F O N D AT I D A M I C H E L E B A R B I
P U B B L I C AT I D A L L A S O C I E T À D A N T E S C A I TA L I A N A
V O L U M E O T TA N TA Q U AT T R E S I M O
IN FIRENzE,LELETTERE–2019
Direzione
MARCELLO CICCUTO
Comitato Direttivo
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GIUSEPPE LEDDA FRANCO SUITNER
Comitato Scientifico
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STUDI DANTESCHI
Fondati da Michele Barbi
LXXXIV
NOTE
Il presente articolo analizza la relazione tra il modello cosmologico presente nella Divina Com-
media e due passi rilevanti per le questioni cosmologiche presenti nell’Epistola XIII a Cangrande
Della Scala. Nell’articolo mi propongo di ricostruire l’architettura e la meccanica della cosmo-
logia che Dante elabora nella Commedia al fine di presentare una credibile anche se non ne-
cessariamente verisimile spiegazione del funzionamento dell’universo. L’articolo si concentra su
questioni collegate all’origine del movimento dei corpi celesti ed evidenzia una discrepanza tra
il sistema cosmologico della Divina Commedia e quello implicito nell’Epistola XIII.
Dante and the Machina Mundi. The Cosmological System and the “Epistle XIII”
This article discusses the relationship between the cosmological model of the Divine Comedy
and two cosmological passages from Dante’s Epistle XIII to Cangrande Della Scala. In this ar-
ticle I reconstruct the architecture and the mechanics of the cosmological system Dante builds
in the Comedy in order to give a reliable although not necessarily verisimile explanation of how
the universe works. The article focuses on questions related to the origin of the movement of
the celestial bodies and it evidences a discrepancy between the cosmological organization of
the Divine Comedy and the one implicit in the Epistle XIII.
Keywords: Dante Alighieri; Divine Comedy; Cangrande Della Scala; Cosmological System;
Epistle 13.
Introduzione
1
Le diverse questioni angelologiche toccate in queste pagine si rifanno a temi af-
frontati in un lavoro precedente e delle quali il presente articolo costituisce un appro-
fondimento e in parte una revisione. Per l’analisi delle innovazioni scientifico-teologi-
che connesse all’angelologia dantesca, e in particolare al fondamentale ruolo di connet-
tere mondo fisico e mondo spirituale assegnato agli angeli nella Commedia, mi permet-
to di rimandare a S. BARSELLA, In the Light of the Angels. Angelology and Cosmology in
Dante’s Divina Commedia, Firenze, Olschki, 2010.
2
Per gli studi sugli angeli in Dante si veda il classico R. GUARDINI, L’Angelo nella
“Divina Commedia”, in ID., Studi su Dante, Brescia, Morcelliana, 1967, pp. 13-130. Per
le matrici biblico-cristiane e aristoteliche degli angeli danteschi vedi lo studio di S. BEM-
ROSE, Dante’s Angelic Intelligences. Their Importance in the Cosmos and in Pre-Christian
Religion, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1983. Rilevante per la presenza di cor-
renti francescane nella concezione angelologica dantesca è il capitolo Theologia ludens
in G. MAZZOTTA, Dante’s Vision and the Circle of Knowledge, Princeton, Princeton Uni-
versity Press, 1992, pp. 219-242. Per l’influenza dello Pseudo-Dionigi sulle gerarchie an-
geliche dantesche vedi D. SBACCHI, La presenza di Dionigi l’Aeropagita nel “Paradiso” di
Dante, Firenze, Olschki, 2006 e M. ARIANI, «E sì come di lei bevve la gronda / de le pal-
pebre mie» (Par. XXX 88-89): Dante e lo Pseudo-Dionigi Areopagita, in Leggere Dante, a
c. di L. BATTAGLIA RICCI, Ravenna, Longo, 2003, pp. 131-152. Per i limiti dell’influenza
dionisiana vedi BARSELLA, In the Light, cit. pp. 27-69. Su importanti aspetti dell’angelo-
logia dantesca si vedano inoltre Z. BARANS! KI, Dante tra dei pagani e angeli cristiani, in «Fi-
lologia e critica», 9 (1984), pp. 298-299, e di N. TONELLI, Intorno agli angeli di Dante. I.
Nella valletta dei principi, in «L’Alighieri», 43 (2002), pp. 95-120, e EAD., Gli angeli nei
cerchi dell’empireo, in «Studi e Problemi di Critica Testuale», 90 (2015), pp. 279-295.
Per una visione generale delle questioni angelologiche vedi D. KECK, Angels and Ange-
lology in the Middle Ages, Oxford, Oxford University Press, 1998, e M.J. GILL, Angels
and the Order of Heaven in Medieval and Renaissance Italy, Cambridge, Cambridge Uni-
versity Press, 2014. Sulle questioni specificamente filosofiche e teologiche riguardo agli
angeli rimando alla bibliografia nelle note successive.
DANTE E LA MACHINA MUNDI 207
3
In realtà l’ordinamento di Dante differisce anche da quello pseudo-dionisiano. A
differenza dello Pseudo-Dionigi, Dante situa le Virtù in posizione intermedia, e non su-
periore, nella seconda gerarchia. Per l’importanza di Gregorio Magno in Dante e la so-
stanziale continuità con la visione etica dell’angelologia gregoriana vedi V. MONTEMAG-
GI, «Di sé medesmo rise»: Gregorio Magno nella “Commedia” di Dante, in L’eredità spiri-
tuale di Gregorio Magno tra Occidente e Oriente. Atti del Simposio Internazionale Gre-
gorio Magno 604-2004 (Roma, 10-12 marzo 2004), a c. di G.I. GARGANO, Negarine di
S. Pietro a Cariano (VR), Il Segno dei Gabrielli, 2005, pp. 325-360.
4
Non si deve pensare che l’evoluzione della cosmologia dantesca lasci tracce in-
consapevoli nel poema. Dante mantiene alcune zone ambigue, come nei riferimenti alla
cosmologica del cielo delle stelle fisse in Par. II o nella definizione dell’origine del tem-
po e della regolazione del moto fisico in Par. XXVII. Tuttavia l’autore si fa auctoritas col-
legando anche a livello testuale tali zone con l’impianto cosmologico definito nei due
canti angelologici (Par. XXVIII e XXIX), la cui autorità si impone à rebours ed è sotto-
lineata dall’ambigua ricusazione di Gregorio Magno a favore dell’ordinamento pseudo-
dionisiano delle gerarchie angeliche in Par. XXVIII 130-135. Ambigua perché Dante
certamente non segue l’angelologia dello Pseudo-Dionigi, a cominciare dall’attribuzio-
ne dantesca della fondamentale funzione motrice agli angeli, che in quest’ultimo non ha
luogo. Per le differenze tra l’angelologia dantesca e quella dello Pseudo-Dionigi riman-
do a BARSELLA, In the Light, cit., cap. II.
208 SUSANNA BARSELLA
5
Sulla cosmologia dantesca come una delle matrici primarie della Commedia e con-
tro la disarticolazione interpretativa operata dalla separazione di origine crociana di ana-
lisi della poetica e analisi della struttura, si veda G. STABILE, Cosmologia e teologia nella
“Commedia”. La caduta di Lucifero e il rovesciamento del mondo, in ID., Dante e la filo-
sofia della natura. Percezioni, linguaggi, cosmologie, Firenze, SISMEL-Edizioni del Gal-
luzzo, 2007, pp. 137-172. Per la contestualizzazione nell’ambito della cosmologia me-
dievale rimando a T.J. CACHEY, Cosmology, Geography, and Cartography, in Dante in Con-
text, a c. di Z. BARANS! KI-L. PERTILE, Cambridge, Cambridge University Press, 2015, pp.
221-240. Per l’idea del cosmo dantesco come costruzione architettonica vedi anche J.G.
DEMARAY, Dante and the Book of the Cosmos, Transactions of the American Philosophi-
cal Society, New Series, Vol. 77. 5, 1987.
DANTE E LA MACHINA MUNDI 209
6
Su questa esigenza di realismo che si intensifica a mano a mano che ci muoviamo
in ambiti di realtà sempre più rarefatti, si veda T. BAROLINI, Dante and Reality/Dante
and Realism (Paradiso), in «Spazio Filosofico», 8 (2013), pp. 199-208.
7
Sulla centrale importanza della nozione di “vero” per la cosmologia dantesca e in
particolare Par. XXVIII, vedi G. CONTINI, Un esempio di poetica dantesca (il canto
XXVIII del “Paradiso”), in «L’Approdo letterario», 32 (1965), pp. 3-18, ripubblicato in
ID., Un’idea di Dante, Torino, Einaudi, 2001, pp. 191-213.
8
Vedi Par. XXIX 16-36.
9
Sull’importanza della distinzione tra tempo, aevum ed eternità e sulla sua rilevanza
per l’esegesi del Genesi si veda almeno P. PORRO, Forme e modelli di durata nel pensiero
medievale. L’«aevum», il tempo discreto, la categoria «quando», Leuven, Leuven Univer-
210 SUSANNA BARSELLA
sity Press, 1996 e Tempus aevum aeternitas. La concettualizzazione del tempo nel pensie-
ro tardomedievale. Atti del Colloquio internazionale (Trieste, 4-6 marzo 1999), Firenze,
Olschki, 2018 (2010).
10
Non tutti i teologi dei secoli XIII-XIV identificavano il cielo Empireo, inteso co-
me il caelum angelorum e contenente le sfere celesti, con il caelum Trinitatis, inteso co-
me Dio stesso. Vedi la discussione di questo punto in B. MARTINELLI, La dottrina del-
l’Empireo nell’Epistola a Cangrande (Capp. 24-27), in «Studi Danteschi», 57 (1985), pp.
49-143, e in part. pag. 112-115. Vedi anche per l’Empireo in Dante B. NARDI, La dottri-
na dell’Empireo e la sua genesi storica e nel pensiero dantesco, in ID., Saggi di filosofia dan-
tesca, Firenze, La Nuova Italia, 1967 (1930), pp.167-215; C. MOEVS, The Metaphysics of
Dante’s Comedy, Oxford, Oxford University Press, 2005, in particolare pp. 15-35; T.J.
CACHEY, Una nota sugli angeli e l’empireo, in «Nel suo profondo». Miscellanea di studi dan-
teschi (1265-2015), a c. di A. CASADEI-M. CICCUTO-G. MASI, fasc. monogr. di «Italiani-
stica», 44 (2015), pp. 149-159; A. PEGORETTI, L’Empireo in Dante e la «divina scienza»
del “Convivio”, in ‘Theologus Dantes’: tematiche teologiche nelle opere e nei primi com-
menti. Atti del convegno (Venezia, 14-15 settembre 2017), a c. di L. LOMBARDO-D. PA-
RISI-A. PEGORETTI, Venezia, Edizioni Ca’ Foscari, 2018, pp. 161-188, a cui rimando an-
che per la ricca ed aggiornata bibliografia. Per l’Empireo come cielo centrato sulla ma-
nifestazione cristologica della Sapienza mi permetto di rimandare a S. BARSELLA, The
Zodiac of Creation. Mystical Theology and the Image of the Christ-Sun in the “Commedia”,
in The Humanist’s workshop. Essays in Honor of Salvatore Camporeale, a c. di S. BAR-
SELLA-F. CIABATTONI, in «Italian Quarterly» Special Issue, 46 (2009), pp. 41-57. Per la
diversità tra l’Empireo del Convivio e quello della Commedia vedi la nota 8 del com-
mento di C. Vasoli al Convivio, pp. 133-135.
11
I beati, secondo la maggior parte dei teologi medievali, possono muoversi dalle lo-
ro sedi per volere divino, come anche gli angeli nella Commedia, basti pensare agli an-
geli sulle terrazze del Purgatorio, ai beati apparsi a Dante nei cieli, a santa Lucia, Beatri-
ce ecc. Il moto dei beati all’interno dell’Empireo può essere visto nella descrizione del
fiume di luce in Par. XXX 43-45. Qui Dante e Beatrice salgono nell’Empireo, che si pre-
senta alla percezione di Dante come un fiume di luce dal quale «beve» per poter pene-
trare più a fondo nella visione e distinguere le anime dei beati che si bagnano continua-
mente nelle acque della grazia. La maggior parte dei commentatori identifica le «favil-
le» che si muovono continuamente dentro e fuori dal fiume, con gli angeli. Fanno ecce-
zione le Chiose Ambrosiane (c. 1355?) per cui le faville sarebbero le anime beate «anime
beatorum tamquam apes mellificantes» (commento a Par. XXX 64). I beati sono inoltre
identificati come «felices ignes» anche in Par. VII 3 e 8. Tuttavia, la presenza di «ali
DANTE E LA MACHINA MUNDI 211
d’oro» (Par. XXXI 14) sembra indicare abbastanza chiaramente che le faville si riferi-
scano in questo passo agli angeli, sottolineando come essi possano muoversi fuori e den-
tro dai loro cerchi, a cui sempre ritornano.
12
Per la discussione di questo punto vedi BARSELLA, In the Light, cit. pp. 21 e ss.
13
Nel Convivio Dante si era trovato di fronte alla difficoltà per cui gli angeli non po-
tevano avere due tipi di operazioni dal momento che una volta creati dovevano rispon-
dere pienamente allo scopo per cui erano stati creati e quindi realizzare in atto la loro es-
senza, e ciò non sarebbe stato possibile se avessero dovuto passare da un’operazione al-
l’altra. In Par. XXIX 37-45 Dante specifica, contraddicendo la tradizione che discende-
va da Gerolamo, che gli angeli furono creati contestualmente ai cieli come loro motori,
e in questa funzione fa consistere la loro perfezione. Il tema della “perfezione” angelica
è dibattuto e non privo di aspetti problematici soprattutto in merito alla prima specula-
zione angelologica dantesca nel Convivio e in particolare in Convivio II IV, in cui Dante
supponeva che gli angeli non potessero allo stesso tempo contemplare e muovere i cie-
li; formulazione radicalmente diversa da quella di Par. XXVIII, dove tutte le intelligen-
ze contemplano e muovono allo stesso tempo. Si tenga presente che l’ipotesi che gli an-
geli potessero avere sia vis contemplativa che vis administrativa e svolgere due operazio-
ni simultaneamente era contemplata dai teologi, in particolare da Bonaventura, che a
sua volta la derivava dall’angelo semper mobilis di Giovanni Damasceno (De fide ortho-
doxa II c. 3): «respondeo dicendum quod in Angelis duplex est vis, scilicet contempla-
tiva et administrativa» (BONAVENTURA, In secundum librum sententiarium, in Opera Om-
nia, Tomo II, dist. 8, p. 1, q. 2, citato in P. PORRO, Intelligenze oziose e angeli attivi, in «Ad
Ingenii Acuitionem». Studies in Honor of Alfonso Maierù, a c. di S. CAROTI-R. IMBACH-
Z. KALUZA-G. STABILE-L. STURLESE, Louvain La Neuve, Brepols, 2006, pp. 303-351, p.
341). E anche da Tommaso, per il quale l’angelo poteva avere una residua potenza ri-
212 SUSANNA BARSELLA
spetto a ciò che si estendeva al di là della sua capacità cognitiva naturale. Vedi nota 12 e
S. Th. I, q. 56 a. 1 c. Si veda in particolare per i problemi della sovrapposizione tra in-
telligenze aristoteliche e angeli cristiani nel Convivio PORRO, Intelligenze, cit. Per i pro-
blemi relativi al tipo di conoscenza degli angeli nell’Empireo del Convivio vedi anche
M.L. ARDIZZONE, Reading as the Angels Read: Speculation and Politics in Dante’s “Ban-
quet”, Toronto, Toronto University Press, 2016, pp. 114-169. Per il testo del Convivio si
tengono presenti le seguenti edizioni: DANTE ALIGHIERI, Opere minori, tomo I parte II,
Convivio, a c. di C. VASOLI, Milano-Napoli, Ricciardi, 1988; DANTE ALIGHIERI, Convivio,
a c. di F. BRAMBILLA AGENO, vol. 2: Testo (Società Dantesca ltaliana. Edizione Naziona-
le. Le Opere di Dante Alighieri, 3), Firenze, Le Lettere, 1995; DANTE ALIGHIERI, Ope-
re, II. Convivio, a c. di G. FIORAVANTI, Milano, Mondadori, 2014.
