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STUDI DANTESCHI

­F O N D AT I ­ D A­ M I C H E L E ­ B A R B I

P U B B L I C AT I ­ D A L L A­ S O C I E T À ­ D A N T E S C A­ I TA L I A N A

V O L U M E ­ O T TA N TA Q U AT T R E S I M O

IN FIRENzE,­LE­LETTERE­–­2019
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MARCELLO CICCUTO

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ISSN 0391-7835
SOCIETÀ DANTESCA ITALIANA

STUDI DANTESCHI
Fondati da Michele Barbi

Pubblicati dalla Società Dantesca Italiana

LXXXIV

IN FIRENZE, LE LETTERE – 2019


INDICE

Nota della Redazione, Cento anni di «Studi Danteschi»


all’insegna di Michele Barbi V

Mirko Tavoni, Dante e la scoperta del Paradiso terrestre


in mezzo all’Oceano 1
Giorgio Inglese, «Cara piota». Proposte per la Commedia 15
Ambrogio Camozzi Pistoja,Testo come eucarestia.
Linguaggio parabolico nel Convivio di Dante 57
Sara Calculli - Sonia Gentili, Dante e lo statuto della poesia
tra Boezio e Orazio 101
Francesco Ciabattoni, Inferno IX 153
Sebastiana Nobili, «Ancor si cola»: una lettura di Inferno XII 167
Gianfranco Fioravanti, Simplicio: chi era costui? 189
Fulvio Delle Donne, Breve nota di restauro testuale
dell’Epistola VI (1, 3) 197
Susanna Barsella, Dante e la machina mundi.
Modelli cosmologici e l’Epistola XIII 205

NOTE

Umberto Dassi, Terzine della Commedia in un codice delle


Tragedie di Seneca (ms. Dc. 152 della SLUB di Dresda) 269
Gabriella Albanese - Bruno Figliuolo - Paolo Pontari,
Dei notai, cartolai e mercanti attorno al
Liber Dantis di Giovanni Villani e del modo
di leggere i documenti antichi 285
IV INDICE

Notizie della Società Dantesca Italiana per l’anno 2018 387

Indice dei manoscritti e dei documenti d’archivio 399


Indice dei nomi 404
SUSANNA BARSELLA

DANTE E LA MACHINA MUNDI.


MODELLI COSMOLOGICI E L’EPISTOLA XIII*

Il presente articolo analizza la relazione tra il modello cosmologico presente nella Divina Com-
media e due passi rilevanti per le questioni cosmologiche presenti nell’Epistola XIII a Cangrande
Della Scala. Nell’articolo mi propongo di ricostruire l’architettura e la meccanica della cosmo-
logia che Dante elabora nella Commedia al fine di presentare una credibile anche se non ne-
cessariamente verisimile spiegazione del funzionamento dell’universo. L’articolo si concentra su
questioni collegate all’origine del movimento dei corpi celesti ed evidenzia una discrepanza tra
il sistema cosmologico della Divina Commedia e quello implicito nell’Epistola XIII.

Dante and the Machina Mundi. The Cosmological System and the “Epistle XIII”

This article discusses the relationship between the cosmological model of the Divine Comedy
and two cosmological passages from Dante’s Epistle XIII to Cangrande Della Scala. In this ar-
ticle I reconstruct the architecture and the mechanics of the cosmological system Dante builds
in the Comedy in order to give a reliable although not necessarily verisimile explanation of how
the universe works. The article focuses on questions related to the origin of the movement of
the celestial bodies and it evidences a discrepancy between the cosmological organization of
the Divine Comedy and the one implicit in the Epistle XIII.

Keywords: Dante Alighieri; Divine Comedy; Cangrande Della Scala; Cosmological System;
Epistle 13.

Introduzione

Due passi della Epistola XIII a Cangrande Della Scala accennano


all’illuminazione divina che gli angeli ricevono e a loro volta riflettono
sulle realtà a loro inferiori (Ep. XIII 60-61) e al moto delle sfere cele-
sti (Ep. XIII 71). Questi passi sembrano essere in contraddizione con
due punti nodali della cosmologia della Commedia così come si delinea
negli ultimi canti del Paradiso: le dinamiche dell’illuminazione delle
gerarchie angeliche, a cui si connette la questione della visio Dei delle
sostanze separate; e la dinamica del movimento celeste.

* Ringrazio i colleghi Theodore Cachey, Anna Pegoretti e Vincenzo Vespri per le


preziose osservazioni ed i commenti a una precedente versione di questo saggio. Le even-
tuali mancanze ed errori rimangono mia responsabilità.
206 SUSANNA BARSELLA

Investigare se i passi citati dell’Epistola siano o meno in conflitto


con la cosmologia della Commedia, oltre a dare un contributo al di-
battito sulla sua affidabilità esegetica (anche al di là della questione at-
tributiva) è anche un’occasione per approfondire aspetti meno dibat-
tuti ma non meno importanti della cosmologia dantesca e quindi chia-
rirne sia i principi che la struttura.1 In questo articolo mi propongo di
ricostruire il funzionamento della machina mundi della Commedia pre-
stando attenzione particolare alle qualità e modalità di trasmissione
della luce dal cielo Empireo ai cieli sottostanti, e all’origine e propa-
gazione del moto celeste. Questi elementi sono interconnessi ed es-
senziali per definire il fondamentale ruolo di mediazione tra sfera spi-
rituale e sfera materiale svolto dagli ordini angelici nel sistema cosmo-
logico della Commedia.2

1
Le diverse questioni angelologiche toccate in queste pagine si rifanno a temi af-
frontati in un lavoro precedente e delle quali il presente articolo costituisce un appro-
fondimento e in parte una revisione. Per l’analisi delle innovazioni scientifico-teologi-
che connesse all’angelologia dantesca, e in particolare al fondamentale ruolo di connet-
tere mondo fisico e mondo spirituale assegnato agli angeli nella Commedia, mi permet-
to di rimandare a S. BARSELLA, In the Light of the Angels. Angelology and Cosmology in
Dante’s Divina Commedia, Firenze, Olschki, 2010.
2
Per gli studi sugli angeli in Dante si veda il classico R. GUARDINI, L’Angelo nella
“Divina Commedia”, in ID., Studi su Dante, Brescia, Morcelliana, 1967, pp. 13-130. Per
le matrici biblico-cristiane e aristoteliche degli angeli danteschi vedi lo studio di S. BEM-
ROSE, Dante’s Angelic Intelligences. Their Importance in the Cosmos and in Pre-Christian
Religion, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1983. Rilevante per la presenza di cor-
renti francescane nella concezione angelologica dantesca è il capitolo Theologia ludens
in G. MAZZOTTA, Dante’s Vision and the Circle of Knowledge, Princeton, Princeton Uni-
versity Press, 1992, pp. 219-242. Per l’influenza dello Pseudo-Dionigi sulle gerarchie an-
geliche dantesche vedi D. SBACCHI, La presenza di Dionigi l’Aeropagita nel “Paradiso” di
Dante, Firenze, Olschki, 2006 e M. ARIANI, «E sì come di lei bevve la gronda / de le pal-
pebre mie» (Par. XXX 88-89): Dante e lo Pseudo-Dionigi Areopagita, in Leggere Dante, a
c. di L. BATTAGLIA RICCI, Ravenna, Longo, 2003, pp. 131-152. Per i limiti dell’influenza
dionisiana vedi BARSELLA, In the Light, cit. pp. 27-69. Su importanti aspetti dell’angelo-
logia dantesca si vedano inoltre Z. BARANS! KI, Dante tra dei pagani e angeli cristiani, in «Fi-
lologia e critica», 9 (1984), pp. 298-299, e di N. TONELLI, Intorno agli angeli di Dante. I.
Nella valletta dei principi, in «L’Alighieri», 43 (2002), pp. 95-120, e EAD., Gli angeli nei
cerchi dell’empireo, in «Studi e Problemi di Critica Testuale», 90 (2015), pp. 279-295.
Per una visione generale delle questioni angelologiche vedi D. KECK, Angels and Ange-
lology in the Middle Ages, Oxford, Oxford University Press, 1998, e M.J. GILL, Angels
and the Order of Heaven in Medieval and Renaissance Italy, Cambridge, Cambridge Uni-
versity Press, 2014. Sulle questioni specificamente filosofiche e teologiche riguardo agli
angeli rimando alla bibliografia nelle note successive.
DANTE E LA MACHINA MUNDI 207

Nel fare ciò, va considerato il sistema angelico-cosmologico dan-


tesco non come un paradigma che rimane inalterato nel tempo, ma
come un progetto “architettonico” che si sviluppa come ricerca di
approssimazione a quel “vero” verso cui Dante progredisce nella sua
storia personale, partendo dalla premessa che nel poema sacro una
verità teologica debba avere un corrispettivo di verità fisica. Quella
che si sviluppa nella Commedia è infatti una “teofisica” che si riflet-
te nella visione dantesca di un universo della creazione connesso da
«vimi» inscindibili e armonici. È un progetto che si evolve dal Con-
vivio, in particolare Conv. II IV, al Paradiso (Par. II, VII, XIII, XXVII,
XXVIII e XXIX) passando attraverso la Monarchia (Mon. I III 3-9) e
segnando tappe decisive quali la ricusazione del sistema gerarchico
delle intelligenze di Gregorio Magno a favore di quello dello Pseudo-
Dionigi Areopagita in Paradiso XXVIII.3 Tali cambiamenti, necessa-
ri per garantire un nuovo ordine su cui fondare la prospettiva etica
ed escatologica del poema, indicano come sia delicata questione usa-
re il Convivio per fare luce sulla Commedia per quanto riguarda ar-
gomenti angelici e cosmologici, ma anche quanto sia necessario ave-
re presente il “cantiere” del Convivio per comprendere lo sviluppo
temporale del pensiero di Dante sul poema come rappresentazione
del mondo.4

3
In realtà l’ordinamento di Dante differisce anche da quello pseudo-dionisiano. A
differenza dello Pseudo-Dionigi, Dante situa le Virtù in posizione intermedia, e non su-
periore, nella seconda gerarchia. Per l’importanza di Gregorio Magno in Dante e la so-
stanziale continuità con la visione etica dell’angelologia gregoriana vedi V. MONTEMAG-
GI, «Di sé medesmo rise»: Gregorio Magno nella “Commedia” di Dante, in L’eredità spiri-
tuale di Gregorio Magno tra Occidente e Oriente. Atti del Simposio Internazionale Gre-
gorio Magno 604-2004 (Roma, 10-12 marzo 2004), a c. di G.I. GARGANO, Negarine di
S. Pietro a Cariano (VR), Il Segno dei Gabrielli, 2005, pp. 325-360.
4
Non si deve pensare che l’evoluzione della cosmologia dantesca lasci tracce in-
consapevoli nel poema. Dante mantiene alcune zone ambigue, come nei riferimenti alla
cosmologica del cielo delle stelle fisse in Par. II o nella definizione dell’origine del tem-
po e della regolazione del moto fisico in Par. XXVII. Tuttavia l’autore si fa auctoritas col-
legando anche a livello testuale tali zone con l’impianto cosmologico definito nei due
canti angelologici (Par. XXVIII e XXIX), la cui autorità si impone à rebours ed è sotto-
lineata dall’ambigua ricusazione di Gregorio Magno a favore dell’ordinamento pseudo-
dionisiano delle gerarchie angeliche in Par. XXVIII 130-135. Ambigua perché Dante
certamente non segue l’angelologia dello Pseudo-Dionigi, a cominciare dall’attribuzio-
ne dantesca della fondamentale funzione motrice agli angeli, che in quest’ultimo non ha
luogo. Per le differenze tra l’angelologia dantesca e quella dello Pseudo-Dionigi riman-
do a BARSELLA, In the Light, cit., cap. II.
208 SUSANNA BARSELLA

Nelle pagine che seguono mi propongo di illustrare il funziona-


mento della meccanica celeste presente nella Commedia e in base alla
sua ricostruzione di mettere in evidenza le discrepanze esistenti con i
due passi sopra citati della Epistola XIII. Una breve descrizione delle
premesse fondamentali sull’angelologia dantesca (par. 1) precede la
descrizione del modello cosmologico (par. 2). I paragrafi 3, 4 e 5 sono
dedicati alla ricognizione dell’origine del moto delle sfere celesti, al
rapporto tra movimento, illuminazione e conoscenza, e all’ipotesi di
un cambiamento intercorso nel disegno cosmologico della Commedia
dai primi canti agli ultimi del Paradiso. Il paragrafo 6 è dedicato al-
l’analisi della luce, della visione beatifica e del principio gerarchico di
illuminazione adottato da Dante per le gerarchie angeliche. Infine, il
paragrafo 7 confronta il funzionamento del modello della Commedia
così ricostruito con i passi dell’Epistola XIII e ne dimostra l’incompa-
tibilità.

1. Premesse all’ordine cosmologico dantesco

Per illustrare come si articoli nella sua dimensione “scientifica” il


disegno del cosmo dantesco, è necessario chiarire alcune fondamen-
tali premesse su cui si basa la presente indagine. Come ha recente-
mente sostenuto Giorgio Stabile, la cosmologia della Commedia – in-
separabile dalla sua angelologia – non è un elemento strutturale che
si possa analizzare secondo principi scientifici indipendenti dalla for-
ma tecnica e poetica in cui si costituisce.5 Il poema, nella sua inscin-
dibile unità di forma e contenuto, compone un’architettura testuale,
ovvero una rappresentazione poetica di un modello cosmologico né

5
Sulla cosmologia dantesca come una delle matrici primarie della Commedia e con-
tro la disarticolazione interpretativa operata dalla separazione di origine crociana di ana-
lisi della poetica e analisi della struttura, si veda G. STABILE, Cosmologia e teologia nella
“Commedia”. La caduta di Lucifero e il rovesciamento del mondo, in ID., Dante e la filo-
sofia della natura. Percezioni, linguaggi, cosmologie, Firenze, SISMEL-Edizioni del Gal-
luzzo, 2007, pp. 137-172. Per la contestualizzazione nell’ambito della cosmologia me-
dievale rimando a T.J. CACHEY, Cosmology, Geography, and Cartography, in Dante in Con-
text, a c. di Z. BARANS! KI-L. PERTILE, Cambridge, Cambridge University Press, 2015, pp.
221-240. Per l’idea del cosmo dantesco come costruzione architettonica vedi anche J.G.
DEMARAY, Dante and the Book of the Cosmos, Transactions of the American Philosophi-
cal Society, New Series, Vol. 77. 5, 1987.
DANTE E LA MACHINA MUNDI 209

vero né verisimile ma plausibile dal punto di vista sia delle conoscen-


ze scientifiche disponibili al tempo di Dante che ai principi della rive-
lazione a cui guida la teologia. In questa architettura, la Commedia non
è più semplicemente allegoria di un cosmo teologico, ma al contrario
è rappresentazione “realistica” (in quanto coerente nella sostanza alla
verità delle leggi divine) del funzionamento della creazione secondo
leggi fisiche che hanno la loro matrice e radice nella teologia.6
Perché la Commedia possa svolgere quella funzione di “rivelazio-
ne” che induca i suoi lettori ad aprirsi alla visione e quindi all’amore
per il “vero” che essa illustra, è necessario che questo modello “fun-
zioni” sia nella sua meccanica celeste che in quella terrena; che abbia
insomma una credibilità “tecnica”. Questo “vero”, nozione fonda-
mentale su cui si snoda tutto il Paradiso, si riflette nel poema, che si fa
teologia nella misura in cui è anche spiegazione razionale del mondo:
una carta per orientarsi nel mistero della creazione per mezzo della fe-
de e della scienza.7
Il modello cosmologico rappresentato nella Commedia illustra co-
me l’ordine morale della vita cristiana trovi concreta attuazione nella
connessione tra sfera materiale e sfera spirituale in cui si articola l’uni-
verso della creazione. Questa connessione è operata dagli angeli, e da
essa dipendono l’armonia del mondo e la realizzazione del destino
provvidenziale individuale ed universale. Tale destino è proiettato nel
mondo finito della creazione e si svolge tra i due estremi della crea-
zione simul ed ex nihilo e del giudizio universale.8 L’universo si muo-
ve immerso in due diverse dimensioni temporali: quella del tempo se-
gnato dalla generazione e corruzione, e quella del tempo immortale
ma non eterno delle sostanze separate, ovvero le anime libere dai cor-
pi mortali e gli angeli e che nella tradizione medievale viene chiamato
aevum.9 L’eterno, per definizione prima ed al di là del tempo, non è

6
Su questa esigenza di realismo che si intensifica a mano a mano che ci muoviamo
in ambiti di realtà sempre più rarefatti, si veda T. BAROLINI, Dante and Reality/Dante
and Realism (Paradiso), in «Spazio Filosofico», 8 (2013), pp. 199-208.
7
Sulla centrale importanza della nozione di “vero” per la cosmologia dantesca e in
particolare Par. XXVIII, vedi G. CONTINI, Un esempio di poetica dantesca (il canto
XXVIII del “Paradiso”), in «L’Approdo letterario», 32 (1965), pp. 3-18, ripubblicato in
ID., Un’idea di Dante, Torino, Einaudi, 2001, pp. 191-213.
8
Vedi Par. XXIX 16-36.
9
Sull’importanza della distinzione tra tempo, aevum ed eternità e sulla sua rilevanza
per l’esegesi del Genesi si veda almeno P. PORRO, Forme e modelli di durata nel pensiero
medievale. L’«aevum», il tempo discreto, la categoria «quando», Leuven, Leuven Univer-
210 SUSANNA BARSELLA

rappresentato se non come l’inspiegabile “indovarsi” dell’immagine


umana alla fine della Commedia.10 Esso rimane al di là dell’universo vi-
sibile della rivelazione che ha il suo centro nella manifestazione lumi-
nosa dell’occhio dell’Empireo, il decimo cielo situato al di fuori dello
spazio e del tempo ma in cui tuttavia si origina e permane il moto de-
gli angeli e, quando necessario, dei beati nella rosa paradisiaca (Par.
XXX 43-45).11

sity Press, 1996 e Tempus aevum aeternitas. La concettualizzazione del tempo nel pensie-
ro tardomedievale. Atti del Colloquio internazionale (Trieste, 4-6 marzo 1999), Firenze,
Olschki, 2018 (2010).
10
Non tutti i teologi dei secoli XIII-XIV identificavano il cielo Empireo, inteso co-
me il caelum angelorum e contenente le sfere celesti, con il caelum Trinitatis, inteso co-
me Dio stesso. Vedi la discussione di questo punto in B. MARTINELLI, La dottrina del-
l’Empireo nell’Epistola a Cangrande (Capp. 24-27), in «Studi Danteschi», 57 (1985), pp.
49-143, e in part. pag. 112-115. Vedi anche per l’Empireo in Dante B. NARDI, La dottri-
na dell’Empireo e la sua genesi storica e nel pensiero dantesco, in ID., Saggi di filosofia dan-
tesca, Firenze, La Nuova Italia, 1967 (1930), pp.167-215; C. MOEVS, The Metaphysics of
Dante’s Comedy, Oxford, Oxford University Press, 2005, in particolare pp. 15-35; T.J.
CACHEY, Una nota sugli angeli e l’empireo, in «Nel suo profondo». Miscellanea di studi dan-
teschi (1265-2015), a c. di A. CASADEI-M. CICCUTO-G. MASI, fasc. monogr. di «Italiani-
stica», 44 (2015), pp. 149-159; A. PEGORETTI, L’Empireo in Dante e la «divina scienza»
del “Convivio”, in ‘Theologus Dantes’: tematiche teologiche nelle opere e nei primi com-
menti. Atti del convegno (Venezia, 14-15 settembre 2017), a c. di L. LOMBARDO-D. PA-
RISI-A. PEGORETTI, Venezia, Edizioni Ca’ Foscari, 2018, pp. 161-188, a cui rimando an-
che per la ricca ed aggiornata bibliografia. Per l’Empireo come cielo centrato sulla ma-
nifestazione cristologica della Sapienza mi permetto di rimandare a S. BARSELLA, The
Zodiac of Creation. Mystical Theology and the Image of the Christ-Sun in the “Commedia”,
in The Humanist’s workshop. Essays in Honor of Salvatore Camporeale, a c. di S. BAR-
SELLA-F. CIABATTONI, in «Italian Quarterly» Special Issue, 46 (2009), pp. 41-57. Per la
diversità tra l’Empireo del Convivio e quello della Commedia vedi la nota 8 del com-
mento di C. Vasoli al Convivio, pp. 133-135.
11
I beati, secondo la maggior parte dei teologi medievali, possono muoversi dalle lo-
ro sedi per volere divino, come anche gli angeli nella Commedia, basti pensare agli an-
geli sulle terrazze del Purgatorio, ai beati apparsi a Dante nei cieli, a santa Lucia, Beatri-
ce ecc. Il moto dei beati all’interno dell’Empireo può essere visto nella descrizione del
fiume di luce in Par. XXX 43-45. Qui Dante e Beatrice salgono nell’Empireo, che si pre-
senta alla percezione di Dante come un fiume di luce dal quale «beve» per poter pene-
trare più a fondo nella visione e distinguere le anime dei beati che si bagnano continua-
mente nelle acque della grazia. La maggior parte dei commentatori identifica le «favil-
le» che si muovono continuamente dentro e fuori dal fiume, con gli angeli. Fanno ecce-
zione le Chiose Ambrosiane (c. 1355?) per cui le faville sarebbero le anime beate «anime
beatorum tamquam apes mellificantes» (commento a Par. XXX 64). I beati sono inoltre
identificati come «felices ignes» anche in Par. VII 3 e 8. Tuttavia, la presenza di «ali
DANTE E LA MACHINA MUNDI 211

Un elemento essenziale al funzionamento della macchina celeste


dantesca è la simultaneità delle operazioni angeliche di illuminazione
e movimento delle sfere celesti. Entrambe queste funzioni sono con-
seguenza della contemplazione degli ordini angelici del fonte lumino-
so nell’Empireo (Par. XXIX 130-135). Nel rendere queste operazioni
dipendenti dall’atto contemplativo, nella Commedia Dante supera le
difficoltà ancora presenti nel Convivio (in particolare Conv. II IV 19)
nell’attribuire alle sostanze angeliche due diverse operazioni: contem-
plativa ed attiva. Il passaggio dall’una all’altra avrebbe infatti compro-
messo la necessaria continuità del movimento celeste. Tali difficoltà
avevano portato Dante a ipotizzare la possibile esistenza di due cate-
gorie di angeli, contemplanti e motori (Conv. II III 5 e Conv. II IV 3),
seguendo un’ipotesi che derivava da Avicenna ma era adottata anche
da teologi come Egidio Romano.12 Nella Monarchia Dante ritorna sul-
la questione (Mon. I III 3-9) e presenta una giustificazione teorica alla
possibilità che gli angeli possano svolgere operazioni simultaneamen-
te contemplative e pratiche.13 Nella Commedia non solo Dante attri-

d’oro» (Par. XXXI 14) sembra indicare abbastanza chiaramente che le faville si riferi-
scano in questo passo agli angeli, sottolineando come essi possano muoversi fuori e den-
tro dai loro cerchi, a cui sempre ritornano.
12
Per la discussione di questo punto vedi BARSELLA, In the Light, cit. pp. 21 e ss.
13
Nel Convivio Dante si era trovato di fronte alla difficoltà per cui gli angeli non po-
tevano avere due tipi di operazioni dal momento che una volta creati dovevano rispon-
dere pienamente allo scopo per cui erano stati creati e quindi realizzare in atto la loro es-
senza, e ciò non sarebbe stato possibile se avessero dovuto passare da un’operazione al-
l’altra. In Par. XXIX 37-45 Dante specifica, contraddicendo la tradizione che discende-
va da Gerolamo, che gli angeli furono creati contestualmente ai cieli come loro motori,
e in questa funzione fa consistere la loro perfezione. Il tema della “perfezione” angelica
è dibattuto e non privo di aspetti problematici soprattutto in merito alla prima specula-
zione angelologica dantesca nel Convivio e in particolare in Convivio II IV, in cui Dante
supponeva che gli angeli non potessero allo stesso tempo contemplare e muovere i cie-
li; formulazione radicalmente diversa da quella di Par. XXVIII, dove tutte le intelligen-
ze contemplano e muovono allo stesso tempo. Si tenga presente che l’ipotesi che gli an-
geli potessero avere sia vis contemplativa che vis administrativa e svolgere due operazio-
ni simultaneamente era contemplata dai teologi, in particolare da Bonaventura, che a
sua volta la derivava dall’angelo semper mobilis di Giovanni Damasceno (De fide ortho-
doxa II c. 3): «respondeo dicendum quod in Angelis duplex est vis, scilicet contempla-
tiva et administrativa» (BONAVENTURA, In secundum librum sententiarium, in Opera Om-
nia, Tomo II, dist. 8, p. 1, q. 2, citato in P. PORRO, Intelligenze oziose e angeli attivi, in «Ad
Ingenii Acuitionem». Studies in Honor of Alfonso Maierù, a c. di S. CAROTI-R. IMBACH-
Z. KALUZA-G. STABILE-L. STURLESE, Louvain La Neuve, Brepols, 2006, pp. 303-351, p.
341). E anche da Tommaso, per il quale l’angelo poteva avere una residua potenza ri-
212 SUSANNA BARSELLA

buisce funzioni motrici e illuminative alle intelligenze, ma in Par.


XXVIII istituisce una perfetta e inversa corrispondenza tra cieli e or-
dini, come analizzerò più avanti.14 È una mossa senza precedenti e Dan-
te si trova a dover mediare creativamente tra la fisica aristotelica delle
intelligenze motrici (che prevedeva un numero di intelligenze pari al
numero dei movimenti dei corpi celesti), la teologia biblico-cristiana
(che prevedeva schiere innumerevoli di creature angeliche con diver-
sificate funzioni di guida e governo del mondo) e la tradizione neo-
platonica dello Pseudo-Dionigi (che aveva reso le gerarchie angeliche
simili a una “scala” lungo cui la luce divina discendeva da e risaliva a
Dio). La funzione cosmologica che Dante attribuisce agli ordini ange-
lici lo porta a definire questi come creature puramente spirituali (si-
tuate in quanto tali dentro l’Empireo) e continuamente attive (se così
non fosse i cieli cesserebbero di girare), ovvero come “atti puri” (Par.
XXIX 31-33).15 Nel contesto del poema infatti gli angeli hanno poten-

spetto a ciò che si estendeva al di là della sua capacità cognitiva naturale. Vedi nota 12 e
S. Th. I, q. 56 a. 1 c. Si veda in particolare per i problemi della sovrapposizione tra in-
telligenze aristoteliche e angeli cristiani nel Convivio PORRO, Intelligenze, cit. Per i pro-
blemi relativi al tipo di conoscenza degli angeli nell’Empireo del Convivio vedi anche
M.L. ARDIZZONE, Reading as the Angels Read: Speculation and Politics in Dante’s “Ban-
quet”, Toronto, Toronto University Press, 2016, pp. 114-169. Per il testo del Convivio si
tengono presenti le seguenti edizioni: DANTE ALIGHIERI, Opere minori, tomo I parte II,
Convivio, a c. di C. VASOLI, Milano-Napoli, Ricciardi, 1988; DANTE ALIGHIERI, Convivio,
a c. di F. BRAMBILLA AGENO, vol. 2: Testo (Società Dantesca ltaliana. Edizione Naziona-
le. Le Opere di Dante Alighieri, 3), Firenze, Le Lettere, 1995; DANTE ALIGHIERI, Ope-
re, II. Convivio, a c. di G. FIORAVANTI, Milano, Mondadori, 2014.
14
Già nel Convivio Dante aveva istituito la corrispondenza tra cieli e ordini angeli-
ci (Conv. II V 13-15), senza però menzionare il rapporto inverso in termini di velocità di
movimento e volume. Inoltre nel Convivio solo alcuni angeli in ciascun ordine muovo-
no i cieli, e il Primo Mobile si muove a causa del desiderio di unirsi con l’Empireo in ogni
sua «parte».
15
Connessa alla definizione degli angeli come puri atti sono anche le terzine di Par.
XXIX 54, in cui si insiste sul loro moto circolare continuo. La questione dell’atto puro
ha suscitato un ampio e approfondito dibattito a cui rimando nella bibliografia qui sot-
to e alla nota 96. Per quanto concerne la presente ricerca, sembra possibile che Dante po-
tesse considerare gli angeli atti puri riferendosi implicitamente alla distinzione già pre-
sente in Tommaso d’Aquino tra potenza rispetto al loro essere (la potentia ad esse citata
anche in Conv. IV XVII 9), in quanto sono creati, e atto puro rispetto ai ministeri che so-
no chiamati ad adempiere e nei quali esauriscono ogni possibile potenza residua rispet-
to alla loro essenza. L’opinione che Dante adotta nella Commedia trovava basi teologi-
che nella distinzione tomista tra ens et essentia, nel trattato De ente et essentia e nel De
substantiis separatis. Nella Summa Theologiae il teologo domenicano esplicitamente di-
DANTE E LA MACHINA MUNDI 213

za solo rispetto all’essere, in quanto creature, ma una volta creati sono


continuamente attivi nell’espletare le funzioni loro attribuite dal dise-
gno provvidenziale dell’universo creato.
Queste brevi ma necessarie premesse costituiscono lo sfondo su
cui mi accingo a presentare una possibile ricostruzione della “macchi-
na del mondo” dantesca.

