Schede Film
Lo sceicco bianco
Genere: commedia
Regia: Federico Fellini
Soggetto: Fellini, Tullio Pinelli, Michelangelo Antonioni
Sceneggiatura: Fellini, Tullio Pinelli, Ennio Flaiano
Fotografia: Arturo Gallea
Due sposini, Ivan e Wanda, vengono a Roma dalla loro Altovilla Marittima a trascorrere il viaggio di
nozze. Lui conta soprattutto di fare una buona impressione allo zio residente in città, grazie alla cui
influenza spera di fare carriera; a questo scopo ha organizzato una serie di visite, fra cui
un'udienza papale, insieme alla famiglia dello zio. Wanda invece, all'insaputa del marito, spera che
a Roma potrà finalmente realizzare il suo sogno: fare la conoscenza con l'eroe del suo
fotoromanzo preferito, lo "sceicco bianco”. Arrivati in mattinata dal paese e sistemati in albergo,
Wanda, col pretesto di fare il bagno, si allontana di nascosto verso la casa di produzione del
fotoromanzo. Lì viene ricevuta dalla soggettista, che le dà indicazioni su come seguire la
compagnia per le imminenti riprese, effettuate sul litorale romano: senza pensarci troppo e
rimuovendo completamente l'idea delle visite programmate dal marito, Wanda accetta e segue il
gruppo. Sul posto incontra finalmente l'attore Fernando Rivoli, interprete dello "sceicco", che
accetta di buon grado di conoscerla e le propone addirittura una piccola parte: in realtà l'uomo è
abituato a trattare con le sue numerose ammiratrici, e sfrutta occasioni simili per avere delle brevi
avventure con loro. In breve Fernando propone a Wanda una gita in barca e si allontana con lei
dalla riva, ma la donna, pur infatuatissima, è troppo ligia ai suoi principi per concedersi. Anche il
mito dello "sceicco" del resto crolla bruscamente quando Wanda scopre che Fernando è sposato,
e al ritorno sul luogo delle riprese assiste a una scenata di gelosia fra lui e la moglie, giunta nel
frattempo. È quasi il tramonto, e la compagnia abbandona il litorale lasciando sola Wanda. Nel
frattempo, Ivan, all'oscuro di tutto, si preoccupa soprattutto di evitare uno scandalo con la famiglia
dello zio: i parenti si mostrano affettuosi, ma decisamente invadenti e inclini al pettegolezzo. Lo
sposo riesce a convincerli che Wanda è ammalata e non può lasciare la camera d'albergo, e si
allontana con loro. La sera, avendo trovato una delle lettere che lo "sceicco" aveva inviato a
Wanda, Ivan capisce che la moglie si è allontanata per lui e teme una fuga definitiva, che lo
screditerebbe senza rimedio di fronte allo zio e a tutto l'ambiente della provincia. Si reca al
commissariato e dopo infinite esitazioni, terrorizzato da un possibile scandalo, accetta di fornire le
generalità della scomparsa; poi, girovagando disperato a notte alta, incontra in una piazza romana
due simpatiche prostitute, la romana Cabiria e la veneta Assunta, che lo consolano e con cui lui si
intrattiene innocentemente. L'indomani in albergo per Ivan si ripresenta il problema di giustificare
l'assenza della moglie di fronte ai parenti, anzi è reso più grave dal fatto che lo zio è riuscito a
rinviare l'udienza papale, ma si aspetta finalmente di conoscere la nipote acquisita; in precedenza
questa, in preda a sensi di colpa, aveva ingenuamente tentato il suicidio gettandosi nel Tevere, con
il solo effetto di cadere su un punto più basso dell'argine, e, notata da un "fiumarolo", aveva
passato la notte in ospedale. Ivan, grazie a una segnalazione della polizia, riesce in extremis a
raggiungere l'ospedale e a ritrovare la moglie: le spiegazioni sono rimandate a dopo, in quanto la
prima cosa da fare è raggiungere al più presto Piazza San Pietro per l'incontro con gli zii e
l'udienza papale. Wanda è disperata e non sa se è ancora degna del perdono di Ivan: ma i due
sembrano ormai riconciliati, nonostante tutto.
I vitelloni
Genere: commedia
Regia: Federico Fellini
Soggetto: Fellini, Flaiano, Pinelli
Sceneggiatura: Fellini, Flaiano
Gli anni cinquanta sono caratterizzati da profondi cambiamenti nella società e in particolare
nell'Italia che si avvia verso l'industrializzazione. I film di Fellini girati in questo periodo nascono
proprio da questo contesto. Dopo Luci del varietà il regista gira I vitelloni, che racconta la vita di
provincia di un gruppo di amici a Rimini. Questa volta il film ha un'accoglienza entusiastica. Alla
Mostra del cinema di Venezia, dove viene presentato il 26 agosto 1953, l'opera conquista il Leone
d'argento. La fama di Fellini si espande per la prima volta all'estero, il film è infatti campione di
incassi in Argentina e riscuote un buon successo anche in Francia, Stati Uniti e Inghilterra.
È il 1953 e il regista riminese, poco più che trentenne, fa ricorso a episodi e ricordi
dell'adolescenza, ricchi di personaggi destinati a restare nella memoria. L'articolazione della trama
del film in grandi blocchi episodici, qui per la prima volta sperimentata, sarà una consuetudine di
molti suoi film successivi.
Il periodo di preparazione e lavorazione del film si svolge senza intoppi, nonostante il budget
preventivato dalla produzione sia alquanto modesto. Sebbene molte parti della sceneggiatura
abbiano un carattere autobiografico, descrivendo situazioni e personaggi della sua infanzia, il
regista riminese preferisce distaccarsi dalla realtà inventando una cittadina fittizia mischiando
ricordi e fantasia, come farà vent'anni più tardi con la Rimini di Amarcord.
Durante un concorso di bellezza sulla spiaggia si premia Miss Sirena 1953. Scoppia un temporale
e la vincitrice, Sandra, improvvisamente sviene. Arriva il medico che fa allontanare tutti, ma il
trentenne donnaiolo Fausto capisce immediatamente la causa del malore di Sandra. Corre subito
a casa e prepara la valigia, chiede dei soldi al padre, Francesco, e gli dice che deve partire per
Milano in cerca di lavoro.
Intanto arriva preoccupato il fratello di Sandra, Moraldo, che gli fa sapere che Sandra è incinta.
Fausto sa bene di essere il responsabile e, su pressione di suo padre, non può fare altro che
sposarla, sebbene gli amici si prendano beffe di lui. Al matrimonio tuttavia ci sono tutti.
