
unemployment);
tasso di
disoccupazione che
si ha quando il tasso
di inflazione non
accelera
Autorità monetaria
M=2% M=6%
W
= 2
Sindacati %
W
= 6
%
è quindi l’equilibrio di Nash di questo gioco, ma non rappresenta una situazione ottimale.
La scelta ottimale sarebbe infatti , dove si minimizzano i due mali; questo paniere però non
è stabile perché 5% di disoccupazione è più alto del 3% che si avrebbe se l’autorità monetaria espandesse la
moneta dato W=2%, quindi dato il loro obiettivo di disoccupazione i policy maker sposteranno l’equilibrio a
un paniere non più ottimale.
In conclusione, una politica economica coerente temporalmente porta a una soluzione peggiore di quella
ottimale, che però non è un equilibrio di Nash.
Come potremmo ottenere un equilibrio ottimale, e quindi tornare da E ad A nel grafico, convincendo gli
agenti della credibilità della politica?
1. Impegno vincolante: si stabilisce una legge ordinaria o costituzionale per vincolare la politica
monetaria al mantenimento della promessa (procedura più semplice, ma dolorosa); esempio:
pareggio di bilancio.
2. Costruzione della reputazione: (come ha fatto la Germania dopo i suoi debiti della seconda guerra
mondiale);
[perché la bce ha sede a Francoforte? Perché la banca tedesca era quella più credibile con le sue
strategie contro l’inflazione → stesso obiettivo della BCE che nasce sulla falsa riga della banca
centrale tedesca.
Questo stratagemma viene dal fatto che il gioco è ripetuto nel tempo e non è oneshot, nei giochi
ripetuti infatti chi infrange gli accordi per primo, verrà punito severamente la volta successiva dalla
controparte.
è un parametro che può cambiare e rappresenta la preferenza dei
policy maker per uno degli obiettivi: aumenta se l’obiettivo è abbassare il livello di inflazione.
si da meno peso alla disoccupazione.
Poniamo che il governo miri a un livello di inflazione più basso di quello che gli agenti si aspettano
vogliono ridurre C fino a B.
Per farlo, il governo deve costruirsi una reputazione e rendersi affidabile al pubblico; ma come
convincere il pubblico? Infatti se il pubblico non crede al policy maker, farà comunque andare il
sistema in C.
Se effettivamente il livello dei prezzi scende fino a , e gli agenti rimangono nella precedente curva
di Phillips, l’equilibrio andrà nel punto F corrispondente a un livello di disoccupazione maggiore di
quello naturale. Il punto F è un punto sconveniente per il policy maker secondo i suoi obiettivi, ma è
un rischio che è disposto a correre e sopportare pur di abbassare l’inflazione. Gli agenti, osservando
queste dinamiche, capiscono che la curva di benessere sociale è ora più piatta rispetto in precedenza
e che quindi il governo è una situazione critica tale da essere disposto a rinunciare a un bel po’ di
occupazione pur di abbassare un minimo l’inflazione il governo, dimostrando di essere disposto a
perdere uno dei suoi obiettivi, si guadagna la fiducia degli agenti, che crederanno ora alla sua
politica e abbasseranno la curva di Phillips fino al punto B questo porta all’austerità.
A forza di continui sacrifici. Che però saranno man mano sempre minori, si arriverà ad A.
Perché Keynes non accetta questo discorso?
Perché i disoccupati che si sono creati non vengono riassorbiti dal sistema.
[l’entrata in vigore dell’euro di per sé ha creato reputazione. L’euro è una valuta estera per gli stati
che l’hanno adottato, in quanto “estera” sta ad indicare che la banca centrale non ha potere su quella
valuta. Il suo valore è fissato per legge e avvantaggia incredibilmente gli esportatori tedeschi]
Se crediamo a quello che fa la BCE, che conosce i modelli, è come se vivessimo in un mondo alla
Lucas, in cui tutti gli agenti conoscono i modelli.
3. Deleghe: si delega ad un banchiere centrale interessato all’inflazione. Si tratta di un soggetto che non
ha influenze politiche.
L’indipendenza delle banche centrali dal potere politico n’è un esempio.
Tuttavia è qui possibile riscontrare un problema di principal-agent, che viene risolto attraverso:
4. Contratti di performance: si tratta di meccanismi di sanzioni e bonus. La strategia di inflation
targeting è un esempio c’è una sorta di contratto tra potere politico (legislativo: parlamento) e la
banca centrale per fissare un target.
La prima ad adottarla fu la Nuova Zelanda, seguita da Cile, USA e Canada. I Giappone la adottò nel
2013. La Gran Bretagna nel 1992, dopo essere stata scacciata dal sistema monetario europeo.
La BCE non si dichiara “inflation targeting”, ma gli sviluppi successivi hanno portato a ciò.
Il problema di questa strategia è che l’inflazione non è l’unico parametro rilevante. Bisogna
stabilizzare anche altre cose (es prezzi case, borsa…).
Un secondo tipo di influenza a cui sono soggetti i policy maker è quella da parte dei gruppi di interesse, in
quanto quest’ultimi possono finanziare le campagne elettorali, oppure perché i policy maker potrebbero
arrivare direttamente da questo mondo.
Negli Stati Uniti esiste un registro delle lobby che possono finanziare anche le campagne elettorali. Anche a
livello Europeo il lobbismo è molto regolamentato, esiste presso il parlamento un apposito registro. Ma il
problema nell’Unione è che il parlamento non conta nulla, le decisioni importanti spettano alla
Commissione, dove invece le lobby non sono regolamentate.
Il deficit democratico è quindi colmato dagli interessi privati, tramite le lobby, il problema è che ciò spesso si
presta ad abusi.
È giusto ritenere che i politici facciano gli interessi di chi li ha eletti: la teoria del Business Cycle è quindi
corretta nella Teoria partigiana (=che fa gli interessi delle parti. L’idea che il politico sia uomo di parte e che
le scelte pubbliche risentano delle preferenze del partito o della coalizione al potere).
Cosa motiva questi scostamenti del PIL ?
A seconda dell’approccio che adottiamo abbiamo risposte diverse.
Approccio classico e neoclassico
Presuppongono come stato naturale dell’economia uno stato di equilibrio, ne consegue che i cicli economici
non dovrebbero esistere, perciò sono un problema.
una politica espansiva, attuata per diminuire u a scapito di una
maggiore inflazione, richiede di portare il sistema da A a B
una simile politica ha senso solo se si resta per un certo periodo in
B.
Approccio keynesiano
A= equilibrio di sottoccupazione → ha senso fare politiche di
espansione della domanda
Una soluzione potrebbe essere quella di portare il sistema in C →
deve aumentare l’offerta, al contempo diminuisce l’inflazione →
approccio preferito dai non keynesiani, ma c’è un problema
temporale: l’offerta ci mette più tempo ad adeguarsi alla domanda
→ sono politiche di lungo periodo (ma sono quelle che prevalgono
oggi in Europa)
Keynes suggerisce invece di portare il sistema in B con un aumento della domanda dovuto ad un aumento
della spesa pubblica, che ha effetti immediati → politiche di breve periodo.
In conclusione: (da leggere anche in ottica di successione temporale)
Cicli economici:
Sintesi neoclassica (Samuelson): riconduce la teoria generale di Keynes all’interno dell’impianto classico.
Ritiene che le teorie di Keynes valgano nel breve periodo, mentre nel lungo periodo siano da applicare le
teorie classiche.
“Nel lungo periodo saremo tutti morti”= il lungo periodo non esiste, la storia è fatta di una successione di
brevi periodi.
I cicli economici nel passato venivano visti come il movimento oscillatorio di un pendolo: il pendolo
rimarrebbe infatti fermo se non ci fosse qualcuno a farlo muovere (spinta esogena), ma si muove intorno al
suo punto stazionario visione deterministica dei cicli economici; ciò vuol dire che i cicli presentano
regolarità e si può utilizzare l’econometria per studiarli.
A questa visione viene contrapposta quella odierna dei cicli stocastici, quindi cicli con andamenti casuali
determinati da shock casuali, non deterministici, che sono continui nel tempo, si innestano uno sull’altro i
sistemi non escono dal ciclo. Occorre quindi capire:
Shock da domanda
Partiamo ipotizzando uno shock che sposta la curva di domanda, partendo da una situazione di equilibrio
neoclassico. Lo shock può essere una variazione della quantità di moneta, degli investimenti, della spesa
pubblica o per un miglioramento delle aspettative. Si ipotizzi in questo caso un aumento della quantità di
moneta ↑M che fa aumentare AD.
Il punto di equilibrio B è solo il primo step di un processo più lungo: la domanda infatti continua a crescere
nel tempo a causa delle lentezze di aggiustamento tra domanda e reddito; il sistema quindi continua a
spostarsi a parità di prezzo e la domanda aumenta perché è la ricchezza ad aumentare M cresce a un ritmo
maggiore di quanto non cresca il prezzo. La domanda però si sposterà sempre un po’ meno verso l’alto fino a
quando l’effetto espansivo di M viene raggiunto dai prezzi e quindi l’inflazione tenderà a salire, facendo
spostare la AS verso l’alto per il processo di revisione delle aspettative.
I punti di equilibrio A, B, C, D ed E generano un percorso di equilibrio (in arancione); perché però la curva
torna indietro?
Fintanto che il reddito si trova a destra del suo livello tendenziale di lungo periodo la domanda aumenta,
quando arriva a sinistra la domanda inizierà a calare.
Perché l’offerta reagisce?
Per via dei prezzi. In B π effettiva > π sottostante quindi l’offerta si sposta perché le aspettative si adeguano e
i prezzi aumentano.
In E π effettiva = π sottostante.
Ma E è un punto stabile? No! Domanda e offerta continuano a muoversi. La domanda continua a salire fino
a quando non arriva alla sinistra del livello di reddito di lungo periodo. Giunta dall’altra parte la domanda
inizierà allora ascendere perché il reddito sarà troppo basso. L’offerta di rimando incorporerà le aspettative
date dalla diminuzione del reddito e calerà anch’essa, poiché gli aumenti dell’inflazione risulteranno
maggiori degli aumenti del reddito → il ciclo si inverte fino a quando non si esaurisce l’impatto iniziale.
Perché la AS si sposta continuamente?
Perché se la domanda si muove continuamente, anche le aspettative si cambiano continuamente facendo
variare l’offerta.
Da ciò si crea il movimento a spirale del ciclo e il risultato finale è un aumento dell’inflazione (perché
abbiamo assunto una politica monetaria espansiva).
Come riconosco che è stato uno shock della domanda a causare questo ciclo?
Perché inflazione e disoccupazione si sono mosse in direzioni oppost
L’ampiezza del ciclo determina un’economia piuttosto tormentata: se il PIL varia dal suo percorso
tendenziale, il governo ha tutti gli interessi a ridurre l’ampiezza del ciclo. Le oscillazioni sono i movimenti
che ogni governo vorrebbe evitare (soprattutto in passato, quando era in atto una forte politica del
controllo).
Ma i ritardi per Friedman creano una grande difficoltà di azione nel controllare le oscillazioni del ciclo,
quindi, secondo la sua teoria, sarebbe meglio non operare nella stabilizzazione della PIL con interventi
pubblici. I ritardi a cui fa riferimento Friedman sono ritardi di politica e sono:
Il punto A indica una situazione di boom economico; un governo che osserva A sarà incentivato a attuare
politiche fiscali restrittive, ridurre la spesa pubblica e M. il punto B indica un periodo di recessione, dove i
policy maker attuerebbero una politica fiscale espansiva. Ma secondo Friedman, attuando una politica
economica non farebbero altro che creare una curva delle variazione del PIL ancora più ampia (curva in
arancione), questo a cause dei ritardi della politica prima analizzati.
Le politiche fiscali restrittive andrebbero quindi attuate in B perché i loro effetti inizieranno solo in D.
Sono regole automatiche, per evitare che quelle discrezionali peggiorino il ciclo.
Abbiamo quindi analizzato finora diverse versioni di uno shock della domanda, analisi che ci è utile in
quanto questo tipo di shock è essenzialmente dovuto all’applicazione di politiche economiche, che a livello
macroeconomico ci interessano particolarmente.
A livello storico, un perfetto esempio di shock della domanda che viene spesso ripreso come esempio
scolastico è quello causato dalla riunificazione tedesca intorno al 1990.
Infatti dopo la caduta del muro di Berlino, la Germania Est adottò le regole e l’economia della Germania
federale, compresa moneta e tassi di cambio. Il tasso di cambio tra marco e dollaro in quel periodo era pari
a 1 a 1, ciò volle dire che tutta la parte della Germania democratica (DDR) si vide aumentare di molto il
proprio potere d’acquisto e ciò incentivò i consumi, con il conseguente aumento della domanda aggregata.
Con il boom della domanda e l’aumento di C, G e I, si formò uno shock della domanda che portò alla
formazione di un ciclo economico.
L’aumento del reddito Y che si verificò in seguito all’aumento della curva di domanda spaventò la
Bundesbank, che in quegli anni aveva faticato per costruirsi un effetto reputazione molto forte, e decise
quindi di raffreddare l’economia aumentando i tassi di interesse.
L’aumento dei tassi di interesse portò a un livello di inflazione stabile il tasso stabile è identificabile nel
grafico nel tratto orrizontale del ciclo: quando si assiste a questa improvvisa frenata del sistema economico,
possiamo intuire che si è trattato di una recessione programmata, voluta dall’autorità monetaria.
Il costo per evitare l’eccessiva crescita del tasso di inflazione è però una forte recessione economica, dopo
di essa però si inizia a tornare verso l’equilibrio di lungo periodo (1994).
Shock da offerta:
Un tipico esempio di shock dell’offerta è quello della crisi petrolifera del ’73 e del ’79.
