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«12 STUDI PER PIANOFORTF or

op ° IF CHOPIN

Coni
spesso abbi^oÌnSoacome'a rÌVÌSta Colui cbe così
della notte? me una steba rara nelle tarde ore
splendente dchi^aXt?CC)JniSUì *’ qUanto sia lun8a e
ardore profondo con ù cfg V° ta S1 eJmlostrato con lo stesso
nezza così ’k , stesso centro di luce, con la stessa fi-
avuto’la fortunali samrln° avrebbJe Potuto riconoscere. Ho
ol • S~ sentire questi studi per la maggior parte da
Stano SteiP°; * b kU°nc m°ItO Ch°PÌn * mi bisbigliò Flo-
stano nell orecchio. Si immagini un’arpa eolia che abbia
utte le gamme sonore, e che la mano di un artista le mescoli
in ogni sorta di arabeschi fantastici, in modo però da udire
sempre tm suono grave fondamentale e una morbida nota al­
ta; si avrà così press’a poco un’immagine del modo di suona­
re di Chopin. Nessuna meraviglia, dunque, se i pezzi che so­
no piaciuti di più siano quelli che abbiamo udito da lui, e co­
sì sia citato sopra tutti quello in la bemolle maggiore, più una
poesia che uno studio. Sbaglierebbe chi pensasse che egli fa­
cesse udire chiaramente ognuna delle piccole note; si sentiva
piuttosto un’ondulazione dell’accordo in la bemolle maggio­
re, rinnovato di tempo in tempo dal pedale, ma attraverso le
armonie si distinguevano melodie dai suoni ampi, meraviglio­
si; una volta sola, a metà del pezzo, si sentiva chiara fra gli ac­
cordi una voce di tenore, insieme al canto principale. Finito
lo studio, si prova l’impressione di chi si vede sfuggire una
beata immagine apparsa in sogno e che, già mezzo sveglio,
vorrebbe ancora trattenere; detto questo, si può aggiungere
ben poco in fatto di lode. Chopin passo poi subito all altro

denteb£bo8nS h fa maggiore bel-

&mo W.o- « -
SAGGI DEL 1837 97

nce sia posta in lui: veri quadri poetici, non senza qual-
e piccola macchia nei particolari, ma nell’insieme sempre
possenti e catturanti. Tuttavia la mia opinione più sincera, a
non volerla tacere, è che l’importanza complessiva sia mag­
giore nella prima grande raccolta. Questo però non può in-
urre il minimo sospetto di una diminuzione della natura ar­
tistica di Chopin o di un indietreggiamento, perché gli studi
ora apparsi sono stati composti quasi tutti insieme ai primi e
soltanto alcuni (cui si riconosce una più grande maestria, co­
inè il primo in la bemolle maggiore e l’ultimo, magnifico, in
do minore) sono più recenti. Che il nostro amico crei ora, in
generale, assai poco e opere di piccola mole è purtroppo an­
che vero, e si può ben dire che le distrazioni di Parigi ne ab­
biano un po’ colpa.
Ammettiamo piuttosto che dopo tante tempeste un’anima
di artista abbia bisogno di qualche riposo e che poi forse,
nuovamente fortificata, tenderà ai lontani soli che il genio
sempre ci svela.
Eusebio

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LE ULTIME COMPOSIZIONI DI FRANZ SCHUBERT