I neosposini partono per Roma in luna di miele, proprio mentre serpeggia tra gli amici qualche
malumore. Alberto, che appare il più sicuro di sé, continua a godersela tra biliardo, scherzi e
scommesse. Con una scusa, prima chiede un prestito di 500 lire alla sorella Olga, l'unica della
famiglia che lavora, per poter scommettere alle corse dei cavalli, ma successivamente la
rimprovera di mantenere una relazione segreta con un uomo separato, ma coniugato e che quindi
non potrà mai sposarla. Al ritorno dal viaggio di nozze, Fausto, grazie a suo suocero, riesce a
trovare lavoro presso un venditore di oggetti sacri, Michele.
Fausto, sebbene sposato e in attesa di un figlio, continua a frequentare i vecchi amici e a cercare
di sedurre altre donne. Una sera, al cinema con Sandra, sua moglie, non perde l'occasione di fare
piedino alla bella sconosciuta seduta accanto. Quando la donna s'allontana, lasciata la moglie con
una scusa, la insegue, la raggiunge, la corteggia e la bacia. È soddisfatto di sé, ma tornato sui suoi
passi, alla vista della moglie fa finta di niente. Arriva il carnevale. Si deve far festa. Nel locale del
ballo, Fausto si accorge di Giulia, la moglie del suo principale, elegante e allegra per l'occasione, e
si ripromette di sedurla. Durante la festa Alberto, ubriaco, sembra rendersi conto di quanto la sua
vita sia vuota e stupida, ma non ha il coraggio di cambiare.
Il giorno dopo Olga, che era il sostegno della famiglia, parte con il suo uomo tra le lacrime della
madre e del fratello, l'una dispiaciuta anche per la mancanza di quell'unico reddito e l'altro per il
dover promettere alla madre di trovarsi un posto.
Fausto, invece, non solo arriva assai in ritardo al lavoro, ma con una scusa, nel retro del negozio,
cerca di strappare un bacio a Giulia che però gli resiste indignata. Michele li vede imbarazzati e
non gli è difficile capire quello che è appena successo. Convoca l'ingrato Fausto e lo licenzia. A
Moraldo, Fausto dice invece che è stata Giulia a provocarlo e, essendo stata respinta, lo ha fatto
licenziare ingiustamente e senza preavviso. Per ripicca quindi si fa aiutare da Moraldo a sottrarre
dal negozio un angelo di legno, che però non riescono a vendere come speravano, e che affidano
ad un povero sprovveduto chiamato Giudizio. Il furto viene scoperto. A pranzo il padre di Sandra è
furibondo. Accusa il figlio e il genero di aver rubato l'angelo, e di averlo costretto, per questo, a
supplicare i carabinieri di poter risarcire direttamente l'azione vergognosa senza ulteriori
conseguenze. Accusa inoltre Fausto di aver insidiato la moglie del suo più caro amico. Sandra
scoppia in lacrime e scappa in camera. Il fratello ingenuamente la rassicura, raccontandole la
versione di Fausto, utile però per far riconciliare la coppia. Nasce il piccolo Moraldo, gioia della
famiglia, e Fausto si sente meno osservato. È alla ricerca di un nuovo lavoro, ma non riesce ad
abbandonare la vecchia compagnia di amici (Alberto, Moraldo, Riccardo, Leopoldo) con i quali ha
trascorso una giovinezza fatta di superficialità e irresponsabilità.
Leopoldo, da parte sua, è riuscito a convincere Sergio Natali, un famoso attore teatrale, a dargli
l'opportunità di leggergli una sua commedia. Gli amici, che l'accompagnano, sono emozionati, ma
alla lunga si annoiano: sono molto più interessati alle ballerine con le quali scherzano e ballano.
L'aspirante drammaturgo è lusingato dalle entusiastiche lodi dell'anziano attore, che però poi gli
chiede ambiguamente di accompagnarlo sulla spiaggia, fredda e deserta, in maniera così
inquietante da farlo scappare via.
È notte fonda e Moraldo sta aspettando Fausto che aveva passato la serata con una delle
ballerine del varietà. È dispiaciuto per la sorella Sandra e lo rimprovera. A casa Sandra, dopo aver
atteso Fausto fino a tardi, gli impedisce di accarezzare il figlio e scoppia in lacrime. È stanca dei
suoi tradimenti e all'alba, mentre il marito dorme, prende il bambino e scappa. Fausto e gli altri
amici iniziano una vana ricerca, ma Moraldo, indispettito, decide di fare da solo. Il tempo passa e
la fame aumenta, così, distratti dalle dolcezze della campagna circostante, si fermano a mangiare.
Fausto invece continua le ricerche per conto suo. A casa la donna di servizio in lacrime gli dice che
i genitori si sono recati in questura per denunciare la scomparsa di Sandra e del figlio, e che la
stanno cercando al mare. Fausto si reca sulla spiaggia e qui incontra casualmente la donna del
cinema che si mostra interessata a rivederlo, ma lui è angosciato e confuso e si allontana da lei.
Torna a casa dove incontra Moraldo e si dispera dicendo che vuol farla finita, ma Moraldo gli
rimprovera di essere troppo vigliacco anche per questo. Trova però il coraggio di tornare al
negozio di oggetti religiosi e raccontare a Michele, piangendo, che Sandra non si trova. Intanto
Alberto in macchina con gli altri due di ritorno dal pranzo, alla vista lungo la strada di alcuni
lavoratori della mazza, affaticati, li sbeffeggia col gesto dell'ombrello. Ma dopo pochi metri la
macchina si ferma per un guasto. Inseguito, non gli resta che scappare via.
A sera, di ritorno alla casa paterna, Fausto riceve dalla sorellina la bella notizia che Sandra è là. Si
era infatti rifugiata a casa del suocero. Ma qui il padre Francesco l'attende per dargli una dura
lezione, picchiandolo con la cinghia dei pantaloni, sostenuto dall'amico Michele che tiene a bada
Sandra che lo supplica di smettere. Finalmente consapevole delle responsabilità che comporta
l'aver creato una famiglia, Fausto riunito alla moglie e al figlio, sembra essersi ravveduto. Alla fine
Moraldo è l'unico ad avere il coraggio di lasciare il paese, partendo in treno per Roma. Alla
stazione viene scorto dal giovane Guido, un fattorino adolescente che già lavora come ferroviere,
nonostante la giovane età. Il treno parte mentre Moraldo immagina i suoi compagni ancora
dormienti nei loro letti. L'ultima inquadratura è dedicata proprio a Guido, di spalle, che cammina in
equilibrio su una rotaia del binario da cui è partito il treno.