La crisi del 1973 fu causata dalla guerra del Kippur fra Siria ed Egitto, da un lato, e Israele, dall’altro. Egitto e
Siria, sostenuti dai paesi arabi ed anti-americani, erano in opposizione nei confronti di Israele, sostenuta, a
sua volta, dall’America. I primi decisero di raddoppiare il prezzo del petrolio, provocando una diminuzione
della domanda, al fine di avvertire gli altri Paesi a non appoggiare Israele. Questo avvertimento si commutò
in blocco delle esportazioni verso America e Paesi Bassi, in qualità di sostenitori di Israele. L’OPEC, pertanto,
al fine di far fronte allo shock del 1973, decise di ridurre le esportazioni di prodotto e di aumentare le tasse
sugli introiti. Questo permise ai Paesi produttori di arricchirsi e di conseguire maggior sviluppo economico
nonché di realizzare importanti investimenti di capitali in mercati finanziari. Tale crisi mise fine ai tempi
delle concessioni di estrazione e cercò di provvedere alla nazionalizzazione delle compagnie petrolifere.
Nel 1979, durante la Rivoluzione Iraniana, si verificò un altro importante shock petrolifero. Nel biennio
precedente, 1978-1979, il prezzo del petrolio aumentò notevolmente, partendo da 46 dollari al barile e
raggiungendo i 93 dollari al barile. Tale aumento di prezzo fu dovuto alla riduzione della produzione da
parte dell’Iran, uno tra i principali Paesi esportatori di petrolio. Entrambi gli shock petroliferi impattarono
negativamente nel sistema economico dei Paesi importatori, se pur derivanti da cause differenti. Il rialzo
del prezzo del petrolio rese più deboli le economie dei Paesi, durante il decennio intercorso tra gli anni
settanta e gli anni ottanta. In questi anni si presentò il fenomeno, definito dagli economisti come
“stagflazione”, riguardante una situazione in cui si verifica contemporaneamente un elevato tasso di
disoccupazione associato ad un elevato tasso di inflazione. L’aumento di prezzo, infatti, comportò una
riduzione del salario reale e parallelamente un aumento del tasso di disoccupazione, colpendo un’elevata
percentuale di lavoratori impegnati in diversi settori economici.
Si può riconoscere che fu uno shock dell’offerta perché disoccupazione e inflazione andarono di pari passo.
In seguito alla diminuzione dell’offerta a AS’, l’equilibrio arriva al punto B; cosa accade senza intervento
pubblico?
Essendo in recessione le imprese licenziano a causa dell’aumento dei costi del lavoro, quindi i prezzi
scendono fino a che non si ritorna verso l’equilibrio di lungo periodo (A) le condizioni di recessione
dell’economia favoriscono il rilancio.
Il rischio è che il sistema rimanga incastrato in una spirale inflazionistica troppo a lungo, a quel punto
interverrà lo Stato facendo contrarre l’economia e quindi facendo scendere la curva di domanda ad AD’.
L’obiettivo del governo è infatti quello di abbassare l’inflazione e per fare ciò è costretto a contrarre la
quantità di moneta aumentando i tassi di interesse (ciclo arancione). Abbattendo l’inflazione causa però un
aumento della disoccupazione → peggiora recessione.
Ne consegue che:
Vi sono quindi dei miglioramenti nelle produttività marginali dei fattori (K,L), che incentivano gli
investimenti delle imprese e fanno aumentare il prodotto nel breve periodo.
Ma siamo sicuri che i dati dei modelli si adattino così bene ai dati reali?
Questa teoria non è credibile perché ne deriva che le crisi sono solo crisi di produttività, dovute ad una
caduta della produttività marginale dei fattori.
[Lucas in realtà è più cauto, per lui all’inizio ci sono della variabili monetarie, ma questa è
un’estremizzazione del suo modello].
Il debito pubblico e il deficit del debito sono due parametri chiave per il sistema economico europeo,
questo perché i governi ormai svolgono funzioni di primo piano all’interno dell’economia e il debito di un
paese diventa quindi un elemento cardine per le politiche economiche da attuare. Il governo di fatto regola
il sistema economico e svolge inoltre funzioni chiave a livello microeconomico (servizi ecc…).
Il problema del debito pubblico è storicamente ricorrente; un esempio fu il focus particolare che fu rivolto
sul debito statiunitense intorno agli anni 2007/2008, dopo che nel 2006 si verificò il picco storico di “deficit
gemelli”, enormi deficit nel bilancio federale e ampie passività nelle partite correnti, conosciuti come i
"deficit gemelli".
Dopo aver ottenuto dei surplus alla fine del boom dell'era Clinton, il bilancio del governo federale si mosse
rapidamente verso il deficit, riducendo di circa il 7% il reddito netto disponibile (d'ora in avanti RND). Allo
stesso modo, il disavanzo delle partite correnti, che si era ridotto di più della metà durante gli anni di
Clinton, esplose. (Il deficit delle partite correnti è definito come l'eccesso delle importazioni e di altri
pagamenti correnti di una nazione sulle sue esportazioni e altri ricavi correnti. N.d.T.) Attualmente è il
doppio, in relazione al RND, del livello raggiunto durante il suo picco precedente negli anni '80.
Questa volta, il dibattito raggiunge quasi un livello isterico, con fosche previsioni riguardanti non solo gli
intollerabili pesi per i futuri americani, ma persino la possibile bancarotta del governo federale e dell'intera
nazione (Altman 2006). Ulteriormente, l'insaziabile appetito degli americani per i risparmi mondiali non
solo danneggia il loro stesso benessere, ma deprime anche la crescita nelle nazioni in via di sviluppo. Il
Council of Economic Advisers raccomanda che "gli USA dovrebbero aumentare il proprio tasso di risparmio
interno" per ridurre il deficit delle partite correnti e la propria dipendenza dai risparmi stranieri (2006, p.
127). C'è ampio accordo sul fatto che entrambi i deficit siano insostenibili.
Il problema del debito pubblico si risolve “mettendo da parte risorse” (passando quindi da un deficit a un
futuro surplus). Un altro modo per ridurre il debito è aumentare l’inflazione (come fece la Germania post
seconda guerra mondiale); questo tipo di pratice può essere messo in atto solo se l’autorità monetaria è
indipendente dal potere politico.
Un’altra modalità di riduzione del debito è il ripudio, cioè l’insolvenza: lo Stato non è in grado di pagare e
non restituisce il debito; un esempio fu l’Argentina nel 2001, che ristruttutò il suo debito e arrivò a
restituirne solo il 30%. Tuttavia questo debito non ripagato venne usato in Argentina per rilanciare il apese
attraverso un percorso di crescita. Questo tipo di pratica crea però una crisi di fiducia internazionale poiché
comporta una violazione degli accordi stipulati.
Bisogna inoltre distinguere tra debito pubblico nazionale (meno grave e meno pressante, poiché sono i
cittadini dello Stato stesso a essere creditori e hanno un livello di fiducia più stretto con il proprio governo:
per interesse stesso del governo il debito dovrà essere sanato) e internazionale (più pressante e
imminente).
In questa distinzione è vitale il concetto di rifinanziamento: il debito prima di essere pagato deve essere
innanzitutto rifinananziato, quindi bisogna trovare qualcuno disposto a investire nello Stato (procedimento
più facile a livello nazionale).
Vi è inoltre un trade off tra equità ed efficienza quando si parla di debito pubblico: in nostri sistemi
economici si basano su questo trade off per decidere ad esempio le imposte sul reddito.
Lo Stato, in casi di deficit del debito pubblico, deve intervenire nell’economia, poiché essendo pubblico il
debito, esso va a incidere sui beni pubblici, su cui i singoli agenti non possono intervenire.
Gli Stati hanno ormai possibilità molto ridotte nel cercare di mantenere alti gli standard di vita dei cittadini
e queste limitazioni sono dovute all’introduzione della costituzione del bilancio in pareggio. In economia
il pareggio di bilancio è la condizione contabile di un ente economico che si verifica quando, nel corso di un
anno, le uscite finanziarie sostenute eguagliano le entrate conseguite, evitando situazioni di deficit e
conseguente ricorso all'indebitamento o alla monetizzazione.
Gli agenti non riescono più intervenire direttamente per rimediare a un deficit dell domanda poiché non
hanno libero accesso al credito, che è regolato dal governo tramite politiche monetarie.
Quanto appena detto sottolinea la centralità del bilancio pubblico nelle nostre economie:
Il bilancio pubblico dunque è un’equazione contabile, data dalla differenza delle entrare ( T = tasse) e le
uscite (G = spesa pubblica).
Il bilancio pubblico è oggetto dei parametri di Maastricht; questi stabilivano le condizioni di integrazione
per l’entrata nell’euro: sono paramentri di convergenza delle economie europee che dovrebbero tendere a
una armonizzazione dei dati macroeconomici.
A) La stabilità dei prezzi. Il trattato prevede che "Il raggiungimento di un alto grado di stabilità dei prezzi [...]
risulterà da un tasso d'inflazione prossimo a quello dei tre Stati membri, al massimo, che hanno conseguito i
migliori risultati in termini di stabilità dei prezzi".
In concreto, il tasso d'inflazione di un dato Stato membro non deve superare di oltre l'1,5% quello dei tre
Stati membri che avranno conseguito i migliori risultati in materia di stabilità dei prezzi nell'anno che
precede l'esame della situazione dello Stato membro.
B) La situazione della finanza pubblica. Il trattato stabilisce che: "La sostenibilità della situazione della
finanza pubblica [...] risulterà dal conseguimento di una situazione di bilancio pubblico non caratterizzata da
un disavanzo eccessivo [...]".
In pratica, al momento dell'elaborazione della sua raccomandazione annuale al Consiglio dei ministri delle
finanze (Ecofin), la Commissione esamina se la disciplina di bilancio sia stata rispettata in base ai due
seguenti parametri:
il disavanzo pubblico annuale: il rapporto tra il disavanzo pubblico annuale e il PIL[1]non deve
superare il 3 % alla fine dell'ultimo esercizio finanziario concluso. In caso contrario, tale rapporto
deve essere diminuito in modo sostanziale e costante e aver raggiunto un livello prossimo al 3%
(interpretazione tendenziale a norma dell'articolo 104, paragrafo 2) o, in alternativa, il
superamento del valore di riferimento deve essere solo eccezionale e temporaneo e il rapporto
deve restare vicino al valore di riferimento;
il debito pubblico: il rapporto tra il debito pubblico lordo e il PIL non deve superare il 60% alla fine
dell'ultimo esercizio di bilancio concluso. In caso contrario, tale rapporto deve essersi ridotto in
misura sufficiente e deve avvicinarsi al valore di riferimento con ritmo adeguato (interpretazione
tendenziale a norma dell'articolo 104, paragrafo 2).
C) Il tasso di cambio. Il trattato prevede "il rispetto dei margini normali di fluttuazione previsti dal
meccanismo di cambio del Sistema monetario europeo per almeno due anni, senza svalutazione nei
confronti della moneta di qualsiasi altro Stato membro".
Lo Stato membro deve aver partecipato al meccanismo di cambio del Sistema monetario europeo senza
soluzione di continuità nel corso dei due anni precedenti l'esame della sua situazione, senza peraltro essere
stato soggetto a gravi tensioni.
Inoltre, lo Stato membro non deve aver svalutato la moneta nazionale (ovvero il tasso centrale bilaterale
della propria valuta in rapporto a quella di un altro Stato membro) di propria iniziativa nel corso del
suddetto periodo. Dopo il passaggio alla terza fase dell'Unione economica e monetaria (UEM), il sistema
monetario europeo è stato sostituito da un nuovo meccanismo di cambio (ERM II), che, peraltro, vale solo
per gli Stati membri non ancora ammessi ad adottare l'euro.
D) I tassi di interesse a lungo termine. Il trattato prevede che "i livelli dei tassi di interesse a lungo termine
[...] riflettano la stabilità della convergenza raggiunta dallo Stato membro".
In pratica, i tassi di interesse nominali a lungo termine non devono superare di più del 2 % quelli dei tre
Stati membri, al massimo, che avranno conseguito i migliori risultati in termini di stabilità dei prezzi (si
tratta di fatto dei medesimi presi in considerazione per il parametro della stabilità dei prezzi). Il periodo da
considerare è l'anno precedente l'esame della situazione nello Stato membro in questione.
I punti C e D sono stati rispettati nel momento in cui sono stati trasmessi i poteri alla BCE.
[Iniazialmente l’Italia non rispettava i parametri, ma sotto il governo Prodi si giunse a un compromesso
tramite cui si sarebbe potuto accedere all’euro anche solo con la promessa dell’attuazione di riforme tali da
garantire il raggiungimento degli obiettivi sopra citati].
Nel 2012 25 paesi firmarono il “Fiscal Compact”, cioè il Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla
governance dell’Unione Europea.
– l’inserimento del pareggio di bilancio (cioè un sostanziale equilibrio tra entrate e uscite) di ciascuno Stato
in «disposizioni vincolanti e di natura permanente – preferibilmente costituzionale» (in Italia è stato
inserito nella Costituzione con una modifica all’articolo 81 approvata nell’aprile del 2012);
– il vincolo dello 0,5 di deficit “strutturale” – quindi non legato a emergenze – rispetto al PIL;
– l’obbligo di mantenere al massimo al 3% il rapporto tra deficit e PIL, già previsto da Maastricht;
– per i paesi con un rapporto tra debito e PIL superiore al 60% previsto da Maastricht, l’obbligo di ridurre il
rapporto di almeno 1/20esimo all’anno, per raggiungere quel rapporto considerato “sano” del 60%. In Italia
il debito pubblico ha sforato i 2000 miliardi di euro, intorno al 134 per cento del PIL. Per i paesi che sono
appena rientrati sotto la soglia del 3% nel rapporto tra deficit e PIL, come l’Italia, i controlli su questo
vincolo sono iniziati nel 2016.
In termini di PIL parte del PIL destinata alla riduzione del debito. Ma oggi cresciamo dell’1.5%!
[La crescita nominale (con inflazione) prima della crisi in Italia era del 3.6%]
Il problema dell’applicazione di questa regola a livello generalizzato nell’Unione Europea è che oggigiorno
nessun paese, neanche quelli più virtuosi, hanno un debito inferiore al 60%. Se l’Unione Europea impone
questa regola a tutti i suoi stati membri crea una situazione deflazionistica, ossia una recessione
programmata.
