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INDICE

Direzione scientifica: Francesco Botturi

Comitato scientifico:
L. Alici, F. Chiereghin, A. Fabris, S. Galvan, A. Ghisalberti
P.G. Grassi, A. Lattuada, M. Lenoci, M. Marassi
V. Melchiorre, M. Paolinelli, S. Petrosino
G. Riconda, S. Semplici, F. Totaro, C. Vigna, F. Viola Presentazione di Francesco Botturi VII

PARTE PRIMA
Teorica ed etica dell’azione

EDUARDO ORTIZ i i
Studi promossi da I\& VERITATIS È © Analitica dell’azione: l'intenzione come spiegazione
:
4642) SPLENDOR AS
Sr dell’azione
in collaborazione con il Servizio nazioridls” i, ta, \
per il progetto culturale della CEI {ÈZi
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FRANCESCO BOTTURI
Azione e totalità soggettiva DI
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ROBERTO MORDACCI sita fi
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Teorie del bene e teorie delle ragioni: l’azione umana
Il presente volume è stato realizzato grazie
e l’autorità della morale 47
al contributo della Fondazione del Monte a \
di Bologna e Ravenna MONTE
i GIACOMO SAMEK LODOVICI
Virtù e ragion pratica 73

PARTE SECONDA
Azione linguistica:
www.vitaepensiero.it
letteratura narrazione comunicazione

Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del
SILVANO PETROSINO
15% di ciascun volume dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto Il magnifico segno o del bene della letteratura 101
dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633.
Le riproduzioni effettuate per finalità di carattere professionale, economico o
commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere FRANCESCA CATTANEO
effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da AIDRO, Corso di L’azione narrativa 119
Porta Romana n. 108, 20122 Milano, e-mail: segreteria@aidro.org e sito web
www.aidro.org
ADRIANO FABRIS i
hu
L’azione come scelta del bene: per un’etica della relazione
© 2008 Vita e Pensiero - Largo A. Gemelli, 1 - 20123 Milano
comunicativa 141
ISBN 978-88-343-1904-8
INDICE

PARTE TERZA Presentazione


Azione sociale:
tecnica economia politica
MASSIMO MARASSI
I fini della tecnoscienza e le ragioni dell’etica 163

STEFANO SEMPLICI
L’agire economico fra razionalità formale e materiale 191
Questo volume nasce nel contesto di una ricerca tripartita, inte-
MARCO CANGIOTTI
Sulla razionalità specifica della politica ressata a sondare la questione del bene nell’ambito del dibattito
209
filosofico contemporaneo. A questo sono dedicati il volume a cu-
ra di L. Alici, Forme del bene condiviso (Il Mulino, Bologna 2007) e il
PARTE QUARTA volume a cura di R. Fanciullacci e C. Vigna, Etiche di frontiera. Nuo-
Cura dell’agire: ve forme del bene e del male (Vita e Pensiero, Milano 2008). Si tratta
credere e educare — come si vede — di un progetto che affronta la questione in modo
GIUSEPPE COLOMBO scalare, in cui il tema del bene è prospettato nei suoi risvolti istitu-
Agire religioso e fede zionali e politici, in quelli etici e, con il presente volume, in quel-
255
li antropologici, a partire cioè dal luogo di manifestazione del be-
CARLO MARIO FEDELI ne umano che è l’agire. Questo testo si presenta come un itinera-
L’agire in educazione rio punteggiato da sondaggi in diverse aree dell’esperienza inda-
259
gate nella prospettiva dell’azione e delle sue forme, con l’attenzio-
ne rivolta alle figure del bene che vi si delineano. Vi sono in gio-
co, perciò, una complessità di temi ed un incrocio di prospettive,
che non è fruttuoso qui sovrastare con un discorso d’insieme, ma
che invece conviene cogliere presentando la struttura dei contri-
buti ed evidenziando alcune loro significative relazioni.

1. A capo di questo itinerario sta una riflessione che indica le dire-


zioni di un’indagine sulle dimensioni antropologiche ed etiche dell'azio-
ne umana. La prima parte del volume è volta, dunque, a propor-
re linee teoriche sull’agire secondo diverse sensibilità filosofiche,
analitica, neoclassica, neokantiana, neoaristotelica.
E. Ortiz stabilisce un confronto tra l’intenzionalismo della An-
scombe con l’approccio causalista di D. Davidson e l'approccio
funzionalista di M. Bratman, per concludere che l’intenzionali-
smo ha ancora buone ragioni dalla sua, in forza della sua «con-
siderazione olistica» della vita psichica; che anzi chiede di essere
sviluppata in direzione dell’intenzionalità amorosa, in cui l’iden-
tità personale dà effettivamente ragione di sé e della complessità
EDUARDO ORTIZ*

Analitica dell’azione: l'intenzione


come spiegazione dell’azione

1. Eventi ed azioni

Paolo e Maria si incontrano per strada. Dopo essersi scambiati


qualche parola, non molte, l’uomo estrae la sua mano destra dal-
la tasca del cappotto e consegna alcune banconote alla donna. Lei
apre la sua borsetta e ve le deposita con attenzione. Poi, un incro-
cio di sguardi, un ‘addio’ come congedo, ed ognuno si incammi-
na in direzioni opposte. La scena non è durata neppure due mi-
nuti. Che cosa è successo tra Paolo e Maria?
Ho dato delle informazioni su un mutamento nel mondo, di
un nuovo stato di cose. Conosciamo il risultato, l’effetto dell’ope-
razione, la sua conseguenza immediata: Maria ha ora una somma
di denaro che prima era posseduta da Paolo. Ma la mia descrizio-
ne di quello che Paolo ha fatto è equiparabile a quella che diamo
di un evento qualsiasi: come l’evento che si verifica quando una
massa di aria fredda ed una massa di aria calda si incontrano e sca-
tenano il temuto fenomeno atmosferico che chiamiamo ‘goccia
fredda’. Anche in questo caso c’è uno scambio tra due individui,
due soggetti o sostanze, la cui interazione provoca un nuovo sta-
to di cose nel mondo. Conosciamo il risultato e le condizioni che
l’hanno reso possibile; con questo abbiamo una spiegazione com-
pleta di quanto è accaduto: normalmente non si pone la doman-
da intorno al ‘perché’ o ‘con che finalità’ ha avuto luogo il feno-
meno in questione. È fuori luogo in quest'ambito di fenomeni, è
compito degli esperti affrontarla.
Tuttavia, non possiamo dire la stessa cosa dello scambio tra
Paolo e Maria: quella che ho fornito non è una spiegazione com-

* Professore di Etica e Antropologia filosofica presso l’Università Cattolica di Valencia


«San Vicente Martir».
4 EDUARDO ORTIZ ANALITICA DELL'AZIONE 5

pleta. E incompleta fino al punto di ridurre quanto ha fatto Pao-


tenzione, autentica anima dell’azione, è evidente che non possia-
lo, la sua azione — già l'abbiamo visto — alla categoria di evento; ed
è incompleta proprio perché ignoriamo il ‘perché’ o ‘con che fi- mo equiparare oramai la nostra nuova spiegazione a quella che si
nalità’ Paolo ha consegnato del denaro a Maria. Ignoriamo qual è dà degli eventi.
l'intenzione che spinge Paolo a dare... e quella che spinge Maria a D'altra parte, l'intenzione di agire in un senso determinato
ricevere. Se la scoprissimo, il senso del racconto cambierebbe so- sgombra un certo tipo di incertezza (pratica): quell’incertezza che
termina con la decisione di fare qualcosa, più che con la scoperta
stanzialmente. Vediamo.
di un’intenzione previamente formata?. Così, ‘fare l’elemosina’ è
Maria è un’emigrante peruviana, sposata. Lei e suo marito era-
no sommersi da una povertà estrema nel loro Paese. Le cause so- il fine prossimo o intenzione immediata (elezione) dell’azione di
Paolo. Attraverso il fine possiamo classificare l’atto di Paolo come
no note: pessima distribuzione della ricchezza, disoccupazione...
Nella sua Lima natale ci sono cartelli per le strade che annuncia- un atto di carità — dato che, per esempio, avrebbe potuto essere
no che ‘In Spagna c’è lavoro”. I coniugi risparmiano per un anno un atto di giustizia, se come spinta all’azione di Paolo fosse emer-
so il desiderio di equilibrare, secondo le sue possibilità, la disu-
intero al fine di comprare due biglietti aerei. Sono arrivati al loro
‘El Dorado’ (Barcellona) cinque giorni fa. Hanno mangiato solo guale ripartizione della ricchezza nel mondo. Nella prima ipotesi,
due volte. Dormono nei dintorni della stazione ferroviaria. Men- Paolo ha scelto di fare l’elemosina in vista di raggiungere il suo fi-
tre lui cerca lavoro, lei chiede aiuto per strada. ne remoto o intenzione mediata: l’espiazione dei suoi peccati.
- E Paolo? È un giovane avvocato, appena sposato, il cui studio Abbiamo dunque due ingredienti nell’atto umano: il fine pros-
è ben avviato. Paolo è un uomo di fede. Ascoltando la supplica di simo o immediato ed il fine remoto o mediato. L’‘oggetto’ del-
Maria, si ricorda di un versetto della Sacra Scrittura che aveva sen- l’atto è il fine prossimo o intenzione immediata della sua azione,
tito ripetutamente dalle labbra di sua madre: «l'elemosina per- che si manifesta quando si sceglie di realizzare quest’azione con-
dona i peccati»
creta e singolare, e non un’altra: ‘fare l'elemosina a Maria”. In al-
(Ecclesiastico, 3, 30). Ha così deciso di consegna-
re il denaro a Maria: Paolo ha scelto di fare elemosina per espia- tre parole, l’oggetto dell’atto del volere è un comportamento li-
re ] suoi peccati. beramente* scelto.
Dall’oggetto, fine prossimo o intenzione immediata dell’azio-
Questa certamente è una spiegazione completa di quanto Pao-
ne di Paolo, abbiamo distinto il suo ‘fine’ remoto o intenzione me-
lo ha fatto. Fare elemosina era l’intenzione che lo spingeva ad
estrarre il denaro dal cappotto e a metterlo nella mano di Ma- diata: espiare i suoi peccati. Paolo ha orientato la sua azione, fare
l’elemosina, ad un obiettivo ulteriore: per espiare i suoi peccati ha
ria: davanti a noi ora abbiamo una vera e propria ‘azione’. E, na-
turalmente, non possiamo capire che cosa siano le nostre inten- scelto di fare elemosina. La filosofia dell’azione distingue l’‘ele-
zioni indipendentemente dalle nostre azioni intenzionali!. ‘Met- zione’ di un’azione dall’‘intenzione’ o fine remoto che la motiva.
Potremmo chiamare la prima, l’elezione, ‘intenzione,’, mentre la
tere del denaro nelle mani di Maria’ non permetteva di identifi-
seconda, l’obiettivo ulteriore dell’azione di Paolo, ‘intenzione,’.
care l'accaduto con un’azione o atto umano. Lo equiparava ad un
evento, ad un fatto puramente naturale?. ‘Paolo fa l'elemosina a Le nostre azioni hanno una struttura intenzionale annidata: ogni
Maria’, invece, permette di identificare quanto è successo quale intenzione porta ad un’altra. Ognuna di esse aspira ad un fine.
atto umano, volontario, intenzionale. Ponendo allo scoperto l’in-
3 P. Grice, Intention and Uncertainty, «Proceedings of the British Academy», 57 (1971),
! «If you want to say at least some true things about a man's intentions, you will pp. 263-279.
have
a strong chance of success if you mention what he actually did or is doing» (G.E.M. 4 S. Pinckaers, La structure de l’acte humain suivant saint Thomas, «Revue Thomiste», 55
Anscombe, Intention, Basil Blackwell, Oxford 1979, $4). (1955), pp. 393-412; R.A. Gauthier, Saint Maxime le Confesseur et la psychologie de l’acte
9 s ; ; humain, «Recherches de théologie ancienne et médiévale», 21 (1954), pp. 51-100;
Per vedere la portata del programma naturalista nella spiegazione dell’azione uma-
na: cfr, per esempio, E. Runggaldier, Che cosa sono le azioni? Un confronto filosofico pertanto, l’atto umano è un «knowing wanting» (R. McInerny, Aquinas on Human Ac-
con il tion. A Theory of Practice, The Catholic University of America Press, Washington 1992,
naturalismo, Vita e Pensiero, Milano 2000.
p. 55). Cfr. Giovanni Paolo II, Veritatis Splendor, n. 78. °
6 EDUARDO ORTIZ ANALITICA DELL'AZIONE 7

1.1. Teleologia L’architettura della condotta umana riflette una complessa


struttura teleologica: i nostri fini, i nostri amori, con cui si rela-
La categoria di fine ha fatto atto di presenza. Nella sua struttura
più intima, gli atti umani sono finalizzati. La struttura dell’azione
zionano strettamente le nostre intenzioni, sono diversi”. Alcuni
hanno rilevato che la forza, che allontana gli agenti dalla noia o
è teleologica; ne consegue che solo all’interno di una cornice te-
leologica — e non ‘causalista’ alla maniera humeana/davidsonia-
dal tedio, procede dai nostri fini!°. Magari - segnalano altri — so-
no piuttosto i nostri interessi che ci strappano da quella paralisi
na — possiamo dare una spiegazione adeguata delle azioni uma-
che da sempre minaccia la nostra capacità di agire!!. In qualsiasi
ne”. Le nostre credenze pre-teoriche più radicate avallano questa
caso, l’appello all’amore, inteso in modo non riduzionista!?, aiu-
tesi. Se questo realismo teleologico nella spiegazione dell’azione
ta ad ordinare il vocabolario che pretende di rendere conto del-
è plausibile, si rinforza l’indipendenza logica della psicologia del
la psicologia morale degli agenti, si tratti già di fini, interessi, desi-
senso comune rispetto alla scienza fisica5. La spiegazione teleolo-
deri — atteggiamenti propositivi il cui contenuto è una caratteriz-
gica dell’azione rende conto di una delle condizioni naturali del-
zazione di desiderabilità che motiva senza decisione o intenzione
l’agire umano: la nostra capacità innata per la condotta sponta-
nea e teleologica. Certamente questa condizione rileva con preci-
— motivi!3 o intenzioni.
sione la prima delle caratteristiche dell’intenzione, i.e., la ‘direzio-
1.2. Excursus storico
nalità’: «intentio [...] significat in aliquid tendere».
E chiaro che ogni agente opera per un fine, sia questo un fine Mi propongo di recuperare il lascito di Intention (1957) di An-
prossimo o un fine remoto. Sappiamo anche che se invece di ‘fi- scombe: valutare questa importante eredità per la filosofia del-
ni’, parlassimo di ‘beni’, cambieremmo il ‘senso’, ma non il ‘rife- l’azione, esige di prendere in considerazione la sua filosofia mo-
rimento” della frase anteriore. Ma neppure romperemmo la sino- rale, in particolare il suo celebre saggio Modern Morale Philosophy
nimia, se invece di fini o beni, parlassimo di ‘amori’, poiché il fi-
ne che perseguiamo con le nostre azioni o i beni che auspichia-
° C'è chi distingue tra fini ultimi in sensu strictu, fini ultimi deboli e fini che sono pura-
mo, sono in realtà le cose che amiamo: «il fine non è che il bene mente strumentali rispetto a questi ultimi. Inoltre, anche le relazioni di subordinazio-
.da ciascuno amato e desiderato. Perciò è evidente che ogni agen- ne che alcune azioni o fini hanno rispetto ad un fine, sono distinte: possiamo parlare
te, qualunque esso sia, compie qualsiasi atto per un qualche amo- di subordinazione strumentale, di subordinazione in quanto mezzo, in quanto parte
costitutiva e in quanto specificazione di un fine determinato (S. MacDonald, Ultimate
re»8. Per come la vedo, nei contesti in cui i tre termini prima allu- Ends in Practical Reasoning: Aquinas's Aristotelian Moral Psychology and Anscombe’s Fallacy,
si sono intercambiabili, l’analogatum princeps è l’amore. «The Philosophical Review», 100 [1991], pp. 31-66).
10 Cfr. H. Frankfurt, On the Usefulness of Final Ends, in Id., Necessity, Volition and Love,
Cambridge University Press, Cambridge 1999, pp. 82-94.
5 «If she actually goes on to X because she wants to Y (where this gives a reason), then 1! «The drifts and pulls of interest and tedium escape the agendas set by /our/ final
that she is to Y becomes for her an actual objective of her act of Xing. That is, her act ends [...] if we identify ourselves, not just with the ends we already have and the pat-
of Xing is performed for the purpose of bringing about the type of Ying that she de- terns of action that they induce, but with the intelligence that responds to the inter-
sires. Her act of Xing and, in particular, the bodily movements she executes in that esting, shuns the boring, guides the setting of ends, and reshapes our most central
Xing, are performed in order to realize the objective embodied in her-desire. And yet, concerns, then among the necessary preconditions of our existence are the precondi-
doesn't this provide the sort of alternative that the non-causalist requires? Can't it be tions of staying interested» (E. Millgram, On Being Bored Out of Your Mind, «Proceed-
claimed that the relation “[...] was for the purpose of satisfying [...]” should stand ings of the Aristotelian Society», 104 [2004], pp. 163-184; cit. pp. 179-180, 182).
in place of event-causation as the explanatory connection between an action and a 12 Dunque, le esperienze amorose non si riducono per l'impatto che una persona
desire that rationalizes it?» (G. Wilson, Davidson on Intentional Action, in E. Lepore - B.
provoca nell’affettività di un’altra o alla ricreazione dell'amato nell’immaginazione
McLaughlin (eds.), Actions and Events. Perspectives on the Philosophy of Donald Davidson,
dell'amante: includono tanto l’intenzione di amare da parte dell'amante come la
Basil Blackwell, Oxford 1985, pp. 29-43; cit. pp. 31-32).
maggiore o minore consegna che fa di se stesso all’amato.
6 A favore di questa proposta argomenta S. Sehon, Teleological Realism. Mind, Agency
18 Anscombe distingue tra motivi in generale (motivi interpretativi) e intenzioni (mo-
and Explanation, The MIT Press, Cambridge Mass - London 2005. Intention, $13); cfr. W. Alston, Motives and Motiva-
tivi relativi al futuro) (Anscombe,
? Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I-II, q. 12, a. 1, resp. tion, in P. Edwards (ed.), The Encyclopaedia of Philosophy, voll. V-VI, MacMillan Pub.Co.
8 Ibi, HI, q. 28, a. 6. - Inc & The Free Press, New York & London 1967, pp. 399-409.
8 EDUARDO ORTIZ ANALITICA DELL'AZIONE 9

(1958), dove l’autrice sostiene che un’adeguata filosofia della psi- ri che effettivamente hanno causato un’azione determinata: come
cologia (psicologia morale) è condizione necessaria dell’etica!4. allontanare la possibilità che un'azione determinata sia stata cau-
In Intention, Anscombe impiega un concetto ampio di ‘inten- sata in un modo non standard? E il problema delle «catene cau-
zione”. La sua analisi vuole raccogliere tutti gli aspetti dell’uso che sali deviate o anomale» (deviant or wayward causale chains)!”; per
ne si fa nel linguaggio ordinario, tra i quali ci sono, il fatto che le non parlare poi dell’immagine molto discutibile dell'agente che
‘espressioni di intenzione’ sono come le predizioni (per la loro re- ci trasmettano alcune spiegazioni causaliste dell’azione e il model-
lazione col futuro), il riconoscimento dell’‘autorità di prima per- lo humeano, da cui dipendono!8.
sona’ che l’agente ha rispetto alle proprie intenzioni, il fatto che In un suo scritto del 1978 (Intending)!9, Davidson si allonta-
le intenzioni degli agenti sono relazionate con le loro ‘ragioni per na dal suo riduzionismo rispetto all’intenzione, presentandola co-
agire”, il fatto che le intenzioni dell’agente si conoscono a partire me un giudizio risoluto (all-out judgement) in favore di un corso di
dal sue azioni intenzionali... Anscombe presenta le azioni inten- azione, (mentre i desideri corrispondono a giudizi valutativi prima
zionali come quelle alle quali si applica qualche significato della facie). Davidson considerava che uno dei vantaggi della sua spiega-
domanda ‘perché’? — quel significato in cui la risposta, se è positi- zione dell’agire secondo intenzione risiedesse nel non ricorrere a
va, dà una ragione per agire!?. «nessun atto misterioso della volontà o ad un atteggiamento spe-
Dopo Anscombe, Donald Davidson pubblica il suo Actions, Rea- ciale o episodio del volere». Si differenzia così dalla Anscombe?
sons and Causes (1963)!5, dove sostiene che la ragione di un’azione Naturalmente, la filosofa anglosassone reputava che l’intenzione
concreta si identifica con una coppia ‘credenza+desiderio’ riferita potesse essere qualcosa di puramente interiore. Ma ci sono ulte-
a quell’azione, e che la ragione di quell’azione è la causa del mo- riori differenze tra i due approcci: il trattamento delle ragioni per
vimento corporale dell’agente. Dato che l’azione intenzionale è agire, quello della conoscenza senza osservazione delle intenzio-
azione finalizzata grazie a delle ragioni, possiamo giustificarla sen- ni, quello dell’autorità della prima persona rispetto alle sue inten-
za riferimento al concetto di intenzione come stato mentale. zioni... Inoltre, Davidson considerava che gli eventi mentali equi-
Il contributo di Davidson ha trasformato la teoria causale del- valgono agli eventi fisici, di conseguenza le intenzioni non posso-
l’azione nel centro della filosofia dell’azione. La chiave dell’azio- no essere atti puri della volontà o episodi mentali speciali.
ne intenzionale sta negli antecedenti causali degli eventi che si L’opera davidsoniana ha coinciso con uno sviluppo notevole
scatenano agendo. L’intenzione si concepisce come un ‘sincate- della psicologia come scienza. Davidson cercava spiegazioni psico-
gorema4tico’, un tipo di segno che descrive la relazione tra deside- logiche in termini di leggi. La sua riduzione degli eventi menta-
ri e credenze da una parte e le azioni intenzionali dall’altra. Gli li ad eventi fisici alimentava la parsimonia che molti filosofi della
sforzi di molti filosofi si concentrano, da allora, nell’identificare e mente consigliavano in quei momenti.
descrivere quegli antecedenti causali e nello scoprire come si re- Negli anni Ottanta del secolo scorso, incominciarono a dif-
lazionano con i movimenti corporei e con eventi fuori dal corpo. fondersi gli approcci funzionalisti della mente. Gli stati mentali
Ma, come ben si sa, il procedimento davidsoniano non è immune
dall’errore quando si tratta di distinguere le credenze e i deside- !7 Il fatto è che, «it is fatal to view the mind as a vast sea of causal potential from which
intentional actions spring. On such a view, given the commonsense premise that I
have reasons for doing many more things than whichever one, at the time, I do, there
14 «Is it not clear that there are several concepts that need investigating simply as part are just far too many causal antecedents to action around» (R. Hursthouse, Inten-
of the philosophy of psychology and — as I should recommend - bdanishing ethics totally tion, in R. Teichmann, Logic, Cause © Action, Cambridge University Press, Cambridge
from our minds?» (G.E.M. Anscombe, Modern Moral Philosophy, in Id., The Collected 2000, pp. 83-105; cit. p. 95).
Philosophical Papers of G.E.M. Anscombe, vol. III, Basil Blackwell, Oxford 1981, pp. 26- !8 Una critica interessante alle teorie causaliste dell’azione in J. Hornsby, Agency and
42; cit. p. 38). Action, in H. Steward - J. Hyman (eds.), Agency and Action, Cambridge University Press,
15 Anscombe, Intention, $ 5. Cambridge 2004, pp. 1-23. Cfr. anche G. Wilson, The Intentionality of Human Action,
Stanford University Press, Stanford 1989).
!6 Ristampato in D. Davidson, Essays on Actions & Events, Clarendon Press, Oxford
1980, pp. 3-19. 19 Ristampato in Davidson, Essays on Actions ©? Events, pp. 83-102.
10 EDUARDO ORTIZ ANALITICA DELL'AZIONE 11

si comprendevano in relazione alle loro proprietà esterne e alle Senza dimenticare le lezioni che si possono ricavare dagli ap-
loro relazioni con altri stati mentali e con la condotta in genera- procci causalista di Davidson e funzionalista di Bratman, credo
le. Gli stati mentali possono essere valutati partendo dalle norme che sia arrivato il momento di riprendere il progetto globale del-
e dagli standard di razionalità cui sono soggetti. Dal punto di vista l’intenzione che Anscombe presentò nel 1957 e la sua ammonizio-
funzionalista, Michael Bratman, un allievo di Davidson, elaborò la ne del 1958. La ragione fondamentale non è nostalgica. Gli studi
sua Planning Theory dell’intenzione. Per Bratman®, l’intenzione contemporanei sull’intenzione hanno acquisito un grado di sofi-
suppone un compromesso rispetto alle nostre azioni che va al di sticazione che, in buona misura, merita di essere approvato. Og-
là del nostro desiderio di agire in un senso o in un altro. Questo gi distinguiamo le intenzioni ‘future’ o ‘generiche’ delle nostre
compromesso si manifesta nel modo in cui l’agente cerca di agi- intenzioni ‘immediate’. Le prime si contraddistinguono grazie
re e nel fatto che l’intenzione si oppone, in principio, ad essere ad intenzioni ‘specifiche’ o ‘segnalatrici’: per esempio, ho l’inten-
riesaminata. È vero che ogni tanto rivediamo le nostre intenzio- zione di assistere ad una riunione alle ore 17, ma sto leggendo il
ni, ma queste, di solito, manifestano una certa immunità ad essere giornale in casa mia fino a che noto che l’orologio segna ‘ora’ le
considerate di nuovo: perciò, le intenzioni hanno una certa stabi- 16.30; in quel momento, mi metto in moto. Indubbiamente se mi
lità e si rivelano capaci di controllare i nostri piani di azione?!. muovo ora, è perché avevo già l'intenzione futura di andare alla
Per di più, le nostre intenzioni giocano un ruolo singolare nel- riunione... Aggiungerò che, in quanto impegno ad agire in una
la formazione e nell’esecuzione dei nostri piani di azione rivolti al direzione determinata, le intenzioni future ci rivelano un’altra
futuro. Così, le intenzioni sono tanto un input come un output del delle caratteristiche dell’intenzione: la sua ‘normatività’. (Il com-
nostro ragionamento pratico. Come output, l'intenzione differisce promesso ad agire, che l’intenzione suppone, è qualcosa che, tra i
dal desiderio, per esempio, perché l’agente che ha deciso di agire tanti, hanno sottolineato con forza Grice?* e Bratman).
si è impegnato ad agire ora o nel momento appropriato; pertanto, Inoltre, distinguiamo tra «intenzioni con cui (intentions with whi-
è rilevante che abbia agito, o meno, in accordo con quell’inten- ch) agiamo» e «intenzioni all’agire (intentions în acting)». Il contenu-
zione. (C’è anche differenza tra ‘intenzione’ e ‘promessa’). Inve- to delle intenzioni future fornisce le intenzioni con le quali agia-
ce, per l’intenzione intesa come input, l'agente si trova in possesso mo: per esempio, la mia intenzione di visitare un amico mi pre-
dei requisiti razionali per continuare il suo ragionamento pratico senta l’intenzione con la quale vado in una linea di metro non abi-
al fine di trovare i mezzi appropriati per realizzare quell’intenzio- tuale per me, chissà, perché visito il mio amico. Le intenzioni con
ne e di rifiutare le intenzioni che non siano consistenti con le in- le quali agiamo sono sostituibili da obiettivi o propositi. Per quan-
tenzioni previe o anteriori. to riguarda le intenzioni che abbiamo agendo in un modo o un
L'impostazione di Bratman non è esente da problemi o da ipo- altro, si tratta di contenuti che scopriamo nelle azioni di un agen-
tesi discutibili: per esempio, il suo funzionalismo, la sua interpre- te che non è pienamente cosciente di quello che fa: supponiamo,
tazione del «principio di doppio effetto»??... Sembra, tuttavia, per esempio, che in una riunione di amici, qualcuno parla mol-
plausibile la sua idea di studiare il ruolo che svolge l’intenzione to più del normale. In alcune occasioni, l'intenzione di un agente
nel ragionamento pratico sulle azioni future, anche se non c’è ra-
gione perché tutto ciò debba portare qualcuno — come è il caso di
Bratman — ad una riduzione del progetto anscombiano. 2 Per le differenziazioni a seguire, cfr. C.J. Moya, The Philosophy of Action. An Intro-
duction, Blackwell, Oxford 1990, pp. 129-144; G. Wilson, Action, in E.N. Zalta (ed.),
The Stanford Encyclopedia of Philosophy, http://plato.stanford.edu/archives/sum2002/
20 M. Bratman, Intention, Plans and Practical Reason, Harvard University Press, Cam- entries/action/. Anziché di intenzioni future ed immediate, Alfred Mele parla di
bridge Mass 1987; Id., Faces of Intention. Selected Essays on Intention and Agency, Cam- intenzioni ‘distanti e prossime’ (A. Mele, Springs of Action: Understanding Intentional
bridge University Press, Cambridge 1999. Behavior, Oxford University Press, New York 1992).
21 Id., Intention, Plans and Practical Reason, pp. 16, 65. 24 Grice sostiene che l’intenzione dell’agente di fare X , include o è parzialmente
22 D.K. Chan, /ntention and Responsibility in Double Effect Cases, «Ethical Theory and costituita dalla sua accettazione di un ‘compromesso di fatto’ che predice che farà X
Moral Practice», 3 (2000), pp. 405-434. nel futuro (cfr. Grice, Intention and Uncertainty, p. 270).
12 EDUARDO ORTIZ ANALITICA DELL'AZIONE 13