2. La «machina mundi» della “Commedia”16

Il modello cosmologico dantesco si configura come una machina


mundi: una meccanica che spiega l’origine del moto nel cosmo e lo po-
ne alla radice del tempo, ovvero del processo di generazione e corru-
zione, «con o sanza seme» (Par. XIII 65-66), tipico del mondo mate-

chiara: «Dicitur ergo Angelus substantia semper mobilis, quia semper est actu intelli-
gens, non quandoque actu et quandoque potentia, sicut nos», S. Th. Iª q. 50 a. 1 ad 2.
Tuttavia, Tommaso riconosce la possibilità di una residua potenza intellettiva negli an-
geli sia per le cose di cui non hanno acquisito scienza come habitus, sia per quanto ri-
guarda le cose che vanno al di là della loro cognizione naturale («intellectus angeli num-
quam est in potentia respectu eorum ad quae eius cognitio naturalis se extendere po-
test»). Rispetto però a ciò che gli angeli apprendono attraverso la visione beatifica essi
sono sempre in atto: «Sed ad cognitionem verbi, et eorum quae in verbo videt, nunquam
hoc modo est in potentia, quia semper actu intuetur verbum, et ea quae in verbo videt.
In hac enim visione eorum beatitudo consistit, beatitudo autem non consistit in habitu,
sed in actu, ut dicit philosophus, in I Ethic.», S. Th. I, q. 58 a. 1. Ma anche Bonaventu-
ra, per il quale gli angeli come tutte le creature ritengono un certo grado di “materia” o
potenza (ilomorfismo), parla in termini di “atto puro” rispetto alle funzioni ministeriali
degli angeli. Per approfondire il dibattito sull’atto puro in Dante e la perfezione degli an-
geli rimando a L. BIANCHI, L’averroismo di Dante: qualche osservazione critica, in «Le Tre
Corone», 2 (2015), pp. 71-109, e dello stesso autore l’intervento “Puro atto” : Dante,
l’averroïsme et les substances séparées, nel Colloquio Internazionale, presso il Collège de
France, Parigi 12-13 maggio 2015; ID., Dante eterodosso? Vecchie polemiche e nuove pro-
spettive di ricerca, in ‘Theodogus Dantes’, cit., pp. 19-36; P. FALZONE, La dottrina delle in-
telligenze separate come “puri atti” in Dante (“Convivio” II, 4 e “Monarchia” I, 3), in Il
“Convivio” di Dante, a c. di J. BARTUSCHAT-A.A. ROBIGLIO, Ravenna, Longo, 2015, pp.
165-189.
16
La dizione machina mundi, di origine lucreziana, ebbe particolare successo e dif-
fusione con l’affermarsi del pensiero scientifico e cosmologico medievale, in particolare
a partire da Michele Scoto che la usa nel suo commento al De sphaera mundi di Johan-
nes Sacrobosco. Il cosmo è indicato come «mundi machina» anche nel proemio attribuito
a Pier delle Vigne al Liber Augustalis, le Costituzioni di Melfi promulgate nel 1231 da Fe-
derico II che inquadrano il corpus di leggi secolari raccolto per volere dell’imperatore for-
214 SUSANNA BARSELLA

riale. Nella “mappa” fisico-teologica della Commedia le schiere ange-


liche, tramite le loro operazioni di moto e illuminazione, mettono in re-
lazione la sfera materiale, costituita da nove cieli di impronta aristote-
lico-tolemaica, e la sfera spirituale, costituita dal cielo Empireo della
tradizione cristiana. Il sistema di raccordo tra le sfere che Dante im-
magina costituisce una delle maggiori invenzioni poetiche di Dante,
nonché una radicale innovazione rispetto alla tradizione della cosmo-
logia medievale. L’invenzione degli angeli come “motori illuminanti”
del cosmo si distingue da tutte le speculazioni cosmologiche contem-
poranee e precedenti per la capacità di asservire all’escatologia cristia-
na sia la fisica aristotelica che la metafisica neoplatonica. Ma questo
obbiettivo può dirsi conseguito solo se effettivamente la macchina del
mondo “gira”. Per questo è cruciale capire come funzioni la sua mec-
canica.
Il sistema cosmologico della Commedia può essere visto come un
modello “teofisico” articolato in tre spazi interconnessi: la sfera fisica di-
visa in due regioni, e la sfera empirea. Prendendo spunto dalla descri-
zione dantesca di Par. XXXIII («Nel suo profondo vidi che s’interna,
/ legato con amore in un volume, / ciò che per l’universo si squaderna»
Par. XXXIII 85-87) si possono immaginare questi spazi come pagine,
ognuna in tre dimensioni, di un unico volume «legato con amore» dal-
la volontà divina che rimane imperscrutabilmente «oltre la sfera».
Le due regioni in cui si articola la sfera fisica sono: quella subluna-
re, che dipende nei suoi effetti direttamente dall’azione dei cieli, e quel-
la propria delle sfere celesti, che comprende i sette pianeti (Luna, Mer-
curio, Venere, Sole, Giove, Marte, Saturno), il cielo delle stelle fisse (zo-
diaco), e il cielo uniforme detto Primo Mobile o Cristallino. La prima
regione è immersa nell’atmosfera terrestre fino al paradiso terrestre, ma
i fenomeni naturali, pur manifestandosi ed essendo percepiti nello stes-
so modo che in terra, non rispondono più a leggi fisiche naturali bensì
a leggi teologiche già a partire dalla cigolante porta del purgatorio (Purg.
IX), attraversata la quale si entra nella terza regione dell’aria.17 Sulle ter-

se da Pier delle Vigne nel quadro del disegno provvidenziale. Per il successo della defi-
nizione, si veda M. GALZERANO, “Machina mundi”: significato e fortuna di una “iunctu-
ra” da Lucrezio alla tarda antichità, in «Bollettino di Studi Latini», 48 (2018), pp. 10-34.
17
Circa 5000 miglia secondo gli antichi commentatori, basandosi sul De meteora di
Aristotele. Il passaggio è spiegato da Stazio in Purg. XXI 46-48: «Per che non pioggia,
non grando, non neve, / non rugiada, non brina più sù cade / che la scaletta di tre gradi
breve».
DANTE E LA MACHINA MUNDI 215

razze dove si purgano le anime i terremoti sono originati non dai ven-
ti ma dalla raggiunta libertà di un’anima che accede all’Empireo attra-
verso il rituale della doppia immersione nei fiumi dell’Eden. La legge
di gravità viene rovesciata e il centro di gravitazione sia fisico che mo-
rale si sposta dal nucleo della terra (attratti verso Lucifero dal pondus
peccati) al punto luminoso dell’Empireo (attratti verso Dio dal pondus
amoris).18 Il purgatorio si trova quindi ad occupare una posizione fisi-
camente e teologicamente intermedia tra i cieli e la terra in una sfera
ideale che ha come polo inferiore Lucifero, confitto al centro della ter-
ra immobile e come polo superiore il punto luminoso al centro del-
l’Empireo.
Rispettando un ordine di simmetria, le sfere sia della terra che del-
l’Empireo sono immobili e tuttavia dotate di movimento al loro inter-
no. Nell’Empireo si muovono incessantemente gli angeli e i beati, men-
tre la terra è caratterizzata da movimento sia nel senso della genera-
zione e corruzione che nel senso dell’avvicendarsi dei beni fisici e del-
le fortune delle stirpi umane. A comandare questo moto terrestre è la
Fortuna, elevata in Inf. VII a intelligenza preposta all’avvicendamen-
to di prosperità, fama e ricchezza. La Fortuna è strumento («ministra»)
e guida («duce») della Provvidenza e appartiene alla schiera angelica
(«prime creature»). Come gli angeli (presumibilmente l’ordine più bas-
so a cui spetta il governo de «li splendor’ mondani») «volve» la sua
sfera (dei beni terreni) e con gli angeli gode della condizione beatifica,
«beata si gode» (Inf. VII 73-79, 95-96):
Colui lo cui saver tutto trascende,
fece li cieli e diè lor chi conduce
sì, ch’ogne parte ad ogne parte splende,
distribüendo igualmente la luce.
Similemente a li splendor’ mondani
ordinò general ministra e duce
che permutasse a tempo li ben’ vani
[…]
con l’altre prime creature lieta
volve sua spera e beata si gode.19

18
Per la presenza del “peso” rispetto alla “levitas” e le radici filosofiche di questi
concetti in Dante vedi S.A. GILSON, Rimaneggiamenti danteschi di Aristotele; “gravitas”
e “levitas” nella “Commedia”, in Le culture di Dante. Studi in onore di Robert Hollander,
a c. di M. PICONE-T.J. CACHEY-M. MESIRCA, Firenze, Cesati, 2004, pp. 151-178.
19
Per il testo della Divina Commedia si fa riferimento alla Commedia secondo l’an-
216 SUSANNA BARSELLA

È il primo annuncio dell’ordine cosmologico che sarà ripreso in


Paradiso e che qui suggerisce una contemporanea creazione dei cieli e
dei loro motori, anticipando Par. XXIX 44-45. Come vedremo, il loro
movimento inizia tuttavia solo dopo la caduta di Lucifero dando ori-
gine al tempo della creazione. È da notare come la prima terzina sopra
citata colleghi moto ed azione illuminante: il moto delle intelligenze fa
sì che anche la luce di cui esse sono specchi si rifletta in ogni parte di-
stribuendola in modo uniforme («igualmente»). L’azione angelica de-
scritta in queste terzine non è in contraddizione con lo “splendere”
della gloria «in una parte più e meno altrove» (Par. I 3), dovuta alla di-
versa capacità degli specchi angelici di riflettere il raggio divino, come
vedremo più avanti.20 La permutazione delle sorti mondane associate
ai beni materiali costituisce l’unico “moto” della terra e in via analogi-
ca corrisponde al moto delle altre sfere celesti. Questo “moto” viene
governato in modo simile («similmente») a quello degli altri corpi
astrali e perciò affidato a una intelligenza angelica. Questa figura può
riflettere o un disegno cosmologico in cui ad ogni cielo è associata una
intelligenza che lo muove, oppure si riferisce – coerentemente con
quanto illustrato in Par. XXVIII – a una intelligenza motrice (presu-
mibilmente dell’ordine angelico) alla quale è affidato il compito spe-
cifico di presiedere all’avvicendarsi delle sorti umane. Non è ancora
possibile stabilire se a quest’altezza della Commedia Dante assegnasse
il moto di ogni sfera ad una sola intelligenza in ciascun ordine.21 Tor-

tica vulgata, ed. critica a c. di G. PETROCCHI, Milano, Mondadori, 1966-1967 (seconda


edizione rivista Firenze, Le Lettere, 1994) e Comedia, ed. critica a c. di F. SANGUINETI,
Firenze, SISMEL-Edizioni del Galluzzo, 2001. Per i vari commenti alla Commedia, an-
tichi e moderni, si fa riferimento al Dartmouth Dante Project, accessibile tramite Prince-
ton Dante Project (http://etcweb.princeton.edu/dante/pdp/).
20
Per la riflessione della luce divina nei nove cori cfr. Par. IX 61 e Par. XIII 58-60.
21
Diversamente dalla Commedia, nel Convivio Dante assumeva che solo alcune crea-
ture angeliche fossero intelligenze motrici, come si evince da Conv. III VI 5: «E qui è da
sapere che ciascuno Intelletto di sopra, secondo che è scritto nel libro delle Cagioni, co-
nosce quello che è sopra sé e quello che è sotto sé. Conosce adunque Iddio sì come sua
cagione, [e] conosce quello che è sotto sé sì come suo effetto; e però che Dio è univer-
salissima cagione di tutte le cose, conoscendo lui, tutte le cose conosce in sé, secondo lo
modo della Intelligenza. Per che tutte le Intelligenze conoscono la forma umana, in quan-
to ella è per intenzione regolata nella divina mente; [e] massimamente conoscono quel-
la [le] Intelligenze motrici, però che sono spezialissime cagioni di quella e d’ogni forma
generata, e conoscono quella perfettissima, tanto quanto essere puote, sì come loro re-
gola ed essemplo».
DANTE E LA MACHINA MUNDI 217

nerò più avanti su questo punto. Per il momento è possibile osservare


che nello stabilire un rapporto tra angeli e moto celeste la figura di
Fortuna già configura quello che sarà il punto chiave del raccordo tra
sfera materiale e immateriale stabilito in Paradiso.
Come accennato, le regioni del paradiso che Dante-pellegrino at-
traversa nel viaggio oltremondano non rappresentano l’universo infi-
nito del divino. Terra, cieli ed Empireo ci mostrano il mondo della
creazione, dove l’ultimo cielo, infinito e puramente spirituale, include
(ma è separato da) tutti gli altri.22 Questo cielo, da cui spicca la luce che
illumina il creato e da cui inizia il movimento cosmico, si presenta co-
me un’interfaccia con la dimensione eterna che si allarga oltre il pun-
to luminoso in uno spazio infinito dove si annulla ogni visione (Par.
XXXIII 142).23
Tutto il mondo visibile a Dante nelle sue dimensioni terrena, pla-
netare ed empirea, è segnato dal movimento e quindi dal cambiamen-
to, cioè dal continuo passaggio dalla potenza all’atto secondo criteri
per noi imperscrutabili ma certi. Il “movimento” è sia successione tem-
porale, scandito dalla generazione e corruzione delle cose sensibili, che
successione nello spazio, il moto fisico. Attraverso il movimento i cie-
li influenzano le sostanze sublunari per quanto concerne i quattro ele-
menti fondamentali (terra, acqua, aria, fuoco) e le combinazioni delle
loro qualità (caldo, freddo, umido, secco) secondo una visione orga-
nicistica.24 L’azione motrice e quella di diffusione della luce hanno en-
trambe origine dai cori angelici nell’Empireo e sono queste ad attiva-

22
Per l’interpretazione dantesca del decimo cielo, l’Empireo, e il suo contesto nel-
l’ambito della metafisica e della teologia medievali rimando alla bibliografia alla nota 10.
23
L’ultima visione di Dante è quella a cui viene portato per effetto di una «folgore»
ed è però indicibile. Questo “salto” nello spazio oltre la visione del cerchio e dell’im-
magine che Dante vi vede, suggerisce un elemento di teologica apofatica di origine pseu-
do-dionisiana. Per la presenza di questi elementi vedi SBACCHI, La presenza di Dionigi,
cit., e ARIANI, «E sì come di lei bevve la gronda, cit.
24
Si confronti anche Par. VII 133-138. Il modello cosmologico dantesco ha una ma-
trice biologica – secondo la quale l’uomo e le sue dimensioni sono riprodotte nel “cor-
po” del cosmo – che ritroviamo nelle concezioni cosmologiche medievali. La relazione
di continuità tra corpo umano e corpo celeste assicura una corrispondenza tra micro e
macrocosmo ed è una delle premesse dell’architettura dantesca perché è la concezione
scientifico-filosofica su cui poggia la teoria delle influenze celesti sul mondo terrestre. Per
una classica ricognizione delle varie teorie medievali sul cosmo si veda P. DUHEM, Me-
dieval Cosmology: Theories of Infinity, Place, Time, Void, and the Plurality of Worlds, tra-
duzione a c. di R. ARIEW, Chicago, University of Chicago Press, 1985.
218 SUSANNA BARSELLA

re in ogni cielo le specifiche virtù informanti che furono create con es-
si (le virtù incoative di cui già parlava Alberto Magno).25 Così mossi ed
illuminati, i cieli esercitano le loro specifiche influenze sul mondo su-
blunare a seconda della virtù di cui sono dotati, attivata dal movimen-
to e dall’irradiazione luminosa che ricevono dagli angeli.
Le due sfere, fisica e spirituale, devono essere collegate per poter
creare un sistema in cui tutte le parti rispondano ad un’unica logica e
soggiacciano allo stesso ordine in cui l’universo creato si articola. Dan-
te immagina che tale collegamento avvenga mediante il meccanismo
di trasmissione della luce e del moto governato dalle intelligenze e as-
sicurato dalla perfetta corrispondenza tra i nove ordini angelici e i no-
ve cieli secondo un rapporto inverso («di maggio a più e di minore a
meno, / in ciascun cielo, a süa intelligenza» Par. XXVIII 64-78).26 Que-
sta corrispondenza, come abbiamo accennato, è una straordinaria in-
venzione dantesca ed è essenziale al funzionamento della “macchina
del mondo”. Evidenzia inoltre come Dante facendo degli angeli il ful-
cro del movimento cosmico dia loro uno straordinario ruolo nel dise-
gno provvidenziale. L’invenzione dantesca è tanto più notevole se si
pensa che la funzione motrice degli angeli era una delle proposizioni
condannate dal vescovo di Parigi Etienne Tempier già nel 1277.27

25
Dante riprende queste nozioni anche nella Monarchia. Nel suo commento a Mon.
II II 2, Andrea Tabarroni rileva: «Dante si avvale qui di una dottrina più tipicamente dif-
fusa da Alberto Magno, secondo la quale ogni produzione naturale avviene in virtù di un
principio formale che risiede come esemplare nella mente di Dio e si trasmette alla ma-
teria attraverso l’influenza dei corpi celesti e l’azione formativa del seme», DANTE ALI-
GHIERI, Monarchia, a c. di P. CHIESA-A. TABARRONI, Roma, Salerno Editrice, 2013, p. 78.
Per la virtù formativa in Alberto Magno vedi A. TAKAHASHI, Nature, Formative Power
and Intellect in the Natural Philosophy of Albert the Great, in «Early Science and Medi-
cine», 13 (2008), pp. 451-481.
26
Per la spiegazione della relazione inversa tra cieli e ordini angelici vedi anche Par.
XXVIII 76-79.
27
Tra i teologi solo Tommaso d’Aquino aveva con grande cautela affidato la funzione
motrice all’ordine delle Virtù. Creando tale corrispondenza tra cori e cieli, Dante svin-
cola il numero degli angeli dal numero dei movimenti cosmici e lo collega invece alle vir-
tù che con il moto vengono attivate, ovvero un numero finito ma innumerabile. Per le
condanne delle proposizioni teologiche riguardanti gli angeli e la loro funzione motrice
vedi R. HISSETTE, Enquête sur les 219 articles condamnés à Paris le 7 mars 1277, Lou-
vain-Paris, Philosophes médiévaux, 1977, e L. BIANCHI, Il vescovo e i filosofi. La con-
danna parigina del 1277 e l’evoluzione dell’aristotelismo scolastico, Bergamo, Lubrina,
1990. La questione se gli angeli potessero o no muovere i cieli aveva suscitato un ampio
dibattito ancora prima del 1277. Nel 1271 il generale dei domenicani Giovanni da Ver-
DANTE E LA MACHINA MUNDI 219

Grazie a questa assunzione il modello costruito nella Commedia è


in grado di spiegare il movimento discendente dell’illuminazione divi-
na e di collocare l’origine del movimento celeste e della vita all’inter-
no all’Empireo, innestando la fisica nella metafisica e radicandola nel-
la teologia. Solo attraverso l’operazione strumentale (e provvidenziale)
degli angeli la machina mundi può “girare” dando inizio al processo
temporale che eventualmente condurrà al giudizio universale e infine
all’eterno, forse nella quiete perfetta.28 Nonostante le operazioni ange-
liche definiscano una meccanica celeste che non può mai essere alte-
rata se non dall’intervento diretto divino, tale meccanica non è deter-
ministica ma al contrario rappresenta l’armonia a livello cosmico tra li-
bertà (il libero arbitrio delle intelligenze e delle creature razionali) e
necessità nel rifluire del «gran mare dell’essere» verso Dio.
Ma in che modo le schiere angeliche danno inizio al moto degli
astri? E quali sono gli effetti del loro movimento?

celli aveva mandato 43 questioni (23 sul movimento celeste) su cui si sarebbero dovuti
pronunciare Alberto Magno, Tommaso d’Aquino e Robert Kilwardby. Per il dibattito
teologico sugli angeli motori e l’identificazione tra angeli biblici e intelligenze aristoteli-
che vedi in particolare BARSELLA, In the Light, cit. pp. 77-84. Per il dibattito filosofico
sugli angeli, la conoscenza e le loro funzioni motrici vedi T. SUAREZ-NANI, Les anges et
la philosophie: subjectivité et fonction cosmologique des substances separées à la fin du
XIIIe siècle, Parigi, Vrin, 2002, e della stessa autrice, Connaissance et langage des anges
selon Thomas d’Aquin et Gilles de Rome, Parigi, Vrin, 2003.
28
La questione se i cieli sarebbero rimasti eternamente dopo il giudizio e se avreb-
bero continuato ad essere mossi era ampiamente dibattuta tra i teologi del XIII secolo.
Dalla tradizione vetero e neo- testamentaria (soprattutto Is 65, 17; Apc 21, 1; II Cor 5, 10;
II Pt 3, 10 e Mt 25, 31-46) si attingeva l’idea della distruzione del mondo e la nascita di
«nuova terra e nuovi cieli» (Apc 21, 1). Questo mondo rinnovato nella Gloria sarebbe ri-
masto al servizio dell’essere umano glorificato, ovvero dotato di anima e corpo “glorio-
so”. Per Bonaventura e Tommaso d’Aquino i cieli “nuovi” non sarebbero dotati di mo-
vimento per volontà divina, anche se la cessazione del loro moto non trovava, per l’aqui-
nate, una giustificazione razionale. Si vedano in particolare per i due teologi i commen-
ti al IV libro delle Sentenze di Pietro Lombardo, d. 48 q. 2 a. 2 e il Supplementum alla
parte III della Summa Theologiae ad opera del discepolo di Tommaso, Rainaldo da Pi-
perno, q. 91, aa. 1-3. Dante accenna più volte all’eternità dei cieli (ad es. in Purg. XIV
148-149; Par. I 64; Par. XXIII 26), e il fatto che gli angeli fermi ai loro ubi per l’eternità
sembrino svolgere senza soluzione di continuità la loro arte di movitori lascerebbe sup-
porre che il movimento celeste continui anche dopo il giudizio universale. È una que-
stione che merita senz’altro ulteriori approfondimenti e che mi propongo di affrontare
in un lavoro futuro.
220 SUSANNA BARSELLA

3. Il moto e la virtù delle «etterne rote»

Ciascuno dei nove cori angelici agisce da motore “illuminante” che


rende attive nelle relative nove sfere celesti le loro virtù particolari.
Che questo sia il compito delle gerarchie angeliche, nel quale si fon-
dono elementi fisici (il moto) e teologici (la luce divina) è reso chiaris-
simo sin dal canto II del Paradiso: «Lo moto e la virtù de’ santi giri, /
come dal fabbro l’arte del martello, / da’ beati motor convien che spi-
ri» (Par. II 127-129). Come abbiamo notato, questa loro «arte» non è
presente sin dal momento della creazione ma inizia successivamente
alla caduta di Lucifero, quando gli angeli fedeli a Dio ricevono un’ag-
giuntiva grazia illuminante.29 I momenti di “prima” e “dopo” si pos-
sono distinguere in termini logici più che in termini del tempo discre-
to che caratterizza il mondo dopo la caduta dell’angelo ribelle. È cioè
una distinzione in termini di aevum, il tempo fluido e continuo inter-
medio tra l’eterno e l’umano. L’inizio dell’arte dei fabbri divini coinci-
de quindi con il momento in cui gli angeli accedono alla visione del-
l’essenza divina e, come vedremo nel paragrafo 6 di questo articolo, è
l’essenziale punto di partenza da cui discendono sia il moto che l’azio-
ne illuminante delle gerarchie come conseguenza di tale visione ed è
anche il momento in cui prende avvio il tempo discreto dell’universo.
Per comprendere come Dante articoli le funzioni motrici e illumi-
native dei cori angelici è necessario ripercorrere le maggiori tappe dei
canti “dottrinali”, cioè di Par. XXVII e XXIX, iniziando dalla visione
delle gerarchie in Par. XXVII. Superati gli esami sulle virtù teologali
Dante è libero di lasciare il cielo delle stelle fisse. A segnare la raggiun-
ta pienezza di virtù e a sottolineare il passaggio all’ultima sfera, Dante
in limine rivolge lo sguardo a contemplare la terra e il cammino per-
corso prima di muovere, grazie alla maggiore virtù visiva infusagli dal-
lo sguardo di Beatrice, alla sfera velocissima del Primo Mobile (Par.
XXVII 97-99). È da quest’ultimo cielo che Dante osserva la disposi-
zione dei cori angelici intorno a un «punto» che «raggiava lume» (Par.

29
Par. XXIX 49-54. In questo canto Beatrice spiega che gli angeli furono creati si-
multaneamente ai cieli il cui movimento costituisce la loro perfezione in quanto movitori,
Par. XXIX 31-36 e 43-45. Si noti che sebbene Dante sposi l’idea della creazione simul-
tanea di angeli e cieli, il movimento del cosmo – ovvero il tempo e la generazione e cor-
ruzione legate a questo – non iniziano se non con l’esercizio del libero arbitrio degli an-
geli e la caduta di Lucifero. Sembra possibile pensare che prima della caduta di Lucife-
ro il cosmo fosse in uno stato di quiete e la disposizione degli elementi perfetta.
DANTE E LA MACHINA MUNDI 221

XXVIII 16) posto al centro dell’Empireo. Si noti che il pellegrino vede


da questa posizione liminale le schiere angeliche ed il raccordo tra que-
ste e i cieli, ma solo dopo aver acquisito maggiore capacità di visione
può salire all’ultima sfera entro la quale vedrà gradualmente emergere
la figura circolare della rosa dei beati dall’iniziale scorrere del fiume di
luce. Se a Dante appaiono prima gli angeli è perché il “dove” non esi-
ste nell’Empireo; la loro posizione sopra la rosa è spazialmente “logica”,
essendo gli angeli le creature che collegano il mondo della materia a
quello dello spirito ed essendo essi stessi in “limine”, sebbene simme-
tricamente rispetto al punto di vista da cui li osserva inizialmente Dan-
te, e pur essendo le creature più vicine al punto di luce. Nella visione
dal Cristallino i cori si muovono con moto circolare attorno al fons lu-
minoso formando cerchi concentrici che rimandano un’immagine spe-
culare a quella che darebbe la proiezione dei cieli intorno alla terra.30
Nel fermarsi ad osservare i cieli appena attraversati, prima di alzare lo
sguardo verso l’alto, Dante dà rilievo, attraverso la costruzione poetica,
alla continuità dello spazio fisico e spirituale nel momento in cui si tro-
va a passare da una dimensione all’altra (Par. XXVIII 25-36):

30
Varie possibili fonti di Dante suggeriscono una convergenza sulla circolarità co-
me forma perfetta di movimento dei cori angelici. Tra queste, la fonte che appare più au-
torevole è Boezio, Cons. IV 6, 14-7: «come di più cerchi, i quali si volgano intorno un me-
desimo centro, quello che è l’ultimo di dentro s’accosta alla semplicità del mezzo, ed è
degli altri, che sono fuor di lui, come un certo centro, intorno al quale si girino; e quel-
lo che è l’ultimo di fuori, roteando con maggior circuito, quanto dalla indivisibilità del
punto del mezzo, cioè dal centro, si parte e allontana, tanto con più ampii spazii si spie-
ga»: «Nam ut orbium circa eundem cardinem sese uertentium qui est intimus ad sim-
plicitatem medietatis accedit ceterorumque extra locatorum ueluti cardo quidam circa
quem uersentur exsistit, extimus uero maiore ambitu rotatus quanto a puncti media in-
diuiduitate discedit tanto amplioribus spatiis explicatur, si quid uero illi se medio co-
nectat et societ in simplicitatem cogitur diffundi que ac diffluere cessat», MANLIO SE-
VERINO BOEZIO, La consolazione della filosofia, Milano, BUR, 1994. La circolarità del
moto è presente anche in Bonaventura, che parla di «circumcedere in divinis» nella Con-
ferenza XX, seguendo lo Pseudo-Dionigi. L’influenza di Bonaventura era già presente
nell’ordine di contemplazione delle gerarchie che Dante aveva seguito in Conv. II V 8, ve-
di BARSELLA, In the Light, cit., pp. 28-32, BONAVENTURA, La sapienza cristiana. Le “Col-
lationes in Hexameron”, a c. di V.C. BIGI, Milano, Jaca Book, 1985. La stessa immagine
è presente anche in Ugo di San Vittore, Super Hierarchiam Dionisii e in Ildegarda Von
Bingen, vedi su queste possibili fonti: N. TONELLI, Gli angeli nei cerchi, cit.; B. NARDI,
Sí come rota ch’igualmente è mossa, in ID., Nel mondo di Dante, Roma, Edizioni di Sto-
ria e letteratura, 1944, pp. 337-350, e E. FENZI, Dio e uomo nel cerchio della Trinità. Qual-
che nota ai versi finali della “Commedia”, in «Letteratura e Arte», 16 (2018), pp. 23-52.
222 SUSANNA BARSELLA

distante intorno al punto un cerchio d’igne


si girava sì ratto, ch’avria vinto
quel moto che più tosto il mondo cigne;
e questo era d’un altro circumcinto,
e quel dal terzo, e ’l terzo poi dal quarto,
dal quinto il quarto, e poi dal sesto il quinto.
Sopra seguiva il settimo sì sparto
già di larghezza, che ’l messo di Iuno
intero a contenerlo sarebbe arto;
così l’ottavo e ’l nono; e ciascheduno
più tardo si movea, secondo ch’era
in numero distante più da l’uno.

Il pellegrino vede che il moto degli ordini angelici intorno al pun-


to luminoso è tanto più «ratto» quanto più sono vicini alla luce men-
tre le circonferenze che essi disegnano muovendosi si allargano a ma-
no a mano che se ne allontanano spazialmente («in numero distan-
te»).31 La forza cinetica, spiega Beatrice, è data dall’intensità dell’amo-
re che “punge” gli angeli (Par. XXVIII 43-45), facendo del desiderio
di Dio un principio fisico che è all’origine, ma non è la causa, del mo-
vimento, come diverrà evidente nel corso della spiegazione di Beatri-
ce ai dubbi di Dante.
Dante rimane perplesso dalla visione degli «splendori» angelici e
chiede come sia possibile che mentre nell’Empireo il cerchio più vici-
no e più veloce (il «cerchio d’igne» dei serafini) è il più piccolo, nel-
l’ordine fisico al cerchio più lontano dalla terra e più ampio corri-
sponde invece il movimento più veloce (il Primo Mobile). Se il mon-
do reale fosse uno specchio fedele di quello spirituale questa dovreb-
be essere la sfera più lenta, e non il contrario. Il dubbio di Dante in-
troduce una pausa che permette di dare risalto alla spiegazione di Bea-
trice, sottolineando l’originalità del modello cosmologico dantesco nel
discostarsi da una semplice relazione simmetrica tra «essemplo» ed
«essemplato» (Par. XXVIII 55-57). Sfera spirituale e sfera materiale si
presentano come proiezione dell’una sull’altra ma non secondo l’or-
dine della grandezza fisica bensì secondo l’ordine di potenza/quanti-
tà di virtù formativa che i corpi celesti posseggono. Così, il cerchio più
grande si muove più velocemente poiché possiede maggiore virtù es-

31
Dante aveva già esposto la disposizione spaziale degli ordini angelici in Conv. IV
XXI 5.
DANTE E LA MACHINA MUNDI 223

sendo mosso dall’ordine dei serafini, «che più ama e che più sape»
(Par. XXVIII 72), e che girando più velocemente di tutti gli altri im-
prime al “suo” cielo una maggiore spinta e una più intensa illumina-
zione.32 Dante si trova a dover spostare il punto di vista dall’esterno al-
l’interno del cielo delle teofanie per vedere la radice delle leggi dei fe-
nomeni fisici e attingere a una spiegazione del mondo che non può es-
sere puramente trascendente.
Ma se gli angeli sono i motori celesti, che cosa dà origine al loro
stesso moto? E come si propaga affinché l’universo fluisca nello spa-
zio e nel tempo secondo il progetto provvidenziale divino attraverso i
cicli di morte e vita che sono l’essenza della temporalità?

4. Per una fisica intellettivo-affettiva: moto, conoscenza e amore

Stabilito che l’azione motrice delle intelligenze angeliche è all’ori-


gine del moto celeste secondo un ordine che lega in base alla “virtù”
ogni coro a ciascun cielo, rimane da chiarire quale sia l’origine del mo-
to angelico stesso. Come abbiamo accennato, nella Commedia i feno-
meni fisici rispondono allo stesso tempo a leggi sia meccaniche che
teologiche e ciò costituisce il nocciolo ideologico di quella che abbia-
mo chiamato la “teofisica” dantesca, che si dispiega con vigore nella
spiegazione della dinamica dei moti cosmici.33 Quando ancora sostano
nel cielo Cristallino, Beatrice espone tale dinamica richiamando l’at-
tenzione di Dante sui serafini e cherubini (Par. XXVIII 100-102):
così veloci seguono i suoi vimi,34
per somigliarsi al punto quanto ponno,
e posson quanto a veder son soblimi.