14
Già nel Convivio Dante aveva istituito la corrispondenza tra cieli e ordini angeli-
ci (Conv. II V 13-15), senza però menzionare il rapporto inverso in termini di velocità di
movimento e volume. Inoltre nel Convivio solo alcuni angeli in ciascun ordine muovo-
no i cieli, e il Primo Mobile si muove a causa del desiderio di unirsi con l’Empireo in ogni
sua «parte».
15
Connessa alla definizione degli angeli come puri atti sono anche le terzine di Par.
XXIX 54, in cui si insiste sul loro moto circolare continuo. La questione dell’atto puro
ha suscitato un ampio e approfondito dibattito a cui rimando nella bibliografia qui sot-
to e alla nota 96. Per quanto concerne la presente ricerca, sembra possibile che Dante po-
tesse considerare gli angeli atti puri riferendosi implicitamente alla distinzione già pre-
sente in Tommaso d’Aquino tra potenza rispetto al loro essere (la potentia ad esse citata
anche in Conv. IV XVII 9), in quanto sono creati, e atto puro rispetto ai ministeri che so-
no chiamati ad adempiere e nei quali esauriscono ogni possibile potenza residua rispet-
to alla loro essenza. L’opinione che Dante adotta nella Commedia trovava basi teologi-
che nella distinzione tomista tra ens et essentia, nel trattato De ente et essentia e nel De
substantiis separatis. Nella Summa Theologiae il teologo domenicano esplicitamente di-
DANTE E LA MACHINA MUNDI 213
chiara: «Dicitur ergo Angelus substantia semper mobilis, quia semper est actu intelli-
gens, non quandoque actu et quandoque potentia, sicut nos», S. Th. Iª q. 50 a. 1 ad 2.
Tuttavia, Tommaso riconosce la possibilità di una residua potenza intellettiva negli an-
geli sia per le cose di cui non hanno acquisito scienza come habitus, sia per quanto ri-
guarda le cose che vanno al di là della loro cognizione naturale («intellectus angeli num-
quam est in potentia respectu eorum ad quae eius cognitio naturalis se extendere po-
test»). Rispetto però a ciò che gli angeli apprendono attraverso la visione beatifica essi
sono sempre in atto: «Sed ad cognitionem verbi, et eorum quae in verbo videt, nunquam
hoc modo est in potentia, quia semper actu intuetur verbum, et ea quae in verbo videt.
In hac enim visione eorum beatitudo consistit, beatitudo autem non consistit in habitu,
sed in actu, ut dicit philosophus, in I Ethic.», S. Th. I, q. 58 a. 1. Ma anche Bonaventu-
ra, per il quale gli angeli come tutte le creature ritengono un certo grado di “materia” o
potenza (ilomorfismo), parla in termini di “atto puro” rispetto alle funzioni ministeriali
degli angeli. Per approfondire il dibattito sull’atto puro in Dante e la perfezione degli an-
geli rimando a L. BIANCHI, L’averroismo di Dante: qualche osservazione critica, in «Le Tre
Corone», 2 (2015), pp. 71-109, e dello stesso autore l’intervento “Puro atto” : Dante,
l’averroïsme et les substances séparées, nel Colloquio Internazionale, presso il Collège de
France, Parigi 12-13 maggio 2015; ID., Dante eterodosso? Vecchie polemiche e nuove pro-
spettive di ricerca, in ‘Theodogus Dantes’, cit., pp. 19-36; P. FALZONE, La dottrina delle in-
telligenze separate come “puri atti” in Dante (“Convivio” II, 4 e “Monarchia” I, 3), in Il
“Convivio” di Dante, a c. di J. BARTUSCHAT-A.A. ROBIGLIO, Ravenna, Longo, 2015, pp.
165-189.
16
La dizione machina mundi, di origine lucreziana, ebbe particolare successo e dif-
fusione con l’affermarsi del pensiero scientifico e cosmologico medievale, in particolare
a partire da Michele Scoto che la usa nel suo commento al De sphaera mundi di Johan-
nes Sacrobosco. Il cosmo è indicato come «mundi machina» anche nel proemio attribuito
a Pier delle Vigne al Liber Augustalis, le Costituzioni di Melfi promulgate nel 1231 da Fe-
derico II che inquadrano il corpus di leggi secolari raccolto per volere dell’imperatore for-
214 SUSANNA BARSELLA
se da Pier delle Vigne nel quadro del disegno provvidenziale. Per il successo della defi-
nizione, si veda M. GALZERANO, “Machina mundi”: significato e fortuna di una “iunctu-
ra” da Lucrezio alla tarda antichità, in «Bollettino di Studi Latini», 48 (2018), pp. 10-34.
17
Circa 5000 miglia secondo gli antichi commentatori, basandosi sul De meteora di
Aristotele. Il passaggio è spiegato da Stazio in Purg. XXI 46-48: «Per che non pioggia,
non grando, non neve, / non rugiada, non brina più sù cade / che la scaletta di tre gradi
breve».
DANTE E LA MACHINA MUNDI 215
razze dove si purgano le anime i terremoti sono originati non dai ven-
ti ma dalla raggiunta libertà di un’anima che accede all’Empireo attra-
verso il rituale della doppia immersione nei fiumi dell’Eden. La legge
di gravità viene rovesciata e il centro di gravitazione sia fisico che mo-
rale si sposta dal nucleo della terra (attratti verso Lucifero dal pondus
peccati) al punto luminoso dell’Empireo (attratti verso Dio dal pondus
amoris).18 Il purgatorio si trova quindi ad occupare una posizione fisi-
camente e teologicamente intermedia tra i cieli e la terra in una sfera
ideale che ha come polo inferiore Lucifero, confitto al centro della ter-
ra immobile e come polo superiore il punto luminoso al centro del-
l’Empireo.
Rispettando un ordine di simmetria, le sfere sia della terra che del-
l’Empireo sono immobili e tuttavia dotate di movimento al loro inter-
no. Nell’Empireo si muovono incessantemente gli angeli e i beati, men-
tre la terra è caratterizzata da movimento sia nel senso della genera-
zione e corruzione che nel senso dell’avvicendarsi dei beni fisici e del-
le fortune delle stirpi umane. A comandare questo moto terrestre è la
Fortuna, elevata in Inf. VII a intelligenza preposta all’avvicendamen-
to di prosperità, fama e ricchezza. La Fortuna è strumento («ministra»)
e guida («duce») della Provvidenza e appartiene alla schiera angelica
(«prime creature»). Come gli angeli (presumibilmente l’ordine più bas-
so a cui spetta il governo de «li splendor’ mondani») «volve» la sua
sfera (dei beni terreni) e con gli angeli gode della condizione beatifica,
«beata si gode» (Inf. VII 73-79, 95-96):
Colui lo cui saver tutto trascende,
fece li cieli e diè lor chi conduce
sì, ch’ogne parte ad ogne parte splende,
distribüendo igualmente la luce.
Similemente a li splendor’ mondani
ordinò general ministra e duce
che permutasse a tempo li ben’ vani
[…]
con l’altre prime creature lieta
volve sua spera e beata si gode.19
18
Per la presenza del “peso” rispetto alla “levitas” e le radici filosofiche di questi
concetti in Dante vedi S.A. GILSON, Rimaneggiamenti danteschi di Aristotele; “gravitas”
e “levitas” nella “Commedia”, in Le culture di Dante. Studi in onore di Robert Hollander,
a c. di M. PICONE-T.J. CACHEY-M. MESIRCA, Firenze, Cesati, 2004, pp. 151-178.
19
Per il testo della Divina Commedia si fa riferimento alla Commedia secondo l’an-
216 SUSANNA BARSELLA
22
Per l’interpretazione dantesca del decimo cielo, l’Empireo, e il suo contesto nel-
l’ambito della metafisica e della teologia medievali rimando alla bibliografia alla nota 10.
23
L’ultima visione di Dante è quella a cui viene portato per effetto di una «folgore»
ed è però indicibile. Questo “salto” nello spazio oltre la visione del cerchio e dell’im-
magine che Dante vi vede, suggerisce un elemento di teologica apofatica di origine pseu-
do-dionisiana. Per la presenza di questi elementi vedi SBACCHI, La presenza di Dionigi,
cit., e ARIANI, «E sì come di lei bevve la gronda, cit.
24
Si confronti anche Par. VII 133-138. Il modello cosmologico dantesco ha una ma-
trice biologica – secondo la quale l’uomo e le sue dimensioni sono riprodotte nel “cor-
po” del cosmo – che ritroviamo nelle concezioni cosmologiche medievali. La relazione
di continuità tra corpo umano e corpo celeste assicura una corrispondenza tra micro e
macrocosmo ed è una delle premesse dell’architettura dantesca perché è la concezione
scientifico-filosofica su cui poggia la teoria delle influenze celesti sul mondo terrestre. Per
una classica ricognizione delle varie teorie medievali sul cosmo si veda P. DUHEM, Me-
dieval Cosmology: Theories of Infinity, Place, Time, Void, and the Plurality of Worlds, tra-
duzione a c. di R. ARIEW, Chicago, University of Chicago Press, 1985.
218 SUSANNA BARSELLA
re in ogni cielo le specifiche virtù informanti che furono create con es-
si (le virtù incoative di cui già parlava Alberto Magno).25 Così mossi ed
illuminati, i cieli esercitano le loro specifiche influenze sul mondo su-
blunare a seconda della virtù di cui sono dotati, attivata dal movimen-
to e dall’irradiazione luminosa che ricevono dagli angeli.
Le due sfere, fisica e spirituale, devono essere collegate per poter
creare un sistema in cui tutte le parti rispondano ad un’unica logica e
soggiacciano allo stesso ordine in cui l’universo creato si articola. Dan-
te immagina che tale collegamento avvenga mediante il meccanismo
di trasmissione della luce e del moto governato dalle intelligenze e as-
sicurato dalla perfetta corrispondenza tra i nove ordini angelici e i no-
ve cieli secondo un rapporto inverso («di maggio a più e di minore a
meno, / in ciascun cielo, a süa intelligenza» Par. XXVIII 64-78).26 Que-
sta corrispondenza, come abbiamo accennato, è una straordinaria in-
venzione dantesca ed è essenziale al funzionamento della “macchina
del mondo”. Evidenzia inoltre come Dante facendo degli angeli il ful-
cro del movimento cosmico dia loro uno straordinario ruolo nel dise-
gno provvidenziale. L’invenzione dantesca è tanto più notevole se si
pensa che la funzione motrice degli angeli era una delle proposizioni
condannate dal vescovo di Parigi Etienne Tempier già nel 1277.27
25
Dante riprende queste nozioni anche nella Monarchia. Nel suo commento a Mon.
II II 2, Andrea Tabarroni rileva: «Dante si avvale qui di una dottrina più tipicamente dif-
fusa da Alberto Magno, secondo la quale ogni produzione naturale avviene in virtù di un
principio formale che risiede come esemplare nella mente di Dio e si trasmette alla ma-
teria attraverso l’influenza dei corpi celesti e l’azione formativa del seme», DANTE ALI-
GHIERI, Monarchia, a c. di P. CHIESA-A. TABARRONI, Roma, Salerno Editrice, 2013, p. 78.
Per la virtù formativa in Alberto Magno vedi A. TAKAHASHI, Nature, Formative Power
and Intellect in the Natural Philosophy of Albert the Great, in «Early Science and Medi-
cine», 13 (2008), pp. 451-481.
26
Per la spiegazione della relazione inversa tra cieli e ordini angelici vedi anche Par.
XXVIII 76-79.
27
Tra i teologi solo Tommaso d’Aquino aveva con grande cautela affidato la funzione
motrice all’ordine delle Virtù. Creando tale corrispondenza tra cori e cieli, Dante svin-
cola il numero degli angeli dal numero dei movimenti cosmici e lo collega invece alle vir-
tù che con il moto vengono attivate, ovvero un numero finito ma innumerabile. Per le
condanne delle proposizioni teologiche riguardanti gli angeli e la loro funzione motrice
vedi R. HISSETTE, Enquête sur les 219 articles condamnés à Paris le 7 mars 1277, Lou-
vain-Paris, Philosophes médiévaux, 1977, e L. BIANCHI, Il vescovo e i filosofi. La con-
danna parigina del 1277 e l’evoluzione dell’aristotelismo scolastico, Bergamo, Lubrina,
1990. La questione se gli angeli potessero o no muovere i cieli aveva suscitato un ampio
dibattito ancora prima del 1277. Nel 1271 il generale dei domenicani Giovanni da Ver-
DANTE E LA MACHINA MUNDI 219
celli aveva mandato 43 questioni (23 sul movimento celeste) su cui si sarebbero dovuti
pronunciare Alberto Magno, Tommaso d’Aquino e Robert Kilwardby. Per il dibattito
teologico sugli angeli motori e l’identificazione tra angeli biblici e intelligenze aristoteli-
che vedi in particolare BARSELLA, In the Light, cit. pp. 77-84. Per il dibattito filosofico
sugli angeli, la conoscenza e le loro funzioni motrici vedi T. SUAREZ-NANI, Les anges et
la philosophie: subjectivité et fonction cosmologique des substances separées à la fin du
XIIIe siècle, Parigi, Vrin, 2002, e della stessa autrice, Connaissance et langage des anges
selon Thomas d’Aquin et Gilles de Rome, Parigi, Vrin, 2003.