Appunti
Federico Fellini con il termine Vitelloni (termine consigliato probabilmente da Flaiano) crea un
nuovo linguaggio cinematografico. Vitellone non viene interpretato come termine negativo -> è
paragonabile ad una persona che ha la libertà delle sue responsabilità nel mondo. Racconta una
Rimini trasfigurata, di ragazzi che rifiutano l’impegno politico, le regole, disimpegno, non sposarsi,
non formarsi (variante del flaneur). Fellini scappa dalle regole del partito comunista di Palmiro
Togliatti, secondo il quale bisognava raccontare la realtà, la povertà. Per Fellini invece non doveva
esserci la politica, voleva distaccarsi dall’obiettività -> la realtà non è solo quella politica e
ideologica ma anche quella spirituale.
Il film ha avuto una fortissima influenza sul cinema americano, ritroviamo il carattere vitellonesco
in film come Mean Streets.
La strada
Genere: drammatico
Regia: Federico Fellini
Soggetto: Fellini, Pinelli
Sceneggiatura: Fellini, Flaiano, Pinelli
Il grande successo internazionale arriva per Fellini grazie al film La strada, girato nel 1954. L'idea
del film si ha intorno al 1952 quando Fellini è alle prese con il montaggio de Lo sceicco bianco. Per
motivi strettamente legati alla produzione è però costretto a ritardare il progetto e a girare prima I
vitelloni e l'episodio Agenzia matrimoniale, ma in testa ha già chiaramente l'idea che lo porterà alla
realizzazione della successiva opera.
La scrittura de La strada avviene a partire da alcune discussioni con Tullio Pinelli sulle avventure di
un cavaliere errante per poi focalizzarsi sull'ambiente del circo e degli zingari. Pinelli a tal proposito
ricorda:
Il film, ricco di poesia, racconta il tenero ma anche turbolento rapporto fra Gelsomina, interpretata
da Giulietta Masina, e Zampanò, interpretato da Anthony Quinn, due strampalati artisti di strada
che percorrono l'Italia dell'immediato dopoguerra.
La composizione del cast, a cui si aggiunge Richard Basehart nei panni del Matto, fu oggetto di
svariate discussioni: in particolare i produttori non erano convinti della partecipazione della Masina,
ma si dovettero arrendere alla caparbietà di Fellini. Tra i vari provini per i ruoli di protagonisti c'è da
annoverare quello di Alberto Sordi che però non viene ritenuto idoneo per la parte. L'esito negativo
del provino congelerà i rapporti tra i due artisti per molti anni.
La realizzazione del film fu lunga e difficoltosa. Il budget era assai limitato, tanto da costringere
Anthony Quinn, abituato ai fasti delle produzioni hollywoodiane ad adattarsi a un trattamento più
"di fortuna". L'attore, comunque, comprese lo spessore artistico della pellicola tanto che in una
lettera del 1990 scriverà a Federico e Giulietta: "Per me tutti e due rimanete il punto più alto della
mia vita". Tra i vari imprevisti e incidenti che rallentano la realizzazione del film si aggiunge il
manifestarsi in Fellini dei primi sintomi della depressione (pag.61 libro) che lo porterà ad avere un
malumore incontrollabile. Gelsomina è una ragazza fragile e presumibilmente con una lieve
disabilità mentale che vive in condizioni di estrema povertà con la madre vedova e i suoi fratelli
minori. Un giorno in paese arriva Zampanò, un rozzo saltimbanco che per guadagnarsi da vivere
porta in giro i suoi improbabili spettacoli attraverso le lande più povere di una nazione, l'Italia,
ancora contadina ed ingenua. L'uomo aveva già preso con sé Rosa, sorella di Gelsomina che però
era morta improvvisamente; su richiesta dell'uomo la madre vende anche la seconda figlia per
guadagnare una minima somma di denaro. Gelsomina segue così Zampanò, che le insegna a
suonare la tromba e la fa partecipare come banditrice ai suoi spettacoli. La giovialità e l'ingenuità
di Gelsomina non servono a mitigare il terribile carattere di Zampanò, nel quale il barbaro istinto di
sopravvivenza guida ogni azione: spesso l'uomo la lascia sola per andare a sperperare in vino e
donne i pochi soldi guadagnati, e altrettanto spesso lei scappa, finendo tuttavia per tornare sempre
da lui. Gelsomina viene trascinata in questa avventura venendo in contatto con realtà povere e
grottesche; la sua strada incrocia presto quella di un giovane acrobata, definito da tutti il "Matto",
dal carattere ben più sereno di quello di Zampanò. A un certo punto, i tre finiscono per lavorare
insieme nello stesso circo, dove il Matto inizia a prendere bonariamente in giro Zampanò: questo
dà il via a una rissa, in seguito alla quale Zampanò viene messo in carcere. Gelsomina avrebbe
l'opportunità di lasciare il suo padrone e unirsi al circo, ma si trova dilaniata dal dubbio di non
contare nulla senza di lui; il Matto le insegna allora che tutte le cose di questo mondo hanno una
loro importanza e, quindi, la persuade a tornare da Zampanò per tentare di intenerire il suo
carattere burbero e insolente. Zampanò viene rilasciato e i due partono nuovamente per il loro
viaggio, trovandosi in un convento dove le suore si rendono conto degli abusi che l'uomo esercita
sulla ragazza; le propongono di rimanere con loro ma lei, forte delle parole del Matto, rifiuta
nuovamente. Qualche giorno dopo, i due reincontrano il Matto, e Zampanò, ancora furioso per la
faccenda del circo, lo colpisce con diversi pugni durante una colluttazione a cui assiste anche
un'impietrita Gelsomina. Il Matto, accorgendosi dell'orologio rotto nella rissa, collassa e muore. Il
saltimbanco è costretto a nascondere il corpo gettandolo sotto un ponte; Gelsomina, sconvolta per
ciò che ha visto, inizia a manifestare un turbamento indefinibile, inconsolabile: durante gli
spettacoli continua a ripetere che Zampanò ha ucciso il Matto, non vuole che lui le si avvicini, e nei
brevi sprazzi di lucidità racconta al suo padrone come lei gli sia rimasta accanto grazie
all'intercessione del Matto. Zampanò, dopo essersi preso cura della ragazza per un breve periodo,
non riesce a sopportare il fatto che Gelsomina gli ricordi continuamente il crimine che ha
commesso, e decide di abbandonarla lungo una strada deserta per continuare da solo a
vagabondare per l’Italia. Molti anni dopo Zampanò si è unito a un altro circo. Mentre è in pausa in
una città, sente una ragazza canticchiare tra sé la canzone di Gelsomina: scopre così che la
ragazza era arrivata in quella città, gravemente malata, e nei rari momenti di lucidità suonava la
canzone con la sua tromba; successivamente la ragazza era morta. Sconvolto dalla notizia,
Zampanò si ubriaca e provoca un'altra rissa coi suoi nuovi colleghi del circo, che lo scacciano; solo
e sconsolato, si abbandona a un pianto disperato in riva al mare.