Il movimento è innescato dal desiderio degli angeli di «somigliar-


si» a Dio (il «punto») tanto «quanto ponno», e questo loro potere è de-
terminato da quanto sono capaci («soblimi») di «veder». Ogni angelo

32
Cfr. Par. VII 73-75.
33
Virgilio definisce l’amore come «moto spiritale», «e mai non posa / fin che la co-
sa amata il fa gioire», Purg. XVIII 32-33.
34
Francesco da Buti interpreta i «vimi» come legami non solo in termini fisici: «cioè
li suoi legami, che li tengono fermi e tirano al punto: questi vimi sono la cognizione di-
vina e la grazia divina, che tiene loro fermi nella carità d’Iddio» ad loc.
224 SUSANNA BARSELLA

ha infatti per natura una capacità diversa di ricevere la luce e quanto più
vede, tanto maggiore è l’entità del suo desiderio di divenire simile a Dio
e tanto più intensamente traduce questo desiderio in velocità di movi-
mento. La loro posizione rispetto al centro di luce dell’Empireo riflet-
te queste loro differenze in capacità visiva e costituisce anche il luogo a
cui sempre ritornano. I cori sono infatti tenuti da vincoli («vimi») che
li tengono fermi ai loro «ubi» (Par. XXVIII 97) come loro luogo “geo-
grafico” naturale poiché si altererebbe altrimenti la corrispondenza cie-
li-ordini su cui si incardina il sistema cosmologico della Commedia. Le
loro sedi nei cerchi formati dal movimento segnano un confine che gli
ordini non possono oltrepassare poiché pur desiderando di essere il più
possibile simili a Dio – la deiformitas pseudo-dionisiana e bonaventu-
riana – non possono tuttavia “indiarsi” e raggiungere il punto «da cui
depende il cielo e tutta sua natura» (Par. XXVIII 42).35
La causa prima di tale desiderio, e quindi del moto stesso, è la vi-
sione dell’essenza divina: più essa è profonda, più intenso è l’ardore
e più veloce il moto. Il desiderio si trasforma in forza cinetica che
muove come per attrazione gravitazionale verso il centro dell’Empi-
reo, ma non può essere appagato se non nell’unione perfetta con Dio
nell’eterno, oltre il punto luminoso. Qui, nell’universo provvidenzia-
le della creazione, ciò non è ancora possibile e l’ideale movimento
rettilineo verso il punto non può che rivolgersi in sé stesso divenen-
do circolare, segnando nella distanza fisica l’estremo ed invalicabile
limite ontologico del loro essere.36 Ogni ordine raggiunge così nella
propria orbita la massima vicinanza possibile a Dio, godendo nella
letizia della propria relativa perfezione.37 Si spiega in questo modo

35
È vero tuttavia che gli angeli, pur essendo fissi nelle loro posizioni (Par. XXXX
94-96), si muovono anche al di fuori dei rispettivi cori, come anche i beati (vedi Beatri-
ce).
36
È Pier Damiani a rivelare a Dante che nessuna creatura può penetrare a fondo il
mistero del divino, nemmeno i serafini, gli angeli che gli sono più vicini: «Ma quell’alma
nel ciel che più si schiara, / quel serafin che ’n Dio più l’occhio ha fisso, / a la dimanda
tua non satisfara, / però che sì s’innoltra ne lo abisso / de l’etterno statuto quel che chie-
di, / che da ogne creata vista è scisso» (Par. XXI 91-96).
37
La visione angelica e dei beati non differisce se non nell’ordine delle diverse ca-
pacità concesse alle creature, sia angeliche che umane, come era comunemente accetta-
to dai teologi. Dante affida a Piccarda Donati in Par. III la spiegazione di come i beati (e
per analogia gli angeli) non desiderino essere più di quanto sono: «Se disïassimo esser più
superne, / foran discordi li nostri disiri / dal voler di colui che qui ne cerne» (Par. III 73-
75).
DANTE E LA MACHINA MUNDI 225

come i serafini, essendo i più vicini a Dio e avendo una visione mag-
giore, ardano di un amore più intenso e rivolgano intorno al punto al-
la velocità maggiore. La prima conseguenza della visione angelica è il
«diletto» provocato dalla visione del «vero» ovvero il piacere sublime
portato dalla conoscenza e commisurato ad essa (Par. XXVIII 106-
108):
e dèi saper che tutti hanno diletto
quanto la sua veduta si profonda
nel vero in che si queta ogne intelletto.

Nella vista del «vero» l’intelligenza angelica trova quiete poiché


conosce se stessa e non può desiderare di vedere oltre la propria ca-
pacità che è misurata dal “merito” prodotto dalla grazia e dalla volon-
tà di bene.
Nel fare della visione di Dio la causa prima del movimento cosmi-
co Dante rovescia il rapporto conoscenza amore (rafforzando anche la
relazione dinamica tra intelletto ed affetto) tipico della mistica bona-
venturiana e vittorina e mette all’origine del desiderio angelico e del
moto cosmico la visione e la conoscenza che da questa deriva, radice
dell’amore e fonte della beatitudine delle sostanze separate (Par.
XXVIII 109-114):38
quinci si può veder come si fonda
l’esser beato ne l’atto che vede,
non in quel ch’ ama, che poscia seconda;
e del vedere è misura mercede,
che grazia partorisce e buona voglia:
così di grado in grado si procede.

Poiché ogni ordine ha una diversità di visione a seconda della pro-


pria capacità di ricevere la luce («di grado in grado»), ha anche una di-
versa conoscenza, tanto più limitata quanto più la vista meno si spro-
fonda nel punto. L’atto della visione è essenzialmente contemplativo
ma poiché da questa deriva la conoscenza del ministero a cui le gerar-
chie e gli ordini sono preposti, ha anche una finalità pratica. L’intelli-

38
Il concetto è ripreso dallo Pseudo-Dionigi e sviluppato da Ugo di San Vittore,
che fa precedere l’ardore alla conoscenza, UGO DI SAN VITTORE, Super Hierarchiam Dio-
nisii, VII, a c. di D. POIREL, Turnhout, Brepols, 2015.
226 SUSANNA BARSELLA

gere delle sostanze è volto ad assicurare lo svolgersi del cammino di ri-


torno a Dio, cammino che passa attraverso il governo del mondo e a
cui le funzioni motrice e illuminatrice danno inizio.39
Queste non sono tuttavia le uniche funzioni assegnate agli angeli
nella Commedia, essi svolgono diversi ministeri seguendo la tradizione
biblica e pseudo-dionisiana, ma in Dante, nella misura in cui gli ange-
li agiscono in seguito alla visione che ricevono e vedono secondo le lo-
ro diverse possibilità, si ha un’inversione rispetto a quella tradizione:
gli angeli non vedono più o meno intensamente in base al compito lo-
ro assegnato dalla provvidenza, ma svolgono i diversi ministeri in ba-
se alla loro capacità di vedere. Per questo la gerarchia di illuminazio-
ne non è più necessaria nella cosmologia angelica dantesca. È però pre-
sente un altro tipo di gerarchia.
La “spaziatura” tra le circonferenze disegnate dal moto evidenzia
le distinzioni esistenti tra i cori angelici, ognuno avente un diverso ti-
po di missione nell’economia del cosmo. La distanza fisica che Dante
osserva (e che è tale solo perché ne abbia contezza, non perché nel-
l’Empireo vi sia un effettivo “dove”) rappresenta visualmente l’esi-
stenza tra le creature alate di un principio gerarchico funzionale ai di-
versi ministeri a cui sono preposte e che devono essere considerati in
relazione ai cieli che esse muovono. Tale principio gerarchico non è
stabilito in via soprannaturale dalla diversa “quantità” di grazia elar-
gita, ma è connaturato nell’angelo e risponde alla sua capacità di rice-
vere la luce divina, a sua volta determinata dalla volontà di aprirsi a ri-
cevere la grazia. Al cuore della machina mundi troviamo così esaltato

39
Le gerarchie sono distinte per ordine di contemplazione rispetto ai compiti loro
assegnati sia nello Pseudo-Dionigi che in Gregorio Magno (Moralia in Job, XXXII, c. 23,
48 e Omelia 34 sul Vangelo). Riprendendo l’ordinamento pseudo-dionisiano Tommaso
descrive i vari criteri a cui rispondono le distinzioni tra gerarchie e in ogni gerarchia tra
gli ordini: «prima hierarchia accipitrationes rerum in ipso Deo; secunda vero in causis
universalibus; tertia vero secundum determinationem ad speciales effectus. Et quia Deus
est finis non solum angelicorum ministeriorum, sed etiam totius creaturae, ad primam
hierarchiam pertinet consideratio finis; ad mediam vero dispositio universalis de agen-
dis; ad ultimam autem applicatio dispositionis ad effectum, quae est operis executio;
haec enim tria manifestum est in qualibet operatione inveniri», S. Th. I q. 108 a. 6 r. È
rispetto a queste disposizioni volte al governo del mondo che gli angeli avrebbero una
illuminazione gerarchica, ricevendo dai superiori gli “insegnamenti” in merito a ciò a
cui sono preposti. Nel sistema dantesco, essendo la conoscenza dei ministeri angelici at-
tinta attraverso la visione beatifica diretta, tale ordine gerarchico di illuminazione non ha
più ragione di essere, come vedremo nel paragrafo 6.
DANTE E LA MACHINA MUNDI 227

un elemento soggettivo di scelta afferente alla sfera della volontà. Il do-


no elargito è lo stesso per tutti, ma ogni angelo ha diversa capienza per
ricevere ciò che gli è necessario e sufficiente a svolgere la sua specifica
funzione nel destino della salvezza. In questo modo, Dante interioriz-
za nelle creature un principio gerarchico in relazione a ciò che esse
«ponno». La loro beatitudine consiste nel volere ciò che possono, ov-
vero ciò che “vedono” nella contemplazione del «vero». In questo si-
stema non c’è bisogno di un criterio esterno di gerarchia e non c’è quin-
di bisogno che le creature inferiori ricevano illuminazione da quelle su-
periori come nella tradizione pseudo-dionisiana. Come vedremo più
avanti nel paragrafo 6, ogni ordine ha una visione diretta e immediata
di Dio (Par. XXIX 76-81). Inutile dire quanto questo elemento possa
essere rilevante dal punto di vista della visione politica della funzione
“esemplare” delle gerarchie ecclesiastiche per Dante. Visto attraverso la
filigrana angelica, il paradiso sembra proiettare un’ideale architettura di
governo del mondo che riconosce come unica gerarchia possibile quel-
la basata sulla maggiore o minore nobiltà di cuore e d’intelletto.
Gli angeli non si distolgono mai dalla contemplazione della luce
divina, salvo essere inviati in “missioni” come già nella tradizione bi-
blica e pseudo-dionisiana e come sappiamo dalle presenze angeliche
nel Purgatorio e dal loro movimento continuo da e verso la «candida
rosa» osservato da Dante all’entrata nell’Empireo (Par. XXX 64-65).
Intesi al loro ministero, gli angeli di ogni ordine affondano lo sguardo
nel punto luminoso («di sù tutti s’ammirano») mentre attivano («vin-
con») verso il basso, cioè nelle sfere che sono preposti a governare, le
virtù relative a queste. Il “tirare” sottolinea il rapporto di necessità («i
vimi») che lega gli ordini ai cieli perché la meccanica celeste funzioni
abbracciando materia e spirito in un unico universale movimento co-
ordinato (Par. XXVIII 127-129):40

40
Legge nello stesso modo già Benevenuto da Imola «Hic Beatrix describit in ge-
nerali principium et effectum virtutis omnium ordinum praescriptorum, dicens: Questi
ordini, scilicet praedicti novem angelorum, tutti l’ammirano vel rimirano di su, scilicet,
in praedicto punto, e vincon di giù, scilicet, speras coelestes, quas habent sub guberna-
tione sua; unde dicit: sì che tutti son tirati verso Dio, scilicet, sursum, a quo recipiunt in-
fusionem virtutis et gratiae, e tutti tirano, scilicet, deorsum ipsam virtutem immittentes
per corpora coelestia» (Darthmout Dante Project, ad loc.). Sia Benvenuto da Imola che
il Buti collegano il “tirare” alla teoria della inchoatio formae di Alberto Magno, che è
presente anche in Conv. IV XXI 4-5. Vedi su questo punto A. RAFFI, Dante e il “Liber de
causis”. Il problema della creazione nella “teologia” della “Commedia”, in «Campi Imma-
ginabili», 40/41 (2009), pp. 19-45, p. 35.
228 SUSANNA BARSELLA

Questi ordini di sù tutti sì mirano


e di giù vincon sì, che verso Idio
tutti tirati sono e tutti tirano.

Il “tirare” degli angeli ha un significato tecnico preciso che Dante


spiega nel canto VII del Paradiso dove Beatrice illustra la creazione de-
gli angeli e il significato degli effetti del movimento impresso da que-
sti sulle sfere (Par. VII 130-143):
Li angeli, frate, e ’l paese sincero
nel qual tu sè, dir si posson creati,
sì come sono, in loro essere intero;
ma li alimenti che tu hai nomati
e quelle cose che di lor si fanno
da creata virtù sono informati.
Creata fu la materia ch’elli hanno;
creata fu la virtù informante
in queste stelle che ’ntorno a lor vanno.
L’anima d’ogne bruto e delle piante
di complession potenzïata tira
lo raggio e ’l moto de le luci sante;
ma vostra vita sanza mezzo spira
la Somma Beninanza, e la innamora
di sé sì che poi sempre la disira.

Gli angeli sono creati “interi”, la loro essenza è pienamente at-


tualizzata nella loro operazione continua costituita dal muovere i cie-
li e dall’attivare in questi attraverso l’illuminazione e il moto le virtù
formative («virtù informante») create e proprie del cielo che ciascun
ordine governa.41 Sia gli elementi («alimenti») che la varietà degli es-
seri a cui questi danno origine sono creati e informati da una virtù an-
ch’essa creata («creata virtù»). La materia che riceve gli influssi cele-
sti è una «complession potenzïata», ovvero non la materia allo stato di

41
La virtù informante è ciò che agisce sulla «complession potenzïata». Gli angeli
non trasferiscono le forme che sono già create nei cieli ma attivano le virtù informate in
questi. Si veda a questo proposito anche Mon. II 2 e Ep. XIII 60 ed i relativi commenti.
L’espressione «complessione potenziata» è già presente in Conv. IV XXI 4-5. Sulle virtù
formative ed Alberto Magno vedi ancora TAKAHASHI, Nature, Formative Power and In-
tellect, cit. e B. NARDI, La doctrina dell’“inchoatio formae” e la teoria agostiniana delle
“rationes seminales”. Testimonianza d’Egidio Romano e di G. Duns Scoto, in ID., Studi di
filosofia medievale, Roma, Storia e Letteratura, 1960, pp. 75-80.
DANTE E LA MACHINA MUNDI 229

pura potenza ma già “lavorata” nei quattro elementi fondamentali da


cui tutti i corpi sono composti e pronta a ricevere la virtù informante
che risiede nelle «stelle che ’ntorno a lor vanno» (Par. VII 140).42 Ciò
che «tira» tutta la creazione fino alle componenti vegetativa e sensiti-
va dell’anima sono le «luci sante» che iniziano il moto e illuminano i
cieli dando avvio alle influenze celesti sulle realtà sottostanti.43 Dato
il sistema di connessione Dio/luce – angeli – cieli – mondo, è logico
pensare che «luci sante» possa riferirsi qui agli angeli e non alle stel-
le (nominate direttamente poco più sopra) dato che l’illuminazione
(«lo raggio») e il moto che attivano le virtù informanti presenti nei
cieli dipendono da questi. L’anima razionale non è invece toccata dal-
l’operazione angelica attraverso le sfere perché direttamente infusa da
Dio («sanza mezzo») e “tirata” dal desiderio che l’amore divino vi in-
spira, come aveva già spiegato Marco Lombardo in Purgatorio (Purg.
XVI 67-81, 85-90).44 È evidente come qui Dante, ponendo le virtù in-

42
Il concetto di complessione in Dante rimanda alla concezione medica che deriva
dalla tradizione ippocratica-galenica per cui la materia in cui vanno ad attivarsi le virtù
informative dal moto celeste non è nel suo stato originario di ὕλη ma è già “lavorata” co-
me composizione dei quattro elementi. Per la presenza di elementi della medicina gale-
nica nella Commedia vedi P. URENI, Medicine and Radical Thought: A Possible Galenic
Presence in the “Commedia”, in Dante and Heterodoxy: The Temptations of 13th Centu-
ry Radical Thought, a c. di M.L. ARDIZZONE, conclusioni di T. BAROLINI, Cambridge,
Scholars Publishing, 2014, pp. 225-241. Vedi anche B. NARDI, L’arco della vita (nota il-
lustrativa al “Convivio”), in ID., Saggi di filosofia dantesca, cit., pp. 110-138.
43
Connesso e complementare alla spiegazione di questo movimento si veda Par.
XIII 52-66, dove si spiega come la Trinità discenda come raggio riflesso dalle «nove sus-
sistenze» fino alle più basse «contingenze».
44
Così legge esplicitamente L’Ottimo Commento (1333) a Par. VII 136-141: «Crea-
ta fu ec. Creata fu la materia prima, di che tutte queste cose sono: In principio creavit
Deus coelum et terram ec. E creata fu la virtù de’ cieli, che informa la materia corporea
ch’è qua giù; l’anima, cioè la potenzia sensitiva, la quale qui chiama anima; e la potenzia
vegetativa, ch’è nelli arbori, è infusa in esse dal moto e influenzia delle stelle, alle quali
Dio ha data cotale potenzia, sì come è detto [sopra], capitolo settimo Inferni». France-
sco da Buti (1385-95) riferisce «luci sante» alle stelle: «ecco che tocca due cose che so-
no cagione de le influenzie dei corpi celesti, de le luci sante; cioè delle stelle le quali chia-
ma sante, cioè ferme, perché sono create senza mezzo da Dio, tira; cioè produce ad es-
sere, l’anima d’ogni bruto; cioè l’anima sensitiva et imaginativa d’ogni animale bruto, e
de le piante; cioè l’anima vegetativa dell’erbe e degli albori, di complession potenziata; cioè
di composizione materiale, cioè elementale: imperò che tale anima si dice fatta del sim-
plice formale degli elementi, deputato dalla virtù e dalla influenzia dei corpi celesti; e per-
ciò tali anime sono temporali e non perpetue, e non sono libere; ma soiaceno a la in-
fluenzia et a la virtù dei corpi celesti». Diversamente Serravalle (1416-17) riferisce le «lu-
230 SUSANNA BARSELLA

formanti nei corpi celesti ed affidando agli angeli il compito di atti-


varle, faccia intervenire questi ultimi come cause strumentali ed effi-
cienti della vita nel cosmo.45

5. Dalla Luna al Primo Mobile (Par. II e XXVII): l’ombra di un possibile


diverso progetto cosmologico?

Prima di proseguire sulla questione dell’illuminazione diretta delle


gerarchie è necessario soffermarsi su un punto cruciale del funziona-
mento della cosmologia sopra descritta. Facciamo un passo indietro e
torniamo alla descrizione di Beatrice dell’origine del moto del Cristal-
lino in Par. XXVII. Beatrice spiega che da questo cielo ha la sua radice
il tempo e trae origine la «natura del mondo» (Par. XXVII 106-108):
«La natura del mondo, che quïeta
il mezzo e tutto l’altro intorno move,
quinci comincia come da sua meta.

Il primo mobile, a differenza degli altri cieli, non ha sopra di sé che


l’Empireo, dove si origina l’amore che lo mette in moto e la virtù che
questo cielo trasferisce nel mondo sublunare (Par. XXVII 109-111):
e questo cielo non ha altro dove
che la mente divina, in che s’accende
l’amor che ’l volge e la virtù ch’ei piove.

Molti commentatori, anche tra i più antichi, hanno interpretato la


terzina che descrive la qualità di questo cielo come a indicare che il

ci sante» in modo traslato agli angeli: «creata fuit virtus informans, idest in istis stellis,
que circa ipsam vadunt, idest volvuntur, idest virtusque est in celo, scilicet intelligentia
movens celum». Connesso a questo passo vedi anche Par. VII 130-135.
45
Cfr anche Conv. II IV 9. Vedi a questo proposito anche RAFFI, Dante e il “Liber de
causis”, cit. Cosí Tommaso spiega i limiti della divinazione astrologica: «Secundo autem,
subtrahuntur causalitati caelestium corporum actus liberi arbitrii, quod est facultas vo-
luntatis et rationis. Intellectus enim, sive ratio, non est corpus nec actus organi corporei;
et per consequens nec voluntas, quae est in ratione, ut patet per philosophum, in III de
anima. Nullum autem corpus potest imprimere in rem incorpoream. Unde impossibile
est quod corpora caelestia directe imprimant in intellectum et voluntatem, hoc enim es-
set ponere intellectum non differre a sensu», S. Th. II-IIae q. 95 a. 5 ad. 2.
DANTE E LA MACHINA MUNDI 231

primo mobile è mosso direttamente da Dio. La terzina citata presenta


una certa ambiguità la cui origine potrebbe trovarsi in un cambiamento
nella concezione cosmologica dantesca negli ultimi canti della Com-
media. Se confrontiamo questo passaggio con Par. II 127-141 vediamo
che un’espressione simile appare proprio nella prima spiegazione arti-
colata del moto celeste e della trasmissione delle “forme” dall’univer-
so spirituale a quello materiale tramite le intelligenze. Così Beatrice il-
lustra a Dante la vera origine della percezione delle macchie lunari
(Par. II 127-141):
Lo moto e la virtù d’i santi giri,
come dal fabbro l’arte del martello,
da’ beati motor’ convien che spiri;
e ’l ciel cui tanti lumi fanno bello
de la mente profonda che lui volve
prende l’image e fassene suggello.
E come l’alma dentro a vostra polve
per differenti membra e conformate
a diverse potenze si risolve,
così l’intelligenza sua bontate
multiplicata per le stelle spiega,
girando sé sovra sua unitate.
Virtù diversa fa diversa lega
col prezïoso corpo ch’ ella avviva,
nel qual, sì come vita in voi, si lega.

In questa spiegazione cosmologica Beatrice dice esplicitamente che


sia il moto che la virtù dei corpi celesti dipendono necessariamente
(«convien») dall’azione dei motori angelici («beati motor’»). La meta-
fora degli angeli come fabbri che forgiano la forma della materia del
cielo che ogni ordine muove richiama la definizione dell’opera co-
smologica degli angeli come «arte» ripresa in Par. XXIX 52. In questo
passo Dante spiega gli effetti dell’azione dei cherubini sul cielo delle
stelle fisse («il ciel cui tanti lumi fanno bello»), ma si può estendere la
lezione all’intero sistema dei nove cieli.46 Ciò che sembra premere al-

46
Francesco da Buti spiega come i movimenti dei cieli siano in relazione tra loro e
vengano “ordinati”: mentre i cherubini sono responsabili del moto “difforme” dell’ot-
tava sfera, il Primo Mobile, mosso dai serafini, imprime alla sfera sottostante il suo mo-
to uniforme, ovvero il volgersi circolarmente attorno alla terra: «esso cielo ottavo, [Dio]
volve; cioè gira per mezzo dei suoi Cherubini quanto al moto suo difforme, e quanto al
232 SUSANNA BARSELLA

l’autore qui è chiarire il processo di comunicazione delle “forme” o


immagini divine («image») che il cielo “prenderebbe” direttamente
dalle mente dell’angelo motore e imprimerebbe sulla propria materia
come l’impronta in un sigillo («suggello») sulla cera.47 Questa spiega-
zione tuttavia differisce da quanto appena visto nei paragrafi prece-
denti. Il rapporto tra intelligenza e cielo non è infatti lo stesso che tro-
viamo in Par. XXVIII e XXIX, dove gli angeli attivano le virtù infor-
manti, che sono create nella materia stessa dei cieli e non nelle loro
menti, attraverso l’illuminazione e il moto.48 Mentre in Par. II siamo di
fronte ad un modello più vicino al neoplatonismo per la separazione
della materia dalla forma, trasmessa tramite la meccanica angelica, in

moto naturale et uniforme per mezzo del primo mobile che si muove e gira per mezzo
dei Serafini» (Dartmouth Dante Project, ad loc.). In questo modo avremmo una comu-
nicazione gerarchica del moto almeno per i due cieli superiori, ma non sarebbe chiaro
come si procede per le sfere dei pianeti.
47
Anche l’uso del verbo “prendere” in Par. II 132 è ambiguo. Se si intende in sen-
so passivo come “ricevere” dobbiamo assumere un’azione attiva diretta dell’angelo che
trasmette l’immagine-idea nel cielo. Se invece lo intendiamo in senso proprio dovrem-
mo assumere una volontà del cielo, coerentemente con l’ipotesi animista.
48
La descrizione di questo meccanismo di trasmissione richiama alla mente e sem-
bra poter derivare dal precedente poetico della canzone Al cor gentile rempaira sempre
amore di Guido Guinizzelli. Nella stanza V Guinizzelli metteva in atto un parallelo tra
l’azione della donna amata sul cuore dell’amante e quella del sole che purifica la pietra
rendendola atta a ricevere l’azione del corpo celeste che trasmette a questa la sua speci-
fica virtù, posseduta dalla pietra in potenza. Come la «stella» attiva le virtù nella pietra,
cosí la donna attiva nel cuore gentile la disposizione all’amore. La stella prende la sua for-
za dall’azione informante dell’angelo-intelligenza che volgendo intorno a Dio volge il
cielo come effetto spontaneo e quasi accidentale del desiderio di obbedire alla volontà
divina. Questa intelligenza guinizzelliana, movitrice e in moto attorno a un dio lumino-
so, diventa qui il modello per l’azione della donna, che risplendendo negli occhi del-
l’amante lo invoglia ad obbedirla con indefettibile desiderio: «Splende ’n la ’ntelligenzia
del cielo / Deo criator più che [’n] nostr’occhi ’l sole: / ella intende suo fattor oltra ’l cie-
lo, / e ’l ciel volgiando, a Lui obedir tole; / e con’ segue, al primero, / del giusto Deo bea-
to compimento, / così dar dovria, al vero, / la bella donna, poi che [’n] gli occhi splen-
de / del suo gentil, talento / che mai di lei obedir non si disprende». La descrizione del
meccanismo di ricezione delle influenze celesti è molto vicina a quella che Dante di-
spiega in una vera e propria cosmologia. Quello che per Guinizzelli era ancora un pa-
rallelo e una metafora per spiegare gli effetti della donna amata sul cuore dell’amante, in
Dante diviene modello universale di spiegazione del mondo. Ronald L. Martinez mette
in rilievo l’importanza della canzone guinizzelliana per la cosmologia dantesca: R.L. MAR-
TINEZ, Guinizellian Protocols: Angelic Hierarchies, Human Government, and Poetic Form
in Dante, in «Dante Studies», 134 (2016), pp. 48-111.
DANTE E LA MACHINA MUNDI 233

Par. XXVIII e XXIX osserviamo un modello più vicino alla visione


aristotelica di una indivisibilità di forma e materia nelle sostanze “mi-
ste” («nel mezzo strinse potenza con atto / tal vime, che già mai non si
divima» Par. XXIX 35-36) in cui il cosmo si accende e muove attra-
verso gli angeli con un ordinato meccanismo strumentale alla salvezza.
Nelle citate terzine di Par. II Dante usa inoltre il singolare «mente
profonda» per indicare l’intelligenza motrice dell’ottavo cielo. Simil-
mente alla «mente divina» di Par. XXVII, anche questa espressione
potrebbe essere interpretata, come in effetti diversi tra i commentato-
ri più antichi hanno fatto, come riferentesi a Dio che crea il moto at-
traverso la meccanica dei motori angelici.49 L’espressione – riallaccian-
dosi anche a Inf. VII – potrebbe significare che forse ancora all’inizio
della composizione del Paradiso Dante avesse previsto che il movi-
mento delle stelle fisse fosse causato solo da una intelligenza nell’ordi-
ne dei cherubini. L’espressione è usata però al singolare anche in Par.
XXVIII 78 (con Par. II 136 le uniche due occorrenze di «intelligenza»
riferita agli angeli) e potrebbe avere un senso collettivo. È il contesto
di Par. II relativo al meccanismo di trasmissione delle virtù informan-
ti che fa pensare ad un possibile residuo di un iniziale progetto co-
smologico in cui le intelligenze si univano come cause ai loro effetti di-
venendo “anime” dei corpi celesti, come il paragone «come l’alma den-
tro vostra polve» (Par. II 133) sembrerebbe indicare esplicitamente.50
Già in Conv. II III 9, Dante illustrava l’idea che i cieli fossero dei
“corpi” che operano in modo simile al corpo umano e attribuiva la
causa del movimento del Cristallino al desiderio autonomo di ogni sua

49
I commentatori si dividono tra coloro che interpretano Par. XXVII 110 come ri-
ferito ai Serafini e coloro che lo interpretano come riferito direttamente a Dio. Così spie-
ga Francesco da Buti perché si debba propendere per la prima ipotesi, in quanto coerente
con il contesto della cosmologia dantesca: «Diceno alquanti che alcuno angelo o più
muoveno questo cielo, come sono mossi ellino de l’amore che ànno in Dio, e da Dio è in
loro cagionato; alcuni diceno che ’l detto cielo si muove pur per la virtù che spira da
Dio, e quello cielo ad essa si muove come amante quella virtù: imperò che Iddio, come
dice Platone, muove ut amatum: la cosa amata, stante ferma, muove l’amatore ad anda-
re intorno a lei. Lo testo dell’autore può avere l’una e l’altra sentenzia, benchè l’una è con-
tra quello che è stato detto di sopra, cioè che le cose che sono mosse da Dio senza mez-
zo sono perpetue, quelle che con mezzo sono a tempo, e li cieli sono a tempo; dunqua
lo loro moto debbe essere con mezzo» (Dartmouth Dante Project, ad loc.).
50
Sulle influenze delle teorie cosmologiche medievali “animiste” per quanto ri-
guarda il rapporto tra i cieli e le intelligenze, si veda B. NARDI, La dottrina delle macchie
lunari nel secondo canto del “Paradiso”, in ID., Saggi di filosofia dantesca, cit., pp. 3-39.
234 SUSANNA BARSELLA

parte di congiungersi ad ogni parte dell’Empireo.51 Questa spiegazio-


ne risentiva probabilmente del modello cosmologico originale di To-
lomeo, il quale aveva aggiunto il nono cielo come primo mobile per
spiegare l’origine e la regolazione del moto nelle sfere sottostanti. Ma
se in Par. II il contesto suggerisce una possibile continuità con il Con-
vivio ed un progetto cosmologico ancora ad uno stato iniziale di defi-
nizione, forse precedente a una conoscenza più approfondita del De
coelesti hierarchia dello Pseudo-Dionigi e dei suoi commenti, in Par.
XXVII l’allusione ad un possibile moto del Primo Mobile causato di-
rettamente da Dio deve essere interpretata nel contesto di una impos-
sibile assimilazione del Primo Mobile perfettamente uniforme (Par.
XXVII 101) ma dotato di materia all’immateriale cielo Empireo, e del-
la esplicita attribuzione ai serafini del suo moto in Par. XXVIII.
Secondo il modello adottato nel Convivio e che sembra affiorare in
Par. II, i cieli sarebbero “organi” delle intelligenze e sarebbero anima-
ti, ovvero potrebbero autonomamente “desiderare” l’unione con Dio.
Al di là dei problemi di carattere filosofico e teologico ben evidenzia-
ti a suo tempo già da Nardi, questa struttura supponeva anche che il
Cristallino fosse mosso direttamente dal proprio desiderio di Dio in
quanto “causa prima” finale, e che da questo cielo il moto si comuni-
casse in modo gerarchico a tutte le altre sfere e da intelligenza a intel-
ligenza.52 Questo modello presentava problemi non indifferenti dal
punto di vista della costruzione del cosmo dantesco in quanto lascia-
va l’origine dell’impulso al movimento, e quindi all’inizio della vita, al-
l’interno del mondo fisico. Il modello dantesco necessitava invece di
una perfetta corrispondenza tra Empireo e sfere materiali per consen-
tire una coerente spiegazione scientifico-teologica del mondo, dove la
radice dell’impulso alla vita cosmica non poteva non risiedere che al-
l’interno dell’Empireo. Solo in Par. XXVIII e XXIX questo modello si
perfeziona: il desiderio di assimilarsi a Dio rimane la radice dell’im-
pulso al movimento, ma anziché essere posto nei cieli animati come in
Convivio, ora è trasferito alle schiere angeliche. Si rendono così gli an-

51
Per le varie fonti di origine araba e aristotelica di questa visione cosmologica si ve-
dano i commenti di Cesare Vasoli e Gianfranco Fioravanti a Conv. II III 9.
52
«La perfetta quiete dell’Empireo è cagione al Primo Mobile per avere velocissi-
mo movimento; che per lo ferventissimo appetito ch’è [’n] ciascuna parte di quello no-
no cielo, che è [im]mediato a quello, d’essere congiunta con ciascuna parte di quello di-
vinissimo ciel quieto, in quello si rivolve con tanto desiderio, che la sua velocitade è qua-
si incomprensibile», Conv. II III 9.
DANTE E LA MACHINA MUNDI 235

geli cause efficienti e strumentali del moto senza dover supporre la “or-
ganicità” dei cieli, lasciando a Dio il ruolo di causa prima senza che
debba direttamente comunicare con la sfera materiale del Primo Mo-
bile.53
Torniamo quindi alla spiegazione del moto del cielo delle stelle fis-
se in Par. XXVII, dove Beatrice illustra l’origine e la qualità del moto
del Primo Mobile. Non avendo altro cielo che l’Empireo sopra di sé
(«non ha altro dove» Par. XXVII 109), il Primo Mobile è il primo cie-
lo da cui inizia il movimento celeste. Come nelle terzine di Par. II so-
pra citate, anche qui troviamo l’accostamento tra la mente divina e
l’inizio del moto e della “pioggia” di virtù («ch’ei piove») che accom-
pagna il moto. In questo caso la «mente divina» viene resa elemento
spaziale, indicando nel «dove» l’unico luogo che contiene il Primo Mo-
bile, ovvero l’Empireo. È infatti nel cielo di luce che si «accende»
l’amore che lo fa muovere («che ’l volge») e da cui deriva la virtù che
esso comunica e che il moto stesso rende viva. Qui Dante non si rife-
risce astrattamente all’amore di Dio ma all’amore degli angeli, peraltro
spesso chiamati «amori», che si tramuta in movimento.54
La «mente divina» di Par. XXVII 110 non può dunque volgere il
Primo Mobile, perché ciò sarebbe in contraddizione con quanto Bea-
trice rivela della corrispondenza tra i serafini e il cielo Cristallino:
«Dunque costui che tutto quanto rape / l’altro universo seco, corri-
sponde / al cerchio che più ama e che più sape» (Par. XXVIII 70-72).
Questa «mente divina» non può essere intesa che come l’oggetto del-
la contemplazione angelica nell’Empireo: è quella mente da cui tutto
dipende e che non coincide necessariamente con l’Empireo. È in que-
sta «mente» – oggetto della visione angelica – che si «accende» l’amo-
re per Dio che innesta il moto e da cui «piove» la virtù formativa che
va a perfezionare il cielo sottostante. L’amore che muove il Cristallino
è quello dei serafini che, coerentemente con Par. XXVIII, più vedono,

