È un dialogo fra la sapienza di Gesù e l'ignoranza della donna, è il dialogo fra una donna
disastrata e peccatrice e Colui che può rimediare a ogni disastro e perdonare ogni peccato; è un
dialogo fra la miseria e la misericordia, simbolo del dialogo fra Dio e l'umanità, fra Dio e ogni
uomo.
Gesù con i suoi discepoli stava viaggiando dalla Giudea verso la Galilea passando per la
Samaria. Ma Gesù si era anche messo in viaggio dal Cielo alla terra per portare agli uomini il
dono di Dio, per portare loro quell'acqua viva che sola può dissetare i loro cuori. Gesù era
venuto sulla terra assumendo una natura umana, e questo comportava l'accettazione di tutti i
suoi inconvenienti, tra questi vi era quello di stancarsi quando si camminava a lungo o si
lavorava molto. È tuttavia possibile pensare che questa stanchezza non fosse solo fisica, ma
anche morale. Gesù aveva da poco incominciato la sua vita pubblica e già le prime
incomprensioni, le prime ostilità affliggevano il suo cuore: è venuto fra la sua gente, ma i suoi
non l'hanno accolto ... la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre
alla luce (Gv 1,11; 3,13).
Proprio nel momento in cui Gesù, stanco, siede presso il pozzo di Giacobbe arriva una
donna di Samaria ad attingere acqua e Gesù le dice: dammi da bere. Gesù non si vergogna di
manifestare la sua stanchezza e di chiedere alla donna un po' di sollievo. È possibile vedere in
questa scena un richiamo al momento della crocifissione: anche quando Gesù è stato crocifisso
era stanco del viaggio che l'aveva condotto al calvario, anche allora era verso mezzogiorno
quando il sole si eclissò e si fece buio su tutta la terra (Lc 23, 44), anche allora Gesù disse: ho
sete (Gv 19, 28). Ma che cosa dà sollievo a Gesù, che cosa Lo disseta?
La donna intanto non capisce e si stupisce che uno straniero, un Giudeo, uno verso cui non ci
sono buone relazioni, si abbassi a chiedere da bere a lei, Samaritana e donna: Come mai tu, che
sei Giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?
Il sollievo e il refrigerio che Gesù chiedeva a quella donna lo chiede anche a noi, anche a noi
Gesù dice: dammi da bere, e anche noi ci stupiamo e non capiamo come Dio si abbassi a
chiedere veramente qualche cosa a noi, come Dio per dissetarsi abbia bisogno della nostra
acqua.
Il dialogo fra chi tenta di suggerire qualche cosa di inaudito... e chi non capisce...
Gesù risponde con un discorso molto misterioso: se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui
che ti dice: "dammi da bere!", tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua
viva.
Gesù sposta allora il dialogo apparentemente verso un'altra direzione e le dice: va a chiamare
tuo marito e poi torna qui. Con questa richiesta Gesù orienta la donna ad esaminare lo stato
della sua vita. La donna risponde in modo generico e con un certo imbarazzo: non ho marito. La
risposta è vera ma non descrive in modo chiaro la sua situazione; dire non ho marito potrebbe
anche voler dire che non è legata a nessun uomo.
La replica di Gesù evidenzia una delle caratteristiche fondamentali del suo fascino: Gesù sa
tutto e conosce in profondità la vita di ciascun uomo, nessun dettaglio sfugge al suo sguardo
d'amore, Lui vede con precisione quanto c'è di buono e quanto c'è di cattivo nella vita di ognuno
di noi. Le dice infatti Gesù: hai detto bene "non ho marito"; infatti hai avuto cinque mariti e
quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero.
Apprendiamo così quanto grande era la sete di amore e di felicità di quella donna. Nessun
amore umano era tuttavia riuscito a dissetarla veramente, ed anche il suo ultimo amore era
destinato a lasciarle la bocca amara e secca. La vita di questa donna ci mostra ancora in quali
miserie si cade quando non si cercano l'amore e la felicità nella giusta direzione; si è ridotti a
vagare da un amore all'altro senza trovare ciò che si cerca. Allora, Gesù si propone a lei come
colui che possiede un'acqua che ha il potere di spegnere veramente la sua sete: chi beve
dell'acqua che io gli darò non avrà mai più sete.