28
La questione se i cieli sarebbero rimasti eternamente dopo il giudizio e se avreb-
bero continuato ad essere mossi era ampiamente dibattuta tra i teologi del XIII secolo.
Dalla tradizione vetero e neo- testamentaria (soprattutto Is 65, 17; Apc 21, 1; II Cor 5, 10;
II Pt 3, 10 e Mt 25, 31-46) si attingeva l’idea della distruzione del mondo e la nascita di
«nuova terra e nuovi cieli» (Apc 21, 1). Questo mondo rinnovato nella Gloria sarebbe ri-
masto al servizio dell’essere umano glorificato, ovvero dotato di anima e corpo “glorio-
so”. Per Bonaventura e Tommaso d’Aquino i cieli “nuovi” non sarebbero dotati di mo-
vimento per volontà divina, anche se la cessazione del loro moto non trovava, per l’aqui-
nate, una giustificazione razionale. Si vedano in particolare per i due teologi i commen-
ti al IV libro delle Sentenze di Pietro Lombardo, d. 48 q. 2 a. 2 e il Supplementum alla
parte III della Summa Theologiae ad opera del discepolo di Tommaso, Rainaldo da Pi-
perno, q. 91, aa. 1-3. Dante accenna più volte all’eternità dei cieli (ad es. in Purg. XIV
148-149; Par. I 64; Par. XXIII 26), e il fatto che gli angeli fermi ai loro ubi per l’eternità
sembrino svolgere senza soluzione di continuità la loro arte di movitori lascerebbe sup-
porre che il movimento celeste continui anche dopo il giudizio universale. È una que-
stione che merita senz’altro ulteriori approfondimenti e che mi propongo di affrontare
in un lavoro futuro.
220 SUSANNA BARSELLA
29
Par. XXIX 49-54. In questo canto Beatrice spiega che gli angeli furono creati si-
multaneamente ai cieli il cui movimento costituisce la loro perfezione in quanto movitori,
Par. XXIX 31-36 e 43-45. Si noti che sebbene Dante sposi l’idea della creazione simul-
tanea di angeli e cieli, il movimento del cosmo – ovvero il tempo e la generazione e cor-
ruzione legate a questo – non iniziano se non con l’esercizio del libero arbitrio degli an-
geli e la caduta di Lucifero. Sembra possibile pensare che prima della caduta di Lucife-
ro il cosmo fosse in uno stato di quiete e la disposizione degli elementi perfetta.
DANTE E LA MACHINA MUNDI 221
30
Varie possibili fonti di Dante suggeriscono una convergenza sulla circolarità co-
me forma perfetta di movimento dei cori angelici. Tra queste, la fonte che appare più au-
torevole è Boezio, Cons. IV 6, 14-7: «come di più cerchi, i quali si volgano intorno un me-
desimo centro, quello che è l’ultimo di dentro s’accosta alla semplicità del mezzo, ed è
degli altri, che sono fuor di lui, come un certo centro, intorno al quale si girino; e quel-
lo che è l’ultimo di fuori, roteando con maggior circuito, quanto dalla indivisibilità del
punto del mezzo, cioè dal centro, si parte e allontana, tanto con più ampii spazii si spie-
ga»: «Nam ut orbium circa eundem cardinem sese uertentium qui est intimus ad sim-
plicitatem medietatis accedit ceterorumque extra locatorum ueluti cardo quidam circa
quem uersentur exsistit, extimus uero maiore ambitu rotatus quanto a puncti media in-
diuiduitate discedit tanto amplioribus spatiis explicatur, si quid uero illi se medio co-
nectat et societ in simplicitatem cogitur diffundi que ac diffluere cessat», MANLIO SE-
VERINO BOEZIO, La consolazione della filosofia, Milano, BUR, 1994. La circolarità del
moto è presente anche in Bonaventura, che parla di «circumcedere in divinis» nella Con-
ferenza XX, seguendo lo Pseudo-Dionigi. L’influenza di Bonaventura era già presente
nell’ordine di contemplazione delle gerarchie che Dante aveva seguito in Conv. II V 8, ve-
di BARSELLA, In the Light, cit., pp. 28-32, BONAVENTURA, La sapienza cristiana. Le “Col-
lationes in Hexameron”, a c. di V.C. BIGI, Milano, Jaca Book, 1985. La stessa immagine
è presente anche in Ugo di San Vittore, Super Hierarchiam Dionisii e in Ildegarda Von
Bingen, vedi su queste possibili fonti: N. TONELLI, Gli angeli nei cerchi, cit.; B. NARDI,
Sí come rota ch’igualmente è mossa, in ID., Nel mondo di Dante, Roma, Edizioni di Sto-
ria e letteratura, 1944, pp. 337-350, e E. FENZI, Dio e uomo nel cerchio della Trinità. Qual-
che nota ai versi finali della “Commedia”, in «Letteratura e Arte», 16 (2018), pp. 23-52.
222 SUSANNA BARSELLA
31
Dante aveva già esposto la disposizione spaziale degli ordini angelici in Conv. IV
XXI 5.
DANTE E LA MACHINA MUNDI 223
sendo mosso dall’ordine dei serafini, «che più ama e che più sape»
(Par. XXVIII 72), e che girando più velocemente di tutti gli altri im-
prime al “suo” cielo una maggiore spinta e una più intensa illumina-
zione.32 Dante si trova a dover spostare il punto di vista dall’esterno al-
l’interno del cielo delle teofanie per vedere la radice delle leggi dei fe-
nomeni fisici e attingere a una spiegazione del mondo che non può es-
sere puramente trascendente.
Ma se gli angeli sono i motori celesti, che cosa dà origine al loro
stesso moto? E come si propaga affinché l’universo fluisca nello spa-
zio e nel tempo secondo il progetto provvidenziale divino attraverso i
cicli di morte e vita che sono l’essenza della temporalità?
32
Cfr. Par. VII 73-75.
33
Virgilio definisce l’amore come «moto spiritale», «e mai non posa / fin che la co-
sa amata il fa gioire», Purg. XVIII 32-33.
34
Francesco da Buti interpreta i «vimi» come legami non solo in termini fisici: «cioè
li suoi legami, che li tengono fermi e tirano al punto: questi vimi sono la cognizione di-
vina e la grazia divina, che tiene loro fermi nella carità d’Iddio» ad loc.
224 SUSANNA BARSELLA
ha infatti per natura una capacità diversa di ricevere la luce e quanto più
vede, tanto maggiore è l’entità del suo desiderio di divenire simile a Dio
e tanto più intensamente traduce questo desiderio in velocità di movi-
mento. La loro posizione rispetto al centro di luce dell’Empireo riflet-
te queste loro differenze in capacità visiva e costituisce anche il luogo a
cui sempre ritornano. I cori sono infatti tenuti da vincoli («vimi») che
li tengono fermi ai loro «ubi» (Par. XXVIII 97) come loro luogo “geo-
grafico” naturale poiché si altererebbe altrimenti la corrispondenza cie-
li-ordini su cui si incardina il sistema cosmologico della Commedia. Le
loro sedi nei cerchi formati dal movimento segnano un confine che gli
ordini non possono oltrepassare poiché pur desiderando di essere il più
possibile simili a Dio – la deiformitas pseudo-dionisiana e bonaventu-
riana – non possono tuttavia “indiarsi” e raggiungere il punto «da cui
depende il cielo e tutta sua natura» (Par. XXVIII 42).35
La causa prima di tale desiderio, e quindi del moto stesso, è la vi-
sione dell’essenza divina: più essa è profonda, più intenso è l’ardore
e più veloce il moto. Il desiderio si trasforma in forza cinetica che
muove come per attrazione gravitazionale verso il centro dell’Empi-
reo, ma non può essere appagato se non nell’unione perfetta con Dio
nell’eterno, oltre il punto luminoso. Qui, nell’universo provvidenzia-
le della creazione, ciò non è ancora possibile e l’ideale movimento
rettilineo verso il punto non può che rivolgersi in sé stesso divenen-
do circolare, segnando nella distanza fisica l’estremo ed invalicabile
limite ontologico del loro essere.36 Ogni ordine raggiunge così nella
propria orbita la massima vicinanza possibile a Dio, godendo nella
letizia della propria relativa perfezione.37 Si spiega in questo modo
35
È vero tuttavia che gli angeli, pur essendo fissi nelle loro posizioni (Par. XXXX
94-96), si muovono anche al di fuori dei rispettivi cori, come anche i beati (vedi Beatri-
ce).
36
È Pier Damiani a rivelare a Dante che nessuna creatura può penetrare a fondo il
mistero del divino, nemmeno i serafini, gli angeli che gli sono più vicini: «Ma quell’alma
nel ciel che più si schiara, / quel serafin che ’n Dio più l’occhio ha fisso, / a la dimanda
tua non satisfara, / però che sì s’innoltra ne lo abisso / de l’etterno statuto quel che chie-
di, / che da ogne creata vista è scisso» (Par. XXI 91-96).
37
La visione angelica e dei beati non differisce se non nell’ordine delle diverse ca-
pacità concesse alle creature, sia angeliche che umane, come era comunemente accetta-
to dai teologi. Dante affida a Piccarda Donati in Par. III la spiegazione di come i beati (e
per analogia gli angeli) non desiderino essere più di quanto sono: «Se disïassimo esser più
superne, / foran discordi li nostri disiri / dal voler di colui che qui ne cerne» (Par. III 73-
75).
DANTE E LA MACHINA MUNDI 225
come i serafini, essendo i più vicini a Dio e avendo una visione mag-
giore, ardano di un amore più intenso e rivolgano intorno al punto al-
la velocità maggiore. La prima conseguenza della visione angelica è il
«diletto» provocato dalla visione del «vero» ovvero il piacere sublime
portato dalla conoscenza e commisurato ad essa (Par. XXVIII 106-
108):
e dèi saper che tutti hanno diletto
quanto la sua veduta si profonda
nel vero in che si queta ogne intelletto.
38
Il concetto è ripreso dallo Pseudo-Dionigi e sviluppato da Ugo di San Vittore,
che fa precedere l’ardore alla conoscenza, UGO DI SAN VITTORE, Super Hierarchiam Dio-
nisii, VII, a c. di D. POIREL, Turnhout, Brepols, 2015.
226 SUSANNA BARSELLA
39
Le gerarchie sono distinte per ordine di contemplazione rispetto ai compiti loro
assegnati sia nello Pseudo-Dionigi che in Gregorio Magno (Moralia in Job, XXXII, c. 23,
48 e Omelia 34 sul Vangelo). Riprendendo l’ordinamento pseudo-dionisiano Tommaso
descrive i vari criteri a cui rispondono le distinzioni tra gerarchie e in ogni gerarchia tra
gli ordini: «prima hierarchia accipitrationes rerum in ipso Deo; secunda vero in causis
universalibus; tertia vero secundum determinationem ad speciales effectus. Et quia Deus
est finis non solum angelicorum ministeriorum, sed etiam totius creaturae, ad primam
hierarchiam pertinet consideratio finis; ad mediam vero dispositio universalis de agen-
dis; ad ultimam autem applicatio dispositionis ad effectum, quae est operis executio;
haec enim tria manifestum est in qualibet operatione inveniri», S. Th. I q. 108 a. 6 r. È
rispetto a queste disposizioni volte al governo del mondo che gli angeli avrebbero una
illuminazione gerarchica, ricevendo dai superiori gli “insegnamenti” in merito a ciò a
cui sono preposti. Nel sistema dantesco, essendo la conoscenza dei ministeri angelici at-
tinta attraverso la visione beatifica diretta, tale ordine gerarchico di illuminazione non ha
più ragione di essere, come vedremo nel paragrafo 6.
DANTE E LA MACHINA MUNDI 227
40
Legge nello stesso modo già Benevenuto da Imola «Hic Beatrix describit in ge-
nerali principium et effectum virtutis omnium ordinum praescriptorum, dicens: Questi
ordini, scilicet praedicti novem angelorum, tutti l’ammirano vel rimirano di su, scilicet,
in praedicto punto, e vincon di giù, scilicet, speras coelestes, quas habent sub guberna-
tione sua; unde dicit: sì che tutti son tirati verso Dio, scilicet, sursum, a quo recipiunt in-
fusionem virtutis et gratiae, e tutti tirano, scilicet, deorsum ipsam virtutem immittentes
per corpora coelestia» (Darthmout Dante Project, ad loc.). Sia Benvenuto da Imola che
il Buti collegano il “tirare” alla teoria della inchoatio formae di Alberto Magno, che è
presente anche in Conv. IV XXI 4-5. Vedi su questo punto A. RAFFI, Dante e il “Liber de
causis”. Il problema della creazione nella “teologia” della “Commedia”, in «Campi Imma-
ginabili», 40/41 (2009), pp. 19-45, p. 35.
228 SUSANNA BARSELLA
41
La virtù informante è ciò che agisce sulla «complession potenzïata». Gli angeli
non trasferiscono le forme che sono già create nei cieli ma attivano le virtù informate in
questi. Si veda a questo proposito anche Mon. II 2 e Ep. XIII 60 ed i relativi commenti.
L’espressione «complessione potenziata» è già presente in Conv. IV XXI 4-5. Sulle virtù
formative ed Alberto Magno vedi ancora TAKAHASHI, Nature, Formative Power and In-
tellect, cit. e B. NARDI, La doctrina dell’“inchoatio formae” e la teoria agostiniana delle
“rationes seminales”. Testimonianza d’Egidio Romano e di G. Duns Scoto, in ID., Studi di
filosofia medievale, Roma, Storia e Letteratura, 1960, pp. 75-80.
DANTE E LA MACHINA MUNDI 229
42
Il concetto di complessione in Dante rimanda alla concezione medica che deriva
dalla tradizione ippocratica-galenica per cui la materia in cui vanno ad attivarsi le virtù
informative dal moto celeste non è nel suo stato originario di ὕλη ma è già “lavorata” co-
me composizione dei quattro elementi. Per la presenza di elementi della medicina gale-
nica nella Commedia vedi P. URENI, Medicine and Radical Thought: A Possible Galenic
Presence in the “Commedia”, in Dante and Heterodoxy: The Temptations of 13th Centu-
ry Radical Thought, a c. di M.L. ARDIZZONE, conclusioni di T. BAROLINI, Cambridge,
Scholars Publishing, 2014, pp. 225-241. Vedi anche B. NARDI, L’arco della vita (nota il-
lustrativa al “Convivio”), in ID., Saggi di filosofia dantesca, cit., pp. 110-138.