Se la fecondità è una caratteristica principale del genio,


Franz Schubert appartiene ai geni più grandi. Non oltrepassò
di molto i trent’anni, ma scrisse tanto da far stupire e forse
soltanto la metà delle sue composizioni è stata sinora stampa­
ta, una parte attende ancora la pubblicazione, un’altra molto
più grande sarà concessa al pubblico dopo più lungo tempo
oppure molto probabilmente mai. Nella prima rubrica abbia­
mo i suoi canti, cbe si sono diffusi con maggior rapidità e più
largamente; egli forse avrebbe messo in musica a poco a poco
tutta la letteratura tedesca; e quando Telemann sostiene che
«un vero compositore dovrebbe poter mettere in musica il
passaporto», avrebbe trovato il suo uomo in Schubert.
Dove toccava, sprizzava fuori musica: Eschilo, Klopstock,
così ribelli alla composizione musicale, hanno ceduto alle sue
mani; d’altra parte egli evidenziava i lati più profondi nelle
poesie più facili di Muller e di altri. C’è poi una quantità di
opere strumentali d’ogni forma e specie: trai, quartetti, sona­
te, rondò, danze, variazioni a due e a quattro mani, grandi e
piccole, piene delle cose più meravigliose e di rarissime bel­
lezze; la nostra rivista le ha più volte caratterizzate in modo
più preciso. Delle opere che ancora attendono la pubblica­
zione ci vengono citate messe, quartetti, un gran numero di
Lieder, ecc. Nell’ultima rubrica infine vi sono le sue compo­
sizioni maggiori, parecchie opere, grandi pezzi da chiesa,
molte sinfonie, ouverture, ecc., rimaste in possesso degli ere­
di. Le composizioni di Schubert recentemente apparse han­
no il titolo:
Gran Duo per pianoforte a quattro mani
(op. 140) e 5 grandi Sonate per pianoforte
(ultime composizioni di Schubert)
Vi fu un tempo in cui non parlavo volentieri di Schubert:
soltanto di notte potevo raccontare di lui agli alberi e alle stel­
le Chi non fantastica una volta nella vita! Non pensavo che a
lui rapito da questo nuovo spirito, la cui ricchezza mi sem­
brava Sfinita e incommensurabile, sordo a tutt0 .
ptneva testimoniare contro di lui. Con dell età. col

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ne di Beethoven non k"1^3 troppo bass^eH al,ezza sol«
menti della vita e«?i bastano i soli studi mE ,a c?mPrensio-
un'altra. Ou«?^ ° entusiasina di nS ™US1C1^ >n certi mo-
F-ssES»SSS

js^teaas^^ssss
arditi, azione decisa; e racconta Ja k traboccante, pensieri
ne romantiche e avventure di ra °i-cbe j$s? ama P*ù: sto-
a tutto ciò spirito e umorismo mf*"’ dl fanc,iuUe- Mischia
delicato accordo fondamentale T tanto da offuscare il

rebU^^"^
va^
lungo tempo. H
Dieci anni fa, dunque, avrei senz’altro annoverato queste
opere recentemente apparse fra le più belle del mondo, e ri­
spetto alla produzione del presente lo sono tuttora. Ma, co­
me composizioni di Schubert, non le metto nella categoria
del suo quartetto per archi in re minore, del suo trio in mi be­
molle maggiore, e di molti suoi canti e piccoli pezzi per pia­
noforte. Il Duo, soprattutto, mi sembra nato ancora sotto l’in­
fluenza di Beethoven, tanto che lo ritenni la trascrizione di
una sinfonia, finché il manoscritto originale, su cui stava
scritto di suo pugno « Sonata a quattro mani », volle convin­
cermi di tutt’altro. Dico «volle», perché ancora non ho ri­
nunciato alla mia idea. Chi scrive così copiosamente come
Schubert finisce per non badar più tanto ai titoli, e la sua ope­
ra fu intitolata forse nella fretta «Sonata», mentre era già
pronta nella sua testa come sinfonia. Ricordiamo anche una
ragione volgare, ossia che in quel tempo in cui il suo nome
appena conciava a essere conosciuto si trovavano piu fa-
cernente editori per una sonata che> per una smtaa Es^
domi familiarizzato con il suo stile, COP ie sue
tare il pianoforte, con\°nt“^r^attere pianistico, me la
ennstp in cui si esprime il piu puro caraticic H
SAGGI DEL t8}8
III