Gesù legge nelle profondità dei cuori e delle vicende umane, ed anche se queste vicende sono
un cumulo di macerie il suo sguardo ha il potere di suscitare una speranza perché il suo sguardo
è buono. Questa è un'altra caratteristica fondamentale del suo fascino: quando tutti ci
condannano e sono pronti a lapidarci, quando anche noi non siamo capaci di perdonare a noi
stessi, quando ci dibattiamo in situazioni senza uscita, la sua bontà è capace di inventare
soluzioni che nessun altro potrebbe inventare.
A contatto con Gesù le vite cambiano, la luce entra nei cuori ed i pensieri si elevano, è quello
che sta accadendo alla donna di Samaria. Dice infatti a Gesù: Signore, vedo che tu sei un
profeta. I nostri padri hanno adorato Dio sopra questo monte e voi dite che è a Gerusalemme il
luogo in cui bisogna adorare.
A questo punto la donna incomincia a rendersi conto che un qualche mistero è legato
all'uomo che ha di fronte, un mistero per cui quell'uomo è in rapporto con Dio in modo
particolare: vedo che sei profeta, ossia un uomo di Dio, che conosce le cose che riguardano Dio,
allora è lui la persona giusta a cui si può chiedere come ci si deve regolare nei rapporti con Dio,
è lui che può risolvere i dubbi causati dalle diverse tradizioni e dai diversi comportamenti che
gli uomini hanno nell'esprimere la loro adorazione. Gli propone quindi il suo dubbio: i nostri
padri hanno adorato Dio sopra questo monte e voi dite che è a Gerusalemme il luogo in cui
bisogna adorare.
Nonostante le vicende infelici che hanno caratterizzato la vita di questa donna, la sua
domanda ci rivela che non tutto è negativo in lei; il fatto che le sia rimasto vivo il desiderio di
conoscere la verità intorno alle cose di Dio è una cosa molto buona. Quando si hanno dei dubbi
su qualche questione bisogna fare tutto il possibile per chiarirli, soprattutto se la cosa è della
massima importanza come lo è il sapere che cosa è più gradito a Dio.
Questa domanda è un po' la domanda di chi, di fronte alle varie religioni, vuole sinceramente
conoscere dove sta la verità, dove Dio ha posto il suo sigillo, perché una religione non vale
l'altra, ma bisogna scegliere ed aderire a quella che è migliore delle altre, perché più delle altre
rende possibile la conoscenza e l'amore di Dio. Gesù infatti, pur non disprezzando la religione
dei Samaritani, afferma che la religione dei Giudei è migliore: voi adorate quel che non
conoscete, noi adoriamo quel che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei.
Le pratiche religiose dei Samaritani erano infatti inquinate da varie componenti di idolatria,
adoravano cioè, insieme al vero Dio, anche altri dei, mentre questo non avveniva nella religione
dei Giudei; la salvezza poi, viene dai Giudei, perché il Salvatore del mondo, ossia Gesù, è un
Giudeo.
Dire poi che Dio è spirito, significa affermare che Dio non ha un corpo, come hanno un corpo
i sassi, gli alberi e noi, ma significa anche affermare che Dio qualche cosa è, e Dio è pura
Intelligenza e puro Amore. Dire che Dio è spirito, vuole anche dire che Lui non è legato a un
luogo particolare, ma è presente dappertutto e coloro che si rivolgono a lui con cuore sincero
possono entrare in comunione con Lui in qualsiasi luogo. Questo non vuol dire, per noi che
siamo legati ad un corpo, che non ci debbano essere dei luoghi sacri nei quali ci si reca per
esprimere, singolarmente o comunitariamente, la propria adorazione.
Il risultato di questi discorsi di Gesù è quello di richiamare nei pensieri della donna la figura
del Messia; gli dice infatti: so che deve venire il Messia (cioè il Cristo): quando egli verrà, ci
annunzierà ogni cosa. Cristo significa unto, ossia uno sopra il quale Dio ha posto il suo sigillo.