53
Nardi mette in evidenza la radice avicenniana di questo ordinamento cosmologi-
co che Dante segue nel Convivio (in particolare Conv. II III 9) e la sua fortuna tra i teo-
logi del XIII secolo. Si vedano anche come alcune delle proposizioni condannate dal ve-
scovo di Parigi Etienne Tempier nel 1277 riguardassero proprio l’idea che i cieli potes-
sero essere animati e “organi” delle intelligenze angeliche, NARDI, La dottrina delle mac-
chie lunari, cit., pp. 25-32. Per la diffusione delle dottrine sull’animismo cosmologico
vedi anche T. GREGORY, Anima Mundi. La filosofia di Gugliemo di Conches e la Scuola di
Chartres, Firenze, Sansoni, 1955.
54
Vedi ad esempio Par. XXVIII 103; Par. XXIX 18 e Par. XXIX 46.
236 SUSANNA BARSELLA

più conoscono, più amano e più velocemente sono mossi dall’ardore


di assimilarsi a Dio.
Come le velocità dei cori sono diverse a seconda della lontananza
dal punto luminoso secondo una proporzione che riflette le loro di-
verse capienze di luce, così, specularmente, nella sfera fisica le veloci-
tà dei corpi celesti sono commisurate a quella del primo mobile (Par.
XXVII 115-120):
Non è suo moto per altro distinto,
ma li altri son mensurati da questo,
sì come diece da mezzo e da quinto;
e come il tempo tegna in cotal testo
le sue radici e ne li altri le fronde,
omai a te può esser manifesto.55

Se il Primo Mobile è il cerchio più ampio e più veloce, come ap-


prenderemo nel canto successivo, il suo movimento è misura ma non
origine di tutto il movimento cosmico. Come al moto dei serafini si
commisurano le velocità degli altri ordini, così il Primo Mobile regola
le rivoluzioni degli altri cieli secondo una proporzione matematica
(«diece da mezzo e da quinto»), come spiega l’Anonimo Fiorentino:56

55
Così spiegano anche i primi commentatori come L’Ottimo Commento (1333) a
Par. XXVII 115-117: «Non è suo moto ec. cioè, che ’l moto della nona spera sì misura tut-
ti gli altri movimenti: lo quale si è che dà una volta in ventiquattro ore; e però da ore, da
dì, e da mesi, e da anni si toglie il movimento di tutti li altri cieli, come chiaro appare nel-
le tavole di stronomia. E dice, che li altri moti sono misurati da questo, sì come il numero
del dieci si misura per quinario e binario».
56
Così spiega tra gli altri commentatori anche Francesco da Buti commentando
Purg. XXVIII 104, quando Matelda spiega a Dante che il Primo Mobile è l’origine del
vento che induce la generazione della flora dal Paradiso Terrestre: «L’aire si volge; cioè
de la prima regione e de la seconda e de la terza, co la prima volta; cioè col primo mobi-
le che gira in 24 ore da oriente in occidente, et inde per l’altro emisperio torna ad orien-
te». La spiegazione di Matelda fornisce un esempio di come attraverso il moto dei cieli
si attivi il processo di generazione nelle regioni sottostanti. La sfera dell’aria (divisa in tre
aree di cui la terza più vicina alla sfera del fuoco è detta etere) rivolve con il moto del pri-
mo mobile, tale moto percuote e genera il suono che Dante ode nella selva dell’Eden
«cioè el moto del primo mobile, percotendo l’aere, muove la selva e l’aere suona, perché;
cioè per ch’ella, è folta; cioè piena d’arbori». Le piante rilasciano nell’aria le loro “virtù”
che impregnano l’aria e cadono a produrre le piante sulla terra «cioè diverse alberi et er-
be che ànno diverse virtù, e così la nostra terra produce del seme delle piante che sono
nel paradiso terrestre» (Dartmouth Dante Project, ad loc.).
DANTE E LA MACHINA MUNDI 237

Ciò è che lo moto della nona spera si è mensura di tutti gli altri movimen-
ti, lo quale si è che dà una volta in XXIIIJ ore, e però da ore, da dì, da mesi, da
anni si toglie lo movimento di tutti gli altri cieli, come chiaro appare nelle tavo-
le d’Astronomia.

Si tratta di una proporzione che tiene legati armonicamente i cieli


dal punto di vista fisico e che è immagine speculare dei rapporti che
presumibilmente esistono tra le diverse velocità orbitali dei cori nel-
l’Empireo. Queste sono a loro volta commisurate alla diversità delle
nature angeliche, più o meno recettive della visione divina. È un lega-
me fisico che tiene unite e in sincrono le sfere e la cui radice è ancora
una volta di necessità teologica, a dimostrare l’impossibilità di separa-
re i due momenti, quello materiale e quello spirituale, nelle leggi del
creato.

Riassumendo, si può vedere come l’angelologia dantesca sembri


trovare un disegno definitivo solo nei canti finali del Paradiso e che la
costruzione della machina mundi si sviluppi lungo l’arco delle tre can-
tiche. L’idea di attribuire direttamente alle sfere celesti il desiderio e
quindi il principio del moto sfruttando la definizione di causalità del-
la fisica aristotelica è superata nella Commedia già in Inf. VII, come
abbiamo visto, a favore di una cosmologia “aristotelica” che attribui-
sce a ciascun cielo la sua intelligenza. Questo modello cosmologico,
presente fino ai primi due canti del Paradiso, sembra a sua volta, cedere
il passo nei canti finali del poema ad uno in cui la tradizione avicen-
niana viene abbandonata a favore di una sintesi tra le tradizionali fun-
zioni illuminative delle gerarchie pseudo-dionisiane e quelle motrici
della tradizione aristotelica.
Fin qui abbiamo considerato il funzionamento della macchina del
mondo dantesca e abbiamo visto come gli angeli ne siano il perno
dando avvio alla trasmissione del moto alle sfere celesti che assicura
l’armonico progredire dell’universo verso il suo destino escatologico
lasciando intatto il privilegio della grazia e del libero arbitrio. La
combinazione delle operazioni di movimento e di illuminazione giu-
stifica la matrice teologica dei fenomeni del mondo terrestre e assi-
cura la trasmissione del movimento e quindi del funzionamento del-
l’universo della creazione sia da un punto di vista fisico che teologi-
co. Se per la comprensione di come lavori la macchina dantesca è de-
cisivo ricostruire la meccanica del moto, altrettanto fondamentale è
investigare ora le caratteristiche della funzione illuminante dei motori
angelici e quanto essa sia originale rispetto alla varietà delle fonti im-
238 SUSANNA BARSELLA

piegate. Solo così potremo vedere se e come la “macchina” giri, ov-


vero se sia “credibile”.57

6. Visione beatifica, «lumen gloriae» e gerarchia “affettiva”

In questo paragrafo ci occuperemo del tipo di visione di cui gli an-


geli (e i beati) godono nel paradiso e della definizione della luce attra-
verso cui gli angeli vi attingono. Queste due nozioni sono essenziali al
funzionamento della machina mundi dantesca. È tuttavia necessario ana-
lizzare il contesto ideologico in cui Dante elabora la propria costruzio-
ne cosmologica e come egli adatti queste nozioni al suo modello collo-
candosi di fatto nell’ambito del dibattito teologico su questi temi.

La «visio Dei» angelica

La visione beatifica si definisce come la diretta ed immediata visio-


ne «de la faccia di Dio» e la sua radice ideologica è nel celebre passo del-
la prima lettera di San Paolo ai Corinzi: «Videmus nunc per speculum
in ænigmate: tunc autem facie ad faciem» (I Cor 13, 12). San Paolo si
riferisce qui alla visione di cui godranno le anime dei beati dopo la mor-
te. Ma se tale visione fosse concessa a tutte le sostanze spirituali, sia an-
geli che beati, prima o dopo il giudizio universale e in che modo era
stato oggetto di ampio dibattito tra i teologi del XIII-XIV secolo, cul-
minato nel 1336 con la costituzione Benedictus Deus, con cui papa Be-
nedetto XII stabiliva che le anime dei beati e degli angeli potevano go-
dere della visione diretta di Dio. Benedetto XII riapriva a posizioni so-
stanzialmente agostiniane già riaffermatesi con la condanna delle tesi
sull’impossibilità della diretta conoscenza di Dio da parte del vescovo

57
«Dante, anche se con una conoscenza quasi sempre di prima mano dei testi chia-
ve (non credo affatto alla vulgata secondo cui l’Alighieri si sarebbe formato su compen-
di e bignamini) accoglie materiali, principi e tesi dalla filosofia universitaria senza mutarli.
In questo non è originale: l’originalita sta nell’uso che ne fa. Con materiali tradizionali
egli costruisce con assoluta libertà dottrine assai distanti da quelle di quei professori uni-
versitari che avevano cominciato a definirsi “filosofi”», G. FIORAVANTI, Desiderio e limi-
te della conoscenza in Dante, in Forme e oggetti della conoscenza nel XIV secolo. Studi in
ricordo di Maria Elena Reina, a c. di L. BIANCHI-C. CRISCIANI, Firenze, SISMEL-Edizio-
ni del Galluzzo, 2014, pp. 7-20.
DANTE E LA MACHINA MUNDI 239

di Parigi Gugliemo d’Auvergne nel 1241.58 Dopo questa prima con-


danna, nel 1311-12 il concilio di Vienne aveva ristabilito inoltre che la
visione divina fosse possibile anche per il viator in terra per effetto di un
intervento soprannaturale, tornando ancor più radicalmente sulle po-
sizioni che Agostino aveva teorizzato nei trattati giovanili come il De
quantitate animae, anche se nel contesto di un innatismo che in segui-
to abbandona e che non sembra compatibile con il contesto dantesco.59
Nella Commedia, Dante torna più volte ad evidenziare la visione di-
retta della «faccia di Dio» (Par. XXIX 77), come nella terzina già ana-
lizzata di Par. XXVIII 106-108, dove Beatrice spiega che tutti gli angeli
sprofondano la loro vista nel «vero» dell’essenza divina ancorché non
possano comprenderla nella sua dimensione infinita.60 Perché la mec-

58
Giovanni XXII nel 1333 aveva infatti riacceso il dibattito sulla visione beatifica so-
stenendo la tesi contraria, che la visione di Dio non fosse possibile prima del giudizio uni-
versale. La tesi agostiniana di un accesso alla visione beatifica prevalse sulle resistenze op-
poste da teologi scolastici come Tommaso d’Aquino, per il quale il problema della co-
noscenza di un ente infinito da parte di uno finito restava un ostacolo difficilmente su-
perabile. Per il dibattito teologico medievale sulla visione beatifica vedi C. TROTTMANN,
La vision béatifique dès disputes scolastiques à sa définition par Benoît XII, Roma, Bi-
bliothèque des écoles françaises d’Athènes et de Rome, 1995, e E. SCRIBANO, Angeli e
beati. Modelli di conoscenza da Tommaso a Spinoza, Roma-Bari, Laterza, 2006, pp. 3-67.
Vedi anche L. CAPPELLETTI, Per un nuovo contributo al problema della visione beatifica
nella Scolastica: la prospettiva di Tommaso di Bailly, in «Annali del Dipartimento di Fi-
losofia», 13 (2007), pp. 33-58; ID., «Nelle scuole de li religiosi». Le dispute scolastiche sul-
l’anima nella “Commedia” di Dante, pres. di A. LANZA, Firenze, Aleph Edizioni, 2015, pp.
72-86.
59
Le posizioni agostiniane sulla questione della visione beatifica sono legate all’as-
sunzione del modo in cui Agostino suppone si possa accedere alla conoscenza dell’esse-
re supremo. Nelle opere giovanili come il De quantitate animae la conoscenza del divi-
no si considera nel contesto di una conoscenza per reminiscenza delle forme innate del-
la creazione. In questa prospettiva la visione di Dio era possibile sia in patria, nelle so-
stanze separate, che in via in casi eccezionali, ai saggi e alle anime dei grandi. Nelle ope-
re più tarde come il De Trinitate prevale la teoria dell’accesso alla conoscenza di Dio at-
traverso l’illuminazione, frutto di una innata predisposizione e presente in potenza in
tutte le creature. La citazione di quest’opera nell’Epistola XIII (Ep. XIII 80) sembre-
rebbe ignorare questo contesto. Per le posizioni di Agostino la cui critica è al fonda-
mento della teoria della visione beatifica di Tommaso d’Aquino vedi SCRIBANO, Angeli
e beati, cit., in particolare p. 7 nota 13. Per l’influenza di Agostino sulla visione finale del
Paradiso dantesco vedi M. CICCUTO, Per una teologia delle immagini dantesche. Agosti-
no e la “visio” ultima del “Paradiso”, in «Letteratura e Arte», 16 (2018), pp. 13-21.
60
«E dei saper che tutti hanno diletto / quanto la sua veduta si profonda / nel vero
in che si queta ogne intelletto». Si veda inoltre Par. XXVIII 105-108 e Par. XXXI 22-24.
240 SUSANNA BARSELLA

canica del modello cosmologico dantesco funzioni è infatti necessario


che ogni ordine angelico abbia tale visione diretta e immediata della lu-
ce, e che questa luce sia riflessa contestualmente al movimento che cia-
scun ordine imprime al cielo a cui è preposto. Tale visione è la visio
Dei, che è la condizione stessa della beatitudine, che a sua volta consi-
ste nell’agire ordinato dall’amore.
Gli angeli danteschi, tuttavia, non godono della visione beatifica
fin dalla loro creazione ma solo dal momento della caduta di Lucife-
ro, quando Dio elargisce agli angeli fedeli il dono aggiuntivo della gra-
zia illuminante. Solo a questo punto la machina mundi si mette in mo-
to, lasciando intuire che nel breve lasso di tempo che intercorre tra la
creazione degli angeli e la caduta di Lucifero («né giugneriesi, nume-
rando, al venti / sì tosto, come de li angeli parte / turbò il suggetto d’i
vostri alimenti» Par. XXIX 49-51) l’universo creato potrebbe essere
fermo e ordinato secondo le proprietà degli elementi («alimenti») che
la caduta del serafino «turbò», creando un disequilibrio che rendeva
necessaria l’«arte» degli angeli fedeli ovvero la circolazione dei cieli.
La visione beatifica e il ministero di motori «illuminanti» sono quindi
inscindibili (Par. XXIX 76-81):61
Queste sustanze, poi che fûr gioconde
de la faccia di Dio, non volser viso
da essa, da cui nulla si nasconde:
però non hanno vedere interciso
da novo obietto, e però non bisogna
rememorar per concetto diviso.

61
Per la caduta di Lucifero (Inf. XXXIV 121-126; Par. XXIX 49-57) e il turbamento
degli elementi anche in relazione con la nascita della montagna del Purgatorio e le pos-
sibili discrepanze tra Inf. XXXIV e la Quaestio de acqua et terra si veda il saggio ancora
fondamentale di B. NARDI, La caduta di Lucifero e l’autenticità della “Quaestio de aqua
et terra” (1959), ripubblicato in ID., Lecturae e altri studi danteschi, a c. di R. ABARDO, Fi-
renze, Le Lettere, 1990, pp. 227-265; A. CORNISH, Planets and Angels in “Paradiso”
XXIX: The First Moment, in «Dante Studies», 108 (1990), pp. 10-14; M. GALLARINO, Me-
tafisica e cosmologia in Dante: il tema della rovina angelica, Bologna, il Mulino, 2013; e
A. CASADEI, Primi appunti su “Inf.” XXXIV in relazione alla “Questio de aqua et terra”,
in Lecturae Dantis. Dante oggi e letture dell’Inferno, a c. di S. CRISTALDI, numero specia-
le di «Le forme e la storia», 9 (2016), pp. 299-315; e si veda ora ID., Dante. Altri accer-
tamenti e punti critici, Milano, Franco Angeli, 2019, pp. 189-221. Per l’originale riscrit-
tura dantesca del Genesi in merito alla creazione e caduta degli angeli si veda P. BOITA-
NI, Creazione e caduta di “Paradiso” XXIX, in «L’Alighieri», 19 (2002), pp. 87-103.
DANTE E LA MACHINA MUNDI 241

In queste terzine Dante cattura il momento di intensa letizia degli


angeli fedeli resi “giocondi” per effetto della grazia illuminante ag-
giuntiva. Questa consente loro di penetrare più a fondo nella mente di-
vina e assimilarsi maggiormente di quanto non potessero fare al mo-
mento della creazione: «per che le viste lor fûro essaltate / con grazia
illuminante e con lor merto, / sì c’hanno ferma e piena volontate» (Par.
XXIX 61-63). Da questo momento le sostanze angeliche non hanno
più distolto lo sguardo («non volser viso») dalla visione della «faccia di
Dio», a cui accedono per intellezione diretta («non hanno vedere in-
terciso da novo obietto») non attraverso concetti (il processo di ap-
prendimento dell’intelletto umano) e quindi senza necessità di memo-
ria («rememorar per concetto diviso»).
Se la Chiesa aveva preso posizione a favore della possibilità della vi-
sione diretta dell’essenza divina sia per gli angeli che per i beati, e per-
sino in vita in circostanze eccezionali, riteneva però, diversamente da
Agostino, che tale visione potesse essere ottenuta soltanto in virtù di un
eccezionale intervento della grazia, come era stato il caso degli angeli
fedeli.

Il «lumen gloriae»

Già a seguito della prima condanna del 1241 il dibattito tra i teo-
logi si era sviluppato nell’esplorazione delle condizioni a cui la visione
beatifica poteva avvenire. Tommaso d’Aquino, a fronte della difficol-
tà di dover ammettere la conoscibilità di un ente infinito da parte di un
ente finito quali le sostanze separate, arriva a negare la possibilità di ta-
le visione secondo natura per gli enti creati e ad ammettere infine la ne-
cessità di un intervento divino esterno che crea le condizioni perché gli
intelletti umano e angelico possano elevarsi a tale visione.62 Si tratta
della luce divina, il lumen gloriae secondo una dottrina che già Alber-
to Magno aveva iniziato a sviluppare e che in Tommaso trova una de-
finizione strumentale alla visione facie ad faciem, similmente a quanto
troviamo nella Commedia.63

62
Tommaso ribadisce il concetto dell’inconoscibilità dell’ente infinito da parte di un
ente finito in varie parti della sua opera, vedi in particolare S. Th. I, q. 12, a. 7.
63
La luce per Tommaso non è che un mezzo mediante il quale l’intelletto viene per-
fezionato e reso capace di vedere l’essenza divina senza tuttavia poterla interamente co-
noscere: «[Lumen gloriae] non est medium in quo Deus videatur, sed sub quo videtur.
242 SUSANNA BARSELLA

Che questa sia la luce che troviamo nel Paradiso è evidente già nel-
l’incipit (Par. I 1-3):
La gloria di colui che tutto muove
per l’universo penetra, e risplende
in una parte più e meno altrove,

dove il divino è colto nella sua gloria, ovvero nella sua manifesta-
zione per mezzo della luce che irradia dal punto centrale dell’Empireo
e fa da veicolo alla visione. Questa luce raggia con uniforme intensità
(«penetra») ma si riflette («risplende») nelle «nove sussistenze» (Par.
XIII 59) con maggiore o minore lucentezza a seconda delle diverse ca-
pacità degli angeli di ricevere la luce.64 Questa luce è il mezzo attra-
verso cui la gloria Domini, termine tecnico di origine vetero-testamen-
taria, si manifesta nella creazione, come Beatrice spiegherà in Par. XXX
100-102 («Lume è là sù che visibile face / lo creatore a quella creatu-
ra / che solo in lui vedere ha la sua pace»). Luce e gloria sono termini
contigui ma affatto distinti, come i versi su citati di Par. I 1-3 rendono
evidente, e come al contrario non avviene nell’Epistola XIII.65 Il lumen

Et hoc non tollit immediatam visionem Dei», S. Th. I, q. 12, a. 5, ad 2. Vedi su questo
tema P. FEDRIGOTTI, Esprimere l’inesprimibile. La concezione dantesca della beatitudine,
prefaz. di G. VIVALDELLI, Bologna, EDS-Edizioni Studio Domenicano, 2009, pp. 141-
186. Per la teoria della visione beatifica di Alberto Magno e il dibattito teologico vedi J.P.
HERGAN, St. Albert the Great’s Theory of the Beatific Vision, New York, Peter Lang, 2002.
64
Cfr. Par. XIII 58-60: «per sua bontate il suo raggiare aduna, / quasi specchiato,
in nove sussistenze, / etternalmente rimanendosi una». Come gli angeli, anche i beati ri-
cevono la visione divina in gradi diversi a seconda delle loro diverse nature, come spie-
ga Piccarda in Par. III 70-87.
65
Come rileva Alberto Casadei, la gloria Domini, concetto che deriva dall’Antico
Testamento, esclude una gradualità della stessa: «la “gloria” va distinta dalla “luce”,
che è un suo attributo epifanico, come dimostrano senza margini di dubbio i versi […]
“Nel ciel che più della sua [sc. “della gloria divina”] luce prende / fu’ io…” (Par. I, 4-
5). Stando alla lettera, è dunque necessario tenere distinti i termini “gloria” e “luce” in
riferimento a Dio. In effetti, la “gloria” è qui quella specifica della “Gloria Domini”,
largamente attestata, che indica sin dal libro dell’Esodo il manifestarsi di Dio agli esse-
ri umani in tutta la sua potenza (cfr. Es. 16.10; 24.16-17 ecc.)», CASADEI, Dante. Altri
accertamenti e punti critici, cit., p. 37, vedi anche p. 50 e, dello stesso autore, Dante ol-
tre la Commedia, Bologna, il Mulino, 2013 in particolare pp. 34-43. Sulla distinzione tra
luce e gloria vedi anche M. SIGNORI, Sulla distinzione di luce e gloria nel “Paradiso” dan-
tesco, in «Italianistica», 45 (2016), pp. 51-66; M. ARIANI, L’ombra dell’«altro sole»: let-
tura del canto I del “Paradiso”, in «L’Alighieri», 42 (2013), pp. 59-93 e BARSELLA, In
the Light, cit., pp. 36-44.
DANTE E LA MACHINA MUNDI 243

gloriae esalta, come abbiamo visto per Tommaso d’Aquino, le capaci-


tà intellettive degli angeli e delle anime beate permettendo quell’ex-
cessus mentis che Dante stesso sperimenterà eccezionalmente (in nome
della missione che è stato chiamato a compiere attraverso il «sacrato
poema») alla fine del viaggio ultramondano.66 Tale luce permette alle
sostanze separate di attingere ad una conoscenza a cui non potrebbe-
ro avere accesso in modo naturale e veicola la visione diretta dell’es-
senza divina, colta entro i limiti di ciò che gli angeli possono conosce-
re. Nell’immaginare la funzione, le caratteristiche e la propagazione
del lumen Dante mette a frutto, adattandole, le conoscenze scientifiche
del tempo in materia di ottica e teoria della luce: da Bartolomeo da
Bologna, ai trattatisti arabi, ai teorici della metafisica della luce come
Grossatesta, come la critica ha ampiamente dimostrato.67 Come per

66
Per la definizione del lumen gloriae come mezzo per la visione beatifica si veda-
no almeno P. VALERIO, “Lumen gloriae” e “apex affectus” nel XXXIII del “Paradiso”, Na-
poli, Laurenziana dei frati minori conventuali, 1962; M. GAGLIARDI, “Lumen gloriae”.
Studio interdisciplinare sulla natura della luce nell’Empireo dantesco, Città del Vaticano,
Libreria Editrice Vaticana, 2010 e ID., La luce nell’Empireo dantesco, in Dante oltre il
medioevo. Atti dei convegni in ricordo di Silvio Pasquazi (Roma 16 e 30 novembre 2010),
a c. di V. PLACELLA, Roma, Pioda Imaging Editore, 2012, pp. 103-115. Non si tratta nel
presente saggio della visione beatifica dell’intelletto umano. Si veda a questo proposito
B. NARDI, La visione beatifica, in La letteratura italiana per saggi storicamente disposti. I.
Le Origini, il Duecento e il Trecento, a c. di L. CARETTI-G. LUTI, Milano, Mursia, 1972,
pp. 235-240; M. MOCAN, La trasparenza e il riflesso. Sull’alta fantasia in Dante e nel pen-
siero medievale, Milano, Bruno Mondadori, 2007, pp. 81-108; e FEDRIGOTTI, Esprimere
l’inesprimibile, cit., pp. 141-186.
67
Per la bibliografia sulle conoscenze scientifiche sulle teorie dell’ottica, della luce
e della metafisica della luce vedi S. GILSON, Medieval Optics and Theories of Light in the
Works of Dante, Lewinston, Edwin Mellen Press, 2000; G. FEDERICI VESCOVINI, Le teo-
rie della luce e della visione ottica dal IX al XV secolo. Studi sulla prospettiva medievale e
altri saggi, Perugia, Morlacchi, 2003. Per uno studio delle metafore della luce nel Para-
diso con attenzione alle caratteristiche teologiche pseudo-dionisiane si veda M. ARIANI,
Lux inaccessibilis: metafore e teologia della luce nel “Paradiso” di Dante, Roma, Aracne,
2010. Per la possibile influenza di Bartolomeo da Bologna per il fons di luce richiamato
di recente da Fioravanti nel suo commento (cit., pp. 488-89) vedi L. OLSCHKI, Sacra dot-
trina e Teologia mystica. Il canto XXX del “Paradiso”, in «Giornale dantesco», 36 (1933),
pp. 3-25 e in particolare per il parallelismo tra il De luce ed il terzo trattato del Convivio
vedi C. PIANA, Le questioni inedite del “De glorificatione Beatae Mariae Virginis” di Bar-
tolomeo da Bologna O. F. M. e le concezioni del “Paradiso” Dantesco, in «L’Archiginnasio»,
33 (1938), pp. 247-322; e J.A. MAZZEO, Light Metaphysics, Dante’s “Convivio” and the
Letter to Can Grande Della Scala, in «Traditio», 14 (1958), pp. 191-229. Il carattere stru-
mentale della luce trova riscontro in Tommaso, che definisce il lumen divino come un
244 SUSANNA BARSELLA

ogni altro aspetto scientifico della Commedia, Dante armonizza le leg-


gi fisiche dell’ottica al contesto teologico e attribuisce alla luce spiri-
tuale anche proprietà “fisiche” che attengono alla propagazione delle
virtù formative dal cielo Empireo a quello delle sfere materiali, come
abbiamo visto nei paragrafi precedenti.
Ma la spiegazione della visione beatifica come visione del lumen
gloriae si trova in posizione prolettica nel canto XXI del Paradiso, af-
fidata al mistico Pier Damiani, a sottolineare che tale visione appartie-
ne non solo agli angeli ma anche alle anime dei beati (Par. XXI 83-87):
«Luce divina sopra me s’appunta,
penetrando per questa in ch’io m’inventro,
la cui virtù, col mio veder congiunta,
mi leva sopra me tanto, ch’i’ veggio
la somma essenza de la quale è munta.

La terzina descrive la visione del lumen gloriae grazie al quale la


capacità di visione del beato, similmente a quanto avviene per l’ange-
lo, viene innalzata tanto da rendere possibile la contemplazione della
«somma essenza» divina. Si può notare che la visione beatifica delle
anime celesti è spiegata da Dante quasi negli stessi termini con cui spie-
ga quella angelica in Par. XXIX 64-66, dove insiste sulla volontà degli
angeli fedeli di accettare la grazia illuminante ricevuta dopo la caduta
di Lucifero: «e non voglio che dubbî, ma sia certo, / che ricever la gra-
zia è meritorio / secondo che l’affetto l’è aperto». In questo «affetto»
o disposizione della volontà verso il bene si realizza l’esercizio del li-
bero arbitrio originario degli angeli fedeli. A seguito della loro “aper-
tura” a ricevere la grazia gli angeli iniziano la loro arte di motori qua-
si in modo “passivo”, senza cioè ulteriore atto di conoscenza o volon-
tà. Come in Tommaso, anche in Dante la grazia illuminante rende gli
angeli capaci di vedere l’essenza divina attraverso, e non dentro, la lu-
ce, che è il mezzo attraverso il quale le capacità di visione sono esalta-
te. Nella cosmologia della Commedia la visione beatifica è alla radice
della vita nel cosmo poiché è in virtù del “salto” conoscitivo consenti-

mezzo: «non est medium in quo Deus videatur, sed sub quo videtur. Et hoc non tollit im-
mediatam visionem Dei», S. Th. I, q. 12, ad 2. Per la funzione strumentale della luce nel
Paradiso mi permetto di rimandare a BARSELLA, In the Light, cit., pp. 36-44 e per l’im-
portanza di questo dato per le questioni relative alla definizione della “gloria” e della vi-
sio beatifica vedi SIGNORI, Sulla distinzione di luce e gloria nel “Paradiso” dantesco, cit.
DANTE E LA MACHINA MUNDI 245

to dalla luce soprannaturale che gli angeli possono operare simulta-


neamente da “specchi” e da “motori.” Per questo motivo, distaccan-
dosi dalla tradizione, Dante fa precedere la visione all’amore, inver-
tendo l’ordine di una causalità generalmente accettata dai teologi qua-
li Ugo di San Vittore e Bonaventura.68
L’architettura della machina mundi si costruisce e funziona su tale
presupposto. Quando Dante arriva finalmente nell’Empireo e osserva
il fiume di luce, vede gli angeli in continuo movimento dai cori alla ro-
sa e specifica che il loro andare e venire non toglie ai beati la vista di
Dio poiché in questo cielo niente si oppone alla visione diretta, essen-
do le creature incorporee e luminose (Par. XXXI 19-24):
Né l’interporsi tra ’l disopra e ’l fiore
di tanta moltitudine volante
impediva la vista e lo splendore:
ché la luce divina è penetrante
per l’universo secondo ch’è degno,
sì che nulla le puote essere ostante.

Tutti vedono senza impedimenti e la luce fluisce e splende libera-


mente perché, ribadisce ancora Dante riprendendo e quasi chiarendo
il significato della prima terzina di Par. I, la luce divina penetra per
l’universo «secondo ch’è degno». È il “merito” infatti l’unico criterio
di modulazione della visione delle anime così come degli angeli. In
questa immagine potente e vivace del continuo e alacre movimento
della «moltitudine volante» delle intelligenze si racchiude l’essenza del-
l’angelologia dantesca.