strumenti a corda eTfiat”””' otchestrale Si odono


Pani; insomma 1-estLA ' ' '“'M'* Sol°' U mllio dei dm‘
tniniscenza delle cinf Ofmasinfonica, persino qualche re­
fenda parte ricordifcÌ^°Ven (ad esempio, la se-
l’ultima parte ricorda I’ 7^n/e dcda s.ua seconda sinfonia e
e qualche passo U tlm° ten?po d’ quella in la maggiore
attraverso la ridnzi» ° .SPlcc^to c^e m* sembra aver perduto
Ma vorrei prore™ neh confermano il mio modo di vedere,
sere stato com^n”' ’ Du° Contf° d rimprovero di non es-
obiettando che pe2Z° per Planoforte, sempre ben pensato,
lo che non ™ j n S‘ PU° Pretendere dallo strumento quel-
sarebbe da mn mentre come riduzione di una sinfonia
le possedia™nSlderarefcon «echi. Prendendola come ta-
’ Akk- m Una smfoma di più.
tutù = menzionato le reminiscenze di Beethoven;
Drecnrcnr ^V1101 tesori’ Ma anche senza questo nobile
si sarekk C c.P^ert °on sarebbe diverso; la sua originalità
si sarebbe manifestata forse più tardi. Infatti, chi possiede un
po i sentimento e di cultura riconoscerà e distinguerà alle
prime pagine Beethoven e Schubert. Paragonato a Beetho­
ven, bchubert è un carattere di ragazza, molto più loquace,
piu tenero e più ampio; è un fanciullo che spensierato gioca
tra i giganti. In questo rapporto le sue composizioni sinfoni­
che si trovano con quelle di Beethoven, e non possono essere
pensate nella loro intimità diversamente da come le ha con­
cepite Schubert. Certo, anche lui sente alcuni passi con forza
e spiega grandi masse: esiste sempre però un rapporto come
da donna a uomo, questi comanda dove quella prega e per­
suade. Ma tutto questo vale soltanto a confronto di Beetho­
ven; rispetto ad altri è ancora abbastanza uomo, e anzi il più
ardito e il più libero di spirito dei musicisti moderni. In que­
sto senso si deve considerare il Duo. Non c’è bisogno di cer­
care le bellezze; esse ci appaiono facilmente e ci conquistano
quanto più spesso le osserviamo; dobbiamo perciò affezio­
narci a quest’anima amante di poeta. Per quanto ['adagio ap­
punto ricordi Beethoven, non conosco pezzo dove Schubert
abbia saputo manifestare se stesso più di quanto abbia fatto
Beethoven; così in carne e ossa che a ogni singola battuta
sfugge dalle labbra il suo nome e si esclama: l’ho indovinato!
E ora saremo ancora d’accordo in questo, che 1 opera si man­
tiene alla stessa altezza dal principio alla fine; cosa che in ve-
rkà si dovrebbe esigere sempre, ma che il tempo moderno ci
nta si aoyreou * , non dovrebbe rimanere
offre cosi d> “ si„„„ capiscono parecchie
estranea a nessun musicista, e s

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112
LA musica romantica

creazioni del Drp’ipti „


futuro, è perché manca0^?"”6 C’Pirann° “olte altre del

bert^
stes^fcró^T" 886 k data ^niposLtil^orsét
P0fchéilXn±Kate *?1 Un perÌOd° PÌÙ antico deU’a^ù.
timo lavoro d?<^bkm0Ue magg,10re mi è sempre parso l’ul-
rebbe in verità Schubert’ suo Più caratteristico. Sa-
. ln venta sovrumano che dovesse sempre salire e supe-
are se stesso chi, come Schubert, ha composto tanto e gior­
nalmente. Cosi queste sonate possono essere effettivamente
gli ultimi suoi lavori. Se le abbia scritte nel suo letto di mala­
to o no, non ho potuto sapere: dalla musica stessa sembra di
poter concludere per la prima ipotesi, perché con la triste pa­
rola « ultimissime » la fantasia è tutta presa dal pensiero del­
la vicina dipartita. Comunque, queste sonate mi sembrano
spiccatamente differenti dalle altre sue, soprattutto per una
molto più grande semplicità d’invenzione, per una volontaria
rinuncia a brillanti novità in cui egli altre volte si compiace­
va, per lo sviluppo di certe generali idee musicali, mentre al­
tre volte sovrapponeva periodo su periodo. Come se ciò non
potesse aver mai fine, non fosse mai in imbarazzo per prose­
guire, corre avanti di pagina in pagina sempre musicale e ric­
co di canto, interrotto qua e là da singoli sentimenti violenti,
ma che presto si calmano nuovamente. Se in questo giudizio
la mia fantasia pare sedotta dalla presenza della sua malattia,
devo rimettermi a chi giudichi con più calma.
Così hanno agito queste sonate su di me. Egli poi ha finito
di buon umore, leggero e gentile, come se 1 indomani potesse
di nuovo ricominciare. Altro gli era destinato. Potè “dar
contro all’ultimo minuto con viso tranquiUo. E se sul suo ep
taffio sta scritto che lì giacciono sotterrati «un prezioso p
sesso ma ancor più beUe speranze », noi vogliamo^ricordar