In economia, lo stabilizzatore automatico è un elemento della politica fiscale che riduce le fluttuazioni
economiche senza nessun intervento specifico. In un'ottica keynesiana, tutto ciò che cerca
spontaneamente di controbilanciare le variazioni congiunturali dell'economia è uno stabilizzatore
automatico.
Le imposte, in particolare quelle con tassi progressivi, frenano le variazioni del reddito disponibile dei
consumatori e quindi le spese di consumo che sono una delle componenti principali del prodotto interno
lordo.
Il grande vantaggio dello stabilizzatore automatico è quello di agire immediatamente mentre le politiche
congiunturali discrezionali intervengono sovente in ritardo (bisogna stabilire che si è in recessione prima di
agire).
La domanda aggregata crolla. Se lo statto non interviene il sistema passa da A a B, dove si blocca
inizialmente, con un peggioramento dello standard di vita, e poi si muove in C. qui vi è una minore
inflazione, ma è tuttavia un risulato non intenzionale (è come se fosse il risultato di una malattia).
Il sistema non fa crescere la domanda percè in fase recessiva i cittadini non spendono.
G aumenta grazie agli stabilizzatori automatici che entrano in gioco autonomamente. Ad esempio con
l’aumento della disoccupazione si attivano automaticamente i procedimenti di cassa integrazione, che
fanno aumentare la spesa pubblica
Le tasse dipendono dal reddito, che però in recessione diminuisce. Sono procicliche → cadono se cade il
reddito.
Il bilancio pubblico tende quindi ad andare in disavanzo durante la recessione e in avanzo durante un
boom. Il bilancio si move in modo anticiclico → si espande in fasi di recessione.
Questo perché il bilancio segue l’andamento del reddito e gli stabilizzatori automatici (in recessione) creano
una sorta di politica espansiva implicita che si attiva da sola il sistema ha in sé una correzione pressochè
automatica degli squilibri.
[Essendo gli stabilizzatori automatici, non vi è alcun ritardo nei cicli, quindi le critiche di Friedman sul tipo
di intervento pubblico – espansivo o restrittivo in base alla situazione di boom o recessione – non risultano
più valide].
[Questa teoria è coerente con Lucas, ma è anche applicabile dai keynesiani].
Le politiche fiscali degli stabilizzatori automatici sono l’unico mezzo che ci è stato lasciato dalle autorità
monetarie per combattere il disavanzo pubblico.
Se la variazione del bilancio depurato è uguale alla variazione del bilancio effettivo, ottengo che l’output gap
è uguale a zero.
Nella zona evidenziata del grafico, si è in presenza di una recessione a cui si è applicata una politica fiscale
espansiva (si ritrovarono in questo punto molti paesi europei in seguito alla crisi americana, dal 2008 al
2010), e si assistette a valori di scostamento negativo del bilancio depurato.
[Durante il G20 a Londra, si riunirono i rappresentanti dei diversi paesi per discutere una politica comune da
adottare in seguito alla crisi del 2007 per uscire dalla recessione la decisione fu appunto quella di attuare
una politica fiscale espansiva; quasi tutti i paesi europei si ritrovarono nella zona grigia del grafico.
Grecia e Italia non erano tra questi a causa del loro già elevato debito pubblico: un innalzamento ulteriore
della spesa pubblica non sarebbe stato sostenibile, il saldo pubblico sarebbe peggiorato e i governi avrebbero
dovuto affrontare una sanzione europea; questi due paesi si ritrovarono nel primo quadrante del nostro
grafico, affrontando una situazione di recessione con una politica fiscale restrittiva. La Grecia, in particolare,
adottò una politica fiscale doppia rispetto all’Italia.
L’Europa, sempre pronta a punire i comportamenti negativi dei paesi membri, spesso però tralascia
importanti fattori che sarebbero vitali per la comprensione dei saldi di bilancio negativi: infatti Spagna, Italia,
Portogallo e Grecia (i cosiddetti PIIGS) sono giunti in quella parte del grafico in modi diversi.
La Spagna ad esempio si era ritrovata a dover affrontare una bolla immobiliare che gravava sull’economia
del paese, inoltre fino al ’75 era stata sotto il regime dittatoriale fascista di Franco e una volta uscita dalla
dittatura, unitasi all’Europa nel ‘85/’86 assistette a un’espansione incredibile della domanda dovuta alle
nuove possibilità economiche europee (come accadde per la Germania est). Il boom della domanda trascinò
la Spagna in un ciclo che la portò a dover adottare le politiche sopra descritte.
L’Italia aveva una situazione ancora differente: infatti era passata attraverso decenni di gestione della spesa
pubblica incontrollata, dovuta a partiti politici che sostenevano un’economia basata solo sulla spesa pubblica
(DC).
Queste diverse situazioni dovrebbero essere tenute da conto dall’UE, non si può infatti applicare una legge
unica.
Storicamente si può inoltre notare che i paesi che reagirono meglio alla crisi americana del 2007 furono
quelli che dovevano ancora entrare nell’unione europea, e che sfruttarono il boom della domanda risultante
dalla loro entrata come cuscinetto per la crisi.
Altri paesi che riuscirono a contenere la crisi furono Belgio, Olanda, ecc; che comunque rimasero invischiati
nella crisi del debito sovrano del 2010].
Le politiche espansive che vennero adottate dai paesi che poterono attuarle però, non vennero usate per
coprire i debiti pubblici e rifinanziarli (sanamento del debito sovrano), bensì per coprire i debiti privati
(banche, ecc…) un esempio fu la Gran Bretagna che arrivò persino a nazionalizzare le banche per sanare i
loro bilanci; vennero quindi trasformati debiti privati in debiti pubblici. → non si tratta quindi propriamente
di una crisi del debito sovrano.
I debiti europei derivano per la maggior parte dall’adozione di queste pratiche: un esempio è proprio il debito
pubblico italiano, che è stato accresciuto per rimediare ai debiti privati (motivo per cui tuttora non possiamo
adottare politiche espansive, poiché la nostra spesa pubblica è troppo ingente).
Ma il debito pubblico da cosa deriva ? Che cos’è?
Esso deriva dal disavanzo statale accumulato anno dopo anno (G – T spese superiori alle entrate) a cui si
aggiunge il tasso di interesse sul debito; si ottiene lo stock di debito pubblico.
Nessuno di questi paesi si era quindi preoccupato di guardare al lungo periodo: infatti gli interessi applicati al
debito accumulato non hanno fatto altro che aumentare il debito pubblico.
In Italia B (debito pubblico) è molto elevato, quindi di conseguenza anche sarà maggiore e aggraverà
sempre di più la situazione più accumulo debito, meno sarò in grado di pagarlo.
Il debito pubblico ha diverse funzioni:
1. Assicura la produzione di beni pubblici
2. Mira a stabilizzare il sistema, contrastando il ciclo economico
3. Serve a rifinanziare il debito pubblico accumulato mi indebito sempre di più per pagare il debito
precedente
Ma in tutta questa situazione, qual è l’obiettivo di un governo?
Un governo chiederà che non ci sia un aumento del debito da un anno all’altro, così che l’indebitamento non
si accumuli ulteriormente in un ciclo infinito. Ciò vuol dire che e di conseguenza .
Si tratta di una stabilizzazione del valore assoluto del debito.
Ciò vuol dire che si dovranno andare ad impiegare risorse pubbliche da (T-G) per devolverle nel servizio di
debito rB.
Esempio del Belgio nel 2010: B= 80.8%
r= 5%
T-G= 4%
Esiste un modo meno drastico, però, per abbattere il debito: crescere. Il PIL cresce nel tempo, in quanto
l’economia è dinamica e ciò permette di avere nuove risorse a disposizione.
Il reddito diventa una componente essenziale, poiché notiamo che un aumento del reddito (dovuto ad
esempio da un incremento del PIL) porta all’aumento degli standard di vita a parità di standard di vita ho
un disavanzo positivo sul reddito, che può essere ad esempio usato per sanare il debito pubblico.
Questa logica è la stessa alla base di una politica di austerity: si può abbassare il debito riducendo gli
standard di vita.
Vi è quindi un legame tra crescita e debito, ma è molto complesso: la crescita di un paese porta a un
incremento degli standard di vita che creano un disavanzo positivo di reddito impiegabile per pagare il debito
pubblico.
Quando riduco il debito però, sto utilizzando risorse che vengono sottratte al sistema economico e quindi di
conseguenza si fa diminuire il livello del PIL.
Le variabili di interesse in questo contesto sono ed , rispettivamente il tasso di crescita del PIL e il tasso
sul debito pubblico; come sono legate queste due variabili?
è una variabile tipica del breve periodo che viene fissata dalle autorità di politica monetaria; invece è data
dalla crescita del reddito ed è una variabile che si può osservare solo nel lungo periodo.
Introducendo queste due variabili nel contesto del debito pubblico, vediamo che alti valori di g migliorano
notevolmente la situazione di indebitamento di un paese; si segue infatti questa equazione:
Ponendo , otteniamo che se gli Stati vogliono azzerare la variazione dello stock di debito pubblico
accumulato relativamente al PIL (di anno in anno) devono rispettare la seguente uguaglianza:
g è un elemento di svolta poichè se avessimo r < g, il governo non solo potrebbe stabilizzare il debito
pubblico, ma avrebbe anche un disavanzo positivo.
Esempi Belgio nel 2010: g= 2%
T-G= 2%
Gran Bretagna ‘60/’70 r= 0.9% g=2.5% ‘80/’90 r=4.7% g=2.4%
Per i problemi di debito pubblico della Gran Bretagna dall’80 al ’95, quelli erano decenni il cui il debito
poteva essere risolto tramite l’inflazione signoraggio: il provento che gli stati ricavavano attribuendo alle
monete coniate un potere d'acquisto superiore a quello del metallo in esse contenuto.
L’equazione di riferimento sarebbe quindi stata questa:
Il bilanciamento inflazionistico del debito quindi avrebbe agito intaccando il potere reale d’acquisto degli
agenti questa modalità non è più attuabile al giorno d’oggi a causa della separazione tra Banca Centrale e
Tesoro.
Il sistema però, adottando questo modello, arriva ad esplodere quando l’inflazione raggiunge dei livelli tali
da risultare un problema.
Finora abbiamo però tralasciato un ulteriore problema relativo al peso del debito pubblico: bisogna porre
un’opportuna attenzione al fatto se il debito pubblico sia detenuto in valuta domestica o in valuta estera.
Infatti l’ammontare del debito diventa ancora più gravoso se detenuto in moneta estera poiché in questo caso
r non è determinato dallo Stato, ma viene stabilito dal paese presso il quale si detiene il debito, che è quindi
libero di alzarlo o abbassarlo secondo la propria politica monetaria vedi caso Stati Uniti-America Latina
sotto la presidenza di Volcker alla Fed.
Riassumiamo quindi le varie politiche che possono essere intraprese dai governi per ridurre il debito:
Stretta fiscale agisco su G – T [quello che l’Italia sta facendo dal ‘91]
Finanziamento inflazionistico ovvero stampare moneta. Oggi questo non ci è più permesso in
quanto la banca centrale è indipendente dal governo e inoltre la BCE persegue l’obiettivo di
mantenere l’inflazione al di sotto del 2%. I fenomeni di iperinflazione discendono proprio da questo
tipo di strategia
Inadempienza ripudio del debito. Di solito è mascherato da ristrutturazioni del debito.
[La prima guerra mondiale fu finanziata quasi esclusivamente dalla Gran Bretagna, che concesse
prestiti a tutti rischiando il collasso finanziario. Solo a quel punto intervennero gli Stati Uniti, che
intendevano sostituirsi alla Gran Bretagna nella politica internazionale. L’America uscì così dalla
prima guerra mondiale come unico creditore → UK debitore verso USA ma creditore nei confronti
degli altri paesi europei → creditori nei confronti della Germania a cui furono addossati tutti i debiti
di guerra. Keynes scrisse a riguardo un libro intitolato “le conseguenze economiche della pace” in cui
chiedeva di condonare il debito della Gran Bretagna nei confronti degli Stati Uniti. Così essa avrebbe
potuto condonarli ai paesi europei i quali a loro volta avrebbero cancellato i debiti tedeschi. Egli
sapeva infatti che dall’economia tedesca sarebbe dipeso l’andamento europeo, e che così facendo si
sarebbe invece giunti ad una nuova guerra.
Inizialmente gli Stati Uniti concessero prestiti agli stati europei, che però servivano unicamente a
ripagare il debito verso gli USA. Ad un certo punto, però, spaventati dalla continua crescita
dell’inflazione, queste erogazioni di denaro vennero interrotte. Si giunse così alla grande depressione
del ’29 e alla seconda guerra mondiale.
Anche in questo caso le dinamiche furono simili e alla fine Keynes, impegnato egli stesso nelle
trattative con gli USA, chiese nuovamente un condono dei debiti. Gli USA offrirono solo un prestito
più basso di quello richiesto e Keynes morì nel ’46. Con la crisi della sterlina l’anno successivo però,
la Gran Bretagna rischiò il collasso e gli Stati Uniti si trovarono a dover dare ragione all’economista.
Si attuò così il Piano Marshall, con un prestito di 13000000$ e l’impiego di capitale umano.
In Italia il ripudio del debito fu attuato da Mussolini. Grazie alle sue politiche restrittive si attuò il
passaggio verso lo stato moderno. Nel novembre del 1925 egli allungò le scadenze del debito
pubblico e ridusse il tasso di interesse, ci fu una conversione forzosa. La stessa cosa accadde nel ’34,
con l’allungamento della scadenza a 25 anni].
Soluzioni di lungo periodo abbattimento tasso di interesse r e innalzamento del PIL.