Le notti di Cabiria
Genere: drammatico
Regia: Federico Fellini
Soggetto: Fellini, Pinelli, Flaiano
Sceneggiatura: Fellini, Flaiano, Pinelli, Pasolini
Le notti di Cabiria è un film del 1957 diretto da Federico Fellini. Il film è considerato uno dei migliori
della collaborazione tra Fellini e la moglie Giulietta Masina
La pellicola ottenne, tra gli altri riconoscimenti, l'Oscar al miglior film straniero nel 1958. Maria
Ceccarelli è una prostituta di Acilia che si fa chiamare "Cabiria" e vive in una casupola nei pressi
della via Ostiense. Un giorno, mentre passeggia con Giorgio, colui che ritiene il suo compagno,
viene da lui gettata nel fiume per rubarle la borsetta. Viene salvata a malapena e se ne torna a
casa, ancora incredula all'accaduto. Qui una collega, Wanda, le apre gli occhi sulla natura della
sua relazione, portandola a distruggere tutte le cose dell'uomo che tiene in casa. Più tardi al lavoro
si accapiglia con un'altra prostituta che la deride, e viene portata via da un gruppo di amici che la
lasciano a via Veneto. Qui incontra casualmente l'attore Alberto Lazzari, che è appena stato
scaricato dalla sua fidanzata. Alberto, per rivalsa nei confronti della donna, fa salire Cabiria sulla
sua decappottabile, e la porta prima in un night, poi a casa sua. Qui tuttavia vengono presto
raggiunti dalla fidanzata dell'attore, e Cabiria assiste alla riappacificazione dei due nascosta in
bagno, per poi essere liquidata sbrigativamente la mattina seguente.
La sera seguente le sue colleghe decidono di andare tutte l'indomani al santuario della Madonna
del Divino Amore, per accompagnare uno zio storpio di uno dei magnaccia. Nel frattempo Cabiria
viene caricata da un cliente e lasciata in una zona isolata, alle "Grotte", dove dei senzatetto
abitano in alcuni anfratti naturali. Si mette a seguire un uomo che porta generi di sostentamento
alla povera gente, e incontra una sua ex-collega caduta ormai in disgrazia. Torna a Roma
accompagnata dall'uomo che è già mattina. Al santuario Cabiria si lascia trasportare dalla
devozione dei fedeli e chiede la grazia di poter cambiare vita. Tuttavia non succede niente, e
Cabiria si arrabbia poi con un gruppo di persone in processione.
Più tardi va a uno spettacolo di varietà, dove un illusionista la chiama sul palco assieme ad altri
giovani. Mentre questi vengono ipnotizzati e lasciati credere di essere in barca in un mare in
tempesta; Cabiria è portata a credere di essere a un appuntamento con un uomo invisibile,
"Oscar". Alla fine dell'incantesimo Cabiria si risveglia delusa, sentendosi ingannata. Tuttavia
all'uscita dal teatro viene fermata da un uomo che è rimasto affascinato dal suo candore, e che è
colpito come dalla fatalità di averla incontrata, essendo lì per caso e chiamandosi proprio Oscar.
Sebbene Cabiria sia scettica, restano d'accordo di rivedersi la domenica successiva alla stazione
Termini.
I due iniziano a frequentarsi e Cabiria inizia fantasticare se sia vicina a una svolta nella sua vita.
Quando lei però vorrebbe troncare il rapporto per non alimentare altre illusioni, lui le chiede di
sposarla. Cabiria allora accetta, vende la sua casetta e va dal futuro sposo. Quel giorno, dopo aver
mangiato insieme, lui la porta in riva a un lago, in una zona isolata. Sebbene Cabiria sia di ottimo
umore, lui è torvo e distante: la donna capisce così che si tratta solo di una truffa per prenderle tutti
i soldi, e che proprio come col suo ultimo amore lui vorrebbe spingerla giù dalla scogliera. Gli
consegna dunque spontaneamente la sua borsetta, chiedendogli disperatamente però di ucciderla.
L'uomo scappa e lei si ritrova sola. Si avvia dunque verso la strada, dove viene circondata da un
gruppo di musicisti e allegri festaioli, che riescono tutto sommato a farla sorridere.
Appunti
Le notti di Cabiria è il film più amato dal Giulietta Masina, consapevole di avervi riversato anche
una consistente porzione di se stessa. Tiene le scene con una esultanza che le sprizza dai pori e
dagli occhi raggianti. È proprio lei, come amava apparire. Film importante anche per quanto
riguarda la figura della donna “chissà quanto coraggio sarà riuscito a infondere nelle donne di
allora. E chissà quanto bene riuscirebbe a recare ancora oggi.” (Gianfranco Angelucci). Fellini farà
lo stesso anche nel film Giulietta degli Spiriti, in tempi in cui il femminismo era ancora una parola
sconosciuta, Fellini afferma: “nessun uomo sarà libero finché non sarà libera anche l’ultima
donna”.
La dolce vita
Genere: drammatico
Regia: Federico Fellini
Soggetto: Fellini, Pinelli, Flaiano
Sceneggiatura: Fellini, Flaiano, Pinelli, Pasolini, Brunello Rondi
Negli anni sessanta la vena creativa di Fellini si esprime con tutte le sue energie, rivoluzionando i
canoni estetici del cinema. Nel 1960 esce La dolce vita: definita dallo stesso Fellini un film
«picassiano» ("comporre una statua per romperla a martellate", aveva dichiarato), la pellicola - che
abbandonava gli schemi narrativi tradizionali - destò scalpore e polemiche perché, oltre a illustrare
situazioni fortemente erotiche, descriveva con piglio graffiante una certa decadenza morale che
strideva con il benessere economico ormai acquisito dalla società italiana. Il produttore iniziale de
La dolce vita fu Dino De Laurentiis, che aveva anticipato 70 milioni di lire. Tra il produttore e Fellini
avvenne però una rottura e il regista dovette cercare un altro produttore che ripagasse anche
l'anticipo di De Laurentiis. Dopo varie trattative con diversi produttori, il duo Angelo Rizzoli e
Giuseppe Amato divenne il nuovo produttore della pellicola. Il rapporto tra Fellini e Rizzoli è
tranquillo e gli incontri fra i due sono cordiali.[Il budget viene sforato, anche se di poco: Kezich
riporta che secondo fonti ufficiali il film non costò più di 540 milioni, che non era una cifra eccessiva
per una produzione impegnativa come quella de La dolce vita. Marcello Rubini è un giornalista
specializzato in cronaca mondana, ma coltiva l'ambizione di diventare un romanziere. Il film,
ambientato a Roma, lo segue attraverso una serie di episodi - di cui egli, grazie anche al suo
lavoro, è protagonista o testimone privilegiato - che offrono una rappresentazione di vari aspetti
della vita apparentemente gratificante del jet-set della città, con i suoi riti, le sue nevrosi e i suoi
drammi. Due elicotteri sorvolano la città: uno trasporta una statua del Cristo, mentre sull'altro,
utilizzato dagli operatori dell’informazione al seguito, si trova Marcello col fotoreporter Paparazzo. I
due velivoli sorvolano a bassa quota una terrazza dove stanno prendendo il sole alcune ragazze in
costume da bagno; i reporter tentano un approccio a distanza con le ragazze, che cercano di
chiedere loro dove sia destinata la statua: il rumore dell'elicottero però copre le loro voci (solo alla
fine, con il velivolo ormai in allontanamento, una delle ragazze comprende che la destinazione del
Cristo è il Vaticano). Marcello chiede il numero di telefono alle giovani che, pur divertite, non lo
accontentano. Il volo degli elicotteri termina su piazza San Pietro, dove suonano le campane a
festa. Marcello si trova in un ristorante in stile orientale per un servizio su una famiglia regnante.