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4$^
op. 40

ne nella storia^^X dX'm ”^e un’ìmPortante s»»-


la prima volta l’aurora <4i USlca’ ® essa si è mostrata per
portanti ingegni de^r^T° 1 >iù
si è fatta anche in ' sono pianisti; osservazione che
e Beethoven si ednr C PlU ?nnc^lc-e Hàndel, Mozart
scultori che dì nri *1 pianoforte e, similmente agli
; . . principio modellano le loro statue in niccolo
. “ Sì “b“;. >p- J p-X™ SS
cheìtrìle I „ , P elaborarono ln Brande con la massa or­
altoBradoLCnLTent0 SteSSj 1! è “’ol‘re P'^ionato a un
alto grado. Con il progresso della tecnica pianistica, e per il
ciVh^0^010 Che l? comP°sizionc Prese con Beethoven,
crebbe la diffusione e l’importanza dello strumento; e se si
arnvera (come 10 credo) ad aggiungergli l’uso di un pedale
come nell organo, si apriranno al compositore nuove vedute
ed egli, liberandosi poi dall’appoggio dell’orchestra, potrà
muoversi ancor più riccamente, più armoniosamente e più li­
beramente. Noi vediamo questa separazione del pianoforte
dall orchestra preparata da molto tempo: il nuovo gioco pia­
nistico, a dispetto dell effetto sinfonico, vuole dominare solo
con i propri mezzi, e in questo si dovrà cercare la ragione per
cui negli ultimi anni siano stati prodotti così pochi concerti
per pianoforte e così poche composizioni originali con ac­
compagnamento... Ciò che una volta era considerato quale
arricchimento delle forme strumentali e importante creazio­
ne, oggi si respinge senz’altro. Tanto sono mutati i tempi!
Certamente sarebbe una perdita per l’arte, se andasse fuor
d’uso il concerto per pianoforte e orchestra; del resto non
possiamo contraddire i pianisti quando affermano: «Noi non
abbiamo bisogno di altri aiuti, il nostro strumento raggiunge
da solo l’effetto più completo». Così dobbiamo aspettare di
buon animo il genio che ci mostri in modo brillante come si
possa unire l’orchestra al pianoforte, tanto da permettere al
virtuoso di sviluppare la ricchezza della sua arte e del suo
strumento, mentre l’orchestra, intrecciando più artisticamen­
te l’insieme nei suoi svariati caratteri, avrebbe una parte piu
importante che non quella del semplice «spettatore». Noi

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---- «nrvrM UCA

vorremmo giustamente
n, come risarcimento di quelUeSeria°e d’ comPos>to-
certo, pezzi «solistici» ugualmen de8na/Orma del con­
tempi d allegro» ben finiti e pieni di’*” * degni’ ossia dei
sero eventualmente suonare come che si potes’
non dei Capricci o delle variazioni P? tUj3 Un concerto’ e
correre ancora molto sovente a quelle° 1'°” dovremo ri­
che sono atte ad aprire degnamente „ cchle imposizioni,
nel modo più sicuro la purezza dell’ < ConcJrto e a provare

