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UGO VANNI

APOCALISSE
DI GIOVANNI
Secondo Volume

a cura di Luca Pedroli

CITTADELLA EDITRICE
ISBN 978-88-308-1597-1

Due volumi
euro 58,50 non separabili
Nell’accostare quest’opera po-
derosa, coloro che hanno avuto
la fortuna di essere stati formati
da padre Vanni riconosceranno
immediatamente lo stile gustoso
e avvincente del loro maestro e
avranno la possibilità di contare
su uno strumento che raccoglie in
modo unitario e sistematico il suo
insegnamento. Per gli altri lettori,
Ugo Vanni noto e stimatissimo bibli- invece, ci sarà la gioia di poter
sta, nonché maestro dello Spirito, ha cogliere tutta la bellezza e la pro-
dedicato tutta la sua vita allo studio e
fondità del libro dell’Apocalisse,
all’insegnamento della Scrittura pres-
scoprendo il riflesso più autentico
so la Pontificia Università Gregoriana
del disegno salvifico di Dio, così
e il Pontificio Istituto Biblico. È stato
come viene contemplato, celebra-
uno dei massimi esperti dell’Apoca-
to e vissuto nella Chiesa.
lisse e dal 2000 è stato membro per
diversi anni della Pontificia Com- (Dalla Prefazione di Luca Pedroli)
missione Biblica. In suo onore, per
Cittadella Editrice, nel 2005 è stata
pubblicata la raccolta di studi Apo-
kalypsis. Percorsi nell’Apocalisse di
Giovanni, con l’apporto di numerosi
docenti di varie università di tutto il
mondo. Sempre con Cittadella Edi-
trice ha pubblicato Il tesoro di Gio-
vanni, 20162 e Dal Quarto Vangelo
all’Apocalisse, 2011.
UGOVANNI

APOCALISSE
DI GIOVANNI
Secondo Volume

Introduzione generale
Commento

a cura di Luca Pedroli

CITTADELLA EDITRICE
cura redazionale
ANTONIO LOVA

© Cittadella Editrice - Assisi


www .cittadellaeditrice.com
1a edizione ottobre 2018

ISBN 978-88-308-1597-1

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lume dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall'art. 68, comma 4, della legge 22 aprile
1941 n. 633, owero dall'accordo stipulato tra SIAE, AIE, SNS e CNA, CONFARTIGIANATO, CASA,
CLAAI, CONFCOMMERCIO, CONFESERCENTI il18 dicembre 2000.
Le riproduzioni per uso differente da quello personale potranno awenire solo a seguito di specifica
autorizzazione rilasciata dall'editore.
INTRODUZIONE GENERALE

l. Il testo

Il testo dell'Apocalisse è documentato- tutto o in parte- con una suffi-


ciente ampiezza, che si estende dai papiri 1, ai codici maiuscolF, fino ai
codici minuscolP. Non si hanno documentazioni di lezionari liturgici.
Il fatto che l'Apocalisse non sia riportata nel codice B (Vaticano) e che
il testo di quello K (Sinaitico) non abbia il consueto livello di attendibi-
lità lo isola, in un certo senso, dal resto degli scritti neotestamentari e
ne rende la critica testuale più complessa. Oggi si tende a privilegiare
il codice A (Alessandrino, V secolo) come referente di base, integrato,
secondo l'opportunità, con gli altri maiuscoli- specialmente il Sinai-
tico- e i papiri4 •

2. Il genere letterario

Nell'ampia letteratura apocalittica- comprendente una trentina di


opere - il libro de li' Apocalisse acquista rilievo anzitutto per il titolo
('ATioKaì..UlJnç;/rivelazione, apocalisse) che ha dato il nome al genere.
Vi ritroviamo lo schema tipico dell'apocalittica, come contenuto oggi
generalmente accettato: uno sviluppo lineare nel tempo che dà luogo,
come conclusione, a una realizzazione di tipo spaziale, ossia uno svol-
gimento della storia che sfocia nella Gerusalemme nuova5 • È presente
anche il simbolismo caratteristico della letteratura apocalittica.

1
I P 18 P24 P'3 p4 7 P85 P94 contengono frammenti. Sul P 115 vedi J. CHAPA, "Il Papiro 115 :
qualcosa in più del numero della bestia", Apokalypsis, 311-333.
2
Si vedano K,A, C, 051,0163,0169,0207,0229.
3
È notevole il fatto che, dei 286 codici minuscoli, 126 contengano solo l'Apocalisse.
4
Dopo gli studi di J. SCHMID, Studien zur Geschichte des griechischen Apokalypse-
textes I-III (Miinchen 1955-56).
5
Vedi quanto precisato in J. J. CoLLINS, "Introduction: Towards the Morphology of a
Geme", Semeia 14 (1979) 1-20.
Introduzione generale

Una particolarità distintiva si rileva nell'abbinamento apocalittica


e profezia, che ne li' Apocalisse sono simultanee e si condizionano a
vicenda, mentre nelle Scritture la dimensione profetica precede quella
apocalittica. L'autore si sente profeta (cfr. l O, 11 ), e già nel prologo,
dopo aver chiamato la sua opera apocalisse, la designa anche come
parole di profezia/Myouç tf]ç TipO<jJT]tE (aç; tale espressione ritornerà,
con un'insistenza particolare, nell'epilogo (cfr. 22,7.10.18.19). Que-
sta confluenza conferisce al libro una specificità unica e irripetibile,
oggetto tuttora di indagine.
Spostandoci dal contenuto alla forma si pone una domanda: l' Apoca-
lisse è una grande lettera? La risposta corrente è affermativa: l'autore
indirizza il suo libro alle sette chiese che sono nell'Asia (1,4), e au-
gura loro grazia e pace, formula ricorrente nell'epistolario apostolico.
Inoltre, tra l 'autore e i suoi destinatari, è riscontrabile quell'intreccio
di fatti concreti e precisazioni didattiche proprie della reciprocità di
una lettera.
Ma si impongono delle puntualizzazioni. L'assenza degli altri elementi
letterari che costituiscono una lettera, come pure il fatto che la forma
epistolare sia estranea ali' apocalittica suscitano delle perplessità, al
punto che l'Apocalisse appare una lettera tutta particolare.
Il rapporto tipico tra colui che legge e coloro che ascoltano espresso
ali' inizio (l ,3) e richiamato alla fine n eli' epilogo (22, 7b), il discorso
rivolto direttamente agli ascoltatori, interrompendo il filo del rac-
conto (13,9-1 0.18), nonché il saluto finale (22,21) suggeriscono un
contatto diretto con l'assemblea liturgica. L'Apocalisse sarebbe allora
uno scritto inviato alle chiese e destinato ad essere letto, ascoltato e
interpretato nell'assemblea liturgica. L'abbondanza e la frequenza dei
richianù liturgici - ricorrenti nel decorso del libro - confermano que-
sta intenzionalità dell'autore. Ed è proprio nel vivo dell'assemblea che
l'Apocalisse diventa pienamente profezia.

3. Struttura letteraria e contenuto

L'individuazione della struttura letteraria condiziona la comprensione


del libro nel suo insieme, ma è un problema tuttora dibattuto. Pastosi
indirettamente e frammentariamente fin dai commenti patristici, ha
trovato, all'inizio del secolo, una sua formulazione più precisa: in rea-
zione alla critica letteraria soprattutto tedesca del sec. XIX, che aveva
sezionato l'Apocalisse nelle fonti più disparate, si è imposto gradata-
mente all'attenzione il testo ultimo risultante, che viene studiato come
fatto letterario globale.
Introduzione generale

I tentativi di precisare la struttura letteraria, anche tenendo conto di


quest'ultima prospettiva, sono stati molti e complessi. I risultati finora
raggiunti, parzialmente discordi, indicano che non si è ancora arrivati
a una soluzione definitiva del problema. Comunque, possiamo fissare
- con un certo grado di probabilità - una struttura minima, ottenuta
sommando varie indicazioni di natura letteraria che il libro stesso
fornisce al riguardo.
L'Apocalisse appare come un'opera unitaria, preceduta da un prologo
(l, 1-3) e conclusa da un epilogo (22,6-21 ).
Consta di due parti, di lunghezza ineguale, ma chiaramente definibili
o connesse l'una con l'altra: 1,4-3,22 e 4,1-22,5.
La prima parte si articola in tre fasi che si susseguono in crescendo:
dialogo liturgico iniziale (l ,4-8), incontro domenicale col Cristo risor-
to (1,9-20), messaggio di Cristo risorto alle sette chiese (2-3).
La seconda parte ha un'articolazione letteraria più complessa poiché
consta di cinque sezioni:
l) sezione introduttoria (4,1-5,14) dove vengono presentati i tre
parametri fondamentali, connessi strettamente tra loro, per l' interpre-
tazione della storia. Essi sono: il trono di Dio e i personaggi della sua
corte celeste (come i ventiquattro anziani e i quattro viventi in 4,1-11 );
il rotolo contenente il progetto divino sulla storia, completamente
inaccessibile perché sigillato con "sette sigilli" (5, 1-5); Cristo-agnello
che riceve il rotolo e, nel contesto di una celebrazione solennissima,
si accinge a rimuoverne i sigilli, per rendere accessibile il ~ontenuto
(5,6-14);
2) sezione dei sigilli (6,1-8,5), che termina con un ponte letterario di
collegamento (8,1-5) con la sezione seguente, caratterizzata dall'aper-
tura successiva dei sette sigilli da parte di Gesù Cristo Agnello. Col
settimo sigillo si ha un fatto letterario particolare: nel suo contenuto
tipico, troviamo una presentazione globale della sezione seguente,
quella delle trombe (8,1-5), che poi, a partire da 8,6, si svolgerà rego-
larmente in forma autonoma. La stessa struttura narrativa si verificherà
anche con le due sezioni centrali seguenti: la settima tromba ( 11,11-
19) e il terzo segno (16, 17-21 );
3) sezione delle trombe (8,6--11, 19, dove 11,11-19 è già la presenta-
zione globale della sezione seguente), caratterizzata dallo squillo suc-
cessivo delle sette trombe suonate dagli angeli. Alle ultime tre trombe
si sovrappongono tre "guai" (8, 13), creando un "crescendo" letterario
notevole;
4) sezione del triplice segno (12,1-16,21, dove 16,17-21 è già la pre-
sentazione globale della sezione conclusiva), più complessa delle pre-

9
Introduzione generale

cedenti, può essere denominata "sezione del triplice segno" in base a


una sua caratteristica letteraria: un primo "segno", la donna (12,1), un
secondo, il drago (12,3), un terzo, gli angeli con le sette coppe (15,1),
tutti collegati tra di loro.
5) sezione conclusiva (17,1-22,5), caratterizzata dall'intervento riso-
lutivo e irreversibile di Cristo-agnello, re dei re e signore dei signori
(19, 16), il quale, da una parte, giudica e annulla tutte le forze ostili,
confluite nella convivenza di Babilonia, la grande prostituta e, dall'al-
tra, prepara e realizza la Gerusalemme nuova, la fidanzata che diventa
la donna, la sposa (21 ,9).
Le cinque sezioni della seconda parte sono collegate tra loro da uno
sviluppo lineare, temporale e progressivo: si determina così un movi-
mento ascendente che sbocca nella sezione conclusiva. Ma nel decorso
del libro, alcuni elementi sono sottratti, mediante un gioco sottile dei
tempi verbali, dali' asse dello sviluppo temporale e ruotano liberamen-
te, in avanti e indietro, rispetto allo sviluppo lineare, conferendo così
un certo carattere meta-temporale allo scontro delle forze positive e
negative, nel senso di un superamento dell'attenzione cronachistica
agli eventi e permettendo l'applicazione del messaggio ad ogni situa-
zione concreta della storia.

4. La lingua e lo stile

Il greco dell'Apocalisse presenta, anche a una prima lettura, due carat-


teristiche salienti: un qualche sfondo ebraico-aramaico e una serie di
anomalie grammaticali.
Si è posto così il problema della lingua originale e si sono avute ri-
sposte svariate. Il testo attuale sarebbe una traduzione dall'aramaico
(Torrey) o dall'ebraico (Scott), tale da mostrare ancora tracce non
assorbite del testo originale. Secondo altri, l'autore pensa in ebraico
e scrive in greco (Charles), al punto che molte anomalie dipendono
dalle sottostanti strutture grammaticali ebraiche in un contesto greco
(Lancellotti).
Queste risposte, se applicate all'insieme, non sono apparse persuasive.
È difficile pensare ali' Apocalisse come a una traduzione. L'autore ama
passare, con estrema disinvoltura e sottolineando il cambiamento, dal
greco all'ebraico e dali' ebraico al greco (cfr. 9, 11; 16, 16). Più in gene-
rale, l'autore appare, per la conoscenza e l 'uso dell' AT e per la predi-
lezione di termini dotti, una persona colta, indubbiamente di matrice
giudaica, ma con una padronanza della lingua greca impressionante,

IO
Introduzione generale

sia per la ricchezza del suo vocabolario, sia per gli espedienti stilistici
che usa.
Le anomalie grammaticali costituiscono un problema a parte: non
imputabili a ignoranza o negligenza - accanto alle forme irregolari si
trovano normalmente anche quelle corrette -, esse indicano piuttosto
che l'autore, sentendosi stretto nel sistema linguistico in cui opera, non
esita a forzarlo, per comunicare un contenuto che talvolta raggiunge il
limite dell'inesprimibile (è il caso ad esempio del nome di Dio in 1,4
e di Cristo-agnello in 5,6).
L'uso di immagini particolarmente forti, e che superano intenzional-
mente tutti i confini del verosimile (vedi i viventi pieni di occhi, in 4,8
e la presentazione delle due bestie, nel cap. 13), non è una svagataggi-
ne dell'Autore, ma- come è proprio del suo stile- ha lo scopo di sot-
tolineare in maniera provocante aspetti del trascendente che superano
qualunque calcolo e qualunque verosimiglianza puramente umana; una
sfilza di impossibilità che però non sono più tali a livello ultraterreno,
ma anzi indicano qualcosa che in senso positivo va oltre qualsiasi lo-
gica umana. Questi assurdi non si fermano alla loro impossibilità, ma
spingono e quasi costringono il lettore a fare un salto di comprensione
che, solo, gli permette di intercettare il messaggio trascendente. Caso
per caso, oltre a questo fenomeno sconvolgente, appare anche il filo
conduttore che permette addirittura di comprendere o sentire ciò che a
prima vista appare assurdo. Viene in mente quanto diceva Tertulliano:
Credo quia absurdum. Come accade per le anomalie grammaticali, di
cui sopra, l'Autore sceglie consapevolmente l 'impossibile umano per
farci lambire il possibile divino.
Lo stile riconosciuto normalmente come particolare (Boisl.llard lo defi-
nisce "inimitabile") si può individuare, oltre che nelle sue particolarità
sintattiche (Tumer), in alcuni aspetti caratteristici.
L'Autore ha un suo ritmo che, anche se non obbedisce a regole di
carattere metrico (Lohmeyer) o sticometrico (Rousseau), riesce a
coinvolgere immediatamente il lettore nel suo giro. Ha una notevole
capacità evocativa: riesce a fornire delle tracce, che poi il lettore svi-
luppa per conto suo. È tipico, a questo proposito, il suo modo di rap-
portarsi alle Scritture: non si ha mai una citazione esplicita, ma intere
espressioni antico-testamentarie sono spesso inserite nel discorso (se
ne contano oltre 800), facendone rivivere il contesto in una nuova e
ulteriore prospettiva.
Lo stile dell'Autore ha anche una sua raffinatezza: lo si vede dali 'uso
insistente, ma mai meccanico, degli schemi (per esempio i settenari e i
raggruppamenti di quattro o tre elementi), da eleganti giochi di parole,

Il
Introduzione generale

dal ricorso ai criptogrammi (cfr. 13,18), nonché dall'uso del simboli-


smo che appare, nello stesso tempo, arditissimo e misurato.

5. L'autore

Il problema dell'autore dell'Apocalisse è tutt'oggi oggetto di discus-


sione6. Le tendenze di fondo in proposito si possono ridurre a quattro.
l) Secondo una prima posizione, l'autore è Giovanni l'Apostolo: lo
attesta una solida tradizione patristica di cui sono rappresentanti emi-
nenti Giustino (che parla di "un uomo chiamato Giovanni, uno degli
apostoli di Cristo": PG 9, 669), Ireneo (che usa varie volte l'espressio-
ne "Giovanni, discepolo del Signore, n eli' Apocalisse": PG 7, l 040;
l 068; 1192) e Clemente Alessandrino (''come dice Giovanni ne li' Apo-
calisse": PG 9, 328). Si muovono sulla stessa linea il Canone di Mura-
tori, Origene, Ippolito, Tertulliano, Girolamo e, probabilmente, anche
Papia di GerapolF. Non mancano voci discordi, come Gaio (fine II
secolo) che attribuiva l'Apocalisse a Cerinto, e soprattutto Dionigi di
Alessandria (III secolo) che confessava, a proposito del libro: "Io non
lo rigetto, ma lo ammiro ancora di più perché non lo posso capire"8,
ma escludeva recisamente- forse per motivi polemici -l'attribuzione
a Giovanni l'Apostolo.
2) Una seconda posizione colloca il libro nell'ambito del movimento
giovanneo, in virtù degli evidenti punti in comune del contenuto, ma
distingue l'autore da quello degli altri scritti giovannei a causa delle
discrepanze nella tradizione e soprattutto della diversità radicale sul
piano letterario9 •
3) Una terza posizione vede nell'autore semplicemente un profeta,
casualmente di nome Giovanni, che si muove più nell'ambito del pao-
linismo che del giovannismo (Schiissler Fiorenza).
4) Secondo una quarta posizione, che tiene conto del fenomeno lette-
rario della pseudonimia apocalittica 10, l'Autore sarebbe un discepolo

6
Cfr. G. BrGuzzr, "Giovanni di Patmos e la cultura ellenistica", Apokalypsis, 93-126.
7
Secondo G. Maier, Papia «considerò l'Apocalisse come un'opera di Giovanni,
Apostolo e figlio di Zebedeo, che ne Il' Asia Minore veniva chiamato "il Presbitero">>.
A tal proposito, cfr. G. MA.IER, Die Offenbarung und die Kirche (Tiibingen 1981).
8
Dionigi in EusEBIO, Historia Ecclesiastica, 7, 25.
9
Si rimanda in tal senso allo studio di U. VANNI, Dal Quarto Vangelo all'Apocalisse.
Una comunità cresce nella fede (Assisi 20 Il).
10
In quasi tutte le opere di questo movimento l'autore reale si esprime in prima perso-
na, ma mettendo il discorso sulle labbra di un personaggio celebre del passato, remoto

12
Introduzione generale

dell'apostolo, il quale rielabora in proprio il materiale della tradizione


giovannea. Questa posizione comporta il vantaggio di recuperare la
tradizione patristica, nella quale un testo pseudonimo veniva riferito
facilmente al personaggio protagonista e di collocare più aderentemen-
te l'Apocalisse, pur con le sue caratteristiche profetiche, nel quadro
della letteratura apocalittica.
Dall'analisi del libro che presenta, sotto diversi aspetti, un livello
letterario eccezionale, emerge la figura dell'Autore come di un uomo
dotto, di provenienza culturale ebraica, immerso nella cultura greca
del suo tempo, dotato come scrittore di una capacità straordinaria, con
una sensibilità emotiva tutta particolare, amante appassionato della
poesia e della musica. Ma è soprattutto il suo rapporto con le Scritture
che stupisce: la conoscenza straordinaria e la sua familiarità con i testi
sacri gli permettono di riprendeme immagini e contenuti che scivola-
no spontaneamente nella sua opera, si uniscono e si amalgamano con
essa, costituendo alla fine un unico prodotto nuovo. Attingendo dal suo
patrimonio religioso e culturale, si dimostra capace di realizzare un
nuovo messaggio: in questo modo la Parola di Dio resta sempre fedele
a se stessa ed è sempre portatrice di novità 11 •

6. Data di composizione

La data di composizione dell'Apocalisse fa problema, non meno che


la questione dell'Autore.
Una tendenza, oggi particolarmente accentuata, la fa risalire a prima
del 70 e, segnatamente, all'anno 69, particolarmente turbolento nella
storia romana. Il testo - specialmente in 17-18 - farebbe allusione agli
avvenimenti di quell'anno e sarebbe da collocare in ogni caso prima
della distruzione del tempio di Gerusalemme 12 •
Ma ci sono forti obiezioni. Roma fu chiamata Babilonia -l'equivalen-
za di fondo appare nel cap. 17 - proprio a partire dal 70, abbinando la
seconda distruzione del tempio messa in atto dai romani con la prima

o recente, per farlo rivivere letterariamente e parlare nel tempo corrente. Un esempio
caratteristico è l'attribuzione da parte di Clemente Alessandrino dell'Apocalisse di
Pietro, scritta verso ill25, a Pietro stesso (cfr. EusEBIO, Historia, 6, 14, l).
11
Cfr. U.VANNI, "L'autore dell'Apocalisse un eminente ebreo che incontra Gesù?",
Vìvens homo 27 (2016) 23-37.
12
È la tesi sostenuta anche nel recente studio di K. BERGER, Die Apokalypse des
Johannes. Kommentar. I-II (Freiburg- Basel- Wien 20 17): I, 78-85.

13
Introduzione generale

per opera dei babilonesi 13 • C'è inoltre- unico caso nel NT- la testi-
monianza di Ireneo, il quale pone le visioni dell'Apocalisse "verso la
fine del regno di Domiziano" 14 , collocando il testo negli anni 95-96,
visto che l'imperatore fu ucciso il16 settembre del96.
Poiché Ireneo (135/140-200) parla degli avvenimenti riportati nell'A-
pocalisse, la loro redazione dovette essere successiva, arrivando forse,
secondo quanto sembra insinuare Vittorino 15 , al tempo dell'imperatore
Traiano (98-117 d.C.).

7. L'interpretazione dell'Apocalisse

Uno sguardo alla storia dell'esegesi dell'Apocalisse evidenzia dei


punti di partenza notevolmente differenziati: potremmo dire diversi
approcci che poi si articolano in metodi interpretativi specifici.
C'è stata, nei primi secoli, una lettura denominata "letterale", soprat-
tutto per l'interpretazione in senso realistico del regno di "mille anni"
- magari proprio in 7 serie successive - attribuito a Cristo e ai suoi in
20,1-10.
Tale interpretazione durò a lungo: Papia di Gerapoli, Cerinto, Giusti-
no, Melitone di Sardi e, in un certo senso, lreneo ne sono gli espo-
nenti più rilevanti in Oriente. Sarà l'interpretazione di Origene 16 a se-
gnare una svolta decisiva verso l'interpretazione allegorica, che vede
nell'Apocalisse non la presentazione di fatti concreti, ma di categorie
interpretative. In Occidente l'approccio letterale, con il millenarismo
per base, è riscontrabile in Tertulliano, Ippolito, Cipriano e Vittorino
di Petovio (+ 305), il cui commento fu poi corretto radicalmente da
Girolamo. E sotto l'influsso dello stesso Girolamo, di Ticonio e so-
prattutto di Agostino, anche in Occidente prevarrà l'interpretazione
allegorica.
Ci saranno anche in seguito -fino ai nostri giorni - dei bruschi risve-
gli di millenarismo, circoscritti e avvertiti più in chiave applicativa
(vedi i Testimoni di Geova) che a livello di ricerca esegetica. Prevar-
rà l'interpretazione allegorica, ma si incrocerà con altre intuizioni o
spinte culturali, assumendo di conseguenza prospettive notevolmente

13 Cfr. 4Esd, 3,1-2.28-31; 2Bar 10,1-3; 11 ,l; 67,7; Or Syb 5,143,159.


1
' IRENEO, Adversus Haereses, 5, 30.
15 "Et Ioannes, de metallo dimissus, sic postea tradidit hanc eandem quam a Deo acceper-

at Apocalypsim" (VnTORINO DI PJITOVIO, Commentarii in Apocalypsis Joannis, l 0).


16
ORIGENE, De principiis II, I I, 2-3.

14
Introduzione generale

diverse. Un esempio noto è la concezione di Gioacchino da Fiore, il


quale, basandosi sull'Apocalisse e servendosene come filtro inter-
pretativo per la storia della chiesa, parlerà dell'era del Padre (rap-
presentata dali' AT), del Figlio (annunciata dal NT) e dello Spirito
(l'epoca futura).
Sempre alla luce dell'interpretazione allegorica e a seconda del seg-
mento storico a cui tale interpretazione viene applicata, sono stati pre-
sentati altri due approcci: il primo, che tiene conto degli avvenimenti
contemporanei all'Apocalisse (soprattutto il contrasto con l'impero
romano); l'altro, che ne sposta l'applicazione agli eventi escatologici,
come chiave di lettura della fine della storia.
Un ultimo metodo interpretati vo cerca di combinare l 'aspetto re-
alistico, che sarebbe l 'azione liturgica alla quale l'autore sembra
destinare lo scritto, con il messaggio allegorico. Ne deriverebbe una
combinazione caratteristica tra la celebrazione in atto - col rapporto
tipico della proclamazione e della reazione ad essa - e le valenze
interpretative del messaggio, da riferire volta per volta alla realtà
della storia che si sta vivendo. L'interazione tra queste due dimen-
sioni si muoverebbe e dovrebbe essere letta secondo i parametri
della linguistica moderna, attenta al rapporto tra testi proclamati e
lettore-ascoltatore.

8. Il simbolismo

Tutti i metodi interpretativi presentati si incrociano con il linguaggio


simbolico esoterico proprio di una corrente che, probabilmente, faceva
capo a una scuola vera e propria, data la diffusione di questo tipo di
simbolismo in tutto il NT e nella letteratura giudaica antecedente e
susseguente. Tuttavia occorre ammettere che, attualmente, i contorni
storici precisi di tale movimento ci sfuggono.
L'autore dell'Apocalisse, sulla scia della scuola a cui appartiene, ma
con un'indubbia originalità creativa, attribuisce a termini ed espressio-
ni una valenza nuova, diversa da quella riscontrabile nel campo dell'e-
sperienza immediata. Il discorso simbolico risulta sempre distaccato
dall'espressione nuda e cruda della realtà. Ma tale scollamento presen-
ta una sua struttura, un suo meccanismo particolare: si profilano livelli
successivi che, allontanandosi sempre più dali' espressione realistica,
disegnano una crescita, talvolta addirittura una fuga in alto, formando
una "colonna simbolica". I singoli livelli devono essere interpretati
successivamente, uno dopo l'altro, senza voler costruire un quadro

15
Introduzione generale

visivo di insieme. Il messaggio conclusivo viene veicolato dall'Autore


attraverso il richiamo di un solo termine simbolico 17 •
Per comprendere la simbolizzazione propria dell'Apocalisse occorre
vedere da vicino le principali cifre simboliche, nelle quali si rispecchia
questo procedimento di modifica creativa del significato.
l) C'è anzitutto il simbolismo cosmico. Il sole, la luna, il cielo, le stel-
le e il mare non hanno semplicemente il valore di elementi funzionanti
nel quadro dell'universo come sono normalmente percepiti. Partendo
da questa base, l'Autore- sulla linea dell'ATe della scuola apocalitti-
ca - conferisce loro un significato nuovo che li rapporta direttamente a
Dio, a Cristo, al mondo di Cristo e di Dio; così il sole, che esprime la
creatura più preziosa, è portatore della luce di Cristo nel mondo degli
uomini (cfr. 1,16).
La cifra più caratteristica - spesso mal compresa - riguarda gli scon-
volgimenti cosmici. Il sole che perde la sua luce, la luna che diventa
come sangue, le stelle che cadono dal cielo, le acque che inaridiscono
all'improvviso, e così via, presentano solo allivello realistico di una
prima lettura l'aspetto di catastrofi. In realtà l'autore, presentando
queste trasformazioni violente dell'ordine cosmico, vuol provocare
nei lettori la sensazione di una presenza attiva e trasformante di Dio
nella storia 18 •
2) Un'altra cifra -la più vasta- è data dal simbolismo antropologico
che attinge dal mondo degli uomini, al quale l'autore si sente partico-
larmente interessato. Le loro realtà, i loro valori, a livello individuale
e collettivo assumono prospettive inedite: le vesti, le posizioni, i con-
viti, l'amore, la convivenza nella città diventano espressioni per lo più

17
Illustriamo quanto detto con un esempio tratto da Ap 5,6. Il messaggio di fondo
riguarda Cristo e la sua azione. Su questa base abbiamo un primo livello (agnello in
piedi/apv(ov E:atT]Kòç): Cristo è presentato come Agnello e si allude alla sua resurre-
zione. Un secondo livello (come sgozzatolr~r:, Éa<!Jayj.lÉvov): esprime la morte di Cristo.
Un terzo livello (avente sette cornafExwv KÉpata Ènta): indica la totalità della forza
messianica. Un quarto livello (avente sette occhifExwv Ò<jl9aÀJ.loÙç Ènta): come l 'autore
spiega, esprime i sette spiriti di Dio (la totalità dell'azione dello Spirito) mandati su
tutta la terra. Il messaggio conclusivo sarà la presentazione di Cristo: Cristo morto e
risorto, con la pienezza della sua potenza messianica, che ha e invia Io Spirito. Tutto
questo contesto sarà richiamato dall'autore con il solo termine Agnello, apv(ov, che
ricorrerà neli' Apocalisse altre 28 volte.
18
Analoga sensazione di sconcerto aveva colpito il poeta greco Archiloco il quale,
di fronte all'eclissi totale di sole dell'8 aprile 647 a.C., dichiarava che da Zeus "tutto
può essere aspettato". A tal riguardo, cfr. E. DJEHL, (ed.), Anthologia Lyrica Graeca
III (Lipsiae 1 1952) 74.

16
Introduzione generale

qualitative, riferite a un mondo nuovo, il regno che Dio e Cristo stanno


realizzando (cfr. 11, 15).
3) Il simbolismo teriomorfo introduce gli animali come protagonisti
sia di bene (l'agnello, i viventi), sia di male (il drago, la bestia, ecc.).
Preso dali' apocalittica giudaica, ma rielaborato in maniera originale
- su una linea molto vicina a quella che sarà propria di F. Kafka- tale
simbolismo si riferisce a una fascia di realtà situata al di sotto della
trascendenza di Dio, ma anche al di sopra della possibilità di verifica
da parte degli uomini.
4) Anche il simbolismo aritmetico, che riconosce ai numeri un valore
qualitativo anziché quantitativo, diffuso nell'apocalittica giudaica
precedente, assume valori propri: 7 indica la totalità che il contesto
immediato poi specifica; la metà di sette (tre e mezzo) la parzialità;
12 e i suoi multipli si trovano in contesti positivi e riferiti a elementi
diversi (le 12 tribù, i 12 apostoli, le misure della Gerusalemme nuova,
e così via); 1000 la presenza attiva di Cristo nell'ambito della storia.
5) Un'ultima cifra riguarda il simbolismo cromatico: i colori espri-
mono qualificazioni di carattere spirituale e morale. Così ad esempio
il bianco contiene un riferimento alla resurrezione di Cristo, mentre il
rosso indica la radice demoniaca di certi fenomeni storici.
Queste cifre simboliche sono costanti, ma non automatiche. Accanto ai
valori simbolizzati incontriamo, talvolta, anche quelli realistici; anche
in questo caso, come in generale, è sempre il contesto che fornisce
l'indicazione decisiva.

9. Il messaggio teologico: la concezione di Dio

L'attenzione alla teologia propria dell'Apocalisse ha avuto negli ulti-


mi decenni uno sviluppo rilevante. L'oggetto prevalente è costituito
anzitutto da alcuni grandi temi i quali, ricorrenti nella teologia biblica
neotestamentaria, trovano in questo libro una formulazione propria, in
quanto costituiscono una sorta di cristallizzazione del messaggio che,
alla fine, approda anche alla formulazione di tematiche nuove.
Un'esposizione dettagliata di questi temi porta a cogliere dall'interno
il mondo ideologico tipico dell'Apocalisse. Diamo per ciascuno di
questi temi un sommario analitico, con una qualche indicazione con-
clusiva di sintesi.
l) Cominciamo da Dio. L'espressione Padre di Cristo riferita a Dio
(1,6; 2,28; 3,5.21; 14,1) è usata da Cristo in prima persona: egli è il
Figlio in un senso che appare esclusivo. Ma Dio, Padre di Cristo, è

17
Introduzione generale

messo anche in rapporto con i cristiani; essi sono sacerdoti a Dio e


Padre suo (1,6); Cristo riconoscerà il loro nome al cospetto del Padre
(3,5); i credenti portano sulla fronte il nome del Padre (14,1).
2) Dio mio, detto da Cristo (3,2.12[3x]), esprime l'appartenenza reci-
proca, reale e affettiva che intercorre tra Cristo e Dio. Dio nostro (cfr.
11,15; 19,1.6), ha il valore di un richiamo all'alleanza, ma indica la
tendenza verso una reciprocità completa, che supera il livello dell'alle-
anza (cfr. 21,3). Questa prospettiva di Dio inteso come Padre di Cristo
e come realizzatore e garante dell'alleanza si trova soggiacente a tutte
le altre ricorrenze.
3) Dio (ò 9E6ç) senza altre aggiunte è il titolo più frequente (65 ricor-
renze). Non indica la divinità in astratto, ma è chiaramente evocativo,
a seconda dei contesti in cui ricorre, proprio della paternità nei riguardi
di Cristo e della realizzazione piena dell'alleanza (cfr. 1,1.9; 2,7; 3,14;
5,6.9.10; 8,2.4; 9,13; 11,16).
4) Signore, Dio, l'onnipotente!Kupwç ò 9Eoç ò travmKpkrwp (1,8; 4,8;
11,17; 15,3; 16,7.14; 19,6.15; 21,22), pur senza essere l'equivalente
fisso di "Signore, Dio degli eserciti", ha le sue radici nell'ATe si rife-
risce all'energia divina, capace di travolgere ogni ostacolo, impiegata
da Dio nella storia della salvezza, specialmente nei suoi momenti
cruciali.
5) SantolciyLOç, detto di Dio (4,8; 6, l 0), non è riservato esclusiva-
mente né principalmente a Lui: è santo Cristo (3,7), lo sono gli angeli
(14,10),icristiani(8,3.4; 11,18; 13,7; 14,12),1oèGerusalemme(l1,2;
21 ,2.1 0). Indica, potremmo dire, un 'appartenenza stretta al mondo
divino 19 •
6) Santoloowç, invece, è applicato esclusivamente a Dio, solo santo/
f.LOVoç oowç (15,4) e il santo/ò ooLOç (16,5): non è un decollo fantasio-
so in verticale, ma esprime la rettitudine suprema, la coerenza con se
stesso che Dio applica nello sviluppo della storia della salvezza.
7) Giusto/O LKa wç, riferito a Dio personalmente (16,5), alle sue vie
(15,3), ai suoi giudizi (16,7; 19,2), indica la rettitudine divina che,
applicata alla storia, ristabilisce l'equilibrio turbato tra bene e male. È
il corrispettivo oggettivo della rettitudine suprema personale, espressa
dal titolo santo!6owç.

19
Sulla linea dell'AI da cui deriva, ne richiama la trascendenza assoluta; esprime, per
così dire, la divinità allo stato puro: viene ripreso infatti, nelle due uniche referenze di
éiyLOç a Dio (15,4; 16,5), il triplice santo di ls 6,3 (cfr. Ap 4,8).