Come abbiamo visto in precedenza, l’Italia entrò a far parte dell’Unione Europea anche se non rispettava i
parametri di Maastricht sul deficit e sul debito pubblico; le fu concesso perché sembrava stesse percorrendo
un cammino virtuoso: in quei tempi il PIL italiano cresceva a un ritmo del 2 % annuo.
Nonostante gli odierni rimproveri che vengono rivolti dall’Europa alla “spendacciona Italia”, il nostro paese
è dalla metà degli anni ’90 che registra un disavanzo primario positivo. Ci vengono imputati errori, come
paese, che di fatto non abbiamo commesso: dal 1996, anno in cui salì al governo Prodi e in cui entrammo a
far parte dell’UE, il nostro disavanzo primario era del -7,01 %, che passò in un solo anno (nel 1997) al -
2,74%. Questo risultato fu osservabile perché l’Italia decise di accettare la sfida dell’Europa per abbassare il
debito pubblico e lo fece con una pesante stretta economica.
Ma anche in passato l’Italia si vide più volte ostacolata nelle sue politiche, un esempio lampante fu quando
fu costretta a uscire dal “sistema monetario europeo”, quasi cacciate dagli altri paesi nonostante i suoi
impegni per ristabilire il valore della moneta.
Prodi impose persino una tassa per l’Europa per risparmiare finanziamenti che sarebbero poi stati devoluti
per l’entrata nell’Unione.
L’Italia, di fatto, è stata austera! Dove ci era concesso di intervenire, cioè sul disavanzo primario, abbiamo
agito persino meglio della Germania.
Ma se cresciamo di più, abbiamo un disavanzo primario migliore della Germania, come mai il nostro debito
cresce più di quello di Berlino?
La soluzione risiede nello spread. Lo spread è un indice utilizzato come parametro di riferimento per poter
determinare la stabilità economica di un paese in correlazione con il contesto internazionale.
In realtà, il termine generico spread in economia indica la differenza esistente fra due valori e può assumere
diversi significati in base al contesto in cui è inserito tuttavia, di recente, ha assunto un significato specifico e
determinato. Dal 2011, di fatti, denota nella fattispecie il differenziale esistente fra il rendimento dei titoli di
stato decennali italiani, i BTP, e quelli tedeschi, detti Bund.
Il rendimento di uno Stato viene essenzialmente percepito come la misura della sua stabilità, un rendimento
basso identifica un paese in grado di ripagare facilmente i suoi debiti, mentre un rendimento elevato equivale
a una situazione di incertezza e, dunque, gli investitori richiedono incentivi per il rischio che si assumono. Lo
spread viene misurato in “punti base”, ogni punto base è un centesimo di punto percentuale.
Lo spread, fino a pochi anni fa, era un indice noto quasi esclusivamente agli addetti del settore: tutti i paesi
appartenenti all'eurozona erano considerati economicamente stabili e gli operatori non necessitavano di
stimoli per acquistare da nazioni economicamente meno dinamiche.
L'equilibro si è spezzato a partire dal 2008, con il fallimento della banca Lehman Brothers e l'innesco
della crisi economica internazionale, e subì un ulteriore scossone del 2010 con il tracollo della Grecia.
Le variazioni brusche dello spread hanno, perciò, portato questo indice sotto i riflettori dell'attenzione
pubblica.
Austerità
L’austerità si basa sul concetto che la spesa pubblica spiazzi gli investimenti privati - Lo spiazzamento è un
fenomeno economico in base al quale il soddisfacimento della domanda pubblica implica la riduzione del
soddisfacimento dalla domanda privata.
Ad esempio, l'aumento della spesa pubblica provoca la riduzione della spesa privata, ciò accade in particolar
modo in una situazione di piena utilizzazione delle risorse. Può comunque presentarsi anche in un equilibrio
di non piena occupazione.
In economia politica (macroeconomia) lo spiazzamento è conosciuto anche come sfollamento e con il
termine anglosassone crowding out. L'effetto di spiazzamento riduce la spesa privata sia nel consumo e sia
nell'investimento–.
A questa credenza si potrebbe rispondere con il modello delle aspettative di Keynes, ma sono teorie
che in questo periodo non vengono più ascoltate.
Vediamo quindi che l’Europa ha posto pesanti catene sulle modalità che avevamo a disposizione per sanare
il debito pubblico:
Un mercato dei capitali perfetto dove tutti possano prestare e prendere in prestito quanto necessitano ad
un tasso fisso, che in un dato momento è il medesimo per tutti
Il percorso di spesa del governo è fisso
Altruismo intergenerazionale (si comincia a risparmiare oggi per salvare la generazione successiva)
L’equivalenza ricardiana non presuppone una completa neutralità della politica economica; crede infatti che
abbia degli effetti ma che questi siano inutili in quanto si sarebbero verificati anche senza l’attuazione della
politica.
Un esempio può essere quello di un governo che decide abbassare le tasse; come reagiscono gli agenti
razionali a fronte di un maggiore reddito disponibile?
Essi si aspetteranno che in futuro vi sarà una contrazione della spesa pubblica (B=G-T per non creare
deficit, se abbasso le tasse devo abbassare anche G) → aumentano i consumi. Ciò che la teoria di Barro
vuole evidenziare, è che saremmo arrivati comunque al risultato di un aumento dei consumi in seguito al
decremento della spesa pubblica G. Questa tesi viene ripresa dai sostenitori dell’austerità.
Quindi una politica fiscale espansiva sarebbe inutile; ma non solo, per Barro essa risulta persino rischiosa a
causa del pericolo di crowding out (in un’ottica non keynesiana gli investimenti privati sono più produttivi di
quelli pubblici) e dell’aumento del servizio sul debito (r) giocare sul debito pubblico comprime i consumi
privati.
Per i sostenitori di questa teoria quindi, la fonte di rilancio dell’economia sta nel consolidamento fiscale (o
consolidamento del debito); si sostiene infatti che questa sia una pratica che non ha effetti regressivi sul PIL
e anzi, abbia una funzione espansiva sull’economia.
Quando si riduce il debito calano i tassi di interesse (essendo il debito rifinanziato, se esso diminuisce,
diminuirà la domanda di finanziamenti da parte dello Stato) e quindi aumentano gli investimenti crowding
in.
L’aumento della ricchezza risultante fa aumentare i consumi funzione espansiva; se immagino un reddito
permanente, la riduzione del debito stimola i consumi.
Quella descritta sopra è la logica che giace dietro i trattati di Maastricht; da un punto di vista algebrico
otteniamo:
escludendo il servizio del debito.
Abbiamo ottenuto che per non far esplodere il debito, il disavanzo dell’economia deve essere uguale allo
stock tra debito e PIL. Sono queste le ragioni che si celano dietro i parametri di Maastricht di d=3% e di b=
60%.
Partendo da d = gb, se assumiamo come dato il parametro b=0,6 e abbiamo come obiettivo soddisfare il
parametro d=0,03, dobbiamo operare su g.
Per ottenere 0,03, g deve essere uguale a 0,05, che con un livello di inflazione prestabilita del 2% vuol dire
che necessita un tasso di crescita sul PIL reale del 3%.
[Questi erano i valori che aveva la Germania al tempo dei paramenti].
Quel 3% rappresentava la spesa per l’investimento, ed è un disavanzo che (come abbiamo visto prima) può
dar vita a una crescita del 5 % un disavanzo che si può usare per coprire investimenti produttivi.
Dagli anni ’20, ossia da quando esistono raccolte di dati a riguardo, il valore medio di g e r dei paesi europei
sono stati tali per cui g > r . Si potrebbe allora intuire che, nel lungo periodo, non esista un problema di
debito esplosivo.
In realtà negli ultimi decenni il differenziale medio italiano è di -6.3%.
Questo ci deve far comprendere come usare statistiche di questo tipo per lunghi periodi non ha alcun senso,
anche perché il debito va continuamente rinnovato.
Sarebbe, dunque, possibile risolvere la crisi italiana attraverso la creazione di un ampio avanzo primario?
No, non sarebbe possibile, ci ha provato Monti nel 2011 senza successo. Questo produrrebbe infatti una
diminuzione della crescita: D↓ → Y↓ → (r-g)↓. È ciò che viene definito effetto snowball.
Cosa occorre controllare nel sistema per non incorrere in questo problema?
Il moltiplicatore del reddito che amplifica l’impatto della politica fiscale.
∆G>0 → ∆ ma ∆G<0 → ∆ il valore del moltiplicatore aggrava il problema del
debito
I trend mostrano che la situazione del debito pubblico in Italia è destinata a peggiorare se si continuano ad
applicare le regole imposte dall’Europa. Una politica fiscale espansiva sarebbe invece la soluzione, ma non
può essere effettuata.
RECESSIONE ESPANSIONE
∆G>0 1.22 0.72 Moltiplicatore politica fiscale espansiva
∆G<0 -1.34 0.78 Moltiplicatore politica fiscale restrittiva
∆T>0 -0.4 0.03 Moltiplicatore politica fiscale restrittiva
∆T<0 0.35 -0.04 Moltiplicatore politica fiscale espansiva
Nel 2010 il rapporto deficit/PIL della zona euro era del 6% quando negli anni precedenti la crisi ammontava
allo 0.7%. Mentre il rapporto debito/PIL era dell’85% contro un 66% degli anni precedenti.
Sistema internazionale:
Entriamo ora in un contesto di economia aperta, cioè allargata a livello internazionale.
In un’economia aperta il reddito Y è dato da:
Nella teoria economica l’estero dovrebbe aiutare la nostra situazione commerciale, aumentando i nostri
standard di vita; perché allora il governo spesso è incentivato a diminuire le importazioni? Perché anche in
Italia vi è sempre di più la tendenza a comprare solo merce estera, sottraendo in questo modo domanda al
sistema.
Da queste considerazioni deriva il modello di mercantilismo che ci stiamo imponendo si compra meno
dall’estero, ma in contemporanea bisogna vendere tanto fuori.
In un modello economico ideale però, le esportazioni dovrebbero servire per compensare le importazioni di
un paese, in modo da poter stabilire un equilibrio; con questo modello di mercantilismo si lucra però sulla
disparità di questi due valori.
Consideriamo C+G+I = A = assorbimento → beni che vengono prodotti e direttamente assorbiti all’interno
di un paese.
Abbattiamo A austerità
a) Bilancio in surplus o in pareggio
b) Aumento delle tasse
c) Riduzione spesa pubblica
Aumentiamo Y riforme strutturali: politiche di offerta, si aumenta la produzione del sistema. Queste
sono però soluzioni di lungo periodo.
a) Privatizzazioni
b) Liberalizzazione
c) Deregolamentazione finanziaria
d) Riforme del mercato del lavoro
Il Fondo Monetario Internazionale impone entrambi.
Come sono collegate queste grandezze?
Quindi abbiamo stabilito che esiste un legame tra deficit commerciale e deficit pubblico. In termini meno
analitici andiamo ad analizzare questo legame.
Per fare un esempio pratico, immaginiamoci la situazione di un cittadino statunitense che vuole comprare un
auto VolksWagen; egli comprerà l’auto presso un rivenditore e l’acquisterà in dollari. La casa madre
dell’auto acquistata risiede però in Germania, quindi il concessionario ritirerà i dollari versati, ma dovrà poi
fare in modo che questi soldi vengano trasferiti in Germania.
Consegnerà quindi la somma all’esportatore che li scambierà con l’euro presso una banca tedesca.
Che fine fanno però questi dollari? Essi torneranno indietro attraverso ad esempio l’acquisto di titoli di Stato
americani in Germania oppure devoluti per l’acquisto di merci americane in Germania.
Otteniamo quindi il primo principio base di un’economia aperta: la valuta estera torna sempre in circolo o
sotto forma di beni o sotto forma di investimenti.
Per ogni paese, il rapporto tra importazioni ed esportazioni è rappresentato dalla seguente equazione
contabile: .
Di conseguenza
Il flusso di capitale in entrata serve per finanziare l’accesso alla vendita di beni all’estero.
Spostiamo ora la nostra attenzione sui concetti già analizzati di risparmio e investimento; quando parliamo di
S e I, solitamente immaginiamo un grafico del genere:
In questo caso abbiamo ipotizzato una situazione di deficit pubblico, che causa uno spostamento della curva
S verso sinistra, a S’ poiché ; ciò porta a un innalzamento dei tassi di interesse e a un effetto di
crowding out.
Stiamo quindi operando in un’economia dove I > S. Come agirà lo Stato in queste condizioni, cioè quando
gli investimenti programmati non riescono a essere coperti dai finanziamenti interni?
In un’economia aperta, se i finanziamenti interni non sono sufficienti, qualcuno da fuori dovrà finanziare gli
investimenti scoperti; entra quindi in gioco l’indebitamento con l’estero.
Se l’indebitamento con l’estero può risollevare la curva S, ciò non influirà sui tassi di interesse? NO, perché r
è definito a livello mondiale e le piccole economie aperte sono troppo poco influenti per poterlo cambiare.
(Lungo periodo)
I>S causa una tendenza del tasso di interesse a crescere, ma ciò attira l’attenzione degli investitori
internazionali, che investiranno nel paese. L’arrivo di nuovi finanziamenti crea però un flusso di capitale in
entrata, i paesi esteri richiedenti i titoli di stato (ad esempio italiani) dovranno cambiare la loro valuta in
euro.
La domanda aggiuntiva dell’euro ne fa aumentare il valore, con la conseguenza che la valuta si apprezza.
L’apprezzamento della moneta fa si che le merci italiane all’estero diventino più care e quindi meno
competitive, causando una diminuzione delle esportazioni e una maggiore convenienza in termini relativi
delle merci estere anche in Italia, aumenteranno cioè le importazioni Si entra in un deficit commerciale.
Questo processo può anche essere spiegato come segue:
Nel conto capitale e finanziario sono registrate le transazioni finanziarie. Vi rientrano anche gli investimenti
diretti esteri, ossia l’acquisizione o la creazione di attività produttive in un altro paese (es. impresa italiana
che apre filiale in Cina), l’investimento deve essere superiore al 10%, in caso contrario si parla di
investimenti di portafoglio.