Gerarchia e volontà

Se Dante poteva trovare nella teologia del tempo un supporto per


quanto riguardava la possibilità di dare accesso alla visione beatifica
agli angeli, si trovava però a dover risolvere il problema della visione
gerarchica propria della tradizione illuministica dionisiana che lui stes-

68
Vedi paragrafo 3. Si deve però notare che alla radice della visione vi è la volontà
degli angeli di ricevere la grazia illuminante aggiuntiva, e quindi in questo senso trovia-
mo un atto “affettivo” originario anche in Dante, sebbene il meccanismo celeste si met-
ta in moto tecnicamente al momento della visione.
246 SUSANNA BARSELLA

so aveva integrato con la funzione motrice delle intelligenze aristoteli-


che. Lo Pseudo-Dionigi aveva infatti garantito la visione beatifica di-
retta solamente alla prima gerarchia (serafini, cherubini e troni) e solo
in modo riflesso alle altre due.69 A questo proposito vorrei tornare bre-
vemente alla tradizione che ha origine nel De coelesti hierarchia dello
Pseudo-Dionigi per evidenziare l’innovazione dantesca su questo pun-
to e come essa sia funzionale all’architettura cosmologica della Com-
media.
Abbiamo visto come illuminazione e azione motrice siano inse-
parabili, simultanee e conseguenti alla visione del «punto» empireo,
e come gli angeli abbiano la funzione di specchi su cui la luce si ri-
flette e si diffonde in ogni parte dell’universo. L’immagine dell’ange-
lo speculum – già presente in Conv. II IV – è di tradizione dionisiana
stabilita sulla base dei commenti al De coelesti hierarchia che a parti-
re dalla traduzione di Scoto Eriugena si diffusero attraverso la ripre-
sa di Ugo e poi di Riccardo di San Vittore, e in ambito scolastico con
Alberto Magno (Commento al De coelesti hierarchia e al De meteora
II di Aristotele) e Bonaventura (Commento alle Sentenze, libro II; Col-
lationes XX e XXI; Breviloquium II), per citare fonti attestate per
quanto riguarda il tramite attraverso cui Dante probabilmente venne
in contatto con lo Pseudo-Dionigi.70 In questa tradizione la specula-
rità angelica è funzione della teofania che accompagna per gradi l’in-
telletto umano a ripercorrere il cammino di ritorno verso Dio. Poiché
micro e macrocosmo sono pensati in continuità, l’organizzazione de-
gli ordini angelici è necessariamente gerarchica. Essa serve da esem-
plare per l’ordinamento e l’organizzazione di ogni forma di governo
del mondo terreno. In particolare, è alla radice dell’ordinamento ge-

Cfr. De coelesti hierarchia XIII 3.


69

Per l’importanza dell’angelo-specchio nello Pseudo-Dionigi e la sua fortuna si ve-


70

da l’introduzione alla tradizione esegetica del corpus dionisiano di Giovanni Reale in


DIONIGI AREOPAGITA, Tutte le opere: Gerarchia celeste. Gerarchia ecclesiastica. Nomi di-
vini. Teologia mistica. Lettere, introduzione di G. REALE, trad. P. SCAZZOSO-I. RAMELLI,
saggi di E. BELLINI e C.M. MAZZUCCHI, Milano, Bompiani, 2009, pp. 11-29. Si fa riferi-
mento a questa traduzione italiana. Per la teologia mistica si veda Tenebra luminosissima.
Commento alla “Teologia mistica” di Dionigi Aeropagita di Alberto Magno, a c. di G. AL-
LEGRO-G. RUSSINO, Palermo, Officina di Studi Medievali, 2007. Sulla nozione di spec-
chio nello Pseudo-Dionigi si veda anche il commento di Tommaso d’Aquino al De divi-
nibus nominibus, IV 22, e BARSELLA, In the Light, cit. pp. 27-69; S. FINAZZI, “Ad modum
speculorum”: “visus” e astri nella metafora dantesca dello specchio, in «Scaffale aperto», 1
(2010), pp. 137-158.
DANTE E LA MACHINA MUNDI 247

rarchico dell’ecclesia, con forti implicazioni politiche. Così dispone


le gerarchie lo Pseudo-Dionigi:
Hoc ergo et theologi aperte declarant, suppositas quidem coelestium es-
sentiarum dispositiones super firmatis ornate erudiri deificas scientias: omnium
vero altiores ab ipsa divinitate, quantum fas, doctrinam illuminari.

I sacri autori chiaramente dimostrano che le disposizioni inferiori delle so-


stanze celesti vengono istruite convenientemente, nelle scienze teurgiche, dalle
superiori, mentre le più alte di tutte sono illuminate, per quanto è possibile, dal-
la stessa Tearchia nelle dottrine sacre. (DCH VII, 3, 209 A)71

Per l’autore neoplatonico falsamente ritenuto da Dante e dai suoi


contemporanei discepolo di San Paolo, l’ordine gerarchico riguarda
l’accesso alla conoscenza delle cose divine. Gli angeli sono “istruiti”
intorno a queste e ai ministeri che sono chiamati a svolgere in un pro-
cesso di comunicazione da superiore a inferiore. La visione di Dio e la
visione rispetto a ciò che apprendono circa il loro essere e la loro fun-
zione sono gerarchiche: solo i primi tre ordini della prima gerarchia
(serafini, cherubini e troni), grazie alla loro vicinanza e quindi mag-
giore purezza e perfezione, attingono alla visione divina e ricevono la
“comunicazione della scienza” senza mediazione. Gli altri sono istrui-
ti dagli ordini superiori.
La gerarchia si riferisce sia al movimento ascendente di contem-
plazione, sia a quello discendente di propagazione della luce. Il prin-
cipio gerarchico è dettato dall’economia del cosmo per cui non è ne-
cessario che l’ordine inferiore sia esposto alla conoscenza di ciò che
per sua naturale capacità non può operare. Gli ordini inferiori vedo-
no Dio riflesso nell’illuminazione trasmessa dalle gerarchie e, all’in-
terno della stessa gerarchia, dagli ordini a loro superiori. Il primo mo-
vimento di illuminazione, ascendente, è correlato all’acquisizione del-
la conoscenza divina. Il secondo movimento, discendente, distribui-
sce la luce riflettendola in modo diverso a seconda del diverso grado
di perfezione delle creature angeliche e mira a comunicare il ministe-
ro stabilito per ciascun ordine dalla Provvidenza. La contemplazione
non è fine a sé stessa, ma diretta all’azione delle gerarchie superiori di
attrarre verso l’alto quelle inferiori iniziandole ad un processo imitati-

71
PL 175 [Col. 1033 A]. La traduzione latina è quella di Scoto Eriugena presente
nel commento al De coelesti hierarchia di Ugo di San Vittore.
248 SUSANNA BARSELLA

vo (“coraggiosa imitazione”) che le porti attraverso la teofania a unir-


si e cooperare all’azione divina secondo l’interpretazione paolina di-
rettamente richiamata nel testo:
Est enim unicuique hierarchiam sorti entium perfectio; hoc est secundum
propriam analogiam in Dei imitationem ascendere, et omnium divinius, ut elo-
quia aiunt, Dei cooperatorem fieri (I Cor. III; III Joan. I; Matth. V), et ostendere
divinam in seipso actionem, secundum quod possibile est, relucentem.

Per ciascuno di coloro che hanno avuto in sorte la gerarchia la perfezione


consiste nell’ascendere all’imitazione di Dio secondo le proprie possibilità e nel
divenire, come dice la Scrittura (I Cor 3, 9), collaboratori di Dio, cosa questa
senza dubbio più divina di tutte, e nel mostrare che si manifesta in se stessi, per
quanto è possibile, l’energia divina. (DCH III, 2, 165 B)72

L’ordine gerarchico di illuminazione diventerà un problema di-


battuto dai maggiori commentatori di Dionigi, quali Alberto Magno,
Ugo di San Vittore e Bonaventura, che si trovano a fronteggiare il pro-
blema se ammettere o no la possibilità di vedere l’essenza divina e, nel
caso, se prima o dopo il giudizio universale, o addirittura in vita, e in-
fine se ciò sia possibile per una innata predisposizione connaturata al-
le sostanze separate oppure no. Forse prendendo spunto dallo Pseu-
do-Dionigi, i teologi tardomedievali assumono, in corrispondenza del-
le due illuminazioni, due tipi di visioni angeliche: la visione beatifica e
la visione “amministrativa” da cui gli angeli attingono la conoscenza di
sé e del loro essere nel mondo. Per Alberto Magno, autore dell’auto-
revole commento al De coelesti hierarchia – diversamente da Ugo di
San Vittore – solo la visione beatifica è diretta, mentre la visione da cui
gli angeli derivano la scienza delle loro operazioni è come nello Pseu-
do-Dionigi, gerarchica:73

PL 175 [Col. 991 B e C].


72

Per il maestro di Tommaso d’Aquino, nel commento al De coelesti hierarchia dello


73

Pseudo-Dionigi, la visione beatifica è diretta già prima del giudizio universale per tutte le
creature spirituali, comprese le anime beate – perché diversamente si entrerebbe in con-
tradizione con il dettato paolino per cui ora vediamo in enigmata, ma dopo la morte facie
ad faciem (I Cor 13, 12). Le posizioni su questo punto non erano univoche. Alcuni so-
stennero che la visione beatifica poteva essere diretta solo dopo il recupero del corpo e
quindi della perfezione ultima dell’anima umana dopo il giudizio universale. Altri sosten-
nero invece che la visione era elargita come grazia aggiuntiva – illuminante – la stessa che
aveva permesso agli angeli di attingere alla visione di Dio e iniziare la loro perfezione nel-
la cooperazione all’azione divina dopo la caduta di Lucifero e degli angeli ribelli.
DANTE E LA MACHINA MUNDI 249

quod deus offert se beatis omnibus immediate, quantum pertinet ad obiectum


beatitudinis, quia nihil potest beatificare nisi ipse, in quo est perfectio bonita-
tis. Et iterum habet unusquisque proportionem ad ipsum et secundum natu-
ram et secundum meritum; secundum naturam, quia quaelibet res capax est
eius secundum aliquid, multo fortius beati; secundum meritum, quia per indi-
tam gratiam merentur infinitum bonum, quod non est angelus, sed deus. Quan-
tum vero pertinet ad revelationem occultorum divinorum, quae sunt in natura
eius et quae pertinent ad dispositionem universi et mysteria ecclesiae, non vident
eum omnes immediate; […] superiores autem plura de talibus vident in ipso, li-
cet eum omnes videant, sicut in eadem sententia aliter videt indoctus, aliter doc-
tus, et quantum ad talia superiores illuminant inferiores, et haec est illuminatio
hierarchica. (Commentum super Dionisyum De coelesti hierarchia I. 1 c. 5)74

Dio si offre a tutti i beati in modo immediato per quanto pertiene all’oggetto
della beatitudine, perché niente può donare loro beatitudine se non Dio stesso,
nel quale risiede la perfezione della bontà. E d’altra parte ciascuno sta in pro-
porzione a lui sia secondo natura che secondo merito; secondo natura, perché
ogni cosa è capace di lui [Dio] secondo un certo qualcosa, e a maggior ragione
i beati. Secondo il merito, perché per la grazia concessa meritano un bene infi-
nito, che non è l’angelo ma Dio. Per quanto pertiene alla rivelazione delle cose
divine occulte che sono nella sua natura e che pertengono al governo dell’uni-
verso e ai misteri della chiesa, non tutti lo vedono senza mediazione. […] Gli or-
dini superiori vedono in lui più di tali cose divine, sebbene tutti lo vedano, co-
me un incolto ed un dotto hanno un diverso grado di comprensione della stes-
sa opinione. E rispetto a tali cose gli ordini superiori illuminano gli inferiori, e
questa illuminazione è gerarchica. E rispetto a tali cose gli ordini superiori illu-
minano gli inferiori, e questa illuminazione è gerarchica.75

Secondo Alberto Magno, la visione in merito all’oggetto della bea-


titudine (ad obiectum beatitudinis), ovvero Dio, è immediata. Per quan-
to riguarda invece la visione che pertiene alla conoscenza dell’angelo
delle cose occulte quali sono la sua natura e il governo dell’universo (ad
revelationem occultorum divinorum), la visione non può essere che ge-
rarchica. Dopo il giudizio universale la prima illuminazione non verrà
meno, mentre quella gerarchica cesserà. È evidente nel teologo maestro
di Tommaso d’Aquino la preoccupazione del ruolo di mediazione e di
esemplarità del sistema pseudo-dionisiano per cui la gerarchia deve
permanere perché possa essere riflessa nell’ordinamento ecclesiastico.

74
ALBERTO MAGNO, Super Dionysium De coelesti hierarchia, a c. di P. SIMON-W. KÜ-
BEL, Aschendorff, Monasterii Westafalorum, 1993.
75
Mia traduzione.
250 SUSANNA BARSELLA

In modo simile si esprime Bonaventura nelle Collationes sui sei


giorni della creazione, dove il dottor Serafico assimila alla sua orga-
nizzazione trinitaria le gerarchie dell’Areopagita:
Nota autem, quod prima hierarchia non originatur nec illuminatur nisi a
solo Deo; media autem illuminatur a Deo et a suprema; infima autem a Deo et
a suprema et media; ecclesiastica autem ab omnibus. (Coll. XXI 21)76

Nota che la prima gerarchia non viene originata e illuminata se non dal so-
lo Dio; la seconda gerarchia è illuminata da Dio e dalla prima; la terza gerarchia
è illuminata da Dio, dalla prima e dalla seconda; e la gerarchia ecclesiastica è il-
luminata da tutte.

Anche per Bonaventura la visione è strettamente gerarchica nella


contemplazione beatifica e solo i primi tre ordini compresi nella più al-
ta gerarchia hanno accesso alla visione diretta.
Tommaso d’Aquino sembra seguire, almeno nella Summa contra

76
BONAVENTURA, Collationes in Hexameron, in BONAVENTURAE Opera omnia, vol. 5,
Firenze, Quaracchi, 1901, p. 435. Traduzione italiana BONAVENTURA, La sapienza cri-
stiana, cit., p. 295. Si veda anche Quaestio de angelicis influentiis (Expositio super pseu-
do-Dionysii de angelica ierarchia, prooem.), a c. di F. DELORME, in BONAVENTURA, Colla-
tiones in Hexaemeron et Bonaventuriana quaedam selecta (Biblioteca Franciscana Scho-
lastica Medii Aevi 8), Firenze, Quaracchi, 1934, pp. 363-417. Si noti la differenza tra Bo-
naventura e Tommaso nei termini della visio/excessus: per Tommaso è dovuta a un in-
tervento soprannaturale esterno, per Bonaventura la visione rimane dall’interno, come
dono ricevuto e che agisce dall’interno attraverso il movimento affettivo dell’anima. Lo
Spirito Santo infiamma il cuore che al suo apice di ardore si unisce a Dio. Per Tomma-
so la visione possibile mediante il lumen gloriae è ottenuta attraverso la capacità intel-
lettiva e solo in un secondo momento affettiva. Importanti per l’illuminazione delle ge-
rarchie angeliche in Bonaventura sono anche il Commento al Libro II delle Sentenze di
Pietro Lombardo, il Breviloquium e l’Itinerarium mentis in Deum (specialmente VII, 4).
Per l’angelologia bonaventuriana vedi B. FAES DE MOTTONI, Bonaventura e le gerarchie
angeliche, in «Freiburger Zeitschrift für Philosophie und Theologie», 3 (1993), pp. 312-
358, e EAD., San Bonaventura e la scala di Giacobbe. Letture di angelologia, Napoli, Bi-
bliopolis, 1995. Per la presenza di terminologia bonaventuriana per quanto riguarda la
visione nel Paradiso si veda S. FINAZZI, Un tecnicismo neoplatonico in Bonaventura da
Bagnoregio e la sua evoluzione in Dante, in «Bollettino di Italianistica», 8 (2011), pp. 23-
36. Per l’influenza sia della visione bonaventuriana che tomista e la compresenza di ele-
menti sia intellettuali sia affettivo-volitivi nella visione beatifica della Commedia vedi Z.
BARANS! KI, Teologia degli affetti e della beatitudine nel “Paradiso”, in Dante poeta cristia-
no e la cultura religiosa medievale. In ricordo di Anna Maria Chiavacci Leonardi. Atti del-
l’omonimo convegno, a c. di G. LEDDA, Ravenna, Longo, 2018, pp. 259-312.
DANTE E LA MACHINA MUNDI 251

Gentiles, l’organizzazione gerarchica della visione conoscitiva delle in-


telligenze angeliche secondo lo Pseudo-Dionigi.77 Nell’autore neopla-
tonico, così come in Agostino, la gerarchizzazione della visione rispon-
de ad una concezione che vede nelle creature una disposizione natura-
le a ricevere l’illuminazione divina.78 Questa posizione si era andata in-
debolendo nei secoli successivi fino a negare la possibilità della visione
diretta di Dio, che portò finalmente alla menzionata condanna del 1241.
Pur ammettendo tale possibilità, Tommaso, a differenza di Agostino,
stabilisce una incolmabile differenza tra l’ente divino infinito e gli enti
finiti e tenterà di tenere separate nell’ordine della conoscenza naturale
la sfera degli intelletti creati, come quello angelico e quello umano, da
quello infinito della divinità. Tale esigenza lo porterà a concedere la vi-
sione del divino ma come originata dall’intervento esterno e straordi-
nario di Dio, indipendente dalle facoltà naturali di ogni essere dotato di
intelletto finito. Tale intervento sovrannaturale ed esterno viene identi-
ficato con il lumen gloriae, ovvero il mezzo che permette agli angeli e ai
beati di andare oltre le loro naturali capacità di contemplazione del di-
vino (si veda ad esempio l’«oltraggio» a cui cede la memoria in Par.
XXXIII 57). Il lumen gloriae è il mezzo attraverso cui la gloria Domini
si manifesta ed in Tommaso possiede, così come in Dante, un carattere
strumentale perché gli intelletti angelici non vedono in essa ma attra-
verso essa, quanto possono, l’essenza divina anche se non nella sua in-
finità. Essi infatti conoscono solo ciò che pertiene alla loro creazione e
allo svolgimento dei loro ministeri.79 Tale visione è diretta e commisu-
rata alla capacità di ricevere la luce e di vedere di ciascun angelo.80

77
Vedi in particolare TOMMASO D’AQUINO, Summa contra Gentiles, III, cap. 80.
78
«In Agostino non esiste la possibilità di verificare la condizione di una natura pri-
va della presenza del divino. Lo stato nel quale la mente è stata creata, la sua natura, in-
somma, è di essere permeate dalla presenza di Dio», SCRIBANO, Angeli e beati, cit., p. 22.
79
Per Tommaso il lumen gloriae non è che un mezzo mediante il quale l’intelletto
viene perfezionato e reso capace di vedere l’essenza divina senza tuttavia poterla intera-
mente conoscere, si ricordi il già citato: «[Lumen gloriae] non est medium in quo Deus
videatur, sed sub quo videtur. Et hoc non tollit immediatam visionem Dei», S. Th. I, q.
12, a. 5, ad 2. Il corsivo è mio.
80
Tra i commentatori, Gianfranco Fioravanti è l’unico a rilevare questa ulteriore
differenza tra il Convivio e la Commedia. Riferendosi al Liber de causis come possibile
fonte tra altri testi suggeriti per l’illuminazione, lo studioso osserva: «Essi infatti parla-
no di intelligenze che accolgono l’illuminazione da quelle superiori e la riverberano su
quelle inferiori, mentre per Dante (coerentemente in questo a Conv. III, vi, 4-5) le in-
telligenze-angeli sono direttamente illuminate da Dio», FIORAVANTI, commento a Conv.
III XIV 4, cit., p. 487.
252 SUSANNA BARSELLA

Diversa è l’interpretazione della visione beatifica e dei suoi conte-


nuti conoscitivi in Ugo di San Vittore. Nel trattato sui sacramenti (De
sacramentis), il vittorino parla di tre tipi di conoscenza assunta dagli an-
geli direttamente nella visio Dei in merito a ciò che sono, da chi sono
creati, e per che cosa sono creati (quod, a quo, cum quo) e che potreb-
be avere avuto un’influenza sulle implicazioni “amministrative” della
conoscenza angelica nella Commedia.81 Il contenuto di conoscenza a
cui gli angeli danteschi attingono si traduce nella comprensione del
ruolo che essi svolgono nella creazione e nelle operazioni necessarie
per attuarlo. In questo loro contemplare e agire si realizza la loro bea-
titudine, che come per Tommaso anche per Dante consiste non in un
habitus ma in un actus.82 La concezione di Ugo di San Vittore, che ac-
centua il carattere di “governo” che appartiene un po’ a tutta la tradi-
zione angelologica, sembra trovare un’eco nella visione dantesca di una
contemplazione a fini “pratici” del lavoro intellettuale delle intelligenze
come sostanze continuamente e pienamente in atto.83 Anche in Dante
infatti, pur avendo una visione diretta ed immediata del punto lumi-
noso, gli angeli e i beati non possono conoscere l’essenza di Dio nella
sua infinita dimensione, ma conoscono ciò che essi sono e quale sia il

81
La triplice conoscenza dell’essere stati creati, per quale mezzo e come (in eo quod
facti erant – per sapere cosa desiderare e cosa respingere; a quo facti erant – per conoscere
il fine per cui sono stati creati; cum quo facti erant – in quale modo furono creati) defi-
niscono l’orientamento morale e ministeriale, ovvero pratico, della conoscenza angelica
secondo una tradizione che inizia sin da Gregorio Magno, mentre a quale fine sembra de-
rivare dall’influenza di Ugo di San Vittore e dal suo commento alla Gerarchia Celeste
dello Pseudo-Dionigi e soprattutto alle sezioni dedicate agli angeli nel trattato Sui Sa-
cramenti. Vedi UGO DI SAN VITTORE, De sacramentis Christianae Fidei, a c. di R. BERNDT,
Münster, Aschendorff Verlag, 2008, in particolare De Sacr. II V 14 e II V 8. Per l’influenza
dell’angelologia di Ugo di San Vittore vedi G. ZANOLETTI, L’angelologia in Ugo da San
Vittore, Milano, RES, 1980. Per l’influenza di Riccardo di San Vittore in particolare, ve-
di M. MOCAN, L’arca della mente. Riccardo di San Vittore nella “Commedia” di Dante, Fi-
renze, Olschki, 2012.
82
Cfr. il già citato: «Sed ad cognitionem verbi, et eorum quae in verbo videt, nun-
quam hoc modo est in potentia, quia semper actu intuetur verbum, et ea quae in verbo
videt. In hac enim visione eorum beatitudo consistit, beatitudo autem non consistit in ha-
bitu, sed in actu, ut dicit philosophus in I Ethic.», S. Th. I, q. 58, a. 1.
83
Questo accento sul carattere amministrativo delle intelligenze era già presente in
Conv. II IV 3: «E non è contra quello che pare dire Aristotile nel decimo dell’Etica, che
alle sustanze separate convegna pure la speculativa vita. Come pure la speculativa con-
vegna loro, pure alla speculazione di certe segue la circulazione del cielo, che è del mon-
do governo; lo quale è quasi una ordinata civilitade, intesa nella speculazione delli mo-
tori».
DANTE E LA MACHINA MUNDI 253

loro ministero nella creazione, secondo quanto Dante già spiegava nel-
la Monarchia (Mon. I III 7):
Nam, etsi alie sunt essentie intellectum participantes, non tamen intellectus
earum est possibilis ut hominis, quia essentie tales speties quedam sunt intel-
lectuales et non aliud, et earum esse nichil est aliud quam intelligere quid est
quod sunt; quod est sine interpolatione, aliter sempiterne non essent.84

Benché infatti esistano altri esseri cui appartiene l’intelletto, il loro però non
è l’intelletto possibile com’è dell’uomo, poiché tali esseri sono delle specie in-
tellettuali e non altro, il cui essere in null’altro consiste che nell’intendere quel
che esse sono; cosa che avviene senza interruzione, altrimenti non sarebbero
eterne.

Come gli autorevoli commenti alla Monarchia dimostrano, questo è


uno dei passi più controversi del testo dantesco, ma un’analisi del di-
battito filosofico e teologico intorno alla conoscenza angelica va ben al
di là dello scopo di questo studio. Mi limito qui a soffermarmi su un
aspetto che ha implicazioni sul disegno della funzione motrice delle in-
telligenze. Se i teologi concordano sul fatto che gli angeli non conosco-
no né il quid né il propter quid, ovvero hanno una visione limitata a ciò

84
Nell’edizione da lui curata della Monarchia Tabarroni, come già anticamente Mar-
silio Ficino, sceglie la lezione «quod est quod sunt» supportata da un numero rilevante di
testimoni. La scelta è motivata anche dal fatto che «quod» specificherebbe il fatto che gli
angeli sono diversi dall’uomo in quanto perennemente in atto e sarebbe coerente con il
passo citato sopra del Convivio. Si veda il commento di Tabarroni in DANTE ALIGHIERI,
Monarchia, cit., pp. 20-21. Prue Shaw adotta la stessa lezione omettendo tuttavia la pri-
ma virgola («intelligere quod est quod sunt»), DANTE ALIGHIERI, Monarchia, a c. di P.
SHAW (Società Dantesca Italiana, Edizione Nazionale delle Opere di Dante Alighieri), Fi-
renze, Le Lettere, 2009, p. 341. Diego Quaglioni segue invece la lezione alternativa, an-
ch’essa presente in numerosi testimoni: «intelligere quid est quod sunt», ovvero gli ange-
li intelligono ciò che sono e per cosa sono, Monarchia, a c. di D. QUAGLIONI, in DANTE
ALIGHIERI, Opere, vol. II, cit., p. 932-935. Seguo questa lezione perché più coerente con
il disegno cosmologico di cui le operazioni angeliche sono parte centrale. Gli angeli cioè
vedono ciò per cui il loro essere si perfeziona, ovvero la contemplazione e l’azione motrice
dei cieli. Per quanto riguarda la visione nella Commedia bisogna infatti tenere conto che
in Paradiso Dante ha superato il problema di dover distinguere due categorie di angeli,
contemplativi e attivi (motori), avendo potuto attribuire a tutti gli ordini entrambe le ope-
razioni di contemplazione e movimento. Anche per Paolo Falzone la lezione «quid est»
è da preferire in quanto, a differenza di Tommaso, Dante «intende l’eternità ed attualità
dei motori celesti come identità di essere e operazione essenziale (il pensiero)», FALZONE,
La dottrina delle intelligenze separate, cit., p. 187. Il corsivo nel testo è mio.
254 SUSANNA BARSELLA

che compete loro perché possano dirigersi al fine per il quale sono sta-
ti creati (Par. I 109-114), non sono unanimi nel definire quale tipo di
conoscenza “positiva” essi attingano dalla contemplazione del «vero».85
Tale conoscenza è infatti rilevante per stabilire se sia necessario o meno
supporre, nel sistema dantesco, un ordine gerarchico per quanto con-
cerne la trasmissione della conoscenza circa i ministeri a cui gli angeli so-
no preposti. Sulla base del testo della Commedia sembra evidente che gli
angeli conoscono il fine della loro perfezione, ovvero il loro ruolo di me-
diatori tra la sfera materiale e l’Empireo, e che svolgono tale ruolo ope-
rando come motori del cosmo e “specchi” della luce divina. Tali opera-
zioni, interconnesse ed essenziali alla meccanica celeste, permettono l’at-
tualizzarsi delle virtù formative attraverso la dinamica astronomica dei
corpi siderei. Poiché il moto e l’illuminazione sono conseguenza della vi-
sione beatifica a cui tutti gli ordini attingono in modo diretto ed imme-
diato si deve supporre che per quanto riguarda queste funzioni la co-
noscenza che essi derivano sia specifica e indipendente per ogni ordine.
Come abbiamo visto nei paragrafi precedenti, in Dante la disposizione
gerarchica delle intelligenze risponde ad un principio naturale interno
(le loro capacità di visione determinate dal merito).86

85
«Né in via né in patria si vede di lui altro che il quia, e questo solo in modo confu-
so, sebbene con più o meno chiarezza a seconda dei diversi modi della visione e della con-
dizione di coloro che contemplano», ALBERTO MAGNO, Epistola 5, citata in Tenebra lu-
minosissima, cit., p. 37. Alberto Magno si riferisce alla visione attingibile in vita o nella con-
dizione di beatitudine dopo la morte. Il teologo domenicano distingueva la visione in via
per mezzo di segni (teofanie) dalla visione diretta in patria. Vedi in particolare il Com-
mento alla Gerarchia Celeste, q. 7, in Tenebra Luminosissima, cit., pp. 109-113. Il passo ri-
manda al verso dantesco «state contenti umane genti al quia» (Purg. III 37), che Dante ri-
ferisce alla pretesa di conoscere in via razionale il disegno divino della Provvidenza.
86
Dato il sistema dantesco dove si ha una gerarchia nella disposizione dei cori solo
in funzione delle diverse capacità di visione degli angeli, si chiarisce anche il discusso
esordio del canto I del Paradiso, commentato nell’accessus della Epistola XIII, per cui la
gloria divina si diffonde grazie all’azione speculare degli angeli in tutto l’universo crea-
to ma non in modo uniforme in tutte le sue parti perché più intensamente nelle creatu-
re superiori che in quelle inferiori: «La gloria di colui che tutto move / per l’universo pe-
netra, e risplende / in una parte più e meno altrove» (Par. I 1-3). Lo stesso concetto ri-
torna e trova una spiegazione nei termini in cui Dante ha elaborato la sua costruzione co-
smologica e definito la sua angelologia in Par. XXIX 137-146: «La prima luce, che tut-
ta la raia, / per tanti modi in essa si recepe, / quanti son li splendori a chi s’appaia. / On-
de, però che a l’atto che concepe / segue l’affetto, d’amar la dolcezza / diversamente in
essa ferve e tepe. / Vedi l’eccelso omai e la larghezza / de l’etterno valor, poscia che tan-
ti / speculi fatti s’ha in che si spezza, / uno manendo in sé come davanti».
DANTE E LA MACHINA MUNDI 255

Nella Commedia dunque Dante si distacca dall’interpretazione ge-


rarchica dell’illuminazione della scolastica: perché la machina mundi
funzioni non solo la visione beatifica delle anime dei beati e degli an-
geli è diretta (quantum ad obiectum), ma lo è anche la visione cogniti-
va di ciò che gli angeli sono e per cosa sono (quid quod est citato nel
Convivio). Se ritorniamo inoltre alle terzine commentate all’inizio del
paragrafo, possiamo vedere che l’episodio della “restaurazione” ange-
lica dopo la caduta di Lucifero (Par. XXIX 61-63) segna un altro pas-
saggio cruciale a definire il significato di gerarchia coerente con le esi-
genze del sistema aristotelico-neoplatonico messo in piedi da Dante. Se
la grazia elargita fu la stessa per tutti gli angeli, così come unica in in-
tensità è l’emanazione del raggio dal fons luminoso al centro dell’Em-
pireo, essi non la riverberarono in modo uguale ma ciascuno secondo
il proprio «merto».
La gerarchia si stabilisce dunque rispetto ad un principio interno
delle intelligenze, più o meno meritevoli di grazia a seconda della loro vo-
lontà diretta al bene («affetto»): «e non voglio che dubbî, ma sia certo,
/ che ricever la grazia è meritorio / secondo che l’affetto l’è aperto» (Par.
XXIX 64-66).87 Tale «affetto» degli angeli è la capacità di assecondare la
volontà che si indirizza verso il bene. Le componenti affettiva e intellet-
tiva sono così inseparabili nella visione beatifica angelica così come si
definisce nel sistema della teo-fisica dantesca in modo coerente con il
disegno generale del poema dal momento che volontà e libero arbitrio
sono al centro della visione della salvezza nella Commedia.88 È questa

87
La buona volontà degli angeli è determinante nel decidere la misura in cui essi ri-
cevono la grazia. Tanto più si “apre” l’affetto tanto maggiore è la grazia illuminante e
quindi la capacità di vedere.
88
Dante attinge a diverse tradizioni della mistica medievale, dal neoplatonismo bo-
naventuriano, che mette l’accento soprattutto sulla componente “affettiva” o volontari-
stica, alla tradizione teologica tomista, che mantiene un ruolo primario alla componen-
te intellettuale. Sebbene in Dante la componente intellettiva preceda quella affettiva, en-
trambe sono tuttavia presenti poiché è il merito dato dalla buona volontà a decidere, in-
sieme alla grazia, della capacità di visione degli angeli. La grazia stessa, dice Dante, di-
pende da quanto «l’affetto l’è aperto» (Par. XXIX 66), premessa perché gli angeli pos-
sano ricevere l’illuminazione aggiuntiva che dopo la caduta di Lucifero li perfeziona nel
loro ruolo di motori celesti. Diversamente dagli angeli la visione dantesca di Par. XXXIII
sembrerebbe dimostrare una preminenza affettiva, come ben argomenta BARANS! KI, Teo-
logia degli affetti, cit., specialmente pp. 310-312, a cui si rimanda. Il problema della vi-
sione beatifica che qui si prende in esame riguarda, come già detto, essenzialmente gli an-
geli e soltanto in relazione alla loro funzione ministeriale di motori illuminanti.
256 SUSANNA BARSELLA

volontà di bene esaltata dalla visione di Dio che si trasforma in quel


“desiderio” di Dio che inizia il moto cosmico. L’ordine delle creature
diviene dunque in Dante un principio inerente e connaturato al libe-
ro arbitrio degli angeli, che viene così fatto salvo.