Mentre dà una mancia a uno dei camerieri per farsi rivelare cosa hanno mangiato i principi,
Paparazzo, su indicazione di Marcello, inizia a scattare foto a una esponente della nobiltà che si
trova in compagnia di un giovane. Le guardie del corpo intervengono allontanando il reporter e
intimandogli di consegnare il rullino. Uno degli avventori, seduto a tavola con due donne, riconosce
Marcello, lo invita a raggiungerlo per poi esortarlo a smetterla di creare scompiglio con la sua
attività di giornalista mondano. Nel locale arriva una bella signora, Maddalena: Marcello si offre di
accompagnarla e lei accetta. Usciti in strada, i due vengono bersagliati dai flash dei fotoreporter
colleghi di Marcello. La coppia si ferma con l'auto di lei nel centro di Roma, a piazza del Popolo;
dopo una chiacchierata, incontra una prostituta, che Maddalena invita a salire in macchina e unirsi
a loro per un giro, offrendosi di accompagnarla poi dove abita, in periferia. Una volta arrivati a
destinazione, mentre la prostituta è in cucina, Maddalena e Marcello si sdraiano sul letto e hanno
un rapporto. La mattina dopo il protettore della prostituta è in sosta davanti al palazzo dove questa
abita per ricevere la sua quota del guadagno; Marcello e Maddalena se ne vanno in macchina
dopo aver pagato la donna per averli ospitati. Nel frattempo Emma, fidanzata depressa di Marcello
(in quanto ben conscia dei suoi continui tradimenti), lo sta aspettando a casa. Poiché non è
rientrato, Emma, intuendo che abbia passato la notte con un'altra donna, ingerisce delle pasticche
e perde conoscenza. Marcello, sopraggiunto, la porta al pronto soccorso, dove viene salvata.
Marcello viene successivamente incaricato di seguire l'attrice Sylvia, famosa stella del cinema
americano, attesa a Roma. Portatala in un locale frequentato da turisti stranieri, inizia a farle delle
avances. Un po’ su di giri, Sylvia inizia a passeggiare per le vie di Roma seguita da Marcello, e
quando vede la fontana di Trevi entra in acqua vestita, accennando una danza. Marcello, dopo un
attimo di esitazione, la segue nella fontana, anche lui con i vestiti addosso, dichiarandole il suo
amore. Quando la riaccompagna in hotel incontra il suo fidanzato, che prima schiaffeggia Sylvia e
quindi affronta Marcello, stendendolo con un pugno: il tutto davanti ai fotografi, che immortalano la
scena. Marcello va poi al quartiere romano dell’Eur per un servizio fotografico, quando davanti a
una chiesa scorge un vecchio amico, lo scrittore Enrico Steiner, il quale gli chiede come stia
procedendo il suo libro, lo invita a cena e, prima che se ne vada, lo trattiene perché rimanga ad
ascoltarlo mentre suona l'organo in chiesa. Intanto una grande folla si accalca intorno a due
bambini che dicono di aver visto la Vergine Maria in un prato fuori città. Marcello accorre per poter
scrivere un articolo in proposito, ma la sua attenzione è distolta dalla fidanzata Emma.
Sopraggiunta la sera, inizia un forte temporale e si crea un parapiglia in mezzo alla folla quando
alcuni degli astanti iniziano a contendersi a forza le fronde dell'albero vicino al quale vi sarebbe
stata l’apparizione. Tra la folla c'è anche Emma, che riesce a impossessarsi di un ramo, sperando
in un aiuto dall’Alto affinché Marcello finalmente la sposi o almeno le dimostri più attenzione come
era all’inizio del loro rapporto. Marcello ed Emma vanno quindi a casa di Steiner per trascorrervi la
serata in compagnia di un gruppo di eccentrici esponenti del mondo della cultura. Qui Marcello
conosce la famiglia dello scrittore, compresi i due figli, ancora bambini. Steiner prospetta a
Marcello l’opportunità di presentargli un editore, così che possa dedicarsi a quello che più gli piace
e non si debba più occupare di cronaca scandalistica. Marcello è in una trattoria sul mare, unico
avventore presente, intento a scrivere un pezzo a macchina; non riuscendo però a concentrarsi a
causa della musica del juke-box, se ne lamenta con la cameriera adolescente che sta
apparecchiando i tavoli, con la quale attacca subito discorso: si chiama Paola, è originaria
dell'Umbria, e le piacerebbe, afferma, imparare a scrivere a macchina per fare la dattilografa.