A questo documento però si aggiunge la voce “errori o omissioni” poiché un gran numero delle transazioni
finanziare sono di difficile rintracciamento; molto spesso la voce di errori o omissioni risulta avere molte più
voci della bilancia dei pagamenti stessa, che risulta quindi un documento inaffidabile.
Essendo inaffidabile, conviene di più fare riferimento alla variazione delle riserve ufficiali.
Le riserve ufficiali sono riserve detenute in valuta estera e sono un indicatore fondamentale dello stato di
salute di un paese. Forniscono un’indicazione ultima di quali relazioni sono state intraprese con l’estero.
[In un sistema internazionale ben funzionante non ci sarebbe bisogno di grandi ammontare di RU (usate per
evitare crisi valutarie) – esse servirebbero ai paesi che importano più di quanto esportano, ma
paradossalmente, nella situazione odierna, chi accumula il maggior numero di riserve sono coloro che non ne
hanno bisogno, cioè i creditori. Teoricamente le RU dovrebbero essere uguali più o meno a tre mesi di
importazioni].
Si tratta di un documento a partita doppia, che prevede dunque una doppia registrazione di segno opposto.
Dinamiche di aggiustamento
Immaginiamo un paese in deficit commerciale ma in pareggio in conto capitale; questo avrà un flusso di
uscita maggiore di quello in entrata il deficit commerciale ci indica che il paese ha una forte richiesta di
beni importati e per poterli acquistare egli dovrà in primis acquistare della valuta estera. Più valuta estera si
acquista più valuta nazionale viene offerta nel mercato, creando così una situazione di eccesso di offerta
nazionale (la moneta nazionale non viene esercitata per i beni nazionali ma per i beni esteri) – si creano le
condizioni per un deprezzamento della moneta nazionale.
Un deficit nel bilancio dei pagamenti indica che il paese è a rischio deprezzamento
Un surplus nel bilancio dei pagamenti indica che il paese è a rischio apprezzamento
In questo contesto va inoltre aggiunto il fattore dei tassi di cambio, che possono essere:
1. Tassi di cambio fissi: la parità è fissata ex-ante dalla Banca Centrale che interviene per assicurarla.
Assicurano stabilità, anche nell’ambito delle aspettative.
2. Tassi di cambio flessibili: il valore è deciso dai mercati in base alla domanda e all’offerta. Lasciano
più spazio di manovra ai policy makers.
3. (Tassi di cambio manovrati: un misto tra cambi fissi e flessibili; una moneta mantiene il proprio
tasso di cambio fisso e ancorato ad una valuta che però ha un tasso di cambio flessibile sul mercato –
caso Cina/USA)
Dal punto di vista del conto capitale però, la diminuzione dei tassi di interesse porta ad un deflusso di
capitale dall’estero. Gli investitori vanno all’estero, riversando i loro capitali nei paesi in deficit. In seguito a
queste manovre KA e CA peggiorano.
Nel lungo periodo i prezzi aumenteranno, i prodotti nazionali diventeranno meno competitivi e questo farà
diminuire le esportazioni.
Confrontando le due situazioni notiamo una fondamentale asimmetria. L’acquisto di riserve può essere
protratto nel tempo, la vendita no. Infatti non esiste un vincolo di accumulo di riserve, per cui un creditore
può rimanere in questa posizione per sempre. Al contrario un paese debitore rischia di vedere le proprie
riserve annullate, è quindi obbligato ad attuare l’aggiustamento, altrimenti deve uscire dal regime di cambi
fissi.
La soluzione al problema di simmetria per Keynes risiede in una tassazione dei crediti per riciclare il surplus
dei paesi e distribuirlo ai paesi in deficit.
I paesi in surplus infatti peggiorano le possibilità di tornare in equilibrio dei paesi in deficit bisogna punire
i surplus come i deficit.
Gli Stati Uniti sono l’unico paese che può permettersi di non aggiustare la propria posizione debitoria.
Questo perché sono loro ad emettere la moneta internazionale e a stabilire r, ovvero controllano la politica
monetaria internazionale. Non devono sistemare i propri conti perché gli altri paesi vorranno sempre
detenere riserve in $. Il deficit americano è finanziato dalla Cina, la quale quindi è interessata a mantenere
stabile il valore del dollaro.
Caso C paese in deficit in un regime di cambi flessibili
Con i tassi di cambio flessibili vengono eliminate dal processo le manovre della banca centrale, che non
gioca più alcun ruolo nel mercato.
In questo caso quindi l’andamento di mercato spingerà il paese verso il sentiero di deprezzamento già
intrapreso dal paese in deficit, deprezzamento che senza manovre della BC diventa inevitabile.
Il deprezzamento della moneta farà acquisire competitività di mercato al paese, portandolo ad un aumento
delle esportazioni e una diminuzione delle importazioni, riconducendolo all’equilibrio.
Caso D paese in surplus in un regime di cambi flessibili
In regime di cambi flessibili l'avanzo della bilancia dei pagamenti si traduce in un apprezzamento del tasso di
cambio della valuta nazionale che rende meno competitive le merci nazionali rispetto a quelle estere e
riducendo, di conseguenza, le esportazioni (x) del paese.
Nel punto di equilibrio finale il sistema economico torna in equilibrio interno ed esterno in corrispondenza
di un livello di reddito ancora più basso. In conclusione, la politica monetaria restrittiva determina una
riduzione stabile del reddito nazionale.
NB: se si perde la fiducia internazionale e si perde la propria reputazione, i mercati non riporteranno il
paese in equilibrio nel caso di un paese un deficit, gli investitori riverseranno i loro flussi di cassa nel
paese, ma se questo diventa insolvente perderà la sua credibilità (vedi Italia nel ’92 dopo che venne buttata
fuori dal fondo monetario europeo).
Gold standard – 1870/1914 i paesi passano dal bi-metallismo (misto di argento e oro) al
monometallismo (solo oro). Il gold standard è quindi un sistema monetario internazionale per il quale le
monete vengono coniate in oro – il loro valore reale e il loro valore nominale coincidono (commodity
money).
L’oro veniva utilizzato poiché si aveva fiducia che la quantità di oro fosse relativamente stabile nel mondo
(quando venivano scoperte nuove miniere era un problema) e in più era facile da riconoscere, si
deteriorava poco e si credeva che la moneta metallica fosse un efficace antidoto contro la manipolazione
del suo valore.
Con la moneta aurea il rapporto di riserve era molto alto, quasi pari al 100% (in teoria), anche se questo
non dava possibilità di intervento ai policy maker. Nella pratica le riserve erano circa il 30-50%.
Con l’avvento della prima guerra mondiale questo sistema viene spazzato via: la guerra porta infatti
all’inflazione e alla rottura dei cambi, quindi non si crede più alla stabilità dei prezzi che prima veniva
garantita dalla legge di Hume; ogni nazione fissa il valore della sua moneta in base all’oro, di conseguenza
tutti erano sicuri del tasso di cambio perché era un sistema di parità fissa, che dipendeva dal contenuto
aureo della moneta.
Se una valuta si deprezza, in questo regime, occorre comprare oro, in cambio di banconote. Per esempio se
il fiorino si deprezza nei confronti della sterlina: si vendono fiorini per acquistare l’oro, si porta l’oro in Gran
Bretagna e qui si acquistano sterline che vengono poi convertite in fiorini → arbitraggio.
Poniamo caso che una nazione si trovi ad affrontare un deficit commerciale per cui IMP > EXP, in questo
caso il paese in questione deve compensare le importazioni in eccesso con la moneta e quindi spedire una
nave carica d’oro verso l’estero. In questo modo però si vanno a ridurre le riserve e di conseguenza la
quantità di moneta circolante. I tassi di interesse aumentano quindi da un lato diminuisce la domanda,
diminuisce il reddito e conseguentemente le importazioni, dall’altro aumenta il flusso di capitali dall’estero.
Per la teoria quantitativa della moneta (per cui non si parla più di lungo periodo), se si riduce la circolazione
di moneta, calano i prezzi e si crea deflazione – con il calo dei prezzi diminuisce anche il prezzo delle
esportazioni, rendendo di nuovo il paese competitivo internazionalmente e facendo aumentare le sue
esportazioni; il paese torna in equilibrio.
Questo era un meccanismo automatico, non prevedeva l’intervento di nessuno, né della Banca centrale né
dei policy maker, perché tutto era determinato dall’oro → Legge di Hume- meccanismo di aggiustamento-.
È un sistema democratico, perché creditore e debitore sono nella stessa situazione, entrambi non si
possono sottrarre al meccanismo.
Questo sistema venne riproposto da Friedman perché permette di correggere situazioni di inflazione e
deflazione.
Il Gold Standard regge fino a che c’è credibilità nel sistema – Londra in questo caso fungeva da garante
(anche se anche Londra giocava molto sui tassi di interesse per operare sugli equilibri; questa tecnica veniva
chiamata “La regola del gioco”: paesi che assistevano a un deflusso alzavano i tassi di interesse per
richiamare oro all’interno).
UK aveva introdotto il sistema aureo nel 1819, essendo il paese leader fissava i e per pareggiare i conti
obbligava i paesi dell’impero ad acquistare i suoi beni, ma finanziava poi questi paesi più poveri. Era un
buon paese leader che non si avvantaggiava a scapito degli altri, si comportarono nello stesso modo anche
gli Stati uniti con i paesi europei dopo la seconda guerra mondiale.
Il sistema è crollato quando paesi come gli USA sono cresciuti e hanno rovesciato i rapporti economici con
la Gran Bretagna. Dopo la prima guerra mondiale, per non minare la credibilità del gold standard, si è infatti
ristabilita la parità che c’era prima. Ma questo ha significato creare volontariamente una deflazione, perché
si è dovuti tornare ai costi prebellici e ciò ha richiesto un taglio sui costi del lavoro, con conseguente
disoccupazione. Tutto ciò ha portato al crollo della Gran Bretagna.
La prima guerra mondiale crea uno sconquasso a livello politico economico: Londra infatti spende tutte le
sue riserve e la sterlina perde valore rispetto al dollaro e gli Stati Uniti decidono di intervenire nella guerra
solo dopo lo scoppio del cambio tra sterlina e dollaro. Il loro obiettivo era infatti quello di sostituirsi alla
Gran Bretagna nell’egemonia internazionale. Inoltre avere il controllo della politica monetaria diventa una
conquista importante per il popolo: dopo le ingenti perdite, soprattutto umane, della guerra la massa
esigeva il controllo sulla propria crescita nazionale – si vuole quindi spezzare la condizione per cui
precedentemente l’equilibrio esterno dominava sull’equilibrio interno.
Inizialmente gli USA concessero dei prestiti ai paesi europei, con il fine ultimo di farsi ripagare i debiti, ma
negli anni ’20, preoccupati della crescente inflazione, attuarono una stretta creditizia. Ciò portò gli Stati a
uscire dal regime di gold standard negli anni ’30.
Golden fetters: “gabbia dell’oro” da cui non si riesce ad uscire. La posizione degli stati debitori peggiora, ma
inizialmente gli Stati Uniti non se ne preoccupano, sono infatti gli anni dell’isolazionismo, ma ciò li
costringerà nel ’29 ad aumentare i tassi di interesse.
Gli anni ’30 furono caratterizzati da:
Protezionismo
Guerre commerciali tacite
Svalutazioni competitive: per aumentare la competitività delle proprie merci all’estero. Si esce dal
gold standard attraverso una svalutazione. Ma se tutti svalutano → tutti cercano di penetrare nei
mercati esteri → ma vige il protezionismo
Mancata funzione del meccanismo di aggiustamento: paesi come USA e Francia, i principali
creditori del tempo, attuano una politica mercantilistica, questa non da la possibilità ai paesi
debitori di sanare la loro posizione. La situazione sarà affrontata attraverso regimi fascisti, nazisti
ecc.
Corsa al riarmo: porta ad un drastico calo della disoccupazione (in Germania giunge a 0)
Si giunge in queste condizioni alla seconda guerra mondiale, che presenta dinamiche simili alla prima. Gli
USA piegano UK alle proprie condizioni e accettano finalmente il ruolo di leader, che avevano invece
rifiutato durante la Grande guerra.
1940 nazisti immaginano piano Funk: prevedeva la ricostruzione dell’Europa basata sul nazismo e un piano
economico che consisteva in accordi bilaterali con i partner commerciali, dove sostanzialmente i surplus
venivano ricompensati non con la moneta ma con scambi di merci. Il paino venne fatto analizzare anche a
Keynes, il quale dichiarò che si trattava di un ottimo piano con l’unico problema che sarebbe stato
realizzato dai nazisti.
Bretton Woods – 1944 si riuniscono 44 nazioni (USA, UK, paesi europei, alcuni paesi in via di sviluppo)
per stabilire un nuovo sistema economico – primo e unico sistema internazionale negoziato a tavolino.
Si confrontarono due piani, quello inglese, proposto da Keynes, che però venne smontato a mano a mano
che si proseguiva nelle negoziazioni e quello statunitense di Harry Dexter White, che prevalse. Tuttavia lo
stesso White era un keynesiano, quindi la filosofia di base keynsiana rimase.
L’obiettivo era quello di eliminare gli anni ’30, ossia scongiurare le dinamiche che avevano condotto alla
guerra e eliminare i problemi del gold standard.
Si giunse ad un compromesso tra USA e UK, ma con particolare riguardo agli altri stati, e anche i paesi in via
di sviluppo contarono più di quanto di solito non si creda. Essi infatti avevano una forte influenza,
soprattutto sugli Usa che volevano tenere sotto controllo l’America latina.
1. Cambi fissi ma aggiustabili: che presenta come vantaggio la stabilità. Si dava però la possibilità di
modificare la parità in caso di squilibrio fondamentale, ma non venne mai definito cosa si
intendesse con questo termine e questo è il principale motivo per cui in realtà non vennero mai
compiute modifiche. → Si antepone la politica all’economia.