43
Connesso e complementare alla spiegazione di questo movimento si veda Par.
XIII 52-66, dove si spiega come la Trinità discenda come raggio riflesso dalle «nove sus-
sistenze» fino alle più basse «contingenze».
44
Così legge esplicitamente L’Ottimo Commento (1333) a Par. VII 136-141: «Crea-
ta fu ec. Creata fu la materia prima, di che tutte queste cose sono: In principio creavit
Deus coelum et terram ec. E creata fu la virtù de’ cieli, che informa la materia corporea
ch’è qua giù; l’anima, cioè la potenzia sensitiva, la quale qui chiama anima; e la potenzia
vegetativa, ch’è nelli arbori, è infusa in esse dal moto e influenzia delle stelle, alle quali
Dio ha data cotale potenzia, sì come è detto [sopra], capitolo settimo Inferni». France-
sco da Buti (1385-95) riferisce «luci sante» alle stelle: «ecco che tocca due cose che so-
no cagione de le influenzie dei corpi celesti, de le luci sante; cioè delle stelle le quali chia-
ma sante, cioè ferme, perché sono create senza mezzo da Dio, tira; cioè produce ad es-
sere, l’anima d’ogni bruto; cioè l’anima sensitiva et imaginativa d’ogni animale bruto, e
de le piante; cioè l’anima vegetativa dell’erbe e degli albori, di complession potenziata; cioè
di composizione materiale, cioè elementale: imperò che tale anima si dice fatta del sim-
plice formale degli elementi, deputato dalla virtù e dalla influenzia dei corpi celesti; e per-
ciò tali anime sono temporali e non perpetue, e non sono libere; ma soiaceno a la in-
fluenzia et a la virtù dei corpi celesti». Diversamente Serravalle (1416-17) riferisce le «lu-
230 SUSANNA BARSELLA
ci sante» in modo traslato agli angeli: «creata fuit virtus informans, idest in istis stellis,
que circa ipsam vadunt, idest volvuntur, idest virtusque est in celo, scilicet intelligentia
movens celum». Connesso a questo passo vedi anche Par. VII 130-135.
45
Cfr anche Conv. II IV 9. Vedi a questo proposito anche RAFFI, Dante e il “Liber de
causis”, cit. Cosí Tommaso spiega i limiti della divinazione astrologica: «Secundo autem,
subtrahuntur causalitati caelestium corporum actus liberi arbitrii, quod est facultas vo-
luntatis et rationis. Intellectus enim, sive ratio, non est corpus nec actus organi corporei;
et per consequens nec voluntas, quae est in ratione, ut patet per philosophum, in III de
anima. Nullum autem corpus potest imprimere in rem incorpoream. Unde impossibile
est quod corpora caelestia directe imprimant in intellectum et voluntatem, hoc enim es-
set ponere intellectum non differre a sensu», S. Th. II-IIae q. 95 a. 5 ad. 2.
DANTE E LA MACHINA MUNDI 231
46
Francesco da Buti spiega come i movimenti dei cieli siano in relazione tra loro e
vengano “ordinati”: mentre i cherubini sono responsabili del moto “difforme” dell’ot-
tava sfera, il Primo Mobile, mosso dai serafini, imprime alla sfera sottostante il suo mo-
to uniforme, ovvero il volgersi circolarmente attorno alla terra: «esso cielo ottavo, [Dio]
volve; cioè gira per mezzo dei suoi Cherubini quanto al moto suo difforme, e quanto al
232 SUSANNA BARSELLA
moto naturale et uniforme per mezzo del primo mobile che si muove e gira per mezzo
dei Serafini» (Dartmouth Dante Project, ad loc.). In questo modo avremmo una comu-
nicazione gerarchica del moto almeno per i due cieli superiori, ma non sarebbe chiaro
come si procede per le sfere dei pianeti.
47
Anche l’uso del verbo “prendere” in Par. II 132 è ambiguo. Se si intende in sen-
so passivo come “ricevere” dobbiamo assumere un’azione attiva diretta dell’angelo che
trasmette l’immagine-idea nel cielo. Se invece lo intendiamo in senso proprio dovrem-
mo assumere una volontà del cielo, coerentemente con l’ipotesi animista.
48
La descrizione di questo meccanismo di trasmissione richiama alla mente e sem-
bra poter derivare dal precedente poetico della canzone Al cor gentile rempaira sempre
amore di Guido Guinizzelli. Nella stanza V Guinizzelli metteva in atto un parallelo tra
l’azione della donna amata sul cuore dell’amante e quella del sole che purifica la pietra
rendendola atta a ricevere l’azione del corpo celeste che trasmette a questa la sua speci-
fica virtù, posseduta dalla pietra in potenza. Come la «stella» attiva le virtù nella pietra,
cosí la donna attiva nel cuore gentile la disposizione all’amore. La stella prende la sua for-
za dall’azione informante dell’angelo-intelligenza che volgendo intorno a Dio volge il
cielo come effetto spontaneo e quasi accidentale del desiderio di obbedire alla volontà
divina. Questa intelligenza guinizzelliana, movitrice e in moto attorno a un dio lumino-
so, diventa qui il modello per l’azione della donna, che risplendendo negli occhi del-
l’amante lo invoglia ad obbedirla con indefettibile desiderio: «Splende ’n la ’ntelligenzia
del cielo / Deo criator più che [’n] nostr’occhi ’l sole: / ella intende suo fattor oltra ’l cie-
lo, / e ’l ciel volgiando, a Lui obedir tole; / e con’ segue, al primero, / del giusto Deo bea-
to compimento, / così dar dovria, al vero, / la bella donna, poi che [’n] gli occhi splen-
de / del suo gentil, talento / che mai di lei obedir non si disprende». La descrizione del
meccanismo di ricezione delle influenze celesti è molto vicina a quella che Dante di-
spiega in una vera e propria cosmologia. Quello che per Guinizzelli era ancora un pa-
rallelo e una metafora per spiegare gli effetti della donna amata sul cuore dell’amante, in
Dante diviene modello universale di spiegazione del mondo. Ronald L. Martinez mette
in rilievo l’importanza della canzone guinizzelliana per la cosmologia dantesca: R.L. MAR-
TINEZ, Guinizellian Protocols: Angelic Hierarchies, Human Government, and Poetic Form
in Dante, in «Dante Studies», 134 (2016), pp. 48-111.
DANTE E LA MACHINA MUNDI 233
49
I commentatori si dividono tra coloro che interpretano Par. XXVII 110 come ri-
ferito ai Serafini e coloro che lo interpretano come riferito direttamente a Dio. Così spie-
ga Francesco da Buti perché si debba propendere per la prima ipotesi, in quanto coerente
con il contesto della cosmologia dantesca: «Diceno alquanti che alcuno angelo o più
muoveno questo cielo, come sono mossi ellino de l’amore che ànno in Dio, e da Dio è in
loro cagionato; alcuni diceno che ’l detto cielo si muove pur per la virtù che spira da
Dio, e quello cielo ad essa si muove come amante quella virtù: imperò che Iddio, come
dice Platone, muove ut amatum: la cosa amata, stante ferma, muove l’amatore ad anda-
re intorno a lei. Lo testo dell’autore può avere l’una e l’altra sentenzia, benchè l’una è con-
tra quello che è stato detto di sopra, cioè che le cose che sono mosse da Dio senza mez-
zo sono perpetue, quelle che con mezzo sono a tempo, e li cieli sono a tempo; dunqua
lo loro moto debbe essere con mezzo» (Dartmouth Dante Project, ad loc.).
50
Sulle influenze delle teorie cosmologiche medievali “animiste” per quanto ri-
guarda il rapporto tra i cieli e le intelligenze, si veda B. NARDI, La dottrina delle macchie
lunari nel secondo canto del “Paradiso”, in ID., Saggi di filosofia dantesca, cit., pp. 3-39.
234 SUSANNA BARSELLA
51
Per le varie fonti di origine araba e aristotelica di questa visione cosmologica si ve-
dano i commenti di Cesare Vasoli e Gianfranco Fioravanti a Conv. II III 9.
52
«La perfetta quiete dell’Empireo è cagione al Primo Mobile per avere velocissi-
mo movimento; che per lo ferventissimo appetito ch’è [’n] ciascuna parte di quello no-
no cielo, che è [im]mediato a quello, d’essere congiunta con ciascuna parte di quello di-
vinissimo ciel quieto, in quello si rivolve con tanto desiderio, che la sua velocitade è qua-
si incomprensibile», Conv. II III 9.
DANTE E LA MACHINA MUNDI 235
geli cause efficienti e strumentali del moto senza dover supporre la “or-
ganicità” dei cieli, lasciando a Dio il ruolo di causa prima senza che
debba direttamente comunicare con la sfera materiale del Primo Mo-
bile.53
Torniamo quindi alla spiegazione del moto del cielo delle stelle fis-
se in Par. XXVII, dove Beatrice illustra l’origine e la qualità del moto
del Primo Mobile. Non avendo altro cielo che l’Empireo sopra di sé
(«non ha altro dove» Par. XXVII 109), il Primo Mobile è il primo cie-
lo da cui inizia il movimento celeste. Come nelle terzine di Par. II so-
pra citate, anche qui troviamo l’accostamento tra la mente divina e
l’inizio del moto e della “pioggia” di virtù («ch’ei piove») che accom-
pagna il moto. In questo caso la «mente divina» viene resa elemento
spaziale, indicando nel «dove» l’unico luogo che contiene il Primo Mo-
bile, ovvero l’Empireo. È infatti nel cielo di luce che si «accende»
l’amore che lo fa muovere («che ’l volge») e da cui deriva la virtù che
esso comunica e che il moto stesso rende viva. Qui Dante non si rife-
risce astrattamente all’amore di Dio ma all’amore degli angeli, peraltro
spesso chiamati «amori», che si tramuta in movimento.54
La «mente divina» di Par. XXVII 110 non può dunque volgere il
Primo Mobile, perché ciò sarebbe in contraddizione con quanto Bea-
trice rivela della corrispondenza tra i serafini e il cielo Cristallino:
«Dunque costui che tutto quanto rape / l’altro universo seco, corri-
sponde / al cerchio che più ama e che più sape» (Par. XXVIII 70-72).
Questa «mente divina» non può essere intesa che come l’oggetto del-
la contemplazione angelica nell’Empireo: è quella mente da cui tutto
dipende e che non coincide necessariamente con l’Empireo. È in que-
sta «mente» – oggetto della visione angelica – che si «accende» l’amo-
re per Dio che innesta il moto e da cui «piove» la virtù formativa che
va a perfezionare il cielo sottostante. L’amore che muove il Cristallino
è quello dei serafini che, coerentemente con Par. XXVIII, più vedono,
53
Nardi mette in evidenza la radice avicenniana di questo ordinamento cosmologi-
co che Dante segue nel Convivio (in particolare Conv. II III 9) e la sua fortuna tra i teo-
logi del XIII secolo. Si vedano anche come alcune delle proposizioni condannate dal ve-
scovo di Parigi Etienne Tempier nel 1277 riguardassero proprio l’idea che i cieli potes-
sero essere animati e “organi” delle intelligenze angeliche, NARDI, La dottrina delle mac-
chie lunari, cit., pp. 25-32. Per la diffusione delle dottrine sull’animismo cosmologico
vedi anche T. GREGORY, Anima Mundi. La filosofia di Gugliemo di Conches e la Scuola di
Chartres, Firenze, Sansoni, 1955.
54
Vedi ad esempio Par. XXVIII 103; Par. XXIX 18 e Par. XXIX 46.
236 SUSANNA BARSELLA
55
Così spiegano anche i primi commentatori come L’Ottimo Commento (1333) a
Par. XXVII 115-117: «Non è suo moto ec. cioè, che ’l moto della nona spera sì misura tut-
ti gli altri movimenti: lo quale si è che dà una volta in ventiquattro ore; e però da ore, da
dì, e da mesi, e da anni si toglie il movimento di tutti li altri cieli, come chiaro appare nel-
le tavole di stronomia. E dice, che li altri moti sono misurati da questo, sì come il numero
del dieci si misura per quinario e binario».
56
Così spiega tra gli altri commentatori anche Francesco da Buti commentando
Purg. XXVIII 104, quando Matelda spiega a Dante che il Primo Mobile è l’origine del
vento che induce la generazione della flora dal Paradiso Terrestre: «L’aire si volge; cioè
de la prima regione e de la seconda e de la terza, co la prima volta; cioè col primo mobi-
le che gira in 24 ore da oriente in occidente, et inde per l’altro emisperio torna ad orien-
te». La spiegazione di Matelda fornisce un esempio di come attraverso il moto dei cieli
si attivi il processo di generazione nelle regioni sottostanti. La sfera dell’aria (divisa in tre
aree di cui la terza più vicina alla sfera del fuoco è detta etere) rivolve con il moto del pri-
mo mobile, tale moto percuote e genera il suono che Dante ode nella selva dell’Eden
«cioè el moto del primo mobile, percotendo l’aere, muove la selva e l’aere suona, perché;
cioè per ch’ella, è folta; cioè piena d’arbori». Le piante rilasciano nell’aria le loro “virtù”
che impregnano l’aria e cadono a produrre le piante sulla terra «cioè diverse alberi et er-
be che ànno diverse virtù, e così la nostra terra produce del seme delle piante che sono
nel paradiso terrestre» (Dartmouth Dante Project, ad loc.).
DANTE E LA MACHINA MUNDI 237
Ciò è che lo moto della nona spera si è mensura di tutti gli altri movimen-
ti, lo quale si è che dà una volta in XXIIIJ ore, e però da ore, da dì, da mesi, da
anni si toglie lo movimento di tutti gli altri cieli, come chiaro appare nelle tavo-
le d’Astronomia.
57
«Dante, anche se con una conoscenza quasi sempre di prima mano dei testi chia-
ve (non credo affatto alla vulgata secondo cui l’Alighieri si sarebbe formato su compen-
di e bignamini) accoglie materiali, principi e tesi dalla filosofia universitaria senza mutarli.
In questo non è originale: l’originalita sta nell’uso che ne fa. Con materiali tradizionali
egli costruisce con assoluta libertà dottrine assai distanti da quelle di quei professori uni-
versitari che avevano cominciato a definirsi “filosofi”», G. FIORAVANTI, Desiderio e limi-
te della conoscenza in Dante, in Forme e oggetti della conoscenza nel XIV secolo. Studi in
ricordo di Maria Elena Reina, a c. di L. BIANCHI-C. CRISCIANI, Firenze, SISMEL-Edizio-
ni del Galluzzo, 2014, pp. 7-20.