Come lo stesso Mosè aveva annunciato (Dt 18,18), Dio avrebbe fatto sorgere un profeta simile
a lui; come infatti Mosè era stato inviato da Dio in Egitto per liberare il suo popolo, insegnargli
la sua legge e condurlo nella terra promessa, così il Messia era l'atteso inviato di Dio che
avrebbe annunciato al popolo la sua parola e lo avrebbe liberato da ogni oppressione. Quello
che si attendeva non era però un inviato di Dio qualunque, ma il Messia, ossia l'inviato
definitivo, colui che annuncia ogni cosa perché sa ogni cosa.
A questo punto Gesù rivela alla donna quello che forse il suo cuore incominciava a
sospettare, vale a dire che in Lui c'era la risposta ultima e definitiva alle attese del suo cuore e
alle attese del cuore di tutti gli uomini: la sorgente d'acqua viva che poteva spegnere il suo
ardente desiderio di amore sgorgava dal suo cuore, il Messia atteso dalle genti era Lui, e lei,
proprio lei, aveva avuto il privilegio e l'onore di incontrarlo.
Un fascino misterioso si diffondeva da quell'uomo, c'era in Lui qualcosa di speciale che gli
altri non avevano, qualche cosa che non è di questo mondo, qualche cosa che lasciava
intravedere la pienezza della vita, la pienezza della luce, la pienezza della gioia, e la donna
Samaritana a questa pienezza incominciava ad attingere; ed allora, quella povera brocca con la
quale era andata a cercare l'acqua del pozzo non le era più necessaria, un'acqua nuova, un'acqua
viva, stava già dissetando il suo cuore. Ciò che sentiva urgente in quel momento, era annunciare
agli altri la scoperta che aveva fatto, perché anche i suoi concittadini potessero gustare la bontà
di quell'acqua che il Messia era venuto a portare.
La donna intanto lasciò la brocca, andò in città e disse alla gente: "venite a vedere un uomo
che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia forse il Messia?". Un uomo le aveva detto
tutto quello che aveva fatto, e non erano cose di cui andar fieri, tuttavia, quell'uomo non l'aveva
rimproverata, non l'aveva condannata, ma l'aveva guardata con amore, l'aveva risanata
offrendole il suo amore, e questo amore stava traboccando dal suo cuore.
C'era di che stupire e di che incuriosire gli abitanti di quella città; infatti, impressionati da
quell'annuncio: uscirono allora dalla città e andavano da Lui. Solo coloro che hanno fatto
esperienza di Gesù riescono a condurre gli uomini a Gesù, non vogliono essere loro al centro
dell'attenzione, ma condurre a Colui che ha conquistato il loro cuore.
Intanto erano arrivati anche i discepoli ed avevano provato una certa meraviglia ed un certo
imbarazzo nel vedere Gesù che discorreva con una donna. Questo ci rivela un altro aspetto del
fascino di Gesù. Gesù è un uomo libero, non si lascia condizionare dagli usi e costumi del
tempo, dai pregiudizi nei confronti della donna in generale e della donna peccatrice in
particolare, la sua però non è una libertà arrogante o spregiudicata, ma è una libertà che deriva
dalla sua divina maestà e dalla rettitudine del suo amore, ed allora i discepoli non possono che
ammirare e tacere: nessuno tuttavia gli disse: "che desideri?", o: "perché parli con lei?".
Dopo aver cercato di comprendere quello che è successo alla Samaritana, rimane da
esaminare secondo quali aspetti la storia di questa donna dai sei mariti, che era uscita per
cercare acqua ed aveva incontrato il Signore, è simile alla nostra.
La donna che si reca al pozzo ad attingere acqua per avere di che dissetarsi e preparare il suo
nutrimento, possiamo vederla come una figura del cammino che ognuno di noi compie per
andare in cerca di qualche cosa che nutra il proprio cuore ed estingua la propria sete, ed il
nostro cuore ha una fame fondamentale di amore ed una sete fondamentale di conoscenza; se
trascuriamo di cercare questi nutrimenti rischiamo di ritrovarci con un cuore secco e arido.
Normalmente questa ricerca ci conduce verso i beni che sono a noi più vicini, così cerchiamo
in un primo tempo l'amore dei genitori, dei parenti, degli amici, di uno sposo o di una sposa. Lo
stesso accade per la sete di conoscenza: ci rivolgiamo prima ai genitori, poi agli insegnanti delle
scuole, e procediamo, a seconda dei casi, fino a quando ci sembra di sapere abbastanza. Molti si
fermano troppo presto, mentre pochi si preoccupano di coltivare la loro intelligenza per tutto il
corso della vita. Accade però che col passare degli anni si sperimenta che l'amore dei genitori,
degli amici, dello sposo o della sposa, non riesce a nutrire veramente il nostro cuore, e la
conoscenza acquisita nelle scuole o con la nostra ricerca personale, non riesce a dissetarci
veramente.