18
Introduzione generale

8) Tipico dell'Apocalisse è l'attributo il personaggio seduto sul trono/


Ka9TU.J.Evoç (in particolare 4,2.3; 6,2.5.8; 7,15; 19,11; 21,5); simbolo che
indica l'esercizio attivo da parte di Dio del suo dominio sulla storia.
9) Vivente (4,9.10; 7,2; 10,6; 15,7), sulla linea dell'AT, indica Dio con
quella pienezza di vita che supera qualunque limite e sorpassa ogni
immaginazione. Infatti tale compiutezza supera ogni elemento umano,
ogni limitazione di tempo.
Raccogliendo tutti questi elementi analitici in una visione sintetica più
generale, potremmo affermare che Dio, Padre di Gesù Cristo e degli
o o
uomini, è colui che è, era e verrà/o wv Kal ~v KaÌ. ÈpXOf.J.EVoç (1,4.8;
4,8; in 11,17 e 16,5 solo che è, era), in senso transitivo e attivo nei
riguardi della storia, che porta alla salvezza escatologica. Dominando
tutto con la sua potenza, Dio mette in moto il processo salvifico e lo
fa sviluppare nel tempo, travolgendo e annientando tutto il male, sia
morale che fisico.
Alla fine, tolto ogni ostacolo, si stabilirà tra Dio e l 'uomo - in forza
della mediazione di Cristo - una reciprocità vertiginosa, che supera
arditamente la barriera attuale tra immanenza e trascendenza. L'autore
la presenta e la comunica nella Gerusalemme nuova (21, 1-22,5).

l O. Gesù, Cristo, Gesù Cristo, Agnello

La cristologia dell'Apocalisse presenta una gamma particolarmente


ampia di titoli, a cominciare dalle denominazioni 20 •
Troviamo innanzi tutto Gesù/'IT)oouç: da solo 9 volte (l ,9[2x ]; 12, 17;
14,12; 17,6; 19,10[2x]; 20,4; 22,16). La frequenza relativamente alta
indica un'attenzione particolare al Gesù storico (Charles e Comblin) o,
forse preferibilmente, un'insistenza sul rapporto con la persona, come
questo si realizza nella liturgia. Esemplare l'espressione lo, Gesù nel
dialogo liturgico finale (22, 16).
Nella prima parte, specialmente in alcune Lettere alle chiese, possiamo
cogliere un aspetto particolare della figura di Gesù che viene presenta-
to come un fidanzato geloso e possessivo. È il Gesù in rapporto diretto
e pieno con le sue comunità, che ha la sincerità spietata e ardente del
primo amore. Troveremo espressioni di una tenerezza commovente

20
La più ricca di tutto il NT a giudizio di Jacques Bénigne Bossuet (Digione, 27
settembre 1627- Parigi, 12 aprile 1704), celebre studioso della Bibbia, vescovo,
scrittore, notissimo predicatore di corte; si rimanda in tal senso al suo trattato
L 'Apoca(vpse avec une explication (Paris 1690).

19
Introduzione generale

(cfr. 2, 17) ed espressioni taglienti e radicali (cfr. 3, l); noteremo anche,


con sorpresa e gioia, come questo amore travolgente lo faccia passare
dal rigetto rabbioso (cfr. 3,16) all'affettuosa premura (cfr. 1,16; 2,24;
3,8.1 O) che vuole risanare radicalmente tutti i punti deboli (cfr. 2,4) e
colmare tutte le insufficienze. Quasi preso dal senso di rimorso per la
sua radicalità, Gesù dichiara alla chiesa il perché di questo atteggia-
mento: è solo il suo amore, e lo dice in termini suggestivi, parlando di
se stesso come fa un fidanzato quando vuole farsi accettare dalla sua
amata: Io, se amo qualcuno, lo metto alla prova e lo educo (3, 19). E si
aspetta una risposta/reazione corrispondente: Dunque abbi un amore
da gelosia e guarda in avanti! (3, 19). Sicuro della risposta positiva
si mette addirittura nella posizione di un fidanzato in attesa: Ecco io
busso alla tua porta; se qualcuno mi apre entrerò da lui (3,20).
In tutta questa trafila si rileva anche quello che è tipico della parola
nell'Apocalisse: il suo divenire. Abbiamo qui un punto di partenza che
è di scontro radicale: da una parte tutte le scelte autoreferenziali della
chiesa e dall'altra l'ira incontrollata di Gesù; però Gesù e la chiesa
si amano e questo scambio violento, !ungi dallo spegnere l'amore,
sembra rimetterlo in moto, ricominciando da Gesù stesso che, lasciate
da parte le sue "minacce" paurose o meglio i suoi ricatti d'amore, con
tono premuroso, indica alla comunità come uscire da quella situazione
negativa in cui è caduta, offrendo i rimedi che lui ha a disposizione:
l'amore ardente verso Dio (simboleggiato dali' oro incandescente), la
partecipazione alla positività infinita della sua resurrezione, la risco-
perta del dono dello Spirito.
Gesù, messo da parte il tono minaccioso, si avvicina di nuovo con
amore: è segno che il divenire proprio della parola ha cambiato anche
lui e che, proprio attirando l'attenzione su di sé, vuole spiegare, come
un fidanzato desideroso di fare la pace, il motivo della sua severità.
Una volta chiarito emerge in lui l'amore allo stato puro, senza condi-
zioni, che ha tutta la freschezza e la delicatezza timorosa dell'affetto,
ma che spinge assolutamente a stare insieme a chi si ama: Entrerò da
lui e cenerò con lui e lui con me" (3,20e). Il percorso della parola in
divenire non potrebbe essere più evidente.
Gesù Cristoi'IT)ooiì XpLoToiì, ricorrente solo 3 volte e all'inizio del
libro (1,1.2.5), esprime un riferimento generale; Cristo!Xpw•oç, ricor-
rente da solo 4 volte (11,15; 12,10; 20,4.6), indica specificamente la
funzione messianica che porta all 'instaurazione del regno.
Venendo ai titoli veri e propri, Cristo è detto Signore/KupLOç: il termi-
ne ricorre 2 volte associato al nome proprio (22,20.21), 2 volte da solo
(11,8; 14,13), 2 volte con l'accrescitivo tipico di un genitivo susse-

20
Introduzione generale

guente e abbinato al titolo di re (signore dei signori e re dei re/KupLOç


Kup(wv Éorì.v; KaÌ.I}aoLÀEÙç l}aoLÀÉwv; 17,14; 19,16). In quest'ultimo
caso appare chiara la forza messianica che si impone a qualunque
potenza umana, mentre nei precedenti si ha un riferimento alla condi-
visione dell'evento pasquale ( 11,8 e 14,13) e ali' esperienza liturgica
(22,20.21 ).
Passando in rassegna gli altri titoli principali, otteniamo il seguente
quadro di insieme.
Cristo è detto il Figlio di Diolò ulòç rou 8EOu (2, 18), in senso esclusivo
e trascendente 21 , con una particolare solennità letteraria; la Parola di
Dio!ò ì..6yoç rou 8Eou (19, 13) indica invece la medesima realtà trascen-
dente venuta in contatto con gli uomini. E qui Cristo appare come il
protagonista e, in un certo senso, il soggetto della realizzazione della
parola di Dio nella storia, sviluppando al massimo le implicazioni
dell'incarnazione.
Aspetti della ramificazione di Cristo nella storia, fino a renderla omo-
genea ai suoi valori, sono tutti gli altri titoli attribuitigli:
l) ò ( wv/il vivente (l, 18) è il nome nuovo di Cristo risorto, che gli
permette di partecipare la sua resurrezione;
2) il primo e l 'ultimo, l 'alfa e l 'omega/ò rrpwroç KaÌ. ò Eoxaroç, rò aÀ<j>a
KaÌ. rò 7 0 (1,17; 2,8; 22,13): detti di Dio (cfr. 1,8; 21,6), questi attributi
vengono trasferiti funzionalmente a Cristo, posto come all'inizio e alla
conclusione della storia;
3) il testimone fedele/ ò IJ.(ipruç, ò mor6ç (l ,5; 3, 14; cfr. 19, Il) costi-
tuisce un'attestazione continuata, pienamente credibile, del progetto
di Dio che si sta realizzando nella storia. In tal senso Cristo è detto
nell'Apocalisse anche /'amen![ò] 'A~~v (3,14);
4) il principe dei re della terra/o apxwv !WV l}ao LÀÉWV tf]ç yf]ç (l ,5),
esprime la supremazia sui centri di potere organizzati storicamente
e detti appunto re della terra!paoLÀÉwv rf]ç yf]ç (1,5; 6,15; 17,2.18;
18,3.9; 19,9), divergenti rispetto a Dio. In virtù dell'influsso positivo
di Cristo sulla storia, successivamente anch'essi contribuiranno allo
splendore della Gerusalemme nuova (21 ,26);
5) il/eone della tribù di Giuda riprende Gn 49,9 e colloca Gesù nella
linea di David. Questo fatto appare particolarmente importante agli
occhi dell'Autore, al punto che ci ritorna sopra espressamente quando
afferma che Gesù ha la chiave di David (3,7) e soprattutto quando gli
fa dire: lo, Gesù ... sono la radice/~ p((a e la stirpe!rò yÉvoç di David

21
Mai i credenti sono chiamati esplicitamente figli di Dio ne li' Apocalisse.

21
Introduzione generale

(22, 16). Il Gesù Figlio di Dio, morto e risorto, che domina il tempo,
è collocato nella concatenazione della storia umana e addirittura nella
genealogia che fa capo a Giuda e passa attraverso David. Come per
i Sinottici, Gesù è "figlio di David" (cfr. Mt 1,29; 9,27; 12,23; Mc
10,47.48; 12,55; Le 18,38.39), ma, come dice l'immagine simbolica
della radice, sta prima di lui (cfr. Mt 22,41-46; Mc 12,35-37).
Tale panoramica acquista rilievo, sia per la comprensione della figura
di Cristo in se stessa, sia per il suo aspetto funzionale all'asse della
struttura del libro.
Il Cristo della prima parte (1,4-3,22) è presentato nella cosiddetta
"visione iniziale" (l ,9-20), che consiste in un'esperienza sconvolgente
del Risorto, fatta da Giovanni nel giorno di domenica; tale esperien-
za, realizzata in un contatto particolare con lo Spirito, è partecipata e
condivisa con tutto il gruppo di ascolto. Cristo risorto vi appare nella
sua trascendenza abbagliante e, nello stesso tempo, in mezzo alla sua
comunità, come suo sacerdote, tutto impegnato per essa (l, 12-16). In
un secondo momento, ma sempre in rapporto diretto e in dialogo con
la chiesa, si presenta come il protagonista del mistero pasquale, parla
direttamente alla chiesa e agisce su di essa, modificandone la situazio-
ne morale (2-3).
Il Cristo della seconda parte (4,1-22,5) è l 'agnello/apv[ov. La presen-
tazione (5,6) ha una particolare densità simbolica e ne fa emergere la
ricchezza della figura: il Cristo-agnello occupa una posizione di cen-
tralità nello sviluppo della storia della salvezza, che consiste nell'es-
sere - nella simultaneità applicativa della liturgia - insieme morto e
risorto, nonché dotato di tutta la potenza messianica e della pienezza
dello Spirito da comunicare agli uomini. Nell'arco della seconda parte,
tale immagine simbolica ricorre altre 28 volte e sempre risulta prota-
gonista di tutte le vicende della storia. Per questo, a livello escatologi-
co, la lucerna della Gerusalemme nuova è proprio l'agnello (21,23).

11. Lo spirito

La teologia dello Spirito ne Il' Apocalisse si presenta con indicazioni


sobrie, a prima vista scarne, e con immagini di interpretazione di-
scussa.
Il quadro di insieme che ne risulta è comunque altamente stimolante:
vi si percepisce l'esperienza prolungata del movimento giovanneo.
Lo Spirito è avvertito soprattutto nelle sue funzionalità e anima costan-
temente la preghiera della chiesa (22, 17). In un contatto trasformante

22
Introduzione generale

con lo Spirito (divenni nello Spirito: 1,10) Giovanni fa un'esperienza


particolare di Cristo risorto, che poi ripropone alle sue comunità nella
prima parte del libro. Per interpretame il messaggio - a cui Cristo ri-
sorto invita insistentemente le chiese (chi ha orecchio ascolti ciò che
lo Spirito dice alle chiese: 2,7.11.17.29; 3,6.13.22)- che riguarda la
storia e sarà proposto nel linguaggio simbolico della seconda parte,
Giovanni- e con lui l'assemblea liturgica- avrà bisogno di un nuovo
contatto con lo Spirito (divenni nello Spirito: 4,2).
Nella seconda parte del libro la sua funzione appare particolarmen-
te articolata: proprio di Cristo-agnello (5,6), lo Spirito viene come
irradiato e donato a tutti i cristiani 22 • Li raggiunge ed elabora in loro
la verità di Gesù, in quanto "Spirito della verità" (Gv 14, 17; 15,26;
16, 13; l Gv 4,6), rendendo1a prima testimonianza e poi, in un confron-
to provocante con la storia, profezia vera e propria: la testimonianza
di Gesù è lo Spirito di profezia (19,10) 23 •

12. Le chiese e la chiesa

Il termine chiesaiÈKKÀTJo[a. (2, 1.8.12.18; 3, l. 7.14) è riferito alla chiesa


locale, identificata nella sua circoscrizione geografica. Ma si parla
ancora più spesso di chiese al plurale (1,20; 2,23; 1,4.11; 2,7.11.29;
3,6.13 .22; 22, 16), con una portata semantica generalizzata; quando il
vocabolo è abbinato al numero sette (l ,4.11.20), l 'autore si riferisce
a una totalità di chiesa che poi si esprime nelle varie concretizzazioni
spazio-temporali.
È difficile precisare la struttura delle chiese anche quando esse
appaiono determinate geograficamente. Una strutturazione
piramidale24, anche se non si può dire anacronistica, trova nell'inter-
pretazione di angelo della chiesa, inteso come il vescovo responsabile,
una base fragile e discussa. La chiesa dell'Apocalisse ha certamente
una dimensione profetica, emergente soprattutto nell'assemblea, anche
se non è riducibile ad essa. Una complessità di funzioni, e quindi una
certa strutturazione anche gerarchica, si intravede nei compiti assegna-

22
L'espressione sette spiriti (l ,4; 3, l; 4,5; 5,6) indica lo Spirito nella totalità e molte-
plicità delle sue realizzazioni.
23
Vedi anche 14,13 e, più in generale, la funzione dei viventi, simbolo probabile
dell'azione dello Spirito.
24
Tale struttura, con il vescovo al vertice, si ritrova chiaramente nelle stesse chiese alle
quali si indirizza Ignazio di Antiochia.

23
Introduzione generale

ti o nelle prestazioni lodate, come l'identificazione e l'emarginazione


deijalsi apostoli (2,2) e l'isolamento dai Nicolaiti (cfr. 2,15). In questi
casi viene da pensare a interventi propri dell'autorità. Comunque, il
discorso che viene rivolto alle sette chiese coinvolge globalmente tutti
i livelli di una possibile struttura.
Alcune immagini simboliche caratteristiche sottolineano come l' Au-
tore sente ed esprime la realtà ecclesiale: essa è una totalità liturgi-
ca in cui è presente Cristo (i sette candelabri d'oro: 1,20; 2,1); la
chiesa, anche quando appare circoscritta geograficamente, possiede
una dimensione trascendente (secondo un'interpretazione proba-
bile dell'espressione tipica angelo della chiesa: 1,20; 2,1.8.12.18;
3,1.7.14); la chiesa celeste e terrestre nello stesso tempo deve espri-
mere il suo Cristo (la donna rivestita di sole che partorisce: 12,1-6).
Costituisce l'insieme del popolo di Dio, con tutta la carica che questo
concetto ha nell'ATe senza soluzione di continuità, sia allo stato di
pellegrinaggio sia nella situazione finale: coincide con la Gerusa-
lemme "calpestata" (11,2) e con la Gerusalemme nuova (21, 1-22,5).
Essa è, nello stesso tempo, la fidanzata che aspira a diventare sposa
e la città-convivenza.
L'unione di queste due immagini (la città santa... come fidanzata
adornatalrTJV 1tOÀ.tV n'Jv ayiav ... vUJl<jlTJV KEKOO"JlTJJlÉVTJV: 21 ,2; la fi-
danzata, la donna dell'Agnellolvu~cpTJv 't~V yuva:'ì.Ko: 'tOU àpvl.ou: 21,9)
esprime alla fine la sintesi più alta dell'ecclesiologia dell'Apocalisse:
la chiesa è la fidanzata che aspira al livello di amore paritetico pro-
prio della nuzialità. Collaborando con l'azione di Cristo nella storia,
vincendo con lui, essa da una parte si confeziona l'abito da sposa (cfr.
19,6-8), dall'altra, mediante i suoi atti di giustizia (19,8), contribuisce
alla realizzazione della Gerusalemme nuova.

13. L'escatologia

L'ecclesiologia sfocia nell'escatologia la quale costituisce, a giudizio


comune, uno dei temi più caratteristici dell'Apocalisse: l'insistenza sul
tempo che passa e che non ha più dilazione (cfr. 10,7-8), le minacce
(cfr. 8, 13 ), il simbolismo degli sconvolgimenti cosmici e lo sviluppo
letterario in avanti verso una conclusione finale puntano decisamente
verso una conclusione ultima.
Precisiamo alcuni tratti fondamentali.
L'arco della storia, che tende a una salvezza conclusiva, abbraccia
tutti i tempi- il presente, il passato, il futuro- come appare, tra l'al-

24
Introduzione generale

tro, dalla frase caratteristica e ricorrente riferita al nome di Dio che è


e che era e che sta venendo (l ,4.8 e 4,8). Che questa frase ternaria si
riferisca allo svolgimento della storia della salvezza viene confermato
dalla sua ricorrenza senza l 'ultimo elemento, quando, nella grande
dossologia di 11,15-19 riferita già alla conclusione, ricorre in forma
binaria, lasciando cadere il terzo elemento: che sei e che eri/ò wv KaÌ.
ò ~v (11,17).
Emerge una chiara tensione verso un punto di arrivo finale, confer-
mata dali' analisi della struttura letteraria, che ci rivela un susseguirsi
in crescendo delle varie sezioni. Ce lo dice anche il tempo che, sia
quando è visto nei suoi segmenti qualificanti (tempo propizio!KaLpoç,
in 1,3; 11,18; 12,12.14; 22,10) sia quando è considerato più in generale
(tempo/xp6voç: 2,21; 6,11; 10,6; 20,3), presenta sempre un ritmo di
scorrimento veloce, secondo la concezione propria deli' Apocalisse.
C'è, quindi, sia uno sviluppo, sia una conclusione irreversibile. Legge-
re tutto il contenuto del libro alla luce di uno solo di questi due aspetti
a scapito dell'altro significa imporre al testo una precomprensione che
ne tradisce il messaggio.
La conclusione escatologica ha comunque una sua rilevanza, anche
rispetto al passato e al presente, e viene presentata specificamente
nella sezione conclusiva (presentazione globale: 16,17-21; svolgi-
mento della sezione 17, 1-22,5). Il male, condensato nella figura di
Babilonia, la grande prostituta e realizzato dagli uomini appartenenti
al sistema terrestre chiuso alla trascendenza, sotto la spinta dei re della
terra, della bestia e del suo falso profeta, in definitiva del demoniaco,
viene disattivato insieme ai suoi protagonisti dall'intervento di Cristo-
agnello re dei re e signore dei signori (17, 14; 19, 16). Il bene, immesso
nella storia dalla presenza attiva di Cristo e dei suoi, viene portato,
sempre per opera di Cristo-agnello, al massimo del suo sviluppo, fino
a diventare la Gerusalemme nuova, la città sposa.
In questo quadro, espresso in termini simbolici, la venuta di Cristo non
è vista né invocata come una sua discesa spettacolare dal cielo a effetto
immediato. L'autore, reinterpretando probabilmente in questo senso
l'antica espressione liturgica maranà tha, Signore nostro vieni, vede
la venuta come un'emersione dei valori, della novità della resurrezio-
ne di Cristo, che arriva a riempire tutti i vuoti presenti nella storia. È,
la venuta, il risultato dell'azione creativa di Dio, il quale imprime la
novità di Cristo in tutte le cose (ecco, faccio nuove tutte le cose, in
21 ,5). La realizzazione ottimale di questa venuta comporterà un salto
qualitativo rispetto al cosmo e al mondo attuale, ma senza implicare
necessariamente una sua distruzione.

25
Introduzione generale

Rispetto a questa fase finale, esiste una certa anticipazione di salvezza


riservata a una parte del popolo - come nel "resto di Israele" dell' AT
- di Dio, ma funzionale verso l'insieme, che viene espressa nei
144.000 sigillati/f.a<Ppa.yLaf.J.ÉVwv delle dodici tribù d'Israele (7,1-8),
nei 144.000 con Cristo-agnello sul monte Sion ( 14, 1-5), nei due te-
stimoni (Il, 1-13) e in coloro che partecipano al regno millenario di
Cristo (20, 1-6).

14. Teologia della storia

L'escatologia dell'Apocalisse, pur con la prospettiva finale esaltante


appena evidenziata, non permette una fuga in avanti rispetto alla realtà
in cui la chiesa si trova a vivere, perché è ancorata alla storia.
L'Apocalisse, infatti, ha come sua materia specifica ciò che deve
accadere!à &:l. yEvÉa9a.L (l, l; 4, l; 22,6), cioè la storia intesa nel suo
contenuto concreto corrispondente al progetto di Dio.
Ma quale storia? Le risposte sono state diverse 25 • Poiché l'Apocalisse
è una profezia nel senso comune del termine - cioè rivela le grandi
costanti storiche concrete e istruisce su quello che sarà lo svolgimento
evolutivo dei grandi periodi - la comunità ecclesiale di ogni tempo
potrà prevedere, ascoltando, lo sviluppo di fatto della storia e trarre
così le sue conclusioni.
Ma è difficile circoscrivere il messaggio dell'Apocalisse al presente
dell'autore o a tappe dello sviluppo futuro della storia. I richiami e gli
agganci concreti innegabili a fatti contemporanei ali' autore, sia nella
prima che nella seconda parte, sono strappati alla loro concretezza
storica dal processo di simbolizzazione. Tale processo ne dà una lettu-
ra paradigrnatica, facendo emergere delle "strutture" di intelligibilità
teologica che hanno come sfondo globale l'asse dello sviluppo lineare
della storia della salvezza, ma che, prese singolarmente, sono sposta-
bili in avanti e indietro rispetto allo stesso movimento lineare.
La storia concreta non è quindi il contenuto proprio dell'Apocalisse;
vi si trovano invece delle forme di conoscibilità, "a priori" potremmo

25
La storia contemporanea ali' Autore, ci dicono con sfumature diverse Giet (guerra
giudaica), Touilleux (culto di Cibele e culto dell'imperatore), Feuillet (conflitto col
giudaismo, col paganesimo e trionfo susseguente); l'Apocalisse ne esprimerebbe
l'interpretazione religiosa: la comunità che ascolta sarà in grado di comprenderla
e apprezzarla. La storia futura e la storia universale della chiesa, ci dicono invece
Gioacchino da Fiore e Nicolò da Lira.

26
Introduzione generale

dire - usando una terminologia kantiana - rispetto alla "materia" dei


vari eventi della storia. Tali forme dovranno riempirsi del contenuto
storico e illuminarlo, conferendogli una intelligibilità teologica, e poi
svuotarsene per lasciare spazio ad altri eventi. Spetterà all'assemblea
liturgica in atto il compito di realizzare tale applicazione.
La situazione liturgica in cui l'autore situa fin dall'inizio la lettura
dell'Apocalisse e che si mantiene costante per tutto il libro riprende
tutti i temi accennati e li inserisce in uno sviluppo dinamico.
Tale situazione è caratterizzata, sulla linea della liturgia sinagogale e
della chiesa primitiva, da un'assemblea nella quale un dirigente, che
qui ha anche funzione di lettore 26 , proclama il messaggio a un gruppo
di ascoltatorilrx.Kouovr:.Eç che lo accoglie e che reagisce (cfr. 1,3).
Ne scaturisce così un'esperienza scandita da due fasi: la fase di purifi-
cazione (1,4-3,22) e quella di discernimento (4,1-22,5).

15. Il tema unitario di fondo: l'assemblea liturgica, purifica-


ta, discerne la sua ora

Situata nello sviluppo lineare della storia della salvezza, tra il "già" e
il "non ancora" tipicamente giovannei, l'assemblea si raccoglie (1,4-
8), rinnova il contatto col Gesù morto e risorto (l ,9-20), si lascia tra-
sformare dal messaggio e dagli imperativi che egli le indirizza (2-3),
rendendosi così in grado di prestare ascolto alla voce dello Spirito.
In questa nuova situazione interiore, l'assemblea sale idealmente al
cielo, mettendosi dal punto di vista di Cristo per leggere adeguata-
mente la sua storia. Dopo aver risvegliato il suo senso di Dio (4,1-11)
e aver constatato che il progetto della storia ha l'impronta della tra-
scendenza ed è quindi inaccessibile (5, 1-4), si affida a Cristo-agnello
(5,6-14).
E così, applicando alla sua situazione concreta gli schemi di intelligi-
bilità che le sono proposti come messaggio dello Spirito che le parla,
riesce a comprendere le interpellanze operative del momento: dovrà
pregare, soffrire e agire collaborando così alla vittoria di Cristo, in
vista della meta escatologica.
Tutto questo è inquadrato nel giorno del Signore (l, l O) corrispondente
alla domenica, quale viene indicata nella Didaché (10,6). La trafila si
conclude con lo scioglimento dell'assemblea, segnato dalla formula

Giustino distinguerà, invece, il "presidente"lo 1TpOEatc.\ç dal "lettore" (cfr. GIUSTINO,


26

Apologia 67, 4, 14).

27
Introduzione generale

finale di saluto (22,21). Secondo un'interpretazione probabile, e che


sembra ottenere consensi sempre maggiori, prima del congedo veniva
celebrata l'eucaristia, forse indicata dal fatto che il lettore invita i pre-
senti a ricevere l 'acqua della vita (22, 17).
Ed è qui che l'anello si chiude: la lettera particolare che l'autore ha
inviato alle comunità ha raggiunto il suo effetto; i destinatari, espressi
nel gruppo di ascolto (1,3), hanno accolto il messaggio e reagito se-
condo le sue indicazioni. L'assemblea che essi rappresentano, riattiva-
to il contatto con Cristo, sarà in grado di esprimerne la testimonianza
e di trasformarla in una profezia analoga a quella dei grandi profeti
deli' AT (cfr. Il ,3-13 ). A questo punto l'assemblea, portatrice di questa
spinta profetica, potrà sciogliersi e ritornare in contatto col mondo, al
quale parteciperà i valori di Cristo (cfr. 22,21 ).

28
COMMENTO
PROLOGO: 1,1-3

l. Profilo Letterario

Il brano del prologo, formato da due proposizioni collegate tra loro e


distinte da quanto segue, costituisce una minuscola unità letteraria. La
prima proposizione (l, 1-2) appare come un titolo continuato e pro-
lungato, nello sforzo di dire tutto; la seconda (1,3) ha un andamento
più piano e l'espressione con cui si conclude - il tempo appropriato,
infatti, è vicino - la rende più concentrata e tagliente.
Alcuni studiosi hanno parlato di un ritmo chiaramente definibile o
addirittura di strofe, ma i criteri su cui si fondano queste divisioni
sono molto discutibili o estremamente indeterminati e, pertanto, non
permettono conclusioni soddisfacenti 27 • Rimane il ritmo tipico dell'A-
pocalisse, con la sua capacità di coinvolgere subito il lettore, senza
però che si possa determinare in una formula. È possibile, seguendo
il testo in tutta la sua fluidità, indicare una sorta di area letteraria con

~- Per esempio, E. Lohmeyer parla di due strofe: la prima di 9 versi, la seconda di 4.


L'autore divide nel modo seguente: I strofa (9 versi): 'Arr01<1iÀU1j1Lç 'IT]<Joii XpLatoii l ~v
fOwKEV aùtt;ì ò ~Òç l &11;aL to1ç <'im)À.oLç aùmii l &&1 yEvÉa9aL Èv trixu,/ KCIL Èa~j.W.VEV
alTOOtELÀ.Clç ouÌ toii ayyÉÀ.ou aÙtoii l tt\ì oou}.q> aùtoii 'lwavvn,l ì)ç Èj.W.ptUpT]OEV tÒv À.oyov
:cii ~cii l KCIL tl]v j.W.ptup[av 1T]aoii XpLatoii l ooa EI&Ev. II strofa (4 versi): MaKapLOç ò
avayLVWaKWV l KCIL ol aKOUoV't"Eç toùç À.OYOU<; tf)ç 1TpO<jlT]tElaç l KCIL tT}poiivnç tèc Èv CIÙtfl
·rqpa1.11.u'va, l ò yècp KCILpÒç Èyyuç; cfr. E. LoHMEYER, Die Offenbarung des Johannes
!Tlibingen 1926) 6 e anche U. VANNI, La struttura letteraria, 35-43. R. Pesch, invece,
individua 4 strofe situate tra il titolo e il versetto conclusivo e traduce: "Und durch sei-
neo Engel, den er sandte, hat er seinem Knecht Johannes Kundgetan", dividendo nel
modo seguente: 'AllOKaÀ.UijJLç 'IT}aoii XpLatoii I strofa: ~v eliwKEV aùtt;ì ò BEÒç l &i.l;aL
a
:oi.ç OoUÀ.OLç aùtoii l &i. yEvÉa9aL ~v trixEL. II strofa: KCIL Èa~j.W.VEV l ÙlTOOtELÀ.Clç oLà tOU
ayyÉ}.ou CIU't"OU l t<jì OOUÀ.~ CIUtOU 1wrivvn. III strofa: Oç Èj.W.ptUpT]<JEV tÒV }.oyov toii ~ou
KCIL 't"~V j.W.ptup(av 'IT]<JOU XpLatou l Oo(l EI&Ev. IV strofa: MaKapLOç ò avaywwaKWV l
l((lL al ÙKOUoV't"Eç toùç Myouç tf)ç 1TpO<jlT}tELaç l Kal tT}pOUV't"Eç tèc Èv autfl YEYPCifJ+J.Éva,/ ò
·ràp KaLpòç ÈyyUç; vedi a tal riguardo" ... Prosa... die durch Sinnabschnitte, den Ton und
den Akzent gegliedert ist", in R. PESCH, "Offenbarung Jesu Christi. Eine Auslegung
von Apk 1,1-3", BiLe Il (1970) 15-16.

31
Commento

in rilievo i punti di riferimento in base ai quali il contenuto si muove,


tenendo conto dei rapporti tra le singole espressioni che emergono da
una lettura aderente.
Il linguaggio simbolico dell'Apocalisse deve essere necessariamente
interpretato per esplicitare la ricchezza dei contenuti che vuole trasmet-
tere. Per aiutare e indirizzare chi legge o ascolta (soggetto interpretante),
il nostro Autore talvolta aggiunge una linea interpretativa al simbolismo
che usa; più spesso sembra stimolare, e quasi provocare, il lettore/
ascoltatore mediante indicazioni, suggerimenti, richiami, proponendo
un avvio di interpretazione o puntualizzando alcune conclusioni da
raggiungere. Vuole, a tutti i costi, il coinvolgimento attivo del soggetto
interpretante, per completare il processo di creatività che lo ha indotto a
formulare il simbolo e per portarlo a contatto con la vita vissuta. Si tratta
di un aspetto fondamentale: il contributo del lettore/ascoltatore sviluppa
al massimo il dinamismo del linguaggio simbolico, lo attualizza attra-
verso l'ermeneutica e lo concretizza nella sapienza della quotidianità.
Il brano di Ap l, 1-3 ha la funzione di prologo: contiene il titolo del
libro e ne spiega la provenienza, indica l'Autore, specifica i destinatari
e suggerisce l'ambiente liturgico per la sua lettura.

2. Profilo Teologico

Come vedremo nel corso dell'esegesi, il libro dell'Apocalisse non


vuole presentare una raccolta di eventi futuri, bensì offrire al lettore,
attraverso linguaggio e immagini simboliche, i parametri per leggere
le vicende umane a lui contemporanee e scoprirvi l'azione e la presen-
za di Dio, che domina e guida la storia nonostante le contraddizioni,
la sofferenza e il male. Per il credente la storia dell'uomo è la storia
della salvezza e, perciò, irrinunciabili sono l'atteggiamento di aper-
tura verso la realtà e la capacità di discernimento sapienziale degli
avvenimenti, per cogliervi il divenire del disegno divino che tende a
realizzarsi e si realizza di fatto nella storia, fino al compimento totale
nella reciprocità paritetica d'amore tra Dio e ciascun essere umano.
L'Apocalisse insegna che tutto ciò non può essere raggiunto con la
chiusura e l'isolamento della e nella comunità ecclesiale, ma con
l'impegno fattivo accanto a Gesù Cristo, Parola e rivelazione di Dio
Padre (cfr. 19,13), già vincitore della morte (cfr. 6,2), che è presente
e combatte nella storia contro ogni forma di male. Il progetto divino
non è un programma per il futuro ma un compito per l'oggi di ogni
credente, che deve orientarsi nel mondo in cui vive e farvi le sue scelte

32
Prologo: l,l-3

operative: per questo dovrà capire la realtà storica che gli è simultanea.
Il simbolo decifrato e attualizzato, mediante l'impegno intellettuale,
lo aiuterà a comprendere e valutare gli avvenimenti, a cogliere in essi
l'azione trasformatrice divina, a portare il suo contributo di rinnova-
mento, perché i valori e la vitalità di Gesù risorto si incarnino nello
sviluppo della storia fino al compimento.

3. Esegesi dei versetti

Ap 1,1-3 Ap 1,1-3

1 1
'AnoKaÀ.Uijnç 'I1Joou Xpw-cou Rivelazione di Gesù Cristo
~v ÉùwKEV aùn~ ò 9Eoç ùEil;o:t roiç che Dio gli diede per mostrare ai
ÙOUÀOLç o:Ù-cou suoi servitori
aÙEL YEVÉo9at ÉV 1'aXEL, KO:Ì. ÉcnlutVEV quelle cose che devono divenire
UlT001'ELÀ.aç ÙLÒ: 1'0U ayyÉÀ.OU aù-cou con rapidità ed espresse in segni
-c~ ùouÀ.~ o:ù-cou 'IwlivvTJ, inviando mediante il suo angelo al
suo servitore Giovanni
2 2
-oç EIJO:p1'Up1]0EV -còv À.oyov 1'0U - il quale testimoniò la parola di

8EOU Dio
KO:Ì. rì]v !J1Xp1'uplo:v 1TJOOU Xpto-cou-, e la testimonianza di Gesù Cristo -
oaa ELÙEV. tutto quello che vide.
3 3
1JO:Kap LOç Òavay LVWoKWV Beato colui che legge
KO:Ì. OL tXKOUOV1'Eç 1'0Ùç À.oyouç -cfìç e coloro che ascoltano le parole di
npolf>TJ1'E [o:ç questa profezia
KaÌ. tT]pOUV1'Eç 1'Ò: Év a:mtì YEYpa!J!JÉVo:, e mantengono quanto è scritto in
Ò yÒ:p KO:LpÒç Éyyuç. essa:
il tempo appropriato, infatti, è a
portata di mano.