l’antica traccia soprattutto di’ Be?thoven?fu°seS^^


k dtb>e amabdmente- Fra queste ultime annoveriamo, fatte
schet TTr \7nCjei? gÌÈ da tempo apparsi di Jenaz Mo­
sco eles e di Felix Mendelssohn...
Un ringraziamento particolare intendiamo rivolgere ai nuo­
vi compositori di concerti, perché finalmente non ci annoiano
piu con trilli e, soprattutto, con salti d’ottava, alla fine del pez­
zo. La vecchia cadenza nella quale i vecchi virtuosi sfoggiava­
no tutta la bravura possibile, anche ora (fondata su di un’idea
molto più solida) si potrebbe utilizzare con fortuna.
Anche lo Scherzo, quale ci è reso familiare dalla sinfonia e
dalla sonata, non potrebbe essere introdotto con buon effet­
to nel concerto? Sarebbe una bella gara con le singole voci
dell’orchestra, però la forma dell’intero concerto dovrebbe
subire un piccolo cambiamento. Mendelssohn vi potrebbe
riuscire meglio di chiunque altro.
Infatti egli è sempre lo stesso, ancora e sempre muove col
suo solito passo giocondo; nessuno ha sulle labbra sorriso
più bello del suo. Difficilmente i virtuosi potranno far pom­
pa in questo concerto delle loro prodigiose abilità.
Egli non chiede loro cose che non abbiano già fatto e suo­
nato centinaia di volte. Spesso infatti li abbiamo uditi lamen­
tarsene. E hanno un po’ di ragione: l’occasione di mostrare la
bravura mediante la novità e il fulgore dei passaggi non deve
rimanere esclusa dal concerto. Ma la musica sta sopra ogni
cosa e a chi ce la dona sempre e più ricca spetta di diritto a
nostra lode più alta. La musica è l’effusione di un anima bel­
la- non importa se sgorga davanti a centinaia di persone, o
per sé nel silenzio, purché sia sempre ^espressione di un ani­
ma bella. È per questo che le composizioni di Mendelssohn
nroducono un effetto così irresistibile, quando le suona egli
SAGGI DEL i8j9 i15

scoste; l’orecchio soltanto A potre^ero benissimo stare na-


poi decidere lò nln deve «cogliere la musica e il cuore
si Se dunoue a M S? ?pes?° c^e Mozart doveva suonare co­
da aSco^9TZl^CndelS5Ohn Spctta la lode’ che d dà ^mpre
l c e.a Ye5a mv*sica, non vogliamo però affermare
q està musicalità risulti più leggermente in un’opera che
in un altra.
Così anche questo concerto appartiene alle sue creazioni
piu leggere. M inganno di molto, se non l’ha scritto in pochi
giorni, forse in poche ore. Avviene come quando si scuote un
albero: i frutti maturi e dolci cadono al primo colpo. Si chie­
derà in quale rapporto stia con il suo primo concerto. È e non
è il medesimo: è lo stesso perché è di un maestro fatto, non è
lo stesso perché è scritto dieci anni più tardi. Sebastian Bach
appare qua e là nell’armonizzazione. Melodia, forma, stru­
mentazione del resto sono proprietà di Mendelssohn. Ci si
rallegri del dono leggero e sereno; quest’opera è simile a quel­
le che ci davano i nostri vecchi maestri, quando si riposavano
delle loro grandi creazioni. Il nostro più giovane composito­
re non avrà dimenticato come quei vecchi maestri (dopo es­
sersi riposati con un’opera leggera) comparissero poi all’im­
provviso con qualcosa di poderoso, e il concerto in re mino­
re di Mozart e quello in sol maggiore di Beethoven sono per
noi la prova di questo.