Marcello prova simpatia per la giovane ed è colpito dalla semplicità delle sue aspirazioni. Al
contempo, ne loda la bellezza[6] angelicata, che paragona a quella dei putti delle chiese umbre, e
le chiede se ha un fidanzato. La ragazza timidamente si schermisce, poco convinta della
fondatezza dei complimenti, ma è a sua volta colpita dalla gentilezza del singolare avventore del
ristorante. Egli viene poi avvisato da Paparazzo che è venuto a cercarlo il suo anziano padre:
l’incontro avviene in un caffè all'aperto nel centro di Roma, in via Veneto, da dove essi subito
decidono di spostarsi in un night, dove incontrano Fanny, una ballerina francese. Dopo avere
bevuto, Marcello, il padre, Paparazzo e Fanny escono dal locale insieme a due ballerine;
Paparazzo e Marcello restano con loro, mentre il padre di Marcello è invitato da Fanny a recarsi
nel suo appartamento. Poco dopo, questa è però costretta a chiamare Marcello, avvertendolo che
suo padre si è sentito male. Dopo essersi ripreso, questi dichiara, con aria assorta e desolata, che
intende tornare a casa a Cesena con il primo treno disponibile, nonostante le insistenze di
Marcello, che vorrebbe farlo rimanere ancora con lui. In un castello fuori città si sta svolgendo una
festa dell'alta società, organizzata da una famiglia della nobiltà romana. All’evento Marcello
incontra Maddalena, che lo fa sedere al centro di una stanza isolata, per poi spostarsi, sola, in
un'altra sala da dove, in un gioco di echi, inizia una suggestiva comunicazione con lui, senza
contatto visivo, durante la quale ella gli dichiara il suo amore. Mentre Marcello risponde alla donna
con parole appassionate, nella sala dove questa era rimasta nascosta sopraggiunge un altro
invitato, che inizia a baciarla, venendo ricambiato. Non ricevendo più risposta, Marcello la cerca
invano, per poi unirsi ad altri ospiti, interessati ad andare ad esplorare una vecchia dimora
abbandonata antistante il castello. Lì, mentre alcuni di loro sono impegnati in una seduta spiritica,
Marcello prova inutilmente a sedurre una sconosciuta dal mantello bianco, salvo poi essere
sedotto da un'altra ospite. Marcello ed Emma sono fermi in macchina, intenti a litigare. Marcello,
esasperato, esorta Emma a lasciarlo, avendo loro due una visione totalmente opposta del mondo
e della vita, ma la donna rifiuta di farlo; lui allora la fa scendere a forza e si allontana velocemente
in auto, lasciandola sul posto. Diverse ore dopo, preso da scrupoli, torna indietro, e trova Emma
ancora lì, intenta a cogliere fiori al bordo della strada: Marcello la fa risalire in auto, senza dire una
parola, e tornano insieme a casa. Una volta arrivati, Marcello riceve la notizia che Steiner ha
ucciso i suoi due figli e si è poi tolto la vita. Raggiunto l'appartamento dello scrittore, la polizia lo fa
entrare, dato il rapporto che aveva con lui e la sua famiglia. Il palazzo è assediato dai fotografi.
Marcello, con un brigadiere della polizia, va incontro alla moglie di Steiner alla fermata dell'autobus
per darle la terribile notizia. Un’altra festa cui partecipa Marcello si svolge in una villa sul mare del
litorale romano, in un clima sospeso di attesa di un qualche segnale di inizio di una possibile orgia,
sperata e al contempo temuta dai presenti. La festa si conclude con un accenno di spogliarello di
Nadia, moglie del padrone di casa. Sulla spiaggia antistante la villa, all'alba, viene trovato da dei
pescatori un enorme pesce morto. Marcello e i suoi amici, reduci da una nottata insonne, vanno a
riva a curiosare. Marcello sente poi qualcuno che cerca di richiamare la sua attenzione da lontano
gridando ripetutamente «Ehi!» e agitando le braccia: è Paola, la ragazza umbra da lui conosciuta
tempo addietro nella trattoria sul mare, che gli appare sulla spiaggia, non molto distante da lui, al di
là di un fiumiciattolo. Marcello si volta verso di lei, cercando di comunicare da dov’è, senza
risolversi ad andarle incontro, ma a causa del frangersi delle onde non riesce a sentirne le parole.
Ella tenta allora di fargli capire a gesti qualcosa che le è successo[8] e di cui appare essere molto
contenta. Marcello fa segno di non aver ancora capito; poi, con la mano alzata, l’aria assorta e al
contempo desolata, le manda da lontano un cenno di addio, andando a raggiungere gli amici, nel
frattempo incamminatisi lungo la battigia. La giovane, sorridendo, con un’espressione che
trascorre in un attimo dal rimpianto, alla comprensione, alla dolcezza beneaugurante, lo
accompagna con gli occhi mentre si allontana.
Produzione e sceneggiatura
La dolce vita, film di produzione italo-francese, fu girato tra la primavera e l'estate del 1959.
Inizialmente, il produttore de La dolce vita fu Dino De Laurentiis, che anticipò 70 milioni di lire. Ci
furono però dei contrasti con Fellini che portarono a una rottura; infatti, mentre il regista voleva il
giovane emergente Mastroianni come protagonista, il produttore preferiva Paul Newman o Gérard
Philipe, per assicurarsi il favore del mercato internazionale.[12] Il regista dovette quindi cercare un
altro produttore, che facesse fronte anche alla restituzione dell'anticipo che era stato versato da De
Laurentiis.[11] Dopo varie trattative con diversi produttori, furono Angelo Rizzoli e Giuseppe Amato a
diventare i nuovi produttori della pellicola. Il rapporto tra Fellini e Rizzoli fu disteso e improntato a
cordialità, nonostante il budget venisse sforato (peraltro in misura non molto rilevante). Uno dei
costi più consistenti sostenuti nella produzione fu quello per la ricostruzione in studio di Via Veneto.
La costosa ricostruzione sarà riutilizzata l'anno successivo in un cosiddetto film di recupero, Totò,
Peppino e... la dolce vita del 1961. Il critico Tullio Kezich (autore di un efficace diario della
lavorazione del film) riporta che secondo fonti ufficiali il film non costò più di 540 milioni, una cifra
non esagerata per una produzione ambiziosa come quella de La dolce vita. La sceneggiatura fu
curata da Fellini, Tullio Pinelli ed Ennio Flaiano. Uno dei motivi della rottura tra De Laurentiis e
Fellini fu proprio la sceneggiatura, ritenuta troppo caotica dal produttore.[11] Il copione, provvisorio
come spesso accadeva alle produzioni di Fellini, subisce notevoli metamorfosi in corso d'opera,
spesso rimodellandosi intorno ai personaggi e alle situazioni. Due scene (assenti dalla
sceneggiatura originale) vengono completamente "improvvisate": la festa dei nobili al castello,
girata nel palazzo Giustiniani-Odescalchi di Bassano Romano (all'epoca Bassano di Sutri) in
provincia di Viterbo, e il “miracolo" al quale dichiarano di aver assistito i due bambini, con concorso
di una folla di fedeli, di appartenenti alle forze dell'ordine e di militari. Tullio Kezich racconta che
Fellini era contrario alla pubblicazione della sceneggiatura perché del copione originale rimase ben
poco; Fellini affermò che infatti il film avrebbe trovato la sua fisionomia soltanto sullo schermo. Si
lasciò convincere con l'osservazione che la sceneggiatura sarebbe stata indubbiamente
interessante perché avrebbe mostrato la base da cui il regista era partito. Fellini prese molti spunti
dai servizi del reporter Tazio Secchiaroli e lo stesso personaggio di Paparazzo fu ispirato al
reporter romano.