- Rivelazione di Gesù Cristo che Dio gli diede per mostrare ai suoi
servitori quelle cose che devono divenire con rapidità ('A 1TOKaÀUij1Lç
'lr)ooù Xpw·wù ~v EÙWKEV octrrQ ò 9EÒç OE"içocL to'iç ùouÀoLç ocùtoù &&1
yEvÉa9ocL Èv -raxEL)

L'espressione Rivelazione di Gesù Cristo ha una sua originalità: mai,


prima, era stata usata come titolo in un libro, nemmeno di genere
apocalittico 28 • Mancando di un qualunque verbo e riportando il nome

~gL'espressione ricorre in una forma grammaticale equivalente, nell'ambito del NT,


solo in IPt 1,7.13 (Èv ànoKaÀUtjJEL 'IT}aou Xptatou). Il termine apocalisse deriva dal

33
Commento

completo Gesù Cristo, ha la forma solenne di un titolo. Il suo signi-


ficato generale - passaggio gnoseologico da Dio agli uomini - viene
specificato dall'uso del genitivus auctoris: è Gesù Cristo il soggetto
attivo che attua questo passaggio con la rivelazione (come viene riba-
dito ulteriormente dal contesto). Dio è l'autore della rivelazione (che
Dio gli diede); per una sua iniziativa di dono essa passa in Gesù Cristo
per essere poi mostrata, manifestata ai credenti, qui chiamati, come
generalmente nell'Apocalisse, servitori di Dio (cfr. 2,20; 7,3; 19,2.5;
22,3.6).
La frase quelle cose che devono divenire con rapidità ricorre identi-
ca in 4,1 e 22,6; in una forma simile in 1,19 (quelle che stanno per
divenirelrì. iJ.ÉÀÀEL yEvÉo9!n). L'espressione ha una sua funzione nella
determinazione della struttura letteraria, indicando la materia del libro.
Si nota un contatto letterale e contestuale con Dn 2,28.29: Ma c 'è un
Dio nel cielo che svela i misteri (TM: l'T~ te.~~; LXX: OCiTOKaÀ.tl'lrrwv
iJ.OOnlpLa) ed egli ha fatto conoscere al re Nabucodonosor ciò che deve
avvenire (TM: N,_ry'? •., ;,'?;LXX: & &=1 yEvÉo9aL) a/la .fine dei giorni...
O re, i pensieri che ti sono venuti mentre eri a letto riguardano ciò
che avverrà (TM: N1ry~ •., ;,9; LXX: tL OE'i yEvÉo9aL) dopo di questo;
e colui che rivela i misteri ha voluto rive/arti ciò che deve accaden!-9•

greco (ànoKaÀutjnç) e significa rivelazione, o più precisamente svelamento di ciò che è


nascosto. Nell'ottica religiosa, togliere il velo significa esplorare la possibilità e l'op-
portunità di conoscere e capire il progetto divino sulla storia, nonché il ruolo di ciascu-
no nel concretizzare responsabilmente tale disegno nel proprio presente. Il nostro libro
si colloca nel grande quadro della letteratura apocalittica e profetica con caratteristiche
originali e importanti che analizzeremo nel corso dell'esegesi. L'apocalittica ci aiuta a
interpretare la storia e a capire in profondità il nostro tempo nello svolgimento dialet-
tico tra bene e male; la profezia ci prepara, ci attiva e ci responsabilizza all'attuazione
della parola con la mente aperta alla novità di Dio. Dunque, lo scopo del libro dell'A-
pocalisse è farci comprendere il nesso tra i fatti della storia che viviamo e il nostro
impegno a realizzarvi il progetto d'amore di Dio; è coniugare la lettura realistica
della realtà che ci circonda con la certezza della presenza divina, seppure misteriosa,
nelle vicende umane, anche le più sconcertanti; è aiutarci a guardare avanti, poiché
accanto al divenire degli eventi storici, spesso caratterizzati dalla sofferenza e dalla
violenza, c'è il divenire della Parola, che realizza, gradatamente nel tempo, ciò che
dice e promette, fino all'annientamento di qualsiasi forma di male e alla pienezza della
reciprocità paritetica d'amore con Dio, nella totalità escatologica. Per un approfondi-
mento sulla letteratura apocalittica, si rimanda a F. MANNs, "Apocalisse e apocalissi",
Apokalypsis, 19-48. Vedi anche G. BIGUZZI, Apocalisse. Nuova versione, introduzione
e commento, (Milano 220 Il) 66-77. Per l'analisi filologica, le ricorrenze e il significato
del termine 'AnOKaJ..utjnç, vedi BELANo, Apocalisse, 13-15.
29
Il racconto di Dn 2,1-45 contiene lo schema del sogno rivelatore, i cui elementi
sono: sogno- mistero- sapienza- interpretazione. Il re Nabucodonosor è tormentato

34
Prologo: 1,1-3

Il passo si riferisce agli avvenimenti storici che, secondo la logica


divina, dovranno verificarsi. Dio li fa conoscere al re Nabucodonosor
attraverso un sogno (simbolo), che poi esige l'interpretazione del sa-
piente Daniele. Ciò che deve accadere sono gli eventi storici visti in
successione che si concluderanno con un evento maggiore e irrever-
sibile: il susseguirsi dei regni (statua enorme... con la testa d'oro, il
petto e le braccia d'argento, il ventre e le cosce di bronzo, le gambe
di ferro e i piedi in parte di ferro e in parte d'argilla, in Dn 2,31-33)
terminerà con l'avvento del regno messianico che li supererà (la pie-
tra, che aveva colpito la statua, divenne una grande montagna che
riempì tutta la terra, in Dn 2,35). Tali fatti si collocano nella cornice
escatologica.
Il nostro Autore riprende il contesto e la terminologia del libro di
Daniele30 : ciò che viene mostrato dal punto di vista divino sono i fatti
storici che, secondo una logica, una convenienza obbligante (&'i), do-
vranno accadere e svilupparsi, ma non in senso deterministico. Non si

da un sogno che ha fatto; dopo aver chiamato i saggi del suo regno, li interroga sul
contenuto del sogno e la sua spiegazione (2,1-9). Nessuno dei convocati sa dare una
risposta e il re decreta la loro condanna a morte (2,10-13). Solo Daniele rivela al re
l'oggetto del sogno e la spiegazione, grazie a una saggezza tutta speciale che è dono
di Dio (cfr. 2,14ss).
3
°Come vedremo nel decorso del libro, l'Autore dell'Apocalisse, pur rivelando origi-
nalità e creatività personali di alto livello, si è fortemente ispirato alle Scritture. Già
i compilatori delle prime edizioni del Novum Testamentum Graece avevano rilevato
circa 814 contatti espliciti ricavati da una gamma di testi anticotestamentari notevol-
mente vasta (NN 8), per non parlare dei richiami più difficilmente identificabili, perché
basati su termini o concetti desunti dalle Scritture, poi rielaborati e amalgamati dal no-
stro Autore nel suo testo, che portano il numero dei riferimenti ad aumentare notevol-
mente. "I libri dell' AT presi dali' Apocalisse sono quelli dei Profeti e dei Salmi, seb-
bene non manchino allusioni al Pentateuco, Giudici, Samuele, Re, Proverbi, Cantico
e Giobbe": cfr. R. T. PÉREZ MARQUEZ, L 'Antico Testamento ne/l 'Apocalisse. Storia
della ricerca, bilancio e prospettive, (Assisi 2010) 127, n. 8. Vedi anche G. BIGUZZI,
'"L'Antico Testamento nell'Apocalisse", RStB 1912 (2007) 191-213, con ricca biblio-
grafia; M. JAUHIAINEN, The Use ofZechariah in Revelation (WUNT 2/199; Tiibingen
2005); B. KOWALSKI, Die Rezeption des Propheten Ezechiel in der Offenbarung
des Johannes (SBB 52; Stuttgart 2004); S. MOYISE, "The Language of the Old
Testament in the Apocalypse", JSNT 76 (1999) 97-113; G. K. BEALE, Johns Use of
the O/d Testament in Revelation (JSNTSup 166; Sheffield 1998); S. MoYisE, The 0/d
Testament in the Book of Revelation (JSNTSup 115; Sheffie1d 1995); J. FEKKES, III,
lsaiah and Prophetic Traditions in the Book ofRevelation. Vìsionary Antecedents and
their Deve/opment (JSNTSup 93; Sheffield 1994); G. K. BEALE, The Use ofDaniel in
Jewish Apocalyptic Literature and in the Reve/ation of St John (Lanham 1984). Sulla
presenza dei salmi davidici neli' Apocalisse, vedi lo studio di O. PISANO, La radice e la
stirpe di David. Salmi davidici ne/libro dell'Apocalisse (PUG; Roma 2002).

35
Commento

tratta di una presentazione di eventi futuri o di fatti imposti dall'ester-


no: la storia dipende dalla libertà umana, ma tutto è sotto il controllo e
la guida di Dio, che rivela a Giovanni/Autore il senso profondo di tutto
quanto accade. Il contatto letterario così aderente suggerisce il percor-
so che la rivelazione divina dovrà seguire per raggiungere l 'uomo e
che sarà condensato nel simbolo da interpretarsi in modo sapienziale.
I fatti che devono accadere si susseguiranno, avranno un ritmo di scor-
rimento veloce, si concluderanno in una realizzazione storica che li
oltrepasserà; ciò costituirà una chiave di lettura per l'Apocalisse: sarà
sempre un dopo tutto questolfJ,ET:à -caù-ca fino alla distruzione del male
e alla realizzazione della Gerusalemme nuova.
Concludendo, viene prima un'inquadratura generale, quasi un denomi-
natore comune dei fatti stessi, che dipendono tutti da Dio e che sono
addirittura scritti completamente nel suo progetto (cfr. 5, 1-5), nonché
intelligibili solo grazie ali 'intervento di Cristo-agnello (cfr. 5,6-14);
poi, occorrerà identificarli con precisione nel proprio orizzonte stori-
co, ma ciò si otterrà mediante la riflessione sapienziale di coloro che
ascoltano (soggetto interpretante).
La rivelazione dei fatti che devono svolgersi non si riferisce alla loro
cronaca, ma al filo religioso che li unisce in profondità secondo la
logica propria di Dio.

- ed espresse in segni inviando mediante il suo angelo al suo servitore


Giovanni - il quale testimoniò la parola di Dio e la testimonianza di
Gesù Cristo- tutto quello che vide (Kal. Èo~fJ.!lVEV à.Tioonlì~.aç OLà -coù
à.yyÉÀou aÙ-coù -cQ ÒOUÀ4J aÙ-coù 'Iwavvn - oç Èfl!lpt"DpT]OEV -cÒv Àoyov -coù
9EOù K!lL ·~v fl!lpt"up(av 'IT]OOÙ Xpw-cou- oaa ELÒEv)

Secondo la costante letteraria della pseudonimia apocalittica, l'Autore


si identifica con Giovanni apostolo ed evangelista; molto probabil-
mente appartiene alla sua scuola e ciò è confermato anche da alcune
espressioni e temi presenti nell'Apocalisse, i quali rimandano al cir-
colo giovanneo. Il nome di Giovanni ricorre in l ,4.9 e 22,8. Ma un
insieme di dati e di circostanze suggerisce di collocare la data di com-
posizione del libro nella prima decade del II sec., quando l'apostolo
- pur con la longevità che gli viene attribuita - era certamente morto.
Il richiamo a Giovanni indica, quindi, un rapporto di attenzione, di
dipendenza, di simpatia marcata, ma è da escludere una sua parteci-
pazione diretta alla stesura del libro. L'Autore che compone e scrive
l'Apocalisse si rifà all'apostolo, conosce la sua chiesa (comunità di
Efeso), ma è soltanto lui che, in definitiva, elabora e scrive tutto il testo

36
Prologo: 1,1-3

che abbiamo. Avremo modo di vedere, più avanti, come la figura di


Giovanni scomparirà dal libro, per essere sostituita da quella dell' Au-
tore che interverrà personalmente nell'esperienza apocalittica (cfr.
1,10). Solo nella conclusione troveremo di nuovo il nome di Giovanni,
nel dialogo liturgico finale (cfr. 22,6ss). D'ora in avanti, per ricordare
tutto questo useremo il binomio Giovanni/Autore 31 •
La rivelazione divina (&:lToKaÀmlnç) viene manifestata mediante dei
segni percettibili (Èo~f!«VEv) e, in questa situazione, viene inviata
mediante l'angelus interpres, che si può leggere come una figura di
mediazione tra Dio e l'Autore: neli' Apocalisse, l'angelo interprete è
normalmente il soggetto del verbo mostrare (ÒELKVUf!L; cfr. 1,1; 17,1;
21,9.10; 22,1.6.8; in 4,1 è Cristo stesso).
L'espressione la parola di Dio e la testimonianza di Gesù Cristo, che
presenta i due elementi in parallelismo sinonimico progressivo, indica
che il messaggio proprio di Dio giunge agli uomini attraverso l'azione
di Gesù, detto più avanti testimone fedele (l ,5a; 3,14 ). Egli, infatti, è
personalmente la parola di Dio che si realizza come tale nella storia
(19,13) e nella presenza liturgica in mezzo alla sua chiesa (1,12-13).
La stessa espressione ricorre anche in 1,9; in 6,9 è riferita all'Agnello;
in 20,4 la frase è capovolta. In 19,10 per due volte leggiamo la testi-
monianza di Gesù e la seconda è identificata con lo spirito di profezia.
In 12,17 la testimonianza di Gesù è abbinata ai comandamenti di Dio.

31
Sia i commentari sia gli articoli specifici hanno esaminato a fondo la questione
de Il' identità del!' Autore dell'Apocalisse, con approfondimenti anche suggestivi, ma
nessuna delle varie soluzioni proposte è riuscita a persuadere. D. Aune, ad esempio,
nel suo commento classico- D. AUNE, Revelation 1-5 (WBC 52A; Dallas 1997)
- lo sceglie come primo tema dell'introduzione e gli dedica ben otto pagine fitte.
Negli ultimi cinquanta anni, si conta un numero sorprendente di contributi. Vedi per
esempio U. VANNI, "L'autore", 23-37; LoPEZ, "Tres veces Juan", 47-73; G. BIGUZZI,
"Giovanni", 93-126; S.S. C. CHow, "A Great Teacher: The Character ofthe Author of
the Book of Revelation", Theology & Life 24 (2001) 41-60; S. MOYISE, "Authorial
intention and the Book of Revelation", A USS 39 (200 l) 35-40; F. MARTIN, "L'auteur
identifié, l'auteur autoris", LumVìe 45 (1996) 7-21; C. GEMPF, "Pseudonymity and the
New Testament", Theme/ios 17 (1992) 8-10. L'attribuzione diretta dell'Apocalisse a
Giovanni Evangelista è, oggi, normalmente negata. G. Biguzzi chiama il nostro Autore
con il nome "Giovanni di Patmos", escludendo l'identificazione con l'Apostolo (vedi,
sempre di G. BIGUZZI, Apocalisse, 33-39 e "Giovanni", 93-124). Di parere diverso
sembra essere C. Doglio, per il quale alcuni indizi come "l'uso del semplice nome
Giovanni", la "singolare autorità nei confronti delle comunità cristiane", l'esclusione
di apportare modifiche allibro (Ap 22,19) porterebbero a identificare l'autore del
libro con l'apostolo. Cfr. C. DoGLIO, Apocalisse. lntroduzione, traduzione, commento
(Cinisello Balsamo 2012) 26-27.

17
Commento

Gesù esprime e rende concreta la parola di Dio nella sua azione mes-
sianica, tendendo al superamento del male (cfr. 19,15) e al potenzia-
mento massimo del bene.
Il versetto ci dice che Giovanni ha accolto (testimoniò) in pieno questa
testimonianza e quindi il messaggio divino. Nell'Apocalisse si insiste
particolarmente sulla figura e sull'attività del profeta32 • Giovanni/Au-
tore si mette nel gruppo dei profeti, si sente e si afferma ripetutamente
come tale. Egli attinge continuamente dalla tradizione profetica, ne
utilizza il linguaggio e le immagini, ma sempre in modo creativo e ori-
ginale, impegnando il lettore/ascoltatore nell'attività interpretativa. Il
messaggio divino viene da lui compreso ed elaborato, ma sarà comu-
nicato per iscritto solo quando Dio lo richiederà (1,11.19; 2,8.12.18;
3,1.7.14; 14,13; 19,9; 21,5). Il risultato dell'attività profetica di Gio-
vanni/Autore è il messaggio profeti co scritto da leggere e ascoltare,
così come sottolinea la beatitudine successiva.

-Beato colui che legge e coloro che ascoltano le parole di questa pro-
fezia e mantengono quanto è scritto in essa (IJ.a:KapLOç Ò ocva:yLVWOKWV
KaÌ. ot ocKOlJOVtEç toùç Àoyouç tiìç npO<jlTJtELa:ç Ka:Ì. tT}poùvtEç tà Èv a:ùttì
YEYPO:IJ.IJ.ÉVa:)

Proprio all'inizio del libro, il nostro Autore inserisce una beatitudine


che, secondo lo stile di questo genere letterario, costituisce un giudi-
zio di valore altamente positivo, formulato su persone che si trovano
in determinate situazioni. Il peso di tale giudizio dipende soprattutto
dall'autorità di chi lo formula. Questa prima beatitudine33 si collega

32
Cfr. D. HILL, "Prophecy and Profets in the Revelation of St John", NTS 18 (1972)
401-418; E. FRANCO, "Profeti e profezia nell'Apocalisse", Apokalypsis, 335-369.
Giovanni/Autore e gli altri profeti deli' Apocalisse - senza che ciò comporti l'esi-
stenza di una scuola profetica vera e propria- sono animati in modo particolare dallo
Spirito, chiamato Spirito di profezia (19,10). In questa situazione essi percepiscono un
messaggio che viene da Dio e che riguarda lo svolgimento della storia: il mistero che
esprime il piano divino di salvezza (Ap 10,7).
33
N eli' Apocalisse troviamo un uso esteso del termine beato che vi ricorre sette vol-
te: quattro al singolare (1,3; 16,15; 20,6; 22,7) e tre al plurale (14,13; 19,9; 22,14).
Di seguito riportiamo il testo delle beatitudini secondo lo sviluppo del libro: Beato
colui che legge e coloro che ascoltano le parole di questa profezia e mantengono
(cTJpoùvm;) quanto è scritto in essa! (l ,3); Beati i morti che muoiono nel Signore, fin
da adesso! (14,13); Ecco: vengo come un ladro, beato chi veglia e custodisce le sue
vesti, così che non debba camminare nudo e vedano la sua vergogna! (16,15); Beati
coloro che sono stati chiamati alla cena delle nozze dell'Agnello! (19,9); Beato
e santo colui che ha parte nella resurrezione, quella prima (20,6); Ecco: vengo

'l !l
Prologo: 1,1-3

direttamente con quella di 22,7 (Beato chi mantiene le parole della


profezia di questo libro), sia per la corrispondenza del contenuto
sia soprattutto per l'atteggiamento fondamentale di mantenimento/
custodia delle parole di profezia che viene valorizzato. Il giudizio
positivo riguarda, in sintesi, la situazione dell'assemblea liturgica:
la comunità è riunita attorno al lettore ed è particolarmente reattiva;
presta attenzione al messaggio profetico che le viene indirizzato, pie-
namente disponibile ne accoglie la forza d'urto e lo conserva, pronta
a realizzarlo nella vita concreta. Il momento essenziale dell'ascolto è
legato a quello del discernimento sapienziale: è necessario ascoltare
con intelligenza, poiché la rivelazione avviene mediante un linguag-
gio simbolico e attraverso segni (ed espresse in segni) che debbono
essere correttamente interpretati per valutare adeguatamente la realtà
circostante. Non si tratta di un ascolto inerte, bensì particolarmente
reattivo, poiché volto a cogliere il contenuto profondo del messaggio
per proiettarlo nella concretezza storica, fino a trame delle conseguen-
ze operative34 • Ma ancora, quanto viene ascoltato va mantenuto con
cura, custodito come un bene prezioso, perché si tratta delle parole
di profezia che, fin dall'inizio del libro, sono presentate come parola
di Dio indirizzata agli uomini. La parola di Dio e la testimonianza di
Gesù annunciate (testimoniate da Giovanni) diventano profezia, "che
manifesta nella precarietà dell'esistenza e delle vicende storiche il
senso nascosto delle cose che devono accadere, il disegno di Dio nella
storia degli uomini" 35 •

presto! Beato chi custodisce (Ò Tllpwv) le parole di profezia di questo libro! (22,7);
Beati coloro che lavano le loro vesti, così da poter mangiare dall'albero della vita
ed entrare attraverso le porte nella città (22, 14). Scorrendo questi testi si impone, e
si fa sempre più chiaro, come il termine beato, !ungi dall'essere un semplice augurio
per il futuro, comporti un altissimo livello già iniziato. Nell'uso dell'Apocalisse,
specialmente quando è Gesù stesso che parla, esso implica per l'uomo, a cui è
costantemente riferito, una situazione di vicinanza e quasi di omogeneità con la tra-
scendenza, già attuale come inizio, ma destinata a svilupparsi verso un suo massimo
in futuro. L'esegesi dovrà esplicitare questa stupenda valenza. Sull'argomento vedi
F. PIAZZOLLA, Le sette beatitudini dell'Apocalisse. Studio esegetico e teologico-
biblico (PUG; Roma 2010).
" La necessità di un atteggiamento costante di ascolto del messaggio divino, veicolato
dallo Spirito, viene ribadita per sette volte nelle lettere alle chiese: Chi ha orecchio
ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese (2,7.11.17.29; 3,6.13.22), e due volte alla
conclusione del libro (cfr. 22,17.18). La disponibilità all'ascolto viene elogiata (cfr.
3,3), esortata (cfr. 3,20; 13,9), è atteggiamento costante in Giovanni (cfr. 22,8[2x]).
'; Così E. Franco, che prosegue: "In quanto tale ha le stesse caratteristiche della testi-
monianza di Gesù, cioè fedele e veritiera. La profezia, rivelando il senso di Dio nei

'lO
Commento

Che cosa intende il nostro Autore per mantenere/custodireiTT)p€iv le


parole di profezia36? Egli non si riferisce a una traduzione immedia-
ta in termini di comportamento, ma vuoi dire che le parole devono
essere conservate, tenute presenti costantemente, per poterle poi
attuare quando la situazione della storia lo richiederà. La parola di
profezia, ascoltata con instancabile attenzione (cfr. l ,3) e conservata
intatta, possiede una sua energia di arricchimento e di trasforma-
zione; orientata verso la vita, sconfessa l'applicazione meccanica
di precetti statici: dovrà essere amata, contemplata, sviluppata. Si
tratterà di una conservazione viva, che permetterà alla comunità di
applicarla concretamente, seguendo il ritmo della storia; tali applica-
zioni pratiche non ne esauriranno mai la ricchezza, perché la parola
mantenuta è in divenire, ha una sua vitalità che consentirà concretiz-
zazioni sempre nuove.
Il fatto che tutta questa esperienza apocalittica si trovi inclusa tra due
beatitudini molto simili tra loro, poste all'inizio e alla conclusione del
libro dell'Apocalisse, sottolinea che la vita del credente deve essere
imperniata sui due momenti imprescindibili, e strettamente correlati,
dell'ascolto e della custodia della parola.

- il tempo appropriato, infatti, è a portata di mano (o yàp Kl:upòç


Èyyuç)

Il termine tempo!Ka.Lpoç ha, nell'Apocalisse, il valore di un segmen-


to con un "contenuto" particolare del più generico tempolxpovoç.
Potremmo tradurre "tempo appropriato, tempo opportuno, tempo

fatti degli uomini, fa verità e giustizia e smaschera violenza e menzogna" (E. FRANCO,
"Profeti", 357).
36
Il verbo mantenereiTI]pEÌv è riferito alla parola in 1,3; 3,8.10; 22,7.9 e ai coman-
damenti, ma sempre con il valore di mantenere un contenuto per metterlo in pratica,
in 12,17 e 14,12. La presenza del termine all'inizio e alla conclusione del libro, in
riferimento alle parole di profezia, configura una grande inclusione, che ha come
oggetto tutta la rivelazione, la quale perciò deve essere mantenuta/custodita. A tal
proposito cfr. M. MARINo, "Custodire il libro dell'Apocalisse", Apokalypsis, 371-389;
Io., Custodire la Parola. Il verbo THPEIN nell'Apocalisse alla luce della tradizione
giovannea, (Bologna 2003) 24-27. Colui che si impegna in tal senso è detto beato.
Probabilmente l'Autore si è ispirato a Dn 4,28, dove si legge che il re Nabucodonosor
custodisce nel cuore le parole del sapiente Daniele (solo LXX: 1:oùç A.òyouç tv 'tft
Kapoiçt cruw:n'tpTJaE); mentre in 7,28 è lo stesso Daniele che custodisce la parola
(TM: n,,t!ll •.::~.'?:::1; LXXffH: 'tÒ pfjJ.la tv 'tft Kapoiçt J.lOU cruvEn'tpTJaa). Il verbo usato
è <ruVTI]ptiv, con lo stesso significato di custodire; nel TM troviamo ,~IZi (Dn 9,4; Pr
8,34), ,tll (Ct 1,6) e ,Xl (Pr 3,21; 4,23; 16,17).
Prologo: l,l-3

adatto" 37 • Perciò, con tempo!Ka.Lpoç si indica non il tempo in generale


e neppure un istante, un momento isolato (in entrambi i casi sarebbe
xp6voç), ma il tempo opportuno, un segmento di tempo nel quale si
deve attuare e verificare qualcosa di particolare; si potrebbe tradurre
occasione (vedi anche 1,3; 12,12.14; 22,10). È più che un invito:
è una spinta a cogliere una sollecitazione imprescindibile che si fa
possibile in questo preciso momento. La stessa espressione ricorre
anche e solo alla fine del libro (22, l O) e sempre in riferimento alle
parole di profezia contenute nel libro: il nostro Autore costruisce,
così, una grande inclusione che comprende tutto il testo. Le due be-
atitudini, molto simili tra loro, si attirano reciprocamente, spingendo
i lettori/ascoltatori a non indugiare, afferrando prontamente la Rive-
lazione di Gesù Cristo che Dio gli diede e attivandola risolutamente
nel proprio vissuto. Perdere questa occasione unica significherebbe
mancare all'appello personale di Dio, che sollecita ciascuno nel pro-
prio tempo e nella propria situazione a una scelta di campo. Come
tutte le parole di profezia anche queste non si possono assolutamente
trascurare 38 •

4. Visione biblico-teologica d'insieme

Dal prologo e dall'epilogo deduciamo l'unità e la compiutezza del li-


bro. L'oggetto dell'Apocalisse è il mondo concreto degli avvenimenti
umani, visti alla luce dell'azione trascendente di Dio; il suo scopo è la
vita vissuta, seguendo i valori di Gesù, grazie alla forza della vitalità
della sua resurrezione. Le beatitudini di apertura e chiusura (Ap l ,3 e
22,10) mettono in risalto il carattere profetico di tutto il libro e la forza
pressante di queste parole destinate non al futuro, ma al presente della
storia che stiamo vivendo.

37
Vedi A. CASALEGNO, Tempo ed eternità, 40-41. A une parla di "an important techni-
cal eschatological term (indicated by the presence oflhe definite article)", in D. AUNE,
Revelation 1-5, 21.
18
Secondo P. Prigent, "dés l'abord il faut remarquer qu'il s'agit d'une prétention fort
élevée qui met pratiquement sur le meme pian que les oeuvres des prophètes de l' AT
ce livre dont l'obèissante lecture est sanctionnée parla promesse du bonheur"; cfr. P.
PRIGENT, L 'Apocalypse de St. Jean (Genève 2000) 84.

41
PRIMA PARTE
(1,4-3,22)

Dopo il prologo, inizia la Prima Parte dell'Apocalisse che può essere


divisa in tre sezioni:
- l ,4-8 (dialogo liturgico iniziale);
- l ,9-20 (incontro con Gesù risorto nel giorno del Signore);
- 2,1-3,22 (settenario delle lettere).
Nel versetto l ,4 troviamo un esordio di tipo epistolare che sarà suc-
cessivamente sviluppato nelle lettere; l'espressione Giovanni alle sette
chiese (4a), riferita com'è all'Apocalisse nel suo insieme, accentua la
destinazione da leggersi in contesti comunitari. Il plurale alle chie-
se ritornerà n eli' epilogo (22, 16), costituendo così un'altra grande
inclusione che comprende l'intero libro. Ma c'è di più, in quanto la
frase costituisce un nesso di transizione tra i versetti che la precedono
(l, 1-3) e il brano che segue. Lo stile iniziale puramente espositivo
(l, 1-2) assume poi il tono letterario, più diretto e coinvolgente, di una
proclamazione solenne (beato, l ,3), nella quale troviamo già i prota-
gonisti del dialogo: il/ettore e coloro che ascoltano. Solo per questo
brano sarà utilizzata una divisione dei versetti per stichi (a, b, c, ecc.)
che struttura il testo in modo più particolareggiato, seguendo il ritmo
letterario proprio del brano.
Con l ,9 si ha una svolta stilistica che comporta un interessante ap-
profondimento sul rapporto tra lettore e gruppo di ascolto. Dalla terza
persona singolare di l ,4 si passa alla prima: Giovanni/Autore si rivol-
ge a tutta la comunità dell'Asia minore (sette chiese), comunicando e
condividendo la sua esperienza personale. Il racconto della visione del
Risorto (l, 12-16) presenta un contatto contestuale che, in alcuni punti,
diventa letterale con il brano di Dn 10,1-21 e che consiste nella ripresa
dello schema strutturale in esso contenuto (indicazioni di luogo e tem-
po; apparizione; reazione di colui che vede; intervento e conferimento
di incarico da parte di chi appare). L'esperienza della trascendenza di
Gesù risorto è sconvolgente (caddi ai suoi piedi come morto, 1,17a),
ma subito segue la sua rassicurazione (non temere!, in l, 17 b) e l 'im-
perativo di scrivere (1,19).

43
Commento

Da 2, l inizia il settenario delle lettere indirizzate a sette comunità


dell'Asia Minore. Si può parlare di una struttura a "raggiera"39 : il fatto
che il discorso parta da Gesù e raggiunga di volta in volta la singola
comunità suggerisce un movimento ripetuto. Egli si trova idealmente
al centro delle chiese disposte simultaneamente come in cerchio in-
tomo a lui (e in mezzo ai lucernieri uno che corrispondeva al figlio
del! 'uomo, in l, 13) e indirizza successivamente il suo messaggio a
ciascuna comunità, la quale lo ascolta insieme alle altre. Come vedre-
mo, ciascuna lettera è costruita secondo una struttura letteraria fissa,
articolata in sei punti, anche se alcuni elementi risultano mobili. L' Au-
tore, con un audace gesto di fede, fa parlare direttamente Gesù con
messaggi specifici diretti a ciascuna comunità particolare. Chi parla in
prima persona stabilisce un rapporto immediato: l'io di chi parla sup-
pone il tu di chi ascolta. Ma il contatto diventa particolarmente diretto
e coinvolgente quando chi parla usa l'imperativo che, come vedremo,
è una delle caratteristiche dei sette messaggi. L'intersoggettività della
comunicazione io-tu diventa un movimento transitivo: chi parla non
solo trasmette un messaggio, ma richiede altresì la reazione specifica
dell'ascoltatore.
Intorno alla città di Efeso, si erano costituite molte comunità, ma la
scelta del numero sette rimanda all'idea di totalità. Per effetto della
simbolizzazione, in queste chiese individuate per nome, il nostro Au-
tore vede la Chiesa universale di tutti i tempi e contemporaneamente
la specificità di ciascuna comunità locale.

l. Il "Dialogo liturgico" iniziale (1,4a-8d)

1.1. Profilo letterario e teologico

l) Il primo blocco letterario (1,4aabc-5defg) inizia con un indirizzo


esplicito e diretto (Giovanni alle sette chiese) che fa intravedere la fi-
sionomia dei due protagonisti: il/ettore impersonerà Giovanni; coloro
che ascoltano saranno concretamente, di volta in volta, una di quelle
chiese-assemblee alle quali il messaggio è indirizzato. Non siamo en-
trati ancora nel dialogo vero e proprio, ma si avverte, in forza di questo
avvio graduale, che se ne sta varcando la soglia.

39
La strutturazione del gruppo delle sette lettere è assai discussa e, nonostante alcuni
tentativi di chiarirla (vedi Lund, Hubert, Vanhoye), rimane ancora problematica.

44
Prima parte (1,4--3,22)

Giovanni, già citato nel prologo, qui interviene direttamente, rivol-


gendosi alle sette chiese con una formula di saluto e di augurio: grazia
a voi e pace, con la quale scatta il dialogo vero e proprio; il/ettore si
rivolge direttamente ed esplicitamente al gruppo presente: l'imperso-
nale e generico alle chiese diventa successivamente a voi, specifico
e personale40 • Il lettore esprime una triplice benedizione, un triplice
augurio, che possiamo seguire sul filo della ricorrenza di da parte di
(3x), fino alla sua conclusione.
2) Nel secondo blocco letterario (1,5aa-6ab) un soggetto plurale
si esprime: a colui che ci sta amando e ci sciolse dai nostri peccati
nel suo sangue. C'è il passaggio dalla seconda persona plurale (voi)
alla prima (noi) che rende ancora più marcata l'eterogeneità tra i due
blocchi, ma allo stesso tempo la spiega: è la risposta dell'assemblea
(cfr. v. 3) al saluto; è il noi che, reagendo al voi del lettore, intreccia
con lui un dialogo41 • Il successivo a lui riporta la risposta nel suo alveo
grammaticale iniziale, riassorbendo così esplicitamente la disconti-
nuità. Tale risposta esprime anche un cambiamento di direzione che,
sottolineato com'è da una specie di disposizione chiastica, acquista un
notevole rilievo letterario, confermando e chiarendo l'ipotesi del dia-
logo liturgico: la grazia e la pace augurate dal lettore passano da Gesù
Cristo (1,5a) all'assemblea; dall'assemblea ritornano a Gesù Cristo la
gloria e laforza (1,6b). Il blocco letterario l,5e-6b appare così come
una risposta esplicita a quello l,4b-5d.
3) Dopo la reazione dell'assemblea, interviene di nuovo il lettore: è
lui ad annunciare solennemente l'oracolo profetico che costituisce il
terzo piccolo blocco letterario omogeneo (v. l,7aabc-a). Presentando
Gesù Cristo che sta venendo con le nubi, l'oracolo costituisce una
risposta pienamente aderente all'augurio de li' assemblea con cui si
concludeva il segmento letterario immediatamente precedente: a lui
la gloria e la forza per i secoli .

.w Cfr. C. MANuNzA, L 'Apocalisse come "actio liturgica" cristiana (Roma 2012) 74:
·'L'interazione avviata permette di sperimentare la presenza di Gesù nell'assemblea,
aumentandone la conoscenza effettiva, affettiva e cognitiva. Si approfondisce, cele-
brandola, una relazione personale forte e coinvolgente fra Gesù e la comunità riunita
grazie a Giovanni, che continua il servizio-testimonianza a Cristo" .
•, È il noi dell'assemblea, il soggetto che risponde; l'espressione assume quindi un'im-
portanza particolare nella replica del gruppo di ascolto. La rottura della costruzione
grammaticale determinata da e fece dà risalto alla frase seguente: - e ci fece regno,
sacerdoti a Dio e Padre suo-. La frase costituisce uno "stico-parentesi" che, nell'uso
particolare del nostro Autore, svolge la funzione di accentuare e moltiplicare il senso
del contenuto.

45
Commento

L'assemblea, dopo aver ascoltato, esprime la sua reazione che è


quella tipica di un dialogo in atto di svolgimento; dicendo sì esprime
l'accettazione dell'oracolo profeti co annunciato dal lettore, che viene
confermata e suggellata con un'impronta più esplicitamente liturgica
mediante il corale Amen! immediatamente seguente.
4) Dopo questa accettazione, che diventa subito affermazione solenne
da parte dell'assemblea, interviene di nuovo il/ettore, il quale, conclu-
dendo il dialogo, recita il quarto blocco letterario omogeneo costituito
dal v. l ,8abcd. Il carattere dialogico viene indicato dali 'inciso - lo
dice il Signore Dio!- con tutta la portata accentuativa dello stico-
parentesi; le parole, evidentemente divine, non sono pronunciate da
Dio stesso, ma da un portavoce, che è il/ettore. Il fatto che il lettore
parli all'assemblea a nome di Dio fa risaltare la concretezza liturgica
del dialogo. D'altra parte l'attribuzione esplicita coinvolge Dio stesso
nel dialogo in atto: quanto viene detto esprime una risposta, quasi una
reazione dialogica di Dio all'accettazione, divenuta preghiera, da parte
dell'assemblea.
Anche a una prima lettura, il risalto dato ai due amen (1,6 e 1,7) e il
movimento dosso logico (cfr. specialmente l ,5e-6b) indicano chiara-
mente un contesto liturgico42 •
Le durezze grammaticali che riscontreremo, poi, potrebbero avere un
ruolo preciso: interrompendo bruscamente la continuità del discorso,
stimolano l'assemblea che ascolta a un'attenzione e a una concen-
trazione particolari. La lettura dovrà avere necessariamente un ritmo
lento, spezzato, e ciò favorirà quelle pause meditative che permette-
ranno di comprendere a fondo ed elaborare ulteriormente il messaggio
presentato.
Il rapporto tra lettore e groppo di ascolto (l ,3) assume spontaneamente
un atteggiamento di dialogo; e il dialogo è tipico della liturgia43 •

2
' Diversi sono stati i tentativi di un'ulteriore precisazione. L'Autore riprenderebbe,
elaborandolo in proprio, un inno liturgico battesimale preesistente (Lauchli); oppure
incorporerebbe in un contesto proprio un franunento dossologico preesistente, che si
riferiva al battesimo (P. von der Osten-Sacken). Avrenuno allora in 1,5e-6b un fram-
mento interessante di liturgia battesimale: A colui che ci ama l e ci ha sciolti dai nostri
peccati col suo sangue l- e ha fatto noi regno, sacerdoti a Dio e Padre suo - l a lui la
gloria e la forza per i secoli dei secoli amen. Anche se fosse stato usato materiale pre-
esistente, l'Autore lo elabora in proprio, come del resto fa anche a proposito dell' AT.
43
Elementi dialogici sono presenti nei Salmi, visti nella loro redazione finale, come
testi usati nella liturgia: vi troviamo dialoghi condensati in forma narrativa, ritornelli,
risposte, scambi oracolari, dialoghi di "ingresso" con una struttura particolarmente
articolata. Lo stesso ordine dei Salmi, secondo una sezione degli scritti di Qumran

46
Prima parte (1,4--3,22)

Di seguito, riportiamo il brano l ,4-8 secondo il movimento del dialo-


go liturgico appena presentato; ciò consentirà di gustare al meglio la
lettura del testo. Anche la successiva esegesi dei versetti sarà effettuata
tenendo conto della struttura dialogica, per voci (lettore, assemblea).