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LA «SINFONIA IN DO MAGGIORE» DI FRANZ SCHUBERT

Il musicista che visita Vienna per la prima volta può bear-


i per un po di tempo del rumore festoso delle si nule e fer­
marsi spesso, ammirato, davanti al campanile di Santo Stefa
no; ma presto si ricorderà che non lontano dalla città si trova
un cimitero, più importante per lui di tutto ciò che la città ha
di più notevole, dove due dei più grandi spiriti della sua arte
riposano a pochi passi soltanto l’uno dall’altro.1 Come me,
più di un giovane musicista, dopo i primi giorni di stordì
mento, sarà andato al cimitero di Wàhring per porre su quel
le tombe un’offerta di fiori, fosse solo un mazzo di rose selva
tiche, come ne ho trovate piantate vicino alla fossa di Bcetho
ven. La tomba di Franz Schubert era disadorna. Si era infine
compiuto un fervido desiderio della mia vita e io contemplai
a lungo le due tombe sacre, quasi invidiando quel tale, certo
conte O’ Donnei se non erro, che giace proprio in mezzo a lo­
ro. Guardare in viso per la prima volta un grand’uomo, strin­
gere le sue mani, appartiene, credo, ai momenti più desidera­
ti di ognuno. Se non mi è stato concesso di salutare in vita
quei due artisti, che venero al di sopra di tutti i musicisti mo­
derni, avrei voluto almeno aver vicino in quella visita funebre
un loro intimo amico, o meglio ancora, pensavo fra me, un lo­
ro fratello. Tornando a casa mi venne in mente che, infatti, vi­
veva ancora un fratello di Schubert, Ferdinand, che, come sa­
pevo, Schubert stesso aveva molto amato. Andai subito da lui
e lo trovai somigliante al fratello (a giudicare dal busto che vi­
di accanto alla tomba del maestro), più piccolo, ma di salda
corporatura, e nell’espressione del suo viso si leggeva lealtà e
musica in ugual misura. Egli mi conosceva di nome, poiché
spesso ebbi occasione di esprimere pubblicamente la mia ve­
nerazione per il fratello. Mi raccontò e mi fece vedere molte
cose, alcune delle quali, con la sua autorizzazione, erano sta-
te anche prima comunicate alla rivista sotto11 titolo> «Reli­
quie ». Infine mi mostrò alcune composizioni (ven tesori ) del
fratello Franz Schubert, che ancora si trovavano nelle