Cinque mariti più uno
Il fatto che questa donna abbia avuto cinque mariti e quello che ha ora non è suo marito, può
essere considerata una figura dei diversi tentativi che ognuno di noi compie nella ricerca di
qualcosa che appaghi la propria esistenza. Infatti, nel corso della nostra vita si succedono
generalmente diverse passioni: quella per il gioco da bambini, per il calcio o per altri sport
anche quando non si è più bambini, la passione per la propria moglie o per il proprio marito, per
la moglie o il marito degli altri, qualcuno avrà la passione per il ricamo, il giardino, la vigna, le
mucche, i soldi… altri più raffinati avranno la passione per lo studio, la musica, il canto, la
politica, la liturgia, la teologia e così via…Queste passioni assomigliano ai diversi mariti della
donna Samaritana, ci aiutano a vivere per un po' e quando ci accorgiamo che non ci soddisfano
più ne cerchiamo un'altra, ma anche l'ultimo colpo di fulmine, l'ultima passione che è riuscita a
catturare il nostro cuore: non è tuo marito, ossia non è il nostro vero amore; anche noi, come la
Samaritana, passiamo da un amore all'altro senza trovare ciò che cerchiamo.
Quando si giunge a questo punto si è forse pronti per ascoltare la parola del
Signore: chiunque beve di quest'acqua avrà ancora sete, ossia, chi vuole dissetarsi con la
felicità umana, quella che può offrire questo mondo, è condannato ad avere sempre sete, perché
il nostro cuore è fatto per una felicità più grande. Chi beve dell'acqua che io gli darò, non avrà
mai più sete, è Gesù che possiede l'acqua che sola può estinguere completamente e
definitivamente la nostra sete; anche in un'altra occasione Gesù aveva gridato: chi ha sete venga
a me e beva, chi crede in me, come dice la Scrittura, fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo
seno (Gv 7, 37-38).
Gesù dunque, propone anche a noi, come aveva proposto alla Samaritana, il dono dell'acqua
viva, ossia il dono di una conoscenza, di un amore, di una vita, che non sono di questo mondo,
non sono naturali ma soprannaturali, e anche noi facciamo fatica a comprendere di che cosa
Gesù stia parlando, come la Samaritana anche noi diciamo a Gesù: tu non hai un mezzo per
attingere e il pozzo è profondo; da dove hai dunque quest'acqua viva?
Infatti, ciò che il Signore ci insegna con la sua parola e con il suo esempio, è il distacco dalle
ricchezze, dai piaceri, dagli onori, dagli affanni per le cose che sono di un momento, il distacco
dalla propria volontà… in una parola, il distacco dai beni visibili e da noi stessi. Ma allora, se il
Signore non utilizza nessuno di questi mezzi, come può pretendere di dissetare la nostra sete di
felicità? Come può pretendere che gli diamo ascolto? Noi, che abbiamo una radicata tendenza a
cercare l'appagamento della nostra volontà con i beni di questo mondo, non capiamo chi ci parla
dei beni del cielo.
Ed allora insistiamo: sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede questo
pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo gregge? C'è in questa replica un richiamo alla
tradizione, al comportamento comune di chi ci sta accanto e di chi ci ha preceduto; fin dai tempi
antichi, come pure ai nostri giorni, tutti gli uomini attingono ai beni di questo mondo per
soddisfare la loro sete, e così fanno anche gli animali, come può pretendere Gesù di dissetarci in
altro modo?
Gesù insiste a sua volta: chiunque beve di quest'acqua avrà di nuovo sete. C'è qui un invito a
prendere coscienza del limite fondamentale dei beni di questo mondo, cioè la loro incapacità a
dissetarci in maniera duratura; chi accetta di riconoscere questo stato di cose, incomincia ad
avere le giuste disposizioni per interessarsi al seguito della frase di Gesù che dice: ma chi beve
dell'acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l'acqua che io gli darò diventerà in lui
sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna.