2. Adeguate riserve monetarie: al fine di evitare che gli stati si facciano guerre commerciali tra di loro
per impossessarsi delle poche esistenti. Ciò fu permesso dall’attuazione del Piano Marshall, gli Stati
Uniti, accettando il ruolo di paese debitore, permisero agli altri stati di esportare nei loro confronti
e di creare quindi tali riserve.
3. Sistema di pagamento multilaterale: libero commercio. Tutte le valute devono essere convertibili.
Negli anni ’30 il commercio era bilaterale, ciò significava che se esisteva uno squilibrio tra due paesi
questi dovevano risolverlo tra di loro. Con questo nuovo sistema invece uno stato può essere in
deficit nei confronti una nazione, ma accumulare surplus nei confronti di un’altra ed essere così in
pareggio.
Eccezioni:
i) Si consente periodo di transizione. L’Europa torna alla convertibilità solo nel ‘58.
ii) Si può controllare il flusso di capitali: negli anni ’30 i capitali si muovevano dai debitori ai
creditori e questo era un paradosso. Con questo sistema invece il movimento è contrario, ma
esistono due tipi di movimenti: speculativi e produttivi. Al fine di limitare i primi si potevano
controllare tali flussi. Era un mondo di finanza controllata, che impediva speculazioni violente
nei confronti della tenuta monetaria di un paese. La fine di Bretton Woods portò infatti alla
deregolamentazione e oggi in Europa non è più possibile effettuare un tale controllo.
Dal punto di vista commerciale la Gran Bretagna perde, era infatti contraria alla liberalizzazione die
commerci per via dell’impero che possedeva.
A parte, quando Bretton Woods era ormai cominciato, si negoziò il GATT (General Agreement Tarifs Trade).
Un accordo intergovernativo che prevedeva la progressiva liberalizzazione del commercio. Perché ciò
potesse avvenire in maniera graduale erano previsti più round ogni tot anni, in cui si aumentava la
liberalizzazione. Si basava sulla clausola della nazione più favorita: se un membro concedeva un accordo ad
un altro, doveva concederlo anche a tutti gli altri. L’impatto fu grandissimo e si arrivò ad una
liberalizzazione quasi totale.
[Nel 1993 verrà invece creato il WTO (World Trade Organization) che è una vera e propria organizzazione
con il compito di punire chi viola la libertà di commercio. Vi fanno parte tutti gli stati e la sua sede è a
Ginevra. E’, inoltre, un organismo di risoluzione delle controverse.]
Il sistema economico stabilito è quello di Gold Exchange Standard: all’epoca la distribuzione aurea del
mondo era impari e in più, i paesi con a disposizione più oro, come Francia e USA (75%), tendevano a
trattenerlo sotto forma di riserva. Per risolvere questa situazione si affidò ad un solo paese (gli USA) la
riserva aurea mondiale e il dollaro divenne l’unica moneta convertibile in oro – 35$ per oncia d’oro –. Tutti
gli altri Paesi stabiliscono la parità con il $.
Bretton Woods quindi incastra l’economico dentro il socio politico EMBEDDED NEOLIBERALISM; questo
è un tipo di liberalismo non estremo, ma incastrato: non si pongono lacci agli scambi internazionali ma
vengono “incastrati nel sociale” – il liberismo è incastrato nel politico sociale.
Non è quasi più un gold standard, ma è un multi- lateralismo che si incarna in un sistema dove gli stati
possono attuare politiche di crescita e sviluppo, si attribuisce più importanza all’equilibrio interno.
Obiettivo di globalizzazione subordinato alla crescita interna.
La stabilità dei cambi in questo sistema era garantita dal fatto che l’Europa e il Giappone acquistassero $ per
crearsi le riserve. Il $ era sopravvalutato, ma il problema si presentò unicamente quando qualcuno si presentò
“agli sportelli”: De Gaulle iniziò a chiedere oro in cambio di $ con l’obiettivo di far dichiarare agli Stati
Uniti che non potevano mantenere il cambio.
Nel 1971 Nixon pose fine al sistema di Bretton Woods, ma ormai il mondo era inondato di $ e il cambio
quadruplicò.
Il difetto di questo sistema è che si adotta una valuta internazionale, $, che in realtà internazionale non è!
Ciò porta al Triffin dilemma:
da un lato, l'economia internazionale necessita di dollari per fini legati alla liquidità e per soddisfare la
domanda di asset di riserva. Dall’altra parte è facile per gli investitori immaginare che il paese, così facendo,
non sia capace di mantenere il cambio e quindi la credibilità del sistema è minata.
Il paese leader ha l’obbligo di presentare un disavanzo, in quanto deve stampare la valuta internazionale.
Triffin sosteneva che, dato il ruolo del dollaro, se gli Stati Uniti avessero tentato di arginare i deficit la
comunità internazionale avrebbe perso la sua principale fonte di riserve e la conseguente carenza di liquidità
avrebbe causato recessione e instabilità. Se invece il deficit avesse continuato a crescere, un eccessivo
disavanzo statunitense avrebbe eroso la fiducia nel dollaro minando il suo ruolo internazionale e ciò avrebbe
portato al crollo del sistema dei cambi fissi. Triffin proponeva la conversione di tutte le riserve in una valuta
internazionale e la trasformazione del FMI in Banca Centrale Mondiale, ma prevalsero soluzioni meno
ambiziose. Il problema ' che l'ancoraggio al dollaro faceva dipendere l'economia mondiale dalle politiche
economiche statali degli Stati Uniti. Il sistema si basava su un patto tacito tra Stati Uniti, Giappone e Europa,
che permetteva agli Stati Uniti di continuare a finanziare la propria politica estera e all'Europa e al Giappone
di discriminare le esportazioni americane.
Ottica di Keynes
I. Mondo visto come un sistema chiuso in cui deficit e surplus si compensano andando a zero.
II. Pone il problema dell’accumulo di posizioni creditorie → a differenza del piano White, anche i
creditori devono muoversi verso l’equilibrio → sono al pari dei debitori → c’è corresponsabilità
negli squilibri.
III. Propone una nuova moneta internazionale il BANCOR con l’obiettivo di passare ad un sistema di
pagamenti multilaterali:
1) Unità di conto: in cui si esprimono debiti e crediti
2) Non è riserva di valore: non può essere accumulata
3) Valuta sovra-nazionale
4) Si tratta di un sistema a cui capo c’è la Cleraing Union = istituzione che agisce per compensare il
deficit e il surplus espressi in BANCOR.
La Clearing Union avrebbe usato le tasse per finanziare beni pubblici. [L’Unione europea dei
pagamenti è ispirata a questo impianto].
5) BANCOR e oro sono convertibili, ma a senso unico (da oro a BANCOR e non viceversa).
6) Per scongiurare la tesorizzazione delle riserve esse sono espresse in BANCOR e non possono
essere accumulate → si elimina il mercantilismo (lotta continua per la liquidità) → le posizione
debitorie e creditizie saranno nei confronti del sistema e non dei singoli stati, per garantire un
maggior equilibrio.
Tali posizioni non possono protrarsi nel tempo perché esiste un deterrente: i creditori vedono
tassato l’accumulo di surplus → diventa in parte deposito infruttifero.
Per non essere tassato il surplus deve essere investito per:
a) Donare risorse → Piano Marshall
b) Prestare ai debitori
c) Importare dai debitori
In questo modo si contribuisce al benessere internazionale.
Riserve create dal commercio e non il contrario → per Keynes è un principio bancario a livello
internazionale → meccanismo intrinseco al riciclo del surplus, che consente la crescita attraverso politiche di
sostegno alla domanda che però causano inflazione.
Ottica non accetta dagli USA perché:
Modello Mundell-Fleming
Mundell e Fleming furono due economisti che durante il periodo di Bretton Woods elaborarono un modello
che trova applicazione al giorno d’oggi. Sviluppano uno schema di ragionamento che legge lo spazio di
manovra delle nazioni in un contesto di interdipendenza. Il quale presuppone piccole economie aperte
(senza influenza l’una sulle altre) che accettano passivamente il tasso di interesse per come è stabilito a
livello internazionale dalle grandi personalità economiche, in un contesto di finanza deregolamentata. →
contesto di globalizzazione finanziaria.
Vi è quindi libero movimento di capitali (dopo Bretton Woods si passa da capitali controllati a capitali liberi
– posso portare fuori dal paese i miei capitali e posso investirli dove voglio), ciò comporta che ingenti
quantità di moneta siano libere di uscire da un paese mercati finanziari perfettamente integrati.
moltiplicatore del reddito in economia aperta: l’impatto delle politiche fiscali su Y dipende
da m
Maggiore integrazione a livello globale= ↑m = ↓efficacia delle politiche di gestione dei cicli economici
basate su G → l’efficacia diminuisce in un contesto globale rispetto ad uno autarchico.
m=0 =5
m=0.2 = 2.5
Con la globalizzazione e la creazione di un mercato aperto cambiano le scelte economiche dei vari paesi; il
fenomeno della globalizzazione si può dire che sia iniziato con una prima fase a partire dal 1890 fino al 1914
questa prima ondata di globalizzazione era dovuta in primis al ruolo della Gran Bretagna come forza
coloniale mondiale – si creò una prima visione di mercato unico globale –.
La seconda ondata di globalizzazione di sviluppò dopo gli accordi di Bretton Woods, anche se era un’unione
economica molto abbozzata, ancora inferiore rispetto a quella della prima ondata.
La terza ondata è quella creatasi dopo gli anni ’70, con lo sviluppo del liberismo in tutto il mondo. In questi
anni si raggiunge la massima integrazione economica mondiale ed è la condizione in cui tuttora viviamo.
La creazione di un libero mercato globale è un fattore che incide pesantemente sulla nostra inclinazione al
consumo di merci estere, quindi sul valore m.
Negli anni ’30 m era un parametro che si aggirava all’incirca attorno al valore m = 0,1 – ciò voleva dire che
per ogni euro di reddito, 10 cent venivano impiegati in beni esteri importati. → c=0.9 t=0.1 α=3.33
All’oggi questo valore si aggira intorno allo m = 0,3; questo perchè è aumentato l’interscambio di merci con
la nascita dell’UE. → c=0.9 t=0.4 α=1.32
Un efficiente interscambio di merci con l’estero è solitamente un fattore positivo: in questo modo si possono
ottenere beni a un costo inferiore rispetto a quello che si sarebbe dovuto sopportare se la produzione fosse
stata interna efficienza economica.
Nel moltiplicatore del reddito, va però anche inserita la variabile dell’aliquota fiscale da applicare sui beni,
ottenendo quindi l’equazione:
E conducendo un’analisi storica si può osservare come anche il valore di t sia cambiato nel tempo: solo c è
un parametro tendenzialmente fisso della storia, questo poichè è una variabile di tipo più psicologico, che di
solito ha un valore approssimativo dello 0,8.
I parametri più importanti per la nostra analisi sono quindi m e t negli anni ’30 t era pari a t = 0,1 mentre
oggi è t = 0,4; questo vuol dire che il moltiplicatore negli anni ’30 era uguale a 3,3.
Dal valore ottenuto dal moltiplicatore vediamo che il parametro m sottrae l’1,6 del nostro moltiplicatore che
viene trasferito in paesi esteri – l’effetto espansivo delle nostre politiche in parte scivola via dalle nostre
economie.
NB: accrescendo m assottigliamo sempre di più il valore del moltiplicatore.
Oggi, con una situazione pari a m = 0,3 e t = 0,4, il nostro moltiplicatore è pari a 1,32 gran parte delle
nostre politiche espansive va all’estero.
Da questi dati si può evincere che, nel nostro periodo storico di piena globalizzazione, attuare politiche
espansive è sempre più difficile – si verifica comunque un aumento del reddito generale, ma è sempre più
ridotto. L’impatto della spesa pubblica non è minore in assoluto, si riversa all’estero. Quindi una politica
nazionale espansiva aiuta più l’estero che il paese. Il disavanzo creato dalle politiche espansive è coperto con
tasse maggiori e con le esportazioni che i paesi aiutati chiederanno.
Una soluzione per espandere la crescita è quella di espandere l’esportazione, come abbiamo visto in
precedenza si va a corrodere il moltiplicatore degli altri paesi e al tempo stesso si esporta deflazione –
creo un mondo deflazionistico attuando una politica di prezzi bassi per essere più competitivo.
[Le politiche che si scelgono a livello nazionale, con la globalizzazione, hanno effetti anche sulle politiche
internazionali – per questo è stata definita una politica monetaria internazionale uguale per tutti –].
Questa politica di espansione delle esportazioni si può definire come un mercantilismo generalizzato, che è
un tipico gioco a somma zero: non possono vincere tutti. Si va quindi a creare un ambiente ultra competitivo
in un sistema deflazionistico in cui, per fare in modo che qualcuno vinca, qualcun altro deve perdere. In
questo sistema le politiche keynesiane non valgono.
[Storicamente si era assistito a una condizione di equilibrio di questo sistema, quando un paese leader (gli
Stati Uniti nel caso del piano Marshall) sfruttò il suo eccesso di domanda per risollevare la crescita dei paesi
in surplus produttivo – conveniva a entrambi].
La trappola nella logica del mercantilismo generalizzato, sta nel fatto che in un ambiente dove tutti attuano
politiche d’esportazione, l’unico modo per risolvere il debito pubblico sta in un forte aumento fiscale.
Ritorniamo quindi alla logica che se qualcuno vive al di sopra dei propri mezzi, ci deve essere qualcuno a
finanziarlo – vedi Germania/Grecia e USA/Cina.