DANTE E LA MACHINA MUNDI 239
58
Giovanni XXII nel 1333 aveva infatti riacceso il dibattito sulla visione beatifica so-
stenendo la tesi contraria, che la visione di Dio non fosse possibile prima del giudizio uni-
versale. La tesi agostiniana di un accesso alla visione beatifica prevalse sulle resistenze op-
poste da teologi scolastici come Tommaso d’Aquino, per il quale il problema della co-
noscenza di un ente infinito da parte di uno finito restava un ostacolo difficilmente su-
perabile. Per il dibattito teologico medievale sulla visione beatifica vedi C. TROTTMANN,
La vision béatifique dès disputes scolastiques à sa définition par Benoît XII, Roma, Bi-
bliothèque des écoles françaises d’Athènes et de Rome, 1995, e E. SCRIBANO, Angeli e
beati. Modelli di conoscenza da Tommaso a Spinoza, Roma-Bari, Laterza, 2006, pp. 3-67.
Vedi anche L. CAPPELLETTI, Per un nuovo contributo al problema della visione beatifica
nella Scolastica: la prospettiva di Tommaso di Bailly, in «Annali del Dipartimento di Fi-
losofia», 13 (2007), pp. 33-58; ID., «Nelle scuole de li religiosi». Le dispute scolastiche sul-
l’anima nella “Commedia” di Dante, pres. di A. LANZA, Firenze, Aleph Edizioni, 2015, pp.
72-86.
59
Le posizioni agostiniane sulla questione della visione beatifica sono legate all’as-
sunzione del modo in cui Agostino suppone si possa accedere alla conoscenza dell’esse-
re supremo. Nelle opere giovanili come il De quantitate animae la conoscenza del divi-
no si considera nel contesto di una conoscenza per reminiscenza delle forme innate del-
la creazione. In questa prospettiva la visione di Dio era possibile sia in patria, nelle so-
stanze separate, che in via in casi eccezionali, ai saggi e alle anime dei grandi. Nelle ope-
re più tarde come il De Trinitate prevale la teoria dell’accesso alla conoscenza di Dio at-
traverso l’illuminazione, frutto di una innata predisposizione e presente in potenza in
tutte le creature. La citazione di quest’opera nell’Epistola XIII (Ep. XIII 80) sembre-
rebbe ignorare questo contesto. Per le posizioni di Agostino la cui critica è al fonda-
mento della teoria della visione beatifica di Tommaso d’Aquino vedi SCRIBANO, Angeli
e beati, cit., in particolare p. 7 nota 13. Per l’influenza di Agostino sulla visione finale del
Paradiso dantesco vedi M. CICCUTO, Per una teologia delle immagini dantesche. Agosti-
no e la “visio” ultima del “Paradiso”, in «Letteratura e Arte», 16 (2018), pp. 13-21.
60
«E dei saper che tutti hanno diletto / quanto la sua veduta si profonda / nel vero
in che si queta ogne intelletto». Si veda inoltre Par. XXVIII 105-108 e Par. XXXI 22-24.
240 SUSANNA BARSELLA
61
Per la caduta di Lucifero (Inf. XXXIV 121-126; Par. XXIX 49-57) e il turbamento
degli elementi anche in relazione con la nascita della montagna del Purgatorio e le pos-
sibili discrepanze tra Inf. XXXIV e la Quaestio de acqua et terra si veda il saggio ancora
fondamentale di B. NARDI, La caduta di Lucifero e l’autenticità della “Quaestio de aqua
et terra” (1959), ripubblicato in ID., Lecturae e altri studi danteschi, a c. di R. ABARDO, Fi-
renze, Le Lettere, 1990, pp. 227-265; A. CORNISH, Planets and Angels in “Paradiso”
XXIX: The First Moment, in «Dante Studies», 108 (1990), pp. 10-14; M. GALLARINO, Me-
tafisica e cosmologia in Dante: il tema della rovina angelica, Bologna, il Mulino, 2013; e
A. CASADEI, Primi appunti su “Inf.” XXXIV in relazione alla “Questio de aqua et terra”,
in Lecturae Dantis. Dante oggi e letture dell’Inferno, a c. di S. CRISTALDI, numero specia-
le di «Le forme e la storia», 9 (2016), pp. 299-315; e si veda ora ID., Dante. Altri accer-
tamenti e punti critici, Milano, Franco Angeli, 2019, pp. 189-221. Per l’originale riscrit-
tura dantesca del Genesi in merito alla creazione e caduta degli angeli si veda P. BOITA-
NI, Creazione e caduta di “Paradiso” XXIX, in «L’Alighieri», 19 (2002), pp. 87-103.
DANTE E LA MACHINA MUNDI 241
Il «lumen gloriae»
Già a seguito della prima condanna del 1241 il dibattito tra i teo-
logi si era sviluppato nell’esplorazione delle condizioni a cui la visione
beatifica poteva avvenire. Tommaso d’Aquino, a fronte della difficol-
tà di dover ammettere la conoscibilità di un ente infinito da parte di un
ente finito quali le sostanze separate, arriva a negare la possibilità di ta-
le visione secondo natura per gli enti creati e ad ammettere infine la ne-
cessità di un intervento divino esterno che crea le condizioni perché gli
intelletti umano e angelico possano elevarsi a tale visione.62 Si tratta
della luce divina, il lumen gloriae secondo una dottrina che già Alber-
to Magno aveva iniziato a sviluppare e che in Tommaso trova una de-
finizione strumentale alla visione facie ad faciem, similmente a quanto
troviamo nella Commedia.63
62
Tommaso ribadisce il concetto dell’inconoscibilità dell’ente infinito da parte di un
ente finito in varie parti della sua opera, vedi in particolare S. Th. I, q. 12, a. 7.
63
La luce per Tommaso non è che un mezzo mediante il quale l’intelletto viene per-
fezionato e reso capace di vedere l’essenza divina senza tuttavia poterla interamente co-
noscere: «[Lumen gloriae] non est medium in quo Deus videatur, sed sub quo videtur.
242 SUSANNA BARSELLA
Che questa sia la luce che troviamo nel Paradiso è evidente già nel-
l’incipit (Par. I 1-3):
La gloria di colui che tutto muove
per l’universo penetra, e risplende
in una parte più e meno altrove,
dove il divino è colto nella sua gloria, ovvero nella sua manifesta-
zione per mezzo della luce che irradia dal punto centrale dell’Empireo
e fa da veicolo alla visione. Questa luce raggia con uniforme intensità
(«penetra») ma si riflette («risplende») nelle «nove sussistenze» (Par.
XIII 59) con maggiore o minore lucentezza a seconda delle diverse ca-
pacità degli angeli di ricevere la luce.64 Questa luce è il mezzo attra-
verso cui la gloria Domini, termine tecnico di origine vetero-testamen-
taria, si manifesta nella creazione, come Beatrice spiegherà in Par. XXX
100-102 («Lume è là sù che visibile face / lo creatore a quella creatu-
ra / che solo in lui vedere ha la sua pace»). Luce e gloria sono termini
contigui ma affatto distinti, come i versi su citati di Par. I 1-3 rendono
evidente, e come al contrario non avviene nell’Epistola XIII.65 Il lumen
Et hoc non tollit immediatam visionem Dei», S. Th. I, q. 12, a. 5, ad 2. Vedi su questo
tema P. FEDRIGOTTI, Esprimere l’inesprimibile. La concezione dantesca della beatitudine,
prefaz. di G. VIVALDELLI, Bologna, EDS-Edizioni Studio Domenicano, 2009, pp. 141-
186. Per la teoria della visione beatifica di Alberto Magno e il dibattito teologico vedi J.P.
HERGAN, St. Albert the Great’s Theory of the Beatific Vision, New York, Peter Lang, 2002.
64
Cfr. Par. XIII 58-60: «per sua bontate il suo raggiare aduna, / quasi specchiato,
in nove sussistenze, / etternalmente rimanendosi una». Come gli angeli, anche i beati ri-
cevono la visione divina in gradi diversi a seconda delle loro diverse nature, come spie-
ga Piccarda in Par. III 70-87.
65
Come rileva Alberto Casadei, la gloria Domini, concetto che deriva dall’Antico
Testamento, esclude una gradualità della stessa: «la “gloria” va distinta dalla “luce”,
che è un suo attributo epifanico, come dimostrano senza margini di dubbio i versi […]
“Nel ciel che più della sua [sc. “della gloria divina”] luce prende / fu’ io…” (Par. I, 4-
5). Stando alla lettera, è dunque necessario tenere distinti i termini “gloria” e “luce” in
riferimento a Dio. In effetti, la “gloria” è qui quella specifica della “Gloria Domini”,
largamente attestata, che indica sin dal libro dell’Esodo il manifestarsi di Dio agli esse-
ri umani in tutta la sua potenza (cfr. Es. 16.10; 24.16-17 ecc.)», CASADEI, Dante. Altri
accertamenti e punti critici, cit., p. 37, vedi anche p. 50 e, dello stesso autore, Dante ol-
tre la Commedia, Bologna, il Mulino, 2013 in particolare pp. 34-43. Sulla distinzione tra
luce e gloria vedi anche M. SIGNORI, Sulla distinzione di luce e gloria nel “Paradiso” dan-
tesco, in «Italianistica», 45 (2016), pp. 51-66; M. ARIANI, L’ombra dell’«altro sole»: let-
tura del canto I del “Paradiso”, in «L’Alighieri», 42 (2013), pp. 59-93 e BARSELLA, In
the Light, cit., pp. 36-44.
DANTE E LA MACHINA MUNDI 243
66
Per la definizione del lumen gloriae come mezzo per la visione beatifica si veda-
no almeno P. VALERIO, “Lumen gloriae” e “apex affectus” nel XXXIII del “Paradiso”, Na-
poli, Laurenziana dei frati minori conventuali, 1962; M. GAGLIARDI, “Lumen gloriae”.
Studio interdisciplinare sulla natura della luce nell’Empireo dantesco, Città del Vaticano,
Libreria Editrice Vaticana, 2010 e ID., La luce nell’Empireo dantesco, in Dante oltre il
medioevo. Atti dei convegni in ricordo di Silvio Pasquazi (Roma 16 e 30 novembre 2010),
a c. di V. PLACELLA, Roma, Pioda Imaging Editore, 2012, pp. 103-115. Non si tratta nel
presente saggio della visione beatifica dell’intelletto umano. Si veda a questo proposito
B. NARDI, La visione beatifica, in La letteratura italiana per saggi storicamente disposti. I.
Le Origini, il Duecento e il Trecento, a c. di L. CARETTI-G. LUTI, Milano, Mursia, 1972,
pp. 235-240; M. MOCAN, La trasparenza e il riflesso. Sull’alta fantasia in Dante e nel pen-
siero medievale, Milano, Bruno Mondadori, 2007, pp. 81-108; e FEDRIGOTTI, Esprimere
l’inesprimibile, cit., pp. 141-186.
67
Per la bibliografia sulle conoscenze scientifiche sulle teorie dell’ottica, della luce
e della metafisica della luce vedi S. GILSON, Medieval Optics and Theories of Light in the
Works of Dante, Lewinston, Edwin Mellen Press, 2000; G. FEDERICI VESCOVINI, Le teo-
rie della luce e della visione ottica dal IX al XV secolo. Studi sulla prospettiva medievale e
altri saggi, Perugia, Morlacchi, 2003. Per uno studio delle metafore della luce nel Para-
diso con attenzione alle caratteristiche teologiche pseudo-dionisiane si veda M. ARIANI,
Lux inaccessibilis: metafore e teologia della luce nel “Paradiso” di Dante, Roma, Aracne,
2010. Per la possibile influenza di Bartolomeo da Bologna per il fons di luce richiamato
di recente da Fioravanti nel suo commento (cit., pp. 488-89) vedi L. OLSCHKI, Sacra dot-
trina e Teologia mystica. Il canto XXX del “Paradiso”, in «Giornale dantesco», 36 (1933),
pp. 3-25 e in particolare per il parallelismo tra il De luce ed il terzo trattato del Convivio
vedi C. PIANA, Le questioni inedite del “De glorificatione Beatae Mariae Virginis” di Bar-
tolomeo da Bologna O. F. M. e le concezioni del “Paradiso” Dantesco, in «L’Archiginnasio»,
33 (1938), pp. 247-322; e J.A. MAZZEO, Light Metaphysics, Dante’s “Convivio” and the
Letter to Can Grande Della Scala, in «Traditio», 14 (1958), pp. 191-229. Il carattere stru-
mentale della luce trova riscontro in Tommaso, che definisce il lumen divino come un
244 SUSANNA BARSELLA
mezzo: «non est medium in quo Deus videatur, sed sub quo videtur. Et hoc non tollit im-
mediatam visionem Dei», S. Th. I, q. 12, ad 2. Per la funzione strumentale della luce nel
Paradiso mi permetto di rimandare a BARSELLA, In the Light, cit., pp. 36-44 e per l’im-
portanza di questo dato per le questioni relative alla definizione della “gloria” e della vi-
sio beatifica vedi SIGNORI, Sulla distinzione di luce e gloria nel “Paradiso” dantesco, cit.
DANTE E LA MACHINA MUNDI 245
Gerarchia e volontà
68
Vedi paragrafo 3. Si deve però notare che alla radice della visione vi è la volontà
degli angeli di ricevere la grazia illuminante aggiuntiva, e quindi in questo senso trovia-
mo un atto “affettivo” originario anche in Dante, sebbene il meccanismo celeste si met-
ta in moto tecnicamente al momento della visione.
246 SUSANNA BARSELLA
71
PL 175 [Col. 1033 A]. La traduzione latina è quella di Scoto Eriugena presente
nel commento al De coelesti hierarchia di Ugo di San Vittore.
248 SUSANNA BARSELLA
Pseudo-Dionigi, la visione beatifica è diretta già prima del giudizio universale per tutte le
creature spirituali, comprese le anime beate – perché diversamente si entrerebbe in con-
tradizione con il dettato paolino per cui ora vediamo in enigmata, ma dopo la morte facie
ad faciem (I Cor 13, 12). Le posizioni su questo punto non erano univoche. Alcuni so-
stennero che la visione beatifica poteva essere diretta solo dopo il recupero del corpo e
quindi della perfezione ultima dell’anima umana dopo il giudizio universale. Altri sosten-
nero invece che la visione era elargita come grazia aggiuntiva – illuminante – la stessa che
aveva permesso agli angeli di attingere alla visione di Dio e iniziare la loro perfezione nel-
la cooperazione all’azione divina dopo la caduta di Lucifero e degli angeli ribelli.