di agire in tal modo è di attrarre l’attenzione di tutti e guadagna- dell'amore ad un sentimento o ad un’emozione. Anche oggi, co-
re il loro affetto, anche se l’agente può non essere cosciente di ciò me sempre, risulta necessario liberarsi dall’ipoteca romantica.
e crede che l’‘importanza’ di quello che stava raccontando giusti- Senza ciò che amiamo, senza quelli che amiamo, non sarem-
fichi l’uso esagerato che fa della parola. Il fatto è che le nostre in- mo quello che siamo. Sono i nostri amori quelli che determinano
tenzioni di agire in un modo determinato, normalmente, rivelano i tratti più significativi della nostra identità personale. Quando ci
il nostro carattere e le nostre inclinazioni. Queste intenzioni si ri- facciamo amare e quando amiamo, abbassiamo le nostre barrie-
specchiano frequentemente nei nostri propositi o nelle intenzio- re affettive. Questo è solo l’inizio. Se all'impatto affettivo che ha
ni con cui agiamo. provocato in noi la presenza amorosa di un’altra persona, segue
Oltre una visione strumentale dell’intenzione, l’analisi di An- l'intenzione di amarla e la nostra conseguente (maggiore o mino-
scombe permette di giustificare una delle sue caratteristiche fon- re) consegna o donazione, il risultato è che ci lasciamo interpre-
damentali: il fatto che, per comprendere il suo ruolo nella con- tare e disegnare da chi ha catturato tanto poderosamente la no-
dotta umana, dobbiamo avvicinarci a questa senza mettere tra pa- stra attenzione.
rentesi l’‘olismo della nostra vita psichica’. Così, per esempio, una Questa especaderci. Essere una persona è, tra le altre cose, vi-
parte dello studio di Anscombe sull’intenzione?5 include l’anali- vere questa esperienza?”. Detto altrimenti: non è che ciò che le
si del desiderio e del suo ruolo nel ragionamento pratico. Certa- persone cercano sia l’amore; semplicemente, senza amore, non
mente né la proaîresis aristotelica né l’intentio dell’Aquinate sono ci sono persone. Ciò ci porta a pensare che, in realtà, non sia
estranee a questa considerazione non atomista, olistica, della vita obbligatorio amare. Semplicemente amiamo. Con consapevolez-
mentale degli agenti umani. Senza obiettare al ruolo che compe- za o inavvertitamente, stiamo già sempre amando. Come è torna-
te al desiderio o alla credenza o ad altri stati mentali, la mia pro- to a riconoscere nel panorama del pensiero contemporaneo Har-
posta si basa, tuttavia, sul riconoscimento del primato dell’amore ry Frankfurt, l'autorità dell’amore nelle nostre vite è innegabile?8,
nella psicologia morale degli agenti. Questa autorità è decisiva nella costruzione delle nostre identità
personali ed a fortiori nell’esercizio della capacità umana di agi-
re?9. La tradizione cristiana, con una precisione forse maggiore di
2. ‘Ordo amoris’6, agenti ed azioni qualsiasi altra, ha identificato fino a che punto l’amore ha auto-
rità nelle nostre vite o, detto altrimenti, quali sono le conseguen-
Actiones sunt suppositorum. Le azioni sono proprie degli agenti. ze o gli effetti dell'amore; e tutto ciò a partire da una comprensio-
Delucidare lo statuto ontologico di quegli eventi che chiamiamo ne non riduzionista dell’amore. Serva come esempio la riflessio-
‘azioni’ include in modo inevitabile una presa di posizione rispet- ne che fa Riccardo di San Vittore ({ 1173) sui ‘quattro gradi del-
to alla struttura ontologica degli agenti che li portano a termine. la violenta carità’9°. E applicabile, mutatis mutandis, a qualunque
La mia analisi dell’azione dipende dal riconoscimento del caratte- tipo di amore. Ebbene, come sostiene questo autore, nel primo
re centrale di una tesi classica rispetto all'agente: prima che e mol- grado, l’amore ferisce, dopo lega, poi fa languire ed infine fa per-
to più che un essere razionale o volitivo, l'essere umano è un ens
amans. Non sono pochi gli ostacoli che rendono difficile un’ade- 27 Le prime esperienze amorose, quelle vissute durante l’infanzia, sono così decisive
guata comprensione di questa tesi: uno di questi è la riduzione che configurano (parafrasando R. De Sousa, The Rationality of Emotion, The MIT Press,
Cambridge Mass 1987) i nostri ‘scenari amorosi paradigmatici’.
28 H. Frankfurt, The Reasons of Love, Princeton University Press, Princeton 2004.
25 «Whatever is described in the proposition that is the starting-point of the argument
must be wanted in order for the reasoning to lead to any action» (Anscombe, Inten- 2° Ovviamente non dobbiamo pensare che solo l’amore coniugale sia decisivo nella
tion, $ 35). configurazione del nostro ordo amoris e nella costruzione dell’identità personale. So-
no cruciali anche l’amore paterno e materno-filiale e l'amicizia.
26 È un tema che nasce in seno alla tradizione ebraico-cristiana, che ha tra le sue pie-
tre miliari le omelie e i commentari al Cantico dei Cantici o l’opera di San Bernardo e 30 R. De Saint Victor, Épitre a Séverin sur la charité. Les Quatres degrés de la violente charité,
di Sant'Agostino. Vrin, Paris 1995, pp. 128, 138, 142.
14 EDUARDO ORTIZ ANALITICA DELL'AZIONE 15

dere i sensi a chi lo patisce. L'amore riguarda dunque l’uomo in- per l'amato «non è amato direttamente e per se stesso, ma è ama-
tero: incomincia mostrando il suo carattere invincibile penetran- to per un altro». Perciò, l’esistenza di due oggetti diversi ha por-
do l’affettività; nel secondo grado, mostrandosi ossessivo, paraliz- tato la tradizione filosofica a distinguere tra due tipi di amore:
za la riflessione; nel terzo, si rivela come esclusivo, comprometten- l’‘amore di amicizia’ e l’‘amore di concupiscenza’ (o ‘amore di
do l’azione (la condotta umana) e nell’ultimo grado, si presenta possesso’): «rispetto al bene voluto, si ha amore di concupiscen-
come insaziabile, impedendo che nulla a questo mondo - tranne za, e rispetto invece al soggetto cui detto bene si vuole, si ha amo-
l’amore anelato — possa soddisfare il desiderio dell’uomo. re di amicizia»*4.
In maggiore o minore misura, il risultato finale di ogni amore L’amore di amicizia ha come fine un bene sostanziale, un sog-
è l’unione tra l’amante e l’amato. In effetti, l’amore — diceva San getto personale; l’amore di concupiscenza o di dominio, un be-
Tommaso — è una vis unitiva, il cui risultato è l'assimilazione?! tra ne che è per l'amato. I beni che si comunicano nelle relazioni in-
coloro che si amano. Assomigliamo a chi amiamo. Ovviamente terpersonali ci permettono di qualificarle in un modo o nell’al-
quest’unione non accade sempre allo stesso modo: non è sempre tro: come relazioni coniugali, paterno e materno - filiali, amiche-
ugualmente profonda e duratura. Potremmo dire: assomigliamo voli ecc. Anche se è certo che ci sono beni che chi ama vuole sem-
di più a chi amiamo di più e meno a chi amiamo meno. Di segui pre per colui che ama — per esempio, nei casi citati, la fioritura 0
to vedremo perché. l’adeguato sviluppo dell’amato -, ci sono altri beni che risultano
Non solamente, e in modo inevitabile, amiamo, ma amiamo privativi per ognuno dei casi: non tutti i beni che un uomo comu-
anche più o meno. Non amiamo tutti coloro che amiamo allo stes- nica alla sua donna coincidono con quelli che decide di trasmet-
so modo, con la stessa intensità. Per questo sosteniamo che ogni tere ai suoi figli o ai suoi amici ecc. Questo è il modo attraverso il
persona ha una determinata gerarchia di amori, ordo amoris. In ef- quale, in quanto persone, configuriamo l’architettura dei nostri
fetti, dopo che la sua affettività si è trasformata, l'amante cerca amori di amicizia e dei nostri amori di concupiscenza. Insomma,
l’unione con l’amato attraverso il suo comportamento, le sue azio- il nostro ordo amoris.
ni (è il terzo grado che ci ricordava Riccardo di San Vittore): lo
converte nell’intenzione remota? e in quella prossima delle sue
azioni, impegnando per ciò tutti i suoi dinamismi. L'amante indi- 3. Lordo amoris’ e le ragioni per agire
rizzerà le sue azioni su chi ama, anche sulle cose che saranno be-
ni per chi ama. L’atto di chi ama possiede un carattere unico, an- La mia ipotesi è che l’amore, inteso in modo comprensivo, non ri-
che se l'amante lo dirige su due oggetti allo stesso tempo: l’amato duzionista, è la ragione basilare del nostro operare. I nostri amo-
e il bene desiderato (per l’amato)?3. ri incominciano come affezioni, fino a diventare tendenze persi-
Tra i due oggetti cui tende l’amore si dà una relazione «secon- stenti o intenzioni ad agire verso alcune mete o fini. Le nostre ra-
do un rapporto di priorità e di dipendenza», perché il primo è gioni per agire dipendono in ultima istanza dalle nostre ragioni
amato «direttamente e per se stesso», mentre il bene desiderato per amare e queste della nostra gerarchia di amori, ordo amoris.
L’ordo amoris di ogni agente condiziona in modo decisivo l’eserci-
zio della sua razionalità pratica. Questa è la cornice che permet-
31 «L’assimilazione significa movimento verso la somiglianza, e così compete a ciò te di comprendere adeguatamente la costruzione delle intenzio-
che riceve da un altro che gli sia somigliante» (Tommaso d’Aquino, Summa contra
Gentiles, I, c. 29). ni di un agente.
82 Si conoscono l’intenzione prossima e l’intenzione remota rispettivamente come Se parliamo di ordo amoris, è perché le nostre relazioni amoro-
oggetto e fine delle azioni. Così, per esempio, davanti alle alternative che ho per se sono ordinate gerarchicamente. Forse non in modo definitivo,
questo pomeriggio, scelgo di andare al cinema — oggetto dell’azione, per riposare
— fine dell’azione.
84 Questa citazione e le anteriori sono da Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, HI,
33 «In questo [...] consiste l’amore: nel fatto che chi ama vuole il bene dell’amato» i
(ibi, III, c. 90). La fonte di questa definizione è Aristotele, Retorica, II, 4, 1380b 35-36. q. 26, a. 4.
16 EDUARDO ORTIZ
ANALITICA DELL'AZIONE 17

ma lo sono. Non amiamo allo stesso modo tutti quelli che amia-
terno della quale si svolgono i distinti tipi di relazioni interperso-
mo. Non saranno allora le nostre relazioni interpersonali quel-
nali. Assumere questo contesto di riferimento suppone il ricono-
le che costituiscono le nostre ragioni per amare più o meno chi
scimento®” di ogni essere umano come persona. Tale ‘riconosci-
amiamo più o meno?® Alcuni tipi di relazioni sono propri delle
mento” è la condizione di possibilità per stabilire qualsiasi relazio-
sostanze. Ed è l’amore la relazione interpersonale cui si dà più va-
ne interpersonale. È la risposta al valore dell’‘essere persona’, ap-
lore. Senza sottrarre importanza al già menzionato peso specifico
preso nell’incontro con la presenza di un membro della specie
delle affezioni grazie a cui qualsiasi amore inizia, e che solitamen-
umana, che non esaurisce, neppure lontanamente, la complessi
te lo accompagnano, è indubbio che, quando pensiamo all’im-
tà dell’esperienza amorosa. Un riconoscimento, così, ci spinge ad
portanza dell’amore nelle nostre vite, ci vengono in mente innan-
agire, per esempio, con una certa fiducia verso la persona in que-
zitutto le ‘relazioni’ che manteniamo con le persone che ci han-
stione, con afflizione davanti alla sua sofferenza ecc.
no amato e che amiamo.
Comunque, non sembrerebbe stravagante la pretesa, se non di
Per questo, le relazioni con le persone che ci amano e amia-
legittimare, almeno di concepire la possibilità di amare perfino
mo (con Dio, relazioni coniugali, paterno e materno - filiali, ami-
quelli che non ci amano, inclusi coloro che ci hanno fatto del ma-
chevoli ecc.) configurano le nostre ragioni per amarle. «Si com-
le? Qui appare qualcosa di più della possibilità del ‘perdono’, di
prendono meglio le ragioni per amare come tratti della relazione mano a ma-
cui, del resto, aumenta la necessità che ne abbiamo,
e non semplicemente quali proprietà dell’amato»89,
no che approfondiamo la conoscenza di noi stessi?8. Nello spazio
Certamente queste relazioni convertono l’amare in qualcosa di
che rischiara quest’ultima questione, sorge una possibilità diffici-
‘normativamente appropriato’ per le persone che vi sono impli-
le da concepire per gli esseri umani, perché in essa ‘sembra’ esse-
cate. Accanto alle disposizioni virtuose di quelli che si amano, la
re assente la reciprocità, che accompagna l’amore. In realtà, solo
credenza nel fatto che la normatività non è estranea ai loro amori
un Dio è stato capace di immaginare una tale possibilità, dato che
rafforza il carattere circostanziale delle loro emozioni e sentimen-
si tratta ‘dell’amore verso i nemici’. Tutto ciò rende possibile ‘uni-
ti, e allo stesso tempo li sostiene, come causalità, rivelandoci co-
versalizzare’ l’amore: è, in realtà, ciò che ogni essere umano meri-
sì come le passioni non esauriscono l’intero e complesso territo-
ta (what we owe to each other)".
rio dell'amore.
Non sembra irraggiungibile una simile gerarchia di amori? Mi-
Così, sia come istanza, sia come obbligo, non sembra fuori luo-
chael Smith sostiene che un agente possiede le ragioni per fare
go richiedere di amare coloro che ci amano, coloro con cui man-
qualcosa in una determinata circostanza se e solo se una sua ver-
teniamo relazioni personali strette, come quelle alluse anterior-
sione idealmente razionalizzata gli consiglierà di fare la tal cosa
mente.
in tali circostanze‘. Non potremmo identificare questo consiglie-
Ma se difficilmente si può negare la legittimità di amare (e ama-
re ideale con chi ha un adeguato ordo amoris? Questo consigliere
re di più) le persone prossime che ci amano, non sarebbe esagerato
ideale è, in realtà, il saggio: il phronimés, della tradizione greca, an-
il tentativo di giustificarlo rispetto alla moltitudine degli esseri uma-
cor di più, il santo della tradizione giudeo-cristiana — «colui che sa
ni con cui, finora, non ci siamo incrociati e che, presumibilmente,
mai formeranno parte dell’intrico della nostra vita quotidiana?
No, dato che l’appartenenza alla specie umana è già di per sé 37 R. Spaemann, Personen. Versuche liber den Unterschied zwischen “etwas” und “jemand”,

un tipo speciale di relazione. In realtà, è proprio la cornice all’in- Klett-Cotta, Stuttgart 1996, pp. 191-208.
38 «Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei. [...] Ma quelli,
udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani fino agli ultimi»
(S. Giovanni, 8, 7-9).
® Cfr. N. Kolodny, Love as Valuing a Relationship, “The Philosophical Review», 112 39 T. Scanlon, What We Qwe to Each Other, Harvard University Press, Cambridge Mass
(2003), pp. 135-189.
- London 1998.
36 R. Solomon, Reasons for Love, «Journal for the Theory of Social Behaviour», 32
(2002), pp. 1-28; cit. p. 4. 40 M. Smith, Internal Reasons, «Philosophy and Phenomenological Research», 55
(1995), pp. 109-131.
18 EDUARDO ORTIZ ANALITICA DELL'AZIONE 19

stimare rettamente le cose (qui rerum integer aestimator est)» e che no stati di fatto che hanno valore (amabili)4 per gli agenti, obiet-
perciò è in grado di evitare di «amare ciò che non è da amarsi, tivi che hanno valore (amabili), ai quali gli agenti tendono (per
amare di più ciò che è da amarsi di meno, amare ugualmente ciò questo, l’esternalista si sbaglia quando ricorre agli stati di fatto e
che si dovrebbe amare o di meno o di più, o amare di meno o di non agli stati di fatto che hanno valore, amabili, quali ragioni del-
più ciò che deve essere amato allo stesso modo»! l’agente per agire).
Questo personaggio fornisce il principio che permette di di- | Tali stati di fatto sono i contenuti delle nostre credenze*5 e de-
stinguere un ordo amoris adeguato da uno inadeguato, perché ama sideri, per cui, l’internalista si sbaglia quando considera che que-
di più quello che è più decisivo per la costituzione dell’identità sti stati psicologici — e non i loro contenuti — costituiscono le ra-
umana personale e ama meno quello che è meno decisivo per la gioni dell’agente per agire: tendere definitivamente a essi dipen-
costituzione della nostra identità umana personale (per esempio, de dalle intenzioni e dalle elezioni, che sono prodotto diretto de-
ama di più le persone che le cose). La pienezza di sentimento sul- gli agenti e, come abbiamo suggerito sono condizionate (con gra-
la vita mostra l'adeguatezza del suo ordo amoris. Pertanto in que- di diversi di probabilità) alle ragioni per agire.
sto personaggio coincidono le ragioni normative o giustificative Potremmo dire che gli agenti causano le loro azioni? Credo
(quelle per le quali deve agire, cioè, un adeguato ordo amoris) con di sì. In realtà, la teoria della ‘causalità dell’agente’ (agent-causa-
le ragioni motivanti o esplicative della sua condotta, quelle per le tion)*° provoca fondamentalmente sospetti, quando si considera
quali agisce in realtà, cioè, il suo ordo amoris attuale*?. Il contrasto come esclusivo il modello humeano della causalità. Ma questo è
tra l’adeguato ordo amoris dell’agente ideale e lordo amoris di un un modello costruito per giustificare gli eventi e, secondo la no-
agente reale, è la cornice nella quale si sviluppa l’esercizio effetti stra analisi, le azioni non sono eventi.
Infine, last but not least, data la centralità dell’amore
vo dalla nostra razionalità pratica. nella co-
Come ho suggerito prima, se l’ordo amoris condiziona in mo- struzione dell’identità personale e nella configurazione della ra-
do decisivo l’esercizio della razionalità pratica degli agenti, questa zionalità pratica e dato che l’amore è interpersonale, sembra ine-
cornice permette di proporre nuovamente il tema delle relazioni vitabile riconoscere anche il peso specifico degli altri, attraverso il
tra intenzioni e ragioni per agire, dato che le nostre ragioni en- nostro ordo amoris, nella formazione delle nostre intenzioni... sen-
trano nella formazione delle nostre intenzioni. Gli agenti costrui- za compromettere con questo il peso specifico che ha rispetto ad
scono-le loro intenzioni attraverso una serie di ragioni, dietro cui
esse l’agente.
stanno, in ultima istanza, le nostre ragioni per amare, il nostro or-
do amoris. Le ragioni, però, non producono causalmente le inten-
zioni; fissano, in ogni caso, le probabilità relative alla formazio-
ne di una o l’altra intenzione o strutturano la capacità di formare
un’intenzione da parte dell’agente‘?. Le ragioni per agire rivela-

41 Agostino, De doctrina christiana, I, 27,28.


42 Il tema è inevitabile perché ‘l’amore, ogni amore, ha la sua verità”. Di fatto se
parliamo di amore realizzato, l’amore non può darsi senza il contributo della ‘virtù’. * «States of affairs have value given a life into which they fit» (Sehon, Teleological Real-
Si distingue la riconosciuta autorità dell’amore, ovvero il suo innegabile peso nella ism, p. 163).
condotta umana e nella configurazione dell’identità personale, ‘da ciò’ che autorizza
vita 4 Come sottolinea H. McCann, The Works of Agency: On Human Action, Will, and Free-
all'amore, ad un determinato amore. Perciò, se, come avrebbe detto Socrate, una
dom, Cornell University Press, Ithaca 1998, pp. 147-169.
senza ricerca non merita di essere vissuta, (Platone, Apologia di Socrate, 38a) è anche
vero che un amore senza ricerca non merita di essere vissuto dall’essere umano. ‘9 Oltre al saggio prima citato, cfr. T. O*Connor, Persons and Causes: The Metaphysics of
Studies in Philosophy», 24 Free Will Oxford University Press, New York 2000; cfr. anche R. Clarke, Towards a Cred-
48 T. O'Connor, Freedom with a Human Face, «Midwest
ible Agent-Causal Account of Free Will, «Nous», 27 (1993), pp. 191-203.
(2005), pp. 207-227.
FRANCESCO BOTTURI*

Azione e totalità soggettiva

Nell'ambito della filosofia contemporanea la riflessione sulla ra-


gion pratica, intesa come forma primaria dell’esperienza e della
razionalità, ha avuto notevole rilievo. Si pensi alle varie forme del
pragmatismo; all’idea di ‘azione’ come cardine dell’antropologia
dinamica di Blondel; al prassismo neostoricista e neomarxista; al
neopositivismo e al criterio epistemologico di ‘verificazione’; al-
la ‘teoria dell’azione’ come scelta razionale in rapporto alle con-
temporanee scienze umane o scienze pratiche; all’agire linguisti-
co come criterio di senso nel secondo Wittgenstein; al primato del
pratico nel primo Heidegger; al concentrarsi nel tema dell’azione
della proposta di rinnovamento della fenomenologia (K. Wojtyla)
e della filosofia politica (H. Arendt); alla cosiddetta ‘riabilitazio-
ne della ragion pratica’ di orientamento sia aristotelico, sia kan-
tiano; al rilievo della pragmatica linguistica e dell’agire comunica-
tivo per le varie forme dell’etica del discorso; all’idea del sapere
pratico come ‘filosofia prima’ in Lévinas; all’idea di ‘pratica’ nel-
la riorganizzazione comunitaria dell’esistenza proposta dai com-
munitarians; ecc.
Non sempre però l’enfasi sul pratico ha introdotto un’appro-
fondita riflessione speculativa sull'azione. Spesso prevale scontata-
mente una concezione procedurale, di tipo linguistico-comunica-
tivo o sociale-politico, che risolve il senso dell’azione nella sequen-
za delle sue determinazioni operative ed uguaglia ad essa l’intera
realtà soggettiva: l’azione, dunque, non come epifania del sogget-
to, bensì la soggettività come attribuzione dell’azione; cioè, nelle
versioni empiristiche più coerenti, l’azione come luogo della dis-
soluzione del soggetto.
Ma, privato così del suo spessore cognitivo e appetitivo, affetti

* Professore ordinario di Filosofia morale presso l’Università Cattolica di Milano.


22 FRANCESCO BOTTURI AZIONE E TOTALITÀ SOGGETTIVA 23

vo e relazionale l’idea dell’agire si trova drasticamente e irrealisti- la conoscenza biologica informazioni preziose per aprire in modo
camente impoverito nella gamma dei suoi significati; soprattutto competente tale prospettiva: cioè che l’uomo è un progetto globa-
in ambito analitico, pare normalmente presupposta una visione le di natura inedito, di cui il determinismo evoluzionistico e il suo
atomistica e segmentaria dell’agire, con inevitabili ripercussioni schema gradualistico, condivisi in sostanza anche da M. Scheler,
sull’impostazione del discorso morale, come a partire da G.E.M. non rendono abbastanza ragione. All’uomo, infatti, è necessario
Anscombe si è iniziato a ridiscutere criticamente. riconoscere come vivente delle peculiarità che ne fanno una «to-
Nel contesto filosofico contemporaneo esistono tuttavia elabo- talità» specifica: «l’uomo è l’essere che agisce» e che ha nell’azio-
razioni significative dell’idea di azione in cui la sua centralità an- ne la sua sintesi vitale ed interpretativa; «la determinazione del-
tropologica riappare, non semplicemente come luogo strategico l’uomo all’agire è la legge strutturale generale di tutte le funzioni
ma, appunto, come principio architettonico e dunque come crite- e capacità umane», che «deriva univocamente dall’organizzazio-
rio euristico della soggettività in quanto tale: l’azione come chia- ne fisica dell’uomo», perché «un essere fisicamente costruito in
ve costruttiva e interpretativa del soggetto umano in quanto tota- tal modo è capace di vivere solo in quanto agisca»*.
lità autoconsistente ed aperta. Come per Nietzsche (ma già per Pico della Mirandola), l’uo-
Torna nuovamente interessante, in proposito, la prospettiva mo è «animale non ancora definito» e, obbligato a dirigersi su ciò
dell’azione come «nodo» dell’esperienza, come «sintesi del vole- che è lontano, diversamente dall’animale incentrato sul presente,
re, del conoscere e dell’essere», come «legame sostanziale» del- è come Prometeo «l’essere che antivede e provvede»; ma è anche,
l’anima e del corpo ed insieme «accordo» sempre da cercare di perciò, vivente non garantito ma sempre «ad un passo dal caos 0
conoscenza, volontà ed essere, secondo le celebri definizioni di dalla degenerazione» (G.B. Vico direbbe dalla «barbarie»).
M. Blondel!. In qualche misura, la cosa riappare in percorsi di L'uomo è l’essere che ha necessità di agire per sopravvive-
pensiero — alcuni dei quali qui analizziamo — secondo cui l’azio- re, perché, «parto prematuro» secondo l’espressione di A. Port-
ne non è solo operatività, ma è ‘sintesi storica’ della soggettività, mann, «è l'essere abbandonato dagli istinti» e perciò. è l’«essere
‘emergenza della totalità soggettiva’ ovvero del soggetto come to- manchevole» (Mangelwesen), di cui ha parlato Herder, privo dei
talità, e quindi suo ‘luogo ermeneutico’ per eccellenza. L'azione soccorsi innati che predispongono automaticamente la condotta
dunque come prospettiva interale sull'uomo, la cui logica — per favorevole alla difesa e all’attacco. Al vivente umano manca que-
dirla ancora con Blondel — «è veramente la Logique générale» del- sta struttura specializzata che è potente condizione di sopravvi-
l’esperienza, che rispecchia il «carattere totale della vita totale di venza, trovandosi così ad essere un’eccezione biologica, ‘eccentri-
ciascuno» e che quindi giustifica un «primato della ragion prati- ca’° rispetto alla vita che lo espone pericolosamente ad un mon-
ca»?, il cui senso ogni filosofia dell’azione è impegnata a cercare. do indeterminato e pieno di imprevisti. Senza specifica organizza-
zione propria è impossibile un adattamento organico spontaneo,
l’uomo perde l’‘ambiente’ e si ritrova nel ‘mondo’ «come sfera
1. La necessità dell’azione: A. Gehlen infinitamente aperta e indeterminata della sua esistenza», in rap-
porto a cui deve senza sosta imparare a selezionare e a prendere
Genhlen sa che l’unità di un «punto di vista-guida» sull’uomo è co- posizione®.
sa filosofica e non scientifica3. Tuttavia ritiene che esso riceva dal- Si istituisce così la ‘correlazione fondamentale di azione e

4 Ibi, pp. 58, 50.


! M. Blondel, L’action. Essai d’une critique de la vie et d’une science de la pratique (1893), ° Il riferimento è a H. Plessner, Die Stufen des Organischen und der Mensch, Walter
P.U.F., Paris 1973, pp. 42, 28, 186, 467. de Gruyter, Berlin Leipzig 1928; trad. it. I gradi dell'organico e l’uomo. Introduzione
2 Ibi, pp. 471, 353, 300. all’antropologia filosofica, Bollati Boringhieri, Torino 2006.
3 A. Gehlen, L'uomo. La sua natura e îl suo posto nel mondo, trad. it. Feltrinelli, Milano 6 E. Mazzarella (a cura di), Antropologia filosofica e teoria dell’azione, Guida, Napoli 1990,
1983, p. 39. p. 42.
24 FRANCESCO BOTTURI AZIONE E TOTALITÀ SOGGETTIVA 25

mondo’. L'uomo non ha ambiente e perciò gli è imposto di agi- processo di trasformazione delle condizioni deficitarie dell’esi-
re, cioè di vivere operando «la trasformazione, capace di preve- stenza in condizioni vantaggiose. Il «principio dell’esonero» è
dere e pianificare, della realtà», di cambiare in modo intelligen- perciò «la legge strutturale che regge tutte le prestazioni umane»,
te, previsionale e pianificato la natura”. Ma tale comportamen- in quanto trasformazione e padroneggiamento favorevole della
to biologicamente originale implica una visione della natura co- realtà e in quanto fissazione nell’agente di «un ordine struttura-
me «spazio vitale», a sua volta, «“parte” di un tutto, grande, che si le di capacità» che istituisce una complessa gerarchia di presta-
estende al di là di confini precisati», appunto come mondo in cui zioni!°,
è «aperta l’intera ricchezza dello spazio e del tempo». Così, se al- Se l’esonero riguarda il modo umano di regolare i rapporti
l’animale vanno attribuite l’«adeguatezza» e la «ristrettezza» del con il mondo esterno, lo «iato» costituisce il suo correlato sogget-
comportamento, all’uomo vanno attribuite «plasticità e ampiez- tivo sul lato interno della vita pulsionale. Questa, infatti, non pos-
za»8: il mondo si spalanca solo davanti all’azione, ma si dà azione siede l’autoregolazione istintuale (ciclica e adattiva) dell’animale
solo nel mondo. e per questo si dà in un eccesso che necessita di strutturazione. La
In quanto agisce nel mondo, l’uomo è l’essere che ha e fa carenza istintuale è compensata nell’uomo da una «struttura par-
«esperienza» e che ha e fa «cultura». L'esperienza, ha a che fa- ticolarissima» delle pulsioni in quanto orientabili, dislocabili e va-
re con la «capacità», è esperienza sulla base della capacità, che riabili, cioè non univocamente orientate e fissate su bisogni neces-
si esercita a sua volta secondo due «processi» fondamentali, «lo sari. Sussiste, in altre parole, afferma Gehlen, «un’ampia indipen-
“sbrigare” e l’“avere a disposizione”». Le cose infatti «sono là per denza delle azioni e della coscienza percipiente e pensante dai
noi in quanto “ci riguardano”» e quindi «fare esperienza con es- propri bisogni e pulsioni elementari, ossia la capacità di “disgiun-
se significa fissare univocamente il carattere di questo riguardarci gere” i due aspetti, di stabilire tra essi uno “iato”», cioè un «vuo-
per una futura disponibilità», afferma Gehlen con accenti prossi- to» tra bisogni e loro soddisfacimento, che dischiude «la straordi-
mi a Heidegger (ma oggi anche a Ch. Taylor). Le cose non si dan- naria possibilità di un'inversione della direzione delle pulsioni», cioè la
no a noi nella loro immobilità, ma «attraverso tutto lo spettro del- loro plasticità e padroneggiabilità, in termini di inibibilità, procra-
le nostre capacità vitali» e secondo la loro corrispondenza con le stinabilità, di rielaborazione immaginativa, ecc.!!. In quanto sgan-
nostre «attività». L'esperienza insomma accade nei processi di co- ciata dall’immediatezza, l’energia pulsionale umana è foggiata fin
stituzione del nostro mondo, di cui essa è insieme apertura e de- dall’inizio sulla possibilità di prestazioni imprevedibili ed è in gra-
limitazione?. do perciò di «volgere in senso produttivo la sua apertura al mon-
Lo sbrigare e il disporre, con la loro iniziativa e il loro stabi- do». Proprio per questo l’uomo è anche «un essere da disciplina-
limento di ambiti e regole, sono le forme con cui l’esperienza si re»!2, bisognoso perciò di educazione e di adeguate istituzioni so-
apre al mondo e nello stesso tempo ne definisce una configura- cio-politiche.
zione in cui la pressione del mondo, la profusione di stimoli che Esonero e iato sono i due fondamenti della dimensione cul-
esso procura ad un vivente povero d’apparato istintuale selettivo, turale dell’azione. Da un lato, infatti, la ‘cultura’ è per Gehlen
trova un limite e un ordine. Lo sbrigare e il disporre sono perciò «l'insieme dei fatti “naturali originari” trasformati in modo previ-
le prime forme di quello che Gehlen chiama l’«esonero» (Entla- sionale, insieme alle attività corrispondenti»; dall’altro, non è so-
stung) dall’onere (Last) che il mondo rappresenta per un viven- lo la cultura materiale delle trasformazioni fisiche dell’ambiente,
te come l’uomo così eccezionalmente sprovveduto di adattamen- ma anche la capacità di trasformazione dello stesso agente e l’in-
to ambientale. In tal senso l’esonero coincide con l’avvio di un sieme dei suoi effetti. Esonero ed inversione della direzione de-

Ibi, pp. 106, 89. 10 Gehlen, L’uomo, pp. 63-64.