Appunti
Nei film di Fellini gli intellettuali non trovano mai un senso alla vita -> il sapere non aiuta a vivere
meglio. Il protagonista del film, Marcello, parla solo con un intellettuale nel film (Steiner), egli
stesso vorrebbe diventare un intellettuale ma sa che non può perché vive di apparenze, di cose
inutili. Marcello rinuncerà a diventare scrittore, finirà nell’ufficio stampa, nel finale sa che la sua vita
non è come dovrebbe andare e si arrende. Nel finale Paola, con il suo sguardo angelico, chiama
Marcello, gli propone la salvezza (vocazione) ma lui non sente la voce della salvezza.
Sorrentino -> parla di visione, Fellini ha smesso di ricordare nel senso che ciò che ricorda lo
trasforma in visione. La paura delle paure è la mancanza di costruzione di senso della vita.
Nel novecento l’arte si fa carico del rapporto tra senso e non senso. Anche la letteratura:
- linea flaubert: l’unico modo per riscattarsi con la vita è rinchiudersi nel mondo dell’arte,
nell’opera compiuta;
- Linea dostoevsij; impossibilità di riscattare la nostra esistenza attraverso l’arte;
- Linea Kafka: non senso della vita, ricerca fallita
8 e mezzo
Genere: drammatico, commedia
Regia: Federico Fellini
Soggetto: Fellini, Flaiano
Sceneggiatura: Fellini, Flaiano, Pinelli, Brunello Rondi
Terminati i lavori per le tentazioni del dott. Antonio, Fellini vive un periodo di scarsa ispirazione.
Nella sua mente comincia a girare l'idea di un nuovo film, ma non con un soggetto preciso. Dopo
aver trascorso un periodo di riposo presso Chianciano Terme, fa ritorno a Roma con uno spunto
per una sceneggiatura: un uomo di mezza età interrompe la sua vita per una cura termale e qui,
immerso in un limbo, affronta visite e ricordi. La scelta del protagonista cade quasi subito
sull'amico Marcello Mastroianni. Tra i due l'amicizia è intensa tanto che Fellini finirà per identificare
nell'attore il suo alter ego cinematografico. Trovato così il protagonista tutto sembra pronto per
cominciare ma sorge un problema di cui Fellini non ha parlato a nessuno: il film non c'è più, l'idea
che aveva in testa è sparita. In seguito racconterà che più passavano i giorni più gli sembrava di
dimenticarsi il film che voleva fare. Quando è ormai deciso a scrivere una lettera per comunicare la
disfatta al produttore Angelo Rizzoli, Fellini viene interrotto da un capo macchina di Cinecittà che lo
chiama per festeggiare il compleanno di un macchinista. Tra i festeggiamenti gli arrivano gli auguri
per il nuovo film, che ormai non ricorda, ma una volta seduto su una panchina arriva il lampo di
genio: il film parlerà proprio di questo, di un regista che voleva fare un film ma non si ricorda più
quale, cosicché il protagonista, Guido Anselmi, diventa la proiezione di Fellini stesso. Il film, girato
nel 1963, prende il titolo di 8½, poiché questa pellicola viene dopo sei film interamente da lui diretti,
più tre "mezzi" film, costituiti dalla somma "ideale" di tre opere codirette con altri registi (cioè Luci
del varietà, diretto con Lattuada, l'episodio Agenzia Matrimoniale ne L'amore in città e l'episodio Le
tentazioni del dottor Antonio in Boccaccio '70), e in seguito si rivelerà uno dei capolavori del
regista. Premiato con un Premio Oscar (insieme con quello di Piero Gherardi per i costumi), il film
è considerato uno dei più grandi della storia del cinema, tanto da essere stato inserito dalla rivista
inglese Sight & Sound al 9º posto nella graduatoria delle più belle pellicole mai realizzate e al 3º
nella classifica stilata dai registi.
Guido Anselmi, un affermato regista di quarantatré anni, sta elaborando il suo prossimo film. Egli si
trova a trascorrere un periodo di riposo in una stazione di cure termali (il set reale fu ambientato
nel Lazio, e principalmente a Roma). Guido cerca in quella località di coniugare i propri problemi
fisici (stanchezza cardiaca) con quelli della produzione del film, ancora allo stato di preparazione.
La quiete che vorrebbe è continuamente minata dalla presenza delle maestranze del film
(produttore, tecnici, attori) che soggiornano nel suo stesso albergo e che vedono in lui l'unico
appoggio sicuro. Ma il suo spirito creativo si è inaridito e non riesce a dare una direzione chiara al
suo progetto cinematografico. Oltretutto, ai suoi problemi professionali si aggiungono grattacapi
sentimentali. L'amante lo raggiunge alle terme e poco dopo arriva anche sua moglie. Sollecitato
dal produttore, interrogato dai suoi assistenti e dagli attori che vogliono capire quale storia stia per
raccontare, quali intenzioni vorrebbe esprimere, cerca di imbastire alla meglio una trama: un
bilancio fatto di rapporti con personaggi reali e di fantasticherie, ricordi, sogni, che si inseriscono
all'improvviso negli avvenimenti concreti delle sue giornate e delle sue notti. Dei suoi sogni fanno
parte i ricordi del padre e della madre, morti, con i quali egli discorre teneramente, come con
persone vicine. Continui dubbi e incertezze si palesano attraverso una crisi esistenziale senza via
d'uscita, in cui non riesce a dare un senso al suo rapporto con gli altri e al suo passato. E tutto
questo non fa che rendere consapevole quello smarrimento che egli si porta dentro da anni e che
le cure della esistenza quotidiana e del lavoro avevano in parte mascherato. In un onirico, fatato
affresco di immagini si alternano un centinaio di personaggi di contorno, tra cui spiccano: un
intellettuale, che gli è stato messo alle calcagna dal produttore, la moglie, l'amante e la
protagonista femminile del film in produzione. I giorni trascorrono mentre i fatti reali, i ricordi e le
fantasie del regista si accavallano sempre più fino a diventare indistinguibili. Il produttore fa
visionare a Guido i provini già girati, e presso la scenografia di un'enorme piattaforma di lancio per
un'astronave indice una conferenza stampa in cui finalmente il regista dovrà raccontare a tutti
quelle che sono le sue intenzioni riguardo al film, ma in realtà il regista è sempre più confuso, non
ha idea di cosa vuole raccontare, né di come farlo. La sua confusione professionale rispecchia la
sua confusione esistenziale: è la fine della sua carriera e della sua stessa vita: egli decide di
abbandonare la regia del film durante la conferenza stampa. Ma proprio quando tutto sembra
essere finito, quando i giornalisti si sono allontanati e le maestranze iniziano a smontare il set di un
film che non si farà più, Guido ha la percezione che tutto quello che gli accade intorno, tutte le
persone che ha conosciuto e che con lui hanno percorso la strada della vita, nel bene e nel male,
sono parte di lui. Tutti insieme in un girotondo circense roteano intorno a lui, che li dirige, ma che
da loro riceve, un dare-avere indistinguibile. Nel carosello finale con tutti i personaggi del film, il
regista, che ha ora riconquistato l'innocenza e la gioia di vivere, si rivede bambino.