DANTE E LA MACHINA MUNDI 249
Dio si offre a tutti i beati in modo immediato per quanto pertiene all’oggetto
della beatitudine, perché niente può donare loro beatitudine se non Dio stesso,
nel quale risiede la perfezione della bontà. E d’altra parte ciascuno sta in pro-
porzione a lui sia secondo natura che secondo merito; secondo natura, perché
ogni cosa è capace di lui [Dio] secondo un certo qualcosa, e a maggior ragione
i beati. Secondo il merito, perché per la grazia concessa meritano un bene infi-
nito, che non è l’angelo ma Dio. Per quanto pertiene alla rivelazione delle cose
divine occulte che sono nella sua natura e che pertengono al governo dell’uni-
verso e ai misteri della chiesa, non tutti lo vedono senza mediazione. […] Gli or-
dini superiori vedono in lui più di tali cose divine, sebbene tutti lo vedano, co-
me un incolto ed un dotto hanno un diverso grado di comprensione della stes-
sa opinione. E rispetto a tali cose gli ordini superiori illuminano gli inferiori, e
questa illuminazione è gerarchica. E rispetto a tali cose gli ordini superiori illu-
minano gli inferiori, e questa illuminazione è gerarchica.75
74
ALBERTO MAGNO, Super Dionysium De coelesti hierarchia, a c. di P. SIMON-W. KÜ-
BEL, Aschendorff, Monasterii Westafalorum, 1993.
75
Mia traduzione.
250 SUSANNA BARSELLA
Nota che la prima gerarchia non viene originata e illuminata se non dal so-
lo Dio; la seconda gerarchia è illuminata da Dio e dalla prima; la terza gerarchia
è illuminata da Dio, dalla prima e dalla seconda; e la gerarchia ecclesiastica è il-
luminata da tutte.
76
BONAVENTURA, Collationes in Hexameron, in BONAVENTURAE Opera omnia, vol. 5,
Firenze, Quaracchi, 1901, p. 435. Traduzione italiana BONAVENTURA, La sapienza cri-
stiana, cit., p. 295. Si veda anche Quaestio de angelicis influentiis (Expositio super pseu-
do-Dionysii de angelica ierarchia, prooem.), a c. di F. DELORME, in BONAVENTURA, Colla-
tiones in Hexaemeron et Bonaventuriana quaedam selecta (Biblioteca Franciscana Scho-
lastica Medii Aevi 8), Firenze, Quaracchi, 1934, pp. 363-417. Si noti la differenza tra Bo-
naventura e Tommaso nei termini della visio/excessus: per Tommaso è dovuta a un in-
tervento soprannaturale esterno, per Bonaventura la visione rimane dall’interno, come
dono ricevuto e che agisce dall’interno attraverso il movimento affettivo dell’anima. Lo
Spirito Santo infiamma il cuore che al suo apice di ardore si unisce a Dio. Per Tomma-
so la visione possibile mediante il lumen gloriae è ottenuta attraverso la capacità intel-
lettiva e solo in un secondo momento affettiva. Importanti per l’illuminazione delle ge-
rarchie angeliche in Bonaventura sono anche il Commento al Libro II delle Sentenze di
Pietro Lombardo, il Breviloquium e l’Itinerarium mentis in Deum (specialmente VII, 4).
Per l’angelologia bonaventuriana vedi B. FAES DE MOTTONI, Bonaventura e le gerarchie
angeliche, in «Freiburger Zeitschrift für Philosophie und Theologie», 3 (1993), pp. 312-
358, e EAD., San Bonaventura e la scala di Giacobbe. Letture di angelologia, Napoli, Bi-
bliopolis, 1995. Per la presenza di terminologia bonaventuriana per quanto riguarda la
visione nel Paradiso si veda S. FINAZZI, Un tecnicismo neoplatonico in Bonaventura da
Bagnoregio e la sua evoluzione in Dante, in «Bollettino di Italianistica», 8 (2011), pp. 23-
36. Per l’influenza sia della visione bonaventuriana che tomista e la compresenza di ele-
menti sia intellettuali sia affettivo-volitivi nella visione beatifica della Commedia vedi Z.
BARANS! KI, Teologia degli affetti e della beatitudine nel “Paradiso”, in Dante poeta cristia-
no e la cultura religiosa medievale. In ricordo di Anna Maria Chiavacci Leonardi. Atti del-
l’omonimo convegno, a c. di G. LEDDA, Ravenna, Longo, 2018, pp. 259-312.
DANTE E LA MACHINA MUNDI 251
77
Vedi in particolare TOMMASO D’AQUINO, Summa contra Gentiles, III, cap. 80.
78
«In Agostino non esiste la possibilità di verificare la condizione di una natura pri-
va della presenza del divino. Lo stato nel quale la mente è stata creata, la sua natura, in-
somma, è di essere permeate dalla presenza di Dio», SCRIBANO, Angeli e beati, cit., p. 22.
79
Per Tommaso il lumen gloriae non è che un mezzo mediante il quale l’intelletto
viene perfezionato e reso capace di vedere l’essenza divina senza tuttavia poterla intera-
mente conoscere, si ricordi il già citato: «[Lumen gloriae] non est medium in quo Deus
videatur, sed sub quo videtur. Et hoc non tollit immediatam visionem Dei», S. Th. I, q.
12, a. 5, ad 2. Il corsivo è mio.
80
Tra i commentatori, Gianfranco Fioravanti è l’unico a rilevare questa ulteriore
differenza tra il Convivio e la Commedia. Riferendosi al Liber de causis come possibile
fonte tra altri testi suggeriti per l’illuminazione, lo studioso osserva: «Essi infatti parla-
no di intelligenze che accolgono l’illuminazione da quelle superiori e la riverberano su
quelle inferiori, mentre per Dante (coerentemente in questo a Conv. III, vi, 4-5) le in-
telligenze-angeli sono direttamente illuminate da Dio», FIORAVANTI, commento a Conv.
III XIV 4, cit., p. 487.
252 SUSANNA BARSELLA
81
La triplice conoscenza dell’essere stati creati, per quale mezzo e come (in eo quod
facti erant – per sapere cosa desiderare e cosa respingere; a quo facti erant – per conoscere
il fine per cui sono stati creati; cum quo facti erant – in quale modo furono creati) defi-
niscono l’orientamento morale e ministeriale, ovvero pratico, della conoscenza angelica
secondo una tradizione che inizia sin da Gregorio Magno, mentre a quale fine sembra de-
rivare dall’influenza di Ugo di San Vittore e dal suo commento alla Gerarchia Celeste
dello Pseudo-Dionigi e soprattutto alle sezioni dedicate agli angeli nel trattato Sui Sa-
cramenti. Vedi UGO DI SAN VITTORE, De sacramentis Christianae Fidei, a c. di R. BERNDT,
Münster, Aschendorff Verlag, 2008, in particolare De Sacr. II V 14 e II V 8. Per l’influenza
dell’angelologia di Ugo di San Vittore vedi G. ZANOLETTI, L’angelologia in Ugo da San
Vittore, Milano, RES, 1980. Per l’influenza di Riccardo di San Vittore in particolare, ve-
di M. MOCAN, L’arca della mente. Riccardo di San Vittore nella “Commedia” di Dante, Fi-
renze, Olschki, 2012.
82
Cfr. il già citato: «Sed ad cognitionem verbi, et eorum quae in verbo videt, nun-
quam hoc modo est in potentia, quia semper actu intuetur verbum, et ea quae in verbo
videt. In hac enim visione eorum beatitudo consistit, beatitudo autem non consistit in ha-
bitu, sed in actu, ut dicit philosophus in I Ethic.», S. Th. I, q. 58, a. 1.
83
Questo accento sul carattere amministrativo delle intelligenze era già presente in
Conv. II IV 3: «E non è contra quello che pare dire Aristotile nel decimo dell’Etica, che
alle sustanze separate convegna pure la speculativa vita. Come pure la speculativa con-
vegna loro, pure alla speculazione di certe segue la circulazione del cielo, che è del mon-
do governo; lo quale è quasi una ordinata civilitade, intesa nella speculazione delli mo-
tori».
DANTE E LA MACHINA MUNDI 253
loro ministero nella creazione, secondo quanto Dante già spiegava nel-
la Monarchia (Mon. I III 7):
Nam, etsi alie sunt essentie intellectum participantes, non tamen intellectus
earum est possibilis ut hominis, quia essentie tales speties quedam sunt intel-
lectuales et non aliud, et earum esse nichil est aliud quam intelligere quid est
quod sunt; quod est sine interpolatione, aliter sempiterne non essent.84
Benché infatti esistano altri esseri cui appartiene l’intelletto, il loro però non
è l’intelletto possibile com’è dell’uomo, poiché tali esseri sono delle specie in-
tellettuali e non altro, il cui essere in null’altro consiste che nell’intendere quel
che esse sono; cosa che avviene senza interruzione, altrimenti non sarebbero
eterne.
84
Nell’edizione da lui curata della Monarchia Tabarroni, come già anticamente Mar-
silio Ficino, sceglie la lezione «quod est quod sunt» supportata da un numero rilevante di
testimoni. La scelta è motivata anche dal fatto che «quod» specificherebbe il fatto che gli
angeli sono diversi dall’uomo in quanto perennemente in atto e sarebbe coerente con il
passo citato sopra del Convivio. Si veda il commento di Tabarroni in DANTE ALIGHIERI,
Monarchia, cit., pp. 20-21. Prue Shaw adotta la stessa lezione omettendo tuttavia la pri-
ma virgola («intelligere quod est quod sunt»), DANTE ALIGHIERI, Monarchia, a c. di P.
SHAW (Società Dantesca Italiana, Edizione Nazionale delle Opere di Dante Alighieri), Fi-
renze, Le Lettere, 2009, p. 341. Diego Quaglioni segue invece la lezione alternativa, an-
ch’essa presente in numerosi testimoni: «intelligere quid est quod sunt», ovvero gli ange-
li intelligono ciò che sono e per cosa sono, Monarchia, a c. di D. QUAGLIONI, in DANTE
ALIGHIERI, Opere, vol. II, cit., p. 932-935. Seguo questa lezione perché più coerente con
il disegno cosmologico di cui le operazioni angeliche sono parte centrale. Gli angeli cioè
vedono ciò per cui il loro essere si perfeziona, ovvero la contemplazione e l’azione motrice
dei cieli. Per quanto riguarda la visione nella Commedia bisogna infatti tenere conto che
in Paradiso Dante ha superato il problema di dover distinguere due categorie di angeli,
contemplativi e attivi (motori), avendo potuto attribuire a tutti gli ordini entrambe le ope-
razioni di contemplazione e movimento. Anche per Paolo Falzone la lezione «quid est»
è da preferire in quanto, a differenza di Tommaso, Dante «intende l’eternità ed attualità
dei motori celesti come identità di essere e operazione essenziale (il pensiero)», FALZONE,
La dottrina delle intelligenze separate, cit., p. 187. Il corsivo nel testo è mio.
254 SUSANNA BARSELLA
che compete loro perché possano dirigersi al fine per il quale sono sta-
ti creati (Par. I 109-114), non sono unanimi nel definire quale tipo di
conoscenza “positiva” essi attingano dalla contemplazione del «vero».85
Tale conoscenza è infatti rilevante per stabilire se sia necessario o meno
supporre, nel sistema dantesco, un ordine gerarchico per quanto con-
cerne la trasmissione della conoscenza circa i ministeri a cui gli angeli so-
no preposti. Sulla base del testo della Commedia sembra evidente che gli
angeli conoscono il fine della loro perfezione, ovvero il loro ruolo di me-
diatori tra la sfera materiale e l’Empireo, e che svolgono tale ruolo ope-
rando come motori del cosmo e “specchi” della luce divina. Tali opera-
zioni, interconnesse ed essenziali alla meccanica celeste, permettono l’at-
tualizzarsi delle virtù formative attraverso la dinamica astronomica dei
corpi siderei. Poiché il moto e l’illuminazione sono conseguenza della vi-
sione beatifica a cui tutti gli ordini attingono in modo diretto ed imme-
diato si deve supporre che per quanto riguarda queste funzioni la co-
noscenza che essi derivano sia specifica e indipendente per ogni ordine.
Come abbiamo visto nei paragrafi precedenti, in Dante la disposizione
gerarchica delle intelligenze risponde ad un principio naturale interno
(le loro capacità di visione determinate dal merito).86
85
«Né in via né in patria si vede di lui altro che il quia, e questo solo in modo confu-
so, sebbene con più o meno chiarezza a seconda dei diversi modi della visione e della con-
dizione di coloro che contemplano», ALBERTO MAGNO, Epistola 5, citata in Tenebra lu-
minosissima, cit., p. 37. Alberto Magno si riferisce alla visione attingibile in vita o nella con-
dizione di beatitudine dopo la morte. Il teologo domenicano distingueva la visione in via
per mezzo di segni (teofanie) dalla visione diretta in patria. Vedi in particolare il Com-
mento alla Gerarchia Celeste, q. 7, in Tenebra Luminosissima, cit., pp. 109-113. Il passo ri-
manda al verso dantesco «state contenti umane genti al quia» (Purg. III 37), che Dante ri-
ferisce alla pretesa di conoscere in via razionale il disegno divino della Provvidenza.
86
Dato il sistema dantesco dove si ha una gerarchia nella disposizione dei cori solo
in funzione delle diverse capacità di visione degli angeli, si chiarisce anche il discusso
esordio del canto I del Paradiso, commentato nell’accessus della Epistola XIII, per cui la
gloria divina si diffonde grazie all’azione speculare degli angeli in tutto l’universo crea-
to ma non in modo uniforme in tutte le sue parti perché più intensamente nelle creatu-
re superiori che in quelle inferiori: «La gloria di colui che tutto move / per l’universo pe-
netra, e risplende / in una parte più e meno altrove» (Par. I 1-3). Lo stesso concetto ri-
torna e trova una spiegazione nei termini in cui Dante ha elaborato la sua costruzione co-
smologica e definito la sua angelologia in Par. XXIX 137-146: «La prima luce, che tut-
ta la raia, / per tanti modi in essa si recepe, / quanti son li splendori a chi s’appaia. / On-
de, però che a l’atto che concepe / segue l’affetto, d’amar la dolcezza / diversamente in
essa ferve e tepe. / Vedi l’eccelso omai e la larghezza / de l’etterno valor, poscia che tan-
ti / speculi fatti s’ha in che si spezza, / uno manendo in sé come davanti».
DANTE E LA MACHINA MUNDI 255
87
La buona volontà degli angeli è determinante nel decidere la misura in cui essi ri-
cevono la grazia. Tanto più si “apre” l’affetto tanto maggiore è la grazia illuminante e
quindi la capacità di vedere.