8 Ibi, pp. 117, 200. !! Cfr. ibi, pp. 79-82 e Mazzarella (a cura di), Antropologia filosofica, pp. 137, 274.
° Ibi, pp. 35-36, 43, 45; cfr. p. 38. 12 Gehlen, L'uomo, pp. 85, 88.
26 FRANCESCO BOTTURI AZIONE E TOTALITÀ SOGGETTIVA
27

Lu.
gli impulsi portano per questa via alla strutturazione di compor- 2. L'azione come cominciamento: H. Arendt
tamenti il cui baricentro si sposta sempre più in direzione delle
funzioni superiori, in cui l'immediatezza è via via abbandonata Nella riflessione di H. Arendt la necessità è il momento dell’agir
o meglio è mediata nel comportamento dell’anticipazione, del- legato alla sua condizione ‘servile’ dell’anima! laborans, im rigio-
l’allusione, della valenza simbolica!*. In questo progresso di ca- nato «nel ciclo sempre ricorrente del processo vitale e Lo] cà -
pacità il ‘linguaggio’ ha valore paradigmatico ed è funzione cul- getto alla necessità del lavoro e del consumo». Il senso pieno del.
mine. In esso si compie la tendenza all’esonero dall’immediatez- l’azione non è neppure nella produttività dell’ homo faber, segnato
za e l'apertura al mondo è padroneggiata anche a distanza ed in dalla «mancanza di significati»!5; è piuttosto nell’«atto», in quan-
assenza!4. to inizio-iniziativa e quindi libertà-novità nel mondo. Se l’uomo di
Tipica della concezione gehleniana dell’azione è il disporla Gehlen costituisce necessariamente il mondo, l’uomo di Arendt
come mediazione tra la totalità antropologica e la totalità del mon- lo apre come libertà. Due prospettive che in realtà si reciproca-
do. Come osserva Gehlen, ogni uomo, sia primitivo, sia civilizza- no, perché anche per Arendt è inevitabile il momento della ne-
to, vive se stesso, il suo contesto culturale, la società «come par- cessità lavorativa ed anche per Gehlen l’azione umana è creati-
ti del “mondo”», per cui sempre «il mondo visibile [è concepi- va come linguaggio, cultura, educazione. Ma in Arendt è più evi-
to] come parte di un mondo non dato», qualunque sia il conte- dente che il mondo è il correlato dell’azione in quanto questa è
nuto del visibile!5. Questa onnincludenza e onnilateralità del- «nascita».
lo sguardo umano richiede un’interpretazione che Gehlen non Nella visione arendtiana l’azione è a capo di una sindrome an-
dà, presumibilmente preoccupato di non riattivare un pensie- tropologica irriducibile, che costituisce nella sua unità articolata
ro ‘metafisico’ della causa e dell’espressione, a suo avviso poten- una totalità antropologica originaria e storica insieme, che ha nel-
zialmente dualista. Ma la comprensione del fenomeno solleci- la forma della vita activa ovvero nel ‘politico’ la sua sintesi, inclu-
ta la ricerca della condizione di possibilità intrinseca della cosa, siva dell’esistenza lavorativa e di quella tecnico-produttiva. La cor-
che non sembra altrimenti identificabile se non come riconosci- relazione azione-mondo, perciò, riceve il suo reale spessore dalla
mento di un’originaria apertura trascendentale della mente uma- sindrome antropologica di cui l’azione è la cifra.
na, ovvero di una relazione intenzionale che, mentre va determi- l Ma, a sua volta, — in ciò l’originalità arendtiana — al cuore del-
nando i suoi contenuti, li ricomprende a priori e quindi struttu- l’azione/vita attiva sta come sorgente e paradigma la natalità, se-
ralmente come esistenti, intelligibili ed appetibili. É questo sfon- condo l’idea che esistere significa nascere al mondo e insieme che
do trascendentale che permette logicamente di aprire lo scena- nascere vuol dire far esistere il mondo. Il primato della nascita è
rio del mondo, sottraendosi all’immediatezza specializzata del- infatti condizione trascendentale indeducibile, quale evento sen-
la relazione ambientale ed è questa trascendenza interiore dello za cui nulla si dà ed entro cui solo si dà il propriamente umano.
sguardo umano che può giustificare lo svincolamento cognitivo «Lavoro, opera, azione — scrive H. Arendt — sono [...] radicati nel-
(esonero) ed affettivo (iato) dell'esperienza umana. In tal senso la natalità in quanto hanno il compito di fornire e preservare il
nella prospettiva gehleniana il soggetto in azione appare, in mo- mondo per i nuovi venuti [...]. Tuttavia, delle tre attività, è l’azio-
do rilevante, come il vivente portatore e operatore della dimen- ne che è in più stretto rapporto con la condizione umana della na-
sione di totalità. talità [...]», perché «la capacità di dar luogo a qualcosa di nuovo»,
che caratterizza l’azione, è ciò che la assimila al «cominciamento
inerente alla nascita». Per questo suo elemento di «iniziativa» la
18 Cfr. Mazzarella (a cura di), Antropologia filosofica, pp. 111, 155, 243, 132-133.
14 Cfr. Gehlen, L'uomo, pp. 73 e ss.
esiste.
15 Ibi, p. 110; ancora, «per lo scoiattolo la formica, sullo stesso albero, non
Per l’uomo non solo esistono entrambi, ma esistono i monti lontani e
le stelle [...]» E Arendt, Vita activa. La condizione umana, trad. it. Bompiani, Milano 1966, p.
(ibidem).
28 FRANCESCO BOTTURI AZIONE E TOTALITÀ SOGGETTIVA 29

nascita è componente di tutte le attività umane ed ha nell’azione uomini» e «necessitano della presenza degli altri», non solo a li-
il suo culmine e paradigma!”. ) vello degli «interessi specifici, oggettivi, mondani» in gioco, ma
La praxis, poi, si dà in endiadi originaria con la lexis, perché più basilarmente come «spazio relazionale», che costituisce un in-
l’azione è tale appunto in quanto è anche sempre parola, nella teresse in sé?0,
quale porta con sé e su di sé il proprio significato. Il solo lavoro, Di conseguenza, la sindrome antropologica, in cui l’agire uma-
infatti, è necessità e passività; l’opera, produttiva e tecnica, è atti- no trova origine, senso e compimento, attribuisce al mondo la qua-
vità priva in sé di significato; solo con l’azione, invece, appare il lificazione peculiare d’essere ‘mondo comune’. Il mondo che na-
significato: l’azione arendtiana è anche logos, parola e significato, sce con l’azione umana è il mondo dell’‘essere-in-comune?’. Il mon-
che nella sua forma storica compiuta è «discorso» principalmen- do, infatti, che non è certamente oggetto, non è neppure scenario
te nella forma della «narrazione» attiva e passiva, mentre nelle al- neutro dell’azione, bensì è lo spazio relazionale che accompagna
tre forme di attività il discorso gioca solamente il ruolo subordina- l’agire e il parlare, come un intreccio che non è solo il prodotto em-
to di «mezzo di comunicazione». pirico della molteplicità delle iniziative e dei discorsi, ma è la con-
Ma nascita e discorso sono dimensioni manifestative dell’azio- dizione strutturale dell’esserci del mondo in quanto umano. Que-
ne, la cui sindrome antropologica include perciò anche il momen- sto dunque non è scenario muto, bensì — potremmo dire — conte-
to della «rivelazione» del principio soggettivo costitutivo: nell’at- sto di interrogazione e di risposta e come tale condizione d’esisten-
to (come dirà con ampiezza K. Wojtyla), l’agente si rivela e rivela za dell’agire con significato. «Non potrebbe esistere vita umana —
«il “chi”, la [sua] identità unica e distinta», che è palesemente im- afferma Arendt- [...] senza un mondo che, direttamente o indiret-
possibile equiparare ad un che cosa. «Agendo e parlando - dun- tamente, attesti la presenza di altri esseri umani», perché è «la pre-
que - gli uomini mostrano chi sono, rivelano attivamente 1 unicità senza di altri, che vedono ciò che vediamo e odono ciò che udiamo,
della loro identità personale, e fanno così la loro apparizione nel [che] ci assicura della realtà del mondo e di noi stessi [...]»?1,
mondo umano [...]»!8. Al centro della struttura azione-nascita-di- L’avere, o meglio l’essere-in, un mondo comune non significa
scorso-rivelazione sta dunque il «chi», basilare condizione di sen- riassorbimento in esso del ‘chi’ individuale. Nel mondo conver-
so dell’agire: senza il «rivelarsi», infatti, «l’azione e il discorso per- gono invece l’‘identità’ e l’‘unicità’ della nascita attiva del sogget-
derebbero ogni rilevanza umana», mentre il rivelarsi apporta al- to umano e la ‘relazionalità pluralistica’ del suo essere linguistico-
l’azione «un nome, un “chi”», senza il quale l’azione sarebbe «pri discorsivo. Infatti, «vivere insieme nel mondo significa essenzial-
va di significato»!9. Al centro dell’agire — si può dire sinteticamen- mente che esiste un mondo di cose tra coloro che lo hanno in co-
te — sta dunque la nascita di un ‘chi’. mune, come un tavolo è posto tra quelli che vi siedono intorno; il
Il ‘nome’, insieme manifesto e velato, del ‘chi’, che sta al cen- mondo, come ogni în-fra, mette in relazione e separa gli uomini
tro dell’azione-cominciamento e del discorso-rivelazione, se per nello stesso tempo». Così sono salvaguardate ad un tempo l’uni-
un verso è origine segreta e inapparente dell’azione-discorso, per cità e la pluralità, ‘unicità plurale’ e la ‘pluralità di esseri unici’.
un altro ne è anche loro effetto, perché ha rivelazione in virtù del- Infatti, «agendo e parlando gli uomini mostrano chi sono, rivela-
l’iniziativa e della parola, che danno al ‘chi’ il suo spazio monda- no attivamente l’unicità della loro identità personale, e fanno co-
no; che è sempre anche uno spazio di relazione: «la rivelazione sì apparizione nel mondo umano» in cui la pluralità degli unici
del “chi” attraverso il discorso e l’instaurazione di un nuovo inizio ha la sua comunanza??,
mediante l’azione, ricadono sempre in un intreccio già esistente»
di relazioni umane. L’azione e il discorso si svolgono così «tra gli 20 Ibi, pp. 134, 137, 133.
21 Ibi, pp. 18, 37.
22 Ibi, pp. 39, 130. Interessante sarebbe a questo proposito un confronto analitico con
17 Ibi, p.8. la filosofia dell’essere-in-comune e della singolarità plurale di J.-L. Nancy, ai cui testi
18 Ibi, pp. 131, 130. rinvio (cfr. La communauté desoeuvrée, Christian Bourgois Editeur, Paris 1999 e Etre
singulier pluriel, Galilée, Paris 1996).
19 Ibi, pp. 133, 131-132.
FRANCESCO BOTTURI AZIONE E TOTALITÀ SOGGETTIVA 31
30

Benché Arendt rifiuti l’idea di «natura umana», assimilata a tuendo un campo che è sede di attività potenziale; percepiamo il
quella di un’essenza cosale, insieme oggettivistica (il ‘che cosa’ mondo attraverso la nostra capacità di agire in esso, per cui l’ac-
opposto al ‘chi’) e ultimamente inconoscibile (che cos'è la ‘co- cesso percettivo al mondo è fin dall’inizio percezione di un agen-
sa’ umana?), la sua concezione della «condizione umana» non te incarnato impegnato con il mondo?4. Nell’identità dell’agen-
è meno forte come proposta di una dinamica antropologica in te incarnato ne va dunque della natura dell'esperienza, la cui di-
cui è in gioco un’identità soggettiva che viene alla luce nell’azio- mensione pratica non è applicativa, ma originaria e dotata di va-
ne con un ‘nome’ presente e nascosto nel discorso che lo nomi- lore trascendentale. La comprensione riflessa dell’esperienza por-
na e nelle narrazioni che lo rappresentano: la ‘condizione uma- ta infatti su «argomentazioni trascendentali» che articolano delle
na’ dunque come manifestazione e occultamento della soggetti «pretese di indispensabilità» dell’esperienza in quanto campo di
vità, pensata — si potrebbe dire kantianamente — senza essere co- attività, quali il realismo dell’esperienza, che come tale è sempre
nosciuta. E, tuttavia, pensata come realtà a suo modo architettoni- ‘esperienza di’ qualcosa, la sua coerenza, la sua comprensione ca-
ca di azione-nascita-discorso-rivelazione/nascondimento-relazio- tegoriale?.
ne/essere in comune, che per un verso è incondizionata, origina- Tipica dell’antropologia tayloriana è l’affermazione che il fare
ria e indeducibile, e per l’altro è realtà storica uni-plurale sempre esperienza di qualcosa come ambito d’azione ha il suo sigillo spe-
aperta e in cerca di se stessa. Di questo sono espressione sinteti- cificamente umano nel fenomeno della «autovalutazione riflessi-
ca altre due categorie fondamentali di Arendt, quelle del «perdo- va», secondo l’espressione ripresa da H. Frankfurt?9. La ‘valutazio-
no» e della «promessa», quali «rimedio» che la stessa struttura at-
ne’ infatti è nella pienezza della sua possibilità umana, quando è
tiva del soggetto intraprende per far fronte all’«irreversibilità» e valutazione che prende ad oggetto altra valutazione, valutazione
all’«imprevedibilità» del processo storico avviato dall’agire?3. Per- di secondo grado resa possibile da una riflessione che il soggetto
dono e promessa, rispettivamente, quali recupero e rilancio nel- porta su se stesso come tale: questa la tesi di Taylor, che dobbiamo
la continuità diacronica dell’intero architettonico della ‘condizio- esaminare più attentamente.
ne umana’. Secondo il modello di Frankfurt caratteristica peculiare degli
esseri umani è la capacità di formarsi desideri di secondo grado,
cioè di valutare i propri desideri in rapporto ed in forza di altri
3. L'agente incarnato: Ch. Taylor e superiori desideri. Tipico dell’uomo è insomma la capacità di
presa di distanza dall’immediatezza desiderante (si pensi allo ‘ia-
Anche la teoria dell’azione di Ch. Taylor ha una certa ideale con- to’ gehleniano), che apre lo spazio per una valutazione riflessiva.
tinuità con l'antropologia di Gehlen sotto il profilo della ‘neces- Taylor, nel tentativo di comprendere la struttura di tali desideri
sità’ operativa della struttura umana. Anche qui è l’azione che co- esponenziali, ne coglie una condizione di possibilità che lo ricon-
stituisce punto di vista prioritario e sintetico della visione dell’uo- duce sulla via della sua riflessione trascendentale.
mo, nella forma appunto dell’«agente incarnato», che ne impedi- Come è noto, Taylor lavora con la distinzione della «valutazio-
ne debole» e della «valutazione forte». Alla ‘valutazione forte’ in-
sce la risoluzione procedurale; anche qui l’agente è necessitato al-
l’autointerpretazione, in cui vengono espresse le «regole costituti- teressa la qualità antropologica inclusa nella motivazione, per cui
l’alternativa con altro non dipende dall’incompatibilità operativa,
ve» della sua stessa esperienza.
La tesi dell’agente come soggetto incarnato (dall’analitica del-
la Zuhandenheit di Heidegger all’analisi della percezione di Mer- 24 Cfr. Ch. Taylor, Etica e umanità, a cura di P. Costa, Vita e Pensiero, Milano 2004, pp.
leau-Ponty) riguarda la natura dell’esperienza, del pensiero e di 35-37.
tutte le funzioni soggettive: già la percezione apre il mondo isti- 25 Ibi, pp. 39 e ss.
26 H. Frankfurt, Freedom of the Will and the Concept of a Person, «Journal of Philosophy»,
23 Cfr. Arendt, Vita activa, pp. 174 e ss.
67 (1971), p. 7.
32 FRANCESCO BOTTURI AZIONE E TOTALITÀ SOGGETTIVA 33

ma da un’incompatibilità non contingente con un modello di vi- prendendo posizione con riferimento ad un certo «tipo di vita» e
ta o un tipo di persona umana. Perciò nella valutazione ‘forte’ le a certe qualità antropologiche, ne decide l’«identità»5,
alternative sono di natura contrastiva ovvero confliggono in forza Che l’agente incarnato come valutatore forte abbia un’‘identi-
della loro natura intrinseca?”. L'essenza della valutazione forte ap- tà personale’ — così potremmo riassumere il tragitto fin qui fatto
pare chiaramente — osserva Taylor — nel caso in cui condanniamo con Taylor — ha ‘due condizioni strutturali’ su cui dobbiamo in-
un’azione già compiuta, quando cioè superiamo una motivazione sistere. La prima riguarda l’idea già nota dell’autointerpretazio-
già accolta in forza di un altro bene giudicato più degno; in que- ne riflessiva, nella sua forma di «riflessività radicale». La riflessivi-
sto caso si introduce infatti una «differenza di classe tra le moti- tà implicata nella valutazione forte, infatti, non solo - come già si
vazioni» stesse?8, che non dipende né dal desiderio soggettivo, né evidenziava — è immediatamente pratica, ma è anche radicale, se-
dalla fattibilità oggettiva. condo una visione che ha esplicita ascendenza agostiniana. Non
Si può sintetizzare, dunque, che, mentre la valutazione debole ogni riflessività è radicale: posso guardare la mia mano o posso ri-
è ‘di’ qualcosa o ‘tra’ qualcosa, la valutazione forte è ‘del rapporto flettere su di me senza quella radicalità che consiste in quel tipo
tra’ sé e qualcosa; che, mentre il soppesatore si occupa del buon di presenza a sé che «fa di me un essere capace di parlare di sé
esito del suo operare, il valutatore si occupa della realizzazione in prima persona», quale «agente di esperienza» asimmetrico a
di ciò che gli importa come persona. Ciò riporta alla dimensio- chiunque altro, dotato della «certezza dell’autopresenza». Presen-
ne riflessiva della valutazione e al suo valore fondante la specifici- za dunque del tutto opposta a quella certificata da qualunque re-
tà umana dell’agire. «Gli esseri umani sono animali che si autoin- soconto ‘obiettivo’ secondo un qualche tipo di ‘visione da nessun
terpretano», dice Taylor con Dilthey, Heidegger, Gadamer, Haber- luogo’, distaccato, di terza persona, a tutti identicamente accessi-
mas (ma anche Gehlen), accentuando l’aspetto riflessivo dell’in- bile, caratteristico del modello di «oggettività radicale»*.
terpretazione, che nel contesto del suo pensiero assume immedia- E chiaro dunque che la riflessività specifica dell’identità per-
tamente valenza pratica. Non si parla, infatti, di riflessività come sonale secondo Taylor, se non presuppone certo una visione tota-
coscienza-rispecchiamento, ma come consapevolezza dell’impli- le della soggettività, in una sorta di autotrasparente sapere assolu-
cazione della soggettività nell’oggetto di valutazione, più precisa- to, implica però un sapersi della propria attività agente come în-
mente delle «rilevanze (imports) relative-al-soggetto» del contenu- terpretazione în atto (sempre e solo prospettica) della totalità di sé. Si
to della valutazione. In questo senso le valutazioni forti «sono in- sta dicendo che l’‘autovalutazione riflessiva’ ripresa da Frankfurt
trinsecamente riflessive» per «il riferimento alla vita del soggetto» diviene in Taylor un’autointerpretazione valutativa in quanto me-
che le «rilevanze» contengono, sorgenti delle distinzioni di valore diata dalla coscienza ‘radicale’ di sé come totalità soggettiva. Solo
(superiore/inferiore, buono/cattivo) e delle relative gerarchie?9. a questa condizione, infatti, l’interpretazione di sé produce una
La capacità di formulare delle valutazioni forti è così indissolu- valutazione di ciò che è «importante», che abbia cioè «rilevanza»
bilmente connesso in Taylor con la sua idea dell’agente e della sua relativa-al-proprio-essere-soggetto come tale.
esperienza, come implicante una certa «concezione del sé» come La seconda condizione strutturale dell’identità personale valu-
«persona», essendo questa sinonimo di agente «che ha un senso tativa è il suo ‘orientamento al bene”. Se la prima condizione del-
di sé, della propria vita, che può valutarla e compiere delle scelte l'operazione valutativa, in cui l’agente incarnato ha la sua specifi-
| su di essa». Essere-persona significa dunque essere portatore di va- cità, è la riflessività radicale, la seconda è la sua (inevitabile) pre-
lutazione forte, il cui operare implica un’autointerpretazione che, sa di posizione nell’esistenza secondo un qualche criterio di bene.
La questione del bene, infatti, non è anzitutto una questione teo-

27 Cfr. Taylor, Etica e umanità, pp. 50-55.


30 Ibi, pp. 72, 135, 73.
28 Ibi, p. 113. 31 Id., Radici dell’io. La costruzione dell’identità moderna, trad. it. Feltrinelli, Milano 1993,
2 Ibi, pp. 87, 115. p. 172; cfr. p. 223.
34 FRANCESCO BOTTURI AZIONE E TOTALITÀ SOGGETTIVA 35

rica, ma pratica, nel senso che il bene non è innanzitutto qualco- che va cercando coerenza**. Significativamente il criterio della to-
sa con cui si ha una relazione oggettiva, ma nei cui confronti «ab- talità torna ad imporsi, essendo proprio la ‘sintesi narrativa’ — co-
biamo bisogno di collocarci nella posizione giusta», con cui avere me direbbero P. Ricoeur e A. MacIntyre — il luogo di manifestazio-
«contatto», come un «piano qualitativo superiore» a cui si appar- ne in progress dell’identità e dell’unità di una vita considerata co-
tiene e dal quale dipende «il valore della nostra vita», perché ne me totalità temporale. Identità e narrazione, infatti, sono con-
va della «direzione», del «senso» della nostra esistenza??. Il bene, giunte da un criterio di unità a priori, poggiato sul riferimento al
sul cui statuto Taylor non porta tutta la chiarezza che sarebbe ne- modello di vita buona e al progetto di vita conseguente, che rende
cessaria, è in tal modo ciò che dà contenuto e figura al senso com- possibile la costruzione storica della totalità antropologica®‘.
plessivo dell’esistenza dell’agente incarnato e ne rende valutativa In definitiva, l’identità dell'agente incarnato sembra portare in
l’autointerpretazione. sé l’‘articolazione’ di un ‘piano trascendentale’ di relazione al be-
Se, dunque, per un verso il discorso tayloriano conduce ad un ne nel modo della interpretazione riflessiva e valutativa entro un
olismo antropologico trascendentale, per un altro — quello so- contesto comunitario linguistico indispensabile e di un ‘piano sto-
prattutto di Sources of the Self lo integra accentuando la sua com- rico’ operativo su cui tale relazione riceve anzitutto le condizioni
ponente storico-ermeneutica, senza introdurre — a nostro avviso strutturali del suo esercizio, come le gerarchie architettoniche de-
— un’opposizione inconciliata, bensì completando l’esplorazio- gli «iperbeni» ordinatori dell’esperienza pratica, i modelli di vita
ne dello stesso olismo trascendentale come struttura permanen- di riferimento assiologico, i quadri di sfondo culturale, i linguag-
te dell’agente nella condizione della sua incarnazione storico-er- gi, secondo cui il bene è interpretato entro le possibilità che le co-
meneutica83. munità storiche rendono possibile. Piano storico operativo, che —
Con Aristotele, se il problema del bene è insito nel soggetto e come già si diceva — non è dissipazione delle condizioni trascen-
come tale è momento integrante della sua struttura trascendenta- dentali, ma loro esercizio, in cui la totalità soggettiva mostra la sua
le di agente, il ‘senso del bene’ va definendosi storicamente nel- processualità e dinamicità attuativa. È in questa articolazione del
la partecipazione ad una ‘comunità’ linguistica. «Noi non possia- trascendentale e dello storico che — a nostro avviso — sta il maggio-
mo diventar persone — nel senso operativo tayloriano — se non me- re arricchimento che il percorso tayloriano porta all’architettura
diante l’iniziazione a un linguaggio», con il quale acquisiamo lo della totalità antropologica.
strumento di concezione e di espressione delle coordinate esisten-
ziali entro cui prende consistenza la singola identità: «Io definisco
la mia identità indicando la posizione da cui parlo [...]». Ma la de- 4. La persona în azione: K. Wojtyla
finizione dell’identità non si ferma all’individuazione del «punto
da cui parlo», ma si completa con quella delle «persone a cui par- L’opera filosofica di K. Wojtyla punta alla ripresa dell’idea di per-
lo», delle «reti di interlocuzione» cui partecipo, della «comunità» sona attraverso un’‘analisi fenomenologica’ che supera un’eideti-
a cui faccio riferimento. «A questo punto — osserva Taylor — ci ren- ca descrittiva e giunge all’implicazione ontologica dell’essere-per-
diamo conto che [il] senso del bene deve fare tutt'uno con la no- sona, che si incontra con le tesi del personalismo classico. All’in-
stra concezione della vita come vicenda in corso di svolgimento», crocio di questi due cammini si colloca la realtà dell’azione, co-
la cui cifra antropologica riassuntiva sta nella ricerca ‘narrativa’ me luogo logico-ontologico di manifestazione fenomenologia e
di senso, cioè in un racconto soggettivo, socialmente significativo,
34 Taylor, Radici, pp. 53-54, 67.
3° Ibi, pp. 63, 61, 67. 85 Cfr. P. Ricoeur, Soi-méme comme un autre, Seuil, Paris 1990, p. 175 e A. MacIntyre, After
33 Nel senso dell’opposizione dei due versanti del discorso tayloriano cfr. R. Mordacci, virtue. A study in moral theory, University of Notre Dame Press, Indiana 1981, in part.
Charles Taylor: l’identità moderna tra genealogia e normatività, in C. Vigna (a cura di), Li- cap. 15 su virtù, unità della vita e tradizione.
bertà, giustizia e bene în una società plurale, Vita e Pensiero, Milano 2003, pp. 383-419. 3% Cfr. Taylor, Radici dell’io, pp. 67-72.
36 FRANCESCO BOTTURI AZIONE E TOTALITÀ SOGGETTIVA 37