La situazione economica tra Cina e Stati Uniti è fortemente interconnessa: la Cina infatti esporta i suoi beni
estremamente competitivi negli USA, che compensa in questo modo il suo eccesso di domanda, e i dollari
che ricava dalla vendita dei beni li devolve all’acquisto di titoli di stato USA; l’acquisto dei titoli è un fattore
molto importante per mantenere vivo il rapporto di interdipendenza che questi due paesi hanno creato -
infatti in questo modo gli Stati Uniti mantengono sotto controllo il loro debito pubblico e inoltre la Cina:
1. Evita un surriscaldamento della sua economia che culminerebbe in uno scoppio inflazionistico
2. Tiene basso il suo tasso di cambio
3. Evita una crisi speculativa la sua moneta dovrebbe infatti essere valutata internazionalmente
4. Accumula riserve per far fronte ad eventuali crisi valutarie
La Cina per acquistare titoli di stato statunitensi impiega un notevole costo sociale: investendo negli USA,
non investe nello sviluppo del suo paese (non costruisce infrastrutture; standard di vita più bassi).
Il modello Mundell-Fleming ci permette di analizzare sia una situazione in regime di cambi fissi che una in
regime di cambi flessibili.
Cambi fissi: con , con i cambi fissi introduciamo nel modello anche paesi come quelli
europei che non hanno più il controllo della politica monetaria.
Politiche di sterilizzazione che vengono attuate al giorno d’oggi sono ad esempio quelle effettuate dalla
Cina.
La Cina non dichiara la parità con le altre valute ma mantiene la sua valuta ancorata al dollaro e per
mantenere basso il tasso di cambio al fine di essere più competitiva nel mercato e mantenere alto il suo
livello di esportazioni deve svolgere operazioni di sterilizzazione – vuole mantenere il suo surplus in CA e
KA. Se la valuta cinese si apprezzasse infatti, essa perderebbe competitività e provocherebbe un
surriscaldamento del mercato interno. Quindi la BC cinese interviene continuamente e converte i proventi
in $.
Problema: la Cina continua ad accumulare riserve ma M0 = RU + DC (denaro circolante) → se M0 esplode
c’è rischio di inflazione.
Esiste però un’ampia differenza tra le aree rurali e quelle costiere, quindi la Cina non potrebbe basare la
propria crescita sulla produzione interna. La Cina ha quindi bisogno di disponibilità finanziaria, accrescendo
M0 può avvicinarsi ai paesi occidentali, ma questa crescita va tenuta sotto controllo.
La BC cinese attua di conseguenza delle manovre di politica monetaria restrittive:
o Aumento dei coefficiente di riserva obbligatoria: si riduce la quantità di credito disponibile e quindi
gli investimenti interni.
[mutui subprime concessi per lucrarci.
Europa Θ=8% → le banche detengono come depositi infruttiferi l’8%. Prima della crisi le banche
volevano lucrare su questo 8%, creano delle società indipendenti, ma controllate da loro →
structure investment vehicle.
Concedevano mutui subprime che impacchettavano e vendevano a queste società di investimento
strutturato, così da poter guadagnare su quell’8% → la liquidità tornava subito in casa e non era
soggetta a Θ.]
o Emissione di titoli di debito per assorbire la grande liquidità data dall’immensa disponibilità di
dollari del paese. In questo modo il paese contrae il debito all’interno, facendolo andare persino in
negativo: le riserve sono persino maggiori del circolante – si crea una situazione dove sono le
banche commerciali a prestare alla banca centrale.
operazioni di sterilizzazione
Questa situazione dura fino a che gli USA non attuano politiche monetarie molto espansive – tagliando
infatti il tasso di interesse fanno crollare il valore delle riserve situazione che si sta presentando
attualmente e che fa sì che la Cina inizi un graduale apprezzamento della sua moneta]
[Ora che i paesi leader sono quelli in surplus, ciò rappresenta un problema per i paesi in via di sviluppo, che
in passato si sono sempre appoggiati a paesi leader in deficit per crescere – questi paesi infatti, sono
costretti a sostenere un notevole costo sociale (pari all’1% del PIL).
I paesi in via di sviluppo si sono quindi anche ritrovati ad accumulare riserve, rinunciando a una crescita
sociale, per tutelarsi dalla speculazione internazionale: preferiscono non appoggiarsi al fondo monetario
internazionale – come fatto in precedenza, vedi Thailandia – poiché quest’ultimo non solo imporrebbe
l’austerità al paese ma oltretutto fornirebbe un tipo di aiuto molto volatile appoggiarsi ai paesi
occidentali per lo sviluppo è pericoloso, poiché appena questi intuiscono delle svolte meno profittevoli
nell’economia del paese, essi tenderanno a spostare i loro interessi altrove].
Cambi fissi:
- Perdita di controllo della politica monetaria, cioè su i
- Controllo del tasso di cambio
- Curva LM non governabile
In questo caso non si presenta inflazione perché essendo il tasso di interesse fisso non c’è crowding out.
Abbiamo il migliore dei mondi possibili perché il tasso unico permette agli investimenti di non essere
ridotti ad un aumento di i.
Per quanto riguarda invece il concetto di “svalutazione”, essa è una politica che viene attuata con
l’obiettivo di recuperare competitività nei mercati internazionali; la svalutazione comporta una
politica monetaria che segue la svalutazione della IS. Essa è attuata dalla BC ≠ deprezzamento.
Intorno alla fine degli anni ’70, gli stati uniti attuarono una stretta finanziaria, cambiando il loro tasso di
interesse e inducendo così tutte le altre economie mondiali a cambiare il loro tasso di interesse di
conseguenza.
1973: si rinuncia ai cambi fissi con un nuovo accordo internazionale e viene cambiato anche lo statuto del
FMI.
Anni ’70: inflazione sia da domanda che da costi
Stagflazione
Deregolamentazione finanziaria
Cambi flessibili: dopo Bretton Woods si è iniziato a pensare che i cambi flessibili fossero la scelta
migliore poiché più in linea con le teorie liberiste che stavano prendendo piede; con i cambi
flessibili però si rinuncia a una politica dei cambi e la politica fiscale diventa inattivabile la IS è
endogena, (perché incorporea il tasso di cambio, che in caso dei cambi fossi è incorporato dalla
LM), quindi è endogena anche la competitività. I cambi flessibili sono quindi giustificati dal recupero
della politica monetaria.
I tassi di cambio flessibili permettono di non avere vincoli alle reazioni a qualsiasi shock si verifiche
nel sistema.
Anche se l’epoca di deregolamentazione, con cambi flessibili è quella in cui si è verificato il più alto
numero di crisi finanziarie.
[Tendenza pesos a deprezzarsi, causa deflusso che il governo sta cercando di contrastare alzando i tassi di
interesse al 40%. Ma i capitali si stanno comunque spostando all’estero perché gli argentini hanno memoria
di quanto accaduto nel 2001]
In questo contesto internazionale i torna al livello di im e l’effetto sul reddito che si ottiene non è dovuto al
tasso di interesse ma al tasso di cambio. Quest’ultimo diventa un fattore chiave su cui fondare la propria
crescita.
Se G ↑ o T↓ → da E a A → afflusso → apprezzamento →
↓exp e ↑imp → IS si riduce
Il fatto che le exp aumentino nel momento in cui si deprezza la valuta, è una cosa puramente teorica. Ci
sono molti fattori che influenzano le exp. Alcune dinamiche sociali, quindi, potrebbero neutralizzare questo
effetto.
Non ha vincoli sul tasso di interesse, per cui viene rappresentata con un semplice modello IS-LM.
Coordinamento internazionale
La Cina sta sostenendo le domande dei paesi del Sud del mondo → sistema South-South. Ma non è ancora
pronta ad assumere il ruolo di leader.
Una parte della bilancia dei pagamenti statunitense, non dipende dagli USA, perché accettano di importare
dagli altri paesi.
Gli Stati Uniti svolgono un ruolo di deficit di ultima istanza, dovuto al fatto che sono il paese leader, per cui
è inutile continuare a incolparli delle crisi. Ovviamente hanno convenienza a vivere al di sopra delle loro
possibilità, ma così facendo corrono dei rischi. Il loro ruolo è tuttavia fondamentale per chiudere i conti di
un mondo in cui i paesi più poveri possono crescere attraverso le esportazioni → EGOISMO ILLUMINATO.
Agiscono nel loro interesse, facendo il bene del sistema internazionale.
In un buon sistema economico internazionale i paesi manovrano gli strumenti per favorire l’interesse
globale.
Esistono:
“non-sistemi”: non sono buoni sistemi internazionali perché non esistono regole condivise. Es. gold
standard tra le due guerre.
Buoni sistemi internazionali: in cui i paesi leader si fanno carico del deficit. Es. Bretton Woods e
Gold standard prima.
Sistemi in cui tutti si fanno carico dell’interesse globale. Es. sistema immaginato da Keynes o
periodo 2008-2010 quando per uscire dalla crisi tutti i paesi attuarono un’iniezione di liquidità
coordinata.
Consideriamo allora una situazione in cui vi sia un paese e il resto del mondo:
I punti A e B del grafico mostrano due differenti possibilità di politica economica in condizioni di autarchia.
A privilegia l’inflazione
B privilegia la disoccupazione
Nei punti C e D il resto del mondo adotta politiche espansive a sostegno della domanda aggregata
Y = C + G + I + X - M.
Indichiamo con MROW = M(YROW) le importazioni del resto del mondo (ROW = rest of the world), che
dipendono appunto dal reddito del resto del mondo.
Se ROW aumenta G e riduce T, allora , ciò implica che aumentano le nostra esportazioni (X).
Tale espansione a livello globale conduce il nostro Paese a una condizione migliore in termini di Phillips
Curve: la tendenza al commercio internazionale agevola il paniere di beni, che risultano meno cari. I
lavoratori si accontentano di un salario minore e l’inflazione risulta più bassa (PC più bassa). Inoltre la
nostra Nazione giova di vantaggi legati all’aumento delle esportazioni, e la domanda aggiuntiva dall’estero
non causa inflazione.
In A l’Italia non è aiutata da politiche espansive da parte del resto del mondo e se fa una politica espansiva
si ritrova in B. Lottando contro la disoccupazione provoca un aumento dell’inflazione (tipico effetto delle
politiche fiscali a sostegno della domanda).
Se giunge aiuto da parte dell’estero si va verso una PC più vicina all’origine (H1).
D: il ROW adotta politiche espansive e anche l’Italia (questo porta a una crescita dell’inflazione) in
questa situazione l’adozione delle politiche espansive risulta meno costosa.
N.B. A livello grafico vale lo stesso ragionamento anche dal punto di vista del ROW.
(si predilige una situazione in cui il ROW migliora la condizione italiana, il punto C è preferito perché ha
inflazione minore ed è ancora possibile fare politiche espansive, invece in D ci sarebbe già il problema del
debito. Quindi si preferisce non espandere subito, lasciando spazio di manovra per le politiche).
Si raggiunge un equilibrio di Nash in (A,A’), dove nessuno adotta politiche espansive, mentre l’ottimo
sociale sarebbe in (D;D’).
Il sistema Bretton-Woods favoriva il passaggio verso (D;D’), in quanto il commercio era considerato parte
della crescita e non era l’obiettivo principale, in quanto questo era appunto quello della crescita delle
Nazioni.
Il libero commercia era, infatti, “embedded”, incastrato, in una situazione in cui l’obiettivo principale era la
crescita.
Si pone un problema quando un Paese è il solo ad espandere, perché a trarre vantaggi da tale espansione
sono soprattutto gli altri Paesi e quindi si creerebbe una situazione svantaggiosa per colui che ha espanso.
Ci si troverebbe in B, dove l’Italia sarebbe la sola a sostenere i costi dell’espansione, mentre il ROW
otterrebbe tutti i benefici.
In assenza di regole condivise che incentivano a fare politiche espansive coordinate, ci si ritrova a forzare le
frontiere estere attuando politiche mercantiliste.
È necessaria una figura leader che non abbia bisogno di altri per crescere e che possa, invece, aiutare gli
altri nella crescita fornendo loro uno sbocco per le esportazioni.
Di questo parla Keynes nel capitolo 23 della “Genera Theory”, dove spiega come le politiche di sostegno alla
domanda a livello internazionale aiutino il Paese che le ha fatte (sostegno ai tassi di disoccupazione e di
interesse bassi), ma giovano anche agli altri Stati.
Il limite sta nel fatto che tutti devono farlo contemporaneamente e quindi è necessario trovare un
incentivo.
Tale incentivo poteva essere visto nella moneta unica, il BANCOR, e nella proposta di Keynes al momento
degli accordi di Bretton-Woods, che presupponeva:
Ciò avrebbe rassicurato i Paesi in deficit, perché avrebbero avuto la certezza che quelli in surplus avrebbero
agito in favore dell’equilibrio internazionale, permettendo una crescita coordinata.
Dopo il crollo di Bretton-Woods non c’è più stato controllo sui movimenti di capitali.
Laddove non ci sia in vigore un sistema con un incentivo interno, ci possono essere momenti di
coordinamento internazionale. Il Fondo Monetario Internazionale (che oggi sopravvive nonostante
l’assenza dell’impianto di regole di Bretton-woods) ha ancora il compito di favorire le politiche di
aggiustamento coordinate.
Ai tempi degli squilibri globali, cioè del problema tra USA e Cina, prima che scoppiasse la crisi del 2008. USA
e Cina il debito USA sembrava talmente elevato da poter condurre la realtà internazionale al disastro
perché tutti immaginavano che con un debito pari a 856 milioni di dollari (2006) gli investitori non
avrebbero più avuto fiducia nella stabilità del $ e nel mantenimento di tassi bassi.
Un grande debito e l’assenza di politiche correttive da parte degli USA avrebbe portato a una fuga degli
investimenti dal $.
In realtà non accadde, anche oggi c’è lo stesso disequilibrio tra USA e Cina.
Quindi alcuni affermano di non essersi sbagliati nel descrivere questo strano equilibrio del terrore tra USA e
Cina come un secondo Bretton-Woods, in cui gli USA comprano dalla Cina, come un tempo da Europa e
Giappone, aiutandola a crescere, con tassi di cambio sottovalutati (c’è un cambio fisso come quando c’era
B-W).
Questi tre economisti, FOLXERTS-LANDAU, DOOLEY e GARBER, trattano il cosiddetto sistema di B-W 2, in
cui sopravvive lo stesso sistema, con attori diversi perché la Cina si sostituisce a Europa e Giappone. La
dinamica è la stessa, quando la Cina sarà riuscita a raggiungere gli standard dell’occidente e sarà sostituita
dall’India.