Appunti
Questo film viene considerato come una spartiacque sia nella storia del cinema che per la carriera
di Fellini. Film che da vita ad un genere cinematografico -> metacinema, metalinguaggio la
cinepresa non parte più dai fenomeni della realtà ma punta verso l’io del regista.
Grazie al percorso psicoanalitico con Ernst Bernard (libro pag.82) inizierà a trascrivere i suoi sogni
su un quaderno che chiamerà proprio libro dei sogni (disegni e sogni trascritti).
Fellini ha sempre negato che il protagonista del film fosse il suo alter ego. “Non ho nulla da dire ma
lo voglio dire lo stesso”.
1) Metacinema -> Fellini non voleva fare più film
2) Fellini costruisce la struttura narrativa attraverso 4 piani del racconto:
- piano dellarealtà;
- Il sogno, la dimensione onirica
- I ricordi
- Immaginazione
In questo senso Fellini è geniale in ciò che costruisce, perché non ti fa rendere conto del sogno,
non differenzia le due cose, i distributori di provincia viravano in seppia le scene di sogno e
immaginazione.
Es. scena dell’illusionista che rivela alla moglie le carte
Asanisimasa -> anima, Fellini legge Jung e da qui riprende il concetto di animus anima
L'anima e l'animus sono descritti nella scuola di psicologia analitica di Carl Gustav Jung come
parte della sua teoria dell'inconscio collettivo. Jung descrisse l'animus come il lato maschile
inconscio di una donna, e l'anima come l'inconscio lato femminile di un uomo, con ciascuno che
trascende la psiche personale. La teoria di Jung afferma che l'anima e l'animus sono i due
archetipi antropomorfici primari della mente inconscia, in opposizione sia alla funzione teriomorfica
che alla funzione inferiore degli archetipi d'ombra. Jung sosteneva che fossero gli insiemi di
simboli astratti che formulano l'archetipo del Sé.
Giulietta degli spiriti
Genere: drammatico, grottesco
Regia: Federico Fellini
Soggetto: Fellini, Pinelli
Sceneggiatura: Fellini, Flaiano, Pinelli, Brunello Rondi
In Giulietta degli spiriti, ancora con la Masina (1965), Fellini adotta per la prima volta il colore in un
lungometraggio, in funzione espressionistica (il suo primo lavoro a colori è comunque l'episodio Le
tentazioni del dottor Antonio del 1962). Il periodo di lavorazione del film è caratterizzato anche da
un aumento di interesse, da parte di Fellini, verso il soprannaturale. Frequenta molti maghi e
veggenti e in particolare Gustavo Adolfo Rol, pittore, dirigente bancario e sensitivo di fama. È di
questo periodo anche l'esperimento con l'LSD a scopo terapeutico, come proposto dal suo
psicoanalista Emilio Servadio. L'accoglienza della critica per Giulietta degli spiriti è piuttosto
tiepida. I commenti più negativi si espressero con i termini di velleitario, fasullo, ipertrofico,
inadeguato. Non mancano alcuni elogi e una piccola minoranza, seppur marginale, parla anche di
capolavoro[. Il giudizio più severo proviene dal Centro Cattolico Cinematografico che lo accusa di
uno "sgradevole impasto che si fa del sacro e del profano". L'insoddisfazione per i risultati, non
certo adeguati alle aspettative, creerà, anche, un'incrinatura del rapporto tra il regista ed Ennio
Flaiano.
Giulietta Boldrini, una benestante signora dell'alta borghesia romana, trascorre le vacanze estive
nella lussuosa villa di Fregene. Educata in un collegio di suore, è molto affezionata al ricordo del
nonno che fuggì con una ballerina. Insieme ad alcuni amici, Giulietta e Giorgio, brillante addetto
alle pubbliche relazioni, organizzano una festa nella villa per celebrare l'anniversario del
matrimonio, ma il loro legame non è più saldo: Giorgio infatti nasconde, dietro una cortesia
distratta, l'illusione di un nuovo amore. Giulietta ne ha la dolorosa convinzione e sente tutto il suo
mondo entrare in crisi. Sua madre si preoccupa solo del proprio aspetto fisico, mentre le sorelle
sono vacue e superficiali: Giulietta non ha nessuno con cui confidarsi. Partecipa quindi ad alcune
sedute spiritiche e consulta anche un veggente indiano. Il consiglio della sorella la porta a
un'ulteriore esperienza, particolarmente umiliante: Giorgio viene fatto seguire da investigatori che
forniscono a Giulietta le prove inconfutabili del suo tradimento. Nella sua ricerca di uno sfogo,
Giulietta sembra cedere alle lusinghe di una vicina, Susy, che vorrebbe introdurla in un mondo
vizioso falso. In tempo, con terrore, la donna se ne ritrae e, dopo aver tentato inutilmente di parlare
con l'amante del marito, trova la forza di lasciarlo uscire dalla sua vita, nascondendogli la sua
consapevolezza. Con l'aiuto di una psicoanalista, tuttavia, Giulietta riesce a reagire. Alla fine, in
abito bianco, va incontro al vento che soffia dal mare.
Appunti
Per questo film la produzione aveva scelto l’attrice Katherin Hepburn ma Fellini rifiutò perché
voleva realizzare il film con la moglie Giulietta Masini. Il 1965 sarà un anno difficile per fellini, ci
sarà la rottura con Ennio Flaiano (vedi libro) e il suo analista Bernard morirà. Attraverso le letture di
Jung, Fellini individua simboli fondamentali, secondo Jung, l’artista è colui che riesce a collegarsi
all’inconscio collettivo e quindi riesce a parlare con tutti. Questo sarà proprio il tentativo di fellini,
esprimere l’inconscio collettivo è compito del cinema.
Jung -> ognuno di noi deve seguire la propria vocazione, vocazione che rimane spesso soffocata e
che causa tristezza, disagio. Ognuno di noi deve realizzare la propria mitobiografia -> confronto
con tutto ciò che rende la vita feconda, intima vocazione alla pienezza della propria esistenza
Fellini dopo la morte di Bergman mette al centro i suoi disagi, è alla scoperta di una nuova
dimensione, la sua vita può avere un senso nella realizzazione dei film.
Libro: the I Ching (vedi libro).