di realizzazione ontologica dell’essere-persona. «L’uomo si rive- la disponibile, quando è passata, alla memoria e alla conoscenza.
la nell’agire e attraverso l’agire, nell’atto e attraverso l’atto. Quin- «La coscienza, infatti, — afferma Wojtyla — non solo rispecchia, ma
di la persona e l’atto costituiscono una realtà dinamica profonda- anche interiorizzain modo particolare ciò che rispecchia, dando a
mente compatta, nella quale la persona manifesta e si spiega per tutto ciò un posto nell’“io” della persona»5°. La coscienza dunque
mezzo dell’atto e l’atto per mezzo della persona»?7. non esaurisce il suo compito nella «funzione illuminante e rispec-
Il metodo di indagine però va dall’atto alla persona, perché è chiante», bensì la completa e la approfondisce «nel formare l’espe-
l’atto «il particolare momento in cui la persona si rivela», non so- rienza vissuta, il che permette all’uomo di sperimentare in modo
lo nel suo contenuto, ma anche e principalmente nella sua «real- particolare la propria soggettività». In forza della coscienza non è
tà dinamica» interiore, di cui la persona è il «soggetto operati- dato all’uomo solo di sapersi («rispecchiamento»), ma anche di
vo». Nel suo atto proprio, infatti, il soggetto è dato «dall’inter- viversi («riflessione» in senso stretto). Attraverso questa duplice
no», come «esperienza», come «soggettività sperimentale», come funzione della coscienza abbiamo la consapevolezza del nostro es-
«io». In tal senso, «la relazione persona-atto è anzitutto un’espe- sere nella sua oggettività reale e insieme l’esperienza vissuta della
rienza vissuta» nel modo della «praxis». In conclusione, il ‘centro nostra pura soggettività.
focale dell’indagine’ è quell’«essenza del dinamismo proprio del- La coscienza che accompagna l’azione, dunque, svela la sog-
l’atto umano» che è «l’interrelazione tra la coscienza e l’operati- gettività a se stessa, la apre «verso l’interno»: «la funzione riflessiva
vità della persona», in cui la persona trascendendo se stessa esibi- della coscienza consiste in tale svelamento», grazie al quale «l’uo-
sce «la struttura principale dell'esperienza». Infatti, nell’atto uma- mo in qualche modo esiste “verso l’interno” [...]», cioè «l’uomo»,
no, in quanto agire, si dà la ‘trascendenza’ dell’essere autore su/- che «è un soggetto», «vive interiormente se stesso come soggetto»
l'azione, mentre, in quanto esperienza vissuta, si dà l'‘immanenza’ concreto, secondo una comprensione di sé che «ha origine dal-
dell’azione nell'agente. In tal modo, «“l’io operativo” e “l’io agen- l’esperienza senza alcun passaggio intermedio».
te” formano ogni volta una sintesi dinamica e un’unità dinamica Tale immediatezza è dunque il punto fermo della costruzione
in ogni atto. Ed è questa appunto la sintesi e l’unità della perso- wojtyliana, di cui valutare la saldezza, potendosi riproporre le dif-
na con l’atto»38, ficoltà proprie dell’affermazione immediata del cogito. Forse que-
Nel nostro percorso, dunque, il discorso di Wojtyla presenta sta filosofia della soggettività ricorre troppo in fretta all’evidenza
ampi spazi di confrontabilità con le problematiche già incontrate, del soggetto, mentre rimarca giustamente quella del vissuto co-
mentre offreil contributo specifico della sottolineatura della ‘co- scienziale. Ci sembra importante riconoscere l’apoditticità di que-
scienza’ come fattore irriducibile dell’agente incarnato, condizio- sta e mettere in discussione quella. Non è obiezione, infatti, al-
ne del suo fare esperienza e sigillo della sua unitotalità strutturale, l'evidenza irriducibile della coscienza di prima persona dell’agen-
rivelativo di una realtà identitaria della ‘persona’, interpretata se- te il pensare che invece l’io, via inventionis, non goda la medesima
condo un’accezione ontologica meta-operativa, in cui la prospet- evidenza, ma ne partecipi piuttosto come risultato di una costru-
tiva antropologica raggiunge una profondità fondativa nuova. zione induttiva, che salvaguardi l’istanza empiristica delle eviden-
L’atto è per Wojtyla «l’azione cosciente dell’uomo», essendo la ze minime. Dell’io, dunque, bisognerebbe parlare con la consa-
coscienza il luogo di manifestazione di ciò di cui l’uomo è soggetto pevolezza critica della sua evidenza induttiva, rispetto a quella im-
e dunque «aspetto essenziale e costitutivo di tutta la struttura di- mediata della coscienza vissuta degli atti, che esigono una funzio-
namica della persona e dell’atto»: l’uomo agisce coscientemente ne egoica unitaria come ragion d’essere della loro comunanza co-
ed è consapevole della sua azione, cioè d’essere lui ad agire. La co- scienziale, del loro avere in comune d’essere atti ‘coscienti’. Dun-
scienza accompagna l’azione in atto e la «rispecchia», rendendo-
39 Ibi, pp. 45, 55.
87 K. Wojtyla, Persona e atto, Lib. Ed. Vaticana, Città del Vaticano 1982, p. 205. 40 Ibi, p. 64.
38 Ibi, pp. 29, 39, 38, 35, 94. 41 Ibi, pp. 68, 80.
38 FRANCESCO BOTTURI AZIONE E TOTALITÀ SOGGETTIVA 39

que — come dice del resto lo stesso Wojtyla —, il dato che si impone riflessivo, operatore dell’autocomprensione che costituisce la por-
è anzitutto «la forma dell’esperienza vissuta»‘, che — precisiamo ta di accesso della persona a se stessa e il principio della perma-
noi — a partire dagli atti si estende, per induzioni progressive (co- nente ritotalizzazione della totalità antropologica.
scienza, io, soggetto) fino a riguardare la totalità antropologica. L’«unione dinamica tra persona e atto», mediata dal soggetto
L’uomo, dunque, «come “io” vive interiormente se stesso come (nel senso ampio ricomprensivo della polarità di «soggettività» ed
agente» e nell’agire l’uomo si esperimenta come soggetto. Tutta- «operatività»), è caratterizzata secondo Wojtyla da un movimento
via l’uomo fa anche l’esperienza passiva del suo dinamismo (come di «trascendenza verticale», cioè una «specifica preminenza [del-
nell’husserliana «sintesi passiva»), quando in lui accade qualco- l’uomo come persona] rispetto a se stesso e al suo dinamismo»,
sa che, pur essendo attualizzazione di una sua potenzialità, non è nella forma dell’«autodominio» e. dell’«autopossesso»‘. L’auto-
sua azione. A questo livello il soggetto è inteso letteralmente come trascedenza (con la terminologia di B. Lonergan) della persona
sub-jectum, come soggettività che ha coscienza diretta o prende co- si concretizza, sulla linea dell’intenzionalità pratica, come «auto-
scienza tramite conoscenza di qualcosa che la riguarda, ma senza determinazione» dell’agire volontario, con cui ogni uomo eser-
la sua partecipazione operativa. Questa opposizione di «soggetti- cita attualmente un inalienabile e specifico «potere nei confron-
vità» e «operatività» definisce — come già accennato — i «due indi- ti di sé», con cui il «soggetto» volente diventa «oggetto» di se stes-
rizzi fondamentali dell’unico dinamismo umano», non potendo- so e quindi non solo sceglie, ma anche decide «operativamente di
si evitare il pensiero dell’unità e dell’identità dell’uomo alla base se stesso». Che è la formula ‘dialettica’ della libertà, secondo cui
dell’agire e dell’accadere, se non a prezzo della dissoluzione della «l’uomo vive interiormente la sua indipendenza in relazione agli
soggettività stessa secondo una qualche forma di radicalismo em- oggetti [intenzionali del volere], perché alla radice delle sue azio-
piristico. La tesi personalista di Wojtyla prende corpo a questo pun- ni porta sempre la sua fondamentale dipendenza da sé»: la liber-
to del suo itinerario, a partire cioè dall’idea di un rinvio necessa- tà «in senso fondamentale è la dipendenza da sé» ed «in senso svi-
rio (per salvare l’evidenza esperienziale) ad una comune «rad? luppato è indipendenza nel campo intenzionale»; tale disposizio-
ce» dell’unità/unicità dinamica dell’umano, ripartita nelle forme del- ne della volontà da se medesima, la rende libera dai «motivi», dai
la sua soggettività e della sua operatività”. quali essa non dipende, ma ai quali «risponde» in relazione alla
In tal senso l’«uomo-persona» è l’invisibile ma realissima «sin- «verità» pratica («verità sul bene»), verso cui è costitutivamente
tesi delle esperienze vissute e delle strutture dinamiche» dell’esse- disponibile e perciò responsabile‘. La trascendenza della perso-
re umano, in cui si ricapitola ed arricchisce il concetto classico di na nell’atto, attraverso l’operatività soggettiva, infatti, si manifesta
suppositum, quale soggetto ultimo di sintesi, interpretato nel senso come «dipendenza da sé, dipendenza dall’io» e si fonda nella «di-
non dello statico soggiacere, ma dell'essere «fonte dinamica», che pendenza dalla verità», in forza di cui «la trascendenza della liber-
scaturisce a sua volta dalle profondità dello stesso ‘essere’ soggetti- tà passa in trascendenza della morale». Sullo sfondo della trascen-
vo. L’uomo-persona è dunque il «qualcuno» che è «fondamento» denza verticale della persona sta, in ultima istanza, «la relazione
e «fonte» del dinamismo di tutto ciò che accade passivamente nel- con i trascendentali», vero, bene, bello classicamente intesi8.
l’uomo e insieme di tutta la sua operatività cosciente‘. La struttura wojtyliana della soggettività personale si completa,
Si deve perciò concludere che, se non tutto è soggettivo nel- infine, con altre due dinamiche, quella dell’«integrazione» e quel-
l’uomo, tutto è però in lui personale, essendo la ‘persona’ il nome
dell’invisibile radice della totalità antropologica, che sta sotto ed oltre
sia il dinamismo preriflessivo (vegetativo o preconscio), sia quello 45 Ibi, pp. 205, 207.
46 Ibi, pp. 133, 135, 146.
47 Ibi, pp. 147, 165, 164, 196.
4 Ibi, p. 80. 48 Ibi, pp. 180-181. Cfr. anche Id., Trascendenza della persona nell’agire e autoteleologia del
4 Ibi, pp. 94, 98. l’uomo, in G. Reale - T. Styczen (a cura di), Metafisica della persona, Bompiani, Milano
44 Cfr. ibi, pp. 100-101. 2003, pp. 1414-1415.
40 . FRANCESCO BOTTURI AZIONE E TOTALITÀ SOGGETTIVA 41

la della «partecipazione», nelle quali la persona si realizza nell’at- dell’uomo come persona derivi dalla relazione con altri. Tuttavia
to e l’azione si personalizza. con breve intenso accento, che potrebbe essere lévinassiano, iden-
Il processo di «integrazione» si impone come necessaria corre- tifica la partecipazione, «proprietà dinamica della persona», con
lazione somatica e psichica del movimento di autotrascendenza, la figura del «prossimo», come capacità strutturale di «interrela-
come conciliazione della «tensione tra l’operatività spontanea del- zione nell’umanità», come «capacità di partecipazione all’umani-
la psiche umana e l’operatività della persona» od anche - secondo tà di ogni uomo», dove il personale mostra la sua profondità ed
la terminologia già richiamata — della «tensione tra la soggettività universalità”. L'affermazione è in realtà forte, perché prospetta
e l'operatività della persona». Si tratta dell’esigenza di unità della l’idea che, come l’uomo non possa agire senza trascendersi nel-
persona, che, in dipendenza dal profondo movimento autorifles- la sua autodeterminazione, così non possa rapportarsi senza eser-
sivo dell’«autodeterminazione» personale, chiede che anche la vi- citare la capacità (eventualmente deformata o accecata) di esse-
ta somatica e psichica siano integrate nel tutto antropologico. re «prossimo». Ancor più, la prossimità essendo la profondità uni-
Di massimo rilievo è «la tensione fra l’autodeterminazione, versale dell’essere-persona, sembra doversi dire che all’uomo non
cioè l’operatività propria della persona, e l’emotività, cioè l’ope- è dato agire senza disponibilità all’essere-prossimo e dunque sen-
ratività spontanea della psiche umana» e dunque fra la volontà e i za implicare la sua relazionalità.
sentimenti”. Il bisogno di una certa integrazione — osserva Wojty- L’agire è, dunque, per Wojtyla manifestazione ed esercizio della
la — non significa che l’ambito dell’emotività di per sé comporti persona umana, in ciò rivelando una doppia valenza trascenden-
«disintegrazione», secondo la tendenza interpretativa dello stoi- tale. Quella della verità strutturale della persona, come totalità
cismo e del kantismo, bensì che l’unità antropologica, in quanto soggettiva ed operativa unificata dal suo centro personale invisi-
unità di una totalità dinamica, non è un dato ma una possibilità bile, e quella dei dinamismi di autotrascendenza, di integrazione,
ed un processo sempre aperto. Potremmo dire che l’uni-totalità di partecipazione, secondo cui la totalità personale è nel suo eser-
personale mostra anche a questo livello di esistere come proces- cizio storico di permanente e articolata totalizzazione. In tal mo-
so di continua ritotalizzazione. Nel caso del rapporto tra «sogget- do l’inapparente totalità personale è insieme ideale e regola di sen-
tività» spontanea e «operatività» volontaria la totalizzazione per- so dell'agire.
sonale prende la forma delle «abilità morali» ovvero delle «vir-
tù», che, secondo la dottrina già aristotelica, comporta non il sof-
focamento, ma l’integrazione appunto dell’energia emotiva nel- 5. Le categorie dell’azione
l’operatività razionale, il rafforzamento dell’«energia della volon-
tà stessa», Comune agli autori che abbiamo considerato è la tesi, esplicita
Infine, la «partecipazione» è il corrispondente della trascen- o implicita, che esiste un nesso espressivo-rivelativo tra l’essere uma-
denza personale nel compimento d’atto «insieme con gli altri». no e la sua azione. È questa un’affermazione impegnativa che sta-
La partecipazione non è un tipo di operazione, ma una dimensio- bilisce un legame che impedisce tanto di considerare soggetto
ne antropologica, quella che fa sì che il fattuale agire-insieme-con e azione l’uno indipendentemente dall’altra, quanto di identi-
divenga «cooperazione» autentica. Detto altrimenti, la partecipa- ficarli.
zione è ciò che rende atto «personalistico» l’agire-insieme-con?!. L’azione appare anzitutto come mediazione di mondo e di sog-
Wojtyla non condivide l’idea comunitarista o interpersonalista, gettività, di necessità e di libertà, di conservazione e di creatività.
secondo cui la conoscenza (e tanto più la realtà) fondamentale
52 Ibi, 330; sul primato della conoscenza della persona attraverso l’atto e non la re-
49 Wojtyla, Persona e atto, pp. 277-278. lazione cfr. pp. 306-307 nota. Il discorso su «comunità interpersonale» e «comunità
50 Ibi, pp. 277, 285-286. sociale» si completa in Id., La persona: soggetto e comunità, in Reale - Styczen (a cura di)
51 Ibi, pp. 805, 316, 307. Metafisica della persona, pp. 1367 e ss.
42 FRANCESCO BOTTURI AZIONE E TOTALITÀ SOGGETTIVA 43

L’uomo non può non agire, è anzitutto il modo della sua autocon- valutazione di ciò che ‘importa’ all’agente, di ciò che lo riguarda
servazione; ma non può agire se non come apertura di mondo, come tale. Nella riflessività appare una relazione pratica di inte-
ponendosi in esso come soggetto attivo, linguistico e relaziona- resse globale, in cui è in gioco il nesso di senso dell’ agente come
le e perciò interprete del mondo e insieme (riflessivamente) del- tale con il suo mondo come tale.
la sua stessa relazione al mondo: in sintesi, come soggetto di espe- Linguaggio, coscienza, riflessività, relazione vengono a com-
rienza e di cultura. porre la dimensione dell’ esperienza: agire è fare esperienza da par-
Per questo l’azione appare anche come luogo di nascita, come te del Sé, cosciente e linguisticamente determinato, impegnato
inizio del mondo e come iniziativa della soggettività; là dove essa nell’interpretazione/autointepretazione del suo rapporto, anzi-
viene alla luce e dove mostra la sua natura, cioè d’essere intrinse- tutto pratico, con il mondo comune.
camente — secondo l’etimologia verbale del participio futuro lati- c) L’azione in quanto tale è inizio, svincolamento dalle condi-
no — natura, sempre sul punto di nascere: «l’uomo è l’essere che zioni date (‘esonero’ e ‘iato’) e iniziativa. Ma alla base del suo po-
agisce» (Gehlen), che agendo viene al mondo e nell'azione ma- ter essere inizio — come già traspare nella mediazione della co-
nifesta il suo essere soggettivo. L'azioneè in tal senso inzzi0 e sin- scienza-riflessività — sta un movimento di autotrascendenza, condi-
tesi vivente dell’esistente umano, come esercizio storico di identi- zione di possibilità dell’esonero e dello iato gehleniani e in gene-
tà e come processo produttivo di novità. L'azione documenta co- re della distanza dall’immediatezza, come indipendenza da tutto
sì l’originarietà della ‘prima persona’ — e della polarità di prima e e dipendenza da se sola, per cui l'agente ha mondo senza dipen-
di seconda persona — come modo d’essere al mondo del soggetto dere in assoluto dal mondo e dipende dal mondo come colui che
umano rispetto alla passività del modo di terza persona. mantiene insieme dominio su di sé.
Il senso epifanico soggettivo dell’azione è giustificato non dal- Mondanità e autotrascendenza, quali dimensioni fondamenta-
l’intuizione della sua invisibile ulteriorità, bensì dagli effetti e dal- li dell’agire umano in quanto umano, segnalano l’esistenza di una
le condizioni dello stesso accadere attivo, che si dispongono in condizione trascendentale dell’agire. l’azione non potrebbe inaugura-
ideali cerchi concentrici di progressiva intensificazione. re il ‘mondo’, se lo sguardo umano non fosse aperto secondo to-
a) Che il correlato dell’azione sia il mondo significa che l’agi- talità e se la relazione umana non fosse in-dipendente dalla biu-
re comporta la rottura del rapporto biunivoco tra vivente ed am- nivocità della relazione ambientale. È necessaria una trascenden-
biente e la definizione dello spazio di possibile iniziativa e creati- talità onto-antropologica che renda conto dello scenario onnila-
vità. Spazio innervato dalla competenza linguistica e intessuto dei terale e creativo dell’agire umano. La forma più rigorosa e origi-
linguaggi storici, che rendono lo spazio da sempre abitato da altri naria di trascendentalità si conferma essere quella in cui si corre-
agenti e dunque spazio relazionale, ambito di interlocuzione e di co- lano l’onnicomprensività della struttura soggettiva di relazione e
municazione; mondo comune, disponibile per un'esistenza parte- la sovrauniversalità del termine di relazione (l’essente intelligibi-
cipata tra gli agenti, secondo una dimensione strutturale di pros- le appetibile).
simità comunitaria, che antecede logicamente ogni forma istitu- d) A questo punto è possibile parlare, con cognizione di causa,
zionale. di soggetto di cui l’azione è manifestazione, non come presuppo-
b) L’agire umano non è solo operazione intenzionale e relazio- sto, né come oggetto di intuizione, ma come il chi transfenomeni-
nale, è anche operazione riflessiva, coscienza per la quale l’agen- co (secondo la terminologia di Wojtyla) implicato nelle condizio-
te si sa e si vive, è presente a sé e sa come sua l’azione, è dunque ni fenomeniche dell’agire; come quella implicazione dotata del-
attivo in prima persona. La coscienza poi non è solo accompagna- la natura del ‘chi’: l'aldilà immanente dell’io parlante e interpre-
mento e interiorizzazione, presenza ed esperienza dell’io, ma è tante, il soggetto dell’esperienza autotrascendente di mondo; più
capace di riflessività radicale, in cui la presenza orizzontale dell’io ampiamente, il principio dell’unità dell’esperienza e di tutto ciò
diventa relazione verticale al Sé e l’interpretazione del mondo si che in essa è incluso (anche di non soggettivo), la persona.
accompagna con un’ autointerpretazione, una comprensione ed una La persona, dunque, non come risultato dell’operare o non co-
dd FRANCESCO BOTTURI AZIONE E TOTALITÀ SOGGETTIVA 45

me condizione dell’agire morale (secondo la visione ancora limi sua appartenenza ed eccedenza, della sua conferma e novità, del-
tativa, kantiana, di Taylor), ma — la coerenza dalle premesse lo esi- la sua verità e falsità rispetto alla totalità soggettiva.
ge — come principio generatore; se si vuole, come centro geome- Rispetto a questa misurazione di senso prende rilievo la diffe-
trico dei cerchi concentrici che ne manifestano l’esistenza e pun- rente considerazione empirica ed etica dell’azione. La considera-
to inesteso delle estensioni geometriche. zione empirica dell’azione prescinde metodologicamente dal nes-
In senso strutturale e dinamico il soggetto personale dell’agire so di senso dell’agire. E la considerazione dell’agire volta alla sua
è dunque totalità, come ‘luogo geometrico” unificante dell’archi- consistenza ontica e tecnica, secondo criteri di coerenza e d’effi-
tettura antropologica implicata nell’azione, ed è principio di tota- cienza, di rispondenza ad aspettativa e d’efficacia, tipici del pro-
lizzazione come ‘luogo genetico’ delle sintesi passive e delle ope- filo tayloriano della valutazione debole. È la considerazione etica
razioni attive. dell’azione, invece, che si interroga sul senso dell’azione in quan-
e) L’agire soggettivo, dunque, si rivela essere l'articolazione vi- to appartenente all’insieme attivo del soggetto agente, con una va-
vente di una struttura trascendentale e del suo esercizio storico; come ap- lutazione forte che varca la distanza tra la periferia dell’azione e il
pare chiaramente nel gioco arendtiano tra il ‘chi’, svelato e vela- centro della soggettività, in direzione sia dell’integrazione di tut-
to, e l'architettura antropologica della parola (discorso, narrazio- te le dimensioni antropologiche (etica individuale), sia della par-
ne, comunicazione) e dello spazio comune di relazione; in quel- tecipazione al mondo comune (etica sociale).
lo tayloriano tra l'orientamento al bene e le condizioni attuative
delle reti di interlocuzione della ricerca narrativa, della comuni-
tà; in quello di wojtyliano tra l’essere-persona autotrascendente e
le sue realizzazioni integrative e partecipative secondo virtù eti-
che e sociali.
La totalità soggettiva non è perciò totalità compiuta, stato o ri-
sultato, bensì è principio e processo sempre in esercizio nei suoi
atti, è globalità del dinamismo umano, delle sue condizioni e dei
suoi esiti, e quindi sua continua ri-totalizzazione. la struttura tra-
scendentale funge da principio dell’esercizio storico, in cui essa
si realizza come processo. Poiché è tale, apertura secondo totali-
tà al mondo e alle altre totalità agenti che lo abitano ed è insie-
me principio di unificazione/totalizzazione dell'esperienza, come
un’identità indivisibile presente in ogni parte del tutto.
f) Nella sua modalità primaria l’intenzionalità del vivente-che-
agisce è pratica, in quanto intenzionalità direttiva dell’azione. L’in-
tenzionalità pratica, come intenzionalità della totalità soggettiva,
di per sé introduce la dimensione di senso dell’azione. L’azione,
infatti, è tale nella misura in cui è vissuta come evento di una to-
talità soggettiva e di una soggettività totalizzante la sua esperienza
con il suo correlato mondano. Quindi l’azione è necessariamen-
te vissuta secondo la sua costitutiva sproporzione rispetto all’uni-
totalità cui appartiene; sproporzione che è l’intervallo che unisce
e separa ad un tempo l’azione dal suo soggetto e la carica dell’esi-
genza della sua misurazione di senso, cioè della valutazione della
ROBERTO MORDACCI*”

Teorie del bene e teorie delle ragioni:


l’azione umana e l’autorità della morale

Una panoramica esaustiva dei modelli della normatività morale


nella letteratura eccede certamente gli scopi di questo contribu-
tol. Una visione sintetica d’insieme può tuttavia offrire elemen-
ti critici sufficienti per mettere a fuoco la questione principale.
Opereremo qui una selezione basata soprattutto sul criterio del-
l’esplicito riferimento al linguaggio delle «ragioni per agire». Si
tratta di un approccio diffuso almeno a partire dalla fine degli an-
ni Cinquanta e che ha avuto le sue prime formulazioni in auto-
ri come Stephen Toulmin, Kurt Baier e Marcus Singer?. Caratte-
ristico di questo approccio è porre il soggetto al centro dell’inda-
gine, poiché ciò che deve essere vagliato sono precisamente le ra-
gioni con cui un individuo pretende di giustificare le proprie azio-
ni. In quest'ottica, quindi, ci si chiede come le ragioni individua-
li possano ottenere un riconoscimento di validità intersoggettiva.
Il linguaggio delle ragioni è divenuto ormai comune nella filoso-
fia analitica, non solo in etica ma altrettanto in filosofia della men-
te e dell’azione?. Come scrive Donald Davidson, «una ragione pri-
*
Professore associato di Filosofia morale presso l’Università San Raffaele di Milano
«Vita-Salute».
! Questo lavoro è svolto più ampiamente, sia in termini di modelli storici sia per
quanto riguarda il contesto conteporaneo, nel nostro Ragioni personali. Saggio sulla
normatività morale, Carocci, Roma 2008.
? Cfr. S. Toulmin, An Examination of the Place of Reason in Ethics, Cambridge University
Press, New York 1950, trad. it. Ragione e etica, Ubaldini, Roma 1970; K. Baier, The
Moral Point of View. A Rational Basis of Ethics, Cornell University Press, Ithaca 1958, ed.
ridotta New York 1965; M. Singer, Generalization in Ethics, New York 1961. Come scrive
S. Cremaschi (L'etica del Novecento, Carocci, Roma 2005, pp. 78-89) «Le “ragioni”,
idea introdotta dal secondo Wittgenstein, sono diverse dalle cause, sono espressioni
linguistiche rientranti in un’argomentazione e tali da modificare la conclusione
precedente; spiegare secondo ragioni equivale a comprendere un modo di vedere o
a entrare in un gioco linguistico» (p. 78).
3 Per un’emblematica analisi del funzionamento della mente tracciata esplicitamente
in termini di ragioni per credere o agire si veda J. Searle, Rationality in Action, MIT
48 ROBERTO MORDACCI TEORIE DEL BENE E TEORIE DELLE RAGIONI 49

maria per un’azione ne è la causa»*: il modo migliore per spiega- Goodness, è quello di dar conto dell’effettività della riflessione
re un’azione è ricondurla a una ragione che si possa considerare morale: per Foot come per Hume la moralità condiziona realmente
come una causa sufficiente. le nostre vite e per questo occorre formulare una teoria che possa
spiegare sia tale effettività sia il potere normativo dei giudizi
morali. Nell'attuale contesto, la posizione di Foot è significativa
1. Una versione naturalistica proprio perché svincolata tanto da presupposti empiristici quanto
da teorie metafisiche; il naturalismo qui proposto si presenta, per
Il naturalismo etico? sostiene che il fondamento di validità dei così dire, come un naturalismo post-empirista e post-metafisico.
giudizi morali risiede in alcuni ‘fatti e proprietà naturali’ delle L'errore dell’espressivismo per Foot consiste nel
cose o degli agenti. Le ragioni morali sono perciò autorevoli nella
misura in cui sono considerazioni sui fatti rilevanti nella situazione costruire ciò che è ‘speciale’ circa il giudizio morale in modo tale che
e riferibili al soggetto in quanto individuo umano. Il soggetto la fondazione di un giudizio morale non può congiungersi al giudizio
agente ha come compito fondamentale il riconoscimento della medesimo. Qualunque ‘fondamento’ (grounds) sia stato offerto, un
realtà di tali fatti e della loro rilevanza per la deliberazione. I fatti soggetto può non essere pronto a, o addirittura non essere in grado di,
morali cui le ragioni si riferiscono possono essere sia caratteristiche formulare il giudizio morale, perché egli non possiede l’inclinazione
delle situazioni o degli atti, sia dimensioni essenziali degli enti (attitude) o il sentimento appropriati, non si trova nello stato mentale
coinvolti nella deliberazione, in particolare l’agente stesso e gli ‘conativo’, non è pronto a prendere la decisione: qualunque cosa sia ciò
che la teoria richiede. È questo salto (gap) fra il fondamento e il giudizio
altri viventi che lo circondano.
morale che io sto negando. Nella mia prospettiva non vi sono simili
Questa prospettiva è ben rappresentata da Philippa Foot nel condizioni per il giudizio morale e perciò non vi è un tale salto (NG, pp.
suo Natural Goodness. La mossa aristotelica nella riflessione di Foot 8-9).
è motivata da una radicale insoddisfazione verso l’espressivismo:
l’obiezione di fondo è che quest’ultimo non appare in grado L’espressivismo cerca di rispondere alla giusta domanda nel
di corrispondere al requisito di praticità della morale. Questo modo sbagliato: il requisito humiano di praticità, cioè la tesi per
punto è un segno di continuità con il passato, dal momento che il cui la moralità è necessariamente pratica e perciò guida l’azione,
principale interesse di Foot, dai saggi di Virtues and Vices” a Natural non può essere spiegato riducendo l’intero linguaggio morale
all'espressione di inclinazioni o atteggiamenti del parlante. Ciò
Press, Boston 2001, trad. it. di E. Carli e V. Bramé, La razionalità dell’azione, Cortina, dipende da una psicologia empiristica della motivazione, che
Milano 2003. riconduce quest’ultima alla spinta meccanica di uno o più desideri.
4D. Davidson, Essays on Actions and Events, Clarendon Press, Oxford 1980, trad. it. di
R. Brigati, Azioni ed eventi, a cura di E. Picardi, Il Mulino, Bologna 1992, p. 52.
Piuttosto, secondo Foot il requisito di Hume va affrontato nel più
5 SecondoJ. Lenman, «mentre “naturalismo morale” è talvolta impiegato per riferirsi anti-humiano dei modi, ovvero con la tesi per cui la moralità è
a qualsiasi approccio in metaetica che intenda essere coerente con il naturalismo intrinsecamente pratica perché è parte della razionalità pratica
in metafisica, l’espressione è più frequentemente riservata a forme naturalistiche di (cfr. NG, p. 9). Foot dice espressamente che il motivo per cui le
realismo morale, secondo le quali vi sono fatti e proprietà morali oggettivi e questi
fatti e proprietà sono fatti e proprietà naturali. Concezioni di questo tipo sembrano
sue soluzioni precedenti di questo problema erano insufficienti è
a molti in grado di coniugare i vantaggi del realismo e del naturalismo, ma sono che ella sosteneva ancora «una teoria più o meno humiana delle
sembrati a molti altri non in grado di rendere giustizia ad alcune dimensioni pratiche ragioni per agire, assumendo come certo che le ragioni dovessero
fondamentali del nostro uso dei concetti morali». Cfr.J. Lenman, “Moral Naturalism”,
in E.N. Zalta (ed.), The Stanford Encyclopedia of Philosophy (Fall 2006 Edition), URL =
essere basate sui desideri dell’agente» (NG, p. 10). Dar conto del
<http://plato.stanford.edu/archives/fall2006/entries/naturalism-moral/>. requisito di praticità con una teoria delle ragioni basate sui desideri
6 P. Foot, Natural Goodness, Clarendon Press, Oxford 2001. Citiamo da questo volume significa secondo Foot non dar conto di nulla: le considerazioni
nel testo con la sigla NG. specificamente morali restano estranee a questo quadro.
7 Ead., Virtues and Vices, University of California Press, Berkeley 1978. Il criterio della ragion pratica va piuttosto derivato da quello
50 ROBERTO MORDACCI TEORIE DEL BENE E TEORIE DELLE RAGIONI 51