7. L’epistola XIII e l’ordine cosmologico del “Paradiso”

Quanto esposto fino a qui descrive l’architettura cosmologica del-


la Commedia e la sua dinamica secondo criteri filosofico-teologici al
servizio della finalità del poema: servire da tramite per la conoscenza
e l’amore del «vero» che guidi i lettori nel loro personale cammino ver-
so Dio. A tale fine è necessario che la spiegazione del mondo che tale
architettura offre sia il più possibile credibile, e risponda a un criterio
di “realismo” teologico e poetico. Se il modello cosmologico della
Commedia risponde a quanto sino a qui descritto, allora si pone la ne-
cessità di confrontarlo per quanto possibile con la presunta auto-ese-
gesi contenuta nella Epistola XIII a Cangrande della Scala, che avreb-
be dovuto accompagnare l’invio e la dedica della terza cantica al si-
gnore di Verona.89 Si è molto discusso sulla autenticità dell’epistola
prendendo in considerazione diversi aspetti: storico, linguistico, filo-
logico, e dei contenuti sia filosofici che teologici. Non entro nella di-
battutissima questione dell’autenticità dell’Epistola, problema su cui
mi limito a ricordare gli interventi del dibattito più recente e che van-
no nella direzione di assegnare l’autenticità solo alla prima parte della
lettera, quella della dedica (Ep. XIII 1-13). Ad oggi, tuttavia, non si è
ancora giunti ad una sicura identificazione della paternità dantesca del-
l’Epistola.90

89
Sulle date della permanenza di Dante a Verona non si è ancora raggiunto un per-
fetto accordo tra i critici. Dante si era recato a Verona una prima volta presumibilmen-
te nel 1303-1304 quando era ancora signore il fratello maggiore di Cangrande, Bartolo-
meo, con il quale strinse amicizia e che celebrò in Par. XVII. Non fu invece in buoni
rapporti con l’altro fratello, Alboino, sul quale Dante dette un giudizio sprezzante in
Conv. IV XVI 6. Cangrande fu signore assoluto di Verona dal 1312, dopo la morte del fra-
tello Alboino. Dante giunse a Verona per il suo secondo soggiorno forse agli inizi del
1313, certamente dopo la morte di Arrigo VII.
90
Per un esauriente resoconto dei vari argomenti pro e contro l’autenticità e la re-
lativa bibliografia fino al 2015 si veda l’ottimo commento di Luca Azzetta all’edizione da
lui curata in DANTE, Epistole, Egloge, Questio de aqua et terra, a c. di M. BAGLIO-L. AZ-
ZETTA-M. PETOLETTI, intr. di A. MAZZUCCHI, Roma, Salerno Editrice, 2016. Altre edizioni
DANTE E LA MACHINA MUNDI 257

Strutturata secondo le regole dell’ars dictandi medievale, l’Episto-


la si divide in due parti principali: la prima contiene la dedica a Can-
grande (pars nuncupatoria, 1-13) e la seconda una spiegazione genera-
le della cantica e l’esegesi dei primi due canti del Paradiso (accessus, 14-
41 e expositio textus, 42-90).91 I critici sono in generale d’accordo nel-
lo stabilire un termine ante quem al 20 agosto del 1320 per la compo-
sizione dell’Epistola, data della sconfitta di Cangrande a Bassanello
contro i padovani e oltre la quale suonerebbe fuori luogo il riferimen-
to ad un Cangrande “vittorioso” dell’intestazione. Il termine post quem
sarebbe fissato dall’anno di nomina di Cangrande a Vicario Imperiale
di Verona nel 1311.92 I risultati dell’approfondita ricerca filologica con-

e commenti di riferimento sono DANTE ALIGHIERI, Epistole, Ecloghe, Questio de situ et


forma acque et terre, a c. di M. PASTORE STOCCHI, Roma-Padova, Antenore, 2012; DAN-
TE ALIGHIERI, Opere, dir. M. SANTAGATA, II. Convivio, Monarchia, Epistole, Ecloghe, a c.
di G. FIORAVANTI-C. GIUNTA-D. QUAGLIONI-C. VILLA-G. ALBANESE, Milano, Monda-
dori, 2014. Sul dibattito più recente vedi A. CASADEI, Situazione dell’Epistola a Cangran-
de: una sintesi, in Vita Nova, Fiore, Epistola XIII, a c. di M. GRAGNOLATI-L.C. ROSSI-P.
ALLEGRETTI-N. TONELLI-A. CASADEI, Firenze, SISMEL-Edizioni del Galluzzo, 2018,
pp. 277-310; P. DE VENTURA, Dante e Cangrande, Dupin e Salomone, in Vita Nova, Fio-
re, Epistola XIII, cit., pp. 311-333; G. INDIZIO, L’Epistola XIII: primi appunti per un ap-
proccio sistemico alle questioni attributive, in Vita Nova, Fiore, Epistola XIII, cit., pp. 335-
373; M.VEGLIA, Dante e Cangrande tra Verona e Ravenna, in Vita Nova, Fiore, Epistola
XIII, cit., pp. 375-405; T. RICKLIN, L’Epistola a Cangrande: elementi assodati e nuovi spun-
ti a proposito di un testo contestato, in «Rivista di studi danteschi», 15 (2015), pp. 66-97;
CASADEI, Dante. Altri accertamenti e punti critici, cit., pp. 31-102. Per il testo dell’Epistola
a Cangrande, si fa riferimento all’edizione critica a cura di E. Cecchini, Firenze, Giunti,
1995, confrontata con il testo rivisto da Azzetta.
91
L’Epistola presenta una struttura molto articolata. Thomas Ricklin ne mette in ri-
salto il carattere parallelo di epistola, oratio (contenuta nell’exordium e vinculum del-
l’epistola), e lectio (che si sviluppa nella parte della narratio dell’epistola e contiene l’ac-
cessus svolto secondo i tradizionali sex inquirenda). Dante adotterebbe per ciascuno di
questi generi i principi propri di ciascuno. Vedi RICKLIN, L’Epistola a Cangrande, cit.,
pp. 96-97 e l’introduzione di Azzetta in DANTE, Epistole, Egloge, Questio de aqua et ter-
ra, cit., pp. 275-282.
92
La dedica al «Magnifico atque victorioso domino domino Cani Grandi», riman-
da al 1311, data in cui Cangrande viene nominato Vicario imperiale di Verona (17-3-
1311). L’anno successivo lo sarà di Vicenza (12-2-1312) ed entrambe le nomine saranno
confermate da Federico d’Austria nel 1317. Il termine ante quem sembrerebbe essere la
sconfitta di Cangrande ad opera dei padovani a Bassanello nell’estate del 1320 (Padova,
26-8-1320), data dopo la quale l’appellativo “vittorioso” della dedica sembrerebbe fuo-
ri luogo. Per le più recenti biografie che hanno contribuito, non senza punti discordi, a
ricostruire gli anni dell’esilio e le vicende rilevanti anche ai fini della possibile datazione
258 SUSANNA BARSELLA

dotta con accuratezza nei commenti delle edizioni più recenti curati
da studiosi del calibro di Luca Azzetta, Claudia Villa, Manlio Pastore
Stocchi e dagli studi più recenti in particolare di Alberto Casadei, Giu-
seppe Indizio, e Marco Veglia tra altri, forniscono ulteriori limiti al-
l’interpretazione accertando date rilevanti per la composizione del-
l’epistola, per il secondo soggiorno veronese di Dante, per la compo-
sizione del Paradiso, e per gli eventi che potrebbero avere influenzato
le relazioni tra Dante e Cangrande. Importanti sono stati inoltre nel
corso del dibattito che dura ormai da più di un secolo, i riscontri sul
lessico e lo stile, in genere ma non unanimemente positivi, e quelli sul-
la struttura dell’Epistola, che rivela elementi innovativi piuttosto che
attribuibili ad imperizia nell’ars dictandi dell’autore. La presenza di ri-
ferimenti ad opere dantesche circolanti soltanto in una ristretta cer-
chia tra Ravenna, Bologna e Firenze almeno fino agli anni ’40 ha ri-
stretto le ipotesi su eventuali autori alternativi a Dante. Sul versante
delle datazioni fondamentali sono i rilievi di Casadei sull’impossibili-
tà di trovare una data di spedizione della lettera compatibile con l’in-
vio della cantica finita.93 Importanti sono stati infine i contributi in me-
rito alla coerenza concettuale tra accessus e Paradiso. Questi vari filoni
di ricerca hanno ristretto il campo delle ipotesi relative all’attribuzio-
ne ma, per ammissione degli stessi filologi, non sono ancora decisivi.94
In questo contesto assumono crescente rilevanza i dati extratestuali di
carattere storico e biografico e acquista rilievo la ricerca sulle possibi-
li discrepanze nei contenuti quali ad esempio la questione della di-
stinzione tra i termini “penetrare” e “risplendere” (Par. I 1-3), rile-
vantissima per la cosmologia del Paradiso poiché rimanda indiretta-
mente ai diversi gradi di intensità di illuminazione tramite i cori ange-

e attribuzione dell’epistola si vedano: M. SANTAGATA, Dante. Il romanzo della sua vita, Mi-
lano, Mondadori, 2012; G. INDIZIO, Problemi di biografia dantesca, Ravenna, Longo,
2014; G. INGLESE, Vita di Dante. Una biografia possibile, Roma, Carocci, 2015; E. PA-
SQUINI, Vita di Dante. I giorni e le opere, Milano, Rizzoli, 2015; M. TAVONI, Qualche idea
su Dante, Bologna, il Mulino, 2015; M. VEGLIA, Dante leggero. Dal priorato alla “Com-
media”, Roma, Carocci, 2017.
93
Vedi CASADEI, Dante. Altri accertamenti e punti critici, cit., pp. 34, 52-56 e 67-87.
94
Cosí si esprime nelle sue conclusioni INDIZIO, L’Epistola XIII: primi appunti per un
approccio sistemico, cit., p. 372: «Non mancano invero punti non si dica ignorati ma for-
se da lumeggiare meglio di quanto non sia stato fatto fin qui. […] La strada verso una
soluzione condivisa, ammesso ciò sia possibile e, a tutto dire, auspicabile (il dissenso ha
costretto i sostenitori della communis opinio a precisare, chiarire, migliorare la qualità del-
le proprie proposte esegetiche), sembra ancora lunga».
DANTE E LA MACHINA MUNDI 259

lici, e ignorata invece nell’Epistola.95 In questa prospettiva è rilevante


valutare la compatibilità della visione cosmologica sottesa dall’Episto-
la XIII e quella esplicata nella Commedia. In questa sede mi limito a di-
scutere due problemi: il sistema di illuminazione delle gerarchie ange-
liche presente nel poema e quello descritto in Ep. XIII 60-61; e il pro-
blema dell’origine del movimento delle sfere celesti a cui rimanda Ep.
XIII 71.

Gerarchia e Luce

Nel primo passo, dopo aver introdotto l’intenzione di spiegare i


versi di apertura di Par. I, l’autore illustra come la trasmissione della lu-
ce avvenga in modo gerarchico dalle intelligenze superiori a quelle in-
feriori, di ordine in ordine (Ep. XIII 60-61):
propter quod patet quod omnis essentia et virtus procedit a prima, et in-
telligentiae inferiores recipiunt quasi a radiante et reddunt radios superioris ad
suum inferius ad modum speculorum. Quod satis aperte tangere videtur Dio-
nysius De celesti hierarchia loquens. Et propter hoc dicitur in libro De causis
quod «omnis intelligentia est plena formis». Patet ergo quomodo ratio manife-
stat divinum lumen id est divinam bonitatem, sapientiam et virtutem, resplen-
dere ubique.

Per ciò è chiaro che ogni essenza e virtù procede dalla prima, e che le in-
telligenze inferiori ricevono quasi come da una fonte irraggiante e riflettono i
raggi dell’ente superiore verso ciò che è a esse inferiore a modo di specchi. E
questo sembra toccare abbastanza apertamente Dionigi, parlando della gerar-
chia celeste. E per questo si dice nel libro Delle cause che «ogni intelligenza è
piena di forme». È chiaro dunque in che modo la ragione manifesta che la luce
divina, cioè la divina bontà, la sapienza e la virtù, risplende ovunque.

Il passo si riferisce alla sezione della lettera in cui l’autore descrive

95
Vedi per esempio il dibattito recente sulla questione dell’interpretazione della pri-
ma terzina del Paradiso e le incongruenze nella spiegazione del «penetra» e «risplende»
trattate come idealmente equivalenti nell’epistola ma certamente non tali nella Comme-
dia, cfr. A. CASADEI, «Per l’universo penetra...»: un’esegesi contro la “Epistola” a Can-
grande,” in Encyclopaedia Mundi. Studi di letteratura italiana in onore di Giuseppe Maz-
zotta, a c. di S.U. BALDASSARRI-A. POLCRI, Firenze, Le Lettere, 2013, pp. 59-70; SIGNO-
RI, Sulla distinzione di luce e gloria nel “Paradiso” dantesco, cit.
260 SUSANNA BARSELLA

la natura degli angeli secondo la loro essenza, ovvero la loro quidditas,


che indica ciò in cui il loro essere si attualizza.96 L’autore assume che le
intelligenze ricevano l’illuminazione divina in modo gerarchico, e cita
direttamente lo Pseudo-Dionigi. Il riferimento all’ordinamento gerar-
chico secondo il dettato pseudo-dionisiano espressamente citato lascia
intuire che nella Commedia gli ordini inferiori ricevano la loro virtù da
quelli superiori nello stesso modo in cui un raggio luminoso (radian-
te) si propaga attraverso uno specchio, arrivando dall’alto e rifletten-
dosi verso il basso. Come abbiamo visto, questa gerarchia di illumina-
zione nei due movimenti principali di ascesa e discesa della luce è pro-
pria del sistema descritto nel De coelesti hierarchia dello Pseudo-Dio-
nigi, in cui la propagazione della luce con il suo portato di conoscen-
za divina e scienza pratica della funzione angelica nel cosmo è stretta-
mente gerarchica e costituisce l’esemplare su cui si modella la gerarchia
ecclesiastica. Non è tuttavia l’ordine che troviamo nella Commedia. In
Dante gli ordini angelici riflettono il raggio di luce che ricevono diret-

96
Questo passo riguarda la definizione degli angeli rispetto alla loro essenza, e se-
gue la definizione rispetto all’essere. Il problema si può collegare con i passi della Com-
media che definiscono la natura degli angeli come atti puri. Anche questo ha dato origi-
ne a ampio dibattito per il quale rimando alla bibliografia della nota 15. Il problema del-
l’atto puro nasceva anche per i risvolti di possibili contaminazioni averroiste, o suppo-
ste tali, già avanzate a suo tempo da Nardi ma in larga parte minimizzate in interventi re-
centi. Si possono distinguere due ordini di problemi. Uno è la definizione degli angeli co-
me atto puro; l’altro riguarda la possibilità che gli angeli possano allo stesso tempo con-
templare e muovere le sfere celesti. Per quanto riguarda il primo problema, la defini-
zione degli angeli come “atti puri” non risulta originale di Dante ma sarebbe in realtà pre-
sente in teologi che sostenevano l’identità di essere e pensare nelle sostanze separate,
pur mantenendo, come Dante, una distinzione fra creature e Dio. Per l’uso di “atto pu-
ro” riferito agli angeli vedi BIANCHI, L’averroismo di Dante, cit., pp. 87-93. Inoltre, nei
termini della trattazione tomistica che distingue l’essere e l’essenza negli angeli, essi so-
no dotati di potenza rispetto all’essere (potentia ad esse) per il fatto che sono stati creati
ma sono atti puri rispetto all’essenza, ovvero ciò per cui non possono essere che ciò che
sono (quidditas nel linguaggio di Tommaso d’Aquino), ovvero nel loro atto naturale di
continua intellezione. Dante, introducendo il ruolo degli angeli come motori delle sfere
celesti, deve includere l’operazione di movimento dei cieli nella definizione di ciò che co-
stituisce la loro essenza perennemente attualizzata. Se cosí non fosse i cieli non rivolge-
rebbero con continuità con ovvie conseguenze di stasi che farebbero venire meno l’in-
tero processo provvidenziale in atto della creazione. Bruno Nardi ricostruisce lo svilup-
po del pensiero dantesco su questo punto, dal Convivio alla Commedia, in Tutto il frut-
to ricolto del girar di queste spere, in ID., Dante e la cultura medievale, Roma-Bari, Later-
za, 1983 (1942), pp. 245-264.
DANTE E LA MACHINA MUNDI 261

tamente sui cieli che muovono e tale raggio attiva in questi le virtù for-
mative che vi si trovano in potenza. Il riferimento a Dionigi Aeropagi-
ta, suggerisce che a quest’altezza della composizione del poema e del-
l’Epistola, Dante ne conosce l’opera e probabilmente pensa di seguir-
la, ma forse non ha ancora deciso di fondere il sistema dionisiano con
quello delle intelligenze aristoteliche.
Nel passo in questione, gli angeli sono inoltre considerati nella lo-
ro funzione squisitamente illuminativa: in qualità di specchi che ri-
frangono la luce divina in modo indiretto e con diversa intensità a se-
conda della loro capacità di riceverla. Ma a differenza dell’ordinamento
dionisiano, nella Commedia gli angeli non hanno una visione gerar-
chica della luce divina ma una visione immediata e diretta resa possi-
bile dall’intervento del lumen gloriae. Tale modo di costruire il mec-
canismo della visione angelica è funzionale alla meccanica celeste che
assegna ad ogni cielo un ordine angelico come suo “motore”. Tale fun-
zione motrice costituisce la maggiore discrepanza tra lo Pseudo-Dio-
nigi e Dante dal momento che questa non è affatto contemplata dal-
l’autore neoplatonico mentre nel poema questo ruolo è attribuito a tut-
ti gli ordini secondo una corrispondenza biunivoca tra cieli e angeli. Ta-
le innovazione è, come abbiamo visto, cruciale per il funzionamento
del modello cosmologico e parte costitutiva del poema stesso. Eppu-
re, sorprendentemente, né in questo passo né altrove nell’Epistola vi è
un accenno ad un dato testuale e concettuale di rilevanza tale da in-
durre Beatrice a proclamare la ricusazione di Gregorio Magno a favo-
re di Dionigi. Un omaggio che presenta una punta di ironia se si pen-
sa quanto la cosmologia dantesca si allontani da quella del suo pre-
sunto modello. Si può dunque rilevare che l’ordine di illuminazione
pseudo-dionisiano presentato in Ep. XIII 60-61 non riflette quello in
opera nell’architettura cosmologica dantesca fondato sull’unità delle
operazioni angeliche di illuminazione e di movimento celeste.97
Un altro punto problematico nel passo in considerazione è che l’au-
tore non distingue tra luce ed essenza trinitaria («divinam bonitatem,
sapientiam et virtutem»), così come non distingue tra splendore e glo-
ria. Egli affida alla luce il compito della trasmissione delle forme dalla

97
Si deve inoltre tenere presente che l’ordine di illuminazione corrisponde all’ordi-
ne della visione, tema che, come abbiamo visto, era stato ampiamente dibattuto dai teo-
logi perché su questo si decideva la questione più ampia della specificità della cono-
scenza angelica e della scalarità nell’ordine dell’essere tra le creature.
262 SUSANNA BARSELLA

mente degli angeli («pieni di forme») ai cieli, rendendola quindi non


solo strumentale alla visione beatifica, come abbiamo visto nelle se-
zioni precedenti, ma coincidente con il divino e quindi rispondendo ad
una concezione più vicina a quella della metafisica della luce. Non a ca-
so l’autore, dopo lo Pseudo-Dionigi, cita il Liber de causis, attribuito ad
Aristotele ma già da Tommaso ricondotto alla Elementatio theologica
di Proclo, in cui si trovano le proposizioni riguardanti la funzione de-
gli angeli come cause seconde (da cui l’allusione agli angeli «pieni di
forme»), funzione che come è stato dimostrato gli angeli danteschi non
svolgono.98 Nella Commedia si parla infatti di virtù formativa, mentre
le forme-idee nella Commedia sono create insieme alla materia nelle
sostanze “miste” (Par. XXIX 22-24).
I richiami ai testi neoplatonici suggeriscono un sistema in cui gli an-
geli non hanno una funzione cosmologica ma solo illuminatrice coe-
rentemente alla tradizione pseudo-dionisiana e con l’aggiunta di un ele-
mento di causalità che rafforzerebbe il ruolo di mediazione delle so-
stanze angeliche. Non solo questo modello non corrisponde a quello
della Commedia, ma se il Paradiso fosse stato finito e inviato insieme al-
la Epistola vorrebbe dire che l’autore, dopo aver investito notevolmen-
te nell’invenzione di una originale cosmologia fisico-teologica, non
avrebbe poi ritenuto di doverne fare menzione al destinatario di tanta
opera. Verrebbe da dire quello che ebbe già ebbe a dire Jean Pépin ri-
guardo al modo di trattare le questioni dell’allegoria nell’Epistola:
Comment comprendre, dans ces conditions, que tout ce dispositif savam-
ment élaboré devienne immédiatement lettre morte, et que l’exposé du chapitre
8, dont le propos est d’analyser l’intention du poète, se limite expressément à
considérer deux sens, littéral et allégorique? […] si l’on devait, dans le débat pour
ou contre l’authenticité de la Lettre à Cangrande, tirer argument de son contenu
touchant l’allégorie, on voit que la conclusion ne serait pas totalement positive.99

98
Raffi osserva che Dante usa “creazione” solo due volte e in entrambe sembrereb-
be indicare la creazione ad opera divina dal nulla, mentre usa solo due volte “informa-
re” riferito ai corpi celesti (Conv. IV II 6-7), vedi RAFFI, Dante e il “Liber de causis”, cit.,
pp. 24-25.
99
J. PÉPIN, La théorie dantesque de l’allégorie, entre le “Convivio” et la “Lettera a
Cangrande”, in Dante. Mito e poesia, a c. di M. PICONE-T. CRIVELLI, Firenze, Cesati, 1999,
pp. 51-64, 63-64.
DANTE E LA MACHINA MUNDI 263

Il moto della Luna

L’altro passo problematico che attiene direttamente alle questioni


cosmologiche si trova in Ep. XIII 71. L’autore dell’accessus, dopo un’in-
troduzione articolata sulla base dei sei punti canonici della trattazione
dottrinale, inizia l’esegesi di Par. I 1-3 e si accinge a dimostrare che
l’Empireo è il cielo che “riceve più della divina luce”. La dimostrazio-
ne si articola in due argomenti, il primo è che l’Empireo è il cielo che
contiene tutto senza essere contenuto da nulla (e allora forse non sa-
rebbe del tutto spirituale se non fosse in qualche modo separato da ciò
che contiene); il secondo è che è il cielo immobile. Del primo argo-
mento dà una spiegazione basata sulla Fisica di Aristotele: l’Empireo
è causa di tutte le cose e, poiché ogni forza causativa è «raggio ema-
nante dalla prima causa» (Ep. XIII 70) ovvero Dio, questo cielo deve
ricevere più della luce divina di ogni altro che è causato.100 Il secondo
argomento si basa sull’idea aristotelica di moto causato da “appetito”
ovvero mancanza di qualcosa (Ep. XIII 72):
Illud igitur celum quod a nullo movetur, in se in qualibet sui parte habet
quicquid potest modo perfecto, ita quod motu non indiget ad suam perfectio-
nem.

Dunque quel cielo che non è mosso da nulla, ha in sé, in qualsivoglia sua
parte, qualunque cosa può avere in modo perfetto, così che non ha bisogno del
moto per la sua perfezione.

L’Empireo è immobile in quanto “perfetto”, ovvero compiuto per-


fettamente nelle sue parti. Ma si deve ricordare che i seggi non sono an-
cora tutti occupati in Par. XXX, e che il fiume di luce e poi la rosa ci
mostrano un movimento continuo all’interno del cielo. Non sembre-
rebbe che la sfera immobile avendo moto interno possa definirsi “per-
fetta” prima del giudizio universale.101
Per rafforzare la sua dimostrazione poco sopra l’autore aveva por-
tato l’esempio di come invece il moto si generi nelle altre sfere dotate
di materia (Ep. XIII 71):

100
Dio è qui il punto luminoso.
101
Vedi il commento a Ep. XIII in DANTE, Epistole, Egloge, Questio de aqua et ter-
ra, cit., per le fonti ed il raccordo tra questo passo e il Convivio.
264 SUSANNA BARSELLA

Omne quod movetur, movetur propter aliquid quod non habet, quod est
terminus sui motus; sicut celum lune movetur propter aliquam partem sui, que
non habet illud ubi ad quod movetur; et quia sui pars quelibet non adepto quo-
libet ubi, quod est impossibile, movetur ad aliud, inde est quod semper move-
tur et nunquam quiescit, et est eius appetitus. Et quod dico de celo lune, intel-
ligendum est de omnibus, preter primum.

tutto ciò che si muove, si muove a motivo di qualcosa che non ha, che è il
termine del suo moto; così come il cielo della luna si muove a motivo di qual-
che parte di sé che non ha quel ‘dove’ verso il quale si muove; e perché una
qualsiasi parte di sé, non avendo raggiunto un qualsivoglia ‘dove’, che è impos-
sibile, si muove verso altro, ne deriva che sempre si muove e mai riposa, ed è il
suo appetito. E ciò che dico del cielo della luna si deve intendere di tutti eccet-
to il primo.

Secondo questa spiegazione tutti i cieli si muovono per effetto del


loro “appetito” ad esclusione del primo, cioè l’Empireo. Il passo ri-
manda ad un assetto cosmologico fondato sull’interiorizzazione nei
corpi celesti dei principi aristotelici di causalità e di moto originato da
una privazione di qualcosa («il termine del suo moto») a cui tendono
per raggiungere un equilibrio in quiete, impossibile a raggiungersi nei
corpi dotati di moto circolare. Le sfere sono infatti sempre in potenza
per quanto riguarda il loro moto locale dal momento che non esiste
nella circolarità del moto un punto “preferibile” ad un altro. La pri-
vazione come causa dell’appetitus si definisce quindi sia in Ep. XIII 71
(e Conv. II III 3-9) in termini fisici come potenzialità rispetto al moto
(potentia ad ubi). L’appetitus di cui si parla qui non ha quelle implica-
zioni di natura teologica che caratterizzano invece l’appetitus delle in-
telligenze motrici nella Commedia per le quali non è mancanza di qual-
cosa afferente alla loro natura ma, andando oltre la loro natura, divie-
ne desiderio di Dio.
Nel lasciar intendere che la Luna si muoverebbe per propria intel-
ligenza così come tutti gli altri cieli, incluso il Primo Mobile, il passo
dell’Epistola XIII in questione presenta una visione della cosmologia
della Commedia che non corrisponde né a quella del Convivio né a
quella iniziale che abbiamo commentato per Par. II, e decisamente nep-
pure a quella finale dei canti XXVII-XXIX del Paradiso, in cui l’ipo-
tesi di una anima mundi dei corpi celesti, come abbiamo già avuto mo-
do di vedere, non si riscontra.102

102
Vedi paragrafo 5.
DANTE E LA MACHINA MUNDI 265

Le questioni riguardanti la gerarchia di illuminazione, l’azione mo-


trice degli angeli, e l’origine del moto celeste sono elementi presenti
nell’Epistola ed in contraddizione con quanto possiamo ricostruire del
disegno cosmologico della Commedia. Si può dire che quanto osservato
sembrerebbe rafforzare l’ipotesi già avanzata dagli studiosi che l’ese-
gesi, se autentica, sia stata scritta in ogni caso prima della composizio-
ne dei canti XXVII-XXIX del Paradiso, e in ogni caso quando il siste-
ma cosmologico imperniato sull’operazione motrice dei cori angelici
non era ancora definito. Tuttavia, l’esplicito richiamo dell’Epistola al-
l’invio dell’intera “cantica” del Paradiso potrebbe contraddire questa
ipotesi portando a rigettarne l’autenticità. Se al contrario si reputa pos-
sibile un invio dell’Epistola accompagnata solo dai primi canti del Pa-
radiso si deve allora concludere che se l’autore è Dante, non aveva an-
cora finito il Paradiso, e se l’autore non è Dante o non conosceva tut-
ta la cantica, o interpretava la cosmologia della Commedia sulla base
del Convivio e dei primi canti del Paradiso. Nel primo caso, una pos-
sibile ragione per il mancato invio dell’Epistola sarebbe allora forse da
ricercarsi in un cambiamento di idee rispetto alla cosmologia descrit-
ta nell’Epistola, divenuta di fatto obsoleta. Quali che siano le convin-
zioni al proposito, rimane tuttavia un dato di fatto: le note angeliche
dell’Epistola a Cangrande non sono le stesse dell’armonia celeste del-
la Commedia.

Susanna Barsella (Fordham University New York): barsella@fordham.edu


INDICI
CRITERI DI INDICIZZAZIONE

Si pubblicano qui di seguito gli Indici complessivi di questo numero della Rivista (Indice
dei manoscritti e dei documenti d’archivio e Indice dei nomi), per i quali il rinvio è ai numeri
di pagina, contrassegnati da una “n.” per le occorrenze in nota. Le occorrenze a testo o in no-
ta che risultano consecutive in un intervallo pari o superiore a tre pagine sono indicate sinte-
ticamente con la prima e l’ultima pagina separate da un trattino.
L’Indice dei manoscritti e dei documenti d’archivio registra tutte le testimonianze mano-
scritte e i documenti d’archivio ricorrenti nel volume, secondo il consueto ordine alfabetico
per luogo di conservazione, fondo e segnatura. Ove opportuno, sono registrate anche le an-
tiche stampe, incunaboli e cinquecentine, consultate alla stregua di novi codices. A fianco del-
la segnatura dei codici qui registrati si è anche indicata fra parentesi quadre l’eventuale sigla,
o le sigle, con cui i manoscritti sono citati nei diversi articoli.
L’Indice dei nomi identifica e registra, nella forma vulgata completa e corrispondente, tut-
ti i nomi propri e di famiglia dei personaggi storici, i nomi degli autori e degli studiosi moderni
ricorrenti nel volume, nonché i titoli di opere o componimenti adespoti e i libri della Bibbia.
I sovrani sono indicizzati sotto il loro nome personale, mentre i nomi di tutti gli altri esponenti
non regnanti della medesima dinastia ricorrono sotto il nome di famiglia; i papi sono indiciz-
zati sotto il nome pontificale; i personaggi storici e gli autori noti con appellativi toponimici
e patronimici ricorrono sotto il relativo nome proprio; sono inoltre indicizzati anche i nomi
di personaggi ricorrenti negli atti documentari con il solo nome di battesimo; ove del caso, il
lemma del personaggio è stato corredato di essenziali indicazioni relative alla carica politica
o religiosa (imp., re, papa, vesc. ecc.) o ai vincoli di parentela con altri personaggi. Da questo
Indice è ovviamente escluso il nome di Dante Alighieri, citato pressoché a ogni pagina.
INDICE DEI MANOSCRITTI E
DEI DOCUMENTI D’ARCHIVIO

AUSTIN CHANTILLY
University of Texas Musée Condé
Phillipps 8881 [Phillipps 8881]: 45 597 [Cha]: 20-28, 38, 48n.