.hi nel cimitero centrale, accanto al monumen-


i rul « Scansionato con CamScanner
ni. La ricchezza che vi

e=^=s?ss

rJ ? Conccrri- difficoltà 21 ’k con


fr«ndi esecuzioni, per scumit i fX'L,' "*** Fr aUwti
V*TntO C ha dritto, oltre ai /Il!2 *** qui’ S<‘h<>
sentine delle sue tnagpori oi^T^ ° nulla è dat"
tempo anche 1. «nffim*. d, 7’ M quanf(1
sta ^Pert. di polvere e sar5bbe rima
accordato con Ferdinand Sch^Kn lubito
direzione del Gewandhaus e flìrT~ ,nv,ar,a a Lipsia alla
cui acuto sguardo difficilmente tT’*1* i*tetSO cbc 11 dirige, al
sbocciarne, tanto meno Quella cnù ’ P’U timida bellezza
baghante Cori « XXò 1. SplT<hda5 "fralmente ab
X ascoZXX ’T™ U S,nf?nia *uns* » Lipsia,
si unitJj impresa, di nuovo ascoltata con gioia e qua
X La sofcn' ““ Bre..k„;f
ta 2Su p Ope? c 11 Pnvatlv«; ora finalmente è pron-
X™ P*i r prCSi°,Io m Partitura, come noi deride-
riamo per 1 utilità e il bene di tutti.
Lo dico subito apertamente: chi non conosce questa sinfo­
nia conosce ancor poco Schubert; la lode può sembrare ap-
P«ia credibile se ri pensa a quanto Schubert ha già donato al-
1 arte. Si è affermato spesso e a dispetto dei compositori che
« dopo Beethoven bisognava astenersi dal comporre opere
sinfoniche», e infatti, a eccezione di alcune opere orchestrali
di una certa importanza (che sono interessanti soltanto per il
giudizio sulla formazione della cultura dei loro compositori,
e non esercitarono un influsso decisivo né sulla massa né sul
progresso del genere), a eccezione di alcune opere, dico, la
maggior parte delle altre non fu che un opaco riflesso della
maniera beethoveniana, escludendo naturalmente quei fiac­
chi e noiosi fabbricanti di sinfonie che avevano la forza di imi­
tare in modo accertabile l’ombra della cipria e della parrucca
di Haydn e di Mozart, ma non le teste che coprivano. Berlioz
appartiene alla Francia e viene nominato solo qualche volta
come uno straniero interessante e una testa balzana. Quello
che avevo presentito e sperato (e tanti forse con me) ora è av­
venuto in modo magnifico: Schubert, mostratosi già in molti
altri generi sicuro nelle forme, ricco di fantasia e vario, afferrò
a modo suo anche la sinfonia, seppe cogliere il punto giusto
per giungere alla folla. Certo non ha pensato di voler conti-
oat.
’J7
n,"’n“ nnn« Mnfnnin dì r-..l
Mmn erM minhwt^Z. '? otiw* dUigentìs-
” di»v,nft ,||„ Mw * ”nh,n'" dopo ra|tru; trovar
precedenti e min lw, «rr conosciuto le
me. è l'unico ,m „nXX wil”PP? medesi
puhhHcMione c-,|„n<lo r' ’" po”‘',hhr d"r h»«o la
r” Fnme anche per le „,e Ir é dell ope-
tenacci©} l’onrr. ■>„. .,lrr i 7wnP<1™noni wè tolto il ca­
nna cosa di Franz SchXn" « ' ^Portanza di
me non «v«.kk- l ’ *’ ' P1"»'”™ ’^nnesi di sinfo-
loroX Z,ro TT ’’— lon‘-"« Val-
Piccolo rTh* ’VTT* vnhe «Mucchiato nel
chu 7A 8 T n ’n ,,n d‘ V*nn“-
4 Vienn ' ' j"*"" ?”* C0"™' SpWTO CO»‘ *
dJ2.Tr c'r "’ ** a • non finiscono mai di lo­
dare d loro Franz Schubert; nascono fra di loro, non vale
nessuno dei due Comunque na. rinfreschiamoci ora alla ric­
chezza dello spinto che sprezza da quest'opera preziosa. F.
ben vero. però, che questa Vienna, col suo campanile di San­
to Stefano, con le sue belle donne, con la sua pompa pubbli­
ca, e cinta dal Danubio come da innumerevoli nastri, ri di­
stende nel piano fionto ( che a poco a poco sale a monti sem­
pre più alti), è ben vero che questa Vienna, con tutti i suoi ri­
cordi dei più grandi maestri tedeschi, deve essere un fertile
terreno per la fantasia di un musicista. Sovente, contemplan­
do la città dalle alture dei monti, pensai che più di una volta
l’occhio irrequieto di Beethoven si rara rivolto verso quella
lontana catena di Alpi; che Mozart avrà spesso seguito so­
gnante il corso del Danubio, inoltrantesi fra i boschi e le fo­
reste; che papà Haydn molto spesso avrà guardato dal cam­
panile dii Santo Stefano, scuotendo il ca|capo davanti a così ver-
tiginosa altezza.
i' Gli aspetti
„ pittoreschi del Danubio, del cam-
panile di Santo Stefano, delle Alpi lontane riuniti insieme e
penetrati di un vago profumo d’incenso cattolico: ecco Vien­
na! E se l'incantevole paesaggio ci sta vivo innanzi, vibreran­
no corde che mai altrimenti sarebbero state toccate in noi.
fiorita vita ro
Nella sinfonia di Schubert, piena di chiara, borita ro-­
mantica, la città sorge oggi più muda che mai davanti a me, e
mi è chiaro come in questi luoghi appunto possano nascere
opere simili. Non dico questo per dar rilievo alla composizio­
ne della sinfonia; le diverse età scelgono troppo vanamente
nel fondo dei loro testi e delle loro immagini, e se al giovan
diciottenne una determinato musica suggerisce un avvem
surico, l’uomo adulto non vede che un semphetato
mXd musicista non ha pensato né ah’una ne all altra cos