della bontà del volere (cfr. NG, p. 11); in questo, dice Foot, ha l’unica cosa razionale da fare è un dovere nel senso che è ipso facto
perfettamente ragione Kant: la bontà morale è bontà del volere. «difettoso» (defective) agire altrimenti. Fare qualcosa di moralmente
L’errore di Kant sta nel pensare che l’idea di ragion pratica ci sbagliato è dello stesso genere di questo «difetto» rispetto alla
offra direttamente i contenuti di un codice morale; tali contenuti ragion pratica. Il bene è parte della condizione necessaria posta
derivano invece «anche da caratteristiche essenziali della vita dalla razionalità pratica, nel senso che non solo la prudenza è
specificamente umana» (NG, p. 14). Le virtù consistono nella comandata dalla razionalità pratica, bensì anche il perseguimento
capacità di riconoscere certe considerazioni come ragioni per di alcuni beni fondamentali necessari alla vita umana, fra cui
agire rilevanti e nell’agire di conseguenza. La comprensione di ad esempio il promettere, la giustizia e la virtù in generale. La
ragioni (quindi un atto intellettuale, non un sentimento) può bontà morale è in se stessa una ragione per agire. La violazione
produrre e prevenire azioni (cfr. NG, p. 18). Il fondamento dei di una promessa è come tale una ragione contro l’azione, perché
giudizi morali è in alcuni fatti che riguardano la vita umana le promesse sono necessarie alla vita umana. C'è un’intrinseca
(cfr. NG, p. 24), fatti come quelli ricordati da Anscombe circa la relazione concettuale fra agire bene e agire razionalmente (cfr.
necessità del promettere o come dice Foot circa la necessità di NG, p. 65) e se così non tocchiamo i desideri di una persona male
occuparsi del proprio futuro. L'azione morale è azione razionale intenzionata ciò non significa affatto che dobbiamo elaborare
e gli esseri umani sono esseri razionali in grado di riconoscere una filosofia in grado di cambiare i suoi desideri. Quest'ultimo
ragioni e agire di conseguenza. problema, infatti, non ha a che fare con la giustificazione delle
La tesi di Foot è che per ogni vivente vi è una naturale forma di azioni tramite ragioni, ma solo con la motivazione, la quale si può
eccellenza e fioritura: ogni forma di vita esibisce dei «modelli di modificare con altri mezzi.
normatività naturale (patterns of natural normativity)» (NG, p. 38). Il bene umano ha invece a che fare con la volontà, è bontà del
L’argomento centrale è che «non vi è differenza nel significato volere (NG, p. 66). La moralità, come insegna Aristotele, riguarda
di “buono” quando appare in “buone radici” e quando appare essenzialmente il volontario. La prudenza non è contrapposta alla
in “buone disposizioni della volontà umana”» (NG, p. 39). Dato moralità: entrambe sono espressione della ragion pratica; la prima
il tipo di forma di vita che sono gli esseri umani, per esempio, rientra nella seconda (solo Mill e i suoi seguaci hanno un concetto
violare le promesse è contrario alla possibilità di un pieno sviluppo di moralità ristretto esclusivamente alla relazione con altri). In
della vita umana. Si tratta in questo caso di ciò che Foot chiama questo senso, Foot richiama del tutto giustamente l’appartenenza
«necessità aristoteliche» che si basano su «categoriali aristotelici» della prudenza alla moralità e di quest’ultima all’orizzonte più
relativi alle forme di vita (cfr. NG, p. 46). Foot sviluppa questa ampio della razionalità pratica, ricostituendo un’immagine
posizione a partire dalla critica dell’espressivismo e sottolinea unitaria della deliberazione che la netta scissione non-cognitivista
la distanza essenziale fra questa forma di teleologia morale e il fra descrizione e prescrizione aveva del tutto disgregato.
consequenzialismo, in particolare nelle versioni utilitariste. Nella Questa posizione appare vulnerabile ad alcune critiche. In primo
«teoria della normatività naturale», come la chiama Foot (NG, p. luogo, non sembra che l’aver posto la razionalità pratica fra gli
49), non c’è spazio per considerazioni basate sugli «stati di cose», elementi della forma di vita umana consenta di superare la critica di
perché ciò che conta per la fondazione di un giudizio normativo «fallacia naturalistica» e l’obiezione di introdurre surrettiziamente
è piuttosto il rapporto di certi stati con le condizioni di buon un insieme di condizioni per l'eccellenza umana che potrebbero
funzionamento di una certa forma di vita. non essere accettate da tutti. Che la razionalità pratica appartenga
L’obiezione dello scettico morale («che cosa succede se di fatto alla costituzione normale degli individui umani non
non mi importa di essere un buon essere umano?», NG, p. 52) costituisce ancora un elemento di per sé normativo; in assenza
è naturalmente un problema per questa posizione. La risposta di un quadro metafisico in cui inscrivere la costituzione naturale
parte dall’idea che gli esseri umani, a differenza degli animali, dell’uomo venga inscritta, la razionalità pratica è solo un dato cui la
possono agire in base a ragioni. Un’azione che è tutto considerato volontà del soggetto può decidere di non volersi adeguare. Affinché
52 ROBERTO MORDACCI TEORIE DEL BENE E TEORIE DELLE RAGIONI 53

la razionalità pratica sia normativa occorre offrirne una concezione quella kantiana, la quale di per sé non è incompatibile con un
per cui volere contro di essa sia radicalmente contraddittorio «naturalismo» (in un senso molto lato) che si limiti a sostenere
e non semplicemente «contrario alla natura umana». La tesi che, se la ragione appartiene alla natura umana, allora per la
della «normatività naturale» della razionalità umana non supera fioritura dell’umano il rispetto dei vincoli di razionalità (pratica)
l’obiezione nietzscheana per cui la costituzione umana di esseri è normativo. o.
semplicemente razionali, nel senso di una le implicazioni della
razionalità asservita Bisogna però condurre fino in fondo
alla negazione della vita, deve essere superata nella superiore concezione della «normatività naturale» della ragion pratica:
conformazione dell’individuo nato dalla pura volontà di potenza. se la tesi del naturalismo è, come in effetti Foot sostiene, che
Per superare quest’ultima occorre mostrare che il volere in quanto il bene (umano) sia l’autentico criterio a cui la ragion pratica
tale nega se stesso (e non una certa costituzione del volere nella deve rispondere e che sul bene umano ci informi un insieme di
condizione umana) se si determina contro ragione; ma questo non considerazioni (scientifiche e non, ma comunque descrittive) le
può essere ottenuto se si fa dipendere la normatività del volere quali ci dicono che cosa è l’uomo, allora il naturalismo fa dipendere
dalla normatività della natura umana. la ragion pratica da un insieme di conoscenze sulla natura umana.
In secondo luogo, in questa prospettiva la ragion pratica è Ma se è così, l’obiezione al naturalismo è pur sempre la seguente:
interpretata come la capacità di cogliere un modello generale di come può la descrizione di che cosa è un uomo buono essere
vita umana e di tradurlo in forme concrete: in tale compito, però, praticamente vincolante? La domanda «perché dovrei voler essere
il ruolo della ragion pratica non è davvero normativo bensì solo un uomo buono?» continua a risuonare senza risposta, perché
strumentale, ovvero applicativo nel senso della determinazione una certa concezione dell’umano può ben essere ragionevole,
delle modalità conformi al modello di una vita sana e della scelta nel senso che essa è corrispondente ad alcune conoscenze
di atti prudenti. In quest'ottica, quindi, la ragion pratica non è ragionevolmente certe che abbiamo sugli esseri umani, ma
autorevole nel senso radicale per cui essa determina la validità del può non essere irragionevole rifiutare di conformarsi a quella
volere: quest’ultima viene infatti a dipendere dalla conformità al descrizione. La nostra «natura» umana può essere un vincolo
modello, non dalla ragionevolezza del volere stesso. di fatto, ma non è di per sé un vincolo di diritto, almeno fino a
La risposta a questa obiezione può essere che la razionalità quando si intende continuare a sostenere (come certamente fa
pratica è normativa non solo in quanto razionale, ma in quanto Foot) che esiste il libero arbitrio e che la volontà umana è libera.
inscritta nella natura umana; così intesa, essa ha una normatività Se infatti la volontà è libera, essa può essere vincolata solo dal
«naturale», cioè fondata su fatti che riguardano la natura umana. divieto di contraddire se stessa, ovvero la propria natura di libero
Qui però occorre essere chiari: se la razionalità pratica è un criterio volere, e non altre caratteristiche della vita umana.
interno alla «normatività naturale» allora è molto difficile non
essere «naturalisti», in questo senso così ampio e vago. Si tratta
però di capire se la ragion pratica in questo contesto naturalistico 3. Intuizionismo e particolarismo
sia normativa in quanto tiene conto di certi contenuti necessari alla
piena vita umana o se è normativa in se stessa, ovvero in forza di Nella prospettiva intuizionista, emblematicamente rappresentata
qualche vincolo che deriva esclusivamente dal suo essere razionale. dalla posizione di W. David Ross negli anni Trenta? e oggi riproposta
Nel primo caso la ragion pratica è concepita come un’esecutrice di dai suoi epigoni (il particolarismo morale di Jonathan Dancy e
ciò che appare come bene umano ad una comprensione razionale l’intuizionismo kantiano di Robert Audi)°, la normatività morale
in un senso del tutto generale; nel secondo caso la ragion pratica
è normativa intrinsecamente, ovvero solo in forza del fatto che
8 Cfr. W.D. Ross, The Right and the Good, Clarendon Press, Oxford 1930, trad. it. di R.
essa prescrive vincoli logici x alla deliberazione, violando i quali Mordacci, Il giusto e il bene, Bompiani, Milano 2004.
sì agisce irrazionalmente. E evidente che la seconda strada è ° Cfr. J. Dancy, Moral Reasons, Blackwell, Oxford 1993; R. Audi, Moral Knowledge and
54 ROBERTO MORDACCI TEORIE DEL BENE E TEORIE DELLE RAGIONI 55

risiede nelle «qualità deontiche» che gli atti posseggono. Alcune si raggruppano diversamente nelle diverse azioni. I «principi» o i
di queste sono rintracciabili in tipi di atti come la promessa, la doveri prima facienon hanno alcun valore normativo indipendente
gratitudine, la riparazione, la giustizia, i quali per questo sono dal contesto; le caratteristiche deontiche dei tipi di azione (i doveri
«doveri prima facie», cioè ‘tipi’ di atti doverosi. Gli atti concreti, prima facie) non sono sempre ragioni a favore delle azioni che
però, possono appartenere a più di un tipo deontico, e possono hanno quelle caratteristiche. Il particolarismo sostiene che non vi
avere quindi qualità diverse e concomitanti. La deliberazione sono principi morali generali e che la giustificazione morale delle
pratica consiste quindi nel rilevare le caratteristiche deontiche azioni non dipende dal loro possedere caratteristiche il cui valore
degli atti, analizzarne la portata (il «peso») e decidere in base di ragioni (contributive) pro o contro l’azione stessa dipende
alla caratteristica preponderante. In questa prospettiva appare interamente dal contesto, secondo una concezione tipicamente
chiara la concezione «teoreticistica» della ragion pratica: si tratta olistica.
di conoscere (o addirittura percepire) il dovere concreto e di Rispetto alla forma più ingenua di oggettivismo professata da
attuarlo dando esecuzione alle indicazioni cognitive. La ragion Ross e da altri intuizionisti, sembra che qui ci si avvii verso forme
pratica è l’esecutrice passiva della ragione speculativa o addirittura di più piena inclusione del punto di vista del soggetto, pur senza
della percezione morale. rinunciare all’oggettività. Considerato che nell’esperienza morale
Nelle versioni più recenti, l’intuizionismo ha fatto ampio l’idea di essere autori delle proprie scelte e della propria condotta
uso della nozione di «ragioni per agire». Riformulata in questi si riflette anche nel ritenere di poter offrire giustificazioni
termini, la tesi intuizionista è all’incirca che una ragione per ragionevoli, e nel pensare che queste dipendano almeno in parte
agire è una considerazione che sarebbe decisiva sul da farsi da ciò che al momento di agire ci appariva come tale, l’immagi-
se essa fosse l’unica considerazione rilevante nella situazione. ne dei doveri prima facie come caratteristiche invariabili di certi
Dancy, sulla falsariga della distinzione di Ross fra doveri prima tipi di azione appariva effettivamente piuttosto astratta. L’idea
facie e doveri reali o «tutto considerato», distingue in proposito che si tratti di aspetti che offrono fondamento a ragioni con una
fra ragioni «contributive» (contributory) e ragioni «complessive» validità normativa variabile in relazione al contesto restituisce
(overall)!°. La novità principale è che Dancy intende dar conto invece concretezza all’immagine (post-)intuizionista del pensiero
dei doveri complessivi in termini di doveri prima facie e di questi morale.
ultimi in termini di ragioni contributive, nel senso che il dovere Tuttavia, non è sempre chiaro che cosa significhi, in questo
(reale) è l’azione che abbiamo «più ragione» di compiere. Ciò contesto, essere una ragione. Ancora una volta, se essere una
che «più dobbiamo fare» (most ought) non dipende dal fatto che ragione dipende da una caratteristica (naturale) della situazione,
l’azione in questione sia di per sé un dovere, bensì dal fatto che allora non sembra che ci siamo allontanati di molto dall'immagine
le caratteristiche della situazione forniscono una serie di ragioni intuizionistica tradizionale e dai suoi problemi. La normatività
che, in questo specifico contesto, formano un insieme decisivo della ragione addotta per quest’atto dipende dal suo riflettere
di ragioni. Ciò che rende una certa azione un dovere in certe adeguatamente la realtà della situazione o la natura dell’atto.
circostanze (per es. l’essere il mantenimento di una promessa) In tal senso, le ragioni sembrano dipendere interamente, per il
può non rendere affatto un dovere un’azione simile (mantenere loro valore normativo, dalla buona esecuzione di ciò che Baier
un’altra promessa) in circostanze diverse, in cui altre ragioni chiamava il «compito teoretico» della ragione in ambito pratico:
pesano di più o cambiano il valore normativo dell’azione stessa. descrivere adeguatamente gli atti e le circostanze. Questo compito
Le caratteristiche da cui «risulta» il dovere particolare non si è ovviamente importante, ma se si fa dipendere interamente il
muovono, per così dire, a blocchi da un’azione ad un’altra, ma valore normativo di un giudizio morale dal suo rispecchiare tutte
le qualità «moralmente salienti» di una situazione, si è costretti
Ethical Character, Oxford University Press, Oxford 1997. a sostenere che la normatività è nella natura degli atti nella
10 Id., Ethics Without Principles, Oxford University Press, Oxford 2004, p. 18. situazione (nel «particolare» appunto), che la ragione apprende
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speculativamente. In questo senso, non cambia molto l’aver attribuire alla ragione un'effettiva. dimensione pratica e in
sostituito ai doveri prima facie le «ragioni contributive» e l’aver particolare è in difficoltà a riconoscerne il ruolo di guida del volere
eliminato dal campo ogni forma di principio generale: si tratta di (normatività) e la capacità di essere motivazionalmente efficace.
un esito naturale, per altro già ampiamente prefigurato dall’idea Se le osservazioni critiche qui espresse colgono nel segno, sembra
di dovere reale di Ross. Se le ragioni sono tali solo in quanto che alla fine l’intuizionista debba o accettare qualche versione del
rispecchiano caratteristiche e circostanze concrete, è evidente che naturalismo e della psicologia empiristica o ricorrere a una vera e
l’ultima parola in termini di giustificazione della scelta spetta alla propria «rivoluzione copernicana» sulla normatività, che ne ricerchi
capacità di cogliere descrittivamente le specificità della situazione. l’origine non nelle cose «in sé» bensì nel «soggetto» e in particolare
Addirittura, a questo punto Ross invocava Aristotele, e affidava nel soggetto agente in quanto volontà razionale. In entrambi i
alla percezione la determinazione concreta del dovere reale!!. casi, però, l’intuizionista avrà perso la sua identità originaria e sarà
Se una ragione morale dipende dalla presenza riconosciuta costretto a diventare o un naturalista o un kantiano.
nel mondo, come appare ad una riflessione pre-pratica, di
caratteristiche «moralmente salienti», sia pure dotate di peso e
funzioni variabili, allora la ragion pratica non ha altro ruolo che 4. Espressivismo
quello di registrare questa presenza di caratteristiche di valore, di
vagliarne il peso e di determinare conseguentemente la volontà Inunquadrogeneralmente non-cognitivista,l’espressivismo appare
(alleandosi a moventi esterni al giudizio). La critica al generalismo, l’alternativa naturale alle varie forme di realismo (naturalistico o
ivi compresa la sua forma «debole» offerta dai doveri prima facie intuizionistico). L’espressivismo è la tesi metaetica secondo cui le
di Ross, non sembra essere un passo decisivo verso l’autonomia ragioni morali sono l’espressione di atteggiamenti non cognitivi
del volere: la volontà non ‘si’ determina, ma ‘è determinata’ dalle orientati a uno scopo, quali tipicamente i desideri, le inclinazioni,
ragioni decisive che sono fornite esclusivamente dalla situazione i sentimenti e le propensioni. Un termine collettivo difficilmente
nota all’intelletto. La ragion pratica non contribuisce affatto, di traducibile per indicare questi atteggiamenti è quello di pro-
suo, alla normatività dell’atto, ma si limita a «dichiarare» che attitudes. Secondo l’espressivismo, le ragioni morali esprimono
nell’insieme le caratteristiche morali della situazione costituiscono un certo tipo di quelli che possiamo chiamare «atteggiamenti
una ragione decisiva per compiere l’atto in questione; la conativi» del soggetto!?.
volontà accetta la conclusione e si determina di conseguenza. La normatività delle ragioni morali qui è fatta dipendere
In quest'ottica, essere ‘irrazionali’ significa ‘non essere in grado essenzialmente dalle disposizioni emotive del soggetto agente.
di vedere l’insieme rilevante delle caratteristiche moralmente Con ciò si cerca di rispondere anzitutto al requisito di praticità,
salienti della situazione’, il che equivale a dire: fallire il compito
‘teoretico’, non quello specificamente pratico.
In sintesi, dunque, l’approccio intuizionista, nonostante la !° Cfr. ad esempio R.J. Wallace, “Practical Reason”, in Zalta (ed.), The Stanford
Encyclopedia of Philosophy (Winter 2003 Edition), URL = http://plato.stanford.edu/
maggiore precisione delle formulazioni più recenti, non sembra archives/win2003/entries/practical-reason/. La nozione di «analisi espressivista» è
stata introdotta da S. Blackburn, Spreading the Word, Clarendon Press, Oxford 1984,
pp. 167-171. L’etichetta di espressivismo si è attestata solo di recente (soprattutto
!! Cfr. Ross, Il giusto e il bene, p. 52: «Possiamo solo dire che una gran quantità di forza in relazione alle tesi di A. Gibbard, Wise Choices, Apt Feelings, Harvard University
normativa appartiene ai doveri di “obbligazione perfetta” — i doveri di mantenere Press, Cambridge 1990 e S. Blackburn, Ruling Passions, Clarendon Press, Oxford
le promesse, di riparare i torti commessi e di restituire l’equivalente dei favori 1998; v. oltre nel presente paragrafo) e, pur comportando alcune differenze rispetto
che abbiamo ricevuto. Quanto al resto, “il giudizio spetta alla sensazione (aìsthesis)” a sentimentalismo ed emotivismo, la utilizziamo qui principalmente nei tratti che
(Aristotele, Etica Nicomachea, 1109b 23). Questo senso del nostro particolare dovere essa condivide con questi ultimi. Gibbard rivendica per altro un’esplicita continuità
nelle particolari circostanze, preceduto e informato dalla più piena riflessione che rispetto alle tesi di Ayer in An expressivistic theory of normative discourse, «Ethics», 96
possiamo dedicare all’atto in tutti i suoi aspetti, è altamente fallibile, ma è l’unica (1985), pp. 472-485, trad. it. in P. Donatelli - E. Lecaldano (a cura di), Etica analitica.
guida che abbiamo per il nostro dovere». Analisi, teorie, applicazioni, LED, Milano 1996, pp. 139-158.
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opponendosi alla tesi secondo cui la ragion pratica costituisce la Questa tesi, come illustra Gibbard, ha comunque uno sfondo
fonte sia giustificativa sia esplicativa del comportamento morale. naturalistico, nel senso di un’interpretazione naturalistica
La tesi critica è o che la ragion pratica non è di per sé motivante, e (empiristica) della vita umana. La capacità di accettare norme
dunque non è ‘immediatamente’ pratica, o più radicalmente che costituisce una fondamentale forma di adattamento biologico,
non è ‘normativa’, poiché essa mette in luce, come sosteneva Hume, che ha funzioni evolutive: «Accettare norme fa parte di un sistema
solo «relazioni fra idee» e la normatività pratica non è una simile specificamente umano di motivazione e controllo che dipende
relazione: nessun concetto e nessuna relazione logica fra concetti dal linguaggio. Le norme rendono possibili modi di vita umani,
contiene un’indicazione normativa per l’azione, ovvero implica e possiamo interpretare la nostra vita normativa come una parte
analiticamente la preferibilità pratica di un comportamento del mondo naturale»!4. La base della teoria morale espressivistica
rispetto ad un altro. Queste relazioni di preferibilità derivano è quindi una «psicologia delle norme» che spiega come accada
invece dal rapporto dei termini con il desiderio, le inclinazioni 0 che le norme morali siano ritenute razionali: lo sono perché la
in generale il mondo emotivo dell’agente, il quale è la sola fonte razionalità è definita dalla conformità a un sistema di norme
possibile della dinamica del volere e dell’azione. che il soggetto dichiara di accettare. Poiché avere norme è
L'argomento a favore dell’espressivismo prevede i seguenti una caratteristica naturale degli esseri umani che offre loro un
passaggi: 1) se vale il requisito di praticità (le ragioni morali considerevole vantaggio evolutivo, la teoria espressivistica può
devono essere motivanti); 2) se è vero l’internalismo delle ragioni collegarsi a una spiegazione darwiniana della natura umana.
(le ragioni morali sono effettivamente motivanti), e 3) se è vera Ciononostante, osserva giustamente Gibbard, non si tratta
la teoria humiana della motivazione (solo i desideri motivano); di una teoria descrittivistica: dire che qualcosa è razionale non
allora 4) i giudizi morali sono espressione di desideri o sentimenti è descrivere quella cosa o il proprio stato mentale; piuttosto, è
o inclinazioni (comunque di atteggiamenti non cognitivi) e le esprimere (nel senso non solo ‘di esporre ma anche di esercitare)
ragioni sono autorevoli solo quando i desideri costituiscono il proprio stato mentale, o meglio una sua coloritura particolare,
autentiche ragioni per agire. I desideri sono immediatamente vale a dire l’atto di accettare un sistema di norme:
«ragioni», mentre la ragion pratica è essenzialmente la capacità
di riconoscere i modi attraverso cui dare attuazione ai desideri L'analisi non è direttamente di che cosa significhi per qualcosa essere
razionale, bensì di che cosa significhi per qualcuno giudicare quel
dell’agente.
qualcosa come razionale. Possiamo spiegare il termine dicendo quale
La tesi espressivista, nella formulazione offerta da Gibbard,
stato mentale esprima. In questo senso, l’analisi è espressivistica e, con una
si impegna in una definizione di che cosa significhi dichiarare locuzione troppo lunga, la chiamerò l’analisi normativo-espressivistica
«razionale» un’azione o un atteggiamento. Scrive Gibbard: (norm-expressivistic analysis) ui
«Definire razionale qualcosa è esprimere la propria accettazione
di norme che lo permettono»; dire che un’azione o un
Secondo quest’analisi, dunque, il termine razionale connota un
atteggiamento sono razionali significa dichiarare di accettare un endorsement'®, vale a dire un far proprio un certo insieme di enunciati
sistema di norme che permettono quell’azione o quell’atteggia- normativi e con ciò dichiarare di voler giudicare le azioni in base
mento. Si tratta dunque di un atto non cognitivo, più precisamente a tale insieme. Nell’ottica espressivistica, quindi, una nozione è
di un’approvazione non dell’atto in sé ma delle norme che lo normativa se essa può essere parafrasata nei termini di qualcosa
permettono. La razionalità, in quest'ottica, è la conformità a un che per il parlante ha senso fare, pensare o sentire e questo può
sistema di norme (qualsiasi), perciò definire razionale qualcosa
significa esprimere la convinzione che esso sia conforme a un
sistema di norme che si approva. !4 Ibidem.
!5 Ibi, p. 8.
13 Gibbard, Wise Choices, Apt Feelings, p. 7. 16 Ibi, p. 10.
ROBERTO MORDACCI TEORIE DEL BENE E TEORIE DELLE RAGIONI
60 61

avanzato questa pretesa, allora ti ho influenzato. Se ci influenziamo


essere spiegato in base a ciò che sappiamo dei meccanismi mentali
reciprocamente, questo ci muove verso il consenso circa le norme che
di esseri viventi evolutivamente molto complessi quali gli esseri
accettiamo?0,
umani!”. Il programma dell’espressivismo può essere facilmente
collegato ai programmi di ricerca delle scienze cognitive. L'obiettivo dell’espressivismo è evidentemente quello di comporre
Il resoconto della razionalità pratica fornito dall’espressivismo ‘giustificazione’ e ‘spiegazione’ mantenendosi entro i limiti di
può essere formulato anche in termini di ragioni: una psicologia empiristica. Tuttavia, la strategia espressivista
ha un problema di fondo, che resta irrisolto anche in questa
Quando una persona definisce qualcosa — chiamiamola R — una ragione
per fare X, egli esprime la propria accettazione di norme che affermano
versione sofisticata: l’idea che la ragion pratica sia espressione
di considerare R come qualcosa che pesa a favore di X. Per esempio, dell’approvazione o disapprovazione di norme ‘di per sé arbitrarie”
Calpurnia dice a Cesare: «Se attraverserai il Rubicone, sarai l’uomo più rende particolarmente problematica la pretesa di oggettività degli
importante di Roma e questa è una ponderosa ragione per attraversarlo». enunciati morali. In sostanza, nelle tesi di Gibbard il massimo cui
Ella esprime in tal modo la sua accettazione di un sistema di norme si giunge è la rivendicazione di un certo comune riferirsi ad alcuni
che dice a Cesare di considerare questo fatto — il fatto che attraversare sentimenti morali diffusi (benevolenza, reciprocità e rispetto)?!
il Rubicone lo renderà l’uomo più importante di Roma —- come una appellandosi ai quali si raggiunge più facilmente la sensibilità
considerazione che pesa fortemente a favore dell’attraversarlo!8. dell’interlocutore.
- Ora, al di là della prospettiva pragmatica e retorica, in cui
L’analisi espressivistica si inserisce quindi nella scia dell’emo- è certamente vero che l'appello alle emozioni dei parlanti è
tivismo, in particolare nel rivendicare il ruolo del linguaggio spesso efficace per ottenerne il consenso, la questione cruciale
normativo nella dinamica delle relazioni fra individui: lo scopo è ovviamente quella della ‘validità’ della pretesa autorità del
essenziale degli enunciati normativi è quello di influenzare parlante. Come lo stesso Gibbard sottolinea, il parlante stesso non
l’uditore cercando di portarlo a condividere almeno alcune può essere esclusivamente interessato a convincere se stesso e gli
delle regole approvate dal parlante. Più esplicitamente, Gibbard altri su ‘qualsivoglia’ base di ragioni che si decide di accettare,
riprende in sostanza la tesi di Stevenson nel dire che la pretesa di ma è anzitutto interessato a vagliare egli stesso e anzitutto per se
autorità degli enunciati normativi è una pretesa conversazionale stesso i fondamenti di autorità delle proprie ragioni. Nessuno di
(conversational demand) e che questa è un tentativo di influenzare noi ha come scopo primario, nel ragionamento morale, quello di
l’interlocutore in qualche modo. Tale pretesa non si appella però ‘ingannarsi’ o semplicemente di intrattenersi con giustificazioni
ad alcuna autorità ulteriore rispetto alle norme accettate dal che non dimostrino di meritare il nostro affidamento. Il requisito
parlante. La discussione normativa è una questione di reciproca di praticità humiano ha anche questo significato: la moralità deve
influenza fra i parlanti, in particolare circa i loro sentimenti essere pratica perché anzitutto siamo interessati a non vivere
morali!®: falsamente, anche se talvolta lo facciamo, e a porci di fronte
alle nostre ragioni con un’istanza critica. Questa critica mette in
Le pretese conversazionali sono in sostanza pretese di influenza.
discussione proprio le nostre norme fondamentali di giudizio,
Pretendere autorità significa pretendere influenza, e l’influenza è parte
quelle che non possiamo semplicemente dichiarare di accettare
di ciò che conduce la discussione normativa verso il consenso. Io dico
implicitamente «Accetta queste norme!» e se tu le accetti perché io ho o rifiutare emotivamente: di quei criteri fondamentali ci interessa
anzitutto l’autentico fondamento, se ne hanno e se sono in grado
di sostenere l’analisi argomentativa delle ragioni pro e contro.
!7 Cfr. ibi, pp. 34-35.
18 Ibi, p. 163. 20 Ibi, p. 173.
19 Su questo aspetto si sofferma soprattutto la IV parte del volume di Gibbard, Wise
Choices, Apt Feelings, pp. 251-327. 2! Cfr. ibi, pp. 253-273.
ROBERTO MORDACCI TEORIE DEL BENE E TEORIE DELLE RAGIONI 63
62