BELLUNO CITTÀ DEL VATICANO


Biblioteca del Seminario Biblioteca Apostolica Vaticana
35 [Lo]: 38n. Pal. lat. 1675: 282n.
Pal. lat. 1729: 197-199
BERLIN Reg. lat. 1572: 105n.
Staatsbibliothek Preußicher Kulturbesitz Urb. lat. 365 [Urb. 365]: 45
Hamilton 203 [Ham]: 18-28, 30-32, 36, Urb. lat. 366 [Urb]: 15, 18-28, 31, 34-39,
38, 46, 47 41-43, 45-50, 277
Vat. lat. 1592: 149
BERN Vat. lat. 2826: 150
Burgerbibliothek Vat. lat. 3199 [Vat]: 18, 20-28, 30 e n., 31,
327: 145n. 33n., 37, 38, 41, 43, 46-48
622: 122n. Vat. lat. 4252: 150

BOLOGNA DRESDEN
Biblioteca Universitaria Sächsische Landes- Staats- und Univer-
589 [Bol. Un. 589]: 45, 46n. sitätsbibliothek
Ms. Dc. 152: 269-282
BRESCIA
Biblioteca Queriniana FIRENZE
A IV 10: 150 Archivio di Stato
Arte dei giudici e notai
BRUXELLES 5: 302
Bibliothèque Royale 6: 302, 337n.
10063-10065: 143n. Arte dei medici e speziali
7: 302, 356n., 357n., 360n., 365-373
BUDAPEST 8: 355, 356n., 365-373
Egyetemi Könyvtári 9: 365-373
Ms. It. I [Bud]: 38 21: 365-369
400 INDICI

Archivio Storico della Zecca scane), 19.VIII.1340: 342n.


79: 309 - Galluzzo, S. Lorenzo Martire
Capitani di Parte Guelfa. Numeri Rossi 31.XII.1321: 340n.
26: 302 11.II.1322: 342n.
42: 302 21.IV.1323: 342n.
43: 302, 349n. - Menozzi (acquisto), 10.I.1331: 338n.
44-45: 302 - Peruzzi de’ Medici (deposito),
Carte di Corredo 1.III.1348: 348n.
1-2: 302 - Portico, S. Maria della Disciplina,
38: 302, 318 27.IX.1317: 340n.
Curia del Capitano del Popolo e del Po- - Ricci (acquisto), frammento di registro
destà dal 25.II-15.III.1330: 342n.
Appendice 1 e 2: 301, 327 - Riformagioni. Atti pubblici
Diplomatico 11.VI.1313: 338n.
- Archivio Generale dei Contratti 2.IX.1314: 338n.
28.IX.1298: 338n. 30.V.1324: 338n.
29.VIII.1307: 338n. 27.III.1358: 338n.
15.IX.1310: 338n. 14.VIII.1358: 338n.
31.V.1311: 338n. 6.VIII.1362: 338n.
28.V.1313: 338n. - S. Donato in Polverosa o a Torri (bene-
21.XI.1314: 338n. dettine)
29.III.1315: 338n. 12.XII.1314: 350n.
9.XI.1315: 338n. 12-22.XII.1314: 350n.
7.XI.1332: 338n. - S. Pancrazio, 18.IX.1313: 350n.
7.IV.1334: 342n. - Strozziane Uguccioni
8.VIII.1319: 338n. 19.VII.1316: 338n.
- Balducci Pegolotti (acquisto), 6.VII.1333: 343n., 344n., 345n.
27.VII.1318: 350n. XII.1331: 344n.
- Capitani di Orsanmichele, 8.VIII.1319: Estimo
341n. 3: 301, 368n.
- Firenze, S. Francesco, 9.VIII.1322: 7: 301
343n. 8: 301, 347n., 356, 380n., 381n.
- Firenze, S. Frediano in Cestello già S. 14, 271, 292, 293: 301
Maria Maddalena (cistercensi) 306: 301, 341n., 370, 373n., 380n.
5.V.1306: 340n. Libri fabarum
28.V.1333: 339n. 11: 302
28.III.1329: 342n. 12: 302, 309, 320
- Firenze, Innocenti, Ospedale 7.VI.1340: 13: 302, 310, 311
340n. 14: 302, 311
- Firenze, S. Maria degli Angioli, Camal- 15: 302, 312, 313
dolesi 9.XII.1339: 340n. 16: 302, 314
- Firenze, S. Maria Novella (domenicani), 17: 302, 314, 315
21.VIII.1346: 342n. 18-30: 302
- Firenze, S. Maria Nuova (ospedale) Mercanzia
22.VI.1346: 341n. 135: 302
20.VI.1348: 349n., 356n. 136: 302, 309
- Firenze, S. Niccolò di Cafaggio (france- 137-140: 302
INDICE DEI MANOSCRITTI 401

141: 313 435-436: 302


142: 314 1014: 302, 347n.
143: 315 1080: 302
144-159: 302 2491: 302, 347n.
1030: 302 2646: 302
1031-1033: 302, 350n. 2741: 302, 348n., 373n.
1034-1044: 302 2757: 302, 347n.
1045: 302, 350n., 358n. 2764: 302, 341n., 352n.
1046-1053: 302 e n. 2792: 302, 342n., 347n.
1054: 302, 357n., 358n. 2810: 302, 347n.
1055-1057: 302 e n. 2812: 302, 342, 347n.
1058: 302, 351n. 2835: 302n.
1059-1060: 302 3947: 302, 347n., 352n., 369n., 381n.
1061: 302, 351n., 358n. 3948: 302, 342n., 348n., 349n., 357,
1062: 302, 358n. 381n.
1063-1065: 302 e n. Notarile Antecosimiano
1066: 291, 302, 351n., 358n., 372, 251: 301, 342n., 348n., 351n.
376n., 380 439: 301, 373n.
1067-1072: 302 e n. 1716: 330
1073: 291, 299, 302, 328, 351n. 7999: 301
1074-1081: 302 e n. 8000: 301, 341n., 346n., 381n.
1082: 302, 349 15166: 301
1083-1103: 302 e n. 18432: 340n., 352n.
1104: 358n. 21272: 301
1105-1107: 302 e n. 21273: 301, 342n., 348n.
1108: 302, 346n., 358n. Prestanze
1109: 302, 349n., 356n. 3: 302
1110: 302 Provvisioni
1135: 363 23-37: 301
4115-4158: 302 e n. Signori, Missive, I Cancelleria
4159: 291, 302, 376n. 1-10: 302
4160-4162: 302 e n.
4163: 291, 299, 302, 376n., 382 Biblioteca Marucelliana
4164: 291, 299, 331 A 150: 298
4165-4168: 302
4169: 316 Biblioteca Medicea Laurenziana
4170-4171: 302 e n. Plut. XXIII dex. 11: 101, 108, 115, 150
4172: 302, 330n., 350 Plut. XXVI sin. 1 [LauSC]: 41n., 44, 45
4173: 302, 329n., 332n., 352n. Plut. XXXIV 1: 117
4174: 302, 330n., 350 Plut. XL 1 [Laur. 40.1]: 45-47
4175-4195: 302 e n. Plut. XL 16 [Lau 40.16]: 38
11844-11862: 302 Plut. XL 22 [Laur]: 18-28, 38, 39, 41, 43,
11298-11307: 302 46, 47
14070-14078: 302 Plut. XC sup. 125 [Ga]: 20, 38n.
Monte Comune o delle Graticole, parte II Ashb. 828 [Ash]: 15, 18-28, 31-36, 38-40,
334/bis: 302, 347n., 356, 380n., 381n. 42, 43, 47, 48 e n., 277
339: 302, 380n.
402 INDICI

Biblioteca Nazionale Centrale 1080 [Triv]: 15, 18-31, 34, 35, 41-43, 47,
II I 39 [Fior. II I 39]: 37, 38 49-51 e n.
Conv. Soppr. H.8.1012: 38n., 296
Pal. 313 [Po]: 18-28, 30n., 31, 37, 41, 43, MODENA
46, 47 Biblioteca Estense Universitaria
Pal. 319 [Fior. Pal. 319]: 38 It. 474: 45
Poligrafo Gargani 2145: 314 Lat. 123 (alfa T. 6.4): 150

Biblioteca Riccardiana NAPOLI


1005 [Rb]: 15, 19-29, 31, 32, 34, 36, 37, Biblioteca Nazionale
39, 40, 42, 43, 46, 48-50 XIII G 33: 150
1010 [Ricc]: 38n.
Biblioteca Oratoriana del Monumento Na-
FRANKFURT AM MAIN zionale dei Girolamini
Stadt- und Universitätsbibliothek C.F.2.16 [Fi]: 19-28, 34, 37, 46, 47
Ausst. 33 [Franc]: 45
OXFORD
LONDON Bodleian Library
British Library Lat. Class. D. 1: 150
Add. 17298: 150 Magdalen College Lat. 15: 143n.
Arundel 116: 282n.
Egerton 943 [Eg]: 15, 18-36, 38-43, 46-48 PADOVA
e n., 50n. Biblioteca del Seminario Vescovile
9 [Pad. 9]: 46n.
Lambeth Palace Library 67 [Pad. 67]: 46n.
Ms. 371: 6
PALERMO
LUCCA Biblioteca Centrale della Regione Siciliana
Biblioteca Capitolare Feliniana XIII G 1 [Pal. XIII G 1]: 46n.
524: 150
PARMA
MADRID Biblioteca Palatina
Biblioteca Nacional de España Parm. 1060 [Parm. 1060]: 45
10186 [Mad]: 18-28, 36, 38, 40, 41, 46 e n. Parm. 3285 [Parm]: 15, 18-29, 31-43, 45-
48 e n.
MILANO
Biblioteca Ambrosiana PARIS
H 70 sup.: 282 Bibliothèque Nationale de France
It. 538 [Pa]: 37
Biblioteca Nazionale Braidense It. 539 [Pr]: 20-28, 30n., 37, 41, 43, 46, 47
Aldina AP XVI 25 [Mart]: 15, 18, 20-31, Lat. 7641: 146
34, 35, 41-43, 47, 49 Lat. 7982: 151n.

Biblioteca Trivulziana PESARO


1047 [Triv. 1047]: 46n. Biblioteca Oliveriana
1077 [Tz]: 38n. 39 [Ol. 38]: 46n.
INDICE DEI MANOSCRITTI 403

PIACENZA UDINE
Biblioteca Comunale Passerini Landi Biblioteca Umanistica
190 [La]: 15, 18-40, 42, 43, 45-48 e n., Florio [F]: 44, 45
50n.

PISTOIA
Archivio di Stato
Liber censuum: 314
INDICE DEI NOMI

Abardo Rudy, VIIIn., XIn., 240n. Alighieri Iacopo, 17, 30n. 36, 42, 44,
Abbate Michele, 104n. 152n., 179, 285, 295n., 307, 308, 318,
Acciaiuoli, Compagnia degli, 339 320-322, 324, 325, 375
Adriano V, papa, 178n. Alighieri Pietro, 152n., 163, 172n., 319
Agnolo da Poggibonsi, 322n. Allegretti Paola, XII, 89n., 257n.
Agostino Aurelio, 7, 8, 57, 63n., 70, 73, Allegro Giuseppe, 246n.
78n., 80n., 83-86, 91 e n., 92, 94 e n., Alloatti Boller Sara, 115n.
97n., 98, 238, 239 e n., 251 e n. Altoviti Tommaso, 332n., 352n.
Airò Anna, 344n. Ambrogio, vesc. di Milano, 69n., 89n.
Al-Farghani, 10 Ambruogio di Baldo, 367
Al-Khwarizmi, 9 Amidei (degli) Tita di Arnoldo di Tano,
Al-Zarquali, 10 341 e n.
Alano di Lilla, 76 e n., 185 Andrea di Lapo di Firenze, 373n.
Albanese Gabriella, XII, 17n., 57n., 257n., Angiò (d’) Carlo, duca di Calabria, 43,
279n., 285n., 289n., 292n., 296n., 310, 311 e n., 317
298n., 299n., 306-308, 323n., 326n., Anonimo Fiorentino, 236
329n., 332n., 333n., 376n., 380n. Anonimo Latino, 179
Alberti, Compagnia degli, 305n., 353, 354 Anonimo Lombardo, 43
Alberti Caroccio, 311, 318, 353-355 Anselmo da Lucca, 75n.
Alberto di Sassonia, 194 Antinori, fam., 342
Alberto Magno, 10, 72 e n., 82 e n., 105n., Antonio da Parma vd. Pelacani Antonio
124 e n., 130, 169, 218 e n., 219n., Antonio da Fermo, 28
227n., 228n., 241, 242n., 246 e n., 248 Antonio di Piero Parigi, 367 e n., 372n.
e n., 249 e n., 254n. Antonio di Puccio, 367 e n.
Albizzi Taddeo, 343 e n. Apollonia, figlia di Bartolo di Mazzatello,
Albizzo di Lemmo, 298, 357, 359 341
Alderotti Taddeo, 125 e n., 132n., 138, 194 Apuleio Lucio, 104 e n., 105n.
Aldobrandino di ser Albizzo, 342n., 348n., Aquilecchia Giovanni, 308n.
351n. Ardengheschi, fam., 330
Alessandro di Afrodisia, 191 Ardinghi (Ardenghi), fam., 330
Alessandro di Hales, 10 Ardinghi (Ardenghi) Buono, 330 e n.
Alessio Gian Carlo, 279n. Ardizzone Maria Luisa, 212n., 229n.
Alfani Iacopa di Biliotto, 321, 322n. Arduini Beatrice, 59n.
Alighieri, fam., 299n., 324, 325 Ariani Marco, 206n., 217n., 242n., 243n.
Alighieri Cione di Brunetto, 319 Arias Gino, 309n., 315n.
INDICE DEI NOMI 405

Ariew Roger, 217n. Barbi Michele, VI-X, XIII e n., XIV e n., 287,
Aristotele, 9-11, 63-66, 77, 99, 101n., 102, 288 e n., 320n., 360n.
123, 124 e n., 127-129, 131, 133-135, Bardi, Compagnia dei, 347, 358
138-140, 142, 145, 175 e n., 185, 192, Bardi, fam., 350n.
193, 195, 212 e n., 214 e n., 219n., 246 Barnes John C., 119n.
e n., 262, 263 Barnum Priscilla H., 91n.
Arquès Corominas Rossend, 53 Barolini Teodolinda, 209n., 229n.
Arrigo VII, imp., 256n. Baroni Giovanni vd. Giovanni di Barone
Arrigo, fratello di Bartolo di Mazzatello, Barsella Susanna, 206n., 210n., 211n.,
341n. 219n., 221n., 242n., 244n., 246n.
Ascoli Albert Russell, XIIn., 121n., 136n. Bartoli Langeli Attilio, 271n., 379n.
Asor Rosa Alberto, 54, 119n. Bartoli Vittorio, 73n., 74n.
Astorri Antonella, 306n., 314n., 363 e n., Bartolino di Giovanni, 372n.
383n. Bartolo del fu ser Pucci, 352
Attendolo, giudice, 313n. Bartolo di Cecco, 368 e n.
Auerbach Erich, 86 e n., 96n., 155 e n., Bartolo di Giovanni, 372n.
158 e n., 163n. Bartolo di Mazzatello (Mazzatelli), 291,
Avalle d’Arco Silvio, 18, 19, 35, 50, 52 297, 300n., 302, 303n., 310, 317, 336,
Avarucci Giuseppe, 384n. 339-341, 343-345, 348, 349, 356, 376
Averroè, 77 Bartolo di Taccio (Tacci), 368
Avicenna, 74n., 211 Bartolomeo da Bologna, 243 e n.
Azzetta Luca, 37, 52, 59n., 139n., 198n., Bartolomeo di Bono, 368
256-258, 285n., 290n., 291n., 293n., Bartolomeo di ser Bernardo di Firenze,
294n., 296-300, 303n., 305-307, 351n.
328n., 330n., 331n., 334-336, 339 e n., Bartuschat Johannes, 213n.
340n., 344n., 345n., 349 e n., 353-355, Barzaghi Giuseppe, 133n.
361n., 376n., 378, 379n., 382n. Basile Tania, 279 e n.
Basserman Alfred, 164 e n.
Bacone Ruggero, 10, 105n. Bate Enrico, 192-194
Baggio Serenella, 270n. Battaglia Ricci Lucia, 12n., 206n.
Baglio Marco, 198n., 256n. Battegazzore Antonio Mario, 123n.
Bagnesi, fam., 345, 346 Becker Marvin, 304n.
Bagnesi Arrigo del fu Gentile, 343 Beda il Venerabile, 8, 91
Bagnesi Francesca, 343n. Bellini Enzo, 246n.
Bain Emmanuel, 78n., 90n. Bellomo Saverio, 168n., 171n., 173 e n.,
Baldassarri Stefano U., 259n. 175n., 176n., 179n., 180n.
Baldesi Giannotto, 358n. Bemrose Stephen, 206n.
Baldesi Turino di Baldese, 349n. Benci, Compagnia dei, 349
Baldinotti, fam., 342 Bendinelli Predelli Maria, 333n.
Bambaglioli Graziolo, 179 Bene da Firenze, 198 e n.
Banti Ottavio, 281n. Benedetto XII, papa, 238
Baran!ski Zygmunt G., 57-59, 61n., 70n., Bento di Giovanni da Monteceraia, 368
118-121, 136n., 206n., 208n., 250n., Benvenuti Gino, 281n.
255n. Benvenuto da Imola, 43, 114n., 134 e n.,
Barbadoro Bernardino, 303n., 309n. 152, 161, 172n., 173n., 227n.
Barbaro Ermolao, 271 e n. Bernaba di Francesco, 368
Bàrberi Squarotti Giorgio, 71n. Bernardi Marco, 129n., 144n., 151n.
406 INDICI

Bernardo di Chiaravalle, 72 e n., 74n. -, -, Apocalypsis, 6, 68, 174n., 219n.


Bernart Marti, 129n. Bieri Matteo, detto ‘Romagnatto’, 371 e n.
Bernasconi Reusser Marina, 326n. Biffi Inos, 86n.
Berndt Rainer, 252n. Bigi Vincenzo Cherubino, 221n.
Bernocchi Mario, 309n. Bilia, moglie di Gugliotto familiaris di Ca-
Bertelli Sandro, 52, 270n., 292n., 296n., roccio Alberti, 354
374n. Bilia, prima moglie di Giovanni Villani,
Berthier Joachim-Joseph, 95n. 344n., 345, 354n.
Bertrando del Poggetto (Bertrand du Pou- Billanovich Giuseppe, 295n.
jet), card., 312 Bindo di Bento di Giovanni da Montece-
Besomi Ottavio, 119n. raia, 369
Bettarini Francesco, 341n. Bindo di Ventura, 369n.
Bianchi Luca, 65n., 70n., 73n., 77n., Bino di Cecco, 369
213n., 218n., 238n., 260n. Black Crofton, 76n., 79n.
Bianchini Daniela, 166n. Black Deborah L., 102n.
Bianchini Niccolò di Giovanni, 371 Black Robert, 110n., 115-117
Bianchino di Giovanni di Bianchino, 368 Blomberg Craig L., 79n.
e n. Boccaccio di Certaldo, 351 e n.
Biblia Sacra Boccaccio Giovanni, 16, 17, 19n., 37, 108
-, Vetus Testamentum e n., 109, 117, 160 e n., 161, 173 e n.,
-, -, Genesis, 4, 98, 182 279
-, -, Liber Psalmorum, 70, 80n., 87 e n. Böckh August, 384, 385n.
-, -, Liber Proverbiorum Salomonis, 69 Boehmer Eduard, Vn.
-, -, Liber Ecclesiastes, 70n., 78n. Boezio Anicio Manlio Severino, 65n.,
-, -, Liber Canticum canticorum, 69 66n., 98, 101-117, 136-139, 142, 146,
-, -, Liber Sapientiae Salomonis, 70n. 147, 148-150, 221n.
-, -, Liber Isaiae prophetae, 78, 87 e n., 97, Bognini Filippo, 198n.
219n. Boiardo Matteo Maria, 43
-, -, Liber Hiezechielis prophetae, 88n. Boitani Piero, 240n.
-, Novum Testamentum Bologna Corrado, 129n.
-, -, Evangelium secundum Matthaeum, 57, Bonaccorsi vd. Buonaccorsi
68, 69, 72, 77, 78 e n., 81, 82 e n., Bonaccorsi de Boscoli Giovanni, 351n.
85n., 89 e n., 97, 219n. Bonaccorso di Amato, 351n.
-, -, Evangelium secundum Marcum, 57, 69, Bonaventura da Bagnoregio, 10, 69n., 74,
77, 82 78n., 83 e n., 89n., 211n., 213n., 219n.,
-, -, Evangelium secundum Lucam, 57, 69, 221n., 245, 246 e n., 248, 250 e n.
77, 83 e n., 90 e n., 91 e n., 93n., 94 Boncompagno da Signa, 88n.
e n. Bonfiglioli Silvestro, 351
-, -, Evangelium secundum Iohannem, 69, Bongi Salvatore, 281n.
71n., 72, 77n., 83, 96, 97n., 184 Bonifacio VIII, papa, 185
-, -, Liber Actuum Apostolorum, 87 e n. Bonifati Giovanni, 362n.
-, -, Ad Corinthios I, 74, 77, 87n. 94n., 238, Borghini Francesco, 311, 318
248 e n. Borgnet Auguste, 72n., 105n.
-, -, Ad Corinthios II, 162, 219n. Boschi Rotiroti Marisa, 38, 47, 52, 270n.,
-, -, Ad Philippenses, 87n. 292-294, 296n., 373n.
-, -, Ad Hebraeos, 77 Bosco Umberto, 153, 155 e n., 156, 161-
-, -, Epistula Petri II, 219n. 163, 168n., 173n.
INDICE DEI NOMI 407

Bossier Fernand, 192 e n., 193 Cambio di maestro Salvo, 315


Bossuat Robert, 76n. Cambio, cartolaio, 373n.
Botterill Steven, 168n., 170n. Camozzi Pistoja Ambrogio, 61n., 69n.,
Botticella Vanni, 269, 270, 281 e n. 88n., 93n., 120 e n.
Boyancé Pierre, 106n. Camporesi Piero, 182 e n., 187
Bozzi Andrea, XII Canfora Luciano, 52
Brambilla Ageno Franca, 57n., 65n., 212n. Capitani Ovidio, 61n.
Branca Vittore, XIIn. Cappelletti Leonardo, 239n.
Brandi Cione di Giovanni, 356, 369 Carabellese Francesco, 363 e n., 375
Breccia Laura, VIn. Caretti Lanfranco, 243n.
Breschi Giancarlo, 179n. Carlo di Valois, 353
Briguglia Gianluca, 68n. Carnini Filippo di Lapo, 369
Brilli Elisa, 197n. Caroti Stefano, 189 e n., 191, 211n.
Brink Charles Oscar, 123n. Carpi Umberto, 173 e n., 174 e n., 177n.,
Brugnoli Giorgio, 118n., 125n. 178n., 180 e n., 181 e n.
Brunetti Giuseppina, 115n. Carrai Stefano, 107 e n., 137n., 152n.
Bruno Giordano, 165 Caruso Carlo, 119n., 168n., 170-173
Brunone d’Asti, 70n. Casadei Alberto, 210n., 240n., 242n., 257-
Bruun Mette B., 78n. 259
Bufano Antonietta, 70n. Casanova Robin Hélène, 108n.
Buonaccorsi, Compagnia dei, 315, 316, Casella Mario, IX e n., X e n.
342, 345, 346 e n., 350, 351 e n., 353, Castellani, fam., 356n.
358, 376 Castellani Arrigo, 51, 334 e n.
Buonaccorsi Bandino 315 Castellani Michele di Vanni, 356n.
Buonaccorsi Bettino del fu Chele, 346, Castellani Vanni, 356n.
347n. Castracani Castruccio, 309, 318, 319 e n.,
Buonaccorsi Giovanni, 17, 29, 30, 31 321-324
Buonaccorsi Giovanni, 294, 339, 351n. Caterina da Siena, 183
Buonaccorsi Simone del fu Vanni, 344n., Caturegli Natale, 281n.
351n. Cavalcanti Guido, 77n.
Buonaccorsi Vanni, 339, 345 Ceccherini Irene, 59n., 326n., 361n., 373n.
Buonavolta di Fazio da Risanteri, 338 Cecchi Giovanni di Francesco di Neri,
Buondelmonti Lisa di Monte, moglie di 365, 367n.
Matteo Villani 346, 347n. Cecchini Enzo, 201n., 257n.
Buonocore Eleonora, 69n. Cecco d’Ascoli, 10
Buridano Giovanni, 191, 194 Cecco di Bino di Cecco, 369
Busnelli Giovanni, 57n., 136n. Cella Roberta, 333n.
Cerchi, Compagnia dei, 344
Caccia vd. Di Caccia Chabot Isabelle, 346n.
Cacciaguida, 330n. Chandelier Joël, 115n.
Cachey Jr. Theodore J., 62n., 205n., 208n., Chaucer Geoffrey, 91n.
210n., 215n. Cheneval Francis, 57n., 65n.
Caggese Romolo, 327n. Chiappelli Fredi, 132n.
Calcaterra Carlo, VIn. Chiavacci Leonardi Anna Maria, 153-155,
Calcidio, 185 165, 175n.
Calculli Sara, 101n., 117 Chiesa Paolo, 20, 52, 198n., 218n.
Caldelli Elisabetta, 344n. Chines Loredana, 176n.
408 INDICI

Chiodo Carol, 69n. Decretum Gratiani, 74, 75 e n., 87n.


Chiose Ambrosiane, 210n. De Fraja Valeria, 344n.
Chiose Filippine, 152n. Del Caccia vd. Di Caccia
Chiose Palatine, 152n. Del Castello Antonio, 93n.
Chiti Pazzino di Lottiero, 332, 352 Delcorno Pietro, 79n., 90n.
Chrétien de Troyes, 86n., 97n. Della Lana Iacomo, 43, 160, 179
Ciabattoni Francesco, 210n. Della Scala Alboino, 256n.
Ciasca Raffaele, 359-361, 364 e n. Della Scala Bartolomeo, 256n.
Cicchetti Angelo, 305n. Della Scala Cangrande, 205, 256-258
Ciccone Lisa, 122n. Della Scala Mastino, 315 e n.
Ciccuto Marcello, XII e n., 53, 210n., 239n. Della Torre Arnaldo, 318 e n., 320, 321,
Cicerone Marco Tullio, 69, 88n., 92, 104, 324
116, 121 e n., 133n., 138, 141, 176 Della Valle Valeria, 334n.
Cino da Pistoia, 140 Delle Donne Fulvio, 198n.
Claassen Jo-Marie, 105n. Del Lungo Isidoro, VIII, 303n.
Clarissimi Tano, 310n. Delorme Ferdinand, 250n.
Claudiano Claudio, 174n. Del Tovaglia Michele del fu Lapo, 352
Coglievina Leonella, XII e n., 168n., 201n. De Lubac Henri, 74n.
Coli Edoardo, 2 e n., 12, 13 Demaray John G., 208n.
Colombo Cristoforo, 11 De Marco Maria, 282n.
Consiglio di maestro Cenni, 369 De Martino Domenico, 54, 287n.
Contini Gianfranco, X, XI e n., 19n., 33, Dennert Brian, 91n.
51n., 52, 209n. De Robertis Domenico, XI e n.
Copeland Rita, 76n. De Robertis Teresa, 38n., 52, 270n., 282n.,
Cornish Alison, 240n. 296n., 320n., 326n., 337n., 361n.,
Corsello vd. Orsello 373n.
Corsini Gherardo, 351 De Ventura Paolo, 257n.
Corti Maria, 61n., 69n. De Vincentiis Amedeo, 198n.
Courcelle Pierre, 104n., 110n. Diacciati Silvia, 353n.
Covoni (de’) Covone, 315 Di Caccia (Caccia, Del Caccia), fam., 380
Covoni (de’) Giovanni di Guasco, 330n. Di Caccia Bondo, 380
Crimi Giuseppe, 139n. Di Caccia Corso, 381
Crisciani Chiara, 70n., 238n. Di Caccia Filippo, 298, 337n., 379, 380,
Cristaldi Sergio, 240n. 382
Crivelli Tatiana, 119n., 262n. Di Caccia Francesco, 381
Curto Carlo, 70n. Di Caccia Giovanni, 381
Di Capua Francesco, 201n.
D’Addario Arnaldo, 330n. Diedo di ser Francesco di Feo, 369
Dahan Gilbert, 78n. Dino di Pero, 369
Dain Alphonse, 41, 42, 52 Dionigi Pseudo-Areopagita, 207 e n., 212,
Daniello Bernardino, 137n., 152 e n. 217n., 221n., 225n., 226n., 234,
Da Polenta Guido Novello, 17 243n., 246-252, 260-262
Da Romano Cunizza, 176n. Di Rienzo Eugenio, 286n.
Da Romano Ezzelino, 167, 176 e n. Dolezalova Lucie, 76n.
Dassi Umberto, 270n. Domenico del fu Lapo, 348
Davidsohn Robert, 359 e n. Domenico di Giovanni di Bino, 369
De Angelis Laura, 303n., 310, 311, 347n. Donati, fam., 319, 325, 345
INDICE DEI NOMI 409

Donati Chierico, 325n. Fia del fu dominus Ugolino di Coldaia,


Donati Forese, 15, 17 30 e n., 31, 41, 44, 344n., 345
49 Ficino Marsilio, 253n.
Donati Forese di Chierico, pievano di S. Figliuolo Bruno, 285, 286n., 289n., 292n.,
Stefano in Botena 292n., 294 e n., 325 296n., 298n., 299n., 306-309, 323n.,
e n., 326, 339 326n., 329n., 332n., 333n., 376n.,
Donati Gemma, 325n., 326 380n.
Donati Geri, 325 e n. Figurelli Fernando, 187n.
Donati Lotto, 350 Filippo III, re di Francia, 43
Donati Manetto, 325n. Filippo di Fiandra, 86n.
Donati Martello, 325n. Filippo di Giovanni di Brando, 370
Donati Piera di Geri, 325, 346 e n., 358 Filosa Elsa, 59n.
Donati Rinaldo di Geri, 346n. Finazzi Silvia, 246n., 250n.
Donati Simone, 350 Fioravanti Gianfranco, 57n., 65n., 69n.,
Dondarini Rolando, 323n. 70n., 121n., 131n., 133n., 136n.,
Dondi Cristina, 282n. 138n., 142n., 189, 212n., 234n.,
Doutreleau Louis, 85n. 238n., 251n., 257n., 360, 361n.
Dronke Peter, 59n. Flasch Kurt, 65n.
Duccio di Fino, 369 Folena Gianfranco, 16, 17, 52, 295n.
Duhem Pierre, 217n. Foscati Alessandra, 87n.
Franceschini Ezio, 67n., 282n.
Ebersperger Birgit, 326n. Franceschini Fabrizio, 278n.
Edoardo I, re d’Inghilterra, 177 Francesco da Buti, 122 e n., 128n., 140n.,
Egidio Romano, 190 e n., 211 223n., 227n., 229n., 231n., 233n.,
Enrico di Cornovaglia, 167, 178 236n.
Enrico II, re d’Inghilterra, 177 Francesco del fu Gianni da Montecchio,
Eschilo, 163 detto ser Santo, 338
Evans Craig, 79n. Francesco del fu ser Guidone di Città di
Castello, 380
Faes de Mottoni Barbara, 250n. Francesco di Amideo da Gaville, 370
Falchetti de’ Cerchi, fam., 353 Francesco di Lapo, 341n., 346n., 381n.
Falchetti de’ Cerchi Giannozzo, 353 Francesco di ser Feo, 370
Falchetti de’ Cerchi Ventura, 353 Francesco di ser Giovanni da Rignano,
Falchetti Salvi (Salvo) vd. Salvi (Salvo) di 346, 359
Falchetto Francesco di ser Giovanni di Ciai da Pu-
Falzone Paolo, 43, 52, 59-61, 65n., 139n., licciano, 359
213n., 253n. Francesco di ser Giovanni di Durante Pi-
Fantappiè Renzo, 309n. sciancanto da Firenze, 359
Faraglia Nunzio Federigo, 310n., 317 e n. Francesco di ser Giovanni di Lippo di
Faral Edmond, 144n. Buonavaccio da Entica, 359
Fasani Remo, 19n., 52 Francesco di ser Giovanni di ser Beninca-
Fassò Andrea, 129n. sa Bolgarelli, 359
Federici Vescovini Graziella, 194n., 243n. Francesco di ser Giovanni di ser Lapo
Federico d’Austria, 257n. Buonamici, 359
Federico II di Svevia, imp., 213n. Francesco di ser Giovanni di ser Paganel-
Fedrigotti Paolo, 242n., 243n. lo di Buonaiuto, 359
Fenzi Enrico, XIn., 132n., 221n. Francesco di ser Nardo da Barberino, 29,
410 INDICI

51, 293n., 373 e n. Giamboni Bono, 71 e n.