Lettore 1,4 a Giovanni alle sette chiese, a quelle che sono nell'Asia:
"Grazia a voi e pace
a da parte di colui che è ed era e sta venendo;
b e da parte dei sette Spiriti che sono di fronte al trono
c di lui;
1,5 d e da parte di Gesù Cristo,
e colui che è il testimone quello fedele,
f colui che è il primogenito dei morti
g e colui che è il sovrano dei re della terra".
Assemblea a "A colui che ci sta amando
a e ci sciolse dai nostri peccati nel suo sangue
l ,6 a - e ci fece regno, sacerdoti a Dio e Padre suo -
b a lui la gloria e la forza per i secoli. Amen!"
Lettore l ,7 a "Ecco:
a sta venendo con le nubi.
b e ogni occhio lo vedrà - e sono coloro che lo trafis-
sero!-
c e si batteranno il petto su di lui tutte le tribù della
terra".

Assemblea a "Sì. Amen!".


Lettore 1,8 a "lo sono
b l'alfa e l'omega -lo dice il Signore Dio!-
c colui che è ed era e sta venendo
d colui che domina tutto".

(llQPSa), si rifarebbe ad una prassi liturgica con antifone e risposte. C'è- e con ciò
ci ritroviamo nell'area geografica dell'Apocalisse, rimanendo ancora nell'ambito di
considerazioni più generali - un probabile esempio di dialogo liturgico in Didachè
l 0,6. Tale ipotesi risale a Lietzmann, ma è stata ripresa e perfezionata da Langevin.
Di seguito riportiamo il testo:
Liturgista: 'Elllhw xap~ç Venga la grazia
Ka:lTia:pEilÉ'tW oKOO~oç OlJt<J<; e passi il mondo presente
Assemblea: A~fJv· waavva: t(\ì o1Ku,> ~a:u'iò Amen, osanna al figlio di David
Liturgista: E'L nç liyLOç i:anv, i:pxéallw Se qualcuno è santo, venga
E'( ne; oÙK ~an, ~na:voi tw Se qualcuno non Io è, si converta
Assemblea: Ma:pa:v a:lla: · &~~v Vieni Signore: amen

47
Commento

1.2. Esegesi dei versetti

Ap 1,4-5 (Lettore) Ap 1,4-5 (Lettore)


4
4
'IwaVVT)ç rliiç Ètrtà EKKÀT)<JL(Hç Giovanni alle sette chiese
·m:Lç Év rij 'Aol.q;· a quelle che (sono) neli' Asia:
xapLç ÙI.LLV K<Ù Elp~VT] Grazia a voi e pace
à:nò ò wv KaÌ. ò ~v da parte di (colui) che è e che era e
KaÌ. Ò ÈpXQj.lEvoç che sta venendo
Kal !ÌTIÒ !WV Émà iTVEU~!WV e da parte dei sette spiriti
ii Évwmov rou ep6vou aùrou che (sono) di fronte al trono di lui
5
5
• KaÌ. à:nò 'ITJOOU Xpwroiì, • e da parte di Gesù Cristo

Ò IJ.tlptuç Ò TIL<Jtoç, colui che è il testimone quello fe-


Ò npwtOtoKOç !WV VEKpwv dele
KaÌ. ò lipxwv rwv 13aaLÀÉwv rf]ç yf]ç. colui che è il primogenito dei morti
e colui che è il sovrano dei re della
terra.

- Giovanni alle sette chiese, a quelle che (sono) nell'Asia: Grazia a


voi e pace ('lwaVVT]ç 'tO:Lç É1Ttà ÈKKÀT]OLO:Lç, ro:l.ç Èv rn 'Aa[o: xapLç UiJ.LV
KO: Ì. E Lp~VTJ)

Giovanni/Autore indirizza il suo messaggio ad alcune chiese geogra-


ficamente ben localizzate (cfr. l, Il), ma che per il numero sette sono
intese come un insieme, una totalità; ciò che viene detto alle sette
chiese vale allora per la chiesa come tale, di ogni tempo e luogo.
Il lettore si presenta al gruppo di ascolto e invoca la benedizione; il si-
gnificato della formula grazia a voi e pace è di saluto e benedizione: la
prima indica la benevolenza attiva da parte di Dio (xapLç); la seconda
(Etp~VT], sulla linea dell'ebraico shalom) il suo corrispettivo contenuto.
La benevolenza attiva, accolta adeguatamente dalle persone a cui è
indirizzata, produce in loro la positività della pace, diventa pace.
Poiché il termine grazia/xap Lç ricorre solo due volte nell' Apocalis-
se (l ,4 e 22,21 ), potrebbe sembrare che questo tema sia marginale,
soprattutto se si fa un confronto con gli altri testi del NT (Le 8x; Gv
4x; Atti 17x; scritti paolini l OOx; Ebrei 8x; Gc 2x; l Pt l Ox; 2Pt 2x;
Lettere giovannee lx; Lettera di Giuda lx) 44 • Tuttavia, se si appro-

44
Vedi R. MoRGENTHALER, Statistik des Neuestestamentlichen Wortschatzes (Ziirich
- Frankfurt am Main 1958). La formula grazia e pace è frequente in Paolo, che
sembra averla coniata partendo dal saluto ebraico (shalom, Elp~VT)) e da quello greco
(xalpE, xlipLç), oppure, preferibilmente, adattando una formula di saluto orientale
giudaica (cfr. Apoc. Baruch 78,2 e Gal 6, 16). La forma presente fa pensare a una
derivazione dall'ambiente paolina.

48
Prima parte (1,4-3,22)

fondiscono gli elementi che si trovano nel libro, questa impressione


viene superata, se non addirittura rovesciata; il nostro Autore, infatti,
con una terminologia tutta propria e immagini caratteristiche, porta il
lettore/ascoltatore a uno dei vertici più alti dell'intervento divino: Dio
raggiunge l'uomo, lo prende così com'è e lo porta alla sua altezza,
fino ad arrivare alla vetta vertiginosa della pariteticità d'amore nella
Gerusalemme nuova.

- da parte di (colui) che è ed era e sta venendo e dai sette spiriti che
(sono) difronte al trono di lui e da parte di Gesù Cristo colui che è il
testimone quello fedele colui che è il primogenito dei morti e colui che
è il sovrano dei re della terra (èmò 6 wv KtÙ ò ~v Ko:Ì. 6 Èpxo~Evoç KO:L
cXTIÒ 'CWV Émà TIVEU~chwv éi Évwmov wu 9p6vou aÙ"Cou KaÌ. cXTIÒ 'IT)oou
XpLO'COU, O~p1uç O1TLOtoç, O1TpWtOtOKOç tWV VEKpwv KO:Ì. Oapxwv tWV
j3txoLÀÉwv tf)ç yf)ç)

La complessità di questi versetti deriva dalla loro formulazione e dalla


ricchezza del contenuto riferito alle persone della Trinità, non guardan-
do solo a quello che sono in se stesse, in astratto, isolate nell'assoluto
della trascendenza, ma soprattutto viste come appaiono in contatto
con l 'umanità e le sue vicende, nella loro continua presenza nel tempo
(passato, presente e futuro) e aderenza alla storia. L'unica benedizione
parte in modo paritetico dai tre mittenti, i quali vengono designati al
plurale per indicare la molteplicità e la vastità della loro azione.
Analizziamo le singole formule.
l) Colui che è ed era e sta venendo/o wv Ko:Ì. 6 ~v KaÌ. 6 Èpx6~Evoç45
si riferisce a Dio Padre nel suo contatto con lo svolgersi del tempo e
della storia; non è una semplice parafrasi del nome divino: che sta ve-

' 5 L'espressione Ù1tÒ ò &v Kai ò ~v Kai ò ÈPXÒJ.LEVOç presenta indubbie discordanze
grammaticali, che colpiscono chi ascolta, richiamando bruscamente la sua attenzione;
l'Autore se ne serve per enfatizzare il discorso (spicca tbrò, col nominativo, mentre
subito dopo lo troviamo regolarmente col genitivo; ò ~v: il era, appena pensabile in
greco; la sostituzione di lcaoJ.LEVoç, che ci aspetteremmo, con ÈPXDJ.LEvoç). Mediante
tali durezze, che toccano e oltrepassano il limite dell'esprimibile, la formula usata
tende qui a suggerire l'assoluto della "presenza infinita" divina (ò wv) che entra nel
tempo degli uomini, come mostra la presenza rilevabile nel passato della storia della
salvezza (ò ~v). Questo Dio, che è il Padre con tutto il peso della sua trascendenza,
continua a stare in contatto con l'umanità e lo fa mediante una sua "venuta protratta"
(ò ÈPXÒJ.LEVoç) che, come tale, indica una successione perenne. Presa nel suo insieme,
la formula ci riporta al tema fondamentale dell'Apocalisse: i fatti della storia in rap-
porto con Dio.

49
Commento

nendo indica un intervento nella storia umana46 • Si tratterebbe di una


venuta in divenire, che si sta attuando e che giungerà a una conclusio-
ne; quando essa sarà raggiunta di fatto e realizzata, cesserà il divenire
e dalla formula temaria scomparirà il terzo elemento ( 11,17; 16,5).
L'espressione è tipica dell'Apocalisse: ricorre completa in l ,8 e 4,8;
senza il terzo elemento in Il, 17 e 16,5. L'unità della frase, pur nella
sua articolazione temaria, induce a mettere sullo stesso piano i tre
elementi che la compongono; siccome il terzo, che sta venendo/o
Èpxo~Evoç, si riferisce a Dio operante nella storia tramite Gesù Cristo,
avranno lo stesso valore anche gli altri due.
Si dovrà, di conseguenza, interpretare che è/o wv come una qualifica
di Dio, il quale è presente nell'ambito della storia umana tramite Gesù
Cristo e accompagna costantemente il gruppo di ascolto. L'espressio-
ne si può far risalire a Es 3,14: Dio disse a Mosè: "Io sono colui che
sono" (TM: ;,;;;TI$ 1WI$ ;'\_':,.-;ti$; LXX: Èyw EL~L ò wv). E aggiunse: "Così
dirai ai figli d'Israele: Io-sono (TM: ~~;:~;LXX: ò wv) mi ha inviato
da voi", dove notiamo che la versione dei LXX corrisponde a quella
del nostro versetto47 •
Lo stesso si dovrà dire rispetto a che era/o ~v 48 : dato che la formula
si riferisce a un'azione divina nella storia umana attuata nel passato

46
C'è un problema di traduzione per quanto concerne EPXOiJ.EVoç. La forma grammati-
cale richiede, di per sé, un presente continuativo tipico del participio: potremmo dire
sta venendo. È possibile tradurre anche al futuro- come fa ad esempio la Vulgata con
qui venturus est- dato che il presente di EPXOf.l.IXL può avere anche questa valenza. Si
può, però, obiettare che il nostro Autore mostra di distinguere le due forme, usando
specificamente il futuro di EPXOiJ.IlL: ElÉUOOiJ.IlL, verrò (v. 3,20). Data la rilevanza di
EPXE<J9aL nell'Apocalisse (cfr. 1,4.7.8; 2,5.16; 3,11; 4,8; 16,15; 22,7.12.20)- come
pure nel N vangelo e nelle lettere di Gv -, l'uso di ÉpXOiJ.EVoç è una scelta precisa
de li' Autore. "It is clear that he uses ÉpXOiJ.EVoç instead ofEcroiJ.EVoç, with a definite
reference to the contents ofthe Book and especially to the coming ofChrist", più che
a una generica "Christian addition or a Christian adaptation" (CHARLES, A Criticai l,
l O); vedi anche J. McNAMARA, The New Testament and the Palestinian Targum to the
Pentateuch (Roma 1966) 112.
47
Anche le tradizioni targumiche, sebbene redazionalmente molto posteriori, ci testi-
moniano una parafrasi ternaria del nome di Dio. La sua articolazione tripartita è do-
cumentata ad esempio nel Targum Palestinese a Es 3,14 (citato anche da McNAMARA,
The New Testament, 111, che dedica un ampio studio alla nostra espressione nelle
pp. 97 -112; vedi anche CHARLES, A Criticai l, IO) e nel Targum Pseudo-Gionata a
Deuteronomio 32,39. Nei modelli targumici il terzo elemento è reso con Écré!J.~voç.
48
L'espressione è particolarmente anomala: ci aspetteremmo ò yEyovwç oppure ò
YEVOiJ.EVoç (come osserva CHARLES, A Criticai l, IO). L'uso dell'imperfetto ~v e so-
prattutto l'introduzione dell'articolo ò costituiscono delle asperità grammaticali forse
intenzionali (" .. .ist vielleicht beabsichtigte grammatische Hiirte": W. BoussET, Die

50
Prima parte (1,4--3,22)

tramite Gesù Cristo, l'Autore allude alla sua morte, mai descritta ma
sempre presupposta (vedi ad es. 5,6-14).
Si ha perciò, concludendo, un contatto tra Dio e la storia de li 'uomo
che si realizza adesso tramite la presenza-venuta di Gesù Cristo, la
quale dipende dalla sua passione e morte e si concluderà con il com-
pimento finale.
L'essere di Dio di cui si parla è, quindi, un "esserci", un essere attiva-
mente presente.
Riassumendo: enfatizzando con le durezze grammaticali che toccano
e oltrepassano il limite dell'esprimibile, la formula vuole suggerire
l'assoluto trascendente di Dio nella presenza infinita (ò wv) della sua
eternità che entra nel tempo degli uomini, come mostra il suo esserci
rilevabile nel passato della storia della salvezza (ò ~v). Questo Dio,
che è il Padre, con tutto il peso della sua trascendenza, continua a stare
in contatto con l'umanità e lo fa mediante una sua venuta protratta (ò
Èpxo~Evoc;) che, come tale, indica una progressività. Presa nel suo in-
sieme la formula ci riporta al tema proprio dcii' Apocalisse: gli eventi
storici in rapporto con Dio.
2) Sette spiritiiEm:à. nvEu~twv. L'espressione è tipica dell'Apocalisse,
nelle varie forme grammaticali in cui ricorre (cfr. l ,4; 3, l; 4,5; 5,6);
originale nella sua formulazione letteraria, risulta enigmatica anche al
soggetto interpretante al quale è proposta49 • Che significa?
I sette spiriti sono stati interpretati come angeli in qualche modo pri-
vilegiati, quelli che stanno davanti a Dio per servire 50 • Suggeriscono
questa interpretazione: l'espressione stessa che, nella sua formulazione
stilistica, indica un servizio; vari paralleli 5 1; e la difficoltà di riferirla
allo Spirito Santo (è l'interpretazione alternativa), usato normalmen-
te al singolare (cfr. 2,7.11.17.29; 3,6.13.22; 14,13; 19,10; 22,17).

Offenbarung Johannis, Gottingen 1966, 184). Se questo è vero, l'Autore attribuisce,


anche nell'ambito unitario dell'espressione ternaria, un'importanza particolare a ~v. o
9
' Sul significato del termine TTV€U~twv nella grecità classica, sulle ricorrenze e per
una sintesi sulle interpretazioni vedi BELANO, Apocalisse, 40-42.
50
Il termine angelolriyyd.oç ricorre 67 volte ne Il' Apocalisse: è quindi particolarmente
familiare all'Autore; ha una gamma di significati molto vasta, tuttavia non viene mai
abbinato a Spirito!TTv€iljJ.a.. In generale, degli angeli si può dire che collaborano tutti
allo svolgimento della storia della salvezza e che la loro identità oscilla tra l'estremo
di una personificazione di forze naturali (cfr. ad es. 9,14) e l'estremo di una quasi
identificazione con Cristo (vedi 10,1-11 confrontato con 1,12-20; come pure 15,6
confrontato con 1,13).
51
Cfr. Eb 1,7.14: gli angeli sono detti TTVHJ~-ra; vedi anche Th 12,15. Altri paralleli
addotti, come Ez 9,2 e Enoch, I 20,7 e 90,21 sono vaghi e nebulosi.

51
Commento

Secondo una tradizione giudaica, i sette spiriti sono i sette principi


degli angeli (Tb 12, 15); designati da spiritihrvEUIJ.a. che - come in
Eb l, 7.14 - ha una gamma di significato più vasta rispetto al termine
angeli. Essi appartengono alla sfera divina e, come tali, hanno una
funzione soteriologica52 •
Sebbene a una prima lettura appaia strana l'espressione sette spiriti
per designare lo Spirito Santo53 , e singolare il fatto che lo Spirito sia,
in questa ipotesi, nominato al secondo posto (dopo Dio Padre e prima
di Gesù Cristo), va detto che già nella storia dell'esegesi ritroviamo
questa attribuzione54 •
Il confronto con il passo di Is 11 ,2-3 - Su di lui si poserà lo spirito
del Signore (TM: ;n;,~ r:t,~ LXX: 1TVEu!].a. -rou 8EofJ)- è illuminante, ma
non si può affermare che il testo del profeta sia la matrice di questa
particolare locuzione. In Isaia, infatti, non si parla di numeri, anche se

52
Così Cassiodoro ritiene, basandosi proprio su Tobia 12, che i sette spiriti siano i sette
arcangeli "qui ante thronum Domini leguntur assistere" (in CASSIODORO, Apocalypsis
Sancti Johannis, 2-1,4). Nei primi commenti greci- Ecumenio (VI sec.), Andrea di
Cesarea (VII sec.), Areta di Cesarea (IX sec.)- si dà una soluzione originale: il nome
tripartito di Dio (l ,4) si riferisce alla Trinità. Conseguentemente gli Èm lÌ 1TVEU~1na
sono a un livello inferiore: sette angeli o, al più, "operazioni dello Spirito" (vedi
ANDREA DI CESAREA, Commentarius in Apocalypsim, l, l, 1-4; X, IV, 5; XII, V, 6).
Tra i moderni, si muovono decisamente su questa linea Bousset, Lohmeyer, Joiion,
Feuillet. Soprattutto J. MICHL, Die Engelvorstellungen in der Apokalypse des hl.
Johannes (Miinchen 1937) ha approfondito in modo particolare l'argomento, riassunto
e valutato in B. MoRJCONI, Lo spirito e le Chiese (Studia Theologica. Teresianum 3;
Roma 1983) 23-28. Sul testo di Th 12,15 (angeli del/a faccia) e sull'atteggiamento
di servizio, tuttavia, si può osservare che neli' Apocalisse ci sono angeli che stanno
davanti a Dio, ma sono sempre detti &yyd.oL (cfr. 8,2).
53
R.H. Charles non esita a dire che si avrebbe "a grotesque Trinity" (in CHARLES,
A Critica/ l, 6). L'impressione di una "Trinità grottesca" scompare se si considera
la valenza simbolica di tale espressione, volta a esercitare un richiamo evocativo e
di stimolo sul gruppo di ascolto. Sullo Spirito nell'Apocalisse, vedi F. CONTRERAS
MOLINA, El Espiritu en e/libro del Apocalipsis (Salamanca 1987); R. L. JESKE, "Spiri t
and Community in the Johannine Apocalypse", NTS 31 ( 1985) 452-466; F. SARACINO,
"Quello che lo Spirito dice (Apoc. 2,7)", RivBib 29 (1981) 3-31; R. J. BAUCKHAM,
"The Role ofthe Spiri t in the Apocalypse", EvQ 52 (1980) 66-83.
54
Vittorino di Petovio (fine III secolo)- nel commento più antico che abbiamo all'A-
pocalisse - afferma: " ... unius scilicet dona spiritus sancti" (VITTORINO DI PETOVIO,
Commentarii in Apocalypsis loannis, I, 4). Ticonio (intorno al 380 d.C.) si muove
sulla stessa linea. Sarà soprattutto Agostino che darà a questa interpretazione una
diffusione incontrastata in Occidente: sette è il simbolo della totalità delle operazioni
dello Spirito Santo (cfr. AGOSTINO, De Civitate Dei, XVII, 4, 119); commentando il
Salmo 150, Agostino afferma che, sia in Isaia Il ,2-3 sia nell'Apocalisse, i sette spiriti
si riferiscono allo Spirito Santo (AGOSTINO, Enarrationes in Psalmos, CL, 1).

52
Prima parte (1,4-3,22)

appare chiaro l'aspetto di una distribuzione operativa multipla che lo


Spirito assume; promesso al germoglio che spunterà dalla radice di
Jesse, si ramifica, una volta che raggiunge di fatto la persona alla quale
è destinato, in aspetti particolari55 .
Questa seconda interpretazione appare la più persuasiva.
Ma la comprensione adeguata dell'espressione deriva dalla valorizza-
zione di tutti gli elementi simbolici presenti nel contesto, perché que-
sta non è una formulazione teologica esplicita e precisa, ma piuttosto
un forte richiamo evocativo e di stimolo sul soggetto interpretante.
Un primo elemento lo suggerisce il testo di Is 11,2-3: è lo Spirito vi-
sto negli effetti molteplici che introduce nella storia, quando entra in
contatto con gli uomini.
Il secondo è dato dal numero sette che, nel simbolismo numerico
dell'Apocalisse, indica una totalità. Lo Spirito è fonte di grazia e di
pace perché, raggiungendo gli uomini, tende ad attuare una completez-
za nel suo contatto con loro. Per comprendere di quale completezza si
tratta, analizziamo l'altra ricorrenza della formula in 4,5: E sette torce
di fuoco stanno bruciando davanti al trono - sono i sette spiriti di
Dio!Émà. 1TVEUIJ.Ilt"a rou 9EOu -. Il termine trono non deve essere inteso
come un attributo di tipo personale, una dignità in senso assoluto, ma
una qualifica dinamica: indica la capacità di influire sulla storia; ciò
apparirà chiaramente nel decorso del libro, specialmente nella presen-
tazione solenne di 4,2ss. Lo Spirito che si dona agli uomini, tendendo
a una totalità, collocato davanti al tronoiEvwmov rou 9p6vou, si situa
nel movimento di dominio attivo che Dio esercita sulla storia. Il trono
è proprio il suo/aùmu: di Colui che è ed era e che sta venendo, di Dio
proprio rapportato alla storia, come abbiamo visto.

'' E ciò è tanto più vero se si tiene presente che nel TM -che il nostro Autore predilige
rispetto alla versione dei LXX -l'esemplificazione dell'azione dello spirito comporta
6 elementi e non 7.
TM LXX
Su di lui si poserà lo spirito del Signore l!VEÙIJ.« tOÙ !ff:où
spirito di sapienza e di intelligenza l!VEÙIJ.« oolj>[aç KaÌ. ouvÉoEwç
spirito di consiglio e di fortezza nvEùl!a j3ouÀfJç KaÌ. loxuoç
spirito di conoscenza e di timore del Signore. l!VEÙI!a VWOEWç KaÌ. EOOEIJELaç.
Si compiacerà del timore del Signore 'E!!TTÀ~OEL autòv TTVEÙ~ lj>opou !ff:où
Aderiscono a questa interpretazione, oltre agli autori citati, Ireneo, Primasio, Anselmo,
Tommaso, Allo, Boismard, Lohse, Bonsirven, Schweitzer, Rissi. Cfr. C. BRDTSCH, La
Clarté de /'Apocalypse (Genève 1966) 27. Particolarmente esauriente, specialmente
in un confronto con Michl, è B. MoRJCONI, Lo spirito, 29-35.

53
Commento

Riassumendo. L'espressione ha un effetto stimolante che spinge in


avanti nella lettura. Fa pensare allo Spirito, ma visto negli aspetti che
assume quando, nel contesto dell'influsso attivo che Dio esercita sulla
storia, giunge in contatto con gli uomini e agisce secondo una qual-
che totalità. Si riferisce all'azione multipla di dono dello Spirito nei
riguardi degli uomini.
Come si realizzerà tutto questo? Lo Spirito- inteso in questa moltepli-
cità dei suoi doni tendente alla totalità - possiede l'energia illuminante
e purificante di Dio (4,5). Appartiene a Gesù (colui che tiene i sette
spiriti, in 3, l) come un elemento suo personale; i sette occhi dell'a-
gnello sono i sette spiriti di Dio quando sono inviati su tutta la terra
(5,6) per raggiungere l'intera umanità 56 • Nel suo impatto con la realtà
umana si ramifica (cfr. Is 11 ,2-3), aderendo così in pieno alle esigenze
delle diverse situazioni. La totalità che tende a realizzare è, anzitutto,
in estensione; inoltre, poiché è lo Spirito di Gesù Cristo, tende a realiz-
zare, immettendosi in ogni piega della storia umana, tutta la sua novità
che, attuata concretamente e all'interno della storia, porterà alla meta
escatologica del cielo nuovo e della terra nuova (21, l).
3) Gesù Cristo colui che è il testimone quello fedele, colui che è il
primogenito dei morti, colui che è il sovrano dei re della terrallT]aou
Xp LO'tOU Ò IJ.tip'tuç Ò TILO'tOç, Ò 1TpW'tO'tOKOç nJv VEKpwv Kal Ò lfpxwv
'twv paaLÀ~wv 'tftç yftç: è il rivelatore del Padre, colui che, vincendo
per primo la morte, convoglia l 'umanità nella sua resurrezione e che,
presente e attivo nelle vicende umane, combatte contro ogni forma di
male.
C'è un contatto letterario, almeno contestuale, con il Sal 89,28.38: Io
farò di lui il mio primogenito (TM: ,;~::;~; LXX: 1TpW'tO'tOKov), il più
alto fra i re della terra (TM: n~-·;::,',~',; LXX: paaLÀEUOLV 'tftç yftç) ...
sempre saldo come la luna, testimone fedele nel cielo (TM: V~ t:$~. PJ:t~~
,,171; LXX: ò IJ.ap'tuç E=v oùpavQ ma'toç), che orienta la testimonianza di
Gesù Cristo verso la storia della salvezza, portata avanti dialetticamen-
te, superando gli elementi antagonisti.
L'espressione il testimone quello fedele condensata ed evocativa, se-
condo lo stile di questo brano, sarà ripresa e ampliata: in 3,14 Gesù
sarà detto l 'Amen, il testimone fedele e verace; si parlerà anche di

56
Mandato- si sottolinea questo aspetto anche con una brusca anomalia grammatica-
le: àTiootaÀ!lÉVOL (maschile, collegato con 1TVEU~ta, neutro) - a tutta la terra, a tutta
l'umanità, lo Spirito raggiunge il massimo di esplicitazione: è sempre l'unico Spirito
di Dio e di Cristo. Inviato agli uomini, donato a loro, tende a raggiungerli tutti (tutta
la terra).

54
Prima parte (1,4-3,22)

una testimonianza di Gesù fatta propria dai credenti (cfr. 1,2.9; 6,9;
12, 11.17; 19, l Obis; 20,4). Apparirà come Gesù Cristo, agendo nella
storia personalmente e tramite quelli che credono in lui: una concre-
tizzazione palpabile della parola, delle promesse di Dio riguardanti
la storia stessa; anzi, quando tale concretizzazione si sarà avverata,
si potrà constatare che corrisponde proprio a lui, Parola di Dio (cfr.
19,13 e il rispettivo contesto). La benevolenza e la pace di Gesù Cri-
sto, proprie di lui, passano attraverso le vicende umane, attuandovi in
pieno la parola di Dio; ma, contenutisticamente, si avrà un'identità:
Gesù Cristo, parola di Dio, attua se stesso, realizzando nella storia i
suoi valori.
L'espressione il primogenito dei morti mostra come Gesù Cristo è
percepito dalla comunità ecclesiale57 : con la sua morte si associa a tutti
gli uomini, divenendo pienamente loro fratello, ma soprattutto risorto
può partecipare la sua resurrezione a tutti. La sua primogenitura indica
che egli è il primo tra i molti fratelli.
Dato il senso per lo più negativo che ha nell'Apocalisse l'espressione
re della terra (cfr. 6,15; 17,2; 18,3.9), la supremazia di Gesù Cristo
consiste nel vincerli e sottometterli. Essi rappresentano centri di pote-
re, organizzati, nei quali si concretizza la negatività del demoniaco 58 •
L'intervento conclusivo di Gesù Cristo, re dei re;f3aoLÀEUç pamÀÉwv
(17, 14; 19,16), li ridurrà all'impotenza; con l'espressione sovrano dei
re della terra viene affermata la sua supremazia dinamica sulle forze
storiche di segno negativo, comunque organizzate.

;-L'espressione ricorre simile in Col 1,18: primogenito dai morti/npwt6toKoç ÈK


:wv VEKpwv; e, ancora in una forma più attinente, in lCor 15,20: è risuscitato dai
morti primizia di coloro che sono addorrnentatiiEyr1YEp1«L ÈK VEKpwv anapx~ twv
KEKOLf!TJf!Évwv. A differenza di Paolo, il nostro Autore insiste sull'aspetto associativo
di Gesù Cristo alla morte fisica (o npw1010Koç 1wv VEKpwv). Per uno studio specifico
dell'espressione, si rimanda a C. DoGLIO, Il Primogenito dei morti. La risurrezione di
Cristo e dei cristiani nell'Apocalisse di Giovanni (SRivBib 45; Bologna 2005).
8
' L'espressione re della terra ricorre sette volte nel!' Apocalisse, con diversi significa-

ti: neutro (1,5; 6,15); positivo in relazione alla Gerusalemme nuova (21,24); negativo
(16,14; 17,2.18; 18,3.9; 19,19).ln quest'ultimo senso, tali realtà si rivelano prive di
qualsiasi scrupolo e presenti in ogni parte del mondo, capaci di detenninare, con ri-
svolti drammaticamente negativi, la vita di molte persone e di interi Paesi; potremmo
esemplificare, menzionando le multinazionali, le cordate politiche, gli affaristi e i
finanzieri internazionali, la criminalità organizzata, e così via.

55
Commento

l ,5-6 (Assemblea) 1,5-6 (Assemblea)

se TQ étyanwvn ~~ç 5
•A colui che ci sta amando
KIÙ Àuoavn ~~iiç ÈK twv &:~pnwv e ci sciolse dai nostri peccati nel
~~wv Èv tQ a'[~an ainou suo sangue
6
Kat E-rrotllOEV ~~liç paaLÀEtav, 6
- E fece noi regno, sacerdoti a Dio

LEpE'iç tQ 8EQ Kat natpt aùtou, e Padre suo-


aùtQ ~ M.;a Kat tò Kpatoç EÌ.ç toùç a lui la gloria e la forza per i secoli:
ai.wvaç [twv ai.wvwv]· à~~v. amen!

-A colui che ci sta amando e ci sciolse dai nostri peccati nel suo san-
gue (ni) aycmwvn ~lliiç KCXÌ. Àuoo:vn ~!liiç EX 'CWV Ù~UXpnwv ~llWV Èv tQ
cx'(IUXn o:ÙtOu)

La comunità ecclesiale, nella sua risposta dialogica al saluto, mette in


risalto come prima cosa l'amore continuato (vedi il participio presente
tQ aya1rwvn) di Gesù Cristo nel presente, che fa presa sulla situazione
vissuta59 • Tale amore segue la vita della comunità (cfr. 3,9; 3,19-20)
ed essa si sentirà impegnata a ricambiarlo. Giàfidanzatalvulli!>TJ (21,9;
22, 17), ora essa aspira al livello pari teti co di corrispondenza nuziale,
all'amore di Gesù Cristo che si realizzerà a livello escatologico, quan-
do diventerà la donna, la sposa!yuv~ (cfr. 19,7; 21,9).
L'amore per il gruppo ecclesiale, soggetto del noi, si è attuato anche
nel passato: ci sciolse dai nostri peccati nel suo sangue. L'espressio-
ne, come mettono in rilievo le varianti nella tradizione manoscritta
già esaminata, mostra un'incongruenza; nella sua asprezza e densità,
costringe a un approfondimento: infatti il sangue non scioglie, semmai
può lavare, e allora si spiega la variante che lavò/À.ouao:vn. Si parla di
un soggetto attivo che, nel passato, ha svolto un'azione di scioglimen-
to e di separazione dai (ÈK) peccati, la quale è collegata col sangue (nel
sangue/Èv tQ o:'(llo:n ), ma supera la semplice funzione espiatoria. Nella
concezione tipica dell'Apocalisse, il sangue di Gesù Cristo suppone la
sua vita donata, attraverso la passione e la morte, carica di una virtua-
lità di liberazione e di resurrezione 60 ; non si tratta di un meccanismo
automatico: tale virtualità è stata applicata, con l'impegno personale

59
Vedi anche S. CANTORE, "Colui che ci ama (Ap l ,5)", PSV l O ( 1984) 205-214.
60
Cfr. U. VANNI, "Il sangue nell'Apocalisse", Sangue e Antropologia Biblica: atti
della Settimana (Roma, 10-15 marzo 1980) (ed. VAJTJONI, F.) (Roma 1981) 865-884.
Non si tratta di un sacrificio espiatorio per placare una divinità insoddisfatta o irata,
ma del dono della vita che vuole mostrare l'infinito amore di Dio per l'umanità e il
vero volto dell'uomo fatto a immagine del suo Creatore.

56
Prima parte (1,4-3,22)

e attivo, da lui stesso che sciolse dai peccati61 • Sarà precisato subito,
quando si parlerà di regno e sacerdoti, quale sia la prospettiva della
sua attività.
I peccati da cui il credente è liberato sono presentati in forma generica;
si riferiscono alla somma delle sue insufficienze, prima del contatto
con la forza liberatrice della vita donata (sangue) di Gesù Cristo.
Per riassumere. Alla base di tutto c'è l'amore continuato di Gesù da
cui l'assemblea si sente avvolta (a colui che ci sta amando). Come
effetto di questo amore, essa riconosce la liberazione, già avvenuta,
dall'ostacolo dei peccati (ci sciolse) e la sua costituzione creativa (ci
fece) in un duplice stato: quello di regno e quello di sacerdoti62 •

-E fece noi regno, sacerdoti a Dio e Padre suo (K«Ì. ÈnotT]OEV ~IJ.iiç
paoLÀELIXV, Ì.EpELç -cQ 9EQ Kfll lTIX'Cpl aÙ-cou)

L'espressione colpisce il/ettore/ascoltatore perché rompe la struttura


grammaticale della frase che sarà ripresa però subito dopo (A colui che
ci ama e ci sciolse... a lui la gloria) e, inoltre, perché l'abbinamento
regno-sacerdotiiP(toLÀ.Et«V Ì.EpE1ç è insolito e forzato: manca un legame
tra i due termini (ad es. una congiunzione) o una combinazione gram-
maticale che li metta in rapporto 63 •
Per comprendere il significato dell'espressione, a cui il nostro Autore
annette un'importanza tutta particolare, partiamo da Es 19,6a: Voi sa-
rete per me un regno di sacerdoti (TM: c~~::):, n;:,,~~~; LXX: BaotÀELov
i.Epa-cEUIJ.«)64 e una nazione santa, e analizziamo le somiglianze.