Inoltre, sarebbe evolutivamente controproducente che un


l’autorità normativa dei giudizi morali poggia essenzialmente sul
essenziale strumento critico verso le azioni, come è la moralità,
modo in cui i soggetti definiscono i criteri di una deliberazione
accettabile.
fosse demandato a un’adozione sostanzialmente cieca delle norme
di giudizio. Il mero consenso retorico, cui si può giungere nella L’indagine sulla normatività in un contesto costruttivistico è
strategia espressivista, non ci consentirebbe di formulare critiche stata svolta soprattutto da Christine Korsgaard, particolarmente
radicali e profonde in tutti quei contesti in cui prevalessero proprio in Sources of Normativity (1996)?. Korsgaard argomenta che
stilemi retorici e sistemi di norme fortemente distorte come, né il volontarismo né le varie forme di realismo «sostanziale»?
per esempio, nella discriminazione razziale 0 nella propaganda (l’intuizionismo di Price, Prichard, Ross e Moore) sono in grado di
ideologica. L'appello sentimentalistico a ritirare il proprio assenso corrispondere ai requisiti di una valida teoria della normatività. In
a norme razziste, rivolto a un fanatico nazista, non ha più efficacia particolare, il realismo morale sostanziale concepisce le questioni
dell'appello razionalistico a principi di rispetto per la dignità di morali come riguardanti problemi di conoscenza di una realtà
ogni essere umano; ma la differenza essenziale è che quest’ultimo intrinsecamente normativa e questo rende assai fragile la pretesa
ha dalla sua l’autorità di una razionalità trans-individuale. Che il di rispondere al requisito di praticità. Contro questa concezione,
nazista sia sensibile o no, ciò non rende affatto il mio argomento l'argomento di Korsgaard è che alla domanda: «è vero che questo
meno decisivo per dimostrare l’irrazionalità e quindi l’inaccetta- è ciò che devo fare?» il realista sostanziale può rispondere: «sì, è
bilità assoluta delle sue norme razziali. All’espressivismo questa vero», ma solo nel senso che vi è uno stato del mondo in cui tale
strategia argomentativa è fatalmente preclusa. asserto è vero. Ciò, obietta Korsgaard, non ha ancor nulla a che
fare con la volontà dell’agente, in particolare con il dinamismo
intrinseco del volere e con l’identità pratica del soggetto. Non
5. Il costruttivismo come «realismo procedurale» si spiega, in altri termini, come possa accadere che la volontà si
determini in base a un dato semplicemente teorico, laddove la
L’istanza critica che ha mosso il non-cognitivismo non è affatto volontà va anzitutto intesa come un orientamento pratico che in
ingiustificata. Naturalismo e intuizionismo mostrano, da un lato, sé prescinde dagli oggetti del conoscere.
di avere una concezione riduttiva del ruolo della ragion pratica, La tesi di Korsgaard, connessa all’interpretazione costruttivistica
dall’altro di essere in difficoltà nel rispondere adeguatamente al della metaetica kantiana?4, è che appare più fruttuoso pensare
requisito di praticità. Questi approcci incontrano difficoltà anche che le questioni normative trovino risposta nella capacità umana
nell’aprire uno spazio sufficiente per l’individualità morale del di definire regole per l’azione esclusivamente in base alla propria
soggetto, ovvero per la sua capacità di determinarsi a partire da capacità riflessiva di agire (agency):
una condizione assolutamente personale e irripetibile: in queste
prospettive sembra che il compito della vita morale non possa
che essere assimilato all'adeguamento (tutto sommato passivo) 2° C.M. Korsgaard, The Sources of Normativity, Cambridge University Press, Cambridge
a un modello di natura umana o di comportamento morale 1996. Citiamo di qui in poi nel testo con la sigla SN.
23 «Il realismo morale procedurale è la concezione secondo cui vi sono risposte alle
autoevidente. questioni morali; vale a dire, che ci sono modi giusti e modi sbagliati di rispondervi. Il
Il costruttivismo percorre precisamente l’alternativa lasciata realismo morale sostanziale è la concezione secondo cui ci sono risposte alle questioni
intentata da queste due prospettive: rispondere al requisito morali perché ci sono fatti o verità morali, che tali questioni riguardano» (SN, p. 35).
di praticità riconoscendo nella ragion pratica l'origine della 24 Il costruttivismo etico si inserisce in una più ampia ripresa della prospettiva
normatività morale, senza tuttavia in alcun modo accedere alla kantiana in etica, nella quale il tema della normatività gioca un ruolo importante.
Non possiamo soffermarci sull’ampia letteratura in questione. Su questa «rinascita»
tesi realista secondo cui i criteri della ragion pratica si basano su dell’etica kantiana ci permettiamo di rimandare al nostro: Kant-Renaissance, La
realtà indipendenti dal soggetto. Per questo, il costruttivismo È € riscoperta dell’etica normativa di Kant, saggio integrativo, in I. Kant, Metafisica dei costumi,
resta un approccio procedurale alla fondazione dell’etica, in cui trad. it. di G. Landolfi Petrone, Bompiani, Milano 2006, pp. 741-798.
64 ROBERTO MORDACCI TEORIE DEL BENE E TEORIE DELLE RAGIONI 65

I concetti normativi esistono perché gli esseri umani hanno problemi dovrebbero giustificare le nostre azioni. In tal senso, la lettura
normativi. E noi abbiamo problemi normativi perché siamo animali
kantiana della moralità appare assai più vicina al vero: in termini
razionali autocoscienti, capaci di riflessione su ciò che dobbiamo credere
kantiani, infatti, la riflessione conduce a un’autoattestazione
e pensare [...]. Non è perché incontriamo entità normative nel corso
della nostra esperienza che i concetti normativi esistono, bensì perché delle ragioni per agire in base alla loro formulabilità come leggi
siamo animali normativi che possono interrogare la propria esperienza» pratiche; lo stesso desiderio, per poter valere come una ragione
(SN, pp. 46-47). per agire, deve essere assunto tramite la riflessione critica, cioè
razionale e dare luogo a una massima d’azione:
Korsgaard non chiarisce il ruolo fondativo della libertà in rapporto
ai giudizi morali; anzi, è proprio l’interpretazione del volere La mente riflessiva deve adottare (endorse) il desiderio prima di poter
in chiave procedurale a costituire il problema di questo tipo di agire in base ad esso, deve dire a se stessa che il desiderio è una ragione.
Come afferma Kant, noi dobbiamo farci una massima dell’agire in base al
approcci. La nozione di «agente normativo» richiederebbe un
desiderio. Così, benché noi possiamo fare ciò cui il desiderio ci inclina,
chiarimento più profondo del rapporto fra ‘volontà, riflessione e lo facciamo liberamente (SN, p. 94).
libero volere’, che le tesi di Korsgaard lasciano nell’ombra.
Il nucleo centrale del realismo morale procedurale di Korsgaard Ora, continua Korsgaard, questo distacco riflessivo costituisce la
si basa sulla nozione di «adozione riflessiva» (reflective endorsement, caratteristica per cui gli agenti razionali non possono che agire,
cfr. SN, cap. 2, pp. 49-89), che ella rintraccia anzitutto nell’opera come dice Kant, «sotto l’idea della libertà», ovvero concependo
dei sentimentalisti del Settecento (in primis in Hume). L’idea se stessi come causa determinante dell’azione. Tuttavia, nessuna
fondamentale è che la moralità trova la propria giustificazione causa opera senza una legge, suggeriva Kant, perciò la volontà, per
nell’approvazione che l’agente riflessivo rivolge alle norme che potersi pensare come causa, deve potersi pensare come operante
gli vengono proposte da una certa teoria morale: l’assenso alle in base a una legge. Tale legge non può derivare da altro che la
norme morali, che permanga dopo che se ne è mostrata l’origine, volontà stessa, altrimenti quest’ultima sarebbe eteronoma; quindi,
è la fonte ultima di autorità normativa delle norme stesse. Né la volontà deve poter essere legge a se stessa, e per farlo deve
l’accesso a un ordine della natura né una nozione universalmente determinarsi in base a una massima che possa essere legge, cioè
indiscussa di natura umana può fornirne la base. Il punto di vista possa avere valore universale. Questa, in sostanza, è la dottrina
normativo non può essere giustificato da un punto di vista esterno, dell’imperativo categorico sostenuta da Kant nella Fondazione e
come quello teoretico, bensì deve trovare in se stesso la risposta confermata nella seconda Critica.
alla propria domanda di fondazione”, I giudizi normativi devono Questa fondazione riflessiva è connessa con il tema dell’identità.
quindi appellarsi al punto di vista del soggetto agente per trovarvi, Secondo Korsgard:
se possibile, la propria fonte di giustificazione.
La tesi di Korsgaard è che gli esseri umani sono agenti riflessivi È necessario avere una qualche concezione della propria identità pratica,
e il loro bisogno di giustificazione nell’agire deriva da questa perché senza di essa non si possono avere ragioni per agire. Noi adottiamo
capacità riflessiva. Per questa ragione, la normatività che l’agente o rifiutiamo i nostri impulsi attraverso il vaglio della loro coerenza con i
cerca per le proprie scelte non può derivare da una fonte esterna, modi in cui noi identifichiamo noi stessi. Tuttavia, la maggior parte delle
bensì solo da un atto della riflessione. Tuttavia, l’espressivismo concezioni di noi stessi che ci governano sono contingenti. [...] Ciò che
riferisce tale riflessione alle emozioni, che noi approviamo o non è contingente è il fatto che si deve essere governato da una qualche
disapproviamo, occultando invece il fatto che essa si esercita concezione della propria identità pratica (SN, p. 120).
soprattutto sulle massime d’azione, ovvero sulle ragioni che
E in questo punto che si evidenzia il proceduralismo dell’inter-
2 «Non c’è alcun luogo fuori dai nostri punti di vista normativi da cui le domande
pretazione di Korsgaard ed è su questa base che ella definisce la
normative possono essere poste» SN, p. 65. propria posizione come un «realismo procedurale». L’identità
TEORIE DEL BENE E TEORIE DELLE RAGIONI 67
66 ROBERTO MORDACCI

pratica, infatti,è una costruzione sociale che sorge dal contesto (SN, p. 120). La riflessione è precisamente la procedura con cui le
delle relazioni reali in cui il soggetto è immerso. In questo senso, la ragioni vengono rapportate all’identità pratica; il vincolo morale,
concezione di Korsgaard tiene conto e può facilmente neutralizzare allora, è in ultima analisi fondato su quest’ultima, e precisamente
le critiche comunitariste al proceduralismo rawlsiano: le identità sull’idea di agenti riflessivi come parte non rinnegabile della
culturali e storiche non sono affatto prive di valore, anzi esse
propria identità pratica. L'umanità costitutiva di qualunque
costituiscono il nucleo sostanziale della nostra identità personale;
identità pratica possibile è il vincolo intrinseco al potere della
esse sono pienamente normative per noi, ma questo non esclude costruzione dell’identità personale tramite la riflessione.
che si tratti di costruzioni sociali. Inoltre, queste costruzioni Ora, la semplice riflessione di per sé, benché sia certamente
sociali non sono prive di vincoli ‘intrinseci’ alla natura riflessiva un tratto tipico dell'agente razionale, non sembra poter essere la
fonte ultimativa della normatività. Perché, soprattutto se essa è in
di qualunque agente che abbia un’identità pratica accettabile:
le identità pratiche devono rispettare, nella costruzione di sé, il realtà la procedura con cui si confronta la propria massima con
vincolo della comune appartenenza all'umanità, semplicemente quella di qualunque altro, essa è soltanto un fattore antropologico
ricorrente, come i tratti emotivi universali del sentimentalismo o
in quanto soggetti che creano riflessivamente delle identità
pratiche: la capacità riflessiva sulle emozioni già rivendicata dall’espressivi-
smo. Il vantaggio della riflessione sulle singole massime, ovvero
Così, un essere umano è un animale che ha bisogno di una concezione della ragion pratica come autonoma legislatrice, deve potersi
pratica della propria identità, una concezione di chi egli sia che abbia fondare su una struttura più profonda per rispondere all’obiezione
valore normativo per lui. Ma tu sei un essere umano e quindi, se accetti dello scettico morale. Che cosa si può infatti rispondere all’agente
questo argomento, puoi ora vedere che questa è la tua identità. Sei un riflessivo che è indifferente o intende negare, in sé o in altri, il
animale del tipo appena descritto. E questa non è semplicemente una valore fondante della comune umanità? Se costui non intende
concezione contingente della tua identità, che tu abbia costruito o scelto accettare il vincolo procedurale della riflessione ma anzi intende
per te stesso o che tu possa ragionevolmente rifiutare. È semplicemente agire ‘contro’ di esso, obiettargli che così egli distrugge la
la verità (SN, p. 123). possibilità di costruirsi una qualunque identità pratica non potrà
sortire alcun effetto, perché la sua identità può non interessargli
L’aspetto dell’identità che fonda la normatività morale è un affatto. Questo soggetto potrebbe benissimo, seguendo Nietzsche,
aspetto irrinunciabile, vale a dire quello dell’appartenenza al conferire un’assoluta priorità alla potenza del volere, intendendo
novero degli esseri viventi riflessivi. L'identità pratica nel suo prescindere da qualunque identità coerente; oppure, egli potrebbe
insieme non può essere costituita soltanto di questa appartenenza, accettare l’ipotesi estetizzante di voler provare qualunque identità,
ma qualunque identità accettabile non può costruirsi contro tale anche quella che contraddica alla sua natura di agente razionale
fondamento. Come si vede, il vincolo deriva da un aspetto reale,
riflessivo (voler vivere come un bruto). L’identità specificamente
cioè da una caratteristica fondamentale degli esseri umani, ma ‘morale’, ovvero l’appartenenza alla comune umanità, è un vincolo
è di tipo procedurale, in quanto definisce i criteri di esclusione che per questo soggetto non ha valore normativo. Un soggetto
per la costruzione di identità pratiche senza indicare alcun Ubermeschlich non sarebbe interessato a riconoscere nell’identità
contenuto?9, morale un vincolo alla sua identità pratica e quindi negherebbe
Il punto critico del costruttivismo di Korsgaard risiede nella che il suo volere debba in alcun modo riconoscere il vincolo della
nozione di «riflessione» e nel suo rapporto con la «procedura» di ragion pratica così concepita.
costruzione dell’identità pratica. Secondo Korsgaard, infatti, i Si tratta naturalmente di un’obiezione estrema, cui qualsiasi
valori sono creati tramite «la procedura di creare leggi per se stessi» teoria morale a fatica riesce a resistere, ma l’idea della semplice
natura riflessiva dell'agente appare particolarmente vulnerabile
26 Su linee simili una fondazione procedurale dell’etica è stata proposto da C. Bagnoli, a questo attacco. Ad esso si può sperare di rispondere solo se si
L'autorità della morale, Feltrinelli, Milano 2007.
68 ROBERTO MORDACCI TEORIE DEL BENE E TEORIE DELLE RAGIONI 69

accede all’argomento non proceduralista secondo cui il potere bene determinato, può essere detto «4 priori assolutamente
della riflessione si fonda sul potere della volontà autonoma, la necessario perché si realizzino il giusto e il bene. E tuttavia nessun
quale ha per legge l’unico fondamento possibile di ogni legge: la ‘Bene’ esiste fuori dalle determinazioni concrete del bene stesso.
non contraddizione. La volontà libera non ha altro vincolo che se Il punto è che la necessità di scegliere un determinato bene e
stessa e non immediatamente la riflessione su di sé come agente non un altro deriva non dalla specifica natura di quel bene, ma
riflessivo. Questo vincolo non è vuoto, perché essere una volontà dal fatto che sceglierlo (in certe condizioni) comporterebbe la
libera comporta l’esclusione dei modi del volere in cui la volontà violazione della regola di non contraddizione del volere per un
diviene schiava delle passioni o di ragioni contraddittorie, cioè essere ragionevole.
nega la propria libertà. Questo ideale è fondamentale, insieme La realtà che il Faktum mette in luce è nient'altro (e niente di
ad altri elementi, per la costruzione di una più ampia e completa meno) che la realtà del \6yoo nel suo operare pratico e perciò nel
identità pratica, ma il vincolo essenziale minimo per il volere è suo darsi in un soggetto capace di volere autonomamente. Ciò im-
incluso nel volere stesso, come legge della sua non contraddizione plica che il fondamento della normatività morale risiede, in so-
ed è l'imperativo di restare libero. stanza, nella realtà trascendentale della libertà del volere, che non
ci è data né immediatamente (per esperienza) né teoreticamen-
te (tramite dimostrazione speculativa), ma è la condizione di pos-
6. Verso un realismo morale trascendentale sibilità (ratio essendi) del ragionamento morale in quanto tale, la
cui regola ci appare riflessivamente, nella forma dell’imperativo
La via d’uscita da queste impasse può essere una forma di realismo categorico. Ciò che è intuito, qui, non è un contenuto normativo
morale trascendentale. Essa può partire da un’interpretazione (come nell’intuizionismo classico), bensì una ‘forma del volere”.
realista della teoria kantiana della normatività. Le interpretazioni Questa è data in ogni istanza reale di esistenza di un volere libero,
costruttivistiche e intuizionistiche, infatti, non rendono giustizia cioè in tutte le persone.
al tentativo kantiano di fondare l’etica sulla realtà trascendentale Il fondamento della normatività morale è dunque la persona,
della libertà. In sintesi, la dottrina del Faktum der Vernunft deve ma non nel senso che occorre averne una descrizione teoretica
essere così interpretata: la legge morale appare alla coscienza del prima di riconoscere l’autorità del comando morale. Piuttosto,
soggetto agente attraverso un atto riflessivo che mette a tema da un è precisamente l’autorità contenuta nelle massime che superano
lato (1) ilsuo valore universale in quanto espressione del «principio il test di universalizzabilità che ci informa (‘e non avremmo altra
di non contraddizione del volere», dall’altro (2) l’irriducibilità via per saperlo’) dell’esistenza della libertà, nella forma di libertà
di tale principio a contenuti determinati appartenenti al mondo concrete di soggetti particolari che si determinano in base a quel-
empirico. le che possiamo chiamare ‘ragioni personali’. Queste sono ragio-
Quanto a (1): se nella ragion teoretica la verità (logica) dipende ni rigorosamente riferite al singolo soggetto in situazione («le mie
dalla sola razionalità del sillogismo, perché la verità pratica ragioni») che però possono giustificatamente elevare una pretesa
non dovrebbe dipendere dalla ragionevolezza del sillogismo di universalità («ragioni di una persona o di persone»). Più pre-
pratico, ovvero della deliberazione che conclude nella libera cisamente, è la ‘libertà del volere della persona’ che fonda l’au-
determinazione del volere? L’imperativo categorico kantiano è torità dei giudizi morali in quanto non implicano contraddizione
il tentativo di mettere in chiaro questa regola fondamentale di nel volere stesso. Tale libertà è trascendentale, cioè è una condi-
validità del ragionamento morale. Tale ragionamento non può zione di possibilità dell'esperienza morale come tale, ma è sem-
pretendere alcuna validità se contraddice alla possibilità che le pre data soltanto nelle persone, cioè è sempre esistente solo co-
sue conclusioni, che sono determinazioni della volontà, siano me incarnata. In tal senso, la forza normativa dei giudizi morali si
volute da un essere libero e razionale. fonda sulla libertà del volere delle persone, ovvero sulla libertà in-
Sul punto (2): nessun contenuto determinato, cioè nessun carnata di individui particolari; solo quando tale libertà si deter-
770 ROBERTO MORDACCI TEORIE DEL BENE E TEORIE DELLE RAGIONI 71

mina in base a ‘buone ragioni’, cioè ragioni che possono esigere molti beni che mi si offrono quelli in cui investire la mia scelta, sa-
l’assenso di ogni altra persona, pur riguardando un agente speci- pendo che si tratta solo di una delle vite possibili. Ad essa affidia-
fico in circostanze specifiche — solo quando le ragioni non sono mo il tentativo di plasmare un’identità riconoscibile e accettabile,
soltanto ‘mie’ o ‘nostre’ (il consenso e l’accordo di fatto non ba- ovvero un senso che altri possano riconoscere come valido, quan-
stano) ma sono anche ‘buone’ ragioni (nel senso che non impli- do non addirittura esemplare.
cano contraddizione nel volere) allora il giudizio morale poggia
su una solida autorità.
Questo processo non mette capo a codici di comportamento
basati sull’idea di beni irrinunciabili e universali definiti ‘prima’
dell’esperienza del volere. In ogni scelta è implicato un bene, poi-
ché in ogni scelta non può non esservi uno ‘scopo’, un fine inte-
so come bene. Tuttavia, la lezione di Kant consiste precisamente
nel riconoscere che nessun bene determinato può colmare l’oriz-
zonte del volere e che, anzi, non dall’oggetto bensì dal modo del
volere (che deve restare libero e al tempo stesso universalmente
riconoscibile come valido) dipende la forza normativa dei giudi-
zi morali.
Una teoria trascendentale del libero volere che si basa sul prin-
cipio di non contraddizione e quindi non può essere negata trop-
po facilmente fornisce il fondamento razionale di autorità dei giu-
dizi morali. Questi ultimi sono sempre dotati di contenuti in ter-
mini di bene o di beni; quei beni che possono essere voluti in mo-
do libero senza contraddizione — e ve ne sono alcuni che ricorro-
no pressoché in tutte le circostanze — sono allora molto probabil-
mente beni essenziali per un soggetto libero e ragionevole e per
questo andranno tutelati e promossi. Tuttavia, l’autorità di questo
giudizio non dipende dal tipo di beni di cui si parla, dalla loro de-
terminatezza, bensì dalla possibilità di volerli senza contraddizio-
ne in una vita personale.
La costruzione dell’identità personale avviene attraverso que-
sta ricerca delle ‘buone ragioni’: i beni che mi si presentano come
occasioni nella vita devono poter essere voluti, affinché non vada
perduta la mia libertà e la mia dignità, senza contraddizione pra-
tica, cioè in modo che non sia impossibile che qualunque agente
ragionevole accetti la mia scelta. Le vite personali possono legitti-
mamente assumere forme di una varietà infinita, ma da tale varie-
tà sono escluse tutte quelle forme che comportano ragioni inac-
cettabili per qualsiasi volere libero e ragionevole. L’autentico ci-
mento delle vite personali sta da uri lato nel rivolgersi a beni che si
possano volere senza contraddizione e dall’altro nel ricercare fra i
GIACOMO SAMEK LODOVICI*

Virtù e ragion pratica

Com'è noto, nel più ampio contesto della cosiddetta «riabilitazio-


ne-rinascita della filosofia pratica»! si è costituita una costellazio-
ne di autori che appartengono alla Virtue Ethics, i cui esponenti
stanno arricchendo in modo interessante la riflessione classica in-
torno al tema della virtù, in dialogo-confronto con le figure con-
temporanee di etica.
L'intenzione del presente contributo non è certo quella di esa-
minare la Virtue Ethics, bensì solo di comprendere il plesso virtù-
phronesisragion pratica, sia riprendendo l’apporto al riguardo di
alcuni di questi autori, sia integrandolo e procedendo ulterior-
mente, sia rinforzandolo con una fondazione che si può reperire
nell’etica filosofica di Aristotele e di Tommaso d’Aquino. Cerche-
remo cioè di utilizzare il tema della virtù come lente di ingrandi-
mento per comprendere l’identità e le funzioni della ragion pra-
tica che vi sono implicate.

* Assegnista di ricerca in Filosofia morale presso l’Università Cattolica di Milano.


! Sulla rinascita della filosofia pratica tra i tanti studi cfr. per es., F. Volpi, Rehabilitacion
de la filosofia préctica y neo-aristotelismo, «Anuario filos6fico», 32 (1999), pp. 315-342; A.
Da Re, Figure dell’etica, in C. Vigna (a cura di), Introduzione all’etica, Vita e Pensiero,
Milano 2001, pp. 11-18.
? È preferibile parlare di costellazione, più che di corrente, perché nel pensiero di
questi autori ci sono tratti in comune, ma anche molteplici differenze. Per una pano-
ramica introduttiva all’etica delle virtù cfr., per es.,J. Oakley, Varieties of Virtue Ethics,
«Ratio», 9 (1996), pp. 128-152; M. Micheletti, Etica delle virtù, «Cultura ed educazio-
ne», 10 (1997), 2, pp. 10-15; D. Statman (ed.), Virtue Ethics, Edinburgh University
Press, Edinburgh 1997, pp. 1-41; S. Cremaschi, La rinascita dell’etica delle virtù, in F.
Botturi - F. Totaro - C. Vigna (a cura di), La persona e i nomi dell’essere. Studi di filosofia in
onore di Virgilio Melchiorre, Vita e Pensiero, Milano 2002, pp. 565-584; R. Hurtshouse,
Virtue Ethics, in E. Zalta (ed.), Stanford Enciclopedia of Philosophy, Library of Congress
Catalog Data 2003, http://plato.stanford.edu./entries/ethics-virtue.
74 GIACOMO SAMEK LODOVICI VIRTÙ E RAGION PRATICA 75