88
Dante attinge a diverse tradizioni della mistica medievale, dal neoplatonismo bo-
naventuriano, che mette l’accento soprattutto sulla componente “affettiva” o volontari-
stica, alla tradizione teologica tomista, che mantiene un ruolo primario alla componen-
te intellettuale. Sebbene in Dante la componente intellettiva preceda quella affettiva, en-
trambe sono tuttavia presenti poiché è il merito dato dalla buona volontà a decidere, in-
sieme alla grazia, della capacità di visione degli angeli. La grazia stessa, dice Dante, di-
pende da quanto «l’affetto l’è aperto» (Par. XXIX 66), premessa perché gli angeli pos-
sano ricevere l’illuminazione aggiuntiva che dopo la caduta di Lucifero li perfeziona nel
loro ruolo di motori celesti. Diversamente dagli angeli la visione dantesca di Par. XXXIII
sembrerebbe dimostrare una preminenza affettiva, come ben argomenta BARANS! KI, Teo-
logia degli affetti, cit., specialmente pp. 310-312, a cui si rimanda. Il problema della vi-
sione beatifica che qui si prende in esame riguarda, come già detto, essenzialmente gli an-
geli e soltanto in relazione alla loro funzione ministeriale di motori illuminanti.
256 SUSANNA BARSELLA
89
Sulle date della permanenza di Dante a Verona non si è ancora raggiunto un per-
fetto accordo tra i critici. Dante si era recato a Verona una prima volta presumibilmen-
te nel 1303-1304 quando era ancora signore il fratello maggiore di Cangrande, Bartolo-
meo, con il quale strinse amicizia e che celebrò in Par. XVII. Non fu invece in buoni
rapporti con l’altro fratello, Alboino, sul quale Dante dette un giudizio sprezzante in
Conv. IV XVI 6. Cangrande fu signore assoluto di Verona dal 1312, dopo la morte del fra-
tello Alboino. Dante giunse a Verona per il suo secondo soggiorno forse agli inizi del
1313, certamente dopo la morte di Arrigo VII.
90
Per un esauriente resoconto dei vari argomenti pro e contro l’autenticità e la re-
lativa bibliografia fino al 2015 si veda l’ottimo commento di Luca Azzetta all’edizione da
lui curata in DANTE, Epistole, Egloge, Questio de aqua et terra, a c. di M. BAGLIO-L. AZ-
ZETTA-M. PETOLETTI, intr. di A. MAZZUCCHI, Roma, Salerno Editrice, 2016. Altre edizioni
DANTE E LA MACHINA MUNDI 257
dotta con accuratezza nei commenti delle edizioni più recenti curati
da studiosi del calibro di Luca Azzetta, Claudia Villa, Manlio Pastore
Stocchi e dagli studi più recenti in particolare di Alberto Casadei, Giu-
seppe Indizio, e Marco Veglia tra altri, forniscono ulteriori limiti al-
l’interpretazione accertando date rilevanti per la composizione del-
l’epistola, per il secondo soggiorno veronese di Dante, per la compo-
sizione del Paradiso, e per gli eventi che potrebbero avere influenzato
le relazioni tra Dante e Cangrande. Importanti sono stati inoltre nel
corso del dibattito che dura ormai da più di un secolo, i riscontri sul
lessico e lo stile, in genere ma non unanimemente positivi, e quelli sul-
la struttura dell’Epistola, che rivela elementi innovativi piuttosto che
attribuibili ad imperizia nell’ars dictandi dell’autore. La presenza di ri-
ferimenti ad opere dantesche circolanti soltanto in una ristretta cer-
chia tra Ravenna, Bologna e Firenze almeno fino agli anni ’40 ha ri-
stretto le ipotesi su eventuali autori alternativi a Dante. Sul versante
delle datazioni fondamentali sono i rilievi di Casadei sull’impossibili-
tà di trovare una data di spedizione della lettera compatibile con l’in-
vio della cantica finita.93 Importanti sono stati infine i contributi in me-
rito alla coerenza concettuale tra accessus e Paradiso. Questi vari filoni
di ricerca hanno ristretto il campo delle ipotesi relative all’attribuzio-
ne ma, per ammissione degli stessi filologi, non sono ancora decisivi.94
In questo contesto assumono crescente rilevanza i dati extratestuali di
carattere storico e biografico e acquista rilievo la ricerca sulle possibi-
li discrepanze nei contenuti quali ad esempio la questione della di-
stinzione tra i termini “penetrare” e “risplendere” (Par. I 1-3), rile-
vantissima per la cosmologia del Paradiso poiché rimanda indiretta-
mente ai diversi gradi di intensità di illuminazione tramite i cori ange-
e attribuzione dell’epistola si vedano: M. SANTAGATA, Dante. Il romanzo della sua vita, Mi-
lano, Mondadori, 2012; G. INDIZIO, Problemi di biografia dantesca, Ravenna, Longo,
2014; G. INGLESE, Vita di Dante. Una biografia possibile, Roma, Carocci, 2015; E. PA-
SQUINI, Vita di Dante. I giorni e le opere, Milano, Rizzoli, 2015; M. TAVONI, Qualche idea
su Dante, Bologna, il Mulino, 2015; M. VEGLIA, Dante leggero. Dal priorato alla “Com-
media”, Roma, Carocci, 2017.
93
Vedi CASADEI, Dante. Altri accertamenti e punti critici, cit., pp. 34, 52-56 e 67-87.
94
Cosí si esprime nelle sue conclusioni INDIZIO, L’Epistola XIII: primi appunti per un
approccio sistemico, cit., p. 372: «Non mancano invero punti non si dica ignorati ma for-
se da lumeggiare meglio di quanto non sia stato fatto fin qui. […] La strada verso una
soluzione condivisa, ammesso ciò sia possibile e, a tutto dire, auspicabile (il dissenso ha
costretto i sostenitori della communis opinio a precisare, chiarire, migliorare la qualità del-
le proprie proposte esegetiche), sembra ancora lunga».
DANTE E LA MACHINA MUNDI 259
Gerarchia e Luce
Per ciò è chiaro che ogni essenza e virtù procede dalla prima, e che le in-
telligenze inferiori ricevono quasi come da una fonte irraggiante e riflettono i
raggi dell’ente superiore verso ciò che è a esse inferiore a modo di specchi. E
questo sembra toccare abbastanza apertamente Dionigi, parlando della gerar-
chia celeste. E per questo si dice nel libro Delle cause che «ogni intelligenza è
piena di forme». È chiaro dunque in che modo la ragione manifesta che la luce
divina, cioè la divina bontà, la sapienza e la virtù, risplende ovunque.
95
Vedi per esempio il dibattito recente sulla questione dell’interpretazione della pri-
ma terzina del Paradiso e le incongruenze nella spiegazione del «penetra» e «risplende»
trattate come idealmente equivalenti nell’epistola ma certamente non tali nella Comme-
dia, cfr. A. CASADEI, «Per l’universo penetra...»: un’esegesi contro la “Epistola” a Can-
grande,” in Encyclopaedia Mundi. Studi di letteratura italiana in onore di Giuseppe Maz-
zotta, a c. di S.U. BALDASSARRI-A. POLCRI, Firenze, Le Lettere, 2013, pp. 59-70; SIGNO-
RI, Sulla distinzione di luce e gloria nel “Paradiso” dantesco, cit.
260 SUSANNA BARSELLA
96
Questo passo riguarda la definizione degli angeli rispetto alla loro essenza, e se-
gue la definizione rispetto all’essere. Il problema si può collegare con i passi della Com-
media che definiscono la natura degli angeli come atti puri. Anche questo ha dato origi-
ne a ampio dibattito per il quale rimando alla bibliografia della nota 15. Il problema del-
l’atto puro nasceva anche per i risvolti di possibili contaminazioni averroiste, o suppo-
ste tali, già avanzate a suo tempo da Nardi ma in larga parte minimizzate in interventi re-
centi. Si possono distinguere due ordini di problemi. Uno è la definizione degli angeli co-
me atto puro; l’altro riguarda la possibilità che gli angeli possano allo stesso tempo con-
templare e muovere le sfere celesti. Per quanto riguarda il primo problema, la defini-
zione degli angeli come “atti puri” non risulta originale di Dante ma sarebbe in realtà pre-
sente in teologi che sostenevano l’identità di essere e pensare nelle sostanze separate,
pur mantenendo, come Dante, una distinzione fra creature e Dio. Per l’uso di “atto pu-
ro” riferito agli angeli vedi BIANCHI, L’averroismo di Dante, cit., pp. 87-93. Inoltre, nei
termini della trattazione tomistica che distingue l’essere e l’essenza negli angeli, essi so-
no dotati di potenza rispetto all’essere (potentia ad esse) per il fatto che sono stati creati
ma sono atti puri rispetto all’essenza, ovvero ciò per cui non possono essere che ciò che
sono (quidditas nel linguaggio di Tommaso d’Aquino), ovvero nel loro atto naturale di
continua intellezione. Dante, introducendo il ruolo degli angeli come motori delle sfere
celesti, deve includere l’operazione di movimento dei cieli nella definizione di ciò che co-
stituisce la loro essenza perennemente attualizzata. Se cosí non fosse i cieli non rivolge-
rebbero con continuità con ovvie conseguenze di stasi che farebbero venire meno l’in-
tero processo provvidenziale in atto della creazione. Bruno Nardi ricostruisce lo svilup-
po del pensiero dantesco su questo punto, dal Convivio alla Commedia, in Tutto il frut-
to ricolto del girar di queste spere, in ID., Dante e la cultura medievale, Roma-Bari, Later-
za, 1983 (1942), pp. 245-264.
DANTE E LA MACHINA MUNDI 261
tamente sui cieli che muovono e tale raggio attiva in questi le virtù for-
mative che vi si trovano in potenza. Il riferimento a Dionigi Aeropagi-
ta, suggerisce che a quest’altezza della composizione del poema e del-
l’Epistola, Dante ne conosce l’opera e probabilmente pensa di seguir-
la, ma forse non ha ancora deciso di fondere il sistema dionisiano con
quello delle intelligenze aristoteliche.
Nel passo in questione, gli angeli sono inoltre considerati nella lo-
ro funzione squisitamente illuminativa: in qualità di specchi che ri-
frangono la luce divina in modo indiretto e con diversa intensità a se-
conda della loro capacità di riceverla. Ma a differenza dell’ordinamento
dionisiano, nella Commedia gli angeli non hanno una visione gerar-
chica della luce divina ma una visione immediata e diretta resa possi-
bile dall’intervento del lumen gloriae. Tale modo di costruire il mec-
canismo della visione angelica è funzionale alla meccanica celeste che
assegna ad ogni cielo un ordine angelico come suo “motore”. Tale fun-
zione motrice costituisce la maggiore discrepanza tra lo Pseudo-Dio-
nigi e Dante dal momento che questa non è affatto contemplata dal-
l’autore neoplatonico mentre nel poema questo ruolo è attribuito a tut-
ti gli ordini secondo una corrispondenza biunivoca tra cieli e angeli. Ta-
le innovazione è, come abbiamo visto, cruciale per il funzionamento
del modello cosmologico e parte costitutiva del poema stesso. Eppu-
re, sorprendentemente, né in questo passo né altrove nell’Epistola vi è
un accenno ad un dato testuale e concettuale di rilevanza tale da in-
durre Beatrice a proclamare la ricusazione di Gregorio Magno a favo-
re di Dionigi. Un omaggio che presenta una punta di ironia se si pen-
sa quanto la cosmologia dantesca si allontani da quella del suo pre-
sunto modello. Si può dunque rilevare che l’ordine di illuminazione
pseudo-dionisiano presentato in Ep. XIII 60-61 non riflette quello in
opera nell’architettura cosmologica dantesca fondato sull’unità delle
operazioni angeliche di illuminazione e di movimento celeste.97
Un altro punto problematico nel passo in considerazione è che l’au-
tore non distingue tra luce ed essenza trinitaria («divinam bonitatem,
sapientiam et virtutem»), così come non distingue tra splendore e glo-
ria. Egli affida alla luce il compito della trasmissione delle forme dalla
97
Si deve inoltre tenere presente che l’ordine di illuminazione corrisponde all’ordi-
ne della visione, tema che, come abbiamo visto, era stato ampiamente dibattuto dai teo-
logi perché su questo si decideva la questione più ampia della specificità della cono-
scenza angelica e della scalarità nell’ordine dell’essere tra le creature.
262 SUSANNA BARSELLA
98
Raffi osserva che Dante usa “creazione” solo due volte e in entrambe sembrereb-
be indicare la creazione ad opera divina dal nulla, mentre usa solo due volte “informa-
re” riferito ai corpi celesti (Conv. IV II 6-7), vedi RAFFI, Dante e il “Liber de causis”, cit.,
pp. 24-25.
99
J. PÉPIN, La théorie dantesque de l’allégorie, entre le “Convivio” et la “Lettera a
Cangrande”, in Dante. Mito e poesia, a c. di M. PICONE-T. CRIVELLI, Firenze, Cesati, 1999,
pp. 51-64, 63-64.
DANTE E LA MACHINA MUNDI 263
Dunque quel cielo che non è mosso da nulla, ha in sé, in qualsivoglia sua
parte, qualunque cosa può avere in modo perfetto, così che non ha bisogno del
moto per la sua perfezione.
100
Dio è qui il punto luminoso.
101
Vedi il commento a Ep. XIII in DANTE, Epistole, Egloge, Questio de aqua et ter-
ra, cit., per le fonti ed il raccordo tra questo passo e il Convivio.
264 SUSANNA BARSELLA
Omne quod movetur, movetur propter aliquid quod non habet, quod est
terminus sui motus; sicut celum lune movetur propter aliquam partem sui, que
non habet illud ubi ad quod movetur; et quia sui pars quelibet non adepto quo-
libet ubi, quod est impossibile, movetur ad aliud, inde est quod semper move-
tur et nunquam quiescit, et est eius appetitus. Et quod dico de celo lune, intel-
ligendum est de omnibus, preter primum.
tutto ciò che si muove, si muove a motivo di qualcosa che non ha, che è il
termine del suo moto; così come il cielo della luna si muove a motivo di qual-
che parte di sé che non ha quel ‘dove’ verso il quale si muove; e perché una
qualsiasi parte di sé, non avendo raggiunto un qualsivoglia ‘dove’, che è impos-
sibile, si muove verso altro, ne deriva che sempre si muove e mai riposa, ed è il
suo appetito. E ciò che dico del cielo della luna si deve intendere di tutti eccet-
to il primo.
102
Vedi paragrafo 5.
DANTE E LA MACHINA MUNDI 265
Si pubblicano qui di seguito gli Indici complessivi di questo numero della Rivista (Indice
dei manoscritti e dei documenti d’archivio e Indice dei nomi), per i quali il rinvio è ai numeri
di pagina, contrassegnati da una “n.” per le occorrenze in nota. Le occorrenze a testo o in no-
ta che risultano consecutive in un intervallo pari o superiore a tre pagine sono indicate sinte-
ticamente con la prima e l’ultima pagina separate da un trattino.