"' Situato nel passato, tale scioglimento è da identificarsi, con tutta probabilità, con
il battesimo. Ma, per la tipicità dell'espressione, sarebbe riduttiva l'interpretazio-
ne che circoscrivesse questa frase - e tutto il brano - a una liturgia battesimale.
Nell'Apocalisse, il verbo sciogliere ha il valore preciso di rimuovere un legame, un
impedimento che trattiene, come un sigillo (cfr. 5,2; 9,14.15, riferito ai quattro angeli
legati; 20,3.7, riferito a Satana). Sciolto dall'impaccio costituito dai peccati, non più
impedito, il credente è in grado di muoversi e di agire.
62
Per un approfondimento vedi U. VANNI, "La promozione del regno come responsa-
bilità sacerdotale dei Cristiani secondo l'Apocalisse e la Prima Lettera di Pietro", Greg
68 ( 1987) 9-56; lo., "Sacerdozio e regno nell'Apocalisse. Una prospettiva teologico-
biblica", RivLi 69 (1982) 341-344.
63
Le incertezze e le aggiunte rilevate nella tradizione manoscritta confermano l'ano-
malia e quindi la loro importanza, secondo lo stile dell'Apocalisse.
64
Il termine n::>Soo deve essere inteso come stato assoluto o stato costrutto. Può es-
sere interessante uno sguardo alle traduzioni successive: Aquila (130 d.C.) traduce:
j3aaLÀELa LE'p~wv; Teodozione (fine II sec.) e Simmaco (inizio III sec.) hanno la stessa
formulazione dell'Apocalisse: jlaaLÀE'La tE'pE'i.ç. La traduzione dei LXX sembra disco-

57
Commento

L'espressione ebraica può essere intesa regno di sacerdoti, oppure


regno, sacerdoti; entrambe le interpretazioni sono possibili: l'Autore
dell'Apocalisse ha scelto la seconda, distinguendo i due termini senza
collegarli tra loro. Affermando che i credenti sono resi da Gesù Cristo
sia regno;flaat.l..El.ocv sia sacerdoti!tEpE1ç lascia all'espressione la sua
forza d'urto, che sarà chiarita e ripresa in seguito, quando parlerà nuo-
vamente di regno e sacerdozio in 5,10.
Ritornando al passo di Esodo, l'espressione regno di sacerdoti e
nazione santa ha avuto diverse interpretazioni: sacerdoti nel senso
di prìncipi, stretti collaboratori di Dio, vicini a Lui; oppure come
coloro che hanno l'incarico di studiare la legge, consultando YHWH
(Dt 17 ,9; 33, l O) - nel regno di sacerdoti tutti esercitano questa fun-
zione senza distinzioni -; o ancora, in relazione a coloro che celebrano
il culto e stabiliscono una relazione tra Dio e il popolo, l'espressione
indicherebbe la responsabilità sacerdotale di Israele in funzione degli
altri popoli. In quest'ultimo senso, si potrebbe precisare ulteriormente
che, essendo divenuto proprietà (:"17~c, in Es 19,5) di Dio, Israele è
costituito regno e in seguito assume il ruolo attivo di sacerdote per gli
altri popoli.
Qual è, allora, il significato che regno-sacerdoti assume nell' Apoca-
lisse?
Diverse sono state le interpretazioni di insieme proposte65 • Dato che
il termine sacerdoti viene usato (cfr. l ,6; 5, l O; 20,6) supponendone

starsi notevolmente, almeno a prima lettura, dal testo ebraico: pacrtJ..uov Lepate~,
qualora si dia a 13acr0..nov un valore aggettivale (e quindi la frase sarebbe da tradurre
organismo sacerdotale regale). Ma è documentato anche il valore sostantivale di
l3aatl..nov nel senso di casa regale, regno, diadema del re. In questo caso avremmo
casa regale-organismo sacerdotale, e ciò sarebbe più sulla linea del testo ebraico.
65
Le interpretazioni si riferiscono anche agli altri due brani de li' Apocalisse dove
ricorre Lepei.ç (5,10 e 20,6). Schiissler Fiorenza afferma che tutti i cristiani possiedono
una dignità sacerdotale e regale. Ma questa loro qualifica si trova, al momento presen-
te, come legata, ridotta allo stato di potenzialità: potranno svolgere il loro sacerdozio
e la loro regalità solo a livello escatologico; cfr. E. ScHfrssLER FIORENZA, Priester
for Goti. Studien zum Herrschaft- und Priestennotiv in der Apokalypse (NTAbh 7;
Miinster 1972). A. Feuillet ritiene che la figura del servitore di YHWH del secondo
Isaia, in particolare di Is 53, esprima la radice biblica del sacerdozio del NT: si riferi-
sce a Cristo che offre se stesso in sacrificio; si riferisce agli apostoli, chiamati in modo
speciale ad attualizzare il sacrificio di Cristo e a continuarne la missione, offrendo,
in tale prospettiva, la loro vita. Si riferisce - l'Apocalisse insiste su questo aspetto,
accennando a quello che riguarda Cristo- a tutti i cristiani. Dotati di una prerogativa
sacerdotale e regale, i cristiani la eserciteranno nella stessa linea di Cristo che regna
come sacerdote dalla croce: dovranno, quindi, offrire la loro vita, le loro difficoltà,

58
Prima parte (1,4-3,22)

noto il significato - non si dà alcuna spiegazione precisa del termine -


dobbiamo chiederci se sia possibile vedervi una qualche mediazione
attiva, come il vocabolo stesso suggerisce. Inoltre, percorrendo il filo
delle ricorrenze, dobbiamo valutare che senso abbia l'abbinamento
costante di sacerdoti ai termini re;f}aoLÀ.Euç, regno;flaoLÀ.E(a e regnare/
pa.oLÀ.Euw, che presentano un valore tutto particolare nell'Apocalisse,
fissando l'attenzione su alcuni significati nei quali l'uso si ramifica e
si suddivide.
l) Re. Dio stesso è chiamato re delle genti nella celebrazione della
sua vittoria sul male e dell'instaurazione della nuova creazione (15,3).
Gesù Cristo è chiamato solennemente e ripetutamente re, nel contesto
di contrapposizione ai cosiddetti re della terra, i quali indicano i cen-
tri e le strutture di potere che entrano in gioco nel conflitto tra bene
e male. Tale tematica percorre tutto il libro, prima con la distruzione
dei re, poi con una loro ricomparsa inaspettata (re della terra) e infi-
ne si conclude, in seguito all'intervento di Cristo re dei re;J3acnÀEÙ<;
~acnUwv (17, 14; 19, 16) che li sconfigge irreversibilmente, determi-
nando così la loro trasformazione nel contesto della Gerusalemme
nuova (i re della terra le portano la loro gloria, in 21,24).
Il termine re ricorre ancora, e ripetutamente, per indicare alcuni perso-
naggi che sembrano reali, anche se storicamente non è facile attribuire

le loro persecuzioni e tribolazioni per liberare l'uomo dal peccato. Si tratta di una
capacità sacerdotale regale e attuale, e che si realizza in una dimensione puramente
spirituale; vedi U. VANNI- A. FEUII..LET, "Les chrétiens pretres et rois d'après l' Apo-
calypse. Contribution à l'étude de la conception chrétienne du sacerdoce", RThom 75
( 1975) 60-66. A. Vanhoye, esaminando il sacerdozio in tutto l'arco del NT, dedica
un'attenzione particolare anche all'analisi dei nostri tre testi. E questa è in sintesi l'in-
terpretazione teologico-biblica che ne propone: il sacerdozio è una qualifica propria
del cristiano, ma dipende da quello di Cristo. I sobri accenni al suo sacrificio (ha sciol-
to i peccati nel suo sangue, è stato ucciso), contenuti nei tre brani citati, ce lo dicono
esplicitamente. Derivante dal sacerdozio di Cristo, quello dei cristiani riguarda tutti i
fedeli e li raggiunge nel loro presente. La morte redentrice di Cristo produce una nuo-
va vita di relazione con Dio. Ma, per quanto riguarda le modalità concrete di esercizio,
l'Apocalisse dà solo alcune indicazioni, peraltro particolarmente interessanti. Senza
suggerire niente che vada nel senso di una mediazione vera e propria, l'autore si inte-
ressa della vita dei cristiani e del culto di adorazione presente sulla terra. Ma c'è anche
un aspetto ultraterreno: i martiri dopo la morte vivono una nuova attuazione del loro
sacerdozio, in una prima resurrezione. Finalmente il sacerdozio, per il collegamento
costante che mostra col tema teologico del regno, è visto in un contesto di positività
gloriosa, quasi di trionfo. È uno degli effetti più importanti della redenzione; cfr. A.
VANHOYE, Pretres ancien, pretre nouveau selon le Nouveau Testament (Paris 1980)
307-340 [trad. italiana, inglese e spagnola].

59
Commento

loro un nome preciso; è il caso degli imperatori romani ai quali si allu-


de nel discorso del cap. 17 (vedi in particolare 17,9.12).
In una ricorrenza, re ha un significato più generale e sfumato di capo
di popolo (cfr. l O, Il). È detto anche del capo demoniaco che guida le
cavallette collegate con la realtà umana (cfr. 9,11 ).
Riassumendo: il titolo re appare, al di là dei casi di pura denomina-
zione, come essenzialmente relativo; indica la capacità di forza, di
dominio, che si contrappone normalmente a un antagonista. Il termine
evoca un contesto polemico di scontro tra forze positive e negative.
Da notare che tale titolo non viene mai riferito ai credenti.
2) Regno. Il termine ricorre con frequenza apprezzabile (1,6.9; 5,10;
11,15; 12,10; 16,10; 17,12.17.18). Nell'uso profano è riferito agli im-
peratori; messo in parallelismo con potere acquista un senso preciso: è
la potenza e la capacità di regnare (cap. 17).
Il regno è attribuito anche alle forze negative; quando l'angelo versa la
quinta fiala sul trono della bestia, il suo regno viene tutto ottenebrato/
ÈOKO't"Wf.LÉVl) (16, l 0).
È detto anche di Dio e di Gesù Cristo: si proclama, in 11,15, che si
è attuato il regno di Dio e del suo Cristo/~ 13aoLÀELa -rou KOOf.LOU -rou
Kup(ou ~f.LWV KaÌ. 't"OU XPLO't"OU auwu. Il regno, però, non appartiene a
entrambi allo stesso modo; una differenza sottile, ma importante, ci
viene precisata in 12, l O, dove il termine viene messo in parallelismo
sinonimi co con la salvezzalcrron]pia, la potenza!OuvaJ.ttç e l'esercizio
del potere da parte di Cristo (È~oucria tou x.ptcrtou).
Il termine regno è riferito esplicitamente ai credenti: Cristo li ha
fatti regno (l ,6) sciogliendoli dal peccato e costituendoli tali nel suo
sangue (5,9); sulla linea di quanto è detto di Israele in Esodo 19,5,
sono una proprietà preziosa di Dio, gli appartengono totalmente. Ma
il senso dinamico e attivo proprio del termine viene suggerito anche
per i credenti diventati regno: possesso pieno di Dio e di Cristo, essi
vi partecipano insieme nel contesto di pressioni e di forze negative da
superare (re della terra).
Si delinea, così, il quadro di insieme. Regno ha anzitutto un valore
dinamico: è la potestà esercitata. L'antagonista da superare è il potere
antitetico del drago, della bestia e delfalso profeta (16,13), oppure la
spinta avversaria delle forze negative che devono essere annientate
perché il regno si compia. Il realizzatore attivo del regno è Gesù ri-
sorto; mediante il suo dinamismo, vincendo e superando tutte le forze
ostili, egli attua il regno che è di Dio e suo: il Padre l'ha programmato,
egli lo realizza, i credenti - sciolti dai peccati, liberi e pronti ad agire -
cooperano con lui al divenire positivo della storia.

60
Prima parte (1,4-3,22)

3) Regnare. Il verbo ricorre sette volte nell'Apocalisse (5,10; 11,15.17;


19,6; 20,4.6; 22,5); nella quasi totalità delle ricorrenze significa procu-
rare il regno, inteso come impegno fattivo. Il verbo ha come soggetti
Dio e Gesù Cristo, che vengono celebrati perché, con l'attuarsi del loro
regno nel senso indicato, regneranno per i secoli dei secoli (Il, 15).
Rivolgendosi poi più direttamente a Dio, l'Autore lo esalta: hai preso
in mano la tua potenza, quella grande, e regnasti!, superando l'anta-
gonismo dell'ira delle genti (11,18; cfr. anche 19,6).
Regnare è detto anche - e con insistenza rilevante - dei credenti:
fatti regno e sacerdoti essi regneranno sulla terra (5, l O); il sa-
cerdozio, concretizzato come impegno nel procurare il regno, si
attua sempre necessariamente sulla terra, ma può essere esercitato
anche dalla vita ultraterrena: è il caso dei martiri protagonisti attivi
insieme a Gesù Cristo (20,4-6). Essi sono associati a lui: vissero e
regneranno con Cristo per mille anni (20,4 ); partecipi della sua vi-
talità attraverso la prima resurrezione, sono al di sopra dell'insidia
della condanna escatologica rappresentata dalla morte seconda. I
martiri saranno sacerdoti di Dio e di Cristo e regneranno con lui
per mille anni (20,6) perché, continuando a collaborare attivamente
all'instaurazione del regno, ne mediano storicamente la realizzazio-
ne; attraverso la loro azione contribuiscono all'affermazione sulla
terra del bene e della positività propri del regno, per combattere e
sconfiggere la potenza dominatrice del male, della quale essi stessi
sono stati le vittime.
C'è poi un altro significato. I credenti regneranno anche a livello
escatologico (22,5), parteciperanno cioè al regno di Dio, realizzato de-
finitivamente nel contesto di condivisione propria della Gerusalemme
nuova. È il regno posseduto e goduto.
Riassumendo. Il gruppo terminologico re, regno, regnare ha due tempi
di realizzazione: uno strettamente escatologico e uno situato lungo lo
svolgimento della storia. A livello di conclusione raggiunta, si tratta di
un regno a cui prendere parte gioiosamente. Negli stadi dello sviluppo
si ha invece un senso prevalentemente dinamico; protagonista di que-
sto senso attivo è Gesù Cristo, al quale viene partecipata la potenza
vittoriosa di Dio, per superare tutte le forze ostili. Primo frutto della
sua azione, come realizzatore del regno, sono i credenti, detti regno nel
senso di un risultato ottenuto; liberati, appartenenti totalmente a Dio,
regnano a loro volta, anch'essi in senso attivo, collaborando con Gesù
Cristo, nella fase di svolgimento della storia della salvezza e prima
della sua conclusione finale, sia nella dimensione terrena della vita sia
in quella ultra-terrena.

61
Commento

In considerazione di quanto è stato detto in precedenza, il sacerdozio


nell'Apocalisse appare nella luce suggestiva di una concezione nuova.
Tutti i credenti, divenuti come tali regno di Dio, devono favorirne il
divenire e sono chiamati a dare un contributo attivo al suo sviluppo
ulteriore.
Questa missione attiva viene interpretata arditamente in termini di
una mediazione sacerdotale. Essa coinvolge i credenti ancora viventi
sulla terra, ma anche i martiri che non se ne disinteressano. Conserva
lo schema di mediazione proprio del sacerdozio nelle Scritture, ma lo
applica al divenire della storia della salvezza. È una mediazione tutta
particolare: da una parte ci sono Dio Padre con il suo piano di regno
e Gesù Cristo impegnato attivamente nel realizzarlo; dall'altra c'è la
presenza delle forze ostili del male, che dominano ancora sulla terra e
costituiscono un contesto socio-politico negativo (re della terra).
La responsabilità regale e sacerdotale dei credenti li porta a sostenere
l 'urto della violenza e della sopraffazione non solo per conservarsi
regno, ma anche e soprattutto perché il regno si estenda ulteriormente.
Infatti essi si fanno portatori della forza liberante della morte e resur-
rezione di Gesù Cristo nel vivo della storia dell'uomo. Lo fanno con
la loro vita a contatto diretto con le forze negative, con la loro capacità
di tenuta, con le loro preghiere, eventualmente col loro martirio, e ad-
dirittura con un'azione misteriosa che, sempre nella linea del martirio
subìto e della presa diretta sulla storia che esso comporta, continua
anche dopo la morte fisica66 •
Ritorniamo al nostro contesto, illuminandolo con quanto abbiamo
osservato.
L'assemblea, liberata da Gesù Cristo, si sente fatta regno, sa di appar-
tenere completamente a Dio Padre e prende consapevolezza della sua

66
Questa capacità di mediazione sacerdotale in funzione del regno è riferita esplici-
tamente solo ai credenti. L'Autore dell'Apocalisse non ignora né sottovaluta l'azione
redentrice, ma non la presenta mai né la ripensa in categorie cultuali. L'uccisione di
Gesù, la sua vita donata, il suo sangue hanno una forza liberatrice e una portata di
effetto vastissime: creano, "fanno" quella dimensione religiosa che induce l'Autore a
chiamare esplicitamente sacerdoti solo i cristiani. Neppure nei cristiani tale sacerdozio
acquista una dimensione strettamente cultuale. Essi infatti mediano, procurando con
tutta l'attività della loro vita il divenire del regno di Dio e lo fanno a contatto diretto
col profano delle forze ostili. Anche quella parte della loro vita che si esprime in
termini di culto, come la preghiera e l'adorazione, è assorbita dalla loro mediazione
a contatto con lo svolgimento della storia: le loro preghiere mettono in moto il dina-
mismo di quella salvezza che supera il male (cfr. 8,1-5) e favorisce l'impianto del
regno negli altri.

62
Prima parte (1,4--3,22)

conseguente responsabilità attiva (sacerdoti); il Risorto ha fatto i com-


ponenti del gruppo sacerdoti a Dio Padre suo come li ha fatti regno.
Questa dimensione richiama l'altra e quasi la contiene.
Nello stesso tempo, la giustapposizione di regno-sacerdoti;fkx.aLÀELct.v
i.EpEi.ç fa pressione; si determina, nel/ettore/assemblea, una tensione:
il termine sacerdoti indica chiaramente una capacità attiva di media-
zione, donata da Gesù Cristo e orientata verso il Padre (fece noi...
sacerdoti a Dio e Padre suo!). Non si dice esplicitamente né l'ambito
né la modalità di questa mediazione. Solo in seguito, continuando e
approfondendo la sua esperienza, il gruppo di ascolto comprenderà che
il campo è la storia degli uomini, da portare, insieme a Gesù Cristo,
dal livello attuale a quello voluto da Dio Padre. La modalità apparirà
gradualmente come un regnare col Cristo, nel senso dinamico di coo-
perare con lui alla sconfitta del male.

- A lui la gloria e la forza per i secoli: amen! (a.ù-r:Q ~ Mça. Krt.L -cò
Kp(hoç Eiç 1:0Ùç rt.iwvrt.ç [-r:wv ct.iWVWV]" a~flv)

Il discorso riprende quell'orientamento verso Gesù Cristo che aveva


assunto fin dal primo momento (cfr. 5b: A colui che ci sta amando ... )
ma più in profondità, perché lo suppone conosciuto meglio: il suo
amore e la sua liberazione dai peccati si sono concretizzati nel dono
del regno-sacerdozio 67 •
Il movimento ascendente di questa celebrazione si basa sul contatto di
fede prolungato con Gesù Cristo; il lettore/ascoltatore ha imparato a
conoscerlo meglio, prendendo atto del suo amore continuato, dell'a-
zione liberatrice che ha già svolto, nonché dello sviluppo in crescendo
della sua presenza attiva, che così hanno dato luogo alla costituzione
dell'assemblea come regno-sacerdoti. Dopo aver preso coscienza delle
proprietà dinamiche di Gesù Cristo applicate alla storia e aver apprez-
zato l'impatto e l'efficacia della sua potenza, il gruppo di ascolto sente
l'esigenza di comunicarglielo. Sente di potergli dire, in certo modo,
quello che è, quello che gli appartiene come caratteristico, e lo fa con
gioia e gratitudine68 • Si tratta del riconoscimento della sua gloria e
della fiducia nella sua forza che tornano a lui come celebrazione.

o· Notare l'uso del pronome o:irt<jl che, di per sé, potrebbe essere omesso senza che il
testo perda chiarezza e che riporta la proclamazione nella direzione di Gesù Cristo.
'" L'autore ha una speciale attenzione per ciò che riguarda le vicende umane, i pro-
blemi e le tensioni che suscitano; è particolarmente sensibile verso le strutture di
segno negativo che vi si realizzano (rappresentate simbolicamente dalle immagini di

63
Commento

Dare gloria/06f,a. esprime l'assenso interiore gioioso; indica l'apertura,


la disponibilità a Dio e a Gesù Cristo, facendo perno sulla loro pre-
senza nella storia e sul valore della loro azione di liberazione continua
nei riguardi dell'uomo 69 • Questo, propriamente, apparirà soltanto in
21,11.23 come la realtà luminosa e trascendente di Dio che si comu-
nica e si partecipa all'uomo. Dare gloria allora significherà prendere
atto, rendersi conto della realtà di Dio, stimarla esplicitamente, farle
uno spazio di disponibilità e restituirla in termini di apprezzamento.
Questo movimento di restituzione, che parte dali 'uomo e termina in
Gesù Cristo, significherà riconoscere, apprezzare, desiderare la sua
realtà tipica che gli appartiene esclusivamente: la resurrezione (cfr.
l, 17 b-18). La gloria di Gesù Cristo è la sua vitalità di risorto, che egli
tende a comunicare e partecipare all'essere umano.
L'energia tipica di resurrezione è laforza/Kplhoç, propria di Gesù
risorto, che appartiene a luila.ìm~ in quanto risorto e che egli applica
alla storia dell'uomo. Il gruppo di ascolto, sempre in termini di fede, se
ne accorge, ne prende atto, la sa riconoscere operante ed efficace nella
storia e l'attribuisce a Cristo, che ne è la vera origine.
L'espressione per i secoli!EÌ.ç toùç a.ì.wva.ç si riferisce alla storia umana,
che procede svolgendosi in periodi (a.i.wva.). Tutti i tempi, tutti i mo-
menti sono raggiunti dali' efficacia della forza di resurrezione di Gesù
Cristo. Qui si tratta di un primo contatto; quando la presenza di questa
forza sarà avvertita esplicitamente, si avrà il superlativo ebraico per
i secoli dei secoli!toùç a.ì.wva.ç rwv a.ì.wvwv che indica un tempo qua-
litativo, non di durata. Si dirà, cioè, che la forza del Risorto, presente
e attiva nelle vicende umane, moltiplica il tempo qualitativamente, a
prescindere dalla durata. Il tempo dell'uomo sarà allora, pienamente,

Babilonia, dei re della terra, della prima e seconda bestia) ed enfatizza il significato
dell'azione combattiva e liberante di Gesù Cristo per la storia che è mossa dall'amore.
Alla base di questo movimento di attribuzione (a lui/a.{rcQ) c'è, dunque, il suo amore
continuato per l'uomo.
69
Non si tratta, certo, della gloria come "clara cum laude notitia", la celebrità dalla
quale Cicerone era particolarmente attratto (cfr. CICERONE, Tuscu/anae disputationes
V, 8, 21-23).11 termine 06.;a. traduce l'ebraico ,;::lf che significa peso, valore, ricchezza
e prestigio; usato come predicato di Dio o di qualcosa di suo indica la gloria, la pre-
senza e la manifestazione divina nella storia dell'umanità; cfr. L. ALONSO ScHèiKEL,
Dizionario di ebraico biblico (ed. M. ZAPPELLA) (I Dizionari San Paolo; Cinisello
Balsamo 2013) 377-378. Ricorre più volte nell'Apocalisse con l'espressione caratteri-
stica dare gloria rivolta a Dio o a Gesù Cristo (cfr. 4, Il; t 1,13; 14,7; 16,9; t 9,7); non
si tratta certo di un dare vero e proprio, incompatibile con la trascendenza divina, ma di
un offrire, o meglio restituire, in termini di interiorità. Varie volte, come nel nostro caso,
tale movimento espresso da dare è sottinteso ma presente (cfr. 4,11; 5, 12-13; 7,12).

64
Prima parte (1,4--3,22)

il tempo di Gesù Cristo e di Dio Padre (cfr. 1,18; 4,9.10; 5,13; 7,12;
10,6; 11,15; 14,11; 15,7; 19,3; 20,10; 22,5).
L'amen chiude questa dossologia; il termine ricorre 8 volte nel libro
deli' Apocalisse, con il significato di veramente, certamente (l ,6. 7;
5,14; 7,12 [2x]; 19,4; 22,20)1° e solo in un caso (3,14) assume il valore
di attributo di Gesù risorto, detto appunto l'Amen/o 'A~~v. Deriva dalla
radice ebraica lCK che significa essere stabile, sicuro, degno di fiducia;
ricorre soprattutto come risposta ad affermazioni importanti (cfr. Nm
5,22; Dt 27,15-26[12x]; IRe 1,36; Ne 5,13; Ger 11,5; 28,6) e, spesso
ripetuto due volte di seguito, in forma corale nelle preghiere (cfr. Ne
8,6; Sal41, 14; 72, 19; 89,53). Nella liturgia l'amen conclude: riassume
e indirizza la celebrazione o la preghiera verso Dio, in una tensione
di desiderio; questo accade in generale, e in modo del tutto speciale
nell'Apocalisse (cfr. 1,6.7; 5,14; 7,12[bis]; 19,4; 22,20). È il così sia di
risposta della comunità ecclesiale alla fedeltà dell'amore di Dio.

l ,7 (Lettore) 1,7 (Lettore)


'lòoù Ecco [guarda]:
EPXEtO:l!JHÌl tWV VE<j>EÀWV, Sta venendo con le nubi
KO:L olj!EtO:l o:ÙtÒv niiç ò<j>9o:À!JÒ<; e lo vedrà ogni occhio
- KO:L o'(nvEç O:ÙtÒV EçEKÉVtT]OO:V -, -e (sono) coloro che lo trafissero-,
Ko:t Koljlovto:L Èn' o:ùtòv niioo:L o:l e si batteranno il petto su di lui tutte
<j>uÀo:L tfìç yfìç. le tribù della terra.

-Ecco [guarda]: Sta venendo con le nubi ('Iooù EPXEtaL ~Età twv
VE4JEÀWV)

La ripresa del dialogo da parte del lettore ha il tono caratteristico di un


oracolo profetico, introdotto dal termine ecco, guarda!/Loou, che ha lo

··)Nel NT lo incontriamo 129 volte, spesso pronunciato da Gesù stesso in apertura dei
suoi discorsi: ÙflJÌVAÉyw ... (cfr. Mt 5,18.26; 6,2.5.16; 10,15.23.42; 11,11; 18,3.13.18;
19,23.28; 25,12.40.45; 26,21.34; Mc 3,28; 8,12; 9,1.41; 10,15.29; 14,9.18.25.30; Le
-t24; 12,37; 18,17.29; 21,32; 23,43). Nel Quarto Vangelo ricorre, per 25 volte, la
formula caratteristica Ùfl'JÌV àfl'JÌV 'U:yw ... (cfr. Gv 3,3.5.11; 5,19.24.25; 6,26.32.47.53;
IO, 1.7; 13,20.21.38; 16,20.23; 21, 18). Tale uso è del tutto originale, non ci sono altri
esempi nell'antica letteratura ebraica: Gesù si fa garante di ciò che afferma, asserendo
che le sue parole sono degne di fiducia e corrispondenti alla verità. Le prime comunità,
adottando questo termine nelle assemblee liturgiche, lo hanno lasciato invariato e tra-
smesso come riconoscimento della stabilità e fedeltà della parola di Dio. Sul termine
\'edi H. SCHILLER, "àfll\v", GLNT I, 909-916.

65
Commento

scopo di richiamare l'attenzione del lettore/ascoltatore su quanto sta


per avvenire e sottolineame l'importanza71 •
Esiste un contatto letterale con Dn 7, 13: Ed ecco con le nubi del cielo
come un figlio di uomo stava venendo (TM: Q:i~~ ;~:p lt~QQ:i ·mrc11 ~,~~ at:7
·? ')try~ n',::) :-nn; LXX: Kal ì.ooù È1TL tWV VE<f>EÀWV tOU oupavou wç ul.òç
av9pwTiou ~PXEto; LXX/TH: KaL Ì.OoÙ iJ.EtÙ tWV VE<f>EÀ.WV tou oupavou Wç
ul.òç à.v9pwTiou ÈPXOIJ.EVoç ~v). Il termine nube, secondo il simbolismo
costante nell' AT, esprime la situazione di trascendenza72 ; le nubi infat-
ti stanno a metà tra il cielo, zona di Dio, e la terra, zona degli uomini:
dividono, in un certo senso, le due zone, ma si possono vedere sia
dali 'uno che dali' altra. Il personaggio denominato figlio del/ 'uomo
appartiene alla sfera divina; nell'Apocalisse questo titolo viene riferito
a Gesù risorto, che però nel nostro versetto non viene nominato. L'e-
spressione simile a un figlio di uomo, tipica e in rilievo nel testo di
Daniele, qui viene tralasciata, ma sarà ripresa esplicitamente in segui-
to in l, 13 e 14, 14; la trascendenza che evocano o suggeriscono le nubi
si riferisce a Gesù Cristo, visto nelle sue prerogative divine, ma in
rapporto con gli uominF 3 •
Il valore di presente continuato attribuito al verbo venire (sta
venendo!ÈpxEtaL) 74 richiama esplicitamente il passo di 1,4 (Colui che
sta venendo/ò ÈPXOIJ.Evoç): proprio attraverso la venuta di Gesù Cristo

71
Il termine loou riprende l'ebraico ;,m, può essere inteso con valore avverbiale o di
imperativo e viene tradotto con ecco, guarda! (Gesenius traduce: "Sihe da!", s.v.).
Nell'Apocalisse ricorre 26 volte sempre con lo scopo di attirare l'attenzione del letto-
re/ascoltatore (cfr. 1,7.18; 2,10.22; 3,8.9[2x).20; 4,1.2; 5,5; 6,2.5.8; 7,9; 9,12; 11,14;
12,13; 14,1.14; 16,15; 19,11; 21,3.5; 22,7.12). Nel nostro testo traduce l'ebraico ~il:t1
di Daniele: ma mentre in quest'ultimo si tratta di Wla visione in svolgimento, con un
certo filo letterario narrativo, nel nostro brano l'espressione ha appWlto la funzione di
stimolare l'attenzione del gruppo di ascolto. Sull'argomento vedi V. M. ARMENTEROS
CRuz, "Mira por donde: Impacto de los marcadores visuales 'hinneh' (;"tJ;"t) e 'idou'
(loou) en Daniel y Apocalipsis", DL 12 (2013) 21-73.
72
Cfr. A. 0EPKE, "~$ÉÀTJ, vÉ$oç", GLNTVII, 905-928.
73
Per l'analisi della figura del.fig/io dell'uomo si rimanda all'esegesi di 1,13. Cfr.
anche B. ScHWANK, '"Behold he cometh with clouds'. Apoc 1,7'', NTS 5 (1958) 127-
132.
74
La traduzione di EPXHilL al presente continuato invece che al futuro è giustificata,
oltre che dalla forma grammaticale, dalla traduzione della Vulgata (ecce venit) e dal
fatto che lùou usualmente è seguito da Wl verbo al presente. Questa traduzione cor-
risponde esattamente al testo aramaico :1~;:1 :1J}I(t, e al greco LXXITH ÈPXOIJ.EVoç ~v.
Sulla rilevanza e continuità del tema della venuta nell'Apocalisse e nella letteratura
giovannea, vedi J. F. TORIBIO CUADRADO, "Stilizzazione liturgica della venuta di
Cristo nell'Apocalisse", Apokalypsis, 479-500.

66
Prima parte (1,~3,22)

si realizza nella storia la venuta di Dio. La forma perifrastica sta ve-


nendo esprime meglio la continuità dell'azione, che acquista ancora
più rilievo perché è collegata con successivi verbi al futuro (1,7b.c);
la venuta è già iniziata e si realizza continuamente in tutto l'arco della
storia. Le modalità di questa venuta intrastorica saranno suggerite
nella proposizione conclusiva del versetto.

-e lo vedrà ogni occhio- e (sono) coloro che lo trafissero- e si bat-


teranno i/ petto SU di fui tutte /e tribÙ del/a terra (KaÌ. OljfE"taL aÙ'tÒV Tiiiç
6<jJ8aÀIJ.Òç - KaÌ. ohLVEç aù-ròv È/;EKÉV'tTJOav - KaÌ. Koljfov-raL ÈTI' aù-ròv
:riicraL ai <j>uÀaÌ. -rfJç yi'Jç)

Poiché abbiamo inteso la venuta di Gesù Cristo come azione conti-


nuata nel tempo, avremo un "vedere" parallelo, disseminato anch'es-
so in tutto il decorso della storia, che ha per oggetto proprio lui che,
portatore della ricchezza della sua trascendenza, viene in contatto con
l'uomo 75 • Una volta conclusa la venuta con l'approdo escatologico, si
avrà una visione globale di Gesù Cristo fattosi continuamente presente
nella storia, una percezione piena, corrispondente alla pienezza della
venuta realizzata definitivamente.
La proposizione successiva e (sono) coloro che lo trafissero costituisce
una parentesi esplicativa che si inserisce tra la precedente (lo vedrà
ogni occhio) e la seguente (si batteranno il petto ... ), illuminando l'una
e l'altra: coloro che vedranno e si batteranno il petto sono anche coloro
che /o trafissero. La frase non dice chiaramente chi siano quelli che lo
hanno ucciso, ma sottolinea che anch'essi lo guarderanno con fede e
saranno addolorati per lui.
L'ultima parte del versetto mostra un contatto letterale con Zc
12, l 0-14, ma il testo presenta notevoli difficoltà anche sotto il profilo
della critica testuale. Si può ricostruire e tradurre così: Effonderò sulla
casa di Davide e sugli abitanti di Gerusalemme uno spirito di benevo-

·; Qualora si dia a €pxetln il senso di futuro, allora il verbo olfrnm indicherà la visione
piena di Cristo quale si avrà al momento del compimento finale. Intendendo €pxna~
come futuro escatologico, si dovranno collocare sullo stesso livello olfrnm e Ko\frovta~.
Si avrebbe un'allusione al "giudizio universale" che resta, però, inevitabilmente
nel vago; si vedano le varie interpretazioni proposte di Ko\frovta~: lamento funebre
(KoTTnoç: vedi G. ST.i.HLIN, "KoTTEtoç, KoTTtw, àTToKoTTtw, loyKoTT~, loyKoTTtw, È'KKoTTtw",
GLNT V, 777-858) oppure collegamento con la celebrazione eucaristica (H. Kraft).
Ulteriore perplessità sull'interpretazione escatologica di 1,7 deriva dal confronto con
il brano sul giudizio ultimo (Ap 20, 11-15), dove l'Autore presenta un quadro com-
pletamente diverso.

67
Commento

lenza e di consolazione: guarderanno a me, colui che avranno trafitto


(TM: ,,i?:r-,~~ n~-~~ ,~'::li11; LXX: Ko:ì. Èm~ÀÉIJmvmt Tip6ç IlE &ve' wv
Ko:-rwxp~ao:v-ro ). Ne faranno il lutto (TM: ,~9~:P 1'7~ ,,~91; LXX: Ko:Ì.
KotJmv-ro:L È'fT' o:ù-ròv KOTIETov) come si fa lutto per il figlio unico.. .farà
lutto il paese (TM: nJ:t~ i1,"!~91; LXX: KO:Ì. KOIJ!ETO:L ~ Y"iì) così tutte le
altre famiglie a parte... (TM: ,?t, nhild~ nhil~~ ni,l(t~~;:r ninil~~;:r ':lj;
LXX: miao:t o:L t1JuÀo:Ì. o:L ÙTIOÀEÀEI-11-LÉVo:t t1JuÀ~).
Dopo l'uccisione, con un atteggiamento interiore positivo, tutti volgono
lo sguardo a colui che è stato ucciso e manifestano il loro cordoglio.
Nell'antichità il gesto di battersi la fronte o il petto indicava la ripercus-
sione interiore, intensa e personale, di una situazione di dolore e/o lutto.
Inoltre il riferimento al testo di Zaccaria è in parallelo con quello del
IV Vangelo (Gv 19,37)16 , che presenta lo stesso schema: nei riguardi
di Gesù si verificherà quanto accaduto al personaggio misterioso di cui
parla il profeta. Il volgere lo sguardo verso colui che trafissero dell'e-
vangelista si riferisce alla presa di coscienza di un legame personale
e, in prospettiva positiva, con Gesù crocifisso che riflette la luce della
resurrezione.
Su questo sfondo si precisano le implicazioni della venuta continuata,
intrastorica di Gesù; guardandolo, percependo la sua presenza-venuta,
si avverte un rapporto intenso e personale con lui; colui che sta venen-
do con le nubi è il crocifisso-risorto che si fa presente nella storia degli
uomini, raggiungendoli tutti (tutte le tribù della terra) e interpellandoli
continuamente, fino alla conclusione della storia della salvezza.

1,7 (Assemblea) 1,7 (Assemblea)


Na(, à.j.l~V Sì. Amen!

La frase esprime la reazione del gruppo di ascolto all'oracolo di 7a. Il


messaggio accolto si trasforma in preghiera; sì. Amen! è la risposta che
indica comprensione e accettazione.