1. La virtù: brevi lineamenti è un potenziamento delle facoltà operative: potenzia l’intelligen-


za nell’individuazione-valutazione-comando dell’azione virtuosa
In modo necessariamente sintetico, si può dire che la virtù è una (cfr. $ 6); potenzia (cfr. $ 2) le emozioni, inclinandole sia ad espli-
disposizione a compiere-esplicare azioni/ emozioni moralmen- carsi in modo moralmente buono, sia a fornire la propria ener-
te buone, costituisce l'eccellenza umana, anzi è espressione della gia alle azioni virtuose, sia a percepire i caratteri salienti di una si-
gratuità dell’eccellenza: la virtù è fine a se stessa, realizza 1 eupra- tuazione concreta; potenzia l’intervento della volontà nel deside-
xia. È la condizione del compimento della ragion pratica e la pie- rio di compiere azioni virtuose e nell’esecuzione della scelta, co-
nezza delle possibilità morali dell’uomo. Costituisce il compimen- sicché il virtuoso desidera sempre comportarsi moralmente bene,
to umano, anzitutto, perché l’uomo si attua agendo e la virtù è ap- ma non è necessitato ad agire dalla virtù. In altri termini, la vir-
punto una propensione ad agire: la prima forma di vizio non è la tù è una disposizione implicante la scelta®: 1) perché si costitui-
mera inattività (dato che un soggetto può essere impedito ad agi- sce allorché scegliamo di agire ripetutamente nello stesso modo;
re contro la sua volontà), però è il non voler agire. Inoltre, rappre- 2) perché è esercitata in ogni occasione compiendo scelte: le mie
senta la pienezza dell’agire umano e la massima espressione delle decisioni passate hanno ingenerato in me una disposizione, ma la
possibilità della ragion pratica sia in quanto (come dobbiamo ve- mia attuale decisione non è un suo riflesso condizionato, bensì ri-
dere tra poco, almeno in parte) è sinergia di ragione, volontà e af- chiede da me che io avalli la disposizione stessa; 3) anzi, accresce
fezione, sia in quanto è l’attuazione perfettiva dell’umana struttu- la possibilità di scelta, in quanto mette a disposizione delle nuo-
rale dimensione intersoggettiva e relazionale (cfr. $ 3). i i ve idoneità (di agire coraggiosamente/lealmente/sinceramente,
Rimandando ad un prossimo lavoro l’approfondimento di ecc.), di cui ero in precedenza sprovvisto.
queste tesi, ci concentriamo ora sulla ragion pratica. Ebbene, la Dunque nella virtù ci sono i seguenti quattro aspetti”: 1) le vir-
ragion pratica virtuosa si esercita nel contesto di una totalità, cioè tù sono disposizioni; 2) hanno una dimensione affettiva, nel sen-
la vita di ciascuno. La nostra vita morale è costantemente in evolu- so che coinvolgono i nostri sentimenti; 3) hanno una dimensione
zione ed ogni azione, per l’effetto immanente dell’agire umano, volizionale; 4) hanno una dimensione intellettuale, perché richie-
riflette il modo in cui ci siamo comportati ed influenza (pur senza dono una capacità di ragionamento pratico.
toglierci la libertà) il modo in cui ci comporteremo?. L’azione virtuosa: è razionale, cioè è diversa da un mero rifles-
Così, una volta acquisita mediante una ripetizione della stes- so condizionato su cui non ho controllo e, per questo motivo, è
sa classe di atti*, la virtù facilita, rende pronta, sicura, spontanea un'azione di cui porto la responsabilità; è un’azione che io com-
e gradevole l’azione buona®. Ma questi sono solo i suoi effetti se- pio, non qualcosa che mi accade, perché ho la capacità di sceglie-
condari. i i re se e come compierla, o se astenermene, esercitando un ragio-
Infatti, il suo effetto primario è abilitare il soggetto a desidera- namento pratico; è abituale, cioè compiuta, generalmente (salvo
re (virtù etiche), individuare-valutare-comandare (phronesis), sce- in casì difficili), senza una particolare riflessione: in forza dell’at-
gliere-eseguire (virtù etiche) l’azione /emozione buona in una si to intenzionale (cfr. $ 6) delle virtù non ho (quasi mai) bisogno di
tuazione particolare: perciò senza la virtù è impossibile il desi domandarmi se compiere il tal o il tal altro atto virtuoso (e talvol-
rio-gestazione-esecuzione dell’azione/ emozione buona (cfr. $ ). ta, ma più raramente, non ho bisogno di domandarmi come com-
La spontaneità della virtù non è automatismo, perché la virtù piere l’atto virtuoso).
Pur agendo mediante le virtù, è vero altresì che, il più delle vol-
te, agiamo senza la consapevolezza di averle; nondimeno, le azio-
M.
3J. Annas, La morale della felicità. In Aristotele e nei filosofi dell’età ellenistica, trad. it. di ni virtuose sono razionali, perché sono il risultato della ripetizio-
Andolfo, Vita e Pensiero, Milano 1998, p. 83.
Da i i
4 Aristotele, Etica Nicomachea (d’ora in poi EN), 1103a 15 e ss.
5 Tommaso d’Aquino, Quaestio disputata de Virtutibus in communi (d’ora in poi
De Virt.), ° Annas, La morale della felicità, p. 82.
a. l. ® Ibi, p. 79.
76 GIACOMO SAMEK LODOVICI VIRTÙ E RAGION PRATICA 77

ne di precedenti azioni ragionate e deliberate e perché sono coe- d) forniscono un sostegno nel rispetto del dovere, come una
renti con tutto il sistema di fini, valori e progetti dell’agente®. sorta di energia!!;
e) sono esse stesse le reazioni moralmente buone in certe situa-
zioni. Per esempio, di fronte ad una situazione di ingiustizia o di
2. Ragion pratica virtuosa ed emozioni sofferenza, rispetto alla quale sono pur impotente, in certi casi io
devo provare il sentimento dell’ira e/o del rammarico e per eser-
L’azione virtuosa richiede il dispiegamento di tutte le dimensio- citare la compassione bisogna provare pena per l’altro!?;
ni umane: la ragione e la volontà, ma anche gli affetti-emozioni (e f) un'emozione come l’emulazione (che è diversa dall’invidia) ci fa
anche la corporeità nel caso degli atti che si esercitano anche at- soffrire «nel constatare la presenza in persone simili a noi per natura,
traverso il corpo). L’agire morale è un processo cognitivo e voliti- di beni [come le virtù] tenuti in grande considerazione e che è possibi-
vo, ma anche emozionale, perché le emozioni svolgono le seguen- le anche per noi ottenere» e ci spinge «ad ottenere quei beni»!9.
ti funzioni in rapporto alla ragion pratica, alla volontà o alla costi- In altri casi, però, le emozioni possono anche fuorviarci!4, per-
tuzione stessa dell’agire virtuoso: i tanto vanno sottoposte ad un processo di coltivazione. Esse pos-
a) consentono di notare alcuni particolari di una situazione siedono un contenuto intenzionale, nel senso che sono dirette a-
pratica e di conoscere meglio le persone: per es., se amiamo qual- riguardano un oggetto!5. Ad esempio, l’ira divampa per qualche
cuno sappiamo empaticamente cogliere un suo disagio interiore ragione e relativamente a qualche cosa che me la procura (per
anche se non lo manifesta e quindi possiamo intervenire in suo es., ritengo di aver ricevuto un’offesa). Le emozioni ci colgono ‘al
aiuto. pensiero di qualcosa’.
In particolare, le emozioni «sono relative al valore, vedono i E per questa loro intenzionalità che le emozioni possono es-
propri oggetti come investiti di valore o importanza»; sere coltivate!, almeno in parte, o mediante un’autocoltivazione
b) consentono di conoscere meglio noi stessi (per es., sono in- che corregge le credenze che stanno alla loro base (ad es., posso
consapevole di quanto sono affezionato ad un mio parente fin- rendermi conto che ciò che mi è capitato non è stato realmente
ché non mi ritrovo a soffrire per una sua grave malattia), facendo- un vero torto, come prima credevo), oppure mediante l’educazio-
ci anche ri-sperimentare emozioni del passato (si pensi alla «made- ne che riceviamo dagli altri e/o dalle leggi, o attraverso l'amicizia
leine» di Proust) e facendoci ri-prendere consapevolezza di valuta- e l’amore degli altri, o mediante la fruizione artistica (musica, let-
zioni e convinzioni ad esse connesse che abbiamo, talvolta, ormai, teratura, cinema, teatro, ecc.).
talmente consolidato da non esserne più consapevoli; Nell’autocoltivazione dei sentimenti la ragion pratica svolge tre at-
c) sostengono/fuorviano sia la phronesis, sia le altre virtù dia- tività!”: interpreta il sentimento che sto sperimentando (per es., in-
noetiche!°. Le nostre emozioni richiedono una coltivazione affin-
ché non deformino la valutazione della ragione: l’uomo tempe-
!! M. Nussbaum, Terapia del desiderio. Teoria e pratica nell’etica ellenistica, trad. it. di N.
rante, coraggioso e giusto ragiona sia teoreticamente sia moral Scotti Muth, Vita e Pensiero, Milano 1998, p. 103.
mente meglio, perché non è influenzato dal risentimento, dalla !? N. Sherman, Making Necessity of the Virtue. Aristotle and Kant on Virtue, Cambridge
paura o dal piacere. University Press, Cambridge 1997, p. 45; cfr. M. Micheletti, / dibattito filosofico sulla
compassione, «Prospettiva EP», 2-3 (2004), pp. 200, 206 e ss.
13 Aristotele, Retorica, II, 4.
14 R. Hursthouse, On Virtue Ethics, Oxford University Press, Oxford 1999, p. 101.
8 Cfr. B. Pollard, Can Virtuous Action be both Habitual and Rational?, «Ethical Theory
and Moral Practice», 6 (2003), pp. 411 e ss. e p. 416. 15 M. Nussbaum, Terapia del desiderio, pp. 88-108; Id., L'intelligenza delle emozioni; Sher-
® M. Nussbaum, L'intelligenza delle emozioni, trad. it. di R. Scognamiglio, Il Mulino, man, Making Necessity of the Virtue, pp. 45, 31, 78 e ss.
Bologna 2004, p. 50. 16 Id., Nascondere l’umanità. Il disgusto, la vergogna, la legge, trad. it. di C. Corradi, Ca-
!° Cfr. L. Trinkaus Zagzebsky, Virtues ofthe Mind. An Inquiry into the Nature of Virtue and rocci 2005, pp. 53-54.
the Ethical Foundation of Knowledge, Cambridge University Press, Cambridge 1996. !7 A. Malo, Antropologia dell’affettività, Armando, Roma 1999, pp. 216-230.
GIACOMO SAMEK LODOVICI VIRTÙ E RAGION PRATICA 779
78

terpreta qual è il sentimento che sto provando quando tutto mi va pendono, in ultima istanza, dalle nostre ragioni per amare. Que-
materialmente bene, ma tuttavia provo un senso di vuoto interiore); ste ultime derivano dalla nostra gerarchia di amori (ordo amoris)»,
perché, «prima e oltre che un ens rationale o un ens volens, l'essere
valuta sia se i sentimenti decifrati sono eticamente giusti o ingiusti, sia
se sono fondati su convinzioni corrette o meno; dirige, cioè modifi- umano è un ens amans»*3, L'amore poi è il principio di ogni nostro
atto/emozione, dato che non si desidera niente che non si ami,
ca, rimuove, accetta o rinforza i sentimenti valutati. Del resto, l’uomo
né si gioisce se non di ciò che si ama, né ci si rattrista se non di ciò
non soltanto prova desideri, ma è anche capace di voler desiderare,
capace di provare «desideri di secondo ordine»!8. che è in contrasto con ciò che amiamo?4, ecc. E i nostri amori e le
Naturalmente, come dice già Aristotele!?, le convinzioni e le nostre predilezioni configurano in modo speciale il nostro carat-
emozioni radicate in età precoce sono molto inveterate e, qua- tere: «ciò che amiamo e che costituisce il fine delle nostre azioni
lora siano sbagliate, liberarsene è molto difficile. Il che eviden- e delle nostre scelte [...] infonde stabilità al nostro carattere»?.
‘zia quanto sia importante e decisiva l’educazione infantile; sen- In effetti, per l’uomo la dimensione intersoggettiva è strutturale,
za con questo negare la libertà umana e la capacità di trascende- dunque egli ha un bisogno costitutivo di amare qualcuno. Perciò,
re sia i condizionamenti culturali, sia quelli delle figure di riferi- la virtù come eccellenza dell’umano non può non trovare nella re-
mento dell’infanzia. Ma la coltivazione etica delle emozioni non lazione il suo dispiegamento.
dev'essere una loro estirpazione. Al contrario, il ripudio e la reie- Per questo l’azione virtuosa richiede il radicamento in una co-
zione di ogni passione e di ogni soddisfazione è un vizio, il vizio munità ed in una tradizione?S: ciascuno di noi vive una vita intes-
della insensibilitas, poiché l’uomo deve dispiegare anche le ener- suta dalle relazioni interpersonali e dalle istituzioni, che ci segna
gie della dimensione emozionale, in quanto un'azione veramente nel bene e nel male. Siamo figli dei nostri genitori, abbiamo rice-
umana non può mancare di sprigionare tutte le potenzialità del- vuto da loro (o siamo stati lasciati privi di) amore, cura, educazio-
la totalità antropologica. Pertanto, un atto conforme ad una nor- ne, ecc., siamo inseriti in una trama di rapporti parentali, amica-
ma, ma esplicato senza la volontà-amore del bene e senza il con- li, scolastici, politici, ecc.??. Tra ragion pratica virtuosa e comunità
corso delle emozioni, non è ancora un atto pienamente virtuoso. è allora possibile rinvenire diversi nessi?8: le virtù vengono appre-
La passione è indispensabile per l’eccellenza umana, perché la di- se ed insegnate in particolari comunità (cominciando dalla fami-
mensione appetitiva (non solo la volontà, ma anche le emozioni) glia), sia ascoltando spiegazioni teoriche, sia prendendo l’esem-
ha la sua dignità e il suo valore in quella totalità che è l’uomo?!. pio dalle persone che le compongono, sia emulando i modelli che
La perfezione della virtù, insomma, comporta una connaturalità le incarnano e che la comunità ci addita; l’esercizio delle virtù e
affettiva al bene.
nas, Paulist Press, New York 1992. Qualche considerazione al riguardo in G. Samek
Lodovici, La felicità del bene. Una rilettura di Tommaso d'Aquino, Vita e Pensiero, Milano
2002, pp. 147-151.
3. Virtù, amore e comunità
23 Cfr. il contributo di E. Ortiz in questo volume.
24 S. Th., I, q. 20, a. 1.
Si potrebbe dir molto a proposito della virtù come ordo amo- 25 A. Campodonico, Sagesse pratique et éthique de la vertu dans la pensée anglo-saxonne
ris2, ma va almeno sottolineato che «le nostre ragioni per agire di- contemporaîne, in corso di pubblicazione, in D. Lories - L. Rizzerio (éds.), Le jugement
pratique. Autour de la notion de phronesis, Vrin, Paris.
26 A. MacIntyre, Dopo la virtù. Saggio di teoria morale, trad. it. di P. Capriolo, Feltrinelli,
18 H. Frankfurt, The Importance of what we Care about. Philosophical Essays, Cambridge Milano 1988, pp. 233-234, 258-259, 264-266; G. Abbà, Felicità, vita buona e virtù. Saggio
University Press, Cambridge 1988, pp. 11-25. di filosofia morale, Las, Roma 1995?, p. 299 e ss.; H.G. Gadamer, Verità e metodo, trad. it.
19 Aristotele, EN, 1179b 16 e ss. di G. Vattimo, Bompiani, Milano 1983, specialmente pp. 323-330.
20 Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae (d’ora in poi S. Th.), HI, q. 142, a. 1. 27 Nussbaum, Terapia del desiderio, p. 106.
21 S. Th., HI, q. 24, a. 3. 28 Alcuni sono indicati da L. Blum, Moral Perception and Particularity, Cambridge Uni-
versity Press, Cambridge 1994, pp. 146-147.
2? Cfr. ad es. P. Wadell, The Primacy of Love. An introduction to the Ethics of Thomas Aqui-
80 GIACOMO SAMEK LODOVICI VIRTÙ E RAGION PRATICA 81

della ragion pratica virtuosa viene rinforzato e sostenuto dalle va- di atti/emozioni intrinsecamente malvagi in qualsiasi caso3?), che
rie comunità; la comunità ci aiuta (senza sostituirsi) ad applicare prescrivono di non compiere mai gli atti che sono intrinsece mala,
(cfr. $ 4) con la nostra ragion pratica virtuosa i principi-regole; la sia norme affermative relative (per es., «aiuta il prossimo», «servi
nostra ragion pratica è attiva nell’esercizio di alcune virtù che sus- la tua patria», «mantieni le promesse», ecc.), che prescrivono di
sistono solo entro certe comunità (per esempio il digiuno quare- compiere certi atti, ma non in ogni occasione, meno che mai se
simale vige solo nella comunità cristiana)?9; la nostra ragion pra- tali atti sono proibiti da norme assolute (per es., non posso aiuta-
tica è attiva nell'esercizio di alcune virtù che trovano la condizio- re i poveri assassinando i ricchi).
ne di possibilità del proprio esercizio solo all’interno di certe co- Rispetto alle norme assolute, la phronesis non ha alcun compito
munità. di fissare delle eccezioni o di affermare la propria indipendenza e
sovranità, però ha pur sempre quello di descrivere l’azione che si
pensa di compiere, per verificare se essa ricada sotto la norma as-
4. Ragion pratica virtuosa e norme soluta. Questo compitoè a volte molto difficile, perché una delle
cose più difficili in etica è proprio compiere corrette descrizioni
Per compiere un’azione virtuosa, per agire bene, non basta essere d'azione, dato che lo stesso atto fisico può cambiare in modo radi-
solo provvisti di norme-regole®°. Anzitutto perché, come abbiamo cale dal punto di vista morale, a seconda del fine prossimo (inten-
già visto, l’atto virtuoso richiede il concorso della volontà-amore zionato dalla volontà), che definisce l’identità dell’azione stessa
del bene e degli affetti?!. Inoltre, perché le norme sono solo indi- (quando chiedo la parola in assemblea, o do il segnale di partenza
cazioni generali, che, eccezione fatta per gli assoluti morali, non di una gara, o do l’ordine di uccidere qualcuno, o faccio il saluto
possono orientare da sole la ragion pratica nella multiformità del- nazista, compio sempre lo stesso atto fisico, ma l’identità morale
le situazioni, bensì sono come una mappa geografica che riporta dell’azione è molto diversa). Per esempio, posto il principio mora-
solo l’indicazione delle località principali. le assoluto «non assassinare», come bisogna comportarsi se un ae-
Ora, esistono sia norme negative assolute (per es., «non assas- reo è stato dirottato e punta diritto sulle Twin Towers? Abbattere
sinare», «non ridurre in schiavitù», «non commettere adulterio», l’aereo (prima che colpisca il suo bersaglio) su cui viaggiano deci-
«non torturare», ecc.; già Aristotele osserva che ci sono certi tipi ne di persone innocenti è un assassinio e quindi è un atto malva-
gio, oppure non è un assassinio e quindi è moralmente giusto?
29 Beninteso, diversamente da quanto ritengono spesso i communitarians, le virtù non Viceversa, le norme affermative, che comandano di compiere
sono sprovviste di un valore universale rispetto a società e a culture differenti. Infatti,
esse si riferiscono e poggiano su esperienze transculturali, le quali ineriscono alla un’azione, non obbligano sempre; pertanto nei loro riguardi la
condizione umana: nel caso della virtù del coraggio, la sfera dell'esperienza interes- phronesis ha un compito molto vasto, per i seguenti motivi.
sata è quella del rischio e del pericolo; mentre per la temperanza l’ambito esperien- 1. La ragion pratica deve, talora, dirimere i conflitti tra quelle
ziale coinvolto è quello dei piaceri. Ora, secondo l’interpretazione della Nussbaum,
è possibile (come fa Aristotele) individuare una pluralità di ambiti esperienziali e
norme che, in certi casi, confliggono tra di loro (come nell’esem-
domandarsi quale sia l’atteggiamento virtuoso da adottare in quegli ambiti. Cfr. M. pio, fatto da Sartre, dello studente che deve scegliere se rispettare
Nussbaum, Virtù non-relative: un approccio aristotelico, in M. Mangini (a cura di), L'etica il dovere di assistere la propria madre anziana o il dovere di ser-
delle virtù e suoi critici, la Città del sole, Napoli 1996, pp. 167-209.
vire la propria patria, che è occupata dai nazisti). E il problema
30 M. Stocker, The Schizophrenia of Modern Ethical Theories, «Journal of Philosophy», 73
(1976), pp. 453-466; N. Sherman, La posizione delle emozioni nella moralità kantiana, in
dei dilemmi etici, su cui tanti autori della Virtue Ethics si sono sof-
M. Mangini, L'etica delle virtù e î suoi critici, C. Swanton, Virtue Ethics. A pluralistic View, fermati.
Oxford University Press, Oxford 2003, pp. 110, 42, 54. Nemmeno i codici deontologi- 2. Per applicare le stesse regole è necessaria una speciale per-
ci sono sufficienti, cfr. A. Da Re, Vita professionale ed etica, in S. Semplici (a cura di), Il
mercato giusto e l’etica della società civile, «Annuario di etica» n. 2, Vita e Pensiero, Milano
2005, pp. 113-123.
3° EN, 1107a 8-19. Per una difesa dell’esistenza degli assoluti morali dal consequen-
31 Questo concorso è richiesto anche affinché lo stesso rispetto delle norme sia virtuo- zialismo cfr. G. Samek Lodovici, L'utilità del bene. Jeremy Bentham, l’utilitarismo e il conse-
so. Manca qui lo spazio per ragionare al riguardo. quenzialismo, Vita e Pensiero, Milano 2004.
VIRTÙ E RAGION PRATICA 83
82 GIACOMO SAMEK LODOVICI

cezione dei particolari salienti di una situazione, è richiesta una ne che ama. Infatti, per lui, il dovere si deduce dal bene e riceve il
«visione»35 che si affina formando la phronesis, la volontà e le emo- suo senso dal bene che esso è chiamato a tutelare, ovvero è il cor-
zioni. relato di un valore che ne costituisce il fine e lo scopo.
Certo, una regola del tipo «fai attenzione a tutti i particolari sa- 8. Esistono atti virtuosi che non ricadono sotto delle regole,
perché non soltanto non sono doveri di tutti, ma nemmeno do-
lienti della situazione» è utile; ma tale regola non ci consente af-
fatto di notarli tutti, né ci indica come individuarli. veri particolari di qualsivoglia soggetto; cioè esistono atti virtuo-
3. Per applicare le regole è necessaria la capacità di individuare si non doverosi (talvolta supererogatori). Per esempio, l’amicizia
quali atti ricadano sotto di esse, bisogna saper descrivere le azio- è una relazione profondamente virtuosa i cui atti, in gran parte,
ni34, e quest'attività è molto difficile, come si è già detto. non ricadono sotto un obbligo morale?5: se mi trattengo a rincuo-
4. Per capire se una norma mi riguarda devo (a volte) posse- rare un amico con cui non sono in rapporti di particolare intimi
dere la virtù: le regole prescrivono alcuni atti che sono doveri so- tà, cambiando i miei programmi della serata, compio un atto vir-
lo di alcuni soggetti, che non sono doveri universalizzabili, per- tuoso ma non doveroso.
ché la loro osservanza non può essere richiesta a tutti (es. il dove- 9. Per riuscire a compiere un’azione virtuosa e per acquisire il
re di devolvere delle somme in beneficenza non sussiste per chi è sapere morale non basta imparare delle norme, bensì dobbiamo
indigente). conoscere-scoprire caratteri paradigmatici, ascoltare storie®”, dob-
5. Per applicare le regole, una volta individuati gli atti che ri- biamo ispirarci a quel modello che è il phronimos e chiedergli con-
cadono sotto di esse e dopo aver compreso che una norma mi ri- siglio (cfr. $ 5).
guarda, è necessaria la capacità di comprendere ‘quando’ in un 10. L'uomo virtuoso ama compiere gli atti virtuosi e, in tal mo-
particolare momento è opportuno seguirle (una volta assunta la do, non sente più la moralità come una costrizione; ma per poter
regola «si devono aiutare i bisognosi», resta il problema di deter- amare la giustizia, il coraggio e le altre virtù è importante previa-
minare quando aiutarli: devo aiutarli in ogni momento della mia mente amare coloro che incarnano questi valori.
vita? Tutte le volte che chiunque me lo domanda? Se no, in qua- 11. Per apprendere le regole bisogna avere dei maestri, ma per
li occasioni?). assimilare e fare nostri i principi morali che impariamo è impor-
6. Dopo aver compreso che è per me il momento di applica- tante amare previamente coloro che ce li trasmettono®*.
re una regola, essa non mi dice precisamente ‘in che modo’ devo La risoluzione dei conflitti tra norme, l’identificazione dei par-
compiere un atto (una volta assunta la regola «si devono aiutare i ticolari salienti, ecc., non possono essere governate da regole. Se
bisognosi», resta il problema di determinare come aiutarli). esistessero tali regole per l’esercizio della phronesis avremmo bi-
7. Per riuscire a rispettare-osservare le regole è importante (tal- sogno di regole del secondo ordine sul modo di applicare que-
volta necessario?) il rinforzo fornito dalle virtù”. Il virtuoso con- ste prime regole; ma, per applicare le regole del secondo ordine,
sidera la norma in modo diverso dal non virtuoso: per il non vir- avremmo bisogno di una capacità distinta da esse, appunto la phro-
tuoso essa, in certi casi, è qualcosa di eteronomo che gli si impo- nesis, oppure di una serie di regole del terzo ordine, e così via al-
ne ed il dovere è sentito come restrittivo della libertà; per il virtuo-
l’infinito. Similmente, le prime leggi umane sono state l’opera di
so la norma è in sinergia con i suoi interessi virtuosi, è in sintonia
col suo desiderio di essere virtuoso, è la via per conseguire il be-
36 Blum, Moral Perception and Particularity, pp. 16-21, 166-168.
33 Blum, Moral Perception and Particularity, pp. 30-61. 87 Cfr. l’interpretazione della catarsi di M. Nussbaum, // giudizio del poeta. Immaginazio-
ne letteraria e vita civile, trad. it. di G. Bettini, Feltrinelli, Milano 1996; G. Bettetini - A.
34 R. Mordacci, Una introduzione alle teorie morali. Confronto con la bioetica, Feltrinelli,
Fumagalli, Quel che resta dei media. Idee per un'etica della comunicazione, FrancoAngeli,
Milano 2003, p. 216.
Milano 1998, pp. 76-110.
35 A. MacIntyre, Animali razionali dipendenti: perchè gli uomini hanno bisogno delle virtù,
9 A. MacIntyre, Giustizia e razionalità, trad. it. di C. Calabi, Anabasi, Milano 1995, p.
a cura di M. D’Avenia, Vita e Pensiero, Milano 2001, p. 107; Swanton, Virtue Ethics, s
142.
p. 67.
84 GIACOMO SAMEK LODOVICI VIRTÙ E RAGION PRATICA 85

uno o più legislatori che, nel formularle, non avevano alcuna re- ni particolari, né solo una sussunzione di casi sotto norme. Piutto-
gola che li guidasse®?. sto, grazie al potenziamento ricevuto dalla phronesis e al contribu-
Naturalmente, dire che per agire bene non basta essere prov- to delle virtù etiche, è capace di percepire il bene e di specificar-
visti di regole e di norme non vuol dire che non esistano norme o lo in concreto.
che si possa fare a meno di esse”°: le regole restano molto utili an- Un'analogia appropriata è quella artistica, perché l’opera d’ar-
che perché a volte un soggetto non riesce a valutare le circostan- te non è il mero prodotto del rispetto di regole tecniche: dipende
ze particolari in modo sufficientemente corretto, o per mancan- anche dal rispetto di regole e procedure, però è principalmente
za di tempo, o per mancanza di informazioni, o per mancanza di una sintesi inventiva, cioè per la sua realizzazione sono richieste
un adeguato sviluppo morale. Semplicemente, le norme non han- l'ispirazione e l’intuizione creativa. Inoltre, come l’opera d’arte
no il primato. è più della semplice somma degli elementi materiali che la com-
pongono (per es., la tela e i colori), così l’azione virtuosa è ben
più della somma delle realtà che coinvolge e delle conseguenze
5. Identità e funzioni della ragion pratica che produce. Possiamo dire dell’azione quanto dice Pareyson del-
l’esecuzione-interpretazione dell’opera d’arte, cioè che «la per-
La ragion pratica va concepita evitando due interpretazioni op- sonalità dell’interprete, lungi dall’essere ostacolo alla vera e pro-
poste*!. Da un lato, per alcuni, essa avrebbe il compito di stabili- pria esecuzione [...] ne è invece l’unica condizione possibile» e
re eccezioni alle norme, in rapporto all’irriducibile singolarità del «l’opera [come il bene] non vive che nelle proprie esecuzioni»,
caso particolare, con ciò affermando una propria totale indipen- cioè non ci sono Idee platoniche del Bene. E, ancora, «la racco-
denza da qualsiasi principio morale universale. La ragion pratica, mandazione di eliminare quegli atteggiamenti personali che im-
per il fatto di avere a che fare con la realtà mutevole, sarebbe (ad pediscono la comprensione [dell’opera d’arte, dice Pareyson, ma
esempio per Gadamer)" indipendente da qualsiasi scienza del- anche di quale sia l’azione buona da compiere, diciamo noi] non
l’universale necessario ed immutabile. D’altro canto, secondo al- può aver altro senso che l’invito a sostituirli con altri atteggiamen-
tri, per salvare l’oggettività della verità etica bisognerebbe rifiuta- ti, ancora personali, che invece siano condizione di penetrazio-
re la capacità ermeneutico-inventiva della ragion pratica ed attri- ne» #4
buirle un mero compito applicativo-esecutivo dei principi etici. Come abbiamo visto, non esiste un sistema di regole per con-
Piuttosto, è vero che la ragion pratica deve rispettare alcuni durre a termine un buon ragionamento pratico. È un po’ come
principi universali ed oggettivi, le norme assolute, ma non è, per nei romanzi gialli: molti personaggi ed il lettore conoscono gli
questo, semplicemente deduttiva, bensì inventiva‘. Essa non eser- stessi fatti conosciuti dal detective, e possono avere,anche notevoli
cita solo una deduzione di principi specifici già compresi in una abilità intellettuali e magari conoscere le regole del ragionamen-
Grundnorm, né solo un’applicazione di regole già date a situazio- to deduttivo e di quello induttivo; eppure ciò non è loro sufficien-
te per riuscire a risolvere il caso”.
39 Ibi, pp. 145, 148. Neanche il test di universalizzabilità è sufficiente, cfr. G. Samek
Ancora, il compito ermeneutico della ragione è insostituibile
Lodovici, L’utilità del bene, pp. 80-82. ed infinito, perché infinite sono le situazioni in cui la ragione de-
40 M. Micheletti, Persona nell’etica delle virtù, «Hermeneutica», 2006, pp. 414-416; M. ve reperire l’azione buona che incarna l’ideale di vita buona del
Nussbaum, Virtue Ethics: a Misleading Category, «The Journal of Ethics», 3 (1999), p. soggetto. Perciò, se già l’azione umana è (cfr. Arendt, Ricoeur e
178; Sherman, Making Necessity of the Virtue, pp. 239-246, 266-275.
De Finance) un novum che interrompe la prevedibilità ed indero-
4 Cfr. L. Melina, La prudenza secondo Tommaso d'Aquino, «Aquinas», 49 (2006), 2-3, p.
383.
4 H.G. Gadamer, Il problema delle coscienza storica, trad. it. di G. Bartolomei, Napoli 4 L. Pareyson, Filosofia dell’interpretazione, Rosemberg & Sellier, Torino 1988, pp. 106,
1974, pp. 61-74. 110, 121.
48 Cfr. per es. Swanton, Virtue Ethics, pp. 161, 276. 4 Trinkaus Zagzebsky, Virtues of the mind, p. 226.
86 GIACOMO SAMEK LODOVICI VIRTÙ E RAGION PRATICA 87

