Sei sulla pagina 1di 334

cap 1: Il suono e la

percezione uditiva

• il suono (definizione)
• i fenomeni vibratori e l’oscillatore pendolare
• il ritmo
• il metronomo

1
definizione del suono
2 definizioni:
1. Sensazione uditiva determinata da vibrazioni acustiche
2.Vibrazioni acustiche capaci di determinare una sensazione
uditiva

Il termine “suono” significa, quindi, tanto il fenomeno


meccanico della vibrazione acustica che opera come
stimolo dei sensi, quanto la reazione psicologica allo
stimolo stesso.

2
Lo studio dell’acustica può essere suddiviso in tre aree:
- la natura dello stimolo
- le caratteristiche dell’orecchio come trasduttore
- le caratteristiche psicoacustiche della percezione uditiva
La psicoacustica si occupa di capire come e perché il cervello interpreta un
particolare impulso che gli giunge dalle orecchie in un certo modo.

Comprendendo la natura fisica del suono e come le


orecchie trasformano i suono da fenomeno fisico in
fenomeno sensorio, si può scoprire ciò che è necessario
affinché le proprie registrazioni trasmettano un particolare
effetto.

3
I fenomeni vibratori e
l’oscillazione pendolare
Definizione di “vibrazione”:
movimento delle particelle di un mezzo elastico da una e
dall’altra parte della sua posizione di equilibrio

Il movimento vibratorio presenta analogie con le


oscillazioni di un pendolo semplice, esemplificato da una
massa puntiforme appesa a un filo sottile, inestensibile, e
soggetta all’attrazione gravitazionale.

4
Il Pendolo
Se accelerazione di gravità, velocità iniziale e
direzione iniziale del filo sono complanari il pendolo
oscilla in un piano verticale, descrivendo in
particolare una traiettoria circolare, a causa
dell'inestensibilità del filo.
In condizioni di riposo, la forza di gravità che agisce
sul pendolo è equilibrata dalla reazione del vincolo,
ossia dal filo che trattiene la massa.
Se questa viene spostata lateralmente, tenendo il filo
sotto tensione, il sistema acquista energia potenziale
(pari al lavoro eseguito per effettuare lo spostamento a
o elongazione [v. cons. energia]).

Sostituendo al pendolo il corpo elastico di una


sorgente sonora, come una corda di violino, potremo
parlare di ampiezza della vibrazione (in luogo
dell’ampiezza dell’elongazione) e di intensità del suono
(in luogo della quantità di energia restituita).
5
Il pendolo viene spostato dalla sua posizione di riposo (a)
per essere portato il (b), dove avrà inizio il suo movimento
oscillatorio.
Una volta lasciato, il pendolo scende con velocità crescente
verso (a), trasformando l’energia potenziale in energia
cinetica che gli consentirà di risalire, con velocità a
decrescente, verso la posizione opposta a quella di
partenza (c), raggiunta la quale invertirà il movimento
scendendo di nuovo verso (a), transitandovi e risalendo
verso (b), dove avrà termine il primo periodo del
movimento oscillatorio, al quale seguirà un altro periodo,
etc etc, sino a quando il graduale smorzamento delle b
oscillazioni avrà ricondotto definitivamente il pendolo allo
stato di riposo.

Il graduale smorzamento implica un graduale rallentamento


della velocità di elongazione (oscillazione), mantenendo però
inalterato il tempo impiegato per compiere ciascuna oscillazione.
c
Isocronismo del movimento pendolare
6
La legge dell’isocronismo pendolare venne scoperta da
Galileo Galilei verso il 1580.

Le oscillazioni si svolgono (all'incirca) tutte nello stesso


tempo, a prescindere dalla loro ampiezza.
Il periodo di oscillazione cresce con la radice quadrata
della lunghezza del pendolo: dunque, un pendolo lungo
oscilla più lentamente di uno corto.

La quantità delle vibrazioni nell’unità di tempo viene detta


frequenza e la sua unità di grandezza è l’Hertz (Hz).

Se una vibrazione acustica ha la frequenza di 440 Hz vuol


dire che compie 440 periodi (cicli completi) al secondo.

Per informazioni matematiche sul pendolo consultare


http://en.wikipedia.org/wiki/Pendulum_%28mathematics%29
7
N.B.: un ciclo completo della vibrazione è un periodo
completo, non un semiperiodo, quindi comprende due
“fasi” (+) e (-).
La suddivisione del movimento vibratorio in due fasi viene ad assumere un’importanza pratica notevole
quando si passi alla trasmissione e all’audizione del suono.

Se consideriamo NEL TEMPO il moto pendolare possiamo vedere


come possa essere rappresentabile graficamente con una sinusoide, la
quale esprime la realtà effettiva delle due componenti:
il moto vibratorio e
il trascorrere del tempo

8
Il Ritmo

Winckel trattando del ritmo scrive: “non è nostra


intenzione di sollevare nuovamente i problemi posti dalla
definizione del ritmo”.

Questo argomento ha visto le proposizione più contraddittorie, che vanno da una


concezione puramente psicologica ad altra puramente oggettiva...

9
Definizioni di Ritmo
• Platone: il ritmo è l’ordine del movimento. • J. de Momigny: ogni formula ritmica
• Aristosseno: amette che il ritmo è un elementare deve passare dal tempo forte al
tempo debole
principio intrinseco della musica, della
danza e della poesia • Diz. Ricordi: il ritmo è la musica nel
• S. Agostino: le definizioni del ritmo sono tempo. Esso è strettamente legato al
succedersi degli accenti, e il significato
quelle dei più antichi teorici, che chiedono al
ritmo una successione regolare di “piedi” ritmico di una frase musicale può mutare
interamente se ne viene spostata la
• Rousseau: La definizione di ritmo è, oggi, successione, se cioè un tempo forte viene
quella che vale anche per “misura” sostituito da uno debole e viceversa.
• Riemann: qualità ritmica: differenza delle
• Diz. Larousse: il ritmo si stabilisce per la
durate, brevi e lunghe. Qualità metrica: successione periodica dei tempi forti e
differenza degli accenti, forti e brevi deboli, indipendentemente cioè dalla durata
• V. d’Indy: il ritmo è l’ordine e la proporzione dei suoni, sia per la successione regolre dei
valori della durata nell’ambito di un ordine
nel tempo e nello spazio
determinato

10
Un elemento comune emerge da queste definizioni:
la necessità di un ordine che, attraverso il periodico ritorno di elementi idonei a
differenziare tra loro i suoni musicali, possa stabilire alternanze di “peso” più o
meno semplici, o complesse, distribuite in cicli analoghi ben definiti nel tempo.

Definizione di ritmo che è stata proposta al Gruppo di


Lavoro per l’Acustica Musicale per un vocabolario per la
unificazione della terminologia:
“il ritmo musicale è l’ordinata successione delle unità di tempo
che, sulla base della misura assunta, regolano le accentuazioni
periodiche dei suoni”
Definizione di metrica per il medesimo vocabolario:
“la metrica, che anche in musica è scienza delle misurazioni, è
quella parte della tecnica e della teoria che coordina nel tempo
l’andamento e le accentuazioni del discorso musicale”
11
Dalla considerazione della necessaria periodicità che
caratterizza qualsiasi ciclo ritmico, si è potuto talvolta
equivocare sui fondamenti stessi del ritmo, che non a
ragione, sono stati ritenuti di natura fisica.

I fenomeni fisici sono indipendenti dall’uomo, anche se


questi li può in una certa misura dominare e anche se gli
stimoli delle nostre sensazioni provengono tutte dal mondo
fisico.

La natura del ritmo è psicologica e appartiene solo


all’uomo.

12
Pur essendo vero che talvolta il nostro mondo può offrirci
spontaneamente eventi acustici ai quali è possibile
attribuire un’importanza ritmica, questi fenomeni (periodici
ad esempio come il ticchettio di un orologio) non
contengono in sé alcun elemento ritmico.

Un orologio in se non ha nessuna configurazione ritmica,


ma appena immaginiamo che quel ticchettio sia costituito
da una serie di “tic-tac”, ecco che con questa elementare
suggestione onomatopeica abbiamo introdotto,
soggettivamente, la più elementare delle cellule ritmiche,
anche se quegli impulsi acustici sono e restano fisicamente
indifferenziati.

13
Il Metronomo
Il metronomo è un dispositivo meccanico o
elettrico usato per scandire con adeguato
isocronismo la cadenza di una figura musicale
nel tempo di un minuto primo

Fu inventato dal tedesco Johann Mälzel, nel 1816, ma


prima di questi vi furono molti precursori che
inventarono diversi apparecchi atti a misurare il tempo.
Nel 1600, ad esempio, vi fu Etienne Louliè e, poco prima
del Mälzel, il Winkel, al quale deve il testo fondamentale
della sua scoperta.

14
cap 2: La produzione e
la percezione del suono
• campo di udibilità e • inviluppo
misura della sensazione
uditiva • le vibrazioni delle canne
sonore
• generalità sulle vibrazioni
• strumenti a percussione
delle sorgenti sonore

• le vibrazioni delle corde: • la voce umana


onde stazionarie • legge di Young
• vibrazioni armoniche • direzione e spazio
(armonici) - (onde
semplici e complesse)

1
Campo di udibilità e misura
della sensazione uditiva

2
Il suono è il prodotto delle vibrazioni acustiche al livello
della sensazione uditiva:
ma non tutte le vibrazioni acustiche sono idonee a
produrre suono!

Non è possibile trattare questo argomento senza parlare


delle caratteristiche essenziali del fenomeno uditivo, in
quanto la sensibilità dell’orecchio ha limiti naturali ben
definiti.

Il campo di udibilità: è determinato dai valori limite di intensità e


di frequenza. Il limite inferiore per l'intensità (rappresentata in
ordinate) è costituito dalla curva di soglia di udibilità (b); quello
superiore dalla curva di soglia del dolore (a). I limiti per la
frequenza (rappresentati in ascisse) sono dati, invece, da un
valore inferiore, che oscilla fra i 15 e i 20 Hz e da superiore uno
che si aggira sui 20. 000 Hz (pari a 20 kHz).

3
Il campo delle frequenze acustiche si estende a oltre 10.000.000 di vibrazioni al secondo (10.000 KHz),
ed è incomparabilmente più grande rispetto all’area di udibilità, quindi solo una piccola fascia di queste
frequenze può essere percepita come suono.

Campo di Udibilità:
Sottoponendo un numero sufficiente di volte e nelle condizioni sperimentali opportune i singoli
componenti di un gruppo di ascolto all'audizione successiva di toni diversi è possibile stabilire la soglia di
udibilità per ciascuna frequenza.
Segnando poi su di un piano cartesiano la media dei valori ottenuti e collegando i punti fra di loro si
ottiene la curva della soglia di udibilità, che rappresenta la sensibilità dell'udito alle diverse frequenze.
Da essa si ricava che la sensibilità dell'udito varia alle diverse frequenze, come appare dalla fig. nella slide
precedente, è massima fra i 2000 e i 5000 Hz mentre è nulla sotto dei 16-20 Hz e al di sopra dei
16.000-20.000 Hz (l'interpretazione del diagramma sarà più intuitiva se l'altezza delle ordinate verrà letta
come numero di decibel [dB] necessari perché il suono raggiunga la soglia di udibilità).
Le frequenze inferiori ai 16-20 Hz costituiscono gli infrasuoni; quelle superiori ai 16.000-20.000 Hz gli
ultrasuoni. La sensibilità uditiva alle alte frequenze cala progressivamente col progredire dell'età e questo
fenomeno, affatto fisiologico, viene detto presbiacusia ( = audizione senile).
Se l'intensità dei toni viene aumentata progressivamente, si raggiunge un livello al quale la sensazione
uditiva si trasforma, in corrispondenza dell'orecchio esterno, in una specie di sensazione tattile. Tale
livello si soglia di sensazione fisica. A livelli più alti la sensazione fisica si trasforma in fastidio (soglia del
fastidio) e, finalmente, in dolore (soglia del dolore).
L’ambito di esistenza dei suono, compreso fra gli infrasuoni, gli ultrasuoni, la soglia di udibilità e quella del
dolore viene chiamato campo di udibilità.

4
La sorgente sonora, azionata da una forza esterna, riceve e,
sotto forma di vibrazioni, trasmette una certa quantità di
energia che si propaga con onde di pressione isocrone
attraverso l’aria, fino a raggiungere l’organo uditivo, dove
con una serie di trasformazioni molto complesse si
converte nell’impulso nervoso che eccita il cervello:
a questo punto è nato il suono.
L’andamento di questa curva ci dice che la pressione sonora è
massima per le basse frequenze, è minima per quelle tra 500 e 5000
Hz e cresce considerevolmente per le frequenze molto alte.
area della
parola La sensibilità dell’orecchio non è
lineare, cioè non è uniforme per tutte
le frequenze udibili.
Nella parte centrale dell’area di udibilità, che è quella più resistente alle malattie e all’usura, si trova
l’area della parola, la cui collocazione dimostra la coerenza dell’adattamento naturale nel salvaguardare al
massimo la più preziosa via di comunicazione.
5
La non linearità dell’orecchio rispetto alla frequenza ha richiesto ricerche più
approfondite, che portarono Fletcher e Munson, eminenti studiosi di
psicoacustica, a definire, in un diagramma, una serie di curve che esprimono,
per tutte le frequenze udibili, il rapporto tra la pressione acustica e
l’uguaglianza della sensazione, per vari gradi d’intensità, dalla soglia di udibilità a
quella del dolore.
Questo è il diagramma delle curve isofone:

6
Consideriamo convenzionalmente con valore “zero dB” la pressione
necessaria per raggiungere la soglia di udibilità per la frequenza di 1000 Hz.

Dal grafico è possibile quindi osservare quale deve essere


la variazione della pressione stessa per ottenere il
medesimo risultato per tutte le altre frequenze.
Ad esempio: per la frequenza 30 Hz, che è di poco più alta rispetto alla più
bassa frequenza udibile (16 Hz), possiamo accertare che la pressione efficace
per raggiungere la soglia di udibilità deve essere di oltre 60 dB oltre il livello
“zero”; sui 100 Hz bastano invece 40 dB e ancor meno ne occorrono man
mano che ci si avvicina ai 1000 Hz.

Le altre curve del diagramma, che in corrispondenza dei 1000 Hz sono


contrassegnate con i numeri 10, 20, 30 etc. esprimono la stessa esigenza
uditiva, ma per intensità sonore sempre più alte fino a raggiungere la soglia del
dolore, alla quale corrisponde un incremento dell’intensità non inferiore a
120-130 dB.

7
Il livello di sensazione sonora o di intensità soggettiva:
Abbiamo visto come il comportamento psicoacustico dell'orecchio cambia al variare della frequenza.
Altrettanto si può dire per quanto riguarda l'intensità.
Se, invece di limitarci ad osservare il comportamento dell'orecchio ai valori più bassi di questa
grandezza, estendiamo lo studio a tutto il campo di udibilità prendendo come riferimento i 1000 Hz,
otteniamo un diagramma come quello della figura nella pagina.
Infatti sottoponendo i soggetti in esame all'ascolto degli stessi toni della scala delle frequenze usata per
la definizione della soglia di udibilità, ma, questa volta, ad intensità aumentata ogni volta, per es., di 5 o di
10 dB e chiedendo loro di indicare i livelli che vengono percepiti con intensità uguale a quella di
riferimento (1000 Hz), le curve di isofonia o isofoniche (uguale sonorità) che si ottengono sono quelle
del diagramma.

La pressione acustica è una grandezza fisica, l’intensità e un


fatto soggettivo.

Curve di isofonia. Rappresentano l'intensità necessaria alle diverse


frequenze per ottenere una sensazione sonora in dB (scala a
sinistra) corrispondente a quella che si ottiene dalla frequenza di
riferimento (1000 Hz). La scala interna dà il livello della
sensazione sonora in phon.
8
Una nuova unità di misura: phon.
Poiché il livello di sensazione sonora (o livello di intensità soggettiva) non
coincide necessariamente, come è evidente, con il livello di intensità oggettiva
e il dB (che serve a misurare questo rispetto ad un valore costante di
riferimento) non può servire per esprimere i valori della sensazione sonora, si
rese necessario adottare per quest'ultima un'unità di misura specifica: il phon.

Definizione: la sensazione sonora, indotta da un tono di


1000 Hz avente un livello di intensità pari a un certo
numero di dB, ha un livello in phon espresso dallo stesso
numero.
In base a tale assunto, per es., mentre a 1000 Hz, per dare i phon di intensità soggettiva occorrono esattamente 50 dB di
intensità oggettiva, a 100 Hz, per ottenere lo stesso numero di phon (= la stessa sensazione di intensità) occorrerà una
decina di dB in più e, a 4000 Hz, una decina in meno.
Il comportamento uditivo descritto spiega perché la stessa registrazione musicale, ascoltata dalla stessa apparecchiatura ad
alta fedeltà, a basso volume appaia meno fedele che ad alto: poiché, a bassa intensità, l'orecchio è meno sensibile alle basse ed
alte frequenze, queste componenti sonore, che pure sono presenti nella riproduzione oggettiva, non vengono percepite e la
loro assenza o riduzione danno luogo ad un’audizione insoddisfacente.
Per questo motivo le apparecchiature ad alta fedeltà sono dotate del comando loudness che, inserito, introduce un circuito di
compensazione avente il compito di esaltare in modo opportuno le frequenze estreme e migliorare la fedeltà dell'ascolto a
basso volume.
9
Progressioni
Se diciamo che tra due livelli di pressione, o di energia, vi è un rapporto di 60
dB, non vuol dire che in termini aritmetici quel rapporto sia di 1:60 ma bensì
di 1:1.000.000 poiché la progressione dei decibel non è aritmetica, ma
logaritmica.
Schematizziamo qui di seguito i più comuni tipi di progressioni matematiche:

aritmetica unitaria 1 2 3 4 5 6 etc


geometrica, ragione 2 2 4 8 16 32 64 etc
logaritmica, base 10 10 100 1000 10000 100000 1000000 etc
Decibel e phon 10 20 30 40 50 60 etc

10
La variazione dell’intensità
Altro campo di osservazione è quello che ha come oggetto la capacità di
apprezzamento delle variazioni di valore delle caratteristiche fisiche dei suoni.