76
Si ha una corrispondenza stringente con Gv 19,37: "E un'altra (parte della) Scrittura
dice: 'Volgeranno lo sguardo [oi(IOvtaL, strettamente corrispondente a oljlnaL di 1,7]
verso colui che trafissero [E~EKÉVtT)oav, perfettamente corrispondente a É~EKÉvtT)oav di
Ap 1,7]"', che richiama il testo di Zc 12,10. Il IV Vangelo si riferisce ai Giudei (cfr.
Gv 18,28-19,16; vedi specialmente 19,15), che insistono presso Pilato per la condan-
na di Gesù. L'Autore dell'Apocalisse, che si sente profeta del suo popolo, si esprime
con un oracolo e presenta, in prospettiva costruttiva, il cammino religioso che porterà
nella Gerusalemme nuova. Vedi per un approfondimento e una documentazione U.
VANNI, "Da Paolo all'Apocalisse: il cammino religioso dei giudei", Paolo di Tarso.
Archeologia-Storia-Ricezione. II (ed. L. PADOVESE) (Cantalupa, TO 2009) 57-84·

68
Prima parte (1,4-3,22)

In corrispondenza applicativa con si batteranno!Ko\jlovt"aL, coloro che


ascoltano dicono sì. È la reazione alla presenza interpellante di Gesù
crocifisso-risorto, che il gruppo percepisce ed accetta, con tutte le sue
implicazioni. L'accettazione attuale, con tutto il coinvolgimento che
comporta, punta anche verso il futuro e si trasforma così in preghiera:
così sia, amen!

l ,8 (Lettore) l ,8 (Lettore)
"Eyw Elf.LL "lo sono
(A) tÒ èiJ~.cf>o: KO:Ì. tÒ •Q (A) l'alfa e l'omega
- ÀÉyEL KUp wç ò 8Eoç - - lo dice il Signore Dio! -
(B) Ò WV Ko:Ì. Ò ~V KO:Ì. Ò ÈpXDf,J.Evoç (B) Colui che è ed era e sta venen-
(C) ò Tio:vtoKpti-rwp. do
(C) colui che domina tutto".

Al culmine del dialogo liturgico, l'Autore fa intervenire direttamente


Dio nel discorso, seguendo lo stile dei profeti dell' AT. E lo fa in un
modo caratteristico: è talmente convinto di parlare a suo nome daini-
ziare ex abropto con un'autodefinizione Io sono!Éyw Elf.LL. Solo quando
l'autodefinizione si è già sviluppata, sottolinea il fatto che è proprio
Dio che sta parlando (lo dice il Signore Dio/)71 •
La definizione io sono riprende, con tutta probabilità, Es 3,14 e si
aggancia al v. l ,4 colui che è/o wv; il fatto che Dio parli di sé e si de-
finisca conferisce al contesto un peso teologico tutto particolare, che
punta al massimo di comprensione di Dio.
L'identificazione si sviluppa in un parallelismo sinonimico progressivo
di tre frasi (indicate sopra con A, B, C), dipendenti direttamente da io
sono, come mostra la costruzione del versetto: manca, infatti, la con-
giunzione e tra le tre locuzioni.
L'espressione l'alfa e /'omega/•Ò li>..<f>a KaÌ. •Ò "'Q, in questa forma pre-
cisa, sembra originale del nostro Autore 78 • Con un'immagine nuova,

- Si tratta di uno stico parentesi che ha lo scopo di rimarcare il contenuto. Nel nostro
\ersetto, introducendo Dio nel dialogo, evidenzia il fatto che la definizione deriva
direttamente da lui.
., Esistevano altre formule, come quella tradizionale: osservare la Torà da alef a
rau. La dipendenza letteraria di quella del versetto da Is 41,4: lo sono il primo e l'ul-
timo, non è dimostrata né appare molto probabile, dato che nell'Apocalisse ricorre
un'espressione perfettamente corrispondente in 2,8 (ò npwtoç KO:L ò ~oxo:toç). Sul
significato della formula e per tutti questi riferimenti si rimanda allo studio di W. J. P.
BoYD, '"l am the Alpha and Omega' (Rev 1,8; 21,6; 22,13)", Studia Evangelica. Il.

()Q
Commento

viene indicata, mediante i due estremi, non solo tutta la serie omoge-
nea dell'alfabeto, ma anche il movimento in avanti dato proprio dallo
scorrere delle lettere. Questa frase, attribuita a Dio Padre, significa che
egli è presente all'inizio e alla fine degli eventi storici e così pure nella
loro successione; egli ha in mano tutto lo svolgimento delle vicende
umane, la vita di ciascuno e di tutti. Noi siamo un segmento della sto-
ria universale, una lettera dell'alfabeto di Dio; non sappiamo quale, ma
certamente facciamo parte di questa sequenza.
Poiché nel decorso del libro apparirà chiaramente che tutti gli attributi
dinamici di Dio, riguardanti la storia e gli avvenimenti, passano in
Gesù Cristo risorto, la stessa espressione in 22,13 (lo l'alfa e l'omega,
il primo e l 'ultimo, l 'inizio e la conclusione) riferita direttamente a lui
conferma che anche i titoli e le qualità divine gli appartengono.
La seconda frase del parallelismo sinonimico Colui che è ed era e sta
venendo determina la prima. Riprendendo l'espressione di 1,4 ci dice
che la presenza attiva di Dio nella storia si è manifestata nel passato
(che era), è presente adesso (che è) ed è in movimento, per rivelarsi
con continuità nel futuro (che sta venendo). E poiché il venire di Dio
(ÈPXOIJ.EVoç in 1,4; 1,8) è collegato con quello di Gesù Cristo (Épxnat
in l, 7), l'Autore ci suggerisce che la venuta del Padre si realizzerà
mediante quella del Figlio. Dio si immerge negli avvenimenti storici
attraverso Gesù risorto e questi ci condurrà a lui.
Il terzo elemento del parallelismo sinonimico progressivo determina al
massimo il senso di Dio presente nella storia; è una presenza di forza
('rravro-Kpar-wp:forza per tutto). Tutta la storia, anche i fatti più scon-
certanti, e la vita di ogni essere umano dipendono direttamente da Dio
e sono sotto il suo potere. Siamo nelle mani di Dio, colui che domina
tutto e che mette la sua onnipotenza a servizio degli uominF9 •
Dato che in l ,6b la forza per i secoli era stata riconosciuta a Gesù
Cristo, si può rintracciare, anche qui, una spinta nella sua direzione.
Apparirà, nel decorso del libro, che non solo la presenza-venuta di Dio
nella storia si realizzerà tramite Gesù risorto, ma anche l'applicazione
della forza divina si concretizzerà per mezzo di Cristo-agnello.

Papers presented to the Second Intemational Congress on New Testament Studies held
at Christ Church, Oxford, 1961 (ed. F. L. CRoss) (TU 87; Berlin 1964) 526-531; cfr.
anche KrrrEL, "A Q", GLNTI, 5-12.
79
È risaputo come in epoca ellenistica il termine TiavroKpoctwp venisse usato come
titolo imperiale; nell'Apocalisse è riferito a Dio 9 volte (1,8; 4,8; 11,17; 15,3; 16,7.14;
19,6.15; 21,22) e indica l'onnipotenza divina applicata sempre e dovunque nell'ambito
dei fatti umani.

70
Prima parte (1,4-3,22)

2. L'incontro con Gesù Risorto nel giorno del Signore


(1,9-20)

2.1. Profilo letterario e teologico

Il testo presenta un contatto contestuale che, in alcuni punti, diventa


letterale con Dn l O, 1-21 e che consiste nella ripresa dello schema in
esso contenuto 80 •
Possiamo visualizzare, in un prospetto sinottico, i punti di contatto più
significativi tra i due testi:

Indicazioni del luogo e altre circostanze


concrete: Dn 10,1-4 Ap 1,9-11
apparizione "trascendente": Dn 10,5-6 Ap 1,12-16
reazione di debolezza da parte di colui che
vede: Dn 10,7-9 Ap 1,17a
intervento di colui che appare e conferimen-
to di un incarico: Dn 10,10-21 Ap 1,17b-20

C'è un contatto contestuale anche con la trasfigurazione (M t 17, 1-9;


Mc 9,2-1 O; Le 9,28-36), avvalorato dalla presenza di alcuni elementi
comuni: luogo, apparizione trascendente, reazione di debolezza, in-
carico, enfatizzazione del colore bianco e la faccia di Gesù come sole
(Mt 17,2).
Un qualche contatto de li' Apocalisse coi sinottici, almeno a livello di
tradizione, è probabile.
Dopo il dialogo liturgico intrecciato tra il lettore e l'assemblea (cfr.
l ,4-8), si ha ora un discorso diretto e continuato, sempre rivolto al
gruppo di ascolto, anche se le reazioni di quest'ultimo non sono in-
dicate esplicitamente. Il discorso diretto si protrarrà per tutto il libro,
divenendo di nuovo dialogo liturgico nella parte finale (22,6-21 ).
Il tema del brano è l'incontro travolgente con il Risorto da parte
de li' Autore, che lo partecipa a tutta l'assemblea. Questa esperienza
personale è possibile grazie alla trasformazione operata dallo Spirito
Santo (divenni nello Spirito), che produce in lui un'apertura partico-
lare nei riguardi della trascendenza intima e talmente coinvolgente da
doverla condividere. Lo Spirito entra n eli' Autore, "diviene" in lui,
lo trasforma, lo rende capace di cogliere la ricchezza trascendente
propria di Gesù Cristo (cfr. 1,12-20) e di parteciparla agli altri. Per co-

so Vedi U. VANNI, L 'Apocalisse, 115-116; cfr. anche MANuNzA, L 'Apocalisse, 73-161,


che presenta uno studio esegetico-teologico del brano di Ap 1,9-16.

71
Commento

municare la sua vicenda personale, l'Autore ricorre al suo patrimonio


"genetico" che sono le Scritture, e in questo modo le caratteristiche di
Dio passano spontaneamente a Gesù, sottolineando, senza strappi, la
sua divinità; e poiché il mistero divino rimane sempre inafferrabile e
ineffabile, egli usa il linguaggio simbolico che, con tutta la versatilità
che contiene, gli permette di far sentire e quasi sperimentare la vitalità
travolgente del Risorto.

2.2. Esegesi dei versetti

1,9 1,9
'Eyw 'IwavVT]c;, Io, Giovanni,
Ò ÙOEÀcjlÒç Ù~WV KaÌ. OUYKOLVWVÒç il vostro fratello e compartecipe
Èv ·dj SÀLijiEL Kat ~aaLÀEL~ Kat nella tribolazione e regno e perse-
ùn~ovfl Èv 'IT)OoG, veranza in Gesù
ÈyEVD~llV Èv tfj V~a~ tfj KaÀOUIJ.ÉVIJ venni a trovarmi nell'isola denomi-
rra-r!J.~ nata Patmos
6tà tòv J..oyov tou 8Eou Kaì. t~v a causa della parola di Dio e della
!J.aptup(av 1T)Oou. testimonianza di Gesù.

-Io, Giovanni, il vostro fratello e compartecipe ('Eyw 'IwavvT]ç o


à&:ì..<j>Òç UjlWV KIÙ auyKotvwv6ç)

L'Autore fa parlare il protagonista ideale, Giovanni, in prima persona,


secondo l 'uso costante della pseudonimia apocalittica. Il nome Gio-
vanni- che ricorre in 1,1.4.9 e 22,8- attira l'attenzione proprio sulla
figura del protagonista letterario. Qui, come nelle altre ricorrenze, sot-
tolinea un contatto con il gruppo di ascolto a cui il messaggio è rivolto.
Il termine fratello!à&:ì..<j>oç ricorre ne li' Apocalisse 5 volte (l ,9; 6, Il;
12, 10; 19, l O; 22,9) e ha sempre un contenuto ecclesiale esplicito. È
usato col valore, tipicamente cristiano, di appartenenza paritetica alla
medesima famiglia spirituale. L'uso dell'Apocalisse sottolinea la reci-
procità dei vari servizi e delle situazioni ecclesiali.
L'aggettivo compartecipelauyKotvwvoç (così come il verbo
auyKowwvfiw) indica, nell'uso del NT, la condivisione attiva rispetto
a un gruppo che, o come punto di partenza o di arrivo, costituisce
sempre l'elemento determinante (cfr. Rm 11,17; ICor 9,23; Fill,7;
per il termine auyKotvwvÉw vedi Ef 5, Il; Fil 4, 14; e in particolare Ap
18,4). Nel nostro contesto prolunga e specifica il sostantivo fratello:
la solidarietà pari teti ca col gruppo ecclesiale, al quale Giovanni/Au-

7?
Prima parte (1,4-3,22)

tore si rivolge, si esprime e si concretizza in una condivisione attiva


che verrà subito determinata.

-nella tribolazione e regno e perseveranza in Gesù (Èv ttì 9Ht1rEL Ko:Ì.


l3a.oLÀEL~ KctÌ. Ù1TOIJ.OvlJ Èv 'IT}OOU)

Esaminiamo più da vicino i tre termini che costituiscono il legame


tra Giovanni e la comunità alla quale sta parlando, per procedere poi
ali' esegesi complessiva della frase.
l) Tribolazione!fU(ttrLç indica, anche in forza del suo significato base
(9H~w: comprimo), una situazione di sofferenza proveniente dall'am-
biente in cui si vive. Nell'uso tipico dell' Apocalisse 81 , appare una
costante della vita del credente e una realtà contemporanea al gruppo
ecclesiale, ma continuamente seguita da Dio (2,9 .l 0.22). Presenta an-
che una gradualità: in 2,10 è detta limitata nel tempo (dieci giorni) 82 ;
in 2,22 è grande (9Httrw 1-J.EyaÀTJv), perché è una prova particolarmen-
te impegnativa e potrebbe portare a un cambiamento di vita; in 7,14
costituisce l'occasione-limite nella quale il credente rende, in un certo
senso, assoluta la sua scelta di Gesù Cristo (questi sono coloro che
stanno venendo dalla tribolazione, quella grandelot ÈPXOIJ.EVOL ÈK tf]ç
eHttrEwç tf]ç IJ.EYtlÀTJç) e può diventare particolarmente rilevante, con un
massimo di intensità83 •
Possiamo sintetizzare: dovendo sempre andare controcorrente rispetto
all'ambiente in cui vive, il credente incontrerà nella sua vita una serie
di difficoltà che porteranno sofferenza. Il gruppo ecclesiale, consape-
vole di questo, saprà poi nel suo discernimento sapienziale valutare la

1
' Anche se un contatto letterario coi sinottici (M t 24,21) - come la postula Skrinjar-
non appare dimostrabile, rimane vero che, al di là di una dipendenza diretta, la tribo-
lazione è un concetto tipico nella scuola apocalittica: si riferisce a una situazione di
tensione, di difficoltà che poi dà luogo al regno messianico.
2
' Nelle Scritture il numero dieci, con i suoi multipli, indica totalità e stabilità.

Secondo il simbolismo numerico de li' Apocalisse, invece, il numero dieci è sempre


collegato con il male (cfr. 12,3; 13,1; 17,3.7; 17,12.16) e rimanda all'idea di brevità
e relatività; in 2,10 significa che la situazione di disagio e di sofferenza sarà sempre
sotto il controllo attento di Dio.
3
' Riguardo a quest'ultimo caso (Ap 7,14) si pone il problema della sua collocazione

cronologica: si tratta o no della tribolazione sinonima delle "convulsioni escatologi-


che" (cfr. H. SCIDLLER, "8HPw, 8:1.hlaç" GLNTN, 515-542) e che precedono la fine?
L'assenza di un riferimento esplicito al termine del contesto immediato- sempre di
7,14- suggerisce di intendere l'intensità della tribolazione in senso qualitativo piut-
tosto che strettamente cronologico: è il massimo della tribolazione, la prova decisiva
attraverso la quale i credenti dovranno passare per arrivare al regno messianico.

73
Commento

portata della tribolazione in cui di fatto si trova: potrà essere costante,


ma sarà sempre sotto il controllo di Dio; potrà assumere dimensioni di
intensità particolare, fino a diventare la prova decisiva che dà luogo al
regno messianico.
2) Regno, nell'Apocalisse, indica soprattutto la potestà regale attiva
(cfr. 11,15; 12,10; 16,10; 17,12; 17,17.18)84 • In altre ricorrenze (1,6.9;
5,10), visto il contesto, assume il significato di regno effettuato. I cre-
denti, per effetto del dinamismo sprigionato da Gesù re crocifisso (cfr.
Gv 19, 19-22), sono fatti regno, nel senso di appartenenza piena al suo
regno nuovo. In questa situazione saranno poi chiamati a collaborare
attivamente al divenire storico del suo regno nel mondo. Pertanto, fatti
regno, i credenti hanno anche una responsabilità regale.
3) Perseveranza!ùnof.LoviJ: di uso relativamente frequente nell' Apo-
calisse (1,9; 2,2.3.19; 3,10; 13,10; 14,12), ha come significato fonda-
mentale capacità di sostenere, di sopportare, di tenuta e di resistenza
sotto pressione. Tale capacità si evidenzia nelle circostanze difficili
ed è collegata con la fatica (2,2.3); appare in rapporto particolare col
Gesù della vita comunitaria (cfr. 3,10). Deriva da lui, è un dono suo;
è la conclusione che viene raggiunta nel discernimento comunitario,
durante il decorso del libro, a proposito dei momenti drammatici della
vita del credente (13,10; 14,12).
I tre termini si illuminano a vicenda e costituiscono un'espressione
unitaria determinata dali 'unico articolo posto davanti al primo sostan-
tivo e dalle due congiunzioni. La tribolazione è la difficoltà costante
che il credente incontra nel rimanere regno e nell'esercizio della sua
potestà regale; ciò comporta la necessità imprescindibile della perse-
veranza protratta e questa si ottiene in contatto con Gesù Cristo risor-
to, condiviso nell'assemblea liturgica85 •

84
Il termine può assumere in greco una gamma piuttosto vasta di significati: dominio;
potere regale; diadema; regno nel senso usuale. Cfr. H. G. LIDDELL - R. Scorr- H.
S. JONES, A Greek-English Lexicon (Oxford 1982) 309.
85
In contatto con Gesù risorto e grazie al suo influsso, il credente supera l'impatto
doloroso della tribolazione senza !asciarsene schiacciare; riesce a guardare oltre, con
la fiducia robusta di chi sa condividere il regno. La resistenza nelle situazioni negative
e la speranza, vissute nella condivisione liturgica, acquistano una valenza comunita-
ria. Non è la persuasione banale del "tutto passa", ma la scelta di un atteggiamento
di fondo, costituito dalla volontà di guardare in faccia gli eventi storici, anche i più
sconcertanti, mantenendo realisticamente la speranza e l'affidamento totale a Dio.

74
Prima parte (1,4--3,22)

-venni a trovarmi nell'isola denominata Patmos a causa della pa-


rola di Dio e della testimonianza di Gesù (ÈyEVO~llV Èv tiJ v~OliJ tiJ
KUÀOWÉV1J llth~!iJ 6u\: tÒV Àoyov 'tOU 8Eou KUÌ. 't~V ~aptup(av 'lllCJOU)

Giovanni/Autore si trova relegato nell'isola di Patmos 86 , fisicamente


separato dalla sua comunità, ma con la quale si sente in stretta comu-
mone.
E poiché, nell'Apocalisse, il verbo divenire/y(vo~aL (nelle sue 38
ricorrenze) non è mai sinonimo di essere e conserva il suo valore di
fondo, indica qualcosa di nuovo, qualcosa che ancora non è accaduto
e che accade, un qualche cambiamento rispetto a una situazione pre-
cedente87. Pertanto ci dice non semplicemente che Giovanni/Autore
si trova sull'isola, ma che questo trovarcisi comporta un mutamento
rispetto alla sua situazione precedente: vi era stato portato.
Patmos era considerata un luogo di pena, che comportava almeno la
relegazione, come ci attesta Plinio 88 • La testimonianza dell'Apocalisse
viene ripresa e confermata da una tradizione solida. La troviamo atte-
stata negli Acta Johannis (Il sec.), nelle due redazioni in cui ci sono
pervenuti: in quelli più completi si parla di una relegazione nell'isola
di Patmos dove "fu fatto degno di vedere la manifestazione del com-
pimento finale"; negli Acta Johannis (recensio) la tradizione è più
articolata: Giovanni è relegato temporaneamente a Patmos dall'im-
peratore. La motivazione della relegazione, diversa da quella indicata
nell'Apocalisse, mostra che gli Acta hanno raccolto una tradizione
indipendente 89 •
Con molta probabilità, c'è stato un soggiorno temporaneo di Giovanni
l'apostolo a Patmos, voluto dall'autorità a causa (6La) della predica-

" Si tratta dell'odierna Patmo, un'isola dell'arcipelago delle Sporadi meridionali,


nell'Egeo.
,-Cfr. BAUER-ALAND, Griechisch-deutsches Worterbuch, 320-321: vedi specialmente
321, dove proprio ad Ap l ,9 è attribuito questo significato.
''Cfr. PLINIO, Historia Naturalis, 4,12.23.
·• La permanenza di Giovanni a Patmos viene poi attestata costantemente anche in
seguito: Tertulliano, Clemente Alessandrino, Ori gene (cfr. CHARLES, A Critica/ I, 22).
Vittorino si esprime in questi termini: " ... quando haec Johannes vidit erat in insula
Patmos, in metallum damnatus a Domitiano Caesare ... interfecto Domitiano ... de
metallo dimissus sic postea tradidit eandem quam a Deo acceperat Apocalypsim"
(cfr. CHARLES, A Critica/ I, XCIII); è menzionata ripetutamente da EusEBIO, Historia
Ecclesiastica, 3: 18, 1.3; 3: 23,6.3; 7: 25,11.9. La maggioranza dei commentatori esclu-
de che si tratti di un soggiorno volontario; per una panoramica sulle varie opinioni
vedi AUNE, Revelation 1-5, 77-79; cfr. anche G. CAMPS, "Patmos", DBSVII, 74-81; e
G. B. CAIRD, The Revelation ofSt. John the Divine (London 1966) 20-22.

75
Commento

zione e al fine di allontanarlo dalle comunità dell'Asia Minore. Il ver-


setto richiama l ,2, dove si parla di Giovanni che ha accolto in pieno il
messaggio divino e lo ha testimoniato attivamente (il quale testimoniò
la parola di Dio e la testimonianza di Gesù Cristo). Il nostro Autore
sfrutta i dati biografici del protagonista, con il quale si identifica, per
evidenziare le circostanze ideali di solitudine, povertà, austerità e
concentrazione in cui avviene il contatto importante e prolungato con
la trascendenza90 •

l,IOa l,IOa
ÈyEVOIJ.T]V ~V 1TVEUIJ.«!L Divenni nello Spirito
Èv tU KUp LaKU ~IJ.~pq:, nel giorno del Signore,

- divenni nello Spirito (ÈyEvO~TJV Èv 1TVEUIUl'tL)

Questa caratteristica espressione ricorre due volte nell'Apocalisse in


1,10 e in 4,2, rispettivamente all'inizio della Prima e della Seconda
Parte del Libro. Suggerisce un contatto profondo, particolarmente
qualificato, che tende a trasformare e a preparare ali' incontro con
Gesù.
Per la corretta interpretazione, però, occorre tenere presenti alcuni
elementi molto importanti.
lnnanzitutto ricordare il significato del verbo divenire nel senso di
passaggio da una situazione ad un'altra nuova; poi considerare che il
termine pneuma, nell'Apocalisse, è riferito normalmente allo Spirito;
infine data la visione antropologica unitaria dell'Autore, tipica della
mentalità ebraica, che non ammette il contrasto anima-corpo, esclude-
re l'ipotesi di un rapimento estatico extracorporeo.
Traducendo letteralmente le due ricorrenze dell'espressione divenni
nello Spirito (l, l O e 4,2), rileviamo una forte accentuazione del con-
tatto con lo Spirito Santo, il quale produce un'apertura particolare nei
riguardi della trascendenza, intima e coinvolgente. Lo Spirito entra
nell'Autore, "diviene" in lui, lo trasforma, lo rende capace di cogliere
la ricchezza trascendente propria del Risorto (cfr. 1,12-20) e di parteci-
parla agli altri. Egli ricorre a tutta la ricchezza delle Scritture, alle qua-

90
Anche la tradizione biblica riferisce episodi simili: vedi il profeta Elia (IRe 19,9),
Gesù che si ritira nel deserto (Mt 4,lss; Mc 1,12-13; Le 4,lss) e l'apostolo Paolo in
Arabia (Gal 1,17). Cfr. H. KRAFr, Die Offenbanmg des Johannes (Ttibingen 1974)
41-42.

76
Prima parte (1,4-3,22)

li continuamente allude nella propria opera, più o meno direttamente,


ma sempre in modo originale e creativo; grazie alla versatilità del
linguaggio simbolico, inoltre, riesce a far sentire e quasi sperimentare
la vitalità travolgente di Gesù risorto (1,12-16).

-nel giorno del Signore (Èv -rij KUplaKij ~f.J.Ép~)

L'espressione, tipica dell'Apocalisse, si è prestata a varie interpreta-


zioni91.
Prima dell'Apocalisse, troviamo allusioni precise a una riunione setti-
manale, con una terminologia ancora di matrice ebraica, in l Cor 16,2
che riporta: il primo giorno dopo il sabato!Ka-rèt. f.LLav aa131Xi-rou; e in At
20,7 che dice: il giorno primo del sabato/& -rij f.Ll(i -rwv aai3!Xi-rwv, della
settimana che inizia dopo il sabato.
Successivamente - al massimo qualche decennio dopo la data pro-
babile di composizione dell'Apocalisse-, l'uso della celebrazione

'' Si è pensato al giorno di YHWH dell' AT (TM: :'1V"1~ Ci'; LXX: ~flÉpa toù Kup(ou op-
pure ~flÉpa Kup(ou; cfr. Is 13,6; Ez 7,10; Gl2,11; Am 5,20): ~ KuptaK~ ~flÉpa sarebbe
il giorno del giudizio finale di Dio; cfr. S. BACCHioccm, From Sabbath to Sunday. A
hi storica/ investigation of the rise of Sunday observance in early Christianity (PUG;
Rome 1977), con lo stesso valore che assume ~ ~flÉpa ~ flEY!iÀT] in 6,17 e 16, 14. Ma
occorre precisare questo: mentre per la loro forma grammaticale caratteristica (seguita
da genitivo e soprattutto con l'aggiunta di flEYUÀTJ), le ultime ricorrenze citate corri-
spondono al significato e al contenuto del giorno di YHWH dell' AT, la costruzione
tipica~ KUpLaKit ~flÉpa isola linguisticamente l'espressione, distinguendola dalla
forma e dal significato delle altre due simili. Dato che nell'ambito del N.T. Kupwç è il
Signore Gesù e che l'unico altro esempio di KuptaK6ç si riferisce proprio a Lui (''cena
del Signore", KUpLaKÒv &invov, in lCor 11,20), il "giorno del Signore" è stato inter-
pretato come il giorno di Cristo per eccellenza: quello della celebrazione della Pasqua,
nel quale l'assemblea festeggia la resurrezione; cfr. C. W. DuGMORE, "Lord's Day
and Easter", Neotestamentica et Patristica. Eine Freundesgabe, Herrn Professar Dr.
Oscar Cullmann zu seinem 60. Geburtstag Oberreicht (ed. W. C. VAN UNN!K) (NT.S
6: Leiden 1962) 272-281. È vero che nel contesto immediato (l, 12-18) molte sono le
allusioni alla resurrezione - la più esplicita in l, 18 divenni un cadavere ed ecco che
sono vivente-, ma sono così generiche che difficilmente si può intendere ~ KUpLaK~
~flÉpa come il giorno liturgico di Pasqua. Sulla base di testimonianze antiche (vedi
nota seguente), altri ritengono che si tratti della domenica; cfr. W. Smrr, "A Note on
the Word 'KYPIAKH' in Rev. 1,10", NTS 12 (1965) 70-75. Tuttavia il nostro testo
sembra collocarsi in una fase di evoluzione linguistica, in cui il valore aggettivale
di KUpLaK~ conserva la sua specificità semantica. Si è anche ipotizzata l'opposizione
polemica del giorno del Signore al "giorno dell'imperatore" ('r'( :Eej3acm't ~flÉpa) e al
··giorno di Cronos" (it Kpovuaì ~flÉpa) che si riferivano al culto imperiale e pagano
(così Deissmann, riportato da D. Aune, il quale presenta una documentata panoramica
riassuntiva delle varie posizioni sull'argomento inAUNE, Revelation 1-5, 83-84).

77
Commento

settimanale nelle chiese dell'Asia Minore si è consolidato e nell'arco


di tempo che va dalla Prima Lettera ai Corinzi all'inizio del II sec. si
assiste a uno sviluppo linguistico. Dalla terminologia ebraica si passa
a una nuova che poi si consolida: dal richiamo esplicito al sabato
(j.da aaPP~hou-oappchwv) si passa ali' espressione giorno del Signore
(Èv tij Kupw.Kij ~!J.Ép~). L'espressione sta nascendo e conserva tutta
la sua freschezza originaria, anche come indicazione di contenuto:
si tratta della celebrazione settimanale della resurrezione del Signore
e ben presto la si chiamerà semplicemente Kup LaK~ per riferirsi alla
domenica92 • L'Apocalisse si trova in mezzo a questo sviluppo lingui-
stico. L'elemento più rilevante che si riferisce al giorno del Signore è
il contatto particolare con lo Spirito che si protrae per tutta la Prima
Parte, viene ripetuto all'inizio della Seconda (4,2) e richiamato verso
la conclusione (17,3; 21,10).
Gesù proprio come risorto è presente nell'assemblea settimanale, che
è una riunione di comunione fraterna (Io Giovanni il .fratello vostro) e
che avviene nel giorno del Signore. La comunità sente profondamen-
te la situazione di sofferenza (tribolazione) provocata dall'ambiente
ostile in cui vive e si impegna per sopportarla in permanenza (perseve-
ranza), ma è anche consapevole della propria dignità e responsabilità
(regno) verso l'esterno.
Senza fornire indicazioni precise, l'Autore ci invita a ripensare il gior-
no del Signore risorto nella sua carica ideale; qualunque sia la forma
di celebrazione, esso sarà davvero tale se, sotto l'impulso dello Spirito,
metterà i credenti in contatto rinnovato con Gesù Cristo, se li farà sen-
tire uniti e fratelli nella responsabilità, se li porterà a resistere sotto la
forza d'urto delle vicende umane, soprattutto quelle più sconcertanti e
dolorose, se li farà crescere nella coscienza del contributo specifico da
dare, nelle circostanze concrete sempre nuove, allo sviluppo in avanti
della storia della salvezza93 •

92
Resa in greco con l'aggettivo KUptaK~ che poi si trasforma nel sostantivo~ KUputK~ e
diviene talmente usuale da far sentire l'esigenza di aggiungere Kup[ou a KUpLctK~. La ter-
minologia ebraica è sostituita; tuttavia il tennine KUptaK~ non è ancora diventato sostan-
tivo e viene usato come aggettivo di giorno. È riportato da S. Ignazio di Antiochia: "Non
più festeggiando il sabato (oppure: vivendo secondo il sabato), ma conducendo una vita
secondo il giorno del Signore" (cfr. IGNAZIO DI ANTiocHIA, Ad Magnesianos, 9, l); dalla
Didachè: "Secondo la domenica del Signore" (K!nà KUpLaKi)v OÉ Kup[ou, in Didachè
14,1); e, successivamente, da GIUSTINO, Apologia, 67,7 e dalla Lettera di Barnaba 15,9.
93
Tutto questo apre una prospettiva che illumina il contenuto e il significato del giorno
del Signore: è il giorno in cui si svolge l'intera esperienza apocalittica, sia della Prima
che della Seconda Parte del libro; è il giorno della purificazione e del discernimento

78
Prima parte (1,4-3,22)

l, l Ob-11 l,IOb-11
KCÙ ~KOOOO: ÒnLOW IJ.OU <j!WV~V E udii dietro di me una voce gran-
IJ.EYaÀTJV wç oaÀmyyoç de, come di tromba
11
Il ÀEYOOOTJç, che diceva:
"O pÀÉnnç ypaljlov I'Lç PtPHov "Ciò che vedi scrivilo in un libro
KO:Ì. nÉIJ.\jJov to:iç i:mò: E'KKÀTJOLo:Lç, e mandalo alle sette chiese:
E lç "E<j!EOOV KO:Ì. dç l:IJ.Upvo:v a Efeso e a Smime
KO:Ì. I'Lç TIÉpyO:IJ.OV e a Pergamo
mì. "tç 8uatnpo: Ko:ì. Elç ~ponç e a Tiatira e a Sardi
l Ko:l ELç <f>LÀo:OÉÀ<jJELO:V e a Filadelfia
l KCÙ fk Ao:OOLKELO:V. e a Laodicea".

- E udii dietro a me una voce potente come suono di tromba che di-
ceva (KaÌ. ~KOUOa 01TLOW 1-!0U <jlwv~v 1-iEYaAT]V wç oaÀmyyoç AEYOOOTJç)

La voce coglie Giovanni quasi di soprassalto (dietro di me); la sorpre-


sa è un elemento costante nelle manifestazioni di rivelazione trascen-
dente ed è causata dall'imprevedibilità e dalla magnificenza del divino.
La voce è grande per la sua importanza e viene interpretata come
suono di tromba. Non si tratta dell'aspetto acustico: non è il timbro e il
volume della voce che viene equiparato allo strumento musicale; dato
il valore simbolico del termine nell' AT, il richiamo alla tromba evoca
un annuncio di Dio, una sua vicinanza particolare94 •
La voce che parla, e ciò che la voce dice, annunciano la presenza di
Dio che si realizza in quella di Gesù risorto.

della propria ora che il gruppo ecclesiale realizza, accogliendo l'impulso dello Spirito.
Per ulteriori dettagli e per la rilevanza dell'espressione (Èv •ti KuptaKtì ~~pQ:: 1,10),
a metà strada tra la designazione "il primo giorno dopo il sabato" di matrice ancora
ebraica, (cfr. lCor 16,2 e At 20,7) e l'aggettivo sostantivato KuptaK~, dominica, cfr.
U. VANNI, "Il 'Giorno del Signore' inApoc. 1,10, giorno di purifìcazione e di discer-
nimento", RivBib 26 (1978) 187-199; Io., L'Apocalisse, 87-97. L'espressione giorno
del Signore aveva anche un aspetto esplicitamente penitenziale; in Didachè 4,1 leg-
giamo: "Avendo confessato i vostri peccati". Anche Paolo usa l'espressione giorno
del Signore che diventa tipica per indicare una piena partecipazione al Vangelo; cfr.
E. CESARALE, 'Figli della luce e figli del giorno' (JTs 5,5). Indagine biblico-teologica
del 'giorno' in Paolo (PUG; Roma 2014).
""Vedi G. FRIEDRICH, "lliJ..lllyç, aaJ..TT((w, aaÀ.lllO!~ç", GLNT XI, 1197-1240. Il ri-
ferimento grammaticale forzato alla tromba anziché alla voce - invece del genitivo
i.qoooT)ç, ci aspetteremmo À.Éyouaav concordato con <jlw~v- sottolinea l'abbinamento
dei due elementi; è la voce che, esprimendosi, mantiene il suo collegamento con la
tromba nel senso simbolico indicato. Ricordiamo a tal proposito la teofania sul Sinai
(Es 19,16) e l'annunzio del sabato dal Tempio su Gerusalemme.

79
Commento

L'ascolto, spesso abbinato al vedere, rappresenta, nel linguaggio


dell'Autore, la fase terminale di un'esperienza anteriore, prolungata
e complessa, fatta di elementi religiosi particolarmente intensi, di ri-
flessione sulle Scritture, di un'attenta osservazione degli avvenimenti
della storia. Tale esperienza, ormai conclusa e come collocata in un
quadro organico, viene comunicata dall'Autore al gruppo di ascolto.