Qui Gesù sta promettendo qualche cosa di fantastico, qualche cosa che non sappiamo cosa sia
e pertanto non sappiamo desiderare e non sappiamo sperare. A questo proposito così si esprime
San Paolo nella lettera agli Efesini: possa Egli davvero illuminare gli occhi della vostra mente
per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua
eredità fra i santi (Ef 1, 18).
Accade tuttavia, anche in chi è disposto a rivolgersi a Gesù per ottenere l'acqua che disseta, di
intendere le cose in maniera ancora troppo umana, e di sperare da Lui, in definitiva, un
benessere materiale, così assomigliamo ancora alla donna che dice al Signore: dammi di
quest'acqua perché non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua.
Risposta di Gesù: vai a chiamare tuo marito e poi ritorna qui. Continuando la donna e noi a
non capire, Gesù ci offre qualche sorso di quell'acqua che Lui solo possiede e desidera donarci,
ossia ci fa sperimentare la dolcezza del suo amore e del suo perdono. Accade allora qualcosa di
singolare, ed è che lo sguardo di Gesù penetra in profondità le vicende della nostra esistenza ed
i segreti del nostro cuore e alla luce di quello sguardo, in un clima di pace e di perdono,
comprendiamo le nostre miserie e veniamo risollevati dal suo amore, ed è a partire da questa
esperienza che nasce il desiderio di dire a tutti: venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto
quello che ho fatto e nonostante la mia miseria e il mio peccato non mi ha condannato ma mi ha
perdonato e mi ha guardato con amore, ed ora so che la sorgente dell'amore sgorga dal suo
cuore.
La brocca lasciata
Quando questo accade, noi diamo da bere al Signore, gli diamo sollievo, perché Gesù ha un
ardente desiderio della nostra salvezza e della nostra felicità, e vuole che ci rivolgiamo a Lui per
ottenere questi beni, per questo dice alla donna: dammi da bere e le suggerisce poi di pregare
Lui per ricevere il dono dell'acqua viva: se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice:
"dammi da bere, tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva". Così, come
qualcuno ha detto, Gesù ha sete che si abbia sete di Lui, e sulla croce grida ho sete perché
troppo pochi hanno sete di Lui, anzi, molti con la loro indifferenza o la loro ostilità lo tengono
ancora oggi inchiodato alla croce.
Il Signore rimase infatti presso i Samaritani due giorni, trascorsi i quali se ne andò. Questi
due giorni sono il tempo in cui i Samaritani hanno soprattutto ricevuto dal Signore, mentre il
tempo in cui il Signore non c'è più è quello in cui è chiesto loro di dare, ossia il tempo in cui, a
loro come a noi, è chiesto di dimostrare di stimare l'amore di Dio più di tutti gli amori, è il
tempo in cui si dovranno vincere le tentazioni, ossia lottare contro le seduzioni che i beni di
questo mondo continuano ad esercitare anche in coloro che hanno già gustato un po' la dolcezza
dell'amore di Dio, bisognerà inoltre vigilare per non lasciarsi condizionare da mentalità e
dottrine che non sono conformi agli insegnamenti di Gesù, in una parola bisognerà rimanere
fedeli alla grazia ricevuta, e meritare così, con un po' di fatica, di gustare ancora quell'acqua
viva che il Signore vuole donarci, perché Lui ce la vuole donare anche in risposta alle nostre
preghiere, al nostro impegno e al desiderio che è venuto ad accendere nel nostro cuore,
desiderio che dobbiamo proteggere e coltivare.
Così, come la Samaritana, anche noi dovremo a poco a poco imparare a chiedere al Signore il
dono di quell'acqua che sgorga dal suo cuore ed ha il potere di renderci felici. Nella misura in
cui ci impegneremo nella ricerca di quest'acqua, il Signore ci ricompenserà, anzi, ci darà molto
più di quanto osiamo sperare, così come insegna San Paolo: le sofferenze del momento presente
non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi (Rm 8, 18).
Il rischio che corriamo se non ci rivolgiamo al Signore per ottenere il dono dell'acqua viva è
di morire di sete, se gli chiediamo invece questo dono corriamo il rischio di morire d'amore.
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