La logica di B-W prevede che il centro aiuti la periferia a crescere, ma quando questa diventa centro, il
sistema ricarica una nuova periferia e pian piano conduce tutta la scacchiera mondiale al livello del Paese
leader.
Quando è scoppiata la crisi, questi tre economisti hanno avuto conferma delle loro tesi, in una situazione di
“grande moderazione”, cioè nonostante l’elevato livello del debito USA i tassi di interesse a livello globale
erano bassi e l’inflazione anche e questo problema del debito non portava a fughe di capitale,
contrariamente alla teoria economica. Perché la Cina fa di tutto per mantenere questo sistema in piedi e
c’è fiducia da parte di tutti gli investitori internazionali nel $ (valuta stabile per gli asset finanziari) e
nonostante la crisi investiamo negli USA immaginando che lì gli asset finanziari siano meritori di fiducia.
Se vogliamo il sistema di Keynes prevede delle sanzioni per chi non espande.
Per passare da A a D bisogna fare in modo che chi non espande sia sanzionate. Idea contraria a quanto fa la
Commissione Europe che punisce chi espande.
Quindi il coinvolgimento degli investitori internazionali nel processo di crescita porta essenzialmente la PC
da H0 a H1.
Un Paese che stia nel punto B se non è aiutato dal resto del mondo ad abbassare la PC, quali sono le
conseguenze per tale Paese. Il moltiplicatore comunque aumenta, anche se il ritorno è piccolo, ma il Paese
potrebbe comunque spingere su quel tipo di politiche anche se aumenta l’inflazione. Un altro effetto delle
politiche espansive per il Paese che le fa è svantaggiato perché potrebbe ripagare in parte il proprio debito
con le esportazioni future, che in questo caso non ci sono! Quindi per mantenere questa strategia deve
continuamente indebitarsi e si aggiunge a questo una tendenza al deprezzamento che è un problema in
cambi fissi, ma anche in altri Guardate l’Argentina adesso.
E il deprezzamento è pericoloso perché può portare alle fughe di capitale, che è esattamente quello che sta
accadendo in Argentina. Il deprezzamento conduce i lavoratori a chiedere rivendicazioni salariali e quindi
questa dinamica qui diventa insostenibile (se i salari dipendono dai P attesi).
L’Argentina prima della crisi del 2001 aveva dollarizzato l’economia, cioè aveva scambiato il $ 1 a 1 col
Pesos, che implica non solo cambio fisso (LEGGERE TUTTE QUESTE COSE SUL LIBRO, ANCHE IL DIBATTITO
CAMBI FISSI E CAMBI FLESSIBILI ECC DOMANDE PRESE DLA LIBRO). Si fa una fluttuazione manovrata, si
pone come obiettivo quello di mantenere il tasso di cambio immutato rispetto a un’altra valuta, che viene
indirettamente adottata (lo chiamiamo Pesos, ma in realtà è $).
L’Argentina ora ha un cambio 1 a 22,5 e rischia di andare a 30, che vorrebbe dire collasso finanziario. Quindi
tira su i tassi di interesse (da 25% a 40%) e sta negoziando 30 miliardi di $ dal FMI. Il problema delle due
gestioni precedenti era stato quello dell’inflazione dovuta alle politiche espansive e poi si tenevano un po’
nascosti i conti (inflazione più forte di quella che era presentata nei conti ufficiali).
Ora si pone lo stesso problema, nonostante tutte le politiche neoliberiste di Macri gli investitori non hanno
fiducia ,e nel momento in cui i prezzi del petrolio salgono, risulta difficile mantenere sotto controllo
l’obiettivo di inflazione pari al 15%, questa infatti è più del 20%.
A questa inflazione interna si unisce quella data dall’aumento del prezzo del petrolio e i tassi di interesse
degli USA che possono salire rispetto ai tempi del QE progressivo, questa combinazione, pur essendo meno
importante rispetto a quanto non fosse negli anni ’80, provoca sfiducia negli investitori, che vedono che
Macri sta adottando esattamente le stesse politiche neoliberiste che avevano portato al collasso iniziale nel
2001. Ma non si cambia governo! Perché Macri per ottenere consensi ha adottato politiche espansive,
peggiorando ulteriormente la situazione e la reazione da parte degli investitori non è quella di “tirarlo giù”,
ma di spostare il capitale all’estero investendo in 4, vendendo moneta nazionale che viene affossata
ulteriormente. Sale così il valore del $ e quindi sale il costo del debito, portando il Paese verso il collasso
finanziario.
Inoltre, il ministro dell’economia argentino è un ex membro della Shell i prezzi dell’energia elettrica sono
molto alti, sarà un caso?
l’uscita dalla crisi europea, G20 di Londra (2008-2010), fu un esempio di coordinamento tutti i Paesi
interessati dalla crisi decisero per politiche espansive coordinate, fatte nello stesso momento, infatti non
c’è stata inflazione. Se si agisce coordinatamente non ci sono timori di apprezzamento del cambio perché lo
stanno facendo tutti.
L’inflazione resta in termini di inflazione da domanda e può anche esserci un coordinamento di politiche
monetarie che risolve il problema di aspettative di ritardi.
Le crisi valutarie:
Si parla di modelli di crisi valutarie, anche se è una forzatura accademica parlare di modelli.
Ci sono due modelli dovuti al fatto che la differenza fondamentale nell’insorgere delle crisi può essere data
dai fondamentali, oppure possono essere crisi auto avveratesi (=che si autorealizzano, sono importate
dall’esterno senza poterci fare nulla).
I fondamentali sono i principali dati macroeconomici politiche economiche attuate dallo Stato, che
alterano i fondamentali dell’economia.
Schema tipico:
Il problema delle crisi valutarie è che non se ne esce a meno che non ci sia un intervento esterno.
La crisi valutaria ha dei meccanismi intrinseci che conducono a un ulteriore peggioramento della crisi
stessa.
Se ne esce con il fallimento dello Stato, che comporta il ripudio del debito che comporta un immediato
ritorno del Paese a conti sani, solo che a quel punto deve essere risolto tutto internamente perché non c’è
più capitale dall’estero.
Ci vogliono delle politiche economiche che facciano ripartire il Paese senza capitale estero, senza l’appoggio
dei mercati internazionali o del FMI. Che è ciò che ha fatto l’Argentina nel 2001.
Ci si ritrova con un Paese con disoccupazione al 50%, che deve essere fatto ripartire, questo implica
chiusura delle frontiere, sperando che non ci siano rivolte sociali, come invece è successo in Grecia
(diffusione della Flakka).
Tipiche di Paesi che hanno cambi fissi e derivano dal fatto che le politiche che il Governo (o la Banca
Centrale) segue non sono compatibili con il mantenimento dei cambi fissi.
Il Paese viola le regole del gioco: ha cambi fissi, ma poi spinge per politiche espansive.
Pensando al Modello Mundell-Flemming: in cambi fissi le politiche fiscali sono efficaci, ma la loro efficacia
comporta problemi nel monto in cui sono prolungate nel tempo, anche a fronte di scricchiolii interni.
Se si adottano politiche fiscali o monetarie espansive, il problema della difesa del tasso di cambio devnta
sempre più difficile da risolvere perché richiede una continua disponibilità di riserve. Perché le politiche
fiscali espansive vanno finanziate, quindi creano situazioni di debito, finché pian piano il Paese non ha più
riserve internazionali per continuare a sostenere il tasso di cambio e a quel punto gli speculatori che
capiscono questa cosa puniscono il Paese.
Si fanno politiche espansive L’offerta di moneta aumenta (in condizioni di perfetta mobilità dei capitali)
per continuare ad effettuare politiche espansive, si deve continuare ad iniettare liquidità nel sistema,
finché a un certo punto la domanda interna di moneta sarà esaurita. Allora, la moneta che sarà
continuamente messa in circolazione per effettuare politiche espansive verrà presa dalla Banca centrale
che la venderà sul mercato dei cambi per acquistare valuta forte. Questo meccanismo conduce a un
ulteriore deprezzamento della valuta nazionale = il Paese dovrà spendere sempre più RU per mantenere la
parità del cambio.
Quindi:
Politiche espansive = maggiore offerta di moneta incompatibili nel lungo periodo con l’obiettivo di
mantenere la stabilità del cambio.
È una questione di incompatibilità tra obiettivo di equilibrio interno e obiettivo di equilibrio esterno.
Se si adottano politiche che alterano i fondamentali, tanto da rendere impossibile coniugare i due equilibri,
a un certo punto il mercato ci punisce.
Il problema è di una debolezza preesistente, intrinseca , data dal protrarsi nel tempo di politiche che sono
nel lungo incompatibili con la difesa del cambio.
Crisi connessa ai cambi fissi.
Sono chiamati modelli di seconda generazione, perché non dipendono più dai cambi fissi (il passaggio dai
fissi ai cambi flessibili è stato un vero e proprio passaggio storico, per questo si parla di modelli di seconda
generazione).
L’idea è che non sia necessaria una vulnerabilità preesistente, che è un problema perché significa che le
crisi valutarie possono auto avverarsi, cioè dipendere da fattori sui quali il nostro Paese non può intervenire
preventivamente.
La logica di una crisi di questo tipo è che il mercato non crede, gli investitori non credono, al fatto che i
policy makers siano disposti a difendere una certa stabilità del cambio a qualsiasi costo.
Esempio: Draghi perché l’euro non crolla con l’avvento della crisi del debito sovrano?
Perché Draghi dice pubblicamente che farà di tutto per salvare l’euro. Gli hanno creduto, perché era il
presidente della BCE, slegato da influenze governative (non ha mandato politico o timori di essere
scacciato). Era il governatore di una BC potentissima, che aveva in mano una moneta potentissima che
garantiva di fare qualsiasi cosa che salvarla. È un fattore di reputazione.
In questi giorni viene assicurato che sarà perseguito ad ogni costo l’obiettivo di inflazione al 15%.
Rivolgendosi al FMI 15 anni dopo la grande crisi, significa che il Paese è a pezzi. Solo il 2% degli argentini e
d’accordo con quanto sta facendo, mentre oltre l’80% ha in memoria il “decennio perduto” e non è
d’accordo. A fare politica da ora in poi sarà il FMI.
Gli investitori possono credere o non credere alle parole dei policy makers, ma non dipende solo dalla
reputazione. L’attacco speculativo potrebbe colpire anche chi ha una reputazione forte, potrebbe colpire
persino Draghi, anche il banchiere centrale più conservatore.
Gli investitori scommettono e possono non credere al fatto che un policy maker sia disposto a difendere ad
ogni costo il tasso di cambio, facendo così politiche restrittive a livello internazionale, ma facendone di
espansive a livello nazionale. Avviene una sorta di sterilizzazione delle politiche monetarie che derivano
dalla difesa del cambio; si tratta di un gioco che conduce a inflazione galoppante che crea di nuovo
aspettative di deprezzamento, ma è un gioco a cui i policy makers sono disposti a giocare almeno nel breve
periodo, nell’aspettativa che a un certo punto le cose si stabilizzino.
I modelli di seconda generazione non presuppongono che ci siano policy makers che attuano politiche
espansive come strategia protratta nel tempo, non c’è necessariamente un governo spendaccione. Il
problema è che i mercati internazionali sono molto potenti, se c’è qualche segno di scricchiolio (ad esempio
la credibilità di un governo non funziona tanto, se si ha un passato diverso dal presente, se si rischia di
essere influenzati da una crisi internazionale, o si è un Paese periferico) i mercati internazionali possono
individuare nel nostro Paese un bersaglio e lo colpiscono perché hanno fiducia nel successo della loro
operazione, hanno la sensazione che il nostro Paese non sia disposto a difendere la stabilità del cambio a
qualsiasi costo. Scommettono contro il fatto che noi siamo disposti a mantenere la stabilità di cambio
anche contro il futuro dei nostri giovani, l’occupazione, la sensazione di ricchezza di chi ha investito in buoni
del tesoro ecc gli speculatori capiscono che per i policy makers il gioco non vale la pena di essere giocato
e allora colpiscono, sapendo che i governanti non si adopereranno contro l’insorgere di aspettative di
questo tipo perché sono maggiormente interessati a difendere i cittadini contro lo strapotere del mercato
internazionale, che però finisce per affossa il Paese in questione.
La crisi si auto avvera perché non ci sono tante possibilità di scongiurarne l’avvio.
La soluzione è quella di crearsi una reputazione tale per cui gli speculatori siano soggetti almeno a un
effetto di deterrenza.
L’Italia e l’Inghilterra nel 1992 uscirono dal serpente monetario europeo perché erano Paesi che avevano
avuto più difficoltà a coniugare equilibrio interno ed esterno.
Se gli speculatori sanno che la difesa dell’equilibrio esterno comporta sacrifici saranno incentivati a colpire.
È una sorta di circolo vizioso, non importa da quale punto si stia partendo, le crisi di prima generazione
partono dai cattivi fondamentali, mentre quelle di seconda partono dal calo della fiducia.
Ha come assunzione di base la liberalizzazione del movimento dei capitali legge sul tasso unico a livello
mondiale
Effetti in termini di politiche: quelle fiscali valgono in cambi fissi, quelle monetarie in cambi flessibili e non
c’è mai la possibilità di entrambi i tipi di politiche efficaci questo può essere schematizzato con il
TRILEMMA DELLE ECONOMIE APERTE (o La trinità Impossibile):
Un trilemma è un dilemma a tre elementi (trilemma del College studio, sonno o vita sociale?)
Domanda da compito: Come si passa dal Modello Mundell-Fleming alla Trinità impossibile? Perché si mette
la libertà di movimento dei capitali?
Perché nel modello Mundell-Fleming abbiamo i = iw , che implica libertà di movimento dei capitali
perché non appena il tasso si discosta da quello mondiale ci sono afflussi o deflussi enormi.