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Business Coaching
Business Coaching
Questo lavoro vuole tracciare alcune linee guida sul lavoro del Business Coach nella piccole
e medie aziende, un terrone “fertile” dove la figura del coach non ha ancora attecchito.
L’argomento è di assoluta attualità dato il momento critico che stanno passando le aziende
italiane. Come affrontare la crisi, come cambiare modello di business, come affrontare il
delicatissimo passaggio generazionale: questi i temi principali che formatori e consulenti
stanno vivendo.
Queste le sfide che possono essere affrontate dal Coach: un professionista che
affianca nel cambiamento con l’obiettivo di sviluppare le competenze delle risorse
umane dell’azienda.
Proprio la situazione di crisi può spingere l’imprenditore a fare scelte votate al massimo
ritorno degli investimenti: il consulente offre una risposta standard, mentre il coach
permette alla risorsa interna non solo di trovare la risposta, ma di crescere e migliorare il
suo rendimento.
Il coach come l’investimento con i risultati più tangibili rispetto alla formazione ed
alla consulenza, il coach come naturale completamento di queste due modalità.
Questa è una delle obiezioni più comuni da parte di formatori e consulenti. Sarà vero?
Certo che una convinzione del genere non può che limitare nella proposta di coaching
ai clienti. Da qui la domanda: come proporre il business coach? Come integrare questo
servizio nell’ambito di una società di consulenza che opera nello sviluppo delle risorse
umane?
Questi i temi che intendo sviluppare nelle prossime pagine, prendendo spunto dalla mia
attività professionale e da mie riflessioni. Non con l’obiettivo di scrivere qualcosa di “unico”
e pregiato, ma perlomeno di dare un mio contributo originale e personale.
Portatore di benessere all’interno delle realtà aziendali tramite il benessere della singola risorsa
umana: questo è il coach..
Quando la risorsa umana è soddisfatta di sé stessa, comunica benessere alle altre: questo fa la
differenza nel clima aziendale, nella soddisfazione interna e di conseguenza sulla produttività e
competitività dell’azienda.
Un’azienda, per essere competitiva in un mercato difficile, in continuo cambiamento, deve investire
su ciò che ha di più prezioso: le risorse umane e il loro benessere.
Il Business Coach è un professionista indicato per gli imprenditori nel caso di start-up di
una nuova impresa o per imprese già avviate di piccole e medie dimensioni per crescere
ed espandere i loro servizi. Quando si lavora in questo contesto spesso non esiste una
marcata separazione tra il business e la persona.
Il coach diventa il partner silenzioso e segreto a sostegno della persona per
illuminare il percorso verso il successo professionale e personale.
Ho provato a riassumere i principali ambiti di intervento del Business Coach in azienda. Nel
farlo mi sono reso conto che, dato il metodo flessibile, il Coach può veramente spaziare in
ogni tipologia di ambito: è sempre comunque il cliente che pone il “Focus” della sessione”.
Ritengo comunque naturale che ogni Coach sviluppi alcune aree più di altre emplicemente
per andare incontro alle sue potenzialità e per rendere la sua attività più piacevole
possibile. Perché privarsi di questo?
• motivare la persona
• ottimizzare la gestione del tempo e/o dello stress
• migliorare le performance
• facilitare il cambiamento organizzativo
• sviluppare creatività
• ottimizzare le risorse presenti
• migliorare i flussi comunicativi
• migliorare il clima lavorativo nei reparti e tra i reparti
• supportare l'implementazione di comportamenti etici in azienda
• favorire il change management
• sviluppare nuovi orientamenti e visioni aziendali
Un delicatissimo equilibrio
<< Immaginate la vita come un gioco in cui i giocolieri fanno volteggiare cinque palle
nell'aria. Le si nominano – lavoro, famiglia, salute, amicizia e spirito – e si tengono
sospese in aria. Capirete ben presto che il lavoro è una palla di gomma. Se la si lascia
cadere rimbalzerà. Ma le altre quattro palle sono di vetro.>>
-Brian Dyson-
Sfera personale e sfera professionale sono indissolubili. Un coach che lavora ad esempio
sull’efficacia del manager (miglioramento delle performance aziendali) può spesso andare
a toccare anche ambiti personali. Spesso l’efficacia in un contesto viene dallo sbloccare
situazioni in altri ambiti: relazionali o relativi alla cura del sé.
Inaspettate aperture verso la dimensione personale sono delle grandi opportunità, non è
andare fuori tema, ma ampliare la visuale, esplorare e raccogliere informazioni.
Essere Business Coach e parlare della gestione del tempo anche fuori dall’ufficio è
assolutamente “naturale”. Solo se ovviamente è il cliente a condurci in quell’ambito, noi
come Coach non forziamo mai l’argomento, è lui che di sessione in sessione sceglie da
dove partire.
L’efficacia ed il benessere della persona sono alla base del nostro approccio di coach: lo
sviluppo è a 360 gradi, i benefici creati in un’area ricadono su altre aree dell’individuo.