L’Indice dei manoscritti e dei documenti d’archivio registra tutte le testimonianze mano-
scritte e i documenti d’archivio ricorrenti nel volume, secondo il consueto ordine alfabetico
per luogo di conservazione, fondo e segnatura. Ove opportuno, sono registrate anche le an-
tiche stampe, incunaboli e cinquecentine, consultate alla stregua di novi codices. A fianco del-
la segnatura dei codici qui registrati si è anche indicata fra parentesi quadre l’eventuale sigla,
o le sigle, con cui i manoscritti sono citati nei diversi articoli.
L’Indice dei nomi identifica e registra, nella forma vulgata completa e corrispondente, tut-
ti i nomi propri e di famiglia dei personaggi storici, i nomi degli autori e degli studiosi moderni
ricorrenti nel volume, nonché i titoli di opere o componimenti adespoti e i libri della Bibbia.
I sovrani sono indicizzati sotto il loro nome personale, mentre i nomi di tutti gli altri esponenti
non regnanti della medesima dinastia ricorrono sotto il nome di famiglia; i papi sono indiciz-
zati sotto il nome pontificale; i personaggi storici e gli autori noti con appellativi toponimici
e patronimici ricorrono sotto il relativo nome proprio; sono inoltre indicizzati anche i nomi
di personaggi ricorrenti negli atti documentari con il solo nome di battesimo; ove del caso, il
lemma del personaggio è stato corredato di essenziali indicazioni relative alla carica politica
o religiosa (imp., re, papa, vesc. ecc.) o ai vincoli di parentela con altri personaggi. Da questo
Indice è ovviamente escluso il nome di Dante Alighieri, citato pressoché a ogni pagina.
INDICE DEI MANOSCRITTI E
DEI DOCUMENTI D’ARCHIVIO
AUSTIN CHANTILLY
University of Texas Musée Condé
Phillipps 8881 [Phillipps 8881]: 45 597 [Cha]: 20-28, 38, 48n.
BOLOGNA DRESDEN
Biblioteca Universitaria Sächsische Landes- Staats- und Univer-
589 [Bol. Un. 589]: 45, 46n. sitätsbibliothek
Ms. Dc. 152: 269-282
BRESCIA
Biblioteca Queriniana FIRENZE
A IV 10: 150 Archivio di Stato
Arte dei giudici e notai
BRUXELLES 5: 302
Bibliothèque Royale 6: 302, 337n.
10063-10065: 143n. Arte dei medici e speziali
7: 302, 356n., 357n., 360n., 365-373
BUDAPEST 8: 355, 356n., 365-373
Egyetemi Könyvtári 9: 365-373
Ms. It. I [Bud]: 38 21: 365-369
400 INDICI
Biblioteca Nazionale Centrale 1080 [Triv]: 15, 18-31, 34, 35, 41-43, 47,
II I 39 [Fior. II I 39]: 37, 38 49-51 e n.
Conv. Soppr. H.8.1012: 38n., 296
Pal. 313 [Po]: 18-28, 30n., 31, 37, 41, 43, MODENA
46, 47 Biblioteca Estense Universitaria
Pal. 319 [Fior. Pal. 319]: 38 It. 474: 45
Poligrafo Gargani 2145: 314 Lat. 123 (alfa T. 6.4): 150
PIACENZA UDINE
Biblioteca Comunale Passerini Landi Biblioteca Umanistica
190 [La]: 15, 18-40, 42, 43, 45-48 e n., Florio [F]: 44, 45
50n.
PISTOIA
Archivio di Stato
Liber censuum: 314
INDICE DEI NOMI
Abardo Rudy, VIIIn., XIn., 240n. Alighieri Iacopo, 17, 30n. 36, 42, 44,
Abbate Michele, 104n. 152n., 179, 285, 295n., 307, 308, 318,
Acciaiuoli, Compagnia degli, 339 320-322, 324, 325, 375
Adriano V, papa, 178n. Alighieri Pietro, 152n., 163, 172n., 319
Agnolo da Poggibonsi, 322n. Allegretti Paola, XII, 89n., 257n.
Agostino Aurelio, 7, 8, 57, 63n., 70, 73, Allegro Giuseppe, 246n.
78n., 80n., 83-86, 91 e n., 92, 94 e n., Alloatti Boller Sara, 115n.
97n., 98, 238, 239 e n., 251 e n. Altoviti Tommaso, 332n., 352n.
Airò Anna, 344n. Ambrogio, vesc. di Milano, 69n., 89n.
Al-Farghani, 10 Ambruogio di Baldo, 367
Al-Khwarizmi, 9 Amidei (degli) Tita di Arnoldo di Tano,
Al-Zarquali, 10 341 e n.
Alano di Lilla, 76 e n., 185 Andrea di Lapo di Firenze, 373n.
Albanese Gabriella, XII, 17n., 57n., 257n., Angiò (d’) Carlo, duca di Calabria, 43,
279n., 285n., 289n., 292n., 296n., 310, 311 e n., 317
298n., 299n., 306-308, 323n., 326n., Anonimo Fiorentino, 236
329n., 332n., 333n., 376n., 380n. Anonimo Latino, 179
Alberti, Compagnia degli, 305n., 353, 354 Anonimo Lombardo, 43
Alberti Caroccio, 311, 318, 353-355 Anselmo da Lucca, 75n.
Alberto di Sassonia, 194 Antinori, fam., 342
Alberto Magno, 10, 72 e n., 82 e n., 105n., Antonio da Parma vd. Pelacani Antonio
124 e n., 130, 169, 218 e n., 219n., Antonio da Fermo, 28
227n., 228n., 241, 242n., 246 e n., 248 Antonio di Piero Parigi, 367 e n., 372n.
e n., 249 e n., 254n. Antonio di Puccio, 367 e n.
Albizzi Taddeo, 343 e n. Apollonia, figlia di Bartolo di Mazzatello,
Albizzo di Lemmo, 298, 357, 359 341
Alderotti Taddeo, 125 e n., 132n., 138, 194 Apuleio Lucio, 104 e n., 105n.
Aldobrandino di ser Albizzo, 342n., 348n., Aquilecchia Giovanni, 308n.
351n. Ardengheschi, fam., 330
Alessandro di Afrodisia, 191 Ardinghi (Ardenghi), fam., 330
Alessandro di Hales, 10 Ardinghi (Ardenghi) Buono, 330 e n.
Alessio Gian Carlo, 279n. Ardizzone Maria Luisa, 212n., 229n.
Alfani Iacopa di Biliotto, 321, 322n. Arduini Beatrice, 59n.
Alighieri, fam., 299n., 324, 325 Ariani Marco, 206n., 217n., 242n., 243n.
Alighieri Cione di Brunetto, 319 Arias Gino, 309n., 315n.
INDICE DEI NOMI 405
Ariew Roger, 217n. Barbi Michele, VI-X, XIII e n., XIV e n., 287,
Aristotele, 9-11, 63-66, 77, 99, 101n., 102, 288 e n., 320n., 360n.
123, 124 e n., 127-129, 131, 133-135, Bardi, Compagnia dei, 347, 358
138-140, 142, 145, 175 e n., 185, 192, Bardi, fam., 350n.
193, 195, 212 e n., 214 e n., 219n., 246 Barnes John C., 119n.
e n., 262, 263 Barnum Priscilla H., 91n.
Arquès Corominas Rossend, 53 Barolini Teodolinda, 209n., 229n.
Arrigo VII, imp., 256n. Baroni Giovanni vd. Giovanni di Barone
Arrigo, fratello di Bartolo di Mazzatello, Barsella Susanna, 206n., 210n., 211n.,
341n. 219n., 221n., 242n., 244n., 246n.
Ascoli Albert Russell, XIIn., 121n., 136n. Bartoli Langeli Attilio, 271n., 379n.
Asor Rosa Alberto, 54, 119n. Bartoli Vittorio, 73n., 74n.
Astorri Antonella, 306n., 314n., 363 e n., Bartolino di Giovanni, 372n.
383n. Bartolo del fu ser Pucci, 352
Attendolo, giudice, 313n. Bartolo di Cecco, 368 e n.
Auerbach Erich, 86 e n., 96n., 155 e n., Bartolo di Giovanni, 372n.
158 e n., 163n. Bartolo di Mazzatello (Mazzatelli), 291,
Avalle d’Arco Silvio, 18, 19, 35, 50, 52 297, 300n., 302, 303n., 310, 317, 336,
Avarucci Giuseppe, 384n. 339-341, 343-345, 348, 349, 356, 376
Averroè, 77 Bartolo di Taccio (Tacci), 368
Avicenna, 74n., 211 Bartolomeo da Bologna, 243 e n.
Azzetta Luca, 37, 52, 59n., 139n., 198n., Bartolomeo di Bono, 368
256-258, 285n., 290n., 291n., 293n., Bartolomeo di ser Bernardo di Firenze,
294n., 296-300, 303n., 305-307, 351n.
328n., 330n., 331n., 334-336, 339 e n., Bartuschat Johannes, 213n.
340n., 344n., 345n., 349 e n., 353-355, Barzaghi Giuseppe, 133n.
361n., 376n., 378, 379n., 382n. Basile Tania, 279 e n.
Basserman Alfred, 164 e n.
Bacone Ruggero, 10, 105n. Bate Enrico, 192-194
Baggio Serenella, 270n. Battaglia Ricci Lucia, 12n., 206n.
Baglio Marco, 198n., 256n. Battegazzore Antonio Mario, 123n.
Bagnesi, fam., 345, 346 Becker Marvin, 304n.
Bagnesi Arrigo del fu Gentile, 343 Beda il Venerabile, 8, 91
Bagnesi Francesca, 343n. Bellini Enzo, 246n.
Bain Emmanuel, 78n., 90n. Bellomo Saverio, 168n., 171n., 173 e n.,
Baldassarri Stefano U., 259n. 175n., 176n., 179n., 180n.
Baldesi Giannotto, 358n. Bemrose Stephen, 206n.
Baldesi Turino di Baldese, 349n. Benci, Compagnia dei, 349
Baldinotti, fam., 342 Bendinelli Predelli Maria, 333n.
Bambaglioli Graziolo, 179 Bene da Firenze, 198 e n.
Banti Ottavio, 281n. Benedetto XII, papa, 238
Baran!ski Zygmunt G., 57-59, 61n., 70n., Bento di Giovanni da Monteceraia, 368
118-121, 136n., 206n., 208n., 250n., Benvenuti Gino, 281n.
255n. Benvenuto da Imola, 43, 114n., 134 e n.,
Barbadoro Bernardino, 303n., 309n. 152, 161, 172n., 173n., 227n.
Barbaro Ermolao, 271 e n. Bernaba di Francesco, 368
Bàrberi Squarotti Giorgio, 71n. Bernardi Marco, 129n., 144n., 151n.
406 INDICI
Toynbee Paget, 199-201 132n., 148 e n., 197 e n., 198, 257n.,
Tremp Ernst, 326n. 258
Trevet Nicholas, 65n., 146, 150, 152 Villani, fam., 307n., 324, 325, 342-346,
Trissino Gian Giorgio, 3 358, 376n.
Trottmann Christian, 239n. Villani Antonia di Matteo, 345
Trovato Paolo, 15, 31, 34, 36, 40-42, 45- Villani Bartola di Villano di Stoldo, 342,
48, 52-54, 278n. 343, 344
Tück Jan-Heiner, 67n., 68n. Villani Bernardo di Giovanni, 340n., 344n.
Villani Bona di Matteo, 345
Ubaldini, fam., 313n. Villani Filippo di Matteo, 325
Ubaldini della Pila, fam., 338n. Villani Filippo di Villano di Stoldo, 316,
Ubaldini Gioacchino del fu Maghinardo 321, 325, 343-346, 357n.
del fu Giovanni, 338 Villani Filippo, 17, 44, 45, 281 e n., 282 e
Uberto di Buto di Guido, 373 n.
Ughetti Guidone, 291, 297, 300n., 343, Villani Francesco di Giovanni, 347n.
345 e n., 376 Villani Francesco di Villano di Stoldo,
Ugo da Prato Florido, 93n. 316, 343, 345, 347n.
Ugo di San Vittore, 221n., 225n., 245-248, Villani Giovanna di Giovanni, 343, 345
252 e n. Villani Giovanni, 178n.
Ugo di Santo Caro, 83n. Villani Giovanni, 285, 287, 289-300,
Ugolino di Guido, detto ‘Sera’, 338 303n., 305-310, 313n., 316-319, 321-
Uguccione da Pisa, 201 e n. 324, 326-336, 339, 340 e n., 342-347,
Umberto di Romans, 94n. 349, 350, 353-359, 361 e n., 363, 364,
Ureni Paola, 229n. 373-376, 378-382
Villani Iacopa di Giovanni, 345, 347 e n.
Valerio Paolo, 243n. Villani Lapaccia di Villano di Stoldo, 345
Vallerano di Dolcebene, 373 Villani Matteo di Giovanni, 347, 363
Valli Luigi, 75n. Villani Matteo di Villano di Soldo, 342 e
Vallone Aldo, VIIIn. n., 343, 345-347, 376n.
Valori Taldo, 315 Villani Matteo, 281n., 282n.
Van Ausdall Kristen, 74n. Villani Villano di Giovanni, 347
Vandelli Giuseppe, IX, 30, 55, 136n., Villano di Stoldo, padre di Giovanni Vil-
292n., 295n. lani, 307 e n., 316, 326, 343-347, 358
Vangelo di Nicodemo, 153, 157 Vincent de Beauvais, 158
Varanini Gian Maria, 323n. Vincent Gilbert, 79n.
Varotti Carlo, 176n. Virgilio Publio Marone, 106 e n., 151n.,
Vàrvaro Alberto, 51, 55 154, 163, 164, 171 e n., 180, 182
Vasoli Cesare, 57n., 59n., 61n., 69n., Visio Pauli, 175
210n., 212n., 234n. Vivaldelli Gregorio, 242n.
Vazzana Steno, VIIn., 118n. Vivaldi Ugolino, 11
Veglia Marco, 257n., 258 e n. Vivaldi Vadino (guido), 11
Venticelli Maria, 323n. Volpe Gioacchino, 286 e n.
Verlato Zeno Lorenzo, 137n. Von Berger Johann Wilhelm, 271 e n.
Vespasiano da Bisticci, 364n. Von Stuckard Kocku, 75n.
Vespri Vincenzo, 205n.
Viel Riccardo, 20n., 48n., 55 Wailes Stephen L., 78n., 79n., 82n., 91n.
Villa Claudia, 57n., 116n., 118-120, 131n., Walker Bynum Caroline, 182 e n., 183 e n.
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