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-----‘««jnHCA

Si può ben°cred^°ha "^ore che

“ ™a
Drofon/nma: Per “"sentire °n S
“ '4
’ n“rda« dl «e-
? „ond>™«ne una simile opera O “°' " deve
a musicale della composizione a2 t- Una suPrema tecni-
fibre, il colorito sino alla sfuma/ q -e la Vlta m tutte le sue
ovunque, e la più acuta eswe?" P\u,tenue’ vi è significato
soprattutto vi è diffuso il fornir 6 dd Pardcolare, e infine
altre opere di Franz Schubertf pls.m° che già conosciamo in
sinfonia è, come X soet dlVlna lunghezza della
Jean Paul che non^niX • T° in quattro volumi di
creare ilseJrim! Wt “ft per 1 °ttima ragione *lasciar
& • ettore‘. Quest° sentimento di ricchezza
■ j ° ovunclue ricrea I animo, mentre purtroppo, in genere,
si deve sempre temere la fine che molto spesso vi delude. Non
si comprenderebbe come Schubert abbia potuto acquisire di
colpo questa splendida maestria di maneggiare l’orchestra
con la massima facilità, se non si sapesse che sei altre sinfonie
hanno preceduto questa, da lui scritta nella più matura viri­
lità.' Bisogna pur sempre chiamare un ingegno straordinario
chi come lui (che durante la vita sentì eseguire così poco le
proprie opere orchestrali) conquistò un modo così caratteri­
stico di trattare gli strumenti e la massa orchestrale, tanto da
sembrare un dialogo fra le singole voci umane e un coro.
Fatta eccezione per molte opere beethoveniane, non ho
mai incontrato questa somiglianza con l’organo della voce,
così ingannevole e sorprendente; è il trattamento opposto del
canto di Meyerbeer. La completa indipendenza di questa
sinfonia da quelle di Beethoven è un altro indizio della matu­
rità dell’artista. Si osservi come il genio di Schubert si mani­
festa qui giusto e saggio. Nella coscienza delle sue forze piu
modeste, egli cerca di evitare le forme grottesche, le relazioni
ardite, che incontriamo nelle ultime opere di Beethoven, egli
ci dà un’opera in una forma più leggiadra e, sebbene in un
modo nuovo, non ci conduce mai troppo lontano dal punto
centrale e sempre ci riporta a esso Cosi deve sembrare a
chiunque consideri la sinfonia. Il brillante, 11 nuovo della stru-

«marzo 1828»; nel novembre Schubert morì


' Sulla partitura è scritto
SAGGI DEL 1840
'J9
avvicendarsi deUathiteri^’XVqJd “
ai p^io

sguardo su qualcosa d’inetto; tmuTanTe coVZ°


ne quel soave sentimento che si prova dopo 5 paZ^di
posi£reUaV° dSa 6 ^TctaU; OVUnqUe Si sente come com-
diverrà cXPadr°ke de! fatto suo e la connessione delle cose
imrnJb «° ben^hlara a tutti- La Pomposa e romantica
introduzione offre subito questa impressione di sicurezza,
sebbene tutto appaia ancora velato di mistero. Interamente
nuovo e anche il passaggio dall’introduzione all’Allegro-, il
tempo non sembra mutarsi affatto, vi si giunge senza sapere
come. Analizzare, smembrare le singole parti non porta nes­
suna gioia, né a noi né agli altri; per dare un’idea del caratte­
re di racconto che la compenetra, si dovrebbe trascrivere tut­
ta la sinfonia. Non voglio però dimenticare la seconda parte,
che ci parla con voci così commoventi. In essa è un passo, là
dove un corno chiama come da lontano, che mi sembra di­
sceso da un’altra sfera. Qui tutto appare come se un ospite di­
vino si fosse introdotto di soppiatto nell’orchestra.
Questa sinfonia ha dunque agito su di noi come nessuna
ancora, dopo quelle di Beethoven. Artisti e amici dell’arte si
sono riuniti in suo onore, e ho udito dal maestro, che l’ha di­
retta così accuratamente e ha reso l’esecuzione così superba,
pronunciare alcune parole che avrei voluto riferire a Schu-
bert come un alto messaggio di gloria per lui. Forse dovran­
no passare degli anni prima che la sinfonia sia resa familiare
in Germania, tuttavia non c’è da dubitare che venga trascu­
rata; essa porta in sé l’eterno germe di giovinezza.
La visita funebre, che mi ha fatto ricordare un parente del
dipartito, mi ha dunque portato una seconda ricompensa. La
prima l’ebbi quel giorno stesso: trovai sulla tomba di Beetho­
ven... una penna d’acciaio, che ho conservato caramente. La
uso soltanto nelle occasioni solenni, come oggi: possa esserne
sgorgato qualcosa di gradevole!

Scansionato con CamScanner

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