Proporre il Business Coach
Integrare l’offerta
Il coach va quindi a completare l’offerta di servizi rivolta allo sviluppo delle risorse umane
dell’azienda; questa offerta comprende solitamente:
• ricerca e selezione del personale
• progettazione ed erogazione delle formazione
• consulenza organizzativa
• altri servizi accessori alla consulenza quali ad esempio: analisi di clima e bilancio
delle competenze
Per persuadere una persona ad accettare le nostre idee devo partire dai benefici che
questa persona avrà dalla nostra proposta. Prima di vendere un prodotto o un servizio
devo aver comunicato quali sono i benefici che ne trarrà, ovvero gli aspetti positivi
personalizzati sui bisogni del target stesso.
Per una questione di trasparenza e onestà intellettuale chiamiamo il coaching col suo
nome. Non cerchiamo “escamotage linguistici” per cercare di superare eventuali
barriere/obiezioni del cliente. Se si tratta di coaching con chiamiamolo consulenza o
sviluppo delle competenze quasi avendo timore di dover spiegare al cliente di cosa si
tratta. I motivi per una scelta di trasparenza sono molteplici:
- la necessitò di “educare” ed informare sul coaching
- la volontà di creare da subito un patto di alleanza col cliente che non può
prescindere da una chiara spiegazione di come si struttura il metodo
- la nostra stessa coerenza e credibilità che viene meno se cerchiamo sotterfugi
In una situazione di resistenza da parte del cliente, possiamo semplicemente far provare
una sessione per far comprendere le potenzialità del coaching. In questo modo possiamo
sbloccare eventuali dubbi o diffidenze sulla modalità.
Possibili utilizzi del metodo
1-Il coach come alleato: sessioni di coaching
Il coach come partner per sviluppare le potenzialità, aiutare in una sfida decisiva,
supportare in un cambiamento. Il coach che non da consigli, non “imbocca” le risposte,
non offre soluzioni chiavi in mano (quindi non coerenti con la persona).
Il coach che accoglie, ascolta e si allea col cliente.
Troviamo nel coach la risposta alla spontanea richiesta di un lavoro one-to-one, specifico,
su misura della persona. La richiesta di performance sempre migliori, la necessità di
integrare vita personale e professionale, il bisogno di vivere il lavoro senza farsi sopraffare
dallo stress: a domande di alta qualità le risposte devono essere flessibili ed
all’avanguardia.
Il coach si muove nell’azienda con naturalezza: può essere già stato in azienda come
formatore o consolante e quindi integrare in maniera armoniosa il suo lavoro iniziando con
qualcuno dei corsisti un percorso tarato sulle sue esigenze.
Oppure può essere chiamato a lavorare su alcune persone chiave dell’organizzazione che
vivono momenti di sfida. In ogni caso il coach è un tassello di un progetto articolato che
dura nel tempo e diventa un modus operandi dell’azienda: l’organizzazione si deve
adattare all’ambiente e lo fa con l’aiuto di competenze importanti, tarate sullo sviluppo
delle potenzialità dell’organizzazione.
Non da tutti gli imprenditori la formazione è ritenuta utile: da alcuni è vista come un
qualcosa che “va fatto ogni tanto”, un momento a volte piacevole che lascia per qualche
giorno un vago ricordo, ma che non incide sui comportamenti ed atteggiamenti delle
persone.
Il punto di debolezza della formazione nasce dalla incapacità dell’individuo di portare fuori
dall’aula di formazione ciò che ha visto e sentito.
Ci si lascia pertanto, al termine del proprio viaggio, con alcune raccomandazioni e prese di
posizioni: magari dichiarando di fronte agli altri alcuni nuovi comportamenti, ma poi… cosa
succede?
Molto spesso il tutto rimane all’interno dell’aula per i più svariati motivi; spesso sento dalle
persone dire: “Non ho avuto tempo”, “Tutto bello, ma comunque l’azienda mi impone
questo”, “Non dipende da me” e tutta una serie di scuse e razionalizzazioni per
nascondere una proprio mancanza di disciplina o motivazione.
E’ fondamentale che l’individuo abbia piena consapevolezza delle ore di formazione che
andrà a svolgere: come si inseriscono nel suo percorso di crescita, quale finalità ha
l’azienda, quali risultati ci si aspetta.
La formazione in aula è quindi preceduta da una sessione in cui utilizziamo in parte il
metodo di coaching adattandolo alla situazione.
Definiamo innanzitutto il Focus: lo stato problematico su cui l’individuo vuole lavorare e lo
stato desiderato (funzione alfa e funzione omega). Raccogliamo così importanti
informazioni sulle attese e sulla percezione che l’individuo ha di sé stesso
nell’organizzazione. Spesso si entra in aula senza aver fatto una riflessione su che cosa ci
piacerebbe migliorare, vivendo la formazione solo come un momento di passaggio, non
continuo, in cui sono costretto a partecipare.