Francesconi Giampaolo, 344n. Giandino da Carmignano, 150
Franke William, 156 e n. Gianfigliazzi Tello, 358n.
Fränkel Hermann, 49, 52 Giani Eugenio, XII
Fraticelli Pietro Iacopo, 201 e n. Giannetto Nella, VIn., VIIn.
Freccero John, 162 e n., 163n. Giannini Crescentino, 140n.
Fredborg Karin Margareta, 115n., 121n., Giannini Gabriele, 129n.
122n., 145n., 146 Gibson Margaret T., 82n.
Frescobaldi, fam., 340, 342 Gigli Antonio, IX
Friedberg Emil, 75n. Gill Meredith Jane, 206n.
Friis-Jensen Karsten, 115n., 117n., 120n., Gilson Étienne, 70n.
143n. Gilson Simon A., 60n., 215n., 243n.
Fröhlich Karlfried, 82n. Giminetti Bartolomeo, 317
Frosini Giovanna, 334n. Ginsberg Warren, 91n.
Fubini Riccardo, 303n. Gioacchino da Fiore, 85n., 86n.
Fulgenzio Fabio Planciade, 163 Giordano Fausto, 287n.
Giotto, 97n.
Gadda Carlo Emilio, 287n. Giovanni, figlio di Bartolo di Mazzatello,
Gagliardi Mauro, 243n. 341
Galasso Giuseppe, 378 e n. Giovanni XXII, papa, 239n.
Galilei Galileo, 165 Giovanni Crisostomo, 79n., 80n.
Gallarino Marco, 240n. Giovanni Damasceno, 211n.
Galle Griet, 193 e n. Giovanni da Vercelli, 218n.
Galvano da Bologna, 35 Giovanni del Virgilio, 16, 150
Galzerano Manuel, 214n. Giovanni dell’Agnello, 281 e n.
Gambino Longo Susanna, 108n. Giovanni di Antonio di Piero Parigi, 367n.
Gamper Rudolf, 326n. Giovanni di Barone (Baroni), 298, 306n.,
Garfagnini Gianfranco, XII 356, 357n., 359, 361, 373-375
Gargano G. Innocenzo, 207n. Giovanni di Bernardo, 370
Garin Eugenio, 194n. Giovanni di Bino di Cecco, 370
Garzya Antonio, 385n. Giovanni di Galles, 93n.
Gaspare da Montone, 45 Giovanni di Jandun, 70n., 194
Gaude-Ferragu Murielle, 185n. Giovanni di Michele, 370
Gauthier René-Antoine, 101n., 124n. Giovanni di Sacrobosco, 10, 190, 213n.
Gelli Giovan Battista, 152 Giovenale Decimo Giunio, 120
Gentile da Foligno, 194 Girolamo Eusebio, 80 e n., 88n., 104 e n.,
Gentile Giovanni, XIn. 211n.
Gentili Gherardo, 309 e n. Giuliano Fabio M., 102n., 104n.
Gentili Sonia, XII, 61n., 62n., 65n., 101n., Giunta Claudio, 57n., 257n.
102n., 108n., 110n., 111n., 115n., Glossa ordinaria, 9, 82 e n., 83n.
121n., 123 e n., 125 e n., 127 e n., 130 Gmelin Hermann, 155 e n.
e n., 132n., 135n., 137n., 138n., 143, Goccie Mameri Angelo, 341n.
184n., 186 e n. Goccie Mameri Bartolomeo, 341n.
Geri di Bernardo, 370 Goccie Mameri Niccolò, 341n.
Gherardi Dragomanni Francesco, 313n. Goffredo di Vinsauf, 69, 144 e n., 145, 150
Gherardo di Bartolomeo, 347 Goldthwaite Richard A., 305n., 353n.,
Ghidetti Enrico, XII 354n.
INDICE DEI NOMI 411

Gorni Guglielmo, XI, XII, 89n. Guido da Montefeltro, 335


Graf Arturo, 2 e n. Guido da Pisa, 139n., 152n., 161
Gragnolati Manuele, 257n. Guinizzelli Guido, 140, 232n.
Grassi Onorato, 70n. Güntert Georges, 168n.
Greci Roberto, 362n.
Green Louis, 333 e n. Hadot Ilsetraut, 192n.
Greenblatt Stephen, 98, 99n. Haines Margaret, 365, 366n., 367n., 368n.,
Gregorio Magno, papa, 207 e n., 226n., 369n.
252n., 261 Hajdù István, 122n.
Gregory Tullio, 186n., 235n. Hefelfinger Scott G., 67n.
Gruber Joachim, 104n., 105n. Hergan Jeffrey P., 242n.
Guadagni Vieri di Matteo, 345 Heyer René, 79n.
Gualtieri VI di Brienne, duca d’Atene, Hissette Roland, 218n.
327, 330n., 335 Hollander Robert, VIIn., 159n., 161 e n.
Gualtieri Piero, 320n. Hooper Laurence E., 59n., 61n.
Gualtiero di Châtillon, 124n. Hultgren Arland, 91n.
Guardini Romano, 206n. Huygens Robert Burchard Constantijn,
Guasparre di Alberto, 370 122n.
Guasti Cesare, 303n.
Guazzi Giano di Simone, 370 Iacobucci Renzo, 38n., 52, 296n.
Guénon René, 75n. Iacomuzzi Niccolò vd. Niccolò di Giaco-
Guerriero Elio, 74n. muzzo di Borghesino da Caburaccia
Guglielmo IX, 129n. Iacopo di Bino di Cecco, 370
Guglielmo di Conches, 102n., 109, 110n., Iacopo di Giovanni, 371
115n., 152, 185 Iannucci Amilcare A., 118n., 157 e n., 158
Guglielmo di Cortemilla, 116, 150 Ilario di Poitiers, 79
Guglielmo di Moerbeke, 192, 195 Ildefonso di San Luigi Gonzaga, 325n.
Guglielmo Peraldo (Perauld), 93n. Ildegarda di Bingen, 221n.
Gugliotto (Ghigliotto, Giliotto, Guillot), Imbach Ruedi, 57n., 62n., 211n.
familiaris di Caroccio Alberti, 298, Indizio Giuseppe, 257n., 258 e n., 293n.,
300n., 318, 353, 354 e n., 376 296n., 324n., 361n.
Guidalotti, fam., 343, 345, 347 Inglese Giorgio, 15-17, 20n., 28n., 30-32,
Guidalotti Branca, 348 34-37, 41, 44-46, 48, 51-54, 61n.,
Guidalotti Domenico, 348 119n., 132n., 178n., 179n., 258n.,
Guidalotti Giannotto, 298, 348 292n., 324 e n., 325
Guidalotti Giovanni del fu Cece, 348n. Innocenzo III, papa, 75n.
Guidalotti Giovanni di Lapo, 347 Ireland Dennis J., 91n.
Guidalotti Giovanni, 349 Ireneo di Lione, 85n.
Guidalotti Lapo, 348 e n. Isidoro da Siviglia, 4, 6, 8, 88n.
Guidalotti Lippo, 348 Izbicki Thomas, 74n., 75n., 97n.
Guidalotti Lizio, 348
Guidalotti Michele, 348 Jacoff Rzchel, 162n.
Guidalotti Nicolò, 348 Jungmann Jospeh A., 74n.
Guidalotti Pinuccio, 298, 343, 345, 348 e Just Arthur A., 91n.
n., 376
Guidalotti Vanni, 298, 343, 345, 349, 376 Kaluza Zénon, 211n.
Guidi Vincenzo, 52 Keck David, 206n.
412 INDICI

Keller Otto, 123 Malato Enrico, 59n., 60n., 168n., 179n.


Kermode Frank, 79n. Maldina Nicolò, 58n., 70n., 73n.
Kilwardby Robert, 219n. Malocello Lanzarotto, 11
Klein Francesca, 303n., 314, 315 Mandelbaum Allen, 157n.
Klibansky Raymond, 105n. Mandola Eleonisia, 54
Knox Dilwyn, 88n. Manheim Ralph, 96n.
Krieger Burkhard, 270n. Mann Nicholas, 119n.
Kübel Wilhelm, 124n., 249n. Manni Paola, 334n.
Marabelli Costante, 86n.
La Brasca Frank, 108n. Marangoni Michela, 271n.
Lancia Andrea, 37, 52, 290, 291, 293, 294 Marchionni Roberta, 143n.
e n., 296-300, 324, 326, 336, 337n., Marchitelli Simonetta, 282n.
339, 376 Marco di Cenni, 371
Landino Cristoforo, 152n., 175 Marcozzi Luca, 102n., 107n., 139n.
Lanza Antonio, XII, 41n., 51, 239n. Mariani Andrea, 130n.
Lapa, moglie di Tello Gianfigliazzi, 358n. Marti Mario, 61n.
Lapo di Pacino, 371 Martinez Ronald L., 232n.
Latini Brunetto, 9, 176 Martini Luca, 29-31, 42n., 292 e n., 294,
Laurella Paola, VIn. 295n., 325
Leclercq Jean, 74n. Martini Luca del fu Lapo, 351n.
Ledda Giuseppe, VIn., XII, 59n., 250n. Masi Andrea (Andrea di Maso di messer
Le Goff Jacques, 96 e n. Giuseppe da Firenze), 289, 291, 302,
Levy Ian K., 74n., 75n. 303n., 327, 328, 336, 339, 349 e n., 350
Lines David A., 125n. e n., 352 e n., 353n., 357, 358 e n., 376
Livi Giovanni, 299 Masi Giorgio, 210n.
Lokaj Rodney J., 201 e n. Maso di Banco, 97n.
Lombardo Luca, 110n., 113n., 137-139, Massio di Francesco, 382, 383
210n. Mastursi Giuseppe, 337n., 341, 350n.,
Longo Agostino, 125n. 357-359
Loporcaro Michele, 275n. Masullo Rita, 385
Lorenzo di Francesco di ser Feo, 371 Matazone da Caligano, 43
Lori Sanfilippo Isa, 135n. Matteo di Domenico di Tura, 371
Lucano Marco Anneo, 154, 171, 180 Matteo di Vendôme, 115n.
Lucrezio Tito Caro, 213n. Mazzatelli vd. Bartolo di Mazzatello
Luiso Francesco Paolo, 344 e n., 345, Mazzatelli Apollonia vd. Apollonia, figlia
347n., 354 e n. di Bartolo di Mazzatello
Luti Giorgio, 243n. Mazzatelli Arrigo vd. Arrigo, fratello di
Luzzati Michele, 308n. 313n., 314n., 342n. Bartolo di Mazzatello
Mazzatelli Giovanni, vd. Giovanni, figlio
Maas Paul, 17, 33n., 49, 53 di Bartolo di Mazzatello
Mabillon Jean, 378n. Mazzoni Francesco, X, XI e n.
Macrobio Ambrosio Teodosio, 185 Mazzoni Guido, VIII, IX e n., 168n.
Macy Gary, 68n., 74n. Mazzoni Vieri, 304n., 376 e n.
Maffeo di ser Francesco di Feo, 371 e n. Mazzotta Giuseppe, 206n.
Maggini Francesco, IXn. Mazzucchi Andrea, 51, 53, 59n., 60n.,
Maimonide, 76n. 139n., 168n., 170-175, 179n., 180n.,
Malaspina Stefano M., 86n. 187n., 256n.
INDICE DEI NOMI 413

Mazzucchi Carlo Maria, 246n. Niccoli Lapo, 315


McCord Adams Marilyn, 68n. Niccolò III, papa, 178n.
Mecca Angelo E., 38, 53 Niccolò da Teodorano, 17
Meier Franziska, 59n., 62n., 121n. Niccolò di Amideo, 372
Mele Veronica, 12n. Niccolò di Giacomuzzo di Borghesino da
Mellone Attilio, 70n. Caburaccia (Niccolò Iacomuzzi), 297,
Menetti Elisabetta, 176n. 302, 303n., 336-339, 376
Mengaldo Pier Vincenzo, 107n. Niccolò di Michele, 372
Mercier Charles, 85n. Niccolò di Niccolò di Meglio, 372
Mercken H. Paul F., 124n. Niccolò di Rinaldo di Pero, 372 e n.
Mercuri Roberto, 118n. Niccolò di ser Galgano di maestro Uguc-
Mesirca Margherita, 62n., 215n. cione da Firenze, 339 e n.
Messina Michele, VIn., VIIn. Niccolò di ser Giunta da Castelfiorentino,
Mezzadroli Giuseppina, 139n. 322n.
Mezzoconte di Ezzelino da Este, 295, Nicola di Lira, 91n.
296n. Nicolò di Ugone, detto ‘Tegghiaio’, 341n.,
Michele di Giovanni di Michele, 371 342
Michele di Vanni, 329, 356 e n. Nievergelt Andreas, 326n.
Migliorini Fissi Rosetta, XI Nobili Sebastiana C., 176n., 177n.
Milani Alessio, VIn. Noblesse-Rocher Annie, 78n.
Milani Giuliano, 197n., 320n. Nocchi Francesca Romana, 104n.
Miniato di Iacopo, 371 Nofri di Giovanni di Bernardo, 372
Mocan Mira, 243n., 252n. Norton Charles E., 62n.
Moevs Christian, 63n., 210n. Norton Michael Lee, 157n.
Monna, moglie di Giovanni Villani, 347
Montanari Elio, 49, 50n., 53 Oldcorn Anthony, 157n.
Montefusco Antonio, 197n., 198n. Olschki Leo, 243n.
Montemaggi Vittorio, 63n., 95n., 207n. Omero, 182, 184
Montorfano Tommaso, 133n. Onorio di Autun, 69n.
Mordenti Raoul, 305n. Opizzi Nicolò di Guglielmo, 351n.
Morelli Alfredo, 101n. Orazio Quinto Flacco, 101 e n., 105, 114-
Moreschini Claudio, 101n. 123, 125 e n., 127-131, 135, 136 e n.,
Moutier Ignazio, 313n. 139, 141-151
Mucci Cecchino, 332, 352 Orioli Luciano, 330n.
Munk Olsen Birger, 117n., 119n. Orlandelli Gianfranco, 362n.
Mussato Albertino, 104, 107, 177n. Orosio Paolo, 6, 7, 175, 176
Orsanmichele, Compagnia di, 363
Naldi Ghinuccio, 358n. Orselli Andrea, 285, 289, 291, 292, 293 e
Nardello Chiara, 122n. n., 297, 298, 300, 305, 306n., 327-332,
Nardi Bruno, 59n., 70n., 114n., 210n., 336, 340, 343, 346n., 349, 354-361,
221n., 228n., 229n., 233-235, 240n., 364, 372-375, 379
243n., 260n. Orselli Antonia, 349
Nardo di Cione (detto l’Orcagna), 187 Orselli Giovanna, 349
Nasti Paola, 57n., 59n., 60n., 69n., 97n., Orselli Orsello (Corsello) di Andrea, 356 e
117n. n., 372
Nauta Lodi, 102n. Orselli Parente, 356n.
Neri Ferdinando, 334n. Orsini Napoleone, card., 351 e n., 372n.
414 INDICI

Ortensio Ortalo Quinto, 104 Peron Gianfelice, 137n.


Ottimo Commento, 161, 229n. Persichino Salvatore, 275n.
Ovidio Publio Nasone, 105 e n., 107n., Persio Aulo Flacco, 120n.
150n., 163n., 169-171 Pertile Lino, XII, XIII e n., 57n., 208n.
Peruzzi, Compagnia dei, 316, 322, 345,
Pacini Delio, 384n. 347, 348
Pade Marianne, 115n. Petoletti Marco, 198n., 256n.
Pagolo di Piero Parigi, 367n., 372 Petrarca Francesco, 104, 107 e n., 113, 117
Pagolo di ser Ambruogio di Piero, 372 Petrocchi Giorgio, e n., 15, 20, 28-32, 34,
Palmacollo Tommaso del fu Tommaso di 35, 38-41, 43 e n., 50, 51, 53, 153n.,
Sant’Elpidio, 382, 383, 384 170n., 216n., 276, 277
Paolazzi Carlo, 118n. Petrus Comestor, 170n.
Paoli Marco, 282n. Pezzarossa Fulvio, 335 e n.
Paoli Ugo, 384n. Piana Celestino, 243n.
Papa Pasquale, 290, 291n., 298, 299 e n. Piccini Daniele, 58n.
Papio Michael, 59n. Picone Michelangelo, 62n., 119n., 270n.,
Parelli Vanni, 351 215n., 262n.
Parisi Diego, 210n. Piendibeni Francesco, 197
Parodi Ernesto Giacomo, VIII Pier delle Vigne, 213n., 214n.
Pasquali Giorgio, 18, 48, 53, 287 e n. Piero di Antonio di Piero Parigi, 367n.
Pasqualigo Francesco, Vn. Piero di Geri da Tiglieto, 344
Pasquini Emilio, 184n., 258n. Piero di messer Niccolò da ‘Matuliano’,
Pasquini Filippo, 370 e n. 363
Passavanti Jacopo, 282 Pietro d’Abano, 74n., 192, 194 e n.
Passerini Angelo da Città di Castello, 380 Pietro d’Alvernia, 192, 193 e n.
Passerini Giuseppe Lando, VII e n. Pietro Lombardo, 9, 10, 219n.
Pastore Stocchi Manlio, XIII e n., 201n., Pietrobono Luigi, Vn., VIIn.
257n., 258, 271n. Pinto Giuliano, 327n.
Pastoreau Michel, 185n. Pinto Raffaele, XIII e n.
Pasut Francesca, 37, 51n., 53, 293n., 301n. Piron Sylvain, 115n.
Pauler Roland, 281n. Pistelli Ermenegildo, 200 e n.
Pausch Dennis, 270n. Pitti Bonaccorso, 352 e n.
Pazzi, fam., 345, 346 Placella Vincenzo, 243n.
Pazzi Monna, seconda moglie di Giovan- Platone, 102 e n., 103 e n., 105 e n., 140
ni Villani, 345 Poirel Dominique, 225n.
Pecci Giuseppe, 73n. Polcri Alessandro, 259n.
Pegolotti Balducci, 350n. Pomaro Gabriella, 28, 31, 38, 53, 110n.,
Pegolotti Lando, 348 115-117
Pegorari Daniele M., 58n., 121n. Ponchia Chiara, 28, 53
Pegoretti Anna, 28, 53, 65n., 66n., 205n., Pontari Paolo, XIII, 17n., 285n., 289n.,
210n. 292n., 296n., 298n., 299n., 306-308,
Pelacani Antonio (Antonio da Parma), 323n., 326n., 329n., 332n., 333n.,
194 376n., 380n.
Pelacani Biagio, 194 Porena Manfredi, 161
Pellegrini Paolo, 189 e n., 193, 195, 196 Porro Pasquale, 62n., 209n., 211n., 212n.
Pépin Jean, 262 e n. Porta Giuseppe, 281n., 282n., 308n.
Pero di Dino di Pero, 369n. Proclo, 104 e n., 262
INDICE DEI NOMI 415

Pseudo Acrone, 123 Risaliti Gherardo di Geri, 341n., 342


Puccetti Walter Leonardo, 176n. Ritmo di Sant’Alessio, 155
Pucci Antonio di Puccio di Antonio, 368 Robert Aurelien, 115n.
Pucci Antonio vd. Antonio di Puccio Roberto Anglico, 10
Pucci Benintendi di Antonio, 367n. Roberto Grossatesta, 10, 101n., 183, 243
Pucci Finuccio, 358n. Robiglio Andrea A., 85n., 213n.
Pucci Francesco di Puccio di Antonio, Rochais Henri, 74n.
367n. Roddewig Marcella, 270n.
Pulsoni Carlo, 30, 53 Rohlfs Gerhard, 275n.
Purdy Christiana, 69n. Rolandino da Padova, 176n.
Romanini Emanuele, 197n.
Quaglio Antonio Enzo, 184n. Ronchi Gabriella, 116n.
Quaglioni Diego, 57n., 253n., 257n. Rosier-Catach Irène, 87n.
Quintiliano Marco Fabio, 88n. Ross Charles, 157n.
Rossi Luca Carlo, 257n., 279n.
Rabano Mauro, 80n., 91 Rossi Luciano, 115n.
Raffi Alessandro, 227n., 230n., 262n. Rossi Vittorio, 195
Raimondi Ezio, 177 e n., 181 e n., 187, Rossini Antonio, 171n.
188n. Rouse Mary A., 362n.
Rainaldo da Piperno, 219n. Rouse Richard H., 362n.
Rajna Pio, VIII Rousseau Adelin, 85n.
Ramelli Ilaria, 246n. Ruggieri Berto, 347n.
Ranieri Sardo, 281n. Ruggieri Tommaso di Berto, 347 e n.
Rastrelli Modesto, 307n. Ruperto Tutiense, 88n.
Reale Giovanni, 103n., 246n. Russino Guglielmo, 246n.
Refini Eugenio, 125n. Russo Carlo Ferdinando, 52
Reggio Giovanni, 153, 155 e n., 156, 162 e Russo Luigi, XIV e n.
n., 163 Rustico di Moranduccio di Bondone,
Regnicoli Laura, 320n. 340n., 352n.
Remigio di Auxerre, 70
Resta Gianvito, 282n. Sabatini Francesco, 381 e n.
Reynolds Suzanne, 118 e n., 119n. Salimbene da Parma, 176n., 177 e n.
Ricasoli Firidolfi Luigi, IXn. Sallustio Quinto Crispo, 5, 6
Riccardo di San Vittore, 246, 252n. Salutati Coluccio, 17 e n.
Richard de Fournival, 105n. Salvestrini Francesco, 327n.
Ricklin Thomas, 57n., 185 e n., 257n. Salvi (Salvo) di Falchetto (Falchetti), 291,
Rider Jeff, 76n. 297, 300n., 353
Ridolfi Blasio del fu Facino, 351 Salvini Salvino, 290, 291n., 298, 299n.
Ridolfi Facino, 351 Salvioni Cesare, 275n.
Ridolfi Lapo, 351 Salvo di Dino, 346n.
Ridolfi Nicolò, 351 Sandra di Bandino Panciatichi, 356n.
Rigoli Luigi, 71n. Sandra di Vanni, moglie di Andrea Orsel-
Rigon Antonio, 135n. li, 329, 330n., 331, 356
Rinaldi Aldobrandino di Lapo, 314 Sanesi Ireneo, 314n.
Rinaldi Michele, 189-193, 198n. Sanga Glauco, 275n., 276n.
Rinaldo, cartolaio, 372n. Sanguineti Federico, 15, 31-35, 38, 40, 41n.,
Rinoldi Paolo, 116n. 43-47, 50 e n., 51 e n., 53, 54, 216n.
416 INDICI

Santagata Marco, 53, 54, 257n., 258n. Steinberg Justin, 96n.


Santig Catrien G., 182n. Stone Gregory B., 77n.
Santoli Vittorio, IXn. Stover Justin, 104n.
Sapori Armando, 348n., 354n. Stroumsa Guy G., 75n., 79n.
Saracco Previdi Emilia, 384n. Sturlese Loris, 211n.
Savino Giancarlo, 201n., 337n. Stussi Alfredo, 275n.
Sbacchi Diego, 206n., 217n. Suarez-Nani Tiziana, 219n.
Scafi Alessandro, 2 e n., 5, 6, 8-10 Suitner Franco, XII
Scalfati Silio P.P., 378n. Sznura Franek, 304, 305n., 337n.
Scartazzini Giovanni Andrea, Vn.
Scazzoso Piero, 246n. Tabarroni Andrea, 218n., 253n.
Schiaffini Alfredo, 51 Tacci Agnolo di Antonio di Bartolo, 368
Schiaparelli Luigi, 379n. Tacci Antonio di Bartolo, 367
Schneyer Johannes Baptist, 93n. Tacci Bartolo vd. Bartolo di Taccio
Schnorr von Carolsfeld Franz, 270n. Tacci Bartolomeo di Antonio di Bartolo,
Schrot Rolf, 108n. 367n., 368n.
Scoto Eriugena, 246, 247n. Taddeo di Geri, 372
Scoto Michele, 10, 190, 213n. Takahashi Adam, 218n., 228n.
Scribano Emanuela, 239n., 251n. Talenti Roberto, 346n.
Segre Cesare, 16, 50, 54, 324 e n. Tanturli Giuliano, VIn., VIIIn.
Seneca Lucio Anneo, 73, 92, 269, 270, Tartaro Achille, 169n., 171n.
278-280 Tassi Francesco, 71n.
Sercambi Giovanni, 281 e n., 282 Tateo Francesco, 58n., 121n.
Serianni Luca, 334n. Tavoni Mirko, XIIIn., 3, 119n., 258n.
Serpieri Elisa, 286n. Tedaldi Tedaldo, 363
Serpieri Maria, 286n. Tempier Étienne, 218 e n., 235n.
Serravalle Giovanni, 229n. Tertulliano Quinto Settimo Florente, 182
Servasanto da Faenza, 93n. e n.
Settesoldi Enzo, 305n., 353n., 354n. Terzoli Maria Antonietta, 54, 119n.
Severi Andrea, 176n. Tettacapra Bartolomeo, 295
Shackleton Bailey D R., 101n. Tilatti Andrea, 44, 54,
Shah Idries, 63n. Tognetti Giampaolo, 381 e n.
Shakespeare William, 167, 181, 182 Tognetti Sergio, 305n., 330n., 348n., 349n.
Shaw Prue, 253n. Tolomeo Claudio, 10, 214, 234n.
Signori Marco, 242n., 244n., 259n. Tommaso d’Aquino, 10, 67n., 70, 73 e n.,
Simon Paul, 249n. 74, 79-81, 97, 124 e n., 131 e n., 133 e
Simone del fu Guidone de Magnale, 350 n., 134 e n., 141, 160, 183, 192-194,
Simonelli Maria, 61n., 65-67, 132n. 211-213, 218n., 219n., 226n., 230n.,
Simplicio, 191-195 239n., 241-244, 248-253, 260n., 262
Singleton Charles S., 63n. Tonelli Natascia, VIn., 206n., 221n., 257n.
Skafte Jensen Minna, 115n. Tonello Elisabetta, 40, 46-48, 53, 54
Spallanzani Marco, 305n., 353n., 354n. Toniolo Federica, 28, 54
Spiazzi Raymund M., 193n. Torelli Alamanno, 313
Spitzer Leo, 155n. Torraca Francesco, 286 e n., 287
Spongano Raffaele, 65n. Torri Alessandro, 197, 199n., 200
Stabile Giorgio, 208 e n., 211n. Tosti Cristofano, 328
Stazio Publio Papinio, 105, 163, 170, 172 Touber Jetze J., 182n.
INDICE DEI NOMI 417

Toynbee Paget, 199-201 132n., 148 e n., 197 e n., 198, 257n.,
Tremp Ernst, 326n. 258
Trevet Nicholas, 65n., 146, 150, 152 Villani, fam., 307n., 324, 325, 342-346,
Trissino Gian Giorgio, 3 358, 376n.
Trottmann Christian, 239n. Villani Antonia di Matteo, 345
Trovato Paolo, 15, 31, 34, 36, 40-42, 45- Villani Bartola di Villano di Stoldo, 342,
48, 52-54, 278n. 343, 344
Tück Jan-Heiner, 67n., 68n. Villani Bernardo di Giovanni, 340n., 344n.
Villani Bona di Matteo, 345
Ubaldini, fam., 313n. Villani Filippo di Matteo, 325
Ubaldini della Pila, fam., 338n. Villani Filippo di Villano di Stoldo, 316,
Ubaldini Gioacchino del fu Maghinardo 321, 325, 343-346, 357n.
del fu Giovanni, 338 Villani Filippo, 17, 44, 45, 281 e n., 282 e
Uberto di Buto di Guido, 373 n.
Ughetti Guidone, 291, 297, 300n., 343, Villani Francesco di Giovanni, 347n.
345 e n., 376 Villani Francesco di Villano di Stoldo,
Ugo da Prato Florido, 93n. 316, 343, 345, 347n.
Ugo di San Vittore, 221n., 225n., 245-248, Villani Giovanna di Giovanni, 343, 345
252 e n. Villani Giovanni, 178n.
Ugo di Santo Caro, 83n. Villani Giovanni, 285, 287, 289-300,
Ugolino di Guido, detto ‘Sera’, 338 303n., 305-310, 313n., 316-319, 321-
Uguccione da Pisa, 201 e n. 324, 326-336, 339, 340 e n., 342-347,
Umberto di Romans, 94n. 349, 350, 353-359, 361 e n., 363, 364,
Ureni Paola, 229n. 373-376, 378-382
Villani Iacopa di Giovanni, 345, 347 e n.
Valerio Paolo, 243n. Villani Lapaccia di Villano di Stoldo, 345
Vallerano di Dolcebene, 373 Villani Matteo di Giovanni, 347, 363
Valli Luigi, 75n. Villani Matteo di Villano di Soldo, 342 e
Vallone Aldo, VIIIn. n., 343, 345-347, 376n.
Valori Taldo, 315 Villani Matteo, 281n., 282n.
Van Ausdall Kristen, 74n. Villani Villano di Giovanni, 347
Vandelli Giuseppe, IX, 30, 55, 136n., Villano di Stoldo, padre di Giovanni Vil-
292n., 295n. lani, 307 e n., 316, 326, 343-347, 358
Vangelo di Nicodemo, 153, 157 Vincent de Beauvais, 158
Varanini Gian Maria, 323n. Vincent Gilbert, 79n.
Varotti Carlo, 176n. Virgilio Publio Marone, 106 e n., 151n.,
Vàrvaro Alberto, 51, 55 154, 163, 164, 171 e n., 180, 182
Vasoli Cesare, 57n., 59n., 61n., 69n., Visio Pauli, 175
210n., 212n., 234n. Vivaldelli Gregorio, 242n.
Vazzana Steno, VIIn., 118n. Vivaldi Ugolino, 11
Veglia Marco, 257n., 258 e n. Vivaldi Vadino (guido), 11
Venticelli Maria, 323n. Volpe Gioacchino, 286 e n.
Verlato Zeno Lorenzo, 137n. Von Berger Johann Wilhelm, 271 e n.
Vespasiano da Bisticci, 364n. Von Stuckard Kocku, 75n.
Vespri Vincenzo, 205n.
Viel Riccardo, 20n., 48n., 55 Wailes Stephen L., 78n., 79n., 82n., 91n.
Villa Claudia, 57n., 116n., 118-120, 131n., Walker Bynum Caroline, 182 e n., 183 e n.
418 INDICI

Walters Barbara R., 67n. Zanobi di Bartolo di Bernardo di Pozzo-


Walters Patricia, 91n. latico, 342n., 348n.
Watt Mary A., 59n., 82n. Zanoletti Gabriella, 252n.
Winkler Gerhard B., 72n. Zechmeister Joseph, 122n.
Witte Karl, Vn., 201 e n. Ziffer Giorgio, 53
Wittgenstein Ludwig, 63n. Zingarelli Nicola, 164n., 288 e n.
Wlassics Tibor, 168n. Ziolkowski Jan M., 76n.
Wright Edith Armstrong, 157n. Zironi Alessandro, 76n.
Zorzi Andrea, 323n., 327n.
Zaccarello Michelangelo, 119n., 295n. Zorzi Marino, 271n.
Zamponi Stefano, 270n., 320 Zucchero Bencivenni, 71 e n.
Zanin Enrica, 66 e n., 98n.
FINITO DI STAMPARE
NEL MESE DI DICEMBRE 2019
PER CONTO DI
EDITORIALE LE LETTERE
DALLA TIPOGRAFIA BANDECCHI & VIVALDI
PONTEDERA – PISA
€ 125,00
ISSN 0391-7835

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