- Ciò che vedi scrivi/o in un libro e manda/o alle sette chiese... ("O
~ÀÉnELç yp1itjmv ELç ~L~Hov Ka.Ì. nÉj.ujmv -ra.ì.ç Èn'tà ÈKKÀTJcr(mç ... )

La voce ordina a Giovanni di scrivere ciò che vede95 • Nell'Apocalisse,


il vedere rimanda a un'esperienza complessa lunga e laboriosa, fatta
di riflessioni e approfondimenti personali e comunitari, di preghiera
personale e condivisa, di contatto con lo Spirito - forse anche a livello
mistico - di meditazione appassionata delle Scritture e di attenzione
ai fatti della storia che l'Autore condensa e propone nella forma lette-
raria di visioni. Non si tratta di visioni sensibili, ma di un'esperienza
religiosa che coinvolge la sensibilità e l'intelligenza e in ultimo tutta
la personalità dell'Autore. Tale esperienza tende a passare nel soggetto
interpretante che deve riviverla e farla sua. Per questo, spesso, accanto
al verbo vidi!doov, troviamo la formula ed ecco (Ka.Ì. loou, lett. e guar-
da) come stimolo al soggetto interpretante, il quale dovrà vedere come
vede l'Autore. Il contenuto di queste visioni viene ripreso ed esplici-
tato in l, 19: si tratta di tutta la materia del libro, cioè quelle cose che
sono (la situazione delle chiese) e quelle cose che devono accadere in
seguito (i fatti della storia in generale, di cui parla la Seconda Parte).
Il messaggio non si limita a una comunicazione orale: deve essere
trasmesso in uno scritto che come tale possiede una forza incisiva
particolare, che gli viene dalla sua determinatezza e completezza96 •

95
L'imperativo aoristo ypliiJiov ricorre dodici volte nell'Apocalisse (1,11.19;
2,1.8.12.18; 3,1.7.14; 14,13; 19,9; 21,5). In questo versetto si combinano due impe-
rativi che seguono la visione: scrivi e invia. "L'imperativo dello scrivere è comune
neii'AT: cfr. Es 17,14; 34,27; Dt31,19; Gs 18,8; Est8,8; Pr3,3; Is 1,8; 30,8; Ger22,30;
30,2; 36,28; Ez 24,2; 37,16; 43,11; Ab 2,2. Scrivere è necessario a ricordare visioni, sa-
pienza, legge, alleanza con Dio o i gesti da compiere quotidiamente" (cfr. A. CoLACRAI,
"Attività dello scrivere. Un confronto tra Paolo e Apocalisse", Apoka/ypsis, 213-214 ).
96
Cfr. U. VANNI, "Il mistero della Parola scritta", Parola di Dio e spiritualità (ed. B.
SECONDIN- T. ZECCA- B. CALATI) (Biblioteca dì scienze religiose 62; Roma 1984)
73-83. Per comprendere pienamente il senso, la forza e lo spirito dell'Apocalisse, dob-
biamo ricordare però che questo non è un libro fatto, ma da fare; il lettore/ascoltatore,
infatti, è chi~ato a collaborare attivamente nell'interpretazione e nell'applicazione

80
Prima parte (1,4-3,22)

Il messaggio è indirizzato esplicitamente alle chiese, che vengono


nominate subito dopo. Non si tratta di una "eptapoli" ecclesiale, ma
si intravede, al di là delle singole chiese geograficamente localizzate,
un'unità superiore, la chiesa nel suo insieme, nella sua totalità, simbo-
leggiata dal numero sette.
L'enumerazione sembra seguire un criterio geografico: Efeso, la ca-
pitale, è anche la città più vicina a Patmos; le altre si incontrano tutte
nell'ordine indicato, compiendo un percorso ad arco in direzione nord,
est, sud-est97 •

l 1,12-13 1,12-13
l Kaì. È1TÉo-rpEijla pÀÉ1TELV -r~v ct>w~v
12 12
E mi voltai per vedere la voce
~nç ÈÀliÀEL ~H' È~ou, che parlava con me,
• Ko:Ì. Èmo-rpÉijlaç ELùov e voltatomi vidi
. à-rà ÀUXVLO:ç xpuoiiç sette lucemieri d'oro
13
KO:Ì. EV ~Éo<y !WV ÀUXVLWV 13
e in mezzo ai lucemieri
o~owv ui.òv àv8pw1rou un figlio di uomo corrispondente
Èv&òu~Évov 1TOÙ~Pll vestito con un abito lungo fino ai
piedi
Ka L 1TE p LE( wo~É vov 1rpò ç -ro i: ç e cinto al petto
~cw-ro'ì.ç (WVTJV xpooiiv. di una fascia d'oro".

- E mi voltai per vedere la voce che parlava con me e voltatomi vidi


sette lucernieri d'oro (Kaì. ÈnÉatpE\(Ia PÀÉTIHV r~v <j>w~v ~nç ÈMÀH
f!H' ÈIJ.OÙ KttÌ. ÈTILOtpÉ\(Iaç ELÒOV Éntà ÀUXVLttç xpuaiiç)

Giovanni si volta per prendere contatto con la persona che parla, per
Yederla. Ma la forzatura espressiva vedere la voce colpisce l'attenzione
del lettore/ascoltatore e sollecita a un'attività interpretativa adeguata.
L'insistenza sul dettaglio del voltarsi (mi voltai, voltatomi) sottoli-
nea l'eccezionalità dell'esperienza che l'Autore esprime e propo-
ne rispetto alla quotidianità; il suo vedere non indica una visione
vera e propria, ma suppone una gamma svariata e prolungata di
esperienze - lettura delle Scritture, riflessione personale sul rap-
porto tra la sua fede e i fatti della storia, preghiera, condivisio-
ni carismatiche - che, arrivata a un certo punto di maturazione

del testo alla sua esperienza storica concreta. La lettura prevede dialoghi, silenzi e
interruzioni, imposti anche da forzature grammaticali, che hanno lo scopo di attirare
1· attenzione e di spingere alla riflessione. Come tutta la Scrittura, anche il libro de li' A-
pocalisse è vivo e aperto alla sfida dei tempi.
,. Cfr. C. BRUTSCH, La Clarté, 49.

81
Commento

ed elaborazione, si struttura in forma di messaggio (vedi le 43 ri-


correnze del termine doov riferito all'Autore in prima persona) 98 .
L'espressione vedere la voce/~Àtm;tv TJÌV c:proVJÌv ricorre in Es 20,18:
Tutto il popolo vide i tuoni (lett. le voci nel TM; la voce nei LXX) nel
contesto del dono del decalogo (20, 1-26); ma altri testi anticotesta-
mentari parlano di visioni di parole, come Is 2, l (TM: Parola che vide
Isaia); Am l, l (TM: Parole di Amos... che [egli] vide); Mi l, l (TM:
Parola di YHWH, che fu rivolta a Michea ... che egli vide); Ab 1,1
(TM: Oracolo che vide Abacuc il profeta) che si riferiscono sempre a
un messaggio proviente da Dio.
La frase indica, perciò, una spinta a veder parlare per cogliere in pieno
un messaggio importante; si ha un dinamismo che passa dall'ascolto
alla visione. Tradurre "vedere chi parlava" costituirebbe una banaliz-
zazione. Questa insistenza sulla voce fino a una probabile ipostatiz-
zazione99 non implica certo che il Gesù risorto si riduca a un suono,
ma mette in primissimo piano il dono di se stesso all'assemblea e la
parola-messaggio che le rivolgerà.
L'immagine dei lucernieri d'oro (TM: menorah, LXX: J..uxv(a) deriva
dali' AT e dalla tradizione cultuale ebraica; probabilmente l'Autore si
è ispirato a Es 25,31 e a Zc 4,2, ma, secondo il suo stile, ha elaborato
in modo creativo gli elementi desunti. Vediamo i testi:
Es 25,31: Farai anche un lucerniere d'oro puro (TM: 1i~~ :::l}:t! n"JiJ~;
LXX: J..uxv[av ÈK xpuoCou Ka8apou). Illucerniere sarà lavorato a
martello, il suo fusto e i suoi bracci; i suoi calici, i suoi bulbi e le sue
corolle saranno tutti di un pezzo.

98 Sul!' espressione e voltatomi vidi, vedi C. MANuNzA, L'Apocalisse, 111-120, il quale


presenta un interessante confronto tra i verbi Èxtcnpécpro/:mv e j.lEtavoéro/cm e il loro
uso nel!' Apocalisse e nel NT.
99
J. H. Charlesworth ritiene, partendo da alcuni testi dell' AT e alla luce delle inter-
pretazioni targumiche, che la voce sia "ipostatizzata", cioè agisca come una persona,
al di là del campo semantico proprio. Eloquente, nello Pseudo Jonatan, nel Targum
Onkelos, nel Targum Neophyti, il passo di Gn 3,8, dove si dice che la voce "cammina
nel giardino". Altri esempi significativi si ritrovano nell'apocalittica. Charlesworth,
perciò, afferma: "So far, it has become clear - or at least clearer- that the Voice had
developed in early Jewish theology from the voice of God to the Voice from God,
and that he was considered a member ofGod's celestial court. The best translation of
the Apocalypse of John l, 12 is the literal one: 'And I tumed around to see the Voice
who spoke with me'. The author ofthe Apocalypse of John was, therefore, clearly a
Christian, and nota Jew as some critics bave contended. He took the Jewish concept
ofthe Voice and baptized it into Christian phrases, terms and titles like the Son ofMan
and the slain Lamb"; cfr. J. H. CHARLESWORTH, "The Jewish Roots of Christology:
The Discovery of the Hypostatic Voice", ScotJT 39 ( 1986) 30.

82
Prima parte (1,4--3,22)

Zc 4,2: ... e mi disse: "Che cosa vedi?". Risposi: "Vedo un lucerniere


tutto d'oro (TM: n?~ :::I;:T! n"1iJ7?; LXX: Àuxv(a xpooi'J OÀTt); in cima ha
un recipiente con sette lucerne e sette beccucci per le lucerne ... ".
In entrambi i brani, si tratta della m•norah che faceva parte dell'arredo
cultuale prima della tenda nomadica e poi del Tempio di Gerusalemme
(cfr. anche N m 3,31; 2Cr 13,11) 100 • Il richiamo ci riporta a Wl ambiente
cultuale, con un'azione liturgica in atto, mediante la quale si raggiWlge
un qualche contatto con la trascendenza divina. Ciò è suggerito dall'o-
ro, considerato metallo divino (cfr. A p 21,18.21 b), di cui sono fatti i
lucernieri.
Il nostro testo parla di sette lucernieri distinti; l'Autore tiene a speci-
ficare che si tratta di un insieme, ma costituito da entità che vengono
considerate separatamente.
Le altre due corrispondenze ci aiutano ad arricchire il quadro interpre-
tativo: in l ,20 i lucernieri sono identificati con le sette chiese, e in 2, l
Gesù risorto si presenta alla chiesa di Efeso come colui che cammina
in mezzo ai sette lucernieri, quelli d'oro. Pertanto, secondo il simbo-
lismo numerico, le singole chiese costituiscono una totalità (sette),
un insieme di cui viene accentuata la dimensione liturgica; è come
un grande circuito liturgico - nel quale ogni singola chiesa si trova
inserita- rivitalizzato dalla forza della resurrezione di Gesù Cristo che
cammina nella storia con le sue comunità.
Per concludere, i sette lucernieri d 'oro indicano la totalità della chiesa
\·ista come un complesso liturgico in atto, nel quale è presente attiva-
mente Cristo Gesù e, con lui, Dio stesso.

-e in mezzo ai lucernieri un figlio di uomo corrispondente (Kal Èv


..1Éa4> twv ÀuxvLwv olloLov ui.òv &vepwTiou)

Si presenta, di nuovo, il contatto letterale con Dn 7,13 101 : Ed ecco


con le nubi del cielo come un figlio di uomo stava venendo (TM: ~~~

··" Il nostro Autore dimostra una profonda e dettagliata conoscenza della liturgia e
delle suppellettili cultuali del Tempio di Gerusalemme, che già era stato distrutto.
:'-Jeii'Apocalisse, infatti, si trovano diversi riferimenti a oggetti o celebrazioni che
si svolgevano nel Tempio, come ad esempio la veste lunga fino ai piedi di l, 13, che
rimanda alla veste sacerdotale; i profumi di 8,3-5 che richiamano l'incenso bruciato
davanti al Signore e a lui gradito (cfr. Es 30,8.34-36; Lv 2,1-2.15-16; Nm 16,7); le
fiale di 15,7ss, che ricordano i vasi liturgici per le aspersioni rituali (cfr. Es 27,3; Nm
-U4; Ger 52,18; Zc 14,20).
:oJ 11 contatto letterale con Dn 7,13 è già stato rilevato per il versetto di 1,7, al quale
rimandiamo per completare il quadro esegetico. Secondo A. Feuillet, Daniele si ri-

83
Commento

,:J:l N·~~
,-: T- :
•mrcl1 ·,,N,
.J'"T-: ' -:-
N~'?-'? '1Tn~
T: l'' .J": ·:
Kaì. lcSoù Èrrì. •wv
:
'n•1;, mn; LXX:
•· -: <"'T

VE~EÀWV 'tOU oùpavou wç uiòç àvSpwrrou ~PXE'to; LXXITH: KO:Ì. lc5où


IJ.E'ttl 'tWV VE~EÀWV 'tOU oùpavou wç uiòç àvSpwrrou ÈPXOIJ.EVOç ~v).
Il titolo figlio del/ 'uomo attraversa tutto il NT dove ricorre 82 volte,
acquistando - nel suo riferimento costante a Gesù - significati specifici
secondo i contesti 102 •
N eli' Apocalisse l'espressione è ripresa in 14,14: il personaggio cor-
rispondente al figlio di uomo esegue la mietitura e la vendemmia
escatologica. Perciò, si tratta di Gesù risorto, visto nella sua funzione
messianica, in prospettiva escatologica 103 •

- vestito con un abito lungo fino ai piedi e cinto al petto di una fascia
d'oro (ÈVÙEÒUIJ.ÉVOV TTOÒ~pfl KO:Ì. TTEpLE(WOIJ.ÉVOV rrpÒç 'tOLç IJ.O:O'to'iç (WVflV
xpuaiiv)

L'abbigliamento, secondo il simbolismo antropologico de li' Apoca-


lisse, qualifica la persona in se stessa e in rapporto a chi la vede; ne
indica una qualità che è riscontrabile dal di fuori. La veste che arriva

allaccia alla tradizione biblica precedente e soprattutto al profeta Ezechiele che usa
il sintagmafig/io dell'uomo (clt;q:l) 93 volte. "Il personaggio misterioso del Figlio
dell'uomo di Daniele è una specie di manifestazione del Dio invisibile ... ; appartiene
alla sfera del divino ed è come un'incarnazione della gloria divina, come l'immagine
umana contemplata da Ezechiele"; cfr. A. FEVILLET, "Les Fils de l'Homme de Daniel
et la Tradition Biblique", RB 60 (1953) 189. Per un interessante confronto tra il testo
greco di Daniele e l'Apocalisse, vedi M. CIMOSA, "L'autore dell'Apocalisse ha usato
la Bibbia greca?", Apokalypsis, 72-79.
102
Nella maggioranza delle ricorrenze è Gesù stesso che si qualifica come ò uiòç
-roù civ9pci>nou. Nel IV Vangelo troviamo il titolo figlio del/ 'uomo 13 volte e tutte in
contesti teologicamente molto densi (cfr. Gv 1,51; 3,13.14; 5,27; 6,27.53.62; 8,28;
9,35; 12,23.34[2x]; 13,3 1). Viste le affinità dell'Apocalisse con il resto della lettera-
tura giovannea, possiamo affermare che si tratta di una rielaborazione teologica dello
stesso titolo che identifica ilfiglio dell'uomo con Gesù Cristo morto e risorto il quale,
partendo dalla chiesa, applica la sua capacità di un influsso rinnovatore sulla storia. Su
questa figura applicata al Risorto nell'Apocalisse, vedi L. PEDROLI, Da/fidanzamento
alla nuzialità escatologica, 412-422.
103
C'è da notare una peculiarità grammaticale che risulta importante ai fini interpre-
tativi. Il termine simile/corrispondente (oj.1moç) è molto frequente nell'Apocalisse:
si legge infatti 21 volte sulle 45 ricorrenze di tutto il NT; costruito normalmente col
dativo, indica una corrispondenza da verificare tra un elemento simbolico e la realtà a
cui si riferisce. Solo qui e in Ap 14,14 si trova l'accusativo; ebbene, in forza di questa
costruzione si deve intendere che il personaggio in mezzo ai lucernieri equivale in
senso pieno alfiglio dell'uomo di Dn 7,13 e lo realizza.

84
Prima parte (l ,4--3,22)

.fino ai piedilnoò~p'll 104 e la fascia d'oro collocata in alto, all'altezza


del petto, ma con una precisazione minuziosa (lett. alle mammelle) 105 ,
Yogliono dire qualcosa suljiglio dell'uomo in rapporto all'ambito ec-
clesiale in cui si trova. È come un messaggio da decifrare.
Notiamo anzitutto un contatto con Dn 10,5: Alzai gli occhi e guardai
ed ecco un uomo vestito di lino (TM: c:":J~ W,?7; LXX: ÈvÒEÒUf.J.Évoç
~uaawa; LXX/TH: ÈVÒEÒUJlÉVoç paòùtv), con ai fianchi una cin-
tura d'oro di Ufàz (TM: T~m~ C~?:l C"J~r:) 1',~nf?,; LXX: r~v Òo<flùv
-:iEpLE(wof.J.Évoç ~uaa[v4> ÈK f.J.Éoou aùrou <flwç; LXX/TH: T) òmpùç a\noù
1tEpu>çmcrJlÉVTI tv XPUGt(!) Oq>aç).
Come si può rilevare dal confronto tra i brani, l'Autore si ispira a
Daniele e, secondo il suo costume, ne rielabora il testo introducendo
delle variazioni: l) il materiale della veste di cui non si fa menzione
nell'Apocalisse; 2) la lunghezza dell'abito che arriva fino ai piedi nel
nostro testo e ignorata completamente da Daniele; 3) la posizione della
cintura che l'Apocalisse colloca all'altezza del petto, mentre Daniele
ai fianchi.
Il termine veste che arriva fino ai piedi non dice molto a una prima
lettura; nel nostro testo, inoltre, viene indicato e sottolineato uno spo-
stamento in alto della cintura d'oro rispetto al modello ispiratore, per
rimarcare la singolarità di Gesù. Ma si può attribuire un significato
preciso a questa unicità? Un testo di Giuseppe Flavio fornisce un'indi-
cazione illuminante: "Questo abito è la veste talare (7toOi]pTJç XLrwv) ...
che [i sacerdoti] si cingono al petto (Katà crtiì9oç), facendovi passare
sopra una fascia ampia" 106 • Applicando quando detto da Giuseppe
Flavio, il nostro testo si semplifica e si chiarisce: si tratta proprio di
un indumento liturgico sacerdotale, anch'esso applicato letteralmente
a Gesù risorto; ciò conferma il contesto della liturgia in cui si presenta

" Il termine 11oò~p1]ç ricorre 12 volte nei LXX e in 8 si riferisce alla veste del sommo
sacerdote. È usato solo una volta nel NT, in questo passo, con l'intento preciso, da
parte dell'Autore, di attirare l'attenzione su questa figura; in 19,13, infatti, l'Autore
presenta Cristo avvolto in una veste, usando il termine consueto ì.~nov. Le carat-
teristiche peculiari di questa veste diventeranno più chiare nel decorso del libro, se
il gruppo di ascolto manterrà viva e desta l'attenzione alla persona di Gesù risorto,
a quello che è in se stessa e che significa per gli altri. Si crea dunque un'aspettativa.
.. ; L'espressione greca 11pòç tolç ~o:atolç, lett. verso le mammelle, si può tradurre
con petto, dato che ~o:at6ç nella grecità è riferito espressamente anche all'uomo
Jcfr. DIODORO SICULO, Bib/iotheca historica, l, 72,2: rrt:pLt:(Wa/-IÉV, oì. Ù1TOK1itw twv
.uratwv). Il dettaglio della fascia d'oro pone il figlio dell'uomo, presente in mezzo ai
!ucernieri ugualmente d'oro, in rapporto con la trascendenza.
:\IO Cfr. GIUSEPPE FLAVIO, Antiquitates Judaicae, 3,153-154.

85
Commento

e indica in lui l'unico protagonista della mediazione sacerdotale, rias-


sumendo e concentrando le prerogative del sommo sacerdote dell' AT.

1,14-15 1,14-15
14
~ ùf KE<jla:t'Ì) airrou Kat ai 1PLXEç 14
La sua testa poi e i capelli
ÀEUKat wç EpLOV ÀEUKOV bianchi come lana bianca,
wç xLwv come neve,
Kat oì. Ò<jl8aÀ.~ot aù1ou e i suoi occhi
wç <P:tò~ i!upòç come fiamma di fuoco,
15
Kat oi iTOÙEç aù10u o~oLOL 15
e i suoi piedi corrispondenti a
XaÀKoÀlpav~ bronzo incandescente
wç EV Ka~(v~ iTEi!Upw~ÉVT}ç come nel camino di una fornace,
Kat ~ <Pw~ aù1ou e la sua voce
wç <jlw~ u&hwv iTOÀÀ.WV come voce di molte acque.

Il brano inizia e prosegue secondo lo schema usuale dei poemi di amo-


re: la persona viene descritta attraverso le parti del corpo, cominciando
dalla testa e scendendo fino ai piedi (cfr. Ct 4, 1-7; 5, l 0-16).
Il nostro Autore si ispira a due passi del libro di Daniele (7 ,9 e l 0,6)
da cui attinge le immagini simboliche cariche di significati e le tra-
sferisce, arricchendole ulteriormente, alla figura del figlio del! 'uomo,
identificato con il Risorto; in questo modo, egli raccoglie e concentra
su Gesù Cristo tutta la ricchezza delle Scritture.
Ciascuno dei particolari presentati costituisce materiale simbolico che
va decodificato, prima di passare a quello seguente, poiché l'Autore
non vuole fornirci un quadro visivo di insieme. Dopo la presentazione
del figlio dell'uomo sotto il simbolo dell'abbigliamento, l'attenzione si
concentra sulla sua persona, fermandosi su particolari collegati tra loro
con la congiunzione e!Kal. e costruiti con lo stesso schema comparativo
(wç/come). Da rilevare l'insistenza sul pronome personale genitivo
aùtou, detto di Cristo: ricorre 7 volte in 3 versetti, costituendo un moti-
vo letterario, quasi una musica di fondo, che dà il tono a tutto il brano.
Per facilitare il confronto del nostro brano con i testi di Daniele, ripor-
tiamo qui i passi per intero; nell'esegesi dei segmenti dei versetti di
l, 14-15 saranno richiamate le singole immagini.
Dn 7,9: Io continuavo a guardare quand'ecco... un vegliardo si assise.
La sua veste era candida come la neve e i capelli del suo capo erano
candidi come la lana; il suo trono era come vampe di fuoco, con le
ruote come fuoco ardente.
Dn 10,6: Il suo corpo somigliava a topazio, la sua faccia aveva l'a-
spetto della folgore, i suoi occhi erano come torce di fuoco, le sue

86
Prima parte (1,4-3,22)

braccia e le gambe somigliavano a bronzo lucente e il suono delle sue


parole pareva il clamore di una moltitudine.

-La sua testa poi e i capelli bianchi come lana bianca, come neve (~
òÈ KE4Jo)..~ o:ù·rou KO:Ì. al "tPLXEç ÀEUK(lL wç EpLOV ÀEUKOV wç XLWV)

La testa e i capelli sono il primo particolare. Sono presentati unitaria-


mente, ma senza subordinazione grammaticale di uno dei due termini
all'altro, come invece sarebbe naturale (''i capelli della sua testa"): ciò
sottolinea il valore del colore bianco, che viene così quasi raddoppiato;
sia la testa sia i capelli sono bianchi. Perché questa insistenza? Una
risposta ci viene dal confronto con Dn 7,9: ... e i capelli del suo capo
[del vegliardo] erano candidi come la lana (TM: l't p~ ,9-~~ ';,~l't!. ,P-iD,;
LXX: -rò -rp(xw~ -rfìç KE4Jo:Àfìç a.ù-rou ooEì. EpLOv ÀEUKÒv Ka.8o:p6v; LXX/
TH: ti 9pi~ rijç KEq>aÀ.tìç aÙTOU ooud Eptov Ka9ap6v) ...
Il brano, rielaborato creativamente dal nostro Autore, ci suggerisce
che il colore bianco di cui è avvolto il figlio de/l 'uomo, cioè Gesù
risorto, è quello proprio di Dio (vegliardo, lett. antico/anziano dei
giorni). Perciò, l'attributo della divinità passa completamente dal
Padre al Figlio. Sviluppando il simbolismo cromatico, vengono
introdotti due paragoni in crescendo: come lana bianca, che già pre-
senta il colore bianco con tutta evidenza, e come neve, che esprime il
massimo del bianco, secondo un diffuso uso biblico dell'immagine
(cfr. Es 4,6; N m 12, l O; Sal 51 ,9; Is l, 18; Gb 9,30; Sir 43, 18), Tanto
bianco, riferito personalmente a Gesù Cristo, esprime la sua trascen-
denza collegata con la sua resurrezione. Proprio perché è risorto e
fonte di resurrezione, totalmente immerso nel bianco proprio di Dio
sottolineato da Dn 7,9, Gesù è situato allivello del Padre; c'è un'e-
quivalenza tra i due, al punto da permettere il trasferimento delle
qualità distintive da uno all'altro. E sia la costruzione grammaticale
che la disposizione tipica del testo esprimono una gioia e un entusia-
smo crescenti 107 •
A questo si può aggiungere un altro aspetto: nell'Apocalisse il
termine testaiKE4Ja.À~ indica la sede della vitalità; la testa bianca
di Gesù Cristo, enfaticamente distinta dai capelli, ne sottolinea la

107
E già in questo dettaglio emerge un aspetto tipico della sensibilità dell'Autore: ama
fortemente i colori e, neli 'uso, li carica di valori simbolici particolari. Il bianco, che
ricorre ben 14 volte in tutto il libro, indica come già evidenziato la trascendenza e il
soprannaturale (vedi le altre ricorrenze di ÀEuKoç, ÀEUKa(vw) e si riferisce simbolica-
mente alla resurrezione di Gesù Cristo.

87
Commento

piena vitalità che gli compete come risorto. E il rapporto diretto con
la resurrezione è confermato da tutte le altre ricorrenze di bianco
neli' Apocalisse.

-e i suoi occhi come fiamma di fuoco (Kal oi. Ò<j>9aÀ.j.l.OL aùtou wç <f>Àòç
nup6ç)

È il secondo tratto descrittivo riguardante il figlio del/ 'uomo, cioè


Gesù Cristo come persona ed è preso da Dn l 0,6: I suoi occhi erano
come torce di fooco (TM: ~~ ,,_~tl~:p ·,T~n; LXX: o i. Ò<j>9aÀ.j.l.ol aùtou
woEl À.ajJ.mHiEç nup6ç).
Sulla scia di un uso anticotestamentario già stabilito, in Daniele il
fuoco esprime l'appartenenza alla trascendenza 108 • L'autore dell'A-
pocalisse, pur ispirando visi, modifica l'espressione nel senso di una
maggiore accentuazione: non si hanno delle torce difooco, ma lafiam-
ma/<f>À.6ç vera e propria; ciò induce ad approfondire. Nell'ambito dei
molti riferimenti del rapporto Dio-fuoco, l'insistenza sullafiamma e
l'inserimento tra le caratteristiche personali del figlio de/l' uomo fanno
pensare a Dt 4,24: Poiché il Signore tuo Dio è fooco divorante, un Dio
on
geloso (TM: ~.~P '='.l't ~~::t :-t,7:ptt ~.l't o;rry"~ :-t,~:-t~ ':l; LXX: KUpLOç ò 9E6ç
oou nup Ka:tava:À[oKOV Èot(v 9EÒç (TJÀ.Wt~ç).
Come YHWH è fuoco divorante e un Dio geloso (Dt 4,24), così Gesù
Cristo ha gli occhi come fiamma difuoco 109 • Dunque anche il Risorto
guarda ogni essere umano con un amore irresistibile, che assomiglia
allafiamma viva; e questo sguardo esprime l'amore scottante del
Padre che richiede una corrispondenza tale da generare un rapporto
interpersonale "surriscaldato". Sia il Padre che Gesù sono amore che
scotta, amore geloso (cfr. 2,4 e 3, 19). Gli occhi come fiamma di fooco
hanno la capacità di vedere e di penetrare la situazione di ogni uomo,
nonché di distruggere, in virtù della fiamma, tutto quanto è eterogeneo
e impedisce la piena realizzazione di questo amore. L'azione di Gesù,
come quella di Dio Padre, è sempre ispirata da un amore appassionato
e vuole essere accettata sullo stesso piano da parte di chi ne è oggetto.

108
Nell' AT il rapporto Dio-fuoco si esprime in diversi modi: a) nelle teofanie; b) come
strumento del giudizio divino; c) come segno dell'intervento di grazia; d) come desi-
gnazione di Dio (cfr. F. LANG, "1tiip", GLNTXI, 821-876).
109
L'espressione ricorre anche in 2,18 e 19,12. In questa seconda ricorrenza gli occhi
come fiamma di fuoco sono attribuiti a colui che è avvolto di un manto in tinto nel
sangue e che viene chiamato Parola di Dio (19,13); tale particolare è chiaramente
legato all'immagine della passione e della morte di Gesù che deve essere intesa come
vita donata per amore e non come sacrificio espiatorio.

88
Prima parte (1,4-3,22)

L'accettazione è richiesta proprio dal tipo di amore e ne è la conse-


guenza: Abbi dunque un amore geloso!lç,i(Awe o'Ùv (3, 19). Un senti-
mento sbiadito, amareggiato o anche solo passivo, non permetterebbe
di raggiungere un rapporto paritetico. D'altra parte, siccome si tratta
di un imperativo che tende a produrre ciò che esprime, sarà sufficiente
accogliere con disponibilità piena quanto Gesù dice per poter realiz-
zare questa reciprocità.

- E i suoi piedi corrispondenti a bronzo incandescente come nel ca-


mino di una fornace (K!Ù o l lTOÒEç aìrrou OIJ.OLOL X«ÀKOÀL~V4> wç Èv
Kll!J. LV4l 1TE1TUpWj.J.ÉVT]ç)

L'Autore presenta il terzo tratto distintivo, introducendo esplicitamen-


te l'elemento fuoco, e con insistenza accentuata, vista l'immagine del
camino di una fornace attiva, che si può immaginare incandescente.
Ricordiamo il passo di Dn l 0,6: ... le sue braccia e le gambe somiglia-
vano a bronzo lucente (TM: ".'?i? ntlj~~ l'J':l ,.J;it,~"")~,; LXX: ol lTOÒEç
woEÌ. X«ÀKÒç Èl;ao-rpalTtWV).
Il particolare dei piedi ha un significato specifico o indica semplice-
mente una parte della persona al fine di completarne il quadro? Il fatto
che ilfiglio dell'uomo sia presentato in piedi- come emerge da tutto
l'insieme e specialmente dalla veste che arriva fino ai piedi- induce
a pensare alla resurrezione costantemente simboleggiata da questa
posizione.
Ma torniamo ali 'immagine simbolica. I piedi sono equiparati a
bronzo, ma il termine usato, calcolibanolxaÀKOÀL~voç, è il risultato
dell'unione di due parole: bronzo!xa'A.Koç e profumo/i..ipavoç; forse
si tratta di una lega di metalli, oppure di un termine dotto indicante
il bronzo allo stato incandescente proprio come si trova nel braciere
durante la fusione, ma più probabilmente è un neologismo coniato dal
nostro Autore per esprimere l'unicità trascendente del Risorto e il suo
rapporto con la liturgia (profomo nel senso di incenso ) 110 •

110
Il termine ricorre solo due volte nel NT, qui e in 2, 18. Sconosciuto nella lettera-
tura classica greca, rimanda a un metallo affine al bronzo che è difficile identificare
(metallo o lega?). Le traduzioni latine rendono con aurichalcum oppure orichalcum;
quelle siriache suppongono si tratti di un metallo ottenuto nel Libano. G. Biguzzi
traduce calcolibano, scegliendo di "fare un calco del greco lasciando al termine la sua
ambiguità" (cfr. BIGUZZI, Apocalisse, 85-86, n. 15). Vedi anche BAUER, Griechisch-
deutsches Worterbuch, 1746.

89
Commento

Proprio come tale, Gesù risorto possiede in modo eminente e accen-


tuato le qualifiche del fuoco, che lo pervade interamente. Egli coincide
tutto con la.fiamma divorante, è un Dio geloso; la sua natura "ignea",
per così dire, sottolinea la capacità di amore ardente, di vaglio su
quanto ne ostacola la pienezza e di rinnovamento personale e radicale
che poi sarà esplicitata nei dettagli.
Tale interpretazione è confermata da 2, 18b che riprende l'immagine:
alla chiesa di Tiatira, Gesù si autopresenta come Figlio di Dio che ha
gli occhi come .fiamma difooco e i piedi come bronzo incandescente.

-e la sua voce come voce di molte acque (KaÌ. ~ <Pwvì, atrrou wc; <Pwvì,
u&hwv 'ITOÀÀ.WV)

Questo ulteriore dettaglio presenta diversi contatti con le Scritture:


l) Dn 10,6: ... e il suono delle sue parole pareva il clamore di una
moltitudine (TM: lil?~ ',;p:p ,,71~'l ',;p,; LXX: <Pwvì, ì.aì..uic; aùwu woEì.
<Pwvì, 9opupou );
2) Ez 1,24: Quando essi si muovevano, io udivo il rombo delle ali,
come il rumore di molte acque (TM: C~::;l'1 C'T? '',;p:p; LXX: wc; <Pwv~v
Ufutoç troUou ), come il tuono del/ 'Onnipotente, come il fragore della
tempesta, come il tumulto d'un accampamento... ;
3) Ez 43,2: Ed ecco che la gloria del Dio d'Israele giungeva dalla
via orientale e il suo rumore era come il rumore di molte acque (TM:
C'±l'1 C'9. '',;p:p; LXX: wc; <tJwv~ ÒLtrÀaOLa(6vrwv troUwv) e la terra ri-
splendeva della sua gloria.
L'Autore de li' Apocalisse prende da Daniele lo spunto della voce
potentissima (il clamore della moltitudine) attribuita al personaggio
trascendente e interpreta questa potenza (come la voce di molte acque)
alla luce di Ezechiele, collocandola esplicitamente nella zona trascen-
dente della gloria di Dio.
Il .figlio del/ 'uomo, che ha già parlato con voce come di tromba (v. 9),
non solo annuncia la presenza di Dio, ma la realizza in se stesso e la
determina. Tutta la potenza divina si trova in lui e si concentra nella
sua parola: prima ancora di comprendere il contenuto del suo mes-
saggio, ciò che le sue parole esprimeranno, si sottolinea che egli, in
ogni caso, parlerà con il timbro divino, che la sua parola avrà la stessa
risonanza impressionante di Dio che manifesta la sua gloria 111 •

111
Con la ripresa del tennine cjlw~ (già usato poco prima: una voce come di tromba
[v. 9], vedere la voce che parlava con me [v. l 0]), il gruppo viene sensibilizzato gra-

90
Prima parte (1,4--3,22)

Il.~~. . -~-~ - , . - 1,16


1 KaL EXWV EV t1J ut:~.,Lq; XELPL amou E stava tenendo nella sua destra
~
ll ClOtEpaç
' , '
ETna sette stelle
KaÌ. ÈK tOU OtOj.L(ltOç aÙtou e dalla sua bocca
po1-14>al.a ùl.otOiloç 6çE'ia una spada a due tagli affilata stava
ÈKTIOpEUOI!ÉVT] uscendo
KClÌ. ~ OIJILç ClUtOU e il suo volto
Wç Ò ~ÀLOç !j>aLVEL ÈV tfl ÒUVallEL come il sole splende nella sua
' -
ClUtOU. potenza.

Dopo i tratti caratteristici riguardanti la figura delfiglio dell'uomo,


si passa in un primo momento a presentare la sua azione, per ritor-
nare alla fine, in maniera sintetica e conclusiva, direttamente alla
persona. Il contatto con le Scritture si accentua: l'Autore è ancora
più creativo. Gli aspetti che ora presenta sono quindi particolarmente
importanti.