La domanda chiave è: “Come potrebbe migliorare il tuo lavoro?”. Anche risposte come:
“Non lo so” sono ricche di spunti. Invece di lavorare sugli strumenti è necessario fare un
passo indietro e comprendere l’importanza del ruolo e la sua funzione nell’organizzazione.
In questa sessione, oltre al Focus, andiamo ad esplorare le potenzialità dell’individuo
facendo una restituzione sia all’individuo sia all’azienda stessa.
Se, ad esempio, emerge come potenzialità del gruppo l’amore per il sapere, il formatore
avrà vita facile e potrà anche approfondire ed ampliare temi diversi.
Le informazioni raccolte ci permettono così di andare a rivedere in parte il progetto
formativo che avrà già un primo importante cambiamento: gli argomenti ed il modo di
trattarli saranno più vicini al Focus ed alle potenzialità dell’aula.
Ovviamente si tratta di “mediare” esigenze spesso diverse tra loro e quindi cercheremo di
trovare il più possibile un linguaggio comune, un minimo comune denominatore.
“Non è possibile modificare il carattere di una persona”: questa affermazione viene spesso
fuori dai corsisti che avendo già fatto formazione non hanno ricevuto nessun beneficio
visibile.
L’affermazione non vuole essere polemica, ma solo l’espressione di una esperienza
individuale: “Per me la formazione non è stata utile” non significa che non lo sia stata per
qualcun altro. Molto spesso, inoltre, l’influenza della formazione non è immediata o
comunque va a modificare in maniera impercettibile alcuni comportamenti, o il come le
persone vivono certi avvenimenti.
Affinchè la formazione sia veramente utile va portata fuori dall’aula. E’ necessario fare un
lavoro di riflessione ed implementazione nel contesto dell’individuo. Questo lavoro è fatto
in maniera autonoma da molto individui caratterizzati da una ricca vita interiore e da una
buona motivazione, ma non ci possiamo aspettare che vanga fatto da tutti i corsisti.
Possiamo integrare in maniera forte gli argomenti dell’aula creando un piano d’azione
che porti i concetti della formazione nel contesto quotidiano delle singole persone.
Al termine della formazione vengono quindi stabilite sessioni individuali dove ogni corsista
(non è il coach che lo impone) stabilisce le sue azioni per raggiungere un determinato
obiettivo. Quali comportamenti nuovi portare avanti, come, dove quando ecc…: il coach si
allea col coachee per stabilire azioni specifiche e misurabili.
La seconda sessione di follow-up va stabilita entro due settimane in modo da lasciare
tempo al coachee per metter in pratica l’azione e individuare gli inevitabili ostacoli.
La terza ed ultima sessione va prevista a 4 settimane dalla prima; in questa sessione
andiamo ad esaminare i primi risultati delle azioni. Tra la prima e la terza sessione, il
coach si mantiene in contatto e-mail per monitorare i passi avanti.
Sottolineo ancora una volta che questo è un adattamento del metodo del coaching: qui
non è il cliente che sceglie il focus, ma il coach-formatore che pone domande per arrivare
ad un piano d’azione su specifiche esigenze lavorative. Inoltre il numero delle sessioni è
per forza limitato se vogliamo accompagnare tutti corsisti.
La bussola del coach offre una chiave di lettura molto utile a chi gestisce altre persone.
Può quindi essere trasmessa come strumento metodologico in aule di formazione che
hanno come oggetto temi quali la comunicazione in azienda, come ad esempio la gestione
dei conflitti tra manager e collaboratore.
Come spesso accade il conflitto segue una sua “escalation” ben precisa costringendo
l’organizzazione a misure spesso drastiche. Quanto la situazione si deteriora e va avanti
per anni come molto spesso accade, è comunque scontato che il gruppo di lavoro, il
reparto o l’azienda intera, ne risentano a livello di “clima” e che questo incida sui risultati.
Chi gestisce il conflitto può utilizzare il metodo della bussola per condurre un colloquio
chiarificatore delle posizioni e cercare quindi una soluzione mediata.
Il Focus è il primo passo: definire lo stato problematico andando a fondo il più possibile e
quindi passare alla situazione desiderata. Il colloquio deve quindi toccare le potenzialità
dell’individuo che devono essere restituite: in questo modo il collaboratore avrà di sé una
visione completa ed equilibrata che è alla base di una soluzione del conflitto e una piena
reintegrazione nel contesto lavorativo. Rimane quindi il piano d’azione: ovvero
implementare nuovi comportamenti, analizzando gli eventuali ostacoli ed i possibili alleati.
Lavorando come coach, viene spontaneo proporre un percorso che possa offrire un
approccio e degli strumenti per diventare Coach.
Il corso diventerebbe inoltre l’opportunità di promuovere il coaching e di creare un
“serbatoio” di nuovi coach, idee e spunti di riflessione.
Conclusioni