Le valutazioni della minima variazione di intensità percepibile dal sistema


uditivo (soglia differenziale di intensità) danno luogo a risposte un po' variabili
a seconda dei metodi di rilevamento usati. Sostanzialmente, però, esse danno
come risultato valori oscillanti fra 0,5 e 1 dB, almeno nell'intervallo fra 125 e
6000 Hz, mentre, quando ci si avvicina ai limiti delle frequenze di udibilità, la
capacità di discriminare le piccole variazioni di intensità diminuisce
sensibilmente.

I livelli di intensità ai quali le variazioni avvengono sono alquanto indifferenti


nel determinare il comportamento del sistema uditivo che, sostanzialmente,
mantiene la stessa capacità di discriminazione sia ai bassi che agli alti livelli.
Piuttosto è fondamentale, nella percezione di una variazione di intensità ai
limiti della soglia, la velocità, alla quale essa avviene. I dati or ora esposti si
riferiscono a variazioni istantanee mentre variazioni di valore doppio ma lente
ingannano facilmente anche orecchi esercitati.
11
La misura del livello di sensazione sonora o di intensità
soggettiva

L'espressione del livello di sensazione sonora in fon permette di correlare


abbastanza bene il mondo psicoacustico con la realtà oggettiva.
Dire cioè che un tono della frequenza di 100 Hz e dell'intensità oggettiva di
60 dB dà una sensazione sonora di 50 fon, equivale a dire, in base a quanto
precedentemente esposto, che quel suono appare all’udito di intensità pari a
quella di un tono di 50 fon a 1.000 Hz.

Se però ci si aspetta che un tono di 100 fon a 1000 Hz (100 dB) dia un livello
di sensazione sonora doppia di quella data dal tono di 50 fon a 1000 Hz (50
dB) l'attesa rimane delusa perché la sensazione di intensità ottenuta è molto
maggiore.
L'effetto di raddoppio di sensazione sonora, infatti, è ottenuto già a soli 60 fon
(60 dB). Il rapporto fra l'intensità dello stimolo e la risposta psicoacustica
lungo la scala delle grandezze oggettive, cioè, non è costante.

12
Una nuova unità di misura: son.
Di qui la necessità di introdurre un'altra grandezza soggettiva, adatta alla
quantificazione della sensazione sonora o intensità soggettiva, il son, correlata,
tuttavia, alle grandezze oggettive con un assunto convenzionale: un tono di
1000 Hz e di 40 dB induce una sensazione sonora di 1 son.

Aumentando l’intensità oggettiva del tono fino a ottenere il raddoppio dell'intensità soggettiva (cosa che
avviene a circa 50 dB), si dirà che quest’ultimo livello è di 2 son. Procedendo sperimentalmente per la
medesima strada è stato possibile identificare la relazione reale esistente tra l'intensità dello stimolo e la
sensazione indotta e istituire una scala di multipli e sottomultipli, che corrisponde molto bene ad un'altra
scala teorica, derivata da una certa equazione, per mezzo della quale si è cercato di definire la legge che
regola i rapporti tra intensità oggettiva e intensità soggettiva.

Ora, per convenzione, si è stabilito che, nell’intervallo dei livelli compresi fra 20 e 120 fon (ad
esclusione, quindi, dei valori estremi del campo uditivo) il raddoppio della sensazione sonora in son
corrisponde esattamente all'aumento di 10 fon nel livello di sensazione sonora, qualunque sia la
frequenza del tono di stimolazione. Se ci si rifà alla definizione di decibel, che è una unità di misura
logaritmica, si può osservare come il raddoppio dell'intensità o oggettiva si verifichi ogni tre dB.
Considerando ora che il raddoppio della sensazione sonora si avverte ogni 10 fon, si possono
comprendere le ragioni della grande capacità di discriminazione dell’orecchio umano nel dominio delle
intensità.

13
La sensazione dell’altezza e la sua misura
Le misure musicali usuali degli intervalli di altezza sono, come è ben noto, l'ottava e il semitono
temperato. La prima è identificata dai raddoppio della frequenza del tono di riferimento mentre il
secondo, che divide l'ottava in 12 parti uguali, sta col tono di riferimento nel rapporto di 1,05946 (radice
12esima di 2).
Altra unità di misura usata nella misurazione degli intervalli musicali è il cent, pari ad un centesimo di
semitono temperato e a 1/ 1200 di ottava.
Altro modo ancora di rappresentare gli intervalli tonali è quello di indicarli come variazioni percentuali.
Un tono di 125 Hz, es., è più alto del 25% rispetto ad un altro di 100 Hz. Tali unità di misura, però, si
riferiscono alla frequenza reale dei suoni. Poiché la sensazione psicoacustica di altezza, che viene indotta
(sensazione di altezza o altezza soggettiva) non è legata alla frequenza con un rapporto costante, è stato
necessario istituire anche per essa un’unità di misura: il mel.
Per convenzione un tono di 1000 Hz a 40 dB induce una sensazione di altezza pari a 1000 mel (figura
nella pagina). Una sensazione di altezza doppia di quella di riferimento (ottava superiore) corrisponde a
2000 mel; una sensazione di altezza pari alla metà (ottava inferiore), 500 mel.
La verifica sperimentale, però, dimostra che l’effetto di ottava superiore, anziché da 2000 Hz è indotto
da circa 3100 Hz mentre quello di ottava inferiore è indotto da una frequenza di circa 400 Hz.
Procedendo sperimentalmente e sempre al livello convenzionale di 40 fon (40 dB a 1000 Hz), si può
così constatare come al cambiare dell'intensità del tono di stimolazione, mantenuto a frequenza
costante, cambia anche la sensazione di altezza, per cui è possibile tracciare sperimentalmente delle
curve di isoaltezza (identica sensazione di altezza) che dicono come sia necessario variare in più o in
meno l'altezza reale dei tono di stimolazione perché l’udito conservi la sensazione di una nota
costante variandone l'intensità.
14
Relazione fra sensazione di altezza e frequenza: Il sistema
uditivo, come appare dalla figura, comprime la gamma
delle frequenze che è in grado di percepire. L'ambito di
frequenza fra 20 e 20.000 Hz è compresso in un campo
di soli 3500 mel di sensazione di altezza.

Allargando l'indagine a tutto il campo uditivo si scopre che il comportamento psicoacustico del sistema
uditivo per quanto riguarda la sensazione di altezza al variare dell'intensità è molto complesso.
Soltanto le frequenze della regione tonale compresa fra 1000 e 3000 Hz sono relativamente insensibili alle
variazioni di intensità.
I toni di frequenza inferiore tendono a indurre una sensazione di altezza più bassa quanto più alta è la
loro intensità, con effetto tanto più accentuato quanto più bassi essi sono; quelli di frequenza superiore
tendono invece a indurre sensazioni di altezza più alte quanto l'intensità è più alta esse pure con effetto
accentuato quanto più alte sono.

Al crescere dell'intensità, cioè, le frequenze al disopra e al disotto di una certa fascia centrale
(1000-3000 Hz) tendono ad esasperare nella sensazione indotta, le loro caratteristiche di acutezza o di
profondità.
15
La variazione dell’altezza

La sensibilità del sistema uditivo alle variazioni di frequenza è definita dalla


soglia differenziale di frequenza.
Anche in questo caso occorre tener conto sia dell'altezza sia dell'intensità dei toni messi a confronto.
Mentre alle bassissime frequenze la capacità discriminatoria dell'orecchio è decisamente cattiva
(all'altezza del do di 32,7 Hz l'incertezza supera abbondantemente il semitono) essa migliora
sensibilmente a mano a mano che ci si avvicina al cosiddetto campo di corretta udibilità (800-3000 Hz)
nel quale si mantiene costante per poi tornare a peggiorare leggermente verso l'acuto.
La soglia differenziale di frequenza è indipendente dalla loro intensità per valori superiori a 30 dB al di
sopra della soglia di udibilità mentre al disotto di questo livello la capacità di discriminazione
dell'orecchio diminuisce sensibilmente.

Come nel caso dell'intensità, la valutazione delle variazioni di frequenza è fortemente influenzata dalla
velocità di queste e i valori dati si riferiscono a valutazioni istantanee mentre variazioni lente possono
ingannare anche orecchie esercitate.
Si deve qui sottolineare che i risultati esposti sono quelli ottenuti in condizioni sperimentali (toni puri e
assenza di riverberazione).

16
La somma di più suoni e della loro intensità

Nella realtà quotidiana i toni puri usati per semplicità nelle sperimentazioni
descritte, sono praticamente assenti; è quindi del massimo interesse indagare
sul comportamento verso i suoni complessi, che sono invece quelli realmente
esistenti in natura. L’aumento dei fattori in gioco, però, moltiplica in misura
enorme le difficoltà di indagine, motivo per cui le acquisizioni sicure in questo
campo sono ancora poche.
Una di queste è l'andamento del livello di intensità soggettiva al sommarsi di
più toni puri.

17
Come si è visto precedentemente, il livello di intensità sonora non dipende soltanto dall’intensità dei
toni di stimolazione, ma anche dalla loro frequenza.
Questa interdipendenza psicoacustica fra i due tipi di grandezze persiste ovviamente anche nel caso in
cui i toni in gioco siano più di uno.
Nel caso più semplice, costituito da due toni di frequenza diversa ma ognuno dell'intensità oggettiva
necessaria per indurre la stessa sensazione sonora (misurata in son) la somma delle intensità dei due
toni dà risultati psicoacustici diversi a seconda dell'ampiezza dell'intervallo di frequenza che li separa.
Qui occorre introdurre la nozione di banda critica, che è il campo di frequenze in relazione al quale è
possibile valutare la somma dell’intensità soggettiva dei due toni.

Le bande critiche che dividono l’ambito delle frequenze udibili sono state stabilite sperimentalmente in
numero di 24 e hanno varia larghezza. Ora se l'intervallo fra i due toni è superiore ad una determinata
banda critica la sensazione sonora indotta dalla stimolazione contemporanea da parte di essi è doppia;
pari, cioè, alla somma delle sensazioni che verrebbero indotte separatamente da ciascuno.
Se invece l'intervallo di frequenza scende al disotto di quella determinata banda critica, l’intensità della
sensazione sonora risulta inferiore alla somma.
La larghezza della banda critica cambia col cambiare della regione di altezza. Un modo comodo per
rappresentarla è quello di indicare sulle ordinate di un piano cartesiano la frequenza centrale di essa.
Si vede cosi, per es., che, quando la frequenza centrale della banda critica si aggira sui 200 Hz, la sua
larghezza è di circa 100 Hz mentre, quando la frequenza centrale è sui 5000 Hz la larghezza giunge a
1000 Hz.

Relazione tra larghezza della banda critica e sua frequenza centrale. La


larghezza della banda critica cresce al crescere della frequenza. (In
ascisse è indicata la frequenza centrale, in ordinate la lunghezza della
banda critica.)

18
Effetto di mascheramento

L’effetto ben noto, per il quale due o più suoni prodotti assieme si
"disturbano" reciprocamente, si chiama effetto di mascheramento o,
semplicemente, mascheramento.
Il caso più evidente è quello in cui suoni forti coprono suoni deboli, ma anche
l'ascolto di un suono forte può essere disturbato dalla presenza di uno meno
intenso. In ogni caso il suono disturbatore viene chiamato suono mascherante
e quello disturbato, suono mascherato.
Dal punto di vista psicoacustico l'effetto di mascheramento consiste nell’innalzamento della soglia di
udibilità (diminuzione di sensibilità) a scapito dei suono mascherato e si misura dal numero di dB dei
quale si deve aumentare la sua intensità perché esso - sempre in presenza del suono mascherante - torni
ad essere udibile.
Se, per esempio, un suono è coperto da un altro più forte ed è necessario aumentarne l'intensità di 10 dB perché torni ad
essere udibile, si dice che esso subisce un mascheramento di 10 dB.

Il fenomeno tende a manifestarsi con regolarità alle diverse intensità e, scelta a piacere una coppia di
suoni, possiamo constatare che, aumentata l'intensità del suono mascherante di un certo numero di dB,
il numero di dB del quale è necessario aumentare l'intensità del suono mascherato perché esso torni ad
essere udibile è uguale o, comunque, poco diverso.

19
È importante anche la relazione reciproca di altezza tra frequenze superiori ed inferiori: i toni di
frequenza inferiore mascherano più facilmente i toni di frequenza superiore di quanto non accada nel
rapporto inverso.

L’effetto di mascheramento, ad ogni modo, diminuisce con l’allargarsi dell'intervallo tra la frequenza
mascherante e quella mascherata, mentre è più sensibile se l’intervallo è contenuto all’interno di una
delle bande critiche. Il massimo dell'effetto si verifica quando i due toni hanno la stessa frequenza.

Nel caso, poi, in cui il mascheramento venga effettuato da un rumore, si osserva che l’effetto mascherante
è dato prevalentemente da una ristretta banda di questo, banda la cui ampiezza sta in un determinato
rapporto con la banda critica di pertinenza.

Riassumendo possiamo dire che, in presenza di un suono mascherante, le


soglie di udibilità di un suono mascherato da una diventano infinite e
dipendono da più fattori: altezza ed intensità dei due suoni e relazioni
reciproche di altezza e intensità fra i due. Nella realtà pratica, poiché la
composizione armonica dei suoni naturali è complessa, i fattori in gioco
diventano moltissimi; si pensi al caso di due persone dialoganti in un ambiente
affollato o ad uno strumento nell’orchestra.

20
Generalità sulle
vibrazioni delle sorgenti
sonore

Suono o rumore?!

21
Qualsiasi corpo idoneo a vibrare con frequenza udibile può essere
considerato una sorgente sonora.

La distinzione tra suono e rumore non muta i termini della questione.


In realtà una vera e propria distinzione tra suono e rumore non esiste
nemmeno dal punto di vista dell’apprezzabilità psicologica.

La vecchia distinzione assegnava la produzione del suono alle vibrazioni


cosiddette regolari e quella del rumore alle vibrazioni irregolari o disarmoniche.
Ma questa distinzione non ha validità assoluta.

Anziché cercare di definire un confine che non può esistere, è più utile vedere
la questione alle sue opposte estremità, dove da un lato troviamo il
suono puro
(generato dalle vibrazioni sinusoidali prive di distorsioni)
e dall’altro il
rumore puro (o suono bianco)
generato dalla simultaneità di tutte le vibrazioni sinusoidali del campo di
udibilitò, dai 16 ai 16.000 Hz, nessuna esclusa.
es.: suono abbastanza puro - diapason; rumore puro - vapore da caldaia sotto pressione
22
NB: la definizione “suono bianco” è stata derivata dall’ottica.
Nell’ottica la “luce bianca” appunto è la somma di tutte le radiazioni visibili
(cioè di tutti i colori dell’iride).
Così nell’acustica il “suono bianco” è la somma di tutte le vibrazioni udibili.

Il suono, dal più disordinato dei rumori alla sua maggiore qualificazione
musicale, non è che l’equivalente uditivo di un movimento vibratorio di
particelle materiali, che dalla sorgente si propaga, secondo determinate leggi,
all’ambiente circostante, sino a raggiungere l’organo uditivo.
E’ dunque dalla sorgente sonora che dovremo seguire il cammino del suono.

E’ ora necessario dal punto di vista fisico, distinguere le varie sorgenti sonore
in gruppi omogenei, secondo lo schema seguente:
1. corde
2. canne sonore
3. strumenti a percussione
4. la voce umana

23
Le vibrazioni delle
corde: onde stazionarie

24
Onde Stazionarie
Un' onda stazionaria è una perturbazione periodica di
un mezzo materiale, le cui oscillazioni sono limitate nello
spazio. In pratica non c'è propagazione nello spazio.
Le onde stazionare sono il risultato dell'interferenza tra
onde progressive e regressive sinusoidali, aventi la stessa
frequenza.
Una caratteristica delle onde stazionarie è che ad esse
non è associato alcun trasporto di energia.

25
Le onde stazionarie nell’acustica
Se esaminiamo col rallentatore il comportamento di una corda elastica sollecitata da un movimento
vibratorio, possiamo vedere che dal punto in cui ha agito la forza esterna (il martelletto del pianoforte,
l’azione dell’archetto sulla corda del violino, il pizzico sulla corda dell’arpa, etc.), la vibrazione si propaga
lungo la corda in due direzioni opposte.

Punto di eccitazione

fig. 1 A B

Poichè la distanza che le due onde devono percorrere è solitamente diversa, avviene che quella che
procede verso A raggiungerà per prima il punto terminale, dove si rifletterà invertendo sia il percorso sia
la fase, con la cresta cioè rivolta in senso contrario a quello di partenza: nel frattempo l’altra onda avrà
percorso un po’ del suo cammino.