-E stava tenendo nella sua mano destra sette stelle (KaÌ. €xwv Èv tiJ
6EI;Li~ XELPÌ. aùtoù àcrtÉpaç Élrta)

La frase presenta una serie di simboli diversi: antropologico (mano de-


stra), cosmico (stelle) e numerico (sette). Tenere nella mano destra, la
mano della forza, significa mantenere saldamente, con tutto l'impegno
della propria energia. Gesù Cristo esercita questa azione in continuità,
come indica l'uso del participio presente (tenentefÉxwv). Le stelle ap-
partengono al cielo, e, quindi, in un certo senso, alla zona di Dio 112 ; il
numero sette, come già visto, indica la totalità.

datamente all'ascolto del messaggio di Gesù risorto che gli sarà presentato in 2-J
(settenario delle Lettere).
:Il Nell'Apocalisse, aot~p. stella, ha un significato complesso che riflette la multifor-

mità del termine nell'arco dell'Antico e Nuovo Testamento (cfr. W. FOERSTER, "&ot~p,
aotpov", GLNTI, 1337-1342). Nell'Apocalisse ricorre 14 volte e IO nel resto del NT.
Il punto di riferimento base è il fatto che le stelle, collocate nel cielo (cfr. Gn 1,14-
18), appartengono in qualche modo alla trascendenza divina. Possiamo distinguere,
in questo quadro, un aspetto positivo, come le sette stelle in mano al figlio del/ 'uomo
(l, 16; 2, l; 3, l) simbolo della dimensione trascendente della chiesa, e le dodici stelle
intorno alla testa della donna (12,1) simbolo della trascendenza del popolo di Dio
(dodici tribù di Israele-i dodici apostoli dell'agnello). Ma troviamo anche un signi-
ficato negativo, determinato dal movimento: le stelle passano dal cielo, luogo che è
loro connaturale, alla terra, dove si trovano come corpo estraneo. Questo simbolismo
negativo assume, nel decorso del libro, varie determinazioni. Presentato in 6,13-14, in

91
Commento

Viene quindi suggerito che una totalità celeste, "stellare", in qualche


modo appartenente alla trascendenza di Dio, è tenuta in mano dal
Risorto. Di che si tratta? L'immagine simbolica, ancora indetermi-
nata e non completamente decodificabile, fa pressione sul gruppo
di ascolto e lo sensibilizza. In effetti, l'Autore fornirà poco dopo
una prima determinazione: le sette stelle sono gli angeli delle sette
chiese (l ,20). L'attenzione si sposta da Cristo alla chiesa, ma l'e-
spressione angeli delle sette chiese rimane enigmatica. Sarà ripresa
-e trattata in dettaglio-all'inizio del messaggio alle singole comu-
nità. Potremmo dire che si tratta delle chiese stesse, viste nella loro
dimensione trascendente, che si trova, con tutto ciò che le compete,
con la sua totalità anche escatologica, completamente in mano a
Cristo risorto.

-e dalla sua bocca una spada a due tagli, affilata, stava uscendo (Ka.l
ÈK "tOU O"tOflll"tOç a.Ù"tOU pOflcpll LIl OlO"tOflOç ò.;ELil ÈKlTOpEUOflÉVTJ)

Il Risorto, che è garante della dimensione trascendente della chiesa, le


rivolge la sua parola in continuazione. Questo fatto di fede, dato per
scontato come tale, viene interpretato con un accumulo di tratti simbo-
lici: si tratta del simbolismo a "struttura discontinua", che richiede la
decodificazione di ogni singolo elemento simbolico prima di passare
a quello seguente.
Il punto di partenza ispiratore può essere stato Is 49,2: Ha reso la mia
bocca come una spada affilata (TM: ;,'1r:t :l~.!)~; LXX: waEl ~xa.tpa.v
Ò~E'ia.v). Lo sfondo generico dell'immagine è identico: la parola è
come una spada, ma la simbolizzazione è diversa. In Isaia la bocca
parla e quindi la parola assomiglia (come) a una spada affilata. Si tratta
di una qualifica data da Dio e che potrà poi attuarsi insieme alle altre
enumerate nello stesso versetto.
Torniamo al nostro passo. Proprio dalla bocca del Risorto (sua) esce
il messaggio indirizzato alle chiese. Ma questo messaggio ha la forza
di una spada particolarmente affilata, che taglia su entrambi i lati; essa
appare il soggetto principale, a cui vengono date delle attribuzioni

modo globale e generale, viene poi dettagliato quando si parla di una stella che cade
dal cielo sulle acque, avvelenandole (cfr. 8, l O); di una stella caduta dal cielo sulla
terra con un riferimento probabile al demoniaco (Ap 9,1); di un terzo delle stelle del
cielo gettate sulla terra dalla coda del drago (Ap 12,4), con il significato probabile
di un'allusione alle dissacrazioni avveratesi nella storia (come quella di Antioco IV
Epìfane: cfr. Dn 8,10).

92
Prima parte (1,4-3,22)

particolari (a doppio taglio, acuta); inoltre, l'uso del participio presen-


te (uscente!EKnopEUOf.J.ÉVTJ) indica uno sviluppo in atto. Ne segue che,
proprio mentre Gesù sta parlando, la sua parola acquista un'efficacia
irresistibile, come la forza di una spada a doppio taglioll3. Il gruppo
di ascolto si sente interpellato, messo in crisi da questa parola così
penetrante, non però in una prospettiva di condanna, bensì per la pro-
gressione nel cammino di amore verso Dio.

-e il suo volto, come il sole splende nella sua forza (KcÙ ~ o1)1Lç aù·roù
wç Ò r)}... LOç !flaf.vEL Èv tt'J ÒUVOCf.J.EL aÙmù)

L'attenzione si concentra di nuovo sulla persona e su quella parte


significativa, al punto da coincidere con la persona stessa, che è il
m/to/61)1Lç 114 •
Un contatto letterario con l' AT non appare sicuro. Più aderente, un
parallelo con la trasfigurazione secondo Matteo, che potrebbe esse-
re anche un contatto letterale: E il suo volto brillò come il sole (Kaì
EÀ.a~'ljiEV TÒ 1tp6aronov aÙ'tOÙ roç 6 ilì..toç, Mt 17,2).
Tutta la frase ha una notevole forza emotiva, come appare dalla preci-
sazione quando splende nella sua potenza. L'Autore gusta la natura;
quel senso di gioia, di positività, di forza, di creatività che dà il sole
quando splende nella sua potenza (non in un giorno nebbioso!) lo
comunica il volto di Gesù risorto e, più generalmente, la sua persona.
~on si tratta di una visione in senso fisico: è il Risorto pensato, sentito,
creduto come tale che ha, per il gruppo di ascolto, il fascino stimolante
del sole. L'immagine sottolinea l'energia irradiante propria di Gesù
risorto nei riguardi di tutti coloro che, venendo in contatto con lui,
potranno riceverla e sperimentarla, così come sperimentano l'energia
solare.

1
' Da notare come la stessa immagine sia particolarmente elaborata in Eb 4,12: Infatti
la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa
penetra fino al punto di divisione del/ 'anima e dello spirito, fino alle giunture e alle
midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore. Sui punti di contatto tra i due
libri vedi A. VANHOYE, "L'Apocalisse e la Lettera agli Ebrei", Apokalypsis, 257-275.
:t• Nell'ambito del NT il termine ha, oltre al significato di visione in senso attivo e di
apparizione esterna, anche quello specifico di volto (cfr. BAUER, Griechisch-deutsches
Worterbuch, 1216).

93
Commento

1,17-18 1,17-18
17 17
Kat OtE Eioov autov ElTEOil npòç E quando lo vidi caddi
toùç nooaç autou ai suoi piedi,
Wç VEKpoç come un morto
KllL E9T]KEV t~V &~LilV autou Èn' Èi.J.È e pose la sua destra su di me
ÀÉywv· dicendo:
Il~ <f>ojlou· "Non temere!
Èyw EÌ+J.L ò npilioç KaL ò ffixaroç 1 ~at Io sono il primo e l'ultimo
18
ò(wv, il vivente
KllL ÈyEVOi.J.T]V VEKpÒç KllL Ì.OoÙ (wv divenni cadavere. E guarda:
EÌ.i.J.L EÌ.ç toùç ai.wvaç twv ai.wvwv sono vivente per i secoli dei secoli!
Kat E'xw rètç KÀE'iç tou eavamu Kat Ed ho le chiavi della morte e dell'Ade.
mu ~Oou.

- E quando lo vidi caddi ai suoi piedi, come un morto e pose la sua


destra su di me dicendo: "Non temere!" (Kaì on: doov a1n6v Em;cra
npòç 'tOÙç n68aç UÙ'tOÙ ooç VEKp6ç ICUÌ E~Kf:\1 TJÌV OEI;tàv airroù È1t' È!Ji;
')..i;yrov· l.t:JÌ cpo~où·)

Giovanni!Autore passa a parlare di se stesso, descrivendo la sua rea-


zione e sottolineando l'atteggiamento imprevedibile da parte di Gesù
nei suoi riguardi.
La percezione piena della realtà trascendente di Gesù lo travolge to-
talmente, e l'espressione caddi ai suoi piedi come morto rivela un'e-
sperienza personale sconvolgente 115 • Significativi i passi del libro di
Daniele a cui l'Autore si ispira, ma rielaborando in modo originale:
Io rimasi solo a contemplare quella grande visione, mentre mi sentivo
senza forze; il mio colorito si fece smorto e mi vennero meno le forze.
Udii il suono delle sue parole, ma, appena udito il suono delle sue pa-
role, caddi stordito con la faccia a terra... Mentre egli parlava con me
in questa maniera, chinai la faccia a terra e ammutolii (Dn l 0,8-9 .15).
Poi il nostro Autore si trova davanti, con sorpresa, un Gesù diverso,
tutto per lui, rassicurante, amico confidenziale che gli parla con tono
familiare di se stesso; per prima cosa si preoccupa di togliere qualun-
que senso di paura che la vista della sua grandezza aveva potuto pro-
vocare. Come YHWH rassicurava i suoi profeti, usando l'espressione
non temere (cfr. Is 41,10.13; 43,1.5; Ger 30,10; 46,27-28), così ora

115
Lo schema di Ap 1,17 ricalca quello di Daniele: davanti alla manifestazione tra-
scendente, la debolezza umana non regge (cfr. Dn 10,8-9); l'intervento diretto dell'es-
sere celeste, che è apparso, ristabilisce l'equilibrio (cfr. Dn 10,11-12).

94
Prima parte (1,4--3,22)

il Risorto rassicura il profeta/Autore: E pose la sua destra su di me,


dicendo: "Non temere!"; il gesto amorevole e il comando confortante
mostrano un contatto diretto con Dn 10,18-19: Quellafigura d'uomo
mi toccò, mi rese le forze e mi disse: "Non temere ... ".

- Io sono il primo e l'ultimo e il vivente e divenni cadavere e guarda


sono vivente per i secoli dei secoli (Èyw ELIJ.L ò npw·roç K«Ì. ò ffixa•oç K«Ì. ò
(wv K«Ì. Èym)IJ.TJV vEKpÒç K«Ì. Looù (wv ELIJ.L Eiç 1:oÙç atwvaç 1:wv aLwvwv)

La presentazione che Gesù fa di se stesso è originale nella sua for-


mulazione, ma riprende la terminologia delle Scritture dove queste
definizioni sono riferite direttamente a Dio.
Attraverso il contatto letterale con il TM di Is 44,6: Così dice YHWH
s'bai5th: io sono il primo e io sono l'ultimo (li1J:J~ ~JI!tJ '1i~N1 :J~; LXX:
Èyw npw1:oç Kcù Èyw IJ.HtÌ •au'ta), e di Is 48,12: Ascoltami Giacobbe,
Israele fai attenzione a me: io sono colui che sono il primo e io sono
anche l'ultimo (1i':'IJ:JI!t ~J~ ~~ 1iWN1 ~~l!t; LXX: Èyw ELIJ.L npw1:oç Kaì. Èyw
ELIJ.L ELç 1:Òv atwva), nei quali si parla di YHWH visto soprattutto nella
sua trascendenza rispetto alle vicende umane, l'Autore trasferisce al
Risorto tutto questo. E poiché la stessa espressione ricorre anche in
Ap 2,8 e 22, 13, dove leggiamo: Io sono l 'Alfa e l 'Omega il primo e
l 'ultimo, il principio e la fine, tale trascendenza viene storicizzata;
Gesù Cristo è ali 'inizio e alla fine della serie omogenea della storia
della salvezza.
Inoltre, la pienezza della vita, propria di Dio nell' AT (cfr. Dt 5,26;
Gs 3,10; Sal42,3; 84,3; Ger 10,10; 23,36; Dn 6,21.27), viene afferma-
ta di Gesù risorto {KaÌ. ò (wv): ciò lo situa allo stesso livello. Tuttavia
tale pienezza di vita è messa in stretta relazione alla morte, come si
evince dal resto del versetto: Gesù partecipa in pieno alla realtà uma-
na, vi si immerge e la fa sua (divenni cadavere, ÈyEVOIJ.TJV VEKpoç), ma
allo stesso tempo la supera. Emerge, infatti, con un verismo concreto e
impressionante, la trafila del mistero pasquale: la morte, pur influendo
nel presente, appartiene al passato; la resurrezione, invece, appartiene
al presente continuato della storia della salvezza, come chi legge può
constatare (ed ecco, guarda)l 16 •

116
C'è un aspetto particolare che l'Autore sottolinea: la vitalità del Risorto è, in
qualche modo, verificabile e riscontrabile a livello terrestre. Gesù non si limita ad
affermare che, vinta personalmente la morte, vive pienamente a livello divino, ma
invita Giovanni/Autore a rendersene conto (ed ecco, guarda). La pienezza della vita è
portata a livello umano, applicandone la potenza e la creatività alla storia della salvez-

95
Commento

E di nuovo con la formula vivente per i secoli dei secoli viene ribadita
l'uguaglianza con Dio, al quale l'espressione viene direttamente attri-
buita in Ap 4,9-10; 10,6 e 15,7 117 •

- ed ho le chiavi della morte e del/ 'Ade (KaÌ. EXW tàç KÀ.El.ç tou eavchou
KaÌ. ·rou ~oou)

La presenza della vitalità di Gesù risorto nella nostra storia non impe-
disce e non attenua la crudezza amara della morte; il nostro Autore ha
un senso molto acuto della realtà delle vicende umane per distaccarse-
ne completamente: la vita finisce e, secondo la visione ebraica e greca,
resta solo una sopravvivenza umbratile e parziale nel mondo sotter-
raneo. Nell'uso comune ellenistico, il termine ade (invisibile) indica
genericamente il soggiorno dei morti 118 e corrisponde all'ebraico sheol
che si riferisce agli inferi come mondo sotterraneo e dimora dei morti
(Gb 17, 13; 21, 13; Sal49, 15; Pr 7,27). Specialmente nei Salmi ricorre
l'immagine dei defunti trattenuti nello sheol (cfr. Sal 18,6; 49,16;
89,49; 116,3; 141,7; vedi anche 2Sam 22,6; Gb 7,9); ma poiché tutto
è sotto il controllo di Dio, Egli ha il potere di liberare dalla morte e di
far risalire dagli inferi (l Sam 2,6; Sal30,4; 49, 16; Pr 15, Il; Os 13, 14).
L'Autore usa altre volte il vocabolo ade (6,8; 20,13.14) sempre con lo
stesso significato di fondo: la situazione dei morti come assenza dagli
avvenimenti della storia e non come dissoluzione fisica della persona.
L'ade, la situazione invisibile propria degli uomini scomparsi dalla
scena della storia, precisa il senso della morte e della sua drammati-
cità. Ma Gesù Cristo, in seguito al mistero pasquale appena ricordato
(fui morto... e sono vivente), ha lo stesso potere risolutivo di Dio, ha la
stessa padronanza completa della morte fisica e del soggiorno dei mor-
ti e può partecipare agli esseri umani la vitalità della sua resurrezione.

za che si sta svolgendo. Qualunque forma di bene che si realizza è come una gemma
della resurrezione, che esprime la vitalità del Risorto presente e attivo nella nostra
storia, in vista della fioritura completa che si avrà nel compimento.
117
In 4,9-10 Colui che siede sul trono (Dio Padre) viene definito, per due volte, Vivente
nei secoli dei secoli e subito dopo celebrato come Creatore di tutte le cose (4, Il); in
7,2 si parla del sigillo del Dio vivente; in 10,6, l'angelo giura per Colui che vive nei
secoli dei secoli; e 15,7 riferisce del furore di Dio che vive per i secoli dei secoli di
fronte al male. La vita di Dio tende a donarsi, a comunicarsi, a esprimersi nella storia
ed è incompatibile con qualsiasi forma di negatività; nell'ottica dell'Apocalisse, si
tratta della stessa opera creatrice divina che agisce nella storia per operare la salvezza.
118
Nella mitologia greca "ALOTJç,!'lnvisibile, era il nome del signore degli inferi, uno
dei figli di Crono. Ma è da escludere qualsiasi richiamo ad essa, data l'avversione
viscerale a qualunque concezione di origine pagana da parte del nostro Autore.

96
Prima parte (1,4--3,22)

Capacità sottolineata anche dall'immagine simbolica del possesso


delle chiavi, che indica autorità e potere (cfr. 3,7; 9,1; 20,1).
Anche coloro che si trovano nella tragicità della morte sono coinvolti
nella sua salvezza (cfr. 5,13s) 119• L'immagine simbolica delle chiavi
ricorre anche in 3,7, dove Gesù dice inequivocabilmente di possedere
fa chiave di Davide e il potere assoluto di usarla. Questo esplicito rife-
rimento a Davide arricchisce di significato il simbolo, perché il richia-
mo evoca e riprende le promesse e le speranze messianiche legate alla
sua figura. E poiché in altri due passi successivi (5,5 e 22,16), di cui
il secondo alla conclusione del libro e dichiaratamente pronunciato da
Gesù stesso, si cita di nuovo Davide, sembra che il nostro Autore voglia
fornire al lettore/ascoltatore un insieme di indizi, arricchendo di volta
in volta l'immagine simbolica usata, per formare un unico quadro che
solo alla fine rivelerà pienamente tutto il suo significato 120 •

1,19-20 l ,19-20
19
YPU'I'OV oÙv dòeça 19
Scrivi, dunque, le cose che vedesti
a a
KaÌ EÌO'ÌV KaÌ ~ÉAÀEl yevÉcr6al e quelle che sono e quelle che stan-
flEtà taiita. no per divenire dopo queste,
20
~otò f.lUcrn'Jptov trov é1ttà àcrttprov il mistero delle sette stelle che
ouç dòeç vedesti
81tì tt;ç oeçuiç ~ou nella mia destra
KaÌ tàç É1ttÙ ÀU:XVtaç tàç XJ)'UOtìç e i sette lucemieri d'oro".
oi É1ttà àcrtépeç O.yyeÀ.ot trov tmà Le sette stelle sono angeli delle set-
EKKÀT)mffiv dcrtv te chiese
Kaì ai Àux;viat ai tmà É1ttà e quei sette lucernieri sono sette
EKKÀTJcriat dcriv. chiese.

•• Le espressioni: Io ho le chiavi dell'ade e della morte (l ,18); E diede il mare i morti


,-he sono in esso, e la morte e l'ade i morti che sono in essi ... (20, 13) farebbero pen-
;are a un soggiorno dei morti sotto terra e in un contesto negativo, poiché ~OT]ç appare
unito a a&va:roç (cfr. l, 18 e 20, 13). Ma troviamo altri testi, riferiti al dopo rispetto alla
Yita terrena e che, nel contesto, hanno una valenza chiaramente positiva: in 14,13 si
proclama la beatitudine .fin da ora di coloro che muoiono nel Signore; l'espressione
~ ;;oKatw tftç yftç è situata in un contesto negativo in 5,3, ma in quello altamente posi-
tivo della celebrazione dell'agnello in 5, 13. Ricordiamo inoltre 6,8: Un cavallo verde
<?colui che sedeva su di esso aveva nome Morte e l'ade seguiva con esso, e 20,14: E
ia morte e l'adejùrono gel/ati nello stagno de/fuoco.
:ù L'Autore ha una notevole capacità evocativa: riesce a fornire delle tracce, che poi il

lettore/ascoltatore è chiamato a sviluppare per conto suo. È tipico, a questo proposito,


il suo modo di rapportarsi alle Scritture: non si ha mai una citazione esplicita, ma in-
tere espressioni antico-testamentarie sono spesso inserite nel discorso (se ne contano
oltre 800), facendone rivivere il contesto in una nuova e ulteriore prospettiva.

97
Commento

Come conseguenza (dunque) dell"'apparizione" e della morte-resur-


rezione, viene inviato un messaggio alle sette chiese. Esso si riferisce
a tutto l'insieme di esperienze e riflessioni che l'Apocalisse chiama
"visioni" (ooa ElùEç) e che ha per oggetto sia il presente (le cose...
che sono) sia i fatti futuri (le cose... che stanno per divenire nel dopo
queste escatologico).
Di nuovo Giovanni/Autore riceve l'ordine di mettere per iscritto quan-
to vede (cfr. l, 11 ), e l'oggetto, specificato e dettagliato, abbraccia tutto
il tempo (passato, presente e futuro): si tratta della situazione delle
chiese e dei fatti della storia in generale.
Nell'Apocalisse, il termine misterolr.ò IJ.UO!~p Lov indica il progetto di
Dio (cfr. l O, 7) che, espresso con un linguaggio simbolico, fa pressio-
ne per essere decifrato (cfr. 1,20; 17,5.7). Potremmo dire che si tratta
del piano divino salvifico che si sviluppa nella storia e che, passando
attraverso il tempo, giungerà al suo compimento che si realizzerà nei
giorni del settimo angelo. In questo passo gli elementi del mistero sono
due: le sette stelle (angeli delle sette chiese) e i lucernieri (chiese) 121 •
L'espressione angelo della chiesa può significare appartenente alla
chiesa, esponente della chiesa, esprimente la chiesa; in parte si iden-
tifica con la chiesa attuale, ma in parte la supera, contenendo un'indi-
cazione superiore, a livello super-umano, angelico 122 • Diversi, infatti
sono i livelli simbolici, sviluppati sull'intuizione base:

la chiesa nella sua dimensione


trascendente - angeli delle chiese - stelle.

Le stelle sono il simbolo della trascendenza (stanno nel cielo); espri-


mono, in maniera più radicale, la dimensione ultraterrena della chiesa.

121
Il mistero, perciò, non è qualcosa di inconoscibile, incomprensibile o riservato a
pochi come nella grecità classica. Le altre ricorrenze del termine (10,7; 17,5.7) ci
permettono di precisame il significato; grazie al discernimento sapienziale è possibile
conoscere il piano salvifico di Dio che si attua nella storia. Rivelato dallo Spirito e
mediato dai profeti, diventa espressione simbolica che deve trovare un'identificazione
concreta negli eventi storici nei quali si realizza. Sul significato del termine mistero
nella grecità profana e nelle Scritture vedi R. PENNA, "Mistero", NDTB, 984-993.
Sulla relazione tra il libro della Sapienza e l'Apocalisse in tema di misteri di Dio,
vedi L. MAZZINGHI, "I 'Misteri di Dio': dal libro della Sapienza all'Apocalisse",
Apokalypsis, 147-181.
122
Varie sono le interpretazioni esegetiche: angeli custodi delle chiese, messaggeri alle
chiese e vescovi sono le principali (cfr. C. BROTscH, La Clarté, 44ss).

98
Prima parte (1,4-3,22)

2.3. Visione biblico-teologica d'insieme

Secondo lo stile dell'Apocalisse, il brano, detto "visione inaugurale",


esprime in prima persona un'esperienza che tende a coinvolgere gli
ascoltatori ai quali viene presentata (cfr. 1,3).
Fin dall'inizio l'Autore insiste sulla comunione che lo unisce al voi
del gruppo di ascolto al quale si rivolge (lo Giovanni, il fratello vostro
e compartecipe) e richiama esplicitamente l'assemblea del giorno del
Signore che costituiva l'occasione più appropriata per una condivisio-
ne. I testi dell' AT, che riprende e reinterpreta in chiave cristologica,
richiedono da parte di chi ascolta una riflessione esplicativa, che im-
pegna personalmente. Ugualmente, il simbolismo che usa sollecita un
coinvolgimento attivo e creativo da parte di chi ascolta; e l'ascoltatore
tende ad identificarsi con i lucernieri d'oro che stanno intorno a Gesù
risorto.
Di conseguenza l'esperienza dell'Autore, proprio in forza di questo
movimento avvincente e coinvolgente, tende a trasferirsi all'assem-
blea, per essere addirittura rivissuta. Sarà il gruppo di ascolto che, pre-
so atto dell'incarico di scrivere ricevuto da Giovanni da parte di Gesù
Cristo stesso, si sentirà il destinatario del messaggio scritto.
Il Gesù della "visione" iniziale non è solo il Signore della comunità e
nemmeno soltanto il figlio del! 'uomo 123 ; morto e risorto, in una situa-
zione permanente di pienezza di vita, egli si colloca a livello di Dio,
con il quale è interscambiabile. A livello divino, si occupa attivamente
della comunità: esercita la sua funzione messianica; è presente nella
sua chiesa mentre prega; la segue; la valuta; le parla. Il suo intento è
comunicare la vita, vincendo del tutto la morte: ciò si realizzerà me-
diante lo sviluppo storico della salvezza. Al termine di tale sviluppo,
anche la chiesa avrà raggiunto la pienezza della sua dimensione, il suo
sviluppo divino e sarà completamente stella.
E il Risorto, già presente, prepara attivamente questo traguardo finale.

123
Nel primo senso si è espresso Holtz; nel secondo Comblin.

99
Commento

3. Le lettere alle sette chiese (2,1-3,22)

3.l . Profilo letterario e teologico

Come abbiamo già avuto modo di anticipare, il settenario dei mes-


saggi124 si presenta con una struttura a "raggiera": Gesù è il centro e
le comunità destinatarie sono disposte in cerchio attorno a lui, che si
rivolge a ciascuna specificamente affinché tutte le altre ascoltino.
I singoli messaggi sono costruiti seguendo una struttura letteraria
fissa, identificabile in sei punti, anche se alcuni elementi (esortazione
generale e promessa al vincitore) sono mobili:
l) Indirizzo: All'Angelo ... scrivilrQ àyyÉÀ~ ... ypatjtov· ...
2) Autopresentazione di Gesù: Queste cose dice colui. ..lrét.bE ÀÉyEL 6.. .
3) GiudizioNalutazione di Gesù sulla comunità: So-conosco ... !O'l&t .. .
4) Esortazione particolare costituita dal primo imperativo dopo il
giudizio:
a) ricorda!j.lVT)j.lOVEUE (2,5);
b) non temere per niente{LT)OÈV cpopou (2, l O);
c) convertiti dunque{LnavÒT)aov oùv (2, 16);
d) ciò che avete mantenete/o con forza!ò EXEtE Kpatf}oan (2,25);
e) diventa vigilante/yf.vou ypT)yopwv (3,2);
o
f) tieni con forza ciò che haiiKpatEL EXELç (3, Il);
g) abbi dunque un amore geloso e convertiti/(~ÀEUE ouv Kal
j.!Et!XVOT)OOV (3, 19).
5) Promessa al vincitore: Al vincitore darò!tQ VLKWV'tl owaw, oppure
1/ vincitore... darò a lui/o VLKWV ••• OWOW aÙtQ •.•
6) Esortazione generale: chi ha orecchio ascolti .. .lò Exwv ou ç
' ,
!XKOUO!XtW •.•

124
Sulla questione vedi D. AliNE, "The Forrn and Function ofthe Proclamations to the
Seven Churches", NTS 36 (1990) 182-204; R. L. MusE, "Revelation 2-3: A Criticai
Analysis ofSeven Prophetic Messages", JETS 29 (1986) 147-161; W. H. SHEA, "The
Covenantal Forrn of the Letters to the Seven Churches", A USS 21 (1983) 71-84; F.
HAHN, "Die Sendschreiben der Johannesapokalypse. Ein Beitrag zur Bestimmung
prophetischer Redeforrnen", Tradition und Glaube. Das friihe Christentum in seiner
Umwelt. Festgabefor Karl Georg Kuhn zum 65 Geburtstag (ed. G. JEREMIAS- H.-W.
KUHN- H. STEGEMANN) (Gottingen 1972) 357-439; M. HUBERT, "L'architecture des
lettres aux Sept Eglises (Apoc 2s)", RB 67 (1960) 349-53.

100
Prima parte (1,4-3,22)

Alcune osservazioni generali ci aiuteranno a comprendere come l'uso


di questo schema letterario esprima qualcosa di più di una semplice
scelta formale 125 •
La connessione concatenata dei primi quattro punti, cioè la loro logica
di fondo (con l'indirizzo la chiesa prende contatto con Gesù; con l'au-
topresentazione lo riscopre; con la valutazione si confronta con le sue
esigenze; mediante l'esortazione particolare è invitata a trasformarsi, a
crescere nell'amore reciproco), la modifica dello schema (la variazione
nell'ordine degli ultimi due punti), il fatto che la comunità alla fine
della lettera appaia diversa da come era all'inizio, sono tutti elementi
che superano l'aspetto puramente stilistico 126 ed esprimono lo sviluppo
di un rapporto interpersonale.
Nei primi quattro punti, Gesù interpella la singola comunità: prende
contatto diretto con essa (all'angelo della chiesa) e si presenta in tutta
la sua autorità (queste cose dice colui che), che esprime l'interesse
premuroso per tutti i particolari della vita della chiesa. Egli guarda
in trasparenza e valuta la vita della singola comunità (conosco le tue
opere), anche con un linguaggio duro e tagliente (minaccia), ma che
nasconde un amore implacabile e geloso; e alla fine, passando dall'in-
dicativo all'imperativo, esige da tutte un salto di qualità, sia quando
la condizione iniziale è negativa 127 e ha bisogno di un cambiamento
radicale, sia quando è positiva, ma deve superare degli ostacoli, e in
ogni caso può migliorare. Per un'esigenza incontenibile del suo amore,
Gesù vuole da ciascuna il meglio, la forma ottimale per arrivare alla
piena reciprocità.
Accogliendo e rispondendo a questo appello di amore, ciascuna co-
munità, rinnovata, appare capace di ascoltare lo Spirito e, nello stesso

:s Nei primi quattro punti il messaggio di Gesù è rivolto alle singole comunità inter-
pellate direttamente con il tu o con il voi, mentre negli ultimi due è indiretto e rivolto
in terza persona (chi ha orecchio ... ; il vincitore, al vincitore ... ). I primi quattro punti
presentano sempre lo stesso ordine. Nelle ultime quattro lettere l'esortazione generale
e la promessa al vincitore sono invertite nell'ordine. Il giudizio non deve intendersi in
senso giuridico proprio, cioè come una sentenza, ma come la valutazione della situa-
zione concreta, negli aspetti positivi e/o negativi, della vita delle comunità ecclesiali
intesa nell'ottica di un rapporto interpersonale tra Gesù e le chiese.
6
: Si pensi alla "terza rima" di Dante Alighieri, alle "stanze" del Petrarca, al ca-

novaccio del "sonetto", dove c'è uno schema puramente formale indipendente dal
contenuto.
c:' Ciò apparirà particolarmente chiaro quando la situazione constatata ed espressa
nel giudizio è molto grave. Vedremo ad esempio quello sulla chiesa di Sardi: Hai il
nome di vivente e sei morto (3, l b); e quello sulla chiesa di Laodicea: Così, poiché sei
tiepido, cioè né caldo e né freddo, ti sto per vomitare dalla mia bocca (3,16).

101
Commento

tempo, in grado sia di interpretame adeguatamente il messaggio che


le è stato rivolto, sia di collaborare attivamente alla vittoria di Gesù
Cristo sul male. È l'intera comunità ecclesiale già pronta e lanciata
nell'esperienza della Seconda Parte del libro.
Lo schema letterario in sei punti, dunque, ha una sua dinamica vitale.
Durante il suo svolgimento scatta, tende a svilupparsi e si consolida il
rapporto di reciprocità tra Gesù e le chiese.
Inoltre, se guardiamo il gruppo settenario delle lettere nel suo insieme,
rileviamo un dinamismo che percorre tutti i messaggi. Si tratta del
rapporto interpersonale tra Gesù e le comunità, in alcuni punti più evi-
dente, in altri meno, ma sempre presente, e che può essere paragonato
a un fiume carsico. Questa reciprocità si caratterizza da subito come
affettiva; nella prima lettera troviamo il rimprovero, da parte di Gesù,
alla comunità di Efeso: Ma ho contro di te che il tuo amore - quello
primo! -lasciasti andare (2,4), che si riferisce chiaramente all'atmo-
sfera iniziale, esplosiva dei primi incontri, con tutto l'entusiasmo e la
radicalità che comportano.
Accanto a questi momenti critici, ce ne sono altri di stupenda serenità:
ad esempio nella lettera alla chiesa di Pergamo, quando Gesù, pieno di
amore, promette di darle i suoi doni più belli, come la manna nascosta
(2,17), simbolo evidente dell'eucaristia, e suggella il rapporto con essa
attraverso il dono di una pietruzza bianca, simbolo della resurrezione,
e il nome nuovo scritto su di essa, nome che rimane un segreto tra i
due che si amano (vedi ancora 2,17).
Fino ad arrivare ali 'ultima lettera dove Gesù, dopo aver amaramente
constatato la tiepidezza e l'autosufficienza illusoria della comunità
di Laodicea: ... non sei né freddo né caldo ... poiché sei tiepido e non
caldo né freddo (3,15-16), e aver reagito con estrema durezza: sto per
vomitarti dalla mia bocca! (3,16), torna a riproporre il suo amore nella
speranza che venga accolto: Ecco: mi sono messo e rimango in piedi
alla porta e busso. Se uno ascolta la mia voce e apre la porta, entrerò
da lui e cenerò con lui e lui con me (3,20) 128 •

128
Sull'esperienza dell'amore come "dimensione antropologica per eccellenza"
dell'Apocalisse, vedi L. PEDROLI, Dal fidanzamento alla nuzialità escatologica, 412-
422. Sull'importanza della terminologia e dei riferimenti tipici del rapporto di amore
nei messaggi alle comunità, vedi D. A. MciLRAJTH, The Reciproca/ Love Between
Christ and the Church in the Apocalypse (Roma 1989) 35-37.

IO?
Prima parte (1,4-3,22)

3.2. Il messaggio alle chiese e gli elementi comuni delle lettere

Il messaggio contenuto nelle lettere alle chiese non solo mostra uno
schema letterario ricorrente, ma contiene anche degli elementi che si
ripetono per sette volte. Nell'intenzione dell'Autore tale ripetizione ha
il doppio scopo di inquadrare saldamente gli aspetti fondamentali del
rapporto interiore fra Gesù che parla e le singole comunità che stanno
ascoltando, e di rendere tutte le chiese che ascoltano capaci di collabo-
rare fattivamente con lui nel superamento del male e nel radicamento
del bene da realizzare nella storia dell'umanità.
lnnanzitutto, occorre sottolineare che si tratta di un messaggio al con-
tempo "settiforme", in quanto tocca nel vivo la situazione concreta
delle singole comunità, e universale perché tende ad abbracciarle
tutte ("struttura a raggiera"), nonché aperto alle chiese di ogni tempo.
~otiamo infatti che, all'inizio, il messaggio è indirizzato alla singola
comunità che è anche nominata (riferimento geografico), ma alla con-
clusione di ciascuna lettera c'è un'apertura esplicita alle altre. Lo Spi-
rito parla a tutte, dopo che ciascuna ha ascoltato il messaggio specifico
e accolto il proprio imperativo, che tende a trasformarla.
Il messaggio è indirizzato ali 'angelo della chiesa; ma il discorso ri-
guarda la chiesa stessa (vedi i passaggi dal tu al voi e viceversa) 129 •
Angelo e chiesa, sotto questo aspetto, coincidono.
La chiesa, intesa nella sua struttura concreta, con i suoi problemi, le
sue luci e le sue ombre, è in mano a Gesù Cristo, che la purifica e l'a-
bilita all'ascolto dello Spirito.
Tenendo presente questo quadro d'insieme, analizziamo anzitutto gli
dementi comuni del messaggio, rimandando l'esegesi delle parti spe-
cifiche ai paragrafi successivi, dedicati alle singole lettere. Passiamo
ali' analisi degli elementi comuni.

l) Nell'indirizzo:
-[e] all'angelo della chiesa in .... scrivi ([Kal] -rQ àyyÉÀ~ -rfìç E:V •••
EKKÀT}Otaç ypaljtov·)
L'espressione angelo della chiesa è tipica dell'Apocalisse; per la sua
ricorrenza in tutte le lettere acquista un rilievo letterario particolare.

:• Il tu della seconda persona singolare diventa un voi plurale, senza che appaia nel
passaggio alcuna variazione di significato (cfr. 2,25: Ma ciò che avete mantenete, e
3.11: Mantieni ciò che hai); così pure quando, nello stesso messaggio, si passa dal tu
al voi per ritornare al tu (cfr. 2,10: Non temere per niente: avrete una tribolazione di
dieci giorni; e subito dopo: Divieni fedele .fino alla morte).