gabilità dei nessi fisici di causa-effetto, la ragion pratica introduce delle virtù dal primo al secondo. Certo, pochi hanno il dono di co-
nell’ordine delle azioni umane un novum ulteriore, configurando noscere di persona dei phronimoi, dei santi e degli eroi, ma noi tut-
quindi un novum alla seconda potenza. ti possiamo reperirli almeno nelle storie della grande letteratura
Ancora, la ragion pratica informata dalla phronesis non è una e nei racconti delle nostre tradizioni.
mera capacità tecnica, però richiede anche delle competenze tec- Insomma, il phronimos è la vera norma etica decisiva a cui con-
niche specifiche: l’agire buono di un chirurgo richiede anche la formarci e il referente a cui chiedere consiglio. Stiamo qui di-
competenza chirurgica specifica: un’operazione chirurgica sprov- cendo che in una situazione pratica a volte l’unico, ultimo e deci-
vista delle necessarie conoscenze tecniche è sbagliata anche dal stuo modo per sapere come agire moralmente bene è conformar-
punto di vista morale. si-chiedere consiglio al phronimos. Mi conformo-mi consiglio con
Inoltre, la ragion pratica di ognuno è insostituibile ed il suo lui: quando mi manca l’esperienza di vita che lui possiede, quan-
compito non può essere delegato a nessuno. Come dice Spae- do non possiedo il suo stesso grado di scienza etica e/o non ho
mann‘, quando fu ordinato a dei giovani agenti delle SS di uc- sviluppato quanto lui la phronesis, quando nel giudicare la mia si-
cidere dei bambini ebrei, la loro coscienza fu tacitata dall’autore- tuazione sono fuorviato dalle passioni e/o non ho il sufficiente di-
volezza degli esperti, con le loro teorie sulla dannosità della raz- stacco oggettivo dalla situazione in cui sono coinvolto.
za ebraica. Non bisogna rinunciare al proprio ruolo di decisori ra- Ma, di nuovo, la ragion pratica come può individuare il phroni-
zionali: anche il phronimos, a cui si chiede consiglio, non può ave- mos? L'uomo possiede una capacità, la sinderesi, che, se non è in-
re l’ultima parola. fluenzata dal vizio, ci abilita‘ (cfr. $ 7): 1) a comprendere di aver
Ma come fa la ragion pratica ad apprendere quali siano gli atti bisogno di prendere ispirazione/chiedere consiglio al phronimos;
virtuosi? Quali atti siano virtuosi lo apprendiamo dapprima in mo- 2) a percepire in modo ancora generico e incoativo quali siano
do generico a partire dalle inclinazioni naturali (cfr. $ 7); di segui- le azioni virtuose e quando le vediamo incarnate in un soggetto,
to, in modo più circostanziato, lo apprendiamo mediante l’eser- egli può dunque essere un phronimos; 3) a discernere un consiglio
cizio della phronesis, e consultando ed emulando il phronimos: lo buono da uno cattivo.
osserviamo, gli chiediamo consiglio, lo emuliamo e possiamo co- Siamo consapevoli che l’esistenza della sinderesi non è pacifi-
sì comprendere in profondità e in una situazione specifica quale camente riconosciuta da tutti gli eticisti, anzi. Ma se Tommaso si
sia il bene. | sbagliasse a indicarne l’esistenza, allora (per tutto quanto si è vi-
Il fatto è che «in quanto ens amans [...] ogni uomo ama qualco- sto al $ 4) dovremmo rassegnarci: in molte situazioni saremmo in-
sa... 0, meglio, qualcuno. La dinamica dell’amore implica che ci superabilmente incapaci di individuare il bene.
identifichiamo con ciò che amiamo». E, allora, «santi ed eroi con-
figurano gli esempi morali che ogni uomo possiede implicitamen-
te o esplicitamente. Sono degli esempi che cerchiamo di emula- 6. Ragion pratica e virtù
re, dato che con essi ci identifichiamo»”. In generale, è la benevo-
lenza che alcune persone nutrono nei nostri confronti che ci por- Detto tutto ciò, ci si può adesso chiedere: qual è il rapporto tra la
ta ad eseguire ciò che esse ci chiedono. Tale relazione tra chi edu- ragion pratica e le virtù? Se fino ad ora ci siamo avvalsi spesso del
ca e chi viene educato è determinante e realizza quasi un transfert contributo di vari autori, specialmente di quelli della Virtue Ethics,
forse qui bisogna rivolgersi in particolare, ma non esclusivamen-
te, alla proposta tommasiana.
46 R. Spaemann, Concetti morali fondamentali, trad. it. di L. Tuninetti, Piemme, Casale Ciò richiede di riconsiderare la ‘dottrina dell’unità delle vir-
Monferrato 1993, pp. 80-82.
47 E. Ortiz, Santi, eroi e atti supererogatori, in L. Melina - O. Bonnewijn, La sequela Christi.
Dimensione morale e spirituale dell’esperienza cristiana, Lateran University Press, Roma 48 S. Th., IHI, q. 47, a. 14, ad 2 eJ. Pieper, Sulla prudenza, trad. it. di G. Pezzuto, Mor-
-2003, pp. 314-315. celliana, Brescia 1953, p. 27.
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89

tù’, che gli autori contemporanei raramente condividono. E pos- Si può allora sceverare il rapporto phronesis-virtà etiche. An-
sibile possedere parzialmente una virtù e mancare delle altre, ma zitutto, anche per tutto ciò che abbiamo visto (al $ 4), non può
il possesso pieno di una virtù richiede quello delle altre. Infatti, le esserci la buona scelta della virtù etica come habditus elettivo
virtù si formano e si sviluppano in modo sincronico, come le di- senza il contributo della phronesis, che davvero è «auriga virtu-
ta di una mano, che crescono simultaneamente e proporzionata- tum»,
mente”. il D'altra parte, non può nemmeno esistere la virtù della phrone-
In effetti l’azione virtuosa ha una gestazione costituita di tre sis senza il possesso delle virtù morali: in primo luogo perché la
momenti. o. phronesis esige che il desiderio del fine sia buono come condizio-
1) Il desiderio-proposito di essere virtuosi (di essere giusti, lea- ne di possibilità per esplicarsi (cioè presuppone l’atto intenziona-
li, ecc.): la formulazione di questo proposito è l’atto intenziona- le della virtù); in secondo luogo perché (come recita la formula
le della virtù, mediante cui un fine virtuoso viene connaturalizza- di Aristotele) qualis unusquisque est talis finis videtur eÈS: la natura
to50. Questo atto della virtù relativo ai fini e presupposto alla buo- di un soggetto può essere, in parte, modificata dalle sue disposi-
na scelta, lo chiamiamo (seguendo A. Rodrîguez Lufo)?! atto in- zioni (verso alcuni fini), acquisite con la formazione di un habitus,
tenzionale, dato che l’intenzione è l’atto appetitivo che ha per og- e l’habitus fa sembrare buono ciò che gli si addice e cattivo quan-
getto i fini. L'atto intenzionale della virtù è il principio efficace di to gli si oppone, e come il gusto giudica i sapori dei cibi a secon-
tutti gli atti susseguenti??. i o da della propria disposizione, così l’uomo giudica sul da farsi a se-
2) L’individuazione-valutazione-comando, in una situazione conda della propria disposizione morale.
concreta, dell’azione/emozione concreta che realizza il proposi- Perciò, l’uomo progredisce nella conoscenza del bene solo se
to virtuoso: è l’atto della phronesis sorretta delle virtù etiche. pratica le virtù. Come dice MacIntyre?”, c’è quindi un’analogia tra
3) La scelta dell’azione concreta ormai individuata dalla phro- lo sviluppo del giudizio morale e quello del giudizio tecnico: co-
nesis: in ciò consiste l’atto elettivo della virtù®9. me nella musica è richiesto un apprendistato per riconoscere ap-
Dunque, l’azione virtuosa presuppone l’intenzione virtuosa pieno in che cosa consista un’esecuzione eccellente, come è ne-
di un fine virtuoso (cioè l’intenzione di una certa azione buona cessario l’allenamento per riconoscere pienamente l’eccellenza
considerata astrattamente); dopodiché la phronesis valuta, giudica dell’esercizio atletico, così una capacità di identificare chiaramen-
e comanda i mezzi (concrete azioni virtuose) adeguati al fine pre- te il bene richiede un’educazione del carattere.
fissato dagli atti intenzionali delle virtù; infine l’atto elettivo sce- Ciò avviene perché l’uomo è «un intero antropologico costitui-
glie concretamente le concrete azioni virtuose, quali mezzi che to dall’intima sinergia di cognitivo e affettivo e quindi unità indivi-
conseguono tale fine. sibile di intelligenza appetitiva e appetizione intelligente, di ragio-
ne affettiva e di affezione ragionevole; più in generale, di pensiero
affettuoso e di affezione pensante»?8. In tal modo, «quale azione
49 S. Th., HI. q. 66, a. 2. Una posizione più sfumata in N.K. Badhwar, The Limited Unity sia giudicata conveniente, quale intenzione sia da avallare, quali
of Virtue, «Nous», 30 (1996), 3, pp. 306-329. circostanze vengano avvertite o considerate rilevanti, dipende dal-
50 M. D’Avenia, La conoscenza per connaturalità in S. Tommaso d'Aquino, ESD, Bologna lo stato appetitivo e affettivo del soggetto»99.
1992, p. 143. i
51 Cfr. Rodrfguez Lufo, La scelta etica. Il rapporto tra libertà e virtù, Ares, Milano 1988,
p.31. i
55 In II Sent., dist. 41, q. 1, a. 1, ad 3.
52 B. Morisset, Le syllogisme prudential, «Laval Théologique et Philosophique», 19
o . i 56 EN, III, 1114a 31-32; S. Th. III, q. 24, a. 11.
(1963), 1, pp. 64, 71-72, 76-78.
5? MacIntyre, Giustizia e razionalità, p. 137.
53 Cfr. Rodriguez Lufio, La scelta etica. Dopo la scelta deve ancora avvenire 1 esecuzio-
ne (dell’azione scelta), la quale può coinvolgere nuovamente le virtù. Non è qui il 58 E. Botturi, Etica degli affetti?, in F. Botturi - C. Vigna (a cura di), Affetti e legami, «An-
nuario di Etica» n. 1, Vita e Pensiero, Milano 2004, p. 48.
caso di scendere troppo nel dettaglio.
54 Cfr. per es., S. Th., HI, q. 57, a. 4, q. 65, a. 1, q. 66, a. 3, ad 3. 59 Abbà, Felicità, vita buona e virtù, p. 172.
90 ‘ GIACOMO SAMEK LODOVICI VIRTÙ E RAGION PRATICA 91

Questa connessione tra sensibilità e ragione è garantita dalla la temperanza o dalla bontà». Così, «cogliere il bene di una virtù
«cogitativa»50. Infatti, la nostra conoscenza perviene ai singolari nella vita dell’agente non può essere qualcosa di isolato: l’agente
grazie alla continuità tra conoscenza intellettiva e sensitiva, che è ha bisogno di capire come i vari beni si relazionano e si accorda-
assicurata dalla cogitativa o ragione particolare. no»55. La phronesis non può valutare sui singoli ambiti dell’agire
Questa funzione superiore della sensibilità umana possiede umano se non sa dare a ciascuno il giusto peso rispetto agli altri.
un’importante bivalenza affettiva e cognitiva: «la cogitativa è ra- D'altra parte, come abbiamo detto, per cogliere il bene nei sin-
tio particularis, svolge cioè un’attività di confronto e unificazione goli ambiti, per fare ragionamenti pratici corretti, bisogna eser-
(coagere/ collatio) dei dati sensibili», «è dunque già un leghein, un citare le virtù etiche. E chi, per esempio, dedica quasi tutto il suo
esercizio del logos, perché come facoltà sensibile participat aliquid tempo all’esercizio della generosità non esercita la virtù della for-
de vi intellectiva, ricevendo un influsso che le dà capacità discorsi- tezza e viceversa. Ancora, «la virtù morale può adempiere la fun-
va»51, Ora, la phronesis è inerente alla ragione, ma si estende anche zione di abito elettivo del giusto mezzo solo alla luce di una ret-
alla cogitativa, cioè «si trova [...] nella ragione in modo principa- ta ragione totale, riferita a tutti i settori della vita morale [...].
le, nella cogitativa e nella memoria in modo secondario»6?. Così? Per la connessione delle operazioni e delle passioni può succede-
il percepire-sentire umano non è pura passività e c'è «un'attività re che qualcuno commetta un’azione disonesta non solo per de-
nella passività» (secondo la formula con cui Hegel descrive la con- siderio di piacere, ma anche per avarizia, vendetta, ecc.»98, Cer-
cezione di Aristotele)%. Dunque la cogitativa garantisce una pro- to, «un uomo che non vive abitualmente la castità può con lode-
fonda continuità tra sensibilità e ragione: esse non sono due oriz- vole sforzo praticare ordinariamente la giustizia; tuttavia, quan-
nos ; a x
zonti esterni l’uno all’altro; piuttosto la ragione è immanente al- a Seria e cena disordinata lo esigerà,a facilmente
. »
viole-
la dimensione sensibile e tra di loro c’è una specie di osmosi, di
compenetrazione. Le virtù ridondano l’una sulle altre, in base al principio secon-
Torniamo al rapporto tra la phronesis e le virtù etiche. Come do cui chi è capace del più è capace anche del meno: chi sa eser-
abbiamo già detto, la mancanza di una virtù e la soggezione al vi- citare la temperanza rispetto ai piaceri del tatto, che è la cosa più
zio opposto ad essa costituiscono nel soggetto una disposizione difficile, con ciò diviene più adatto a contenere nei giusti limiti
affettiva, che deforma il giudizio della phronesis. Ebbene, questa l’audacia di fronte ai pericoli della morte, il che è più facile, ed
deformazione si riverbera in tutti gli ambiti in cui la phronesis si in tal senso la fortezza può dirsi temperante; e la temperanza può
esercita: ad es., «essere giustamente adirati [...] implicherà una dirsi forte, per il ridondare in essa della fortezza, in quanto chi,
corretta intuizione dell'importanza di ciò per cui ci si adira» ed grazie alla fortezza, ha l’animo fermo contro i pericoli della mor-
«un corretto giudizio non soltanto riguardo a ciò che è richiesto te, che è la cosa più difficile, è meglio disposto a conservare una
dalla buona indole, ma anche riguardo a quanto è richiesto dal- fermezza d’animo contro l’impulso dei piaceri$8, E, ancora, è im-
probabile che si lasci vincere dalla cupidigia chi non si piega al ti-
60 In III Sent., dist. 23, q. 2, a. 2, ad 3; R. Garcia de Haro, Legge, coscienza e libertà,
trad. more, o che si lasci vincere dal piacere chi si è mostrato invincibi-
it. di M. Di Palma, Ares, Milano 1990?, p. 112, nota 2 e p. 123. Un studio classico sulla. le alla fatica®®.
|
cogitativa è G.P. Klubertanz, The Discursive Power. Source and Doctrine of the Vis Cogitativa Abbiamo già menzionato velocemente gli atti specifici della ra-
according to St. Thomas Aquinas, The Messenger Press, Cartagena (Ohio) 1952.
61 Botturi, Etica degli affetti?, pp. 47-48.
6? Rodriguez Lufio, La scelta etica, p. 103. Tommaso lo dice in S. Th., IHII, q. 47,2. 3, © Annas, La morale della felicità, p. 111.
ad 3.
5 Rodriguez Lufio, La scelta etica, p. 120.
68 P. Gomarasca, La ragione negli affetti. Radice comune di logos e pathos, Vita e Pensiero,
ira Haro, La vita cristiana. Corso di teologia morale fondamentale, Ares, Milano
Milano 2007, pp. 234 e ss.
1932, , p. 482.
64 G.W.F. Hegel, Lezioni sulla storia della filosofia, vol. II, La Nuova Italia, Firenze
pp. 350-351. Anche per Pareyson, Filosofia dell’interpretazione, p. 83, «recettività e atti-
8 S. Th., HI, q. 61, a. 4.
vità sono indisgiungibili». 9 Cicerone, De Officis, c. 20.
GIACOMO SAMEK LODOVICI
VIRTÙ E RAGION PRATICA 93
92

gion pratica virtuosa e adesso li possiamo focalizzare meglio”°. So- re, quello della genesi del ragionamento pratico del virtuoso. Poi-
no l’inquisitio (0 consilium), il iudicium e l’imperium!. i ché negli autori contemporanei manca una tematizzazione al ri-
L’inquisitio è il primo atto della ragion pratica virtuosa ed ha il guardo, possiamo cercare delle indicazioni, di nuovo, nella filoso-
compito di individuare il numero più elevato possibile di azioni fia tommasiana”, anche se con qualche libertà.
che conducono al fine prefissato dall’atto intenzionale della virtù. La ragione può riflettere sull’azione in due modi: in astrat-
L’inquisitio si focalizza sui mezzi per raggiungere il fine che sono to, secondo una prospettiva universale o in concreto, in quanto
accessibili al soggetto: solo le azioni che il soggetto può concreta: l’azione è attuabile adesso, hic et nunc.
mente esplicare”? vengono esaminate dall’inquisitio. Durante 1 in- La prima attività è quella del filosofo-scienzato morale: a que-
quisitio la ragione fa tre analisi”?: dato un fine, l’inquisitio ragiona sto livello di astrazione si elaborano norme di condotta che sono
circa quali azioni siano conformi ad esso, esercitando la memoria universali, perché in esse l’azione da compiere non è (né può es-
sere) descritta in tutte le sue circostanze singolari, ma solo in mo-
del passato, l’intelligenza del presente, ed una certa anticipazio-
ne del futuro”4; poi, se le azioni sono più di una, ragiona su quella do generico. La seconda attività è quella propria del singolo uo-
più appropriata per raggiungere il fine; da ultimo, analizza in che mo che si ritrova ad agire, e che ragiona cercando di reperire qua-
modo esercitare tale azione per conseguire il fine. le azione concreta compiere hic et nunc. AI primo livello la ragio-
Il secondo atto della ragion pratica virtuosa è il 2udicium, che è ne è solo potenzialmente pratica; al secondo è attualmente prati-
il passaggio dalla molteplicità delle possibili azioni concrete (indi- ca, ed è a questo livello che agisce la phronesis.
Ora, l’uomo nasce senza alcuna conoscenza innata, né specu-
viduate dall’inquisitio) all’unità: bisogna infatti stabilire quale sia
la via, qui e ora, per raggiungere il fine prefissato. Esso dice dun- lativa, né pratica. Dal punto di vista della prima persona, io esperi-
que quale sia l’azione che qui e ora andrebbe esplicata. o sco in me stesso delle tendenze-inclinazioni (che sono germi” di
Il terzo atto della ragion pratica è l’imperium: il giudizio dice virtù): delle tendenze-inclinazioni delle passioni verso il consegui-
quale azione/emozione andrebbe esplicata, l’imperium comanda mento di alcuni beni (per es., l’autoconservazione, l’unione ses-
suale e la continuazione della specie, la vita sociale); una tenden-
di esplicarla, dice: «devo esplicare questa concreta azione».
za-inclinazione dell’intelletto verso quel bene che è la conoscen-
za della verità (sia speculativa, sia pratica); una tendenza-inclina-
7. Genesi della conoscenza morale e del ragionamento pratico” zione della volontà verso il bene in universale e verso una qualche
relazione con Dio.
Per comprendere ulteriormente la specificità della ragion pratica Queste tendenze-inclinazioni sono connaturali, io le esperisco
e della phronesis c'è un altro tema che è ancora importante tratta- vivendo, e, per loro tramite, apprendo i principi morali primari
della legge naturale, che dunque sono principi appresi natural-
mente, ma non innati. In altri termini, i principi universali vengo-
70 Ci richiamiamo specialmente a L. Melina, La conoscenza morale. Linee di riflessione sul
Commento di san Tommaso all’Etica Nicomachea, Città Nuova, Roma 1987, PP. 203-219 no colti a partire dall’esperienza concreta dell’incontro col mon-
e a M. Konrad, L'atto umano nella filosofia morale di Tommaso d Aquino, «Aquinas», 49 do e con le persone. Infatti, grazie alla tendenza-inclinazione del-
(2006), 2-3, pp. 405 e ss. Ma tra gli interpreti di Tommaso ci sono diverse divergenze l'intelletto verso la conoscenza della verità, mentre faccio espe-
al riguardo (per esempio circa il momento in cui avviene la scelta), pertanto la pre-
sente concezione è una proposta di chi scrive, quale che sia la corretta ermeneutica rienza, ho induttivamente un’apprensione, mediante la sinderesi,
del pensiero tommasiano. i dei principi morali primari della legge naturale”8, che sono cor-
7! Tommaso d’Aquino, Sententia libri Ethicorum (d’ora in poi In Ethic.), VI, n. 1269.
72 Cfr. EN, 1112a 18 e ss.
® Cfr. S. Th., II, q. 51, a.le q. 63, a. 1.
73 Im Ethic., III, n. 475.
7 S. Th., HI, q. 94, a. 2, q. 63, a. 1. Essi sono comuni a tutti gli uomini, anche se la loro
74 S. Th., III, q. 53, a. 3. intensità varia da persona a persona, De Virt., a. 8.
7 Rimandiamo in particolare a Melina, La conoscenza morale, specialmente, pp. 152-
78 Tommaso d’Aquino, De Veritate, q. 16, a. 1. Non è compito di questo contributo in-
157 e ad Abbà, Felicità, vita buona e virtù, p. 213.
VIRTÙ E RAGION PRATICA 95
94 GIACOMO SAMEK LODOVICI

do i principi morali primari a partire dalle mie inclinazioni, la


relati alle inclinazioni (per es., a partire dalla mia inclinazione a
conseguenza è che i miei principi morali primari vengono distor-
convivere con i miei simili, apprendo il principio morale prima-
rio «non devo fare del male agli altri uomini»’° ed a partire dal-
ti (per es., a partire dalla mia inclinazione a convivere con gli al-
tri io apprendo il principio morale primario «non devo fare del
la mia inclinazione a Dio apprendo il principio «bisogna onora-
male agli altri uomini»; ma se io assecondo in me la passione del-
re Dio»80).
Da questi principi primari deduco®! poi i principi morali se- l’ira, facendola diventare un vizio, questa, a lungo andare, distor-
ce la mia esperienza di questa inclinazione, perciò ne deriva che il
condari (a partire dal principio «non devo fare del male agli altri»
mio principio generale diventa «posso — almeno in certi casi — fa-
ricavo il principio «non devo mentire, perché non devo infligge-
re del male agli altri»).
re agli altri quel male che è la privazione della verità»). Così, la ra-
n Questa distorsione dell’esperienza delle mie inclinazioni e per-
gion pratica consente all’uomo di agire in base a principi raziona-
ciò dei principi etici può essere più o meno ampia, ed è moral-
lì e non solo in base ad inclinazioni; ma attraverso principi che la
mente colpevole, perché io sono responsabile del vizio che ho in
ragione coglie grazie alle inclinazioni fondamentali.
me consolidato.
Mentre vengo educato, questi stessi principi (primari e secon-
dari) che io colgo autonomamente facendo esperienza, mi vengo-
i 2. a) da cattivi educatori; b) da una cultura ambientale fuor-
es- viante.
no anche insegnati da altri (se ho dei buoni educatori). Anzi,
Entrambi possono fuorviarmi intellettualmente, ma non pos-
sere oggetto di amore-riconoscimento da parte degli altri è fon-
sono sovvertire le mie inclinazioni fondamentali. Perciò tale di-
damentale per attivare le proprie capacità fondamentali, compre-
storsione riguardo ai principi morali primari non può essere tota-
se quelle del ragionamento pratico. Inoltre, nel rispondere alle
domande sul bene e sul male gli esseri umani hanno bisogno di
le, perché non interviene sull’esperienza delle inclinazioni: io vi-
vo in me stesso le inclinazioni originarie e dunque resto in gra-
amici e maestri e intrecciando tali relazioni si ritrovano per pri-
do di apprendere, anche se meno chiaramente, i principi mora-
ma cosa proprio a dover capire come intrecciarle8?. Nell’intera-
li primari.
zione con l’altro essi imparano che in una relazione amicale si ri-
La deduzione dei principi morali secondari può essere distor-
chiede di cercare il suo bene, di proteggerlo (se ci è possibile) da
ta-ostacolata (e anche completamente impedita)83:
ciò che può essergli dannoso, di non mentirgli, ecc. Ma, come di-
1 dalle passioni viziose: esse modificano-distorcono il modo in
ce MacIntyre, rispettare tali principi significa già rispettare alcuni
cui sperimento le mie inclinazioni naturali e, poiché io deduco i
dei principi della legge naturale. Così, parte della legge naturale
principi morali secondari dai principi morali primari, la mia de-
è già rispettata in actu exercito mentre ci rapportiamo agli altri che,
duzione risulta erronea (per es., se ho formulato il principio «pos-
educandoci, ce la stanno insegnando.
so fare del male agli altri», non sono più in grado di dedurre che
L'acquisizione dei principi morali primari può essere ostacola-
«non infliggere agli altri quel male che è l’inganno» e deduco che
ta (e anche completamente impedita?):
«posso ingannare gli altri»).
1. dalle passioni viziose: esse modificano-distorcono il modo in
Quest’erroneità della deduzione può essere: totale o parziale,
cui sperimento le mie inclinazioni naturali e, siccome io appren-
a seconda che la distorsione nella percezione dei principi morali
primari sia totale o parziale.
terrogarsi circa la vexata quaestio della fondazione della legge naturale
e circa la legge i Le passioni fanno sì che la mia volontà (per il primato di eser-
nell’etica filosofica di cizio della volontà rispetto alla ragione) non voglia che la ragione
di Hume. Al riguardo cfr. F. Botturi, La fondazione dell obbligo morale
Tommaso d'Aquino, in Fine e valore, Armando, Roma 1993, pp. 27-40. prenda in considerazione i principi morali primari, perciò io non
79 In Ethic., VI, n. 1277. deduco da essi i principi morali secondari.
80 De Veritate, q. 16, a. 2.
81 S. Th., HI, q. 58, a. 5.
83 S. Th., HI, q. 100, a. 11.
82 MacIntyre, Giustizia e razionalità, p. 221.
96 GIACOMO SAMEK LODOVICI VIRTÙ E RAGION PRATICA 97

L’erroneità della deduzione è colpevole, perché io sono re-


<
maggiore del sillogismo pratico. Quando questa conoscenza ri-
sponsabile del vizio che ho in me consolidato84. guarda azioni/emozioni virtuose (per esempio: «agire coraggiosa-
2. da un difetto di conoscenza, che proviene: da cattivi educa- mente/lealmente/sinceramente, ecc., è bene»), provoca nell’uo-
tori; da una cultura fuorviante. mo virtuoso un desiderio-proposito (in astratto) correlativo, cioè
Questa distorsione può essere parziale o totale (per es., la va- l’atto intenzionale della virtù, di cui abbiamo parlato.
lutazione della schiavitù — nel mondo antico — o del razzismo: io Solo a questo punto, quest’iniziale conoscenza morale viene
percepisco il principio morale primario che dice: «non devo fare poi (da alcuni) sviluppata criticamente e si acquisisce la filosofia
del male agli altri uomini», ma mi è stato continuamente ripetuto morale. Il che vuol dire (come è ovvio) che per essere virtuosi ed
che gli schiavi e i neri non sono uomini). agire bene non è necessario essere filosofi morali; anche se la fi-
Può essere incolpevole/colpevole: dipende se mi sono/non mi losofia morale, qualora sia corretta, può migliorare (mai sostitui-
sono sforzato di cogliere la verità e sono stato totalmente/parzial- re) l’esercizio della phronesis, e quindi dell’agire virtuoso. Per esse-
mente plagiato da cattivi educatori e/o da una cultura fuorviante. re virtuosi è invece necessario un certo grado di conoscenza mo-
Naturalmente, durante questo processo di acquisizione della rale, quello che formula gli enunciati che costituiscono la premes-
conoscenza morale (che è previa e distinta dalla filosofia morale) sa maggiore del sillogismo pratico (cioè l’enunciato: «agire corag-
io agisco continuamente e continuamente devo interpretare del- giosamente/lealmente/sinceramente, ecc., è bene»).
le situazioni moralmente salienti, e ciò si riverbera sulla mia stes- E la filosofia morale si acquisisce sia mediante un processo de-
sa conoscenza morale. La forma dell’interazione tra la mia co- duttivo di ulteriore esplicitazione-deduzione critica dei principi
noscenza morale e le singole interpretazioni che compio circa le morali secondari da quelli primari, sia mediante un processo in-
azioni è quella del circolo ermeneutico gadameriano®: la mia vi- duttivo (a partire dalla mia esperienza consolido-preciso critica-
ta è come un testo e le singole azioni sono come le sue parti. Co- mente quella conoscenza morale che già ho acquisito induttiva-
me noi non ci avviciniamo mai ad un testo come una ‘tabula ra- mente facendo esperienza), sia grazie al dialogo-confronto con gli
sa’, ma sempre con delle precomprensioni, così noi interpretia- altri e il dialogo-studio-confronto con altri studiosi di etica.
mo una situazione moralmente saliente alla luce di una conoscen- Ciò significa che il sapere acquisito dalla phronesis non è inco-
za morale previa, che concerne sia i principi morali, sia il senso municabile e irriducibilmente singolare: si dà scienza, in una cer-
della vita. In qualche modo, questa comprensione previa concer- ta misura, anche delle cose particolari, perché anch’esse hanno
ne la totalità del testo e ci guida nell’interpretazione delle sue par- qualche aspetto universale®”.
ti; poi, alla luce delle parti incrementiamo o rettifichiamo la no- La scienza etica costituisce una riflessione secondaria, che fa
stra comprensione del tutto (almeno a volte, a partire dai casi che tesoro dell’esperienza sull’agire, sistematizzandola; però nella vi-
vivo, incremento-rettifico la mia comprensione del senso della vi- ta morale la funzione cruciale la svolge la phronesis, di cui, per tut-
ta e dei principi morali); ancora, dal tutto torniamo di nuovo al- to ciò che abbiamo visto, si può allora dire ciò che Aristotele affer-
le parti e così via. ma della giustizia8* e cioè che «né la stella della sera né la stella del
In questo modo, si è in me costituita una conoscenza morale, mattino sono altrettanto degne di ammirazione».
che è la base su cui, se tale conoscenza pratica è vera, io sviluppo
la phronesis e le altre virtù, le quali danno attuazione alle potenzia-
lità (i germi di virtù) delle inclinazioni naturali89.
La conoscenza morale così acquisita costituisce la premessa

84 EN, 1113b 30 e ss.


85 Gadamer, Verità e metodo, pp. 313 e ss., 340 e ss. 87 In Ethic., VI, n. 1146.
86 S. Th., I-II, q. 108, a. 2. 88 EN, 1129b 28-29.

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