E’ chiaro quindi che ad un certo istante si avrà la situazione riportata in fig. 2, alla quale seguirà quella di
fig. 3 e così via, con ripetute riflessioni e ripetuti incontri fra le due onde, ma con ampiezza di
movimento sempre decrescente.

A B A B
fig. 2 fig. 3
26
Questa propagazione di onde, avanti e indietro tra i due punti ai quali la corda
è fissata, assume il nome di “stazionaria” appunto per la localizzazione del
movimento stesso. Le onde sono anche di tipo smorzato in quanto la loro
ampiezza, dalla quale dipende l’intensità del suono, decresce periodo per
periodo, sino all’esaurimento dell’energia ricevuta al momento
dell’eccitazione.
Il percorso completo di andata e ritorno lungo la corda equivale a una
oscillazione di andata e ritorno del pendolo, vale a dire a un periodo.

Il fenomeno delle onde stazionarie è però un po’ più complesso. Ne


esamineremo ora gli aspetti essenziali.

27
Vibrazioni armoniche

armonici
28
Un suono prodotto in natura da un corpo vibrante non è MAI puro, ma è
costituito da un amalgama in cui al suono fondamentale se ne aggiungono altri
più acuti e meno intensi: questi sono gli armonici, che hanno una importanza
fondamentale nella determinazione del timbro di uno strumento e nella
determinazione degli intervalli musicali.
I suoni armonici corrispondono ai possibili modi naturali di
vibrazione di un corpo sonoro (secondo un moto armonico).

Ad esempio, se una corda di lunghezza L emette un MI (primo armonico), la


stessa corda vibra con meno intensità anche a frequenza doppia (pari alla
lunghezza L/2, secondo armonico), emettendo un MI all'ottava superiore, e
così via, suddividendo la lunghezza d'onda in multipli interi L/3, L/4, eccetera..
Lo stesso principio vale per le colonne d'aria che vibrano all'interno di tubi
(come negli ottoni).

29
Vibrazioni armoniche
Quando due onde muovono una verso l’altra s’incontrano, sommando
algebricamente le rispettive energie.

Per questi incontri e per le riflessioni del moto vibratorio nei punti estremi
della sorgente sonora (es. i terminali di una corda), il moto stesso è
influenzato da nuovi impulsi che danno luogo a vibrazioni la cui frequenza è
un multiplo di quella fondamentale, considerata come generatrice del
fenomeno e, per questo, prima armonica.

Le vibrazioni, che via via insorgono nel modo suddetto, prendono il nome di
seconda, terza (etc) armonica, le cui frequenze sono, rispettivamente, il
doppio, il triplo (etc) di quella fondamentale.
I periodi (ovvero l’inverso della freq.) saranno la 1/2, 1/3 di quello
fondamentale, e questo è perchè queste vibrazioni più corte occupano frazioni
della lunghezza stessa della corda.

La frequenza delle vibrazioni armoniche è sempre un multiplo


della frequenza fondamentale
30
Perchè non possono esserci vibrazioni armoniche di
qualsiasi lunghezza e frequenza?
Per capirlo basta pensare al caso della corda vibrante: i punti terminali della
corda (quelli dove è rigidamente vincolata) non possono che essere sede di
nodi.
In qualsiasi movimento vibratorio vi sono infatti dei punti nodali (dove il
movimento stesso è nullo) e delle zone ventrali (dove l’ampiezza al centro
della zona è massima).

E’ quindi chiaro che nel movimento vibratorio di una corda non potranno che
darsi frazionamenti interi del movimento stesso e mai situazioni come quella
indicata nella figura seguente:

31
Armonici e Vibrazioni Complesse
Nella figura sotto è riprodotto l’oscillogramma che
risulta dall’azione contemporanea delle quattro
vibrazioni (nelle figure sopra) che rappresentano
rispettivamente la prima, la seconda, la quarta e l’ottava
armonica.
L’immagine sotto è la fotografia fedele di questo
movimento vibratorio, che per la presenza di più
componenti viene setto “vibrazione complessa”.

Qualsiasi sorgente sonora che sia sede di vibrazioni


come quelle dianzi esemplificate si comporterebbe in
modo analogo. Se si considera che nella pratica
musicale, salvo casi riguardanti gli oscillatori
elettronici, tutti i suoni usati sono prodotti da
vibrazioni più o meno complesse, ben si vede
l’importanza che deve essere attribuita a queste
situazioni acustiche, dalle quali dipende, fra l’altro, la
formazione del timbro.
32
Armonici (overtones, o ipertoni)

33
Caso di un pianoforte

Se su un pianoforte premo un Do3 (fissando a Do5 il Do centrale) verranno


riprodotte frequenze multiple che sono proprie di altre note.Dato che la
frequenza fondamentale del Do3 è di circa 65,4 Hz, si produrranno suoni con
una frequenza multipla, ovvero di 130,8 Hz, 196,0 Hz, 261,6 Hz e così via le
quali corrispondono rispettivamente alle note Do4, Sol4, Do5.
Nella figura si possono notare tutti gli armonici del Do3. Le note piene stanno
a significare che la frequenza non è esattamente quella della nota descritta.

34
Caso di uno strumento a corde
Cosa sono questi armonici e perché si riescono a formare soltanto in alcune
determinate parti del manico?

Ogni corpo che vibra o che si muove produce


compressioni e rarefazioni nell'aria nelle
immediate vicinanze.
Queste compressioni e rarefazioni si propagano
nell'aria come onde sonore, in modo analogo a
come si propagano le onde prodotte da un sasso
che cade in uno specchio d'acqua. Le onde sonore
sono direttamente associate alle vibrazioni del
corpo e ne rispecchiano le caratteristiche. Nel
caso di uno strumento a corda le vibrazioni sono
molto facili da studiare, tralasciando per ora tutte
le complicazioni legate ad eventuali casse o tavole
risonanti accoppiate alle corde stesse.
La corda vibrante produce delle vibrazioni a
seconda dei suoi modi di oscillazione. Tutte le onde
prodotte sono di tipo stazionario (dato che la
corda è fissata agli estremi). Studiamo dunque i
modi di oscillazione della corda:

35
La frequenza della corda vibrante dipende dalla sua lunghezza,
massa e tensione: i matematici ci insegnano che ogni onda del tipo
che ci interessa può essere scomposta nella somma di onde sinusoidali,
che sono chiamate anche armonici.
C’è però, e si intuisce dalla figura della slide precedente, una certa
corrispondenza tra le onde armoniche prodotte dalla vibrazione: hanno
tutte lunghezza d’onda pari ad un
multiplo intero dell’onda totale.

Per questa caratteristica, la successione in cui si


dispongono queste onde è chiamata
successione armonica

(in matematica si indica con questo nome una successione numerica i


cui termini diminuiscono come
1/n... ovvero il secondo termine e` 1/2 del primo, il terzo 1/3 del primo
etc.), e da qui appunto il nome storico di “armonico”.

Una qualsiasi nota suonata su uno strumento a corde produce quindi un’onda
abbastanza complessa, composta da infinite onde di tipo armonico.
Questo si può notare anche dal fatto che il suono che fuoriesce dalla corda
pizzicata vicino al ponte è differente da quello della stessa pizzicata in un
qualsiasi altro punto: facendo questo si enfatizzano alcune onde armoniche
invece di altre, ottenendo una sonorità (e quindi un timbro) differente.

36
Ci sono tecniche per “stimolare” armonici naturali o artificiali negli strumenti
a corde e questi armonici sono molto semplici da descrivere dal punto di vista
ondulatorio, dato che le onde prodotte da
questi sono quasi perfettamente sinusoidali:

Quando produciamo un armonico, “imponiamo” alla corda di poter vibrare soltanto dal ponte al punto in
cui posizioniamo il dito della mano sinistra: se questo si pone in uno dei nodi delle onde armoniche
componenti (come quelli in figura), allora nella corda viene sviluppato soltanto quel tipo di vibrazione
relativo a quel tipo di frequenza.
Se poniamo un dito nel nodo della seconda onda armonica noi produciamo una nota uguale a quella che
suoneremmo suonando la corda a vuoto, soltanto un ottava superiore. Stesso fenomeno si verifica per
tutte le altre onde producendo rispettivamente una quinta più alta di una ottava per la terza oscillazione,
un’altra ottava superiore per la quarta, una terza superiore di due ottave per la quinta, una quinta
superiore di due ottave per la sesta, una settima superiore di due ottave per la settima, e un’ottava
superiore di tre ottave per l’ottava e così via.

La successione armonica sulle onde crea quindi una serie di intervalli di


frequenze che sono riconducibili alla scala naturale (in particolar modo alla
quadriade).

37
Abbiamo parlato di scala naturale e non di scala temperata; qui
dobbiamo aprire una parentesi: gli armonici sono note “naturali” che
non seguono una divisione razionale ed artificiale come quella
della scala temperata.
Questo condiziona il pitch di alcuni armonici e li manda “fuori tonalità”.

La musica europea si fonda sul sistema temperato occidentale:


a partire dal XVII secolo, l’ottava è stata divisa in dodici semitoni uguali che
danno luogo alla scala cromatica (in cui ad esempio il do diesis è identico
al re bemolle, il re diesis al mi bemolle).
La scala naturale è un po’ diversa da questa, questo spiega le differenze di
tonalità indicate in tabella:

38
La serie armonica naturale, è la seguente:

Serie degli armonici naturali in cui il suono fondamentale è un Do.


Il 7° 11° e 14° armonico sono calanti, il 13° è crescente.

Questa serie di note è la base fisica che ha dato origine al temperamento


naturale.
Notare che nel temperamento naturale il 7°, l'11° e 14° armonico suonano
calanti ed il 13° è crescente in relazione agli analoghi suoni nel temperamento
equabile.

39
Accordatura (di uno strumento a corde) con gli armonici
Come sanno tutti, il metodo per accordare lo strumento con gli armonici è molto utile, perché ci
permette di farlo con grande precisione rispetto alla semplice accordatura al 5° tasto.

In cosa consiste questo metodo: si producono onde di tipo sinusoidale (o almeno in prima
approssimazione) e si fanno “accavallare”. Se le onde differiscono in frequenza, creeranno dei
battimenti facilmente udibili, altrimenti il suono sembrerà puro.

Il compito che abbiamo è quello di creare queste onde facendo l’armonico al 5° tasto di una corda e al
7° della corda successiva più fine. Per crearle conviene suonare con un solo dito della mano destra e
pizzicare decisi le corde in modo da ottenere degli armonici lunghi che ci permettano di girare le
meccaniche. Nel momento in cui si formano le onde, sentiremo (se lo strumento a corde non è
accordato) dei fastidiosi battimenti.

Via via che ruotiamo le meccaniche nel senso giusto, i battimenti si sentiranno sempre meno frequentemente.
Quando scompariranno (cioè ad esempio non riusciremo a distinguerli per un periodo lungo 2-3
secondi) avremmo accordato il nostro strumento con un’incertezza di 0,5 Hz.

Questa incertezza è addirittura inferiore a quella dei più comuni accordatori


elettronici (da 1 a 2 Hz).

L’unico problema è che per ottenere il basso precisamente accordato (con un La a 440 Hz) dovremmo aiutarci con un’altra
sorgente di riferimento e quindi se usiamo l’accordatore per questo compito, il risultato delle nostre incertezze aumenta in
relazione a quella dell’accordatore. Un gran consiglio è quello di usare un diapason e cercare (dato che anche lui emette onde
sinusoidali) di accordare il la di riferimento usando l’armonico del 5° tasto della 3° corda e il diapason.

40
Onde semplici e complesse:
Le forme d’onda musicali possono essere suddivise in due categorie: semplici
e complesse.
Quelle denominate quadrate, triangolari e a dente di sega sono esempi di
onde semplici che contengono degli armonici.
Tali forme d’onda sono semplici perché sono continue e ripetitive: un ciclo di
un’onda quadra è esattamente uguale a quello successivo, e tutti sono
simmetrici rispetto alla linea zero.

41
Le onde complesse, d’altro canto, non necessariamente si ripetono o sono
simmetriche rispetto alla linea zero.
Non ripetendosi, è difficile suddividerle in cicli, o farle rientrare in determinate
categorie in base alla frequenza semplicemente guardando la forma d’onda.

L’orecchio interno separa i suoni nelle loro componenti sinusoidali prima di


trasmettere gli stimoli al cervello. Perciò non dovremmo interessarci alla
forma d’onda in sé stessa, quanto piuttosto alle componenti che ne
determinano quella particolare forma, dato che queste componenti influiscono
sulle caratteristiche del suono e come il cervello le percepisce.

Ciò può essere illustrato facendo passare un’onda quadra attraverso un filtro
passa-banda regolato in modo da lasciar passare solo una ristretta banda di
frequenze in qualunque intervallo unitario di tempo. Si vedrebbe che l’onda
quadra è composta dalla frequenza fondamentale più tutti i suoi armonici
dispari, l’ampiezza dei quali decresce all’aumentare della loro frequenza.

42
Nelle figure a lato a) e b) si può notare come i
singoli armonici dell’onda sinusoidale si combinino
per formare un’onda quadra, mediante sottrazione
della fondamentale laddove essi non siano correlati e
mediante addizione laddove siano correlati.

a) onda quadra con frequenza f


b) onda sinusoidale con frequenza f
c) somma di un’onda sinusoidale con frequenza f e di
un’onda sinusoidale con frequenza 3f di ampiezza
inferiore
d) somma di un’onda sinusoidale con frequenza f e di
onde sinusoidali con frequenza 3f e 5f di ampiezza
inferiore; si nota una certa somiglianza con l’onda
quadra

43
Se ci si trova ad analizzare il contenuto armonico di un violino (a) e a
paragonarlo poi con quello di una viola (b) (se entrambi stanno suonando un
La da concerto a 440 Hz) si ottengono i risultati mostrati nella figura sotto:

Si nota che il violino ha armonici che


differiscono sia in estensione che in intensità
rispetto a quelli della viola.
Gli armonici presenti e le loro relative
intensità determinano le caratteristiche
sonore di ciascuno strumento e definiscono il
timbro dello strumento. Se si cambia il
bilanciamento degli armonici, cambieranno le
caratteristiche sonore dello strumento.

Per esempio se nel caso del violino si diminuisse il livello degli armonici che
vanno dal quarto al decimo e si eliminassero quelli superiori al decimo, il
violino suonerebbe proprio come una viola.

44
Oltre alle variazioni nel bilanciamento armonico che si possono verificare tra
strumenti e tra famiglie di strumenti, è normale che sia la frequenza
fondamentale, sia le frequenze degli armonici cambino di direzione dal
momento della loro emanazione dallo strumento, a seconda della loro
posizione nell’estensione sonora dello strumento stesso.

Per esempio la figura sotto ci mostra i diagrammi dei principali modelli di


radiazione sonora del violoncello, sia visto di lato che visto dal di sopra.

45
Il significato degli armonici per la nostra percezione della qualità sonora fu
riassunto alla perfezione da Russel Hamm nel numero di maggio 1973 del
Journal of the Audio Engineering Society:

“Le fondamentali caratteristiche della colorazione di uno strumento sono determinate dall’intensità dei
primi armonici. Ciascuno degli armonici inferiori dà il suo caratteristico effetto quando è dominante, o
può modificare l’effetto di un altro armonico dominante se è più rilevante di esso.
Nella più semplice classificazione gli armonici sono suddivisi in due gruppi tonali:
- gli armonici dispari (il terzo e il quinto), rendono il suono stoppato o mascherato
- gli armonici pari (il secondo, quarto e sesto) rendono il suono più corale o cantante.
Dal punto di vista musicale il secondo armonico è un’ottava sopra la fondamentale e non è praticamente
udibile, anche se contribuisce alla corposità del suono, rendendolo più pieno. Il terzo armonico è anche
denominato quinta o dodicesima. Conferisce al suono una caratteristica che molti musicisti definiscono
ovattata.
Invece di rendere il suono più pieno, una terza molto forte lo rende più morbido. Se vi si aggiunge il
quinto armonico oltre al terzo, il suono diventa metallico e, nel caso di un eccessivo aumento della sua
ampiezza, diventa fastidioso. Un secondo armonico forte assieme ad un terzo anch’esso forte tende a far
svanire la sensazione di ovattato appena descritta; se si aggiungono il quarto e il quinto la sonorità poi si
apre e diventa simile a quella di un ottone.
Armonici superiori al settimo rendono il suono più definito e tagliente. Dato che questa maggiore
definizione viene bilanciata dalle qualità fondamentali del suono, essa tende a rinforzare la fondamentale
e conferisce al suono un attacco ben definito.
Molti degli armonici di quest’ultimo tipo non hanno la stessa intonazione, cioè sono per esempio il
settimo, il nono e l’undicesimo. Perciò una definizione troppo spinta può portare a un’aspra dissonanza.

46
Dato che l’orecchio sembra essere molto sensibile agli armonici che conferiscono maggior definizione, il
controllo della loro ampiezza è di fondamentale importanza.
Lo studio del suono di una tromba dimostra che l’effetto di definizione è correlato direttamente con il
valore a cui si suona.

Suonare con una tromba la stessa nota forte o piano non comporta una grande differenza nell’ampiezza
della fondamentale e degli armonici più bassi, ma si vede che l’ampiezza del sesto armonico aumenta o
diminuisce in maniera quasi proporzionale all’intensità dell’emissione. Tale bilanciamento della parte
esterna di un suono è un segnale di intensità che ha importanza critica per l’orecchio umano.

Dato che il bilanciamento relativo degli armonici di uno strumento è così importante per il suono dello
strumento steso, la risposta in frequenza di microfoni, amplificatori, monitor e di tutti gli altri elementi
che il segnale incontra nel suo percorso, può influenzare il timbro o il bilanciamento armonico del
suono. Se la risposta in frequenza non è piatta, il timbro del suono ne risulterò cambiato; per esempio se
si amplificano le alte frequenze in maniera minore rispetto alle basse e alle medie, il suono risulterà più
smorzato del necessario. Gli equalizzatori possono essere usati per variare il timbro degli strumenti,
variando perciò l’impressione soggettiva che producono sull’ascoltatore.”

47
Apporto qualitativo delle armoniche sulla
formazione del timbro
1° - Stabilisce l’altezza del suono
2° - Conferisce chiarezza
3° - E’ prevalente nei cosiddetti suoni di “canna”
4° - Aumenta l’effetto introdotto dalla 2° armonica
5° - Incupisce un poco il suono
6° - Conferisce un carattere squillante
7° - Produce un po’ di asprezza
8° - Aumenta la chiarezza ed il carattere squillante
9° - Fa aumentare l’asprezza
10°- Apporta maggiore chiarezza ed effetto metallico

man mano che il numero d’ordine delle armoniche si eleva, aumenta la chiarezza e anche l’asprezza del
suono. Per contro una carenza o diminuzione di contributo da parte delle armoniche superiori produce
un timbro più velato.

48
Inviluppo

49
L’inviluppo
Il timbro non è l’unica caratteristica che ci permette la differenziazione fra
strumenti musicali. Ciascuno strumento ha il suo inviluppo caratteristico che
va considerato insieme al timbro e determina il suono particolare dello
strumento stesso.

L’inviluppo di una forma d’onda descrive la variazione di intensità e può essere


rappresentato graficamente unendo fra di loro i punti di picco con la stessa
polarità per una serie di cicli. L’inviluppo di un segnale acustico è composto di
tre sezioni: attacco, dinamiche interne e decadimento.

50
L’attacco (attack) descrive il modo in cui un suono inizia e aumenta di
intensità; le dinamiche interne sono gli aumenti e le diminuzioni di
volume e il mantenimento (sustain) dopo il periodo iniziale; con
decadimento (finale) si intende il modo in cui il suono cessa.

Ciascuna di queste sezioni ha tre variabili:


1. durata nel tempo
2. ampiezza
3. variazione di ampiezza nel tempo

Forme d’onda di alcuni strumenti musicali:

a) clarinetto
b) rullante
c) piatto

51
Gli inviluppi che presentino tempi di attacco molto brevi, seguiti da
decadimenti iniziali veloci, si dicono suoni percussivi o spinti, mentre quelli che
hanno attacco e decadimento più lunghi hanno sonorità più morbide e dolci.

E’ importante notare che il concetto di inviluppo fa riferimento a valori di


picco della forma d’onda, mentre la percezione umana dell’intensità sonora è
proporzionale all’intensità media in un certo periodo di tempo. Perciò le
porzioni dell’inviluppo che hanno grande ampiezza non faranno suonare forte
uno strumento a meno che questa grande ampiezza non venga mantenuta per
un tempo sufficiente. Brevi sezioni a grande ampiezza contribuiscono alle
caratteristiche del suono piuttosto che all’intensità.

Mediante l’uso di una strumentazione di controllo dell’ampiezza, come ad


esempio i compressori, i limiter, gli expander, le caratteristiche del suono di
uno strumento possono essere cambiate, variando l’inviluppo e non il timbro.
L’inviluppo di una forma d’onda generata da uno strumento elettronico è
simile, per la maggioranza delle caratteristiche, al suo gemello acustico e viene
anch’esso misurato in base al suo attacco iniziale (attack), al tempo di
decadimento (dall’attacco iniziale) (decay), al tempo di sustain e al tempo
di rilascio finale (release).
Di solito viene indicato con la sigla abbreviata ADSR.
52
Le vibrazioni delle
canne sonore

53
Quello che abbiamo detto sulle vibrazioni armoniche a proposito delle corde
elastiche, ci esime dal dire cose pressoché uguali sulle canne sonore: i
presupposti matematici della situazione sono infatti gli stessi in tutti i casi (le
frequenze armoniche sono sempre multipli di quelle fondamentali), anche se la
diversa natura delle sorgenti sonore comporta adeguamenti meccanici
particolari, che però non toccano i requisiti fondamentali del fenomeno.

Quello che ci interessa capire è cosa succede


nelle canne sonore quando una perturbazione
modifica il loro equilibrio interno.

54
Analisi acustica nelle
canne sonore
1. La perturbazione, che è la conseguenza dell’impulso operato dalla forza
eccitatrice, la quale agisce sempre all’imboccatura della canna, si manifesta
con un’onda di compressione nella colonna d’aria ivi contenuta.

2. La compressione (che ha dimensioni limitate) si propaga lungo il tubo


con velocità ben precisa (che vedremo in dettaglio) fino a raggiungere
l’estremità opposta del tubo stesso, dove l’onda incontra l’ambiente esterno e
vi si precipita.

3. La rarefazione, ossia la naturale reazione alla spinta dell’onda, si forma


nella parte terminale del tubo, e percorre in senso inverso la lunghezza
del tubo sino alla sua imboccatura.

...
55
Periodo di vibrazione
delle canne sonore
...ora bisogna che all’imboccatura si rinnovi l’impulso eccitatore con perfetto
sincronismo, e la sua periodica ripetizione darà luogo a pulsazioni di
frequenza coerente con la lunghezza della canna e col tempo che l’onda di
compressione e quella di rarefazione impiegano a percorrere nei due sensi la
lunghezza della canna stessa.

Questo è il periodo di vibrazione di tutte le canne


sonore, ed è chiaro che la sua durata (andata e ritorno
dell’onda) dipende dalla velocità che anima il movimento
delle pulsazioni: come il tempo impiegato per compiere un
dato percorso dipende dalla velocità di chi lo compie.
56
Velocità delle pulsazioni
nelle canne sonore
La velocità delle pulsazioni dell’aria nelle canne sonore è
pari a quella delle onde longitudinali nello stesso gas.
In via pratica può essere ritenuta uguale a quella del suono
nell’aria che, come vedremo nel capitolo che riguarda la
“propagazione di energia per onde”, è normalmente di
340 m/s.

57
...un’altra cosa per le
canne sonore
Per completare la descrizione del meccanismo delle pulsazioni che avvengono nei tubi sonori, dobbiamo
considerare ancora una cosa.

La riflessione dell’onda, al punto terminale del tubo, non avviene nell’istante


medesimo in cui essa lo raggiunge, ma con un po’ di ritardo.

L’onda di compressione è infatti dotata di una certa forza, che conserva il suo
impulso in senso longitudinale per una piccola lunghezza oltre quella effettiva
del tubo.

Esempio: notare la forma del getto d’acqua che esce dallo spinello di una pompa. Il getto non si
trasforma subito in “rosa”, ma conserva per una certa lunghezza la forma rotonda del tubo dal quale
fuoriesce, causa la forza esercitata dalla pressione.
E’ come se il tubo fosse un po’ più lungo.

58
Una cosa simile avviene anche nel caso dei tubi sonori, alla cui estremità la
trasformazione dell’onda longitudinale in onda sferica si opera con una certa
gradualità ed è compiutamente raggiunta in un punto che è apprezzabilmente
spostato verso l’ambiente esterno.

Tutto quello che abbiamo detto a proposito delle relazioni


che intercorrono tra la frequenza delle pulsazioni nei tubi
sonori, la lunghezza del tubo e la velocità delle pulsazioni
può venir sintetizzato in questi termini:

dove f è la frequenza, V è la velocità e λ è la lunghezza


d’onda della vibrazione.
59
Lunghezza d’onda del LA a 440 Hz nell’aria:

Tra la lunghezza di una canna sonora e la lunghezza d’onda della sua vibrazione
fondamentale intercorre sempre un rapporto preciso; cosa che non avviene
per la lunghezza delle corde, in quanto una stessa corda, a seconda che sia più
o meno tesa, emette suoni di altezza diversa, prodotti da frequenze diverse,
alle quali corrispondono lunghezze d’onda adeguatamente diverse.
Allora possiamo chiederci:

Qual è il rapporto tra la lunghezza della canna e la sua onda


fondamentale?

60
Schematizzazione della
canna sonora

Alle estremità di una canna aperta non può formarsi che una zona ventrale: un nodo in quello stesso
punto sarebbe assurdo.

Anzi: siccome all’imboccatura agisce la forza eccitatrice, alla quale deve corrispondere
necessariamente un’ampiezza del movimento vibratorio (altrimenti la vibrazione sarebbe impedita),
è parimenti evidente che anche quel punto deve corrispondere ad una zona ventrale, come avviene
all’estremità del tubo.
Il meccanismo delle vibrazioni esige però che almeno un punto nodale ci sia, altrimenti si dovrebbe
parlare di corrente d’aria e non di vibrazione acustica: questo punto nodale, quando la canna emette il
suono fondamentale, si forma infatti presso la metà, circa, del tubo.
61
Da questa figura si può dedurre graficamente il rapporto che intercorre tra la
lunghezza effettiva del tubo e quella dell’onda fondamentale:

Variando la modalità e la frequenza degli impulsi prodotti dalla forza


eccitatrice, le canne sonore possono emettere, in luogo della vibrazione
fondamentale, un’armonica della medesima. L’altezza di questi suoni varia a
seconda dell’eccitazione, ma sempre con frequenze che sono multiple di quella
fondamentale.

62
Vediamo in figura come si formano ventri e nodi in una canna sonora quando
viene emessa una frequenza armonica:

63
Canne chiuse
Nella grande famiglia delle canne sonore usate nella pratica musicale,
incontriamo un particolare tipo di tubi tappati alla loro estremità terminale: si
tratta delle cosiddette canne chiuse.

La principale caratteristica acustica di queste canne è che alla loro estremità


tappata, anziché formarsi una zona ventrale, si forma un punto nodale.

Le stesse ragioni meccaniche per cui all’estremità di una canna aperta deve formarsi una zona ventrale,
esigono che all’estremità di una canna tappata si debba formare un punto nodale, ossia un punto le cui
pulsazioni si riflettono (senza inversione di fase) ripercorrendo in senso inverso la lunghezza del tubo.
E’ come se il punto nodale, che si forma presso la metà circa di una canna aperta, venisse spostato
all’estremità tappata del tubo. Per questo motivo (duplicità del percorso - andata e ritorno - dell’onda) è
come se la canna fosse lunga il doppio. Parimenti doppia è la lunghezza d’onda, mentre la frequenza, che
sta alla lunghezza d’onda in proporzione inversa, viene dimezzata.

A parità di lunghezza le canne chiuse emettono suoni che sono un’ottava


bassa rispetto a quelli emessi dalle canne aperte.
questa particolarità consente ai costruttori d’organi di ridurre gli ingombri, dato che per le canne
destinate alle note molto gravi possono ottenere la stessa frequenza usando tubi di metà lunghezza, ma
con l’estremità tappata.
64
Poiché nelle canne chiuse si deve necessariamente formare un punto nodale
all’estremità tappata, ne consegue che sono impedite tutte le vibrazioni
armoniche che in quel punto debbono avere una zona ventrale, vale a dire
tutte le armoniche di ordine pari: 2, 4, 6, 8, etc.
Se consideriamo che la lunghezza della canna è virtualmente raddoppiata e che la sua estremità tappata
viene a essere il centro della lunghezza stessa, dove, per effetto della chiusura, non può formarsi che un
punto nodale, risulterà chiara la ragione per cui questo tipo di canne può generare solo le le armoniche
di ordine dispari:

65
La genesi delle “stecche”
Se da una corda elastica, o da una campana, si può ottenere il suono anche
con una sola percussione, nelle canne sonore un solo impulso non basta,
occorre infatti che la forza eccitatrice agisca senza interruzione per una
durata pari a quella del suono che si vuole ottenere: occorre altresì che la
frequenza degli impulsi coincida col periodo delle pulsazioni.

Se il suono si “rompe”, e nasce quell’effetto sgradevole, tanto temuto da


suonatori e cantanti, conosciuto con il nomignolo di “stecca”.

Ciò avviene perché con la perdita del sincronismo l’onda di pressione si


propaga lungo il tubo, mentre l’onda di ritorno dell’impulso precedente non è
ancora arrivata all’imboccatura. Si tratta di uno scontro vero e proprio tra due
onde di fase inversa che “viaggiano” sulla stessa linea, l’una contro l’altra.
L’abilità di un esecutore che riesca costantemente a evitare le stecche,
consiste essenzialmente nella sua acuta sensibilità nel “sentire” e mantenere il
sincronismo tra gli impulsi e il periodo delle vibrazioni: cosa che nella pratica
musicale è meglio conosciuta come sensibilità nel sentire e mantenere la
“nota” prima e durante l’emissione.
66
Strumenti a percussione

67
Una piastra metallica, una lamina, un regolo, una corda o una membrana tesa
etc. possono essere altrettante sorgenti sonore eccitabili mediante
percussione.
Il modo di vibrare di questi corpi elastici è il più vario e può essere anche tra i
più complessi. Si passa infatti dalle vibrazioni regolarissime e quasi sinusoidali
del diapason a rebbi, alle caotiche e disarmoniche vibrazioni della “gran cassa”.
Tra l’uno e l’altro di questi poli incontriamo sorgenti idonee a emettere suoni
ad altezza determinabile e altri ai quali questo requisito non può competere
(strumenti a suono cosiddetto “indeterminato”), con una catena di passaggi
dall’uno all’altro tipo che copre una casistica veramente numerosa.
Limiteremo la nostra considerazione agli aspetti fondamentali della questione:

68
1. Membrane tese (timpano tamburo etc):
possono essere considerate come corde elastiche estese in due dimensioni
(una superficie).
Sono fissate rigidamente lungo tutto il bordo ad un apposito telaio, pertanto,
alla loro periferia non vi sono che punti nodali, mentre al centro della
membrana si forma un punto donale comune scarsamente definito: il resto
della superficie è sede di zone ventrali separate da linee nodali.
Dal tipo del supporto (che nel timpano è quasi semisferico con un foro al
centro) e dalla regolarità della tensione, dipende la possibilità di dare, o meno,
suoni di altezza determinabile.

69
2. Piastre (campane, piastra ricurva, etc):
vibrano liberamente lungo tutta la loro superficie, dove si formano zone
ventrali, separate da linee nodali variamente distribuite, mentre al centro si ha
un punto nodale molto ben definito, dove generalmente viene applicato il
sostegno della piastra.
Dalla regolarità delle vibrazioni delle piastre dipende l’altezza quasi sempre
ben determinata del loro suono, anche se la grande difficoltà di ottenere una
fusione perfettamente omogenea e di geometria altrettanto precisa
comporta, si può dire sempre, che il suono delle piastre in genere (e quello
delle campane in particolare) implichi più sistemi di vibrazioni di
frequenza molto prossima tra loro, che sono causa dell’ondulazione
che caratterizza il suono di queste sorgenti sonore.
I piatti, i tam tam, sono pure costituiti dalle piastre, ma il minimo spessore
rispetto alla loro superficie è causa di vibrazioni disarmoniche e quindi di
suono di altezza non determinabile.

70
3. Regoli metallici o di vetro (celesta, vibrafono, glockenspiel, etc):
sono sorgenti di suono di altezza molto precisa.
I regoli sono quasi sempre appoggiati a due supporti: in questi punti di
appoggio non possono formarsi che nodi, mentre alle estremità e al centro si
avranno zone ventrali.
Questo particolare vincolo è la causa del suono quasi puro che questi regoli
possono dare:

Analogo comportamento è quello dei regoli di legno (xilofono etc), con la sola
differenza che il loro suono è molto complesso e di altezza meno precisa
rispetto a quella dei regoli metallici.

71
Diapason a rebbi:
verga metallica di acciaio fissata a un supporto situato alla metà della sua
lunghezza.
In figura possiamo vedere la trasformazione di una verga rettilinea in diapason
a rebbi:

Le vibrazioni della verga che nella


condizione rettilinea sono
esemplificate nelle fig. a) e a’)
rimangono inalterate e pertanto
possono trovare esemplificazione
come è riportato in fig. b)

72
Classificazione delle
percussioni
La classificazione degli strumenti a percussione può avvenire con vari criteri che dipendono dalla loro
costruzione, dall’origine etnica, dalla loro funzione orchestrale etc.
A volte le percussioni sono classificate tra “pitched” e “unpitched”. Anche se valida, questa classificazione
risulta alquanto inadeguata.

La maggior parte degli strumenti a percussione, se classificati nella maniera in cui si produce il suono,
secondo la famosa divisione dei pionieri Erich von Hornbostel e Curt Sachs per la classificazione degli
strumenti musicali, si trovano nelle classi degli idiofoni e membranofoni.
La maggior parte dei cordofoni sono solitamente definiti come strumenti a corda, ma alcuni di questi
sono anche a percussione (come l’hammered dulcimer e il piano)
Molti elettrofoni sono anche strumenti a percussione (drum machines etc)

73
Idiofoni
Gli idiofoni sono strumenti il cui suono è prodotto dalle vibrazioni dello stesso materiale con il quale
sono costruiti. Il loro sviluppo incominciò molte migliaia di anni or sono, quando l'uomo preistorico
percosse tra loro bastoni, pietre e ossa, per sottolineare i ritmi prodotti con il battito delle mani e con il
calpestio dei piedi. Molti degli idiofoni primitivi, realizzati con materiali naturali, vengono ancora oggi
utilizzati per accompagnare il canto o la danza o come strumenti da segnale.
Negli strumenti musicali idiofoni il suono è prodotto con la vibrazione del corpo stesso dello
strumento, senza l'utilizzo di corde o membrane.
Molti strumenti a percussione che non sono tamburi sono idiofoni e la maggior parte di questi hanno
origini occidentali.
Questi strumenti sono classificati come idiofoni a
percussione e vengono suonati colpendoli
direttamente, con le bacchette o con le mani (come
il triangolo), o indirettamente a seguito di
scuotimento (come maracas o cabasa). Gli strumenti
nelle sottocategorie frizione, pizzico, e ad aria sono
di rara diffusione.
Gli idiofoni sono realizzati in materiali diversi, come
il metallo, il legno, l'osso e le materie plastiche. Gli
strumenti a suono determinato sono suonati
controllando la nota prodotta, e rispettando le
regole dell'armonia come per gli altri strumenti con
la stessa caratteristica. Gli strumenti a suono
indeterminato sono utilizzati invece per la scansione
dei ritmi, o con funzione di abbellimento.
74
Membranofoni
I membranofoni sono strumenti il cui suono è prodotto da una membrana o da una pelle, tesa sopra un
telaio, posta in vibrazione. Della famiglia dei membranofoni fanno parte i tamburi (bipelle, monopelle),
presenti in varie fogie e realizzati con materiali diversi in ogni parte del mondo, e i più rari mirlitons.
Le più antiche fonti iconografiche che attestono l'uso dei tamburi, risalgono alle civiltà mesopotamiche e
a quella egiziana.

Gli strumenti musicali della classe dei membranofoni si dividono in due famiglie fondamentali che hanno
in comune lo stesso materiale vibrante, una membrana tesa: I mirliton e i tamburi.
I mirliton emettono il suono per mezzo della vibrazione di una membrana tesa che viene sollecitata
dalla voce dell'esecutore e entra in vibrazione aggiungendo frequenze di disturbo alle frequenze vocali,
con la conseguenza di modificare il timbro dell'esecutore (es Kazoo).
I tamburi emettono il suono per mezzo della vibrazione di una membrana tesa che può essere
sollecitata in numerose maniere.

75
Tamburi
Tamburo sonaglio: la membrana viene sollecitata da oggetti contenuti all'interno del fusto del
tamburo che viene agitato come un sonaglio (Es.indiani d'america).
Tamburo a frizione rotante: la membrana riceve le vibrazioni da una corda fissata al suo centro e
imperniata con un nodo scorsoio ad un bastoncino in modo che il tamburello possa roteare. Se ne
produce un cra cra dovuto all'effetto Doppler indotto sull'ascoltatore (Es raganella romagnola e di altre
zone del mediterraneo).
Tamburo percosso: la membrana viene sollecitata con le mani, con mazzuoli, con spazzole di filo di
ferro (batteria), con mazzuoli imbottiti (Timpano orchestrale).
Tamburo a percussione indiretta, tamburo tibetano: la percussione è indotta dalla
rotazione su se stesso, alternativamente del tamburo che così riceve la percussione di battenti legati
all'esterno che per il brusco cambio di rotazione vanno a collidere sulle membrane.
Tamburo a frizione: la frizione è ottenuta sfregando le membrane con le mani o con un bastone
appoggiato o imperniato al centro della membrana (es. puti pu napoletano). Nel coccodè del galletto
romagnolo la frizione è ottenuta tirando con le dita una cordicella legata al centro della membrana; le
dita scorrono sulla cordicella evocando il suono del coccodè del galletto.

La forma dei fusti del taburo può essere molto varia; ecco alcuni esempi: fusto a cornice a cono
a cono rovesciato a botte cilindrico a caldaia (Timpani) ecc.

Le membrane sollecitate possono essere due (tamburo bipelle); oppure una sola una sola col
tamburo chiuso alla estremità opposta o chiuso da un'altra membrana (in ogni caso si dice monopelle).

76
La membrana è costruita con materiali sintetici o naturali, fra cui la pelle animale, il mylar, ed altri.
Per massimizzare la vibrazione della membrana, alcuni strumenti come i tamburi della batteria, utilizzano
una membrana cosiddetta risonante, che influenza comunque il timbro in relazione alla sua
tensione. In tal caso, la membrana su cui viene generata la vibrazione iniziale viene indicata come
battente.

Per enfatizzare il suono molti membranofoni utilizzano un cilindro risonante, il fusto, che raccoglie le
vibrazioni della membrana nella zona di contatto con la stessa. Il materiale di cui è costituito il fusto
caratterizza il timbro dello strumento, che ha un suono caldo nei casi di fusti di materiale naturale,
come il legno, ed un suono più squillante e con più armonici nel caso di fusti in metallo o in materie
plastiche.

I tiranti sono utilizzati per intonare lo strumento, nel caso di strumenti a suono determinato, o per
ottimizzare la risonanza con il fusto per gli strumenti a suono indeterminato. I tiranti possono essere
delle viti di metallo che avvitano in appositi blocchetti ed applicano una forza su un cerchio superiore
alla membrana ed esterno al fusto, o tiranti in corda, questi ultimi più diffusi nelle percussioni artigianali.

77
La voce umana

78
La voce umana
Si tratta della sorgente sonora più sottile e versatile, i cui effetti sono forse tanti, quanti ne possono
suggerire l’inventiva, l’emozione e l’intenzione, sia nella parola sia nel canto.
Anche l’uso del fiato potrebbe fare pensare alla collocazione di questa sorgente in categoria affine a
quella delle canne sonore, bisogna dire che ciò non sarebbe esatto, in quanto le caratteristiche fisiche e
fisiologiche dell’organo vocale esigono una considerazione del tutto particolare.

Uomini e donne hanno differenti corde vocali di dimensioni differenti; i maschi adulti hanno solitamente
voci più basse e corde più grosse. Le corde vocali maschili sono tra i 17 e i 25 mm in lunghezza. Le
femmine hanno corde più piccole tra i 12.5 e i 17.5 mm in lunghezza.

Come si vede dalla figura nella pagina precedente, le corde sono situate proprio sotto la trachea. Il cibo
e l’acqua non passano tra le corde vocali ma presso l’esofago che è un tubo scollegato. Entrambi i tubi
sono separati dall’epiglottide, uno “sportello” che ricopre l’apertura della trachea quando si inghiotte.

Il suono della voce di ogni individuo è veramente unico, non solo per la differenza tra la grandezza e la
forma delle corde vocali, ma anche per la grandezza e la forma del resto del corpo della persona.
L’essere umano ha cavità vocali che possono far allentare, tirare o cambiare il loro spessore.
La forma del torace e del collo, la posizione della lingua, e lo spessore di altri muscoli può essere
alterata. Ognuno di queste azioni può causare un cambiamento del pitch, volume, timbro, o tono del
suono prodotto.
I suono tra l’altro risuonano tra diverse parti del corpo e la costituzione e la struttura ossea possono
variare il suono prodotto. I cantanti imparano anche a produrre dei suoni in alcuni modi usando le
risonanze migliori all’interno del loro corpo (risonanza vocale).

79
Descrizione della fonazione nella voce umana:

1. Polmoni: per quanto riguarda la fonazione possono essere considerati dei


veri serbatoi d’aria funzionanti come mantici.
Da questi l’aria viene spinta verso il tubo ristretto bronco-tracheale, dove per
la pressione esercitata da loro stessi, si determina una tensione che provoca la
reazione delle corde vocali inferiori.

2. Corde Vocali: le corde vocali inferiori non sono, e neppure somigliano, a


corde nel senso comune del termine. Le corde vocali superiori non sembrano
essere di alcuna utilità per la fonazione.
Si tratta di un tessuto simile a labbra, la cui superficie inferiore è coperta da
un rivestimento membranoso, di tipo molle, attaccato solo ai margini delle
ripiegature muscolari.
La reazione delle corde vocali, ognuna delle quali è fissata su tre lati, si
manifesta mediante vibrazioni la cui frequenza è correlata con la tensione
delle corde stesse e con la pressione dell’aria.

80
La naturale ricerca dell’equilibrio di tutto il sistema, turbato dalla pressione,
che è persistente, provoca il periodico allargarsi e restringersi delle corde, che
nell’uomo sono più spesse che nella donna: dal periodo di questo
movimento dipende, appunto, la frequenza delle vibrazioni e l’altezza del
suono.
Le vibrazioni delle corde vocali non sviluppano però energia bastante a
generare suoni di sufficiente intensità:

3. Cavità dell’organo vocale: da quelle inferiori a quelle superiori, che


possono variare il loro volume in relazione alla frequenza, provvedono ad
amplificare, mediante risonanze, l’intensità del suono, che dal più flebile
sussurrio può arrivare alle più grandi potenze canore.

81
Il Canto
La voce umana è un suono prodotto dalla vibrazione delle corde vocali per effetto dell'aria espirata dai
polmoni mediante occlusione della glottide. Nell'uso canoro il suono della voce è caratterizzato dalle
risonanze della trachea, della faringe e della bocca, ed eventualmente delle altre cavità (seni) facciali e
craniali; i timbri vocali che si ottengono dipendono anche dal meccanismo di produzione della voce.
A seconda del modo in cui la voce viene prodotta si possono distinguere tre tipi di emissione: la voce
ingolata, la voce impostata e il falsetto.

L'apparato fonatorio: A Glottide - B Faringe - C Velo del


palato - D Palato molle - E Palato duro - F Alveoli - G
Denti - H Labbra

Voce impostata
La voce impostata è il modo corretto di produrre suono con la voce; cantando con voce impostata (che
non sempre è una abilità naturale, ma deve essere appresa con lo studio) si producono suoni di qualità
migliore, più omogenei timbricamente, si è capaci di maggiore volume sonoro ma soprattutto si è in
grado di cantare per un tempo prolungato senza incorrere in danni alle corde vocali. La voce impostata
consiste nel far risuonare una delle cavità corporee nominate più sopra accoppiandola all'oscillazione
delle corde vocali, che iniziano la vibrazione con la loro adduzione per rotazione all'indietro delle
cartilagini aritenoidi.
Il suono della voce impostata è potente, rotondo e pieno, duttile; mantiene queste caratteristiche in ogni
condizione di emissione, acuti o bassi, piani o fortissimi.
82
Voce di gola
La voce di gola è il modo in cui si emette il suono quando si parla, affidando la variazione della tonalità
alla maggiore o minore tensione delle corde vocali (maggiore o minore sforzo adduttivo delle
aritenoidi). Durante il canto, la tensione delle corde vocali e la forte vibrazione che devono sostenere
porta rapidamente all'affaticamento del cantante e a lesioni delle corde stesse (edemi, noduli ecc.).
Il suono della voce di gola è rigido e piatto, simile ad un grido: questa somiglianza è evidente soprattutto
negli acuti e nei fortissimi. Il timbro cambia a seconda della potenza e dell'altezza.

Falsetto
Il falsetto è un particolare modo di vibrazione delle corde vocali che permette di emettere le note più
acute con meno sforzo, o in alternativa di emettere note più acute di quanto si potrebbe fare con mezzi
normali: si produce per stiramento delle corde vocali in seguito all'inclinazione della cartilagine tiroide,
che provoca una vibrazione "per giustapposizione" delle corde stesse invece che per battimento.
Questo modo di emissione può essere un effetto voluto oppure un riflesso automatico della laringe, che
se forzata a emettere suoni più acuti di quanto può fare (o se è affaticata) si protegge emettendo suono
in falsetto. I cantanti addestrati possono controllare la zona di passaggio dagli acuti in voce piena a quelli
in falsetto, ottenendo il cosiddetto falsettone, una tecnica usata spesso nelle opere barocche.
Per quanto detto, il suono di una voce in falsetto è più acuto e meno potente della voce normale, ed è
più sibilante e meno ricco di sonorità (contiene meno armonici).

Esempi di cantanti di musica leggera e di musica rock che ricorrono al falsetto sono Philip Bailey, Matthew
Bellamy,Ville Valo, Jeff Buckley, Robert Plant, John Frusciante, Chris Martin, Bono,Vince Neil, Axl Rose, Amir Hoxha,
Justin Hawkins,Tiny Tim,Thom Yorke, Jimmy Sommerville, Mika e Bee Gees.
Tipico esempio di canto in falsetto è poi quello di alcuni cantanti melodici italiani del secolo scorso
come Luciano Tajoli e I cugini di campagna.

83
Registri vocali

Un’altra delle maggiori influenze sul suono e la produzione della voce è la funzione della laringe che le
persone possono manipolare in differenti modi per produrre differenti suoni. Questi tipi differenti di
funzioni laringee sono descritte come differenti tipi di registri vocali.

Un registro nella voce umana è una particolare serie di toni, prodotti nello stesso modo vibratorio della
cavità vocale, e possedenti le stesse qualità. I registri originano nella funzione laringea. Questi esistono
perché le cavità vocali sono capaci di produrre molti diversi modi vibratori.
Ognuno di questi modi vibratori è compreso entro un particolare range di pitch e produce alcune note
caratteristiche.
Con la parola “registro vocale” può essere usato in vari contesti riguardanti la voce.

Un registro vocale consiste in una gamma di suoni che viene prodotta a livello fisiologico con gli stessi
meccanismi e che di conseguenza mostra caratteristiche di omogeneità all'ascolto.
La foniatria distingue tra registri primari e secondari.
I registri primari sono caratterizzati esclusivamente da una modalità di vibrazione delle corde vocali,
quelli secondari anche dall'assetto del tratto vocale.

84
I registri primari sono i seguenti quattro in ordine di altezza tonale, anche se il primo e l'ultimo hanno
un utilizzo molto raro.

Vocal Fry (M0): le corde vocali durante la vibrazione sono flaccide e hanno una superficie di contatto
irregolare; il quoziente di chiusura è molto alto e l'aria esce in singoli scoppietti udibili singolarmente; la
frequenza è molto bassa, fino a 20 Hz. Il suono all'ascolto può ricordare il verso di una rana.

Meccanismo Pesante (M1): le corde vocali sono spesse e la massa vibrante è grande; l'azione del
muscolo tiroaritenoideo è prevalente su quella del muscolo cricotiroideo; il quoziente di chiusura è più
elevato che nel meccanismo leggero. È il tipo di fonazione utilizzato comunemente per parlare.

Meccanismo Leggero (M2): le corde vocali sono assottigliate e la massa vibrante è ridotta; l'azione
del muscolo cricotiroideo è prevalente su quella del muscolo tiroaritenoideo; il quoziente di chiusura è
più basso che nel meccanismo pesante. È un suono molto più chiaro di quello del meccanismo pesante.
A volte viene definito “falsetto”, ma tale definizione dà adito a confusione perché lo stesso termine
definisce anche alcuni registri secondari.

Fischio (M3): le corde vocali sono quasi immobili con una massa vibrante molto ridotta e concentrata
sulla porzione anteriore. È un registro utilizzato raramente, che all'ascolto ricorda molto un fischio
effettuato con le labbra.

I registri secondari si originano dai primari, con l'aggiunta di fattori di risonanza che li
differenziano.

85
Vibrazioni armoniche nella voce

Anche la voce umana, al pari di qualsiasi altra sorgente sonora, è dotata di


vibrazioni armoniche generate dalla frequenza fondamentale, che si
manifestano essenzialmente nelle vocali e con particolare rilievo nel canto.

Le consonanti, invece, non hanno un suono definito se non congiuntamente


ad una vocale.

Rumori di vario tipo possono essere emessi dall’organo vocale: in questi casi
si tratta sempre di vibrazioni acustiche di varia altezza in rapporto
disarmonico tra di loro.

86
Tessitura delle diverse voci umane:

(valori medi) da (Hz) a (Hz)

soprano 262 1046

contralto 175 784

tenore 116 523

baritono 98 415

basso 55 294

87
Legge di Young

88
In un corpo elastico atto a vibrare, nel luogo dove agisce la
forza eccitatrice non possono formarsi punti nodali:
saranno pertanto impedite tutte le vibrazioni armoniche
che avrebbero dovuto avere uno di questi punti nella zona
interessata

Secondo le più recenti acquisizioni scientifiche, la legge di Young non ha il valore e l’estensione assoluta
che esprime la sua enunciazione, la quale vale integralmente per la prima delle armoniche che cade sotto
la sua “giurisdizione” e gradualmente meno per le altre.
Questo affinamento del giusto valore della legge di Young non deve però far pensare che sia il caso di
rivedere la teoria e la pratica del punto di tocco negli strumenti a corda: questo sta benissimo come
viene insegnato e praticato; poiché ha risolto, attraverso una multisecolare esperienza, tutti i problemi
del caso.
Quello che è cambiato è soltanto la teorizzazione della legge di cui trattasi.

89
La questione è chiara se si pensa che la pressione esercitata dalla forza
eccitatrice determina necessariamente una zona ventrale e già sappiamo che
dove si forma un ventre non può coesistere un nodo: sarebbe una
contraddizione perché i ventri sono zone di movimento e i nodi sono punti
dove il movimento è nullo.

Negli strumenti a corda la legge di Young ha un’applicazione costante, che la


pratica suggerì ancor prima che lo stesso young ne enunciasse i termini sotto
il profilo fisico.

90
Young e il pianoforte
Il martelletto del pianoforte, ad esempio, percuote la corda a circa 1/8 della
sua lunghezza, determinandovi una zona ventrale che ostacola l’insorgere delle
armoniche 7, 8, 9, le quali richiedono in quella stessa zona la formazione di un
punto nodale. La scelta del punto di percussione è stata fatta allo scopo di
sopprimere, nel limite possibile, le armoniche 7 e 9, il cui apporto alla
formazione qualitativa del suono è indesiderabile.
Che poi, causa la vicinanza dei rispettivi punti nodali, si sopprima anche
l’ottava armonica, ciò rappresenta l’onere che bisogna pagare per ottenere il
risultato voluto.

La durata di una percussione è sempre molto breve, quasi istantanea,


mentre il suono che si produce può essere anche molto lungo, pur essendo
gradualmente smorzato. Se l’effetto dovuto alla legge di Young è massimo nel
momento della percussione, esso diminuisce man mano che il suono si
prolunga, in quanto il perdurare delle vibrazioni, nonostante il decremento
continuo della loro ampiezza, tende a ripristinare la situazione naturale del
sistema vibratorio.
91
Young e gli strumenti ad arco
Negli strumenti ad arco, la legge di Young è invece più efficace, poiché il
contatto con la corda è regolarmente intermittente. Questo caso è molto
significativo anche per altre ragioni.
Non è raro infatti di trovare in varie partiture la prescrizione di “suonare sulla
tastiera” oppure “sul ponticello”:

nel primo caso il suonatore deve spostare l’arco dalla sua posizione normale, portandolo
approssimativamente sulla metà della corda, questo punto è sede di un nodo per tutte le
armoniche di ordine pari, le quali subiranno attenuazioni causa la pressione normalmente
esercitata dall’arco sul punto stesso.
I suoni ottenuti con l’arco portato sulla tastiera sono quindi composti quasi
esclusivamente da armoniche di ordine dispari e il loro timbro è alquanto opaco e poco
penetrante.

L’altra prescrizione, ossia quella di suonare “sul ponticello”, ha uno scopo del tutto
diverso: anche in questo caso la legge di Young conserva sempre il suo valore, ma il luogo
dell’eccitazione è così vicino a uno dei punti terminali delle corde, da rendere
praticamente possibile il formarsi di un grande numero di vibrazioni armoniche, dalla cui
presenza dipende il timbro quasi metallico che ne consegue.
92
Il Sistema Uditivo

93
L’orecchio è un trasduttore estremamente sensibile e risponde alle variazioni
di pressione provocate dalle compressioni e rarefazioni causate dalle onde
sonore mediante una serie di processi correlati che si verificano all’interno
dell’organo uditivo.

Quando arrivano all’ascoltatore, le onde di pressione sonora sono raccolte


nel canale auricolare tramite la parte esterna dell’orecchio (pinna) e poi
indirizzate al timpano. Le onde sonore sono poi trasformate in vibrazioni
meccaniche e trasferite alla parte interna dell’orecchio mediante tre ossicini
(martello, incudine e staffa).

94
E' costituito da un sistema complesso di organi, aree, componenti e, attraverso numerosi passaggi,
converte il segnale acustico in una serie di impulsi elettrici. E’ suddiviso in tre zone:

Orecchio esterno: è costituito dal padiglione auricolare, dal canale uditivo fino alla membrana
timpanica; ha lo scopo di raccogliere ed incanalare le onde sonore.
Orecchio medio: è formato da una catena di ossicini, dal timpano alla coclea; realizza un’importante
amplificazione del segnale sonoro.
Orecchio interno: si compone della coclea e dei nervi cocleari che trasferiscono gli impulsi elettrici
fino al cervello e pertanto trasforma lo stimolo meccanico in uno nervoso.

Le onde elastiche sonore, prima di essere trasformate in segnali elettrici subiscono una serie di
modificazioni meccaniche nell'orecchio medio e in quello interno al fine di adattare l'impedenza del
segnale, di amplificarlo e di discernere le sue frequenze costituenti il timbro.
Il padiglione auricolare (pinna) costituisce il primo elemento del sistema uditivo; è formato da una
struttura cartilaginea. Consente di percepire la direzione della sorgente sonora e riflette e
concentra le onde sonore indirizzandole nel canale uditivo esterno, lungo circa 25 mm, che termina
nella membrana timpanica.

La combinazione dei due padiglioni (sinistro, destro) consente il riconoscimento della locazione della
sorgente sonora grazie ai piccoli sfasamenti che esistono tra le varie riflessioni di onde e che sono
interpretabili dal cervello. Quello però che non possiamo fare è individuare l’esatta distanza della
sorgente.

95
Il canale uditivo e la membrana del timpano sono praticamente una canna aperta ad
un’estremità e pertanto risuonano intorno alla frequenza 3800 Hz che rappresenta la massima
sensibilità del sistema uditivo.
Le energie delle onde sonore udibili, pur essendo molto modeste, sono in grado di esercitare efficaci
pressioni sulla membrana timpanica facendola oscillare verso l'esterno e l'interno ovvero
longitudinalmente con il canale uditivo.
Lo spostamento del timpano si ripercuote sulla catena degli ossicini dell'orecchio medio
(martello, incudine e staffa) i quali hanno una duplice funzione: quella di essere adattatori di
impedenza, per consentire il passaggio delle onde sonore dall'ambiente gassoso (orecchio esterno e
medio) a quello liquido (orecchio interno) e, grazie ai bracci di leva con cui lavorano, quella di
consentire un'amplificazione del segnale di circa 20-30 decibel soprattutto per le frequenze
medie. L’amplificazione avviene grazie al rapporto che esiste tra l’area del timpano, pari a 80 mm2 e
quella della finestra ovale, pari a 3 mm2 (è lo stesso effetto che si avverte quando una tubatura riduce la
sua sezione: in liquido che scorre al suo interno accelera passando dalla sezione maggiore a quella
minore).
Fungono anche da protezione (riducendo il livello dei transienti sonori più elevati, come i tuoni o le
esplosioni).

96
Cosa succede se il suono ha un’intensità troppo elevata?

Il sistema uditivo adotta dei meccanismi di difesa costituiti: da un


irrigidimento della membrana timpanica che ne blocca l’eccessiva
oscillazione e dall’allontanamento della staffa dalla finestra ovale
(in modo tale da diminuire il trasferimento dell’oscillazione alla coclea).

Comunque sia, il timpano non è in grado di sopportare l’eccessiva oscillazione


provocata da onde sonore la cui intensità è superiore ai 160 dB: in tal caso
avviene la rottura della membrana timpanica.

97
Le onde sonore, amplificate nell'orecchio medio, vengono trasmesse al contenuto liquido della coclea
dall'azione della staffa che comunica con l'orecchio interno tramite la finestra ovale che è rivestita da
una membrana flessibile.
La coclea è un organo di forma tubolare, simile a una chiocciola, che contiene due camere riempite di
un liquido; è costituita da un condotto, lungo circa 35 mm e largo all’imboccatura 2 mm, che è avvolto a
spirale per circa quattro giri a forma di chiocciola. E’ in quest’organo che avviene la trasduzione degli
impulsi meccanici in elettrici.

Il condotto è suddiviso per tutta la sua lunghezza in tre compartimenti riempiti di liquido: il dotto
cocleare (riempito dal liquido chiamato endolinfa), la rampa vestibolare e la rampa timpanica.
La scala vestibolare e quella timpanica sono in comunicazione all'estremità della coclea (elicotrema) dove
termina a fondo cieco. Il dotto cocleare è isolato dalle altre due grazie alla membrana di Reissner e alla
membrana basilare (che lo separa dalla scala timpanica). Lungo la membrana basilare si trova L’Organo
del Corti, contenente i recettori, ovvero le cellule ciliate (mostrate nella figura sottostante), ed è
avvolto da una membrana gelatinosa chiamata tectoria: le vibrazioni trasmesse alle ciglia bagnate dal
liquido (le quali rispondono alle diverse frequenze a seconda della loro posizione lungo l’organo) si
traducono in stimolazioni neurali che ci danno la sensazione uditiva.
La perdita dell’udito si ha generalmente quando queste ciglia sono danneggiate o si
deteriorano a causa dell’età.

98
I movimenti alternati della staffa sulla finestra ovale esercitano pressioni variabili sul fluido (perilinfa) che
riempie la scala vestibolare e, poiché trattasi di un liquido praticamente incomprimibile, si determina un
movimento alternato della membrana e delle pareti elastiche della coclea che vengono poste in
oscillazione.

A causa delle caratteristiche meccaniche della struttura, l'oscillazione è più marcata in prossimità del giro
basale se il suono è acuto, mentre è più marcata in prossimità del giro apicale se il suono è grave. I
movimenti oscillatori che si creano nella membrana basilare provocano la deformazione dell'Organo
del Corti che rappresenta la struttura cardine per la trasduzione del segnale.

Le deformazioni dell'organo del Corti inducono l’attivazione o l’inibizione di due tipologie di cellule
recettoriali che sono situate sulla membrana basale: le cellule ciliate esterne (OHC) e le
cellule ciliate interne (IHC) che sono fornite appunto di cilia che le collegato alle fibre nervose.
In entrambe i tipi cellulari l'attivazione avviene a causa della deflessione delle cilia, conseguente alla
modificazione della loro forma tramite un rapidissimo accorciamento (che permette di individuare
frequenze comprese da 20 a 20.000 Hz), e comporta una variazione della polarizzazione delle cellule
stesse.
Le OHC sono disposte su più file e in numero pari a circa 24.000; sono in grado di rispondere
all'attivazione con una rapida deformazione meccanica dei corpi cellulari (si piegano) possono trasdurre
frequenze anche di 20.000 Hz e, grazie ad un meccanismo di retroazione, accentuano il movimento della
membrana tectoria e la deformazione delle IHC causando un’amplificazione del segnale di circa
40 decibel (amplificatore cocleare).

99
Le IHC rappresentano le vere cellule recettoriali essendo le sole connesse con le fibre del
nervo acustico. Consentono l'accesso dell'informazione acustica trasformata in codice elettrico
(potenziali d'azione) alle strutture centrali grazie alla variazione della loro polarizzazione che, di
conseguenza, induce una variazione della frequenza di scarica del neurone sensitivo che è collegato a
loro.

I segnali provenienti dalle due orecchie vengono combinati direttamente nel sistema
nervoso dove le vie uditive centrali operano una separazione delle informazioni riguardanti il tempo di
arrivo dei segnali e la loro intensità consentendo l’analisi per individuare la provenienza dei
suoni nello spazio.
Queste informazioni vengono trasmesse in canali paralleli alla corteccia uditiva dove si costruisce
una mappa delle caratteristiche binaurali relative al tempo, alla intensità e alla frequenza
dei segnali acustici.

100
Direzione e Spazio

101
La percezione della
direzione
Un orecchio soltanto non riesce a discernere la direzione da cui proviene un
suono; per fare ciò sono necessarie entrambe le orecchie.
La capacità delle due orecchie di individuare una sorgente sonora in uno
spazio è detta localizzazione spaziale o binaurale.

E’ l’effetto risultante dell’utilizzo di tre informazioni (percepite dalle orecchie):


1. differenze di intensità fra le orecchie
2. differenze di tempi di arrivo alle orecchie
3. influenza della pinna (parte esterna dell’orecchio)

102
Ad esempio: i suoni di frequenze medie e alte provenienti dalla parte
destra arrivano all’orecchio destro con un livello di intensità superiore
rispetto all’orecchio sinistro, provocando quindi una differenza di
intensità fra le orecchie. Tali differenze si verificano perché la testa
funge da ombra acustica permettendo solo ai suoni riflessi dalle
superfici circostanti di raggiungere l’orecchio sinistro (fig. a lato).

Dato che i suoni riflessi fanno un percorso più lungo e perdono energia
ad ogni riflessione, l’intensità del suono percepito dall’orecchio sinistro
risulta ridotta e il cervello comprende che il suono derivante proviene
dalla destra.

Questo effetto non assume grande importanza per le basse frequenze, le cui lunghezze d’onda sono
molto superiori al diametro della testa e possono facilmente curvarsi attorno alla sua ombra acustica.
Una altro metodo di localizzazione noto come differenze di tempi di arrivo fra orecchie, è usato alle
basse frequenze.

Sia nella prima che nella seconda figura sono illustrate piccole
differenze di percorso delle onde sonore, dato che la lunghezza del
percorso per giungere fino all’orecchio sinistro è leggermente
superiore a quella del percorso fino all’orecchio destro. La pressione
sonora è quindi recepita all’orecchio sinistro in un istante di tempo
successivo rispetto all’orecchio destro; questo metodo di
localizzazione, in combinazione con le differenze di intensità fra le
orecchie ci dà le informazioni per la localizzazione laterale sull’intero
spettro udibile.
103
Le informazioni relative all’intensità e ai ritardi ci permettono di capire l’angolazione da cui proviene un
suono, ma non se un suono si origina da davanti, da dietro o da sopra.
La pinna, comunque, usa due rilievi che riflettono il suono incidente nell’orecchio; tali rilievi introducono
dei ritardi di tempo fra il suono diretto (che raggiunge l’ingresso del canale uditivo) e il suono riflesso
dai rilievi stessi (che varia a seconda della posizione della sorgente).
E’ interessante notare che da una posizione anteriore fino a 130° rispetto all’asse non ci possono essere
riflessioni da parte dei rilievi della pinna, perché esse vengono bloccate dalla pinna stessa.

- I suoni non riflessi che sono in ritardo di un


tempo compreso fra 0 e 80 microsecondi
saranno percepiti come se si originassero da
dietro.
- Il secondo rilievo produce ritardi fra i 100 e i
300 microsecondi, corrispondenti a una
sorgente collocata entro il piano verticale.

Le riflessioni ritardate da entrambi i rilievi si


combinano con il suono diretto per dare le
caratteristiche colorazioni della risposta in
frequenza che sono dovute a interferenze di
fase distruttive e costruttive a frequenze
diverse fra loro.

104
Il cervello è in grado di comparare queste colorazioni in ciascun orecchio e usare queste informazioni
per determinare la localizzazione della sorgente.
Piccoli movimenti della testa forniscono ulteriori informazioni posizionali, dovute alla mutevole
prospettiva della sorgente. Comunque queste ultime informazioni sono meno importanti rispetto alle
altre localizzazioni.
Se non ci sono differenze fra ciò che percepisce l’orecchio destro e quello che percepisce l’orecchio
sinistro, il cervello ritiene che la sorgente sia alla stessa distanza rispetto a ciascun orecchio.

Questo fenomeno permette ai fonici di posizionare un suono non solo nel monitor destro o in quello
sinistro, ma anche fa i due monitor in maniera monofonica: inviando lo stesso segnale ai due monitor, il
cervello percepisce il suono in maniera identica fra le due orecchie e ne deduce che la sorgente sonora
proviene da una posizione perfettamente centrale rispetto all’ascoltatore.
Cambiando il livello proporzionalmente in ciascun monitor, il fonico cambia le differenze di intensità fra
le orecchie e perciò riesce a creare l’illusione che la sorgente sonora sia posizionata fra i due monitor in
una qualunque posizione egli desideri: questa tecnica di posizionamento è detta panning.

Anche se il metodo è ampiamente usato, non è quello più efficace, dato che solo gli ascoltatori
equidistanti dai due monitor percepiranno l’effetto desiderato. Un ascoltatore che fosse posizionato
molto vicino al monitor di sinistra tenderà a posizionare la sorgente sonora come proveniente da quella
direzione, anche se il segnale è stato indirizzato a destra tramite il pan.

Esistono altri sistemi di localizzazione molto più efficaci, come ad esempio il delay digitale (DDL), il
variatore di fase, filtri o tecniche di microfonaggio stereofonico per assegnare un punto di localizzazione
fra i due monitor.

105
La percezione dello
spazio
Oltre a riconoscere la direzione del suono, l’orecchio e il cervello interagiscono
per riuscire a percepire la distanza e la sensazione fisica dello spazio acustico
in cui un evento sonoro si verifica.
Quando viene generato, un suono si propaga dalla sorgente verso tutte le direzioni.

Gli angoli di propagazione sono determinati dalla natura della sorgente:


- una parte del suono raggiunge l’ascoltatore direttamente, senza incontrare
alcun ostacolo
- una parte molto maggiore viene propagata in direzione delle molte superfici
che racchiudono il luogo dove si verifica il fenomeno sonoro; se queste superfici
sono riflettenti, rimandano il suono verso l’interno della stanza, e alcune di
queste riflessioni raggiungeranno l’ascoltatore; se le superfici sono assorbenti,
solo una piccola parte di energia verrà riflessa verso l’ascoltatore.
106
Il suono viaggia nell’aria ad una velocità costante di 344 m/s, e le onde che si muovono in linea retta
verso l’ascoltatore, percorrendo un cammino più breve, raggiungono l’ascoltatore stesso per prime;
questo è detto suono diretto.
Le onde che vengono riflesse dalle superfici circostanti devono percorrere un cammino più lungo per
raggiungere l’ascoltatore e perciò arriveranno dopo il suono diretto. Queste onde formano quello che
viene definito suono riflesso il quale, oltre ad essere in ritardo, può arrivare da direzioni diverse
rispetto al suono diretto.

Come risultato di queste distanze aggiuntive percorse dal suono riflesso, l’orecchio percepisce un suono
a volte anche dopo che la sorgente ha cessato di emetterlo (eco, riverbero).

Le superfici altamente riflettenti assorbono, ad ogni riflessione, una porzione di energia più piccola e
consentono al suono di persistere più a lungo dopo che la sorgente cessa di emettere, rispetto a
superfici più assorbenti che dissipano l’energia dell’onda.

107
Suono in una stanza
Il suono che viene percepito in una stanza può essere suddiviso in tre categorie che si verificano in
tempi successivi: suono diretto, prime riflessioni e riverberazione:

108
Suono diretto: determina la nostra percezione della posizione e della dimensione della sorgente
sonora e trasmette il vero timbro della sorgente. L’ammontare di assorbimento che si verifica quando il
suono viene riflesso da una superficie non è uguale a tutte le frequenze; perciò il timbro del suono
riflesso è influenzato dalle caratteristiche della superficie che ha incontrato.

Prime riflessioni: raggiungono l’orecchio entro 50 millisecondi dal suono diretto; queste riflessioni
sono il risultato di onde che hanno incontrato poche superfici prima di arrivare all’ascoltatore, e
possono giungere da direzioni diverse rispetto al suono diretto.

L’intervallo di tempo che intercorre fra l’ascolto del suono diretto e l’inizio delle prime riflessioni
fornisce informazioni sulla dimensione della stanza in cui si verifica l’evento sonoro.
Più lontane sono le superfici rispetto all’ascoltatore, maggiore sarà il tempo che il suono impiega per
raggiungerle e per venire poi riflesso verso l’ascoltatore stesso.

Il fenomeno acustico noto col nome di effetto precedenza o effetto Haas elimina la nostra
percezione delle prime riflessioni fino ad un valore compreso fra gli 8 e i 12 dB, a seconda dell’intervallo
di tempo che intercorre fra il loro arrivo all’orecchio e quello del suono diretto.
L’effetto Haas si applica in maniera uguale, sia che si prenda in considerazione una sorgente sonora e la
sua riflessione, sia due sorgenti sonore separate - per esempio due monitor - che emettano lo stesso
suono. Il suono apparirà generarsi nella prima sorgente anche se la sorgente ha un’intensità maggiore di
8-12 dB.

109
Un altro aspetto dell’effetto precedenza è detto fusione temporale. Le prime riflessioni che giungono
all’orecchio umano entro 30 millisecondi dal suono diretto, oltre a non risultare udibili, sono
effettivamente fuse con il suono diretto stesso.
L’orecchio umano non riesce a distinguere separatamente suoni che si verificano molto ravvicinati nel
tempo e considera le riflessioni come parte del suono diretto.

Il limite di tempo di 30 ms per la fusione temporale non è assoluto: dipende piuttosto dall’inviluppo
del suono.
La fusione si interrompe a 4 ms nel caso di transienti, anche se può arrivare fino a 80 ms nel caso di
suoni che cambiano lentamente, come ad esempio il legato dei violini.

Nonostante le prime riflessioni siano soppresse e risultino amalgamate con il suono diretto, esse
modificano la nostra percezione del suono, rendendolo più pieno e più intenso.
I suoni che raggiungono l’ascoltatore in un istante successivo a 50 ms dopo il suono diretto, sono stati
riflessi da un numero tale di superfici diverse che cominciano a raggiungere l’ascoltatore in un flusso
virtualmente continuo e da tutte le direzioni.

Queste onde ravvicinate sono dette riverberazione: la riverberazione è caratterizzata da una


diminuzione graduale di ampiezza e dal fatto che conferisce calore e corposità al suono;
inoltre contribuisce anche alla sua intensità.

A causa delle molte riflessioni, il timbro della riverberazione è molto diverso rispetto al suono diretto, e
la differenza principale è un taglio delle alte frequenze e una conseguente enfatizzazione delle basse.
Il tempo impiegato dal suono persistente per diminuire di 60 dB al di sotto del suo livello originale è
detto tempo di decadimento o tempo di riverberazione ed è abbreviato RT60.

110
Le caratteristiche di riverberazione delle superfici di una stanza ne determinano il tempo di
riverberazione. Il cervello percepisce il tempo di riverberazione e il timbro della riverberazione e usa
queste informazioni per “costruire” un giudizio sulla qualità delle pareti, più riflettenti o più assorbenti.

L’intensità del suono diretto percepito dall’orecchio aumenta rapidamente se l’ascoltatore si avvicina alla
sorgente sonora; nel frattempo l’intensità della riverberazione rimane la stessa essendo molto ben
diffusa in tutta la stanza. La percezione del rapporto esistente fra suono diretto e suono riverberato
permette all’ascoltatore di giudicare la distanza della sorgente sonora.

Per riassumere:
- il suono diretto fornisce le informazioni sulla posizione, sulla dimensione e sul timbro
- il tempo che intercorre fra la percezione del suono diretto e le prime riflessioni determina la nostra
impressione sulle dimensioni della stanza di ascolto
- il tempo di decadimento della riverberazione ci dà info sulla qualità delle pareti della stanza
- la proporzione della riverberazione rispetto al suono diretto determina la nostra percezione della
distanza dalla sorgente sonora.

111
Effetto Haas
Negli anni ’40 del secolo scorso il fisico Helmut Haas studiando la sensibilità del nostro udito, giunse
alla constatazione di un’importante effetto: se da due sorgenti di suono, ad esempio due diffusori
acustici, emetto due suoni in tutto uguali, ma dei quali uno emesso con un ritardo che va da 1 a 30
millisecondi circa, si percepirà il suono come proveniente unicamente dal diffusore
che emette il suono senza ritardo.

La spiegazione di questo fenomeno è da ricercarsi nella fisiologia dell’apparato uditivo. L’uomo


possiede due orecchie proprio per localizzare la provenienza dei suoni. Un suono proveniente dalla
nostra destra raggiungerà prima il nostro orecchio destro, successivamente il sinistro. Il nostro cervello
riceve i due segnali provenienti dalle due orecchie, ne elabora il ritardo ed assegna la direzione della
provenienza del suono.
Introducendo dei ritardi artificiosi, noi riusciamo ad ingannare il cervello, che attribuirà la
direzione di provenienza del suono verso quello dei due che gli arriva prima.

L’effetto Haas si verifica quando la differenza di intensità sonora fra le due fonti non eccede i
10 dB. É anche opportuno notare, per lo studio delle applicazioni, che il suono nell’aria percorre in 30
millisecondi (tempo di applicazione dell’effetto Haas) circa una distanza di 10 metri.

112
Applicazioni dell’effetto
Haas

1. Torri di rinforzo

In molti spettacoli nei quali la partecipazione di pubblico è imponente, nei quali quindi molti spettatori si
trovano ad una grande distanza dal palcoscenico. Per assicurare una copertura sonora il più possibile
uniforme, è uso impiegare dei diffusori situati a circa metà della platea, di solito su torri metalliche. In
ogni caso, per evitare che lo spettatore percepisca un “doppio suono” è necessario ritardare questi
diffusori del tempo che il suono proveniente dai diffusori principali impiega per raggiungere e sommarsi
a quello dei diffusori di rinforzo. Se noi a questo ritardo, sfruttando l’effetto Haas, aggiungiamo un tempo
fino a 30 millisecondi, lo spettatore avrà l’impressione che il suono proviene solo dai diffusori principali.

113
2. Voce di un attore
"#$%&!
Il disegno a fianco fa riferimento alla classica disposizione di un impianto *+,,-.&()! #''&(
audio per la riproduzione amplificata della voce di un attore che recita. #%-.'+%&! )!

Lo spettatore ascolta sia la voce diretta dell’attore (linee tratteggiate) sia


la stessa amplificata, dai diffusori acustici (linee continue). In queste
condizioni lo spettatore ha l’impressione che la voce provenga
unicamente dal diffusore poiché gli giunge in anticipo e con maggiore .")''#'&()!
intensità rispetto alla voce diretta. !
Se applichiamo ai diffusori un ritardo che oltre a compensare la distanza fisica dell’attore dai diffusori,
aggiunga un tempo fino a 30 millisecondi, sfruttando l’effetto Haas, lo spettatore avrà l’impressione che il
suono provenga interamente dalla bocca dell’attore.
Dal momento che probabilmente l’attore si muoverà in tutto lo spazio scenico, la scelta di aggiungere un
tempo da 1 a 30 millisecondi dovrà essere tale da assicurare l’effetto Haas in qualunque posizione si
trovi l’attore.
Un modo di applicare naturalmente, ossia senza far ricorso a linee di
ritardo digitali, l’effetto che abbiamo appena visto, è quello di
sospendere un unico diffusore al centro del palco, fissandolo ad )*++,"'($!
"#$%%&%'(
$!
esempio alla graticciata o ad una americana. In questo caso il suono che &%%'(
$!
proviene dal diffusore dovrà percorrere una distanza maggiore per
arrivare allo spettatore, rispetto a quello che proviene direttamente
!
dalla bocca dell’attore (linee punto tratteggiate), giungendovi quindi in
ritardo.
Si può osservare che l’efficacia di questa soluzione è tanto maggiore quanto è l’altezza del diffusore
sospeso. L’azione combinata di una linea di ritardo digitale su un unico diffusore sospeso è quella che da
i migliori risultati.
114
3. Scatola di suono
In alcune forme moderne di teatro, si tende ad abbattere ogni barriera fisica, quale ad esempio il
palcoscenico, fra gli attori e spettatori. Possono quindi capitare delle azioni teatrali che si svolgono in
mezzo al pubblico. Qualora questo si svolga in spazi ristretti e richieda comunque l’amplificazione della
voce degli attori, può essere utile applicare la cosiddetta scatola di suono.

Questa tecnica può essere applicata quando sia gli attori che il pubblico sono compresi in un quadrato
ideale con il lato di max. 10 metri. In questo caso si dispongono 4 diffusori ai 4 angoli del quadrato
ideale, e si invia loro un segnale con la voce degli attori ritardata da 1 a 30 millisecondi. Ogni spettatore
ascolterà il suono diretto dall’attore, e il suono amplificato dal diffusore alle proprie spalle, ma a causa
dell’ effetto Haas percepirà il suono come proveniente dall’attore, e non sentirà gli altri 3 diffusori in
quanto a causa della distanza di 10 metri l’uno dall’altro, l’effetto Haas si applicherà anche a loro.

"#$$%&'(#!

)**'(#!

&+,**)*'(
#!
!

115
cap 3: Caratteri
distintivi del suono
• altezza
• intensità
• timbro
• effetto dei transitori di attacco e rilascio sul
timbro

1
Introduzione
In qualsiasi manuale di acustica si può leggere che i caratteri distintivi del suono sono tre:
altezza, intensità, timbro,
e che questi dipendono rispettivamente dalla frequenza delle vibrazioni (altezza), dall’ampiezza delle
vibrazioni (intensità), dal numero, dall’ampiezza e dalle modalità di associazione delle componenti
armoniche (timbro).

Questa tradizionale descrizione delle relazioni che intercorrono tra il fatto fisico e quello soggettivo
dell’audizione è insufficiente: attualmente infatti si ammette una quarta caratteristica,
la durata del suono.

2
Altezza:
è quell’attributo della sensazione uditiva oer mezzo del quale i suoni possono essere ordinati dal basso
verso l’alto, come avviene, per esempio, nella scala musicale.
Dipende soprattutto dalla frequenza, ma è influenzata anche dal timbro e dall’intensità del suono.

Intensità:
è l’attributo della sensazione uditiva mediante il quale i suoni possono essere ordinati dal debole al
forte. L’acustica fisiologica ha però sostituito il termine “intensità soggettiva” con il più semplice “sonia”.
Dipende soprattutto dalla pressione acustica generata dalle vibrazioni della sorgente sonora, ma è
influenzata anche dall’altezza e dal timbro.

Timbro:
è quell’attributo della sensazione uditiva mediante il quale è possibile distinguere suoni diversi, anceh
quando vi sia tra i medesimi parità di altezza e sonia.
Dipende dalla composizione spettrale del suono (vibrazioni armoniche), ma è influenzato pure
dall’intensità e dall’altezza, nonché dai transitori di attacco e di estinzione e dalle disarmonicità che in
misura sia pur minima sono presenti nei moti vibratori.

Durata:
La durata del suono influisce non solo sull’immagine sonora a livello psicoacustico, ma anche sulla
oggettività della stimolazione acustica. Se la durata del suono scende a un valore molto basso, l’udito non
può percepire integralmente le qualità del suono.

3
Altezza

4
L'altezza è la frequenza fondamentale di una nota musicale o suono che viene percepita, ed è una
delle caratteristiche principali di un suono. L'altezza indica se un suono è acuto piuttosto che
grave e dipende dalla frequenza dell'onda sonora che lo ha generato. In particolare: più la
frequenza di un'onda sonora è elevata e più il suono ci sembrerà acuto, mentre più è bassa la frequenza
e più il suono ci apparirà grave. Nonostante la frequenza fondamentale reale possa essere determinata
con una misura fisica, essa può differire dall'altezza percepita per via degli ipertoni e degli armonici
naturali del suono. Il sistema di percezione uditiva umano può avere anche difficoltà a distinguere
differenze di altezza fra le note, in alcune circostanze.

La percezione dell’ampiezza
Il La sopra al Do centrale suonato su uno strumento qualsiasi ha un altezza percepita pari a quella di un
suono puro a 440 Hz ma non necessariamente ha un armonica a quella frequenza. Inoltre, una piccola
variazione di frequenza potrebbe non comportare una variazione percepibile di altezza, ma una
variazione di altezza comporta necessariamente una variazione di frequenza. Infatti la minima
differenza avvertibile, la soglia oltre la quale si percepisce la variazione di frequenza, è di circa
cinque cent, cioè cinque centesimi di un semitono; ma questa soglia varia lungo lo spettro delle
frequenze udibili ed è minore quando due note sono suonate contemporaneamente. Come le altre
sensibilità agli stimoli umane, la percezione dell'altezza può essere spiegata dalla
legge di Weber-Fechner.
L'altezza è influenzata anche dall'ampiezza del suono, specialmente alle basse
frequenze. Per esempio, una nota grave e forte sembrerà ancora pìù grave se suonata più piano.
Come accade per gli altri sensi, anche la percezione relativa dell'altezza può essere tratta in inganno,
creando delle illusioni auditive. Ce ne sono diverse, come il paradosso di tritone o la più nota scala
Shepard, dove una sequenza ripetuta (continua o discreta) di toni disposti in modo particolare può
sembrare come una sequenza ascendente o discendente infinita.

5
La concert pitch
Il La sopra il Do centrale al giorno d'oggi è fissato a 440 Hz, e spesso è scritto come "A = 440 Hz" o
semplicemente A440, e conosciuto come concert pitch (a volte chiamato diapason da concerto).
Questo standard è stato adottato di recente.

Altezze storiche
Storicamente, diverse convenzioni sono state impiegate per fissare l'altezza delle note a specifiche
frequenze.Vari sistemi di temperamento sono stati applicati per determinare i rapporti fra le frequenze
delle note di una scala. Nel 1955, l'Organizzazione Internazionale per le Standardizzazioni fissò la
frequenza del La sopra al Do centrale a 440 Hz, ma in passato sono state usate varie frequenze.
Fino al XIX secolo non ci sono stati tentativi di collaborazione per trovare uno standard all'altezza delle
note, e i livelli in Europa erano i più diversi. Anche all'interno di una singola chiesa. l'altezza usata poteva
variare nel tempo per via del modo in cui si accordavano gli organi.
Generalmente, l'estremità del tubo di un organo veniva ribattuta verso l'interno in modo da formare un
cono o aperta verso l'esterno per variare la frequenza. Quando le estremità divenivano troppo
danneggiate, venivano tagliate, incrementando così l'altezza musicale dell'organo.

Ci si può fare un idea della variabilità dell'altezza esaminando i vecchi diapason per accordatura, i
tubi degli organi ed altre fonti. Per esempio, un vecchio pitchpipe inglese del 1720 suona il La sopra al
Do centrale a 380 Hz, mentre gli organi suonati da Johann Sebastian Bach ad Amburgo, Lipsia e
Weimar erano calibrati a A = 480, una differenza di circa quattro semitoni. In altre parole, il La
prodotto dal pitchpipe del 1720 aveva la stessa frequenza del Fa di uno degli organi di Bach.
L'altezza non variava solo a seconda del posto o del periodo, il livello poteva variare anche all'interno di
una città. L'altezza di un organo di una cattedrale inglese del XVII secolo, per esempio, poteva essere
inferiore di cinque semitoni rispetto a quella di uno strumento a tastiera casalingo della stessa città.

6
Ricerca di un'altezza convenzionale
Durante quei periodi in cui la musica strumentale divenne preminente rispetto al canto si nota una
tendenza continua dell'altezza ad aumentare. Questa "inflazione dell'altezza" sembra dovuta
alla competizione fra gli strumentalisti, ognuno teso a produrre un suono più chiaro e brillante di
quello dei rivali; il che è particolarmente difficile con gli strumenti a fiato, dove la competizione coinvolge
di più i fabbricanti che i musicisti. Bisogna ricordare che l'inflazione dell'altezza è un problema solo
quando le composizioni musicali sono fissate secondo una notazione, e la combinazione di numerosi
strumenti a fiato e della musica scritta ha di conseguenza ristretto quasi completamente il fenomeno
dell'inflazione dell'altezza alla tradizione Occidentale.

In almeno due momenti l'inflazione dell'altezza divenne così evidente che si rese necessaria una riforma.
All'inizio del XVII secolo, Michael Praetorius notava nel suo enciclopedico Syntagma musicum che i
livelli d'altezza erano diventati talmente elevati che i cantanti soffrivano di problemi alla gola e che
liutisti e violisti si lamentavano per le corde rotte. Analizzando le estensioni vocali tipiche citate da Pretorius
si può concludere che il livello d'altezza del suo tempo, almeno nella parte di Germania dove viveva, era
più alto di oggi di almeno una terza minore (tre semitoni). Le soluzioni che venivano applicate erano
sporadiche e locali, ma comportarono in generale la creazione di standard separati per voci e organo da
una parte ("Chorton") e per compagnie da camera dall'altra ("Kammerton"). Quando i due gruppi
suonavano insieme, come in una cantata, cantanti e strumentalisti potevano suonare la musica scritta in due
chiavi diverse.
Questo sistema tenne testa all'inflazione dell'altezza per un paio di secoli. Un modo in cui l'altezza
poteva essere controllata era con i diapason, ma anche fra questi c'era una varietà di riferimenti: un
diapason associato con Händel, datato 1740, è regolato a A = 422.5 Hz, mentre un diapason del 1780 è
regolato a A = 409 Hz, quasi un semitono inferiore. Ciò nonostante, la tendenza verso la fine del XVIII
secolo era che il La sopra al Do centrale fosse compreso nell'intervallo fra 400 e 450 Hz.
L'arrivo dell'orchestra come di un'ensemble indipendente (non più d'accompagnamento) porto l'altezza
ad aumentare nuovamente.
7
L'aumento si riflesse nei diapason prodotti nel periodo: un diapason del 1815 dalla opera house di
Dresda dà A = 423,2 Hz, mentre un altro diapason di undici anni dopo della stessa orchestra dà A =
435 Hz. A la Scala di Milano, il La arrivò fino a 451 Hz.
La maggior parte degli oppositori alla tendenza al rialzo erano i cantanti, che lamentavano il crescente
sforzo nel cantare. Principalmente per queste proteste il governo francese fece approvare una
legge il 16 febbraio 1859 che definiva il La sopra al Do centrale a 435 Hz. Questo fu il primo
tentativo di standardizzazione dell'altezza su un territorio così ampio, e fu conosciuto come il
diapason normal. Divenne una convenzione abbastanza popolare anche al di fuori della Francia.
Comunque continuarono ad esserci le variazioni. Uno standard alternativo, conosciuto come altezza
filosofica o scientifica, fissava il Do centrale a 256 Hz (cioè 28 Hz) e quindi poneva il La superiore a
circa 430,54 Hz. Questa convenzione ottenne una discreta popolarità per via della sua immediatezza
matematica (la frequenza di ogni Do è una potenza di due). Ma non ottenne lo stesso
riconoscimento ufficiale di A = 435, e non fu molto usato.
Nel 1939 una conferenza internazionale consigliò che il La sopra al Do centrale fosse accordato a 440
Hz. Questo standard fu ufficializzato dalla Organizzazione Internazionale per le Standardizzazioni nel
1955 (e riconfermato nel 1975) come ISO 16. La differenza fra questo standard e il diapason
normal è dovuta alla confusione su quale fosse la temperatura alla quale deve
essere misurato lo standard Francese. Lo standard doveva essere 439 Hz, ma fu cambiato in
A = 440 Hz perché più facile da riprodurre in laboratorio, dato che 439 è un numero primo.
Nonostante questa confusione, A = 440 Hz è l'accordatura più usata nel mondo. Le
orchestre degli Stati Uniti e del Regno Unito, tendono ad aderire a questa convenzione come concert
pitch. In altra paesi, comunque, un'altezza un po' più acuta è diventata la norma: A = 442 è comune nelle
orchestre dell'Europa continentale, mentre A = 445 è diffuso in Germania, Austria e Cina.In pratica, dato
che le orchestre continuano ad accordarsi su una nota fornita dall'oboe piuttosto che da un dispositivo
di accordatura elettronico, e dato che l'oboista potrebbe non avere usato un tale dispositivo per
accordare il suo strumento, c'è ancora una piccola varianza nell'esatta altezza usata.
8
Variazione dell’intensità e percezione dell’altezza
Il fatto è vero ed è legato ad una particolarità della sensazione uditiva che interessa in modo prevalente
le frequenze molto alte e quelle basse.
Sappiamo che per studiare le caratteristiche dell’udito si devono usare suoni puri perché quelli
complessi possono essere fuorvianti dato che le varie componenti armoniche cambiano a seconda
dell’intensità.

L’effetto della variazione dell’intensità sulla percezione dell’altezza, non è uniforme per tutte le
frequenze: esso è massimo per le frequenze molto alte, è un po’ meno marcato per quelle basse mentre
è scarsamente rilevante per una larga fascia delle frequenze medie.

Secondo i dati finora accertati si possono dare le seguenti esemplificazioni:


- un aumento dell’intensità fisica del suono a carico di una frequenza sinusoidale sui 100 Hz, comporta
una perdita d’altezza, al livello di percezione, di circa il 5%.
- un aumento invece per una frequenza attorno agli 8000 Hz comporta un incremento d’altezza
ancora più forte. (esempio basta 10 dB a produrre un incremento del 5%).
- per la fascia di frequenze che vanno dai 150 ai 2000 Hz, a cui è dovuto circa l’80% del contributo
sonoro durante un’esecuzione musicale, si può invece dire che le variazioni d’intensità influiscono in
misura praticamente inapprezzabile sulla percezione dell’altezza.

Anche il timbro può influire sull’altezza soggettiva del suono: la prevalenza di certe componenti può far
gravitare la percezione in un campo di frequenze piuttosto che un altro, e noi sappiamo che la risposta
dell’orecchio alla sollecitazione delle varie frequenze non è lineare

9
L’effetto di maggior rilievo, dovuto sempre alla mancanza di linearità uditiva, è la discordanza che si
riscontra tra la progressione geometrica delle frequenze e l’apprezzamento
dell’altezza per i suoni in successione melodica (cioè privi di confronto simultaneo con gli
altri suoni).
Secondo l’indagine statistica compiuta nel 1937 dagli specialisti di psicoacustica Stevens e
Wolkmann, la sensazione dell’altezza per i suoni consecutivi, si mantiene lineare, rispetto al variare
della frequenza, sino ai 500 Hz, per decrescere verso le frequenze più alte, conformemente
all’andamento indicato nel diagramma riprodotto in figura.

In questi ultimi tempi è stato accertato un effetto consimile anche per le basse frequenze, ma in senso
contrario rispetto a quello che riguarda le frequenze alte e di misura comunque molto minore.

L’importanza della questione è tale che è stata


introdotta una nuova scala per la misura della
sensazione dell’altezza per i suoni puri in
successione melodica. Si tratta della scala dei
mel il cui nome deriva appunto da “melodia”.
Al raddoppio del numero di “mel” corrisponde il
raddoppio della sensazione dell’altezza, che
sino a non molti anni addietro veniva attribuita
esclusivamente al raddoppio della frequenza.

10
I dati ricavati da Stevens e Wolkmann,come si è detto, sono statistici: non è però nota l’estrazione dei
soggetti esaminati, ma è certo che se il soggetto ha un orecchio sensibile e musicalmente educato, il
rapporto tra la progressione delle frequenze e la sensazione dell’altezza non porta, nemmeno per le
frequenze superiori del campo di udibilità, ai forti contrasti che appaiono nel diagramma.
Ciò non significa che la discordanza fra le due progressioni sia limitata, ma vuole solamente dire che
viene considerevolmente ridotta dall’acuità musicale del soggetto.

Accordatura del Pianoforte


E’ noto che il buon accordatore di pianoforti usa alzare un po’ ,ma con gradualità, la frequenza delle
ottave alte. Controlli tecnici effettuati subito dopo accordature eseguite a regola d’arte hanno
confermato il fatto. Gli scarti sono piccoli, anche perché l’accordatore non si limita ad ascoltare i suoni
solamente in linea successiva, ma usa pure ascoltarli contemporaneamente.
Nonostante tale tecnica, il richiamo della non linearità uditiva è così forte che gli scarti sono inevitabili.
Dobbiamo anzi dire che sono necessari musicalmente, poiché quello che conta in questo campo, non è
tanto il responso della strumentazione tecnologica, quanto quello di ciò che udiamo.

11
Intensità

12
Della non linearità uditiva per la percezione dell’intensità si è già parlato a proposito del campo di
udibilità, delle curve isofoniche e dei phon.
Circa la soglia differenziale per l’intensità (ossia la minima variazione percepibile) i dati forniti
dai vari ricercatori indicano un incremento che oscilla tra il 5% e il 25% della pressione acustica. Anche
per questa soglia differenziale la sensibilità dell’orecchio varia col variare della frequenza: l’incremento
richiesto è massimo per i suoni gravi ed è minimo per quelli compresi tra i 500 e i 2000 Hz.

L’esposizione prolungata a intensità sonore molto forti determina un affaticamento uditivo


che fa diminuire la sensibilità rispetto a tutti i parametri del suono. Il recupero avviene in un
tempo che dipende dalla fatica sopportata, com’è per qualsiasi altra forma di affaticamento.
Se l’esposizione a fortissime intensità sonore è quotidiana o prolungata, o se si tratta di un trauma
acustico rilevante, il soggetto può riportare sordità transitorie e persino permanenti.

Altro effetto dovuto alla fatica uditiva è il mascheramento dei suoni. E’ noto a tutti che quando si
parla di un ambiente molto rumoroso bisogna alzare la voce per farsi udire. Ciò dipende dal fatto che il
“disturbo” produce un innalzamento della soglia di udibilità: è come se l’orecchio diventasse
improvvisamente meno sensibile. L’effetto di mascheramento gioca un ruolo molto importante anche
nella pratica musicale: se la sonorità di qualche strumento è eccessiva può ridursi la percettibilità o
l’importanza musicale di altri suoni.
L’effetto di mascheramento è maggiore quando sono i suoni gravi ad influenzare
quelli medi e alti che viceversa.
Quando però l’intervallo fra gli uni e gli altri è molto forte, l’effetto di mascheramento può essere
talmente ridotto da ritenersi praticamente inesistente.

13
Un’altra caratteristica uditiva riguardante sia l’intensità dei suoni sia l’effetto di mascheramento è il
cosiddetto ascolto intenzionale. I musicisti sanno per esperienza professionale come anche in una
situazione strumentale molto complessa basti fissare l’attenzione su un suono particolare per udirlo
più distintamente; così come tutti sanno che anche in un ambiente rumoroso è sufficiente fissare
l’attenzione sulla voce di una determinata persona, che può essere anche distante da noi, per percepire
con maggior chiarezza le sue parole.

Con ciò risalta in modo estremamente evidente l’importanza della componente soggettiva nel processo
dell’audizione. La facoltà di attenuare psicologicamente i “disturbi” non basta purtroppo a eliminare gli
effetti deleteri prodotti dal rumore, la cui esperienza quotidiana ci toglie il compito di descriverli.
Il rumore può equivalere a un graduale avvelenamento del sistema nervoso, che nei casi estremi può
determinare anche lo squilibrio mentale, senza poi parlare del rumore usato come strumento di tortura
(la leggenda racconta di un antico imperatore cinese che usava uccidere i prigionieri sottoponendoli,
legati mani e piedi, all’incessante suono di una campana).
Il prof. Burk, direttore del Laboratorio di Elettroacustica di Monaco di Baviera, dice che “il rumore è quello
che fanno gli altri”; con la cui proposizione si ritorna alla discriminazione psicologica delle sollecitazione
acustiche.
Si dice anche che la rumorosità di un paese è inversamente proporzionale al grado di civiltà dei suoi
abitanti (inquinamento acustico).

14
Volume e intensità
Il volume che viene spesso anche chiamato - colloquialmente ed erroneamente - intensità, è la qualità
sonora associata alla percezione della forza di un suono, ed è determinato dalla pressione che l'onda
sonora esercita sul timpano: quest'ultima è a sua volta determinata dall'ampiezza della vibrazione e dalla
distanza del punto di percezione da quello di emissione del suono.

Per misurare il volume percepito di un suono, si fa spesso riferimento al livello di pressione sonora.
l livello di pressione sonora (SPL) o livello sonoro Lp è una misura logaritmica della pressione sonora
efficace di un'onda meccanica (sonora) rispetto ad una sorgente sonora di riferimento. Viene misurata in
decibel sonori (simbolo dbSPL):

dove p0 è la pressione sonora di riferimento (è circa la soglia uditiva a 1000 Hz, soglia del silenzio circa
equivalente al rumore provocato da una zanzara a tre metri di distanza) e p è il valore efficace della
pressione sonora che si vuole misurare.
La pressione di riferimento più comunemente utilizzata (in aria) è p0 = 20 µPa (RMS).
La misura in decibel risulta più appropriata per indicare il livello sonoro percepito, perché la risposta
dell'orecchio umano è all'incirca logaritmica.
Può essere utile esprimere la pressione sonora in termini di decibel sonori quando si ha a che fare con
problemi legati all'udito, dal momento che l'intensità percepita dall'orecchio è circa proporzionale al
logaritmo della pressione sonora (Legge di Weber-Fechner).
15
Timbro

16
Timbro

Il timbro, è la qualità che, a parità di frequenza, distingue un suono da un altro. Il timbro dipende dalla
forma dell'onda sonora, determinata dalla sovrapposizione delle onde sinusoidali caratterizzate dai suoni
fondamentali e dai loro armonici. Dal punto di vista della produzione del suono, il timbro è determinato
dalla natura (forma e composizione) della sorgente del suono e dalla maniera in cui questa viene posta in
oscillazione.

La scomposizione di un suono nelle proprie componenti sinusoidali fondamentali è detta analisi in


frequenza. Nella musica, tanto più un suono è composto da diverse componenti, tanto più esso risulta
complesso: si va dal suono di un flauto dolce, composto dalla fondamentale e da pochissime armoniche,
al suono degli strumenti ad arco, composto da moltissime frequenze armoniche secondarie.
Tanto più le frequenze secondarie che si sovrappongono alla principale non sono armoniche (ovvero
hanno frequenze che non sono multipli interi della fondamentale), tanto più ci si avvicina al rumore.

17
E’ questo il terzo elemento essenziale del suono ed è forse il più complesso tante sono le cause che
possono influire su di esso.
Le componenti di un suono complesso, dalla cui associazione dipende prevalentemente la formazione
del timbro, non sono di ampiezza (intensità) stabile se non nel caso in cui una sorgente sonora di natura
meccanica o elettrica (oscillatori, organi elettrici etc.) sia adeguatamente predisposta.
Non vi è suono strumentale o vocale le cui componenti non siano di ampiezza fluttuante.

Per sperimentare direttamente e facilmente questo fatto, basta suonare un accordo perfetto maggiore
nella tessitura medio bassa di un pianoforte (meglio se è a corda), tenendo alzati gli smorzatori: è
sufficiente un minimo di esperienza e di orecchio per distinguere nel groviglio della sonorità alternanze
d’intensità a carico di varie componenti, con effetto prevalente per la terza e la quinta armonica e per le
loro ottave. L’esito della prova dipende anche dai fenomeni di risonanza che avvengono nella cassa
armonica dello strumento, ma il fondamento di questa semplice esperienza, dal punto di vista
esemplificativo, è validissimo.
Nel campo degli strumenti musicali e della voce umana anche il suono, che all’ascolto ci sembra il più
stabile, è costituito da componenti di ampiezza fluttuante e il fatto che dette fluttuazioni
non siano percepite dipende da un processo d’integrazione compiuto spontaneamente dal nostro
organo uditivo: vediamo la fluttuazione della seconda armonica di un suono di trombone, fatti del genere
si verificano costantemente in qualsiasi suono complesso di origine non meccanica o elettrica

18
Lo spettro armonico del suono, si cui un
esempio è dato dalla figura a lato,
rappresenta, come a suo luogo è stato detto,
il risultato dell’analisi del suono stesso, ma le
fluttuazioni di ampiezza delle componenti non
possono apparire, poiché lo spettro è
l’immagine di un istante dell’evento sonoro,
oppure quella della sua situazione media.

La questione è ancora più critica se si considera che le fluttuazioni delle componenti, fondamentale
compresa, sono di ampiezza imprevedibile e di andamento tutt’altro che costante. Se a tutto questo
aggiungiamo le impurità, i rumori e disarmonicità sempre presenti nei suoni strumentali e vocali, si avrà
un quadro sufficientemente informativo sulla complessità della situazione.
Tutti questi fattori hanno un’importanza positiva e determinante sulla formazione del timbro, ma la loro
aleatorietà e l’imprevedibile andamento che caratterizza e differenzia ogni caso reale, rendono pressoché
impossibile produrre suoni sintetici che siano veramente identici a quelli originali.

La diffusione degli strumenti musicali elettrici ed elettronici ha portato alla comune conoscenza i
migliori risultati ottenuti in questo campo dalla tecnologia elettroacustica, e i “registri” preordinati, o
preordinabili, di cui questi strumenti sono provvisti, consentono anche buone simulazioni di timbri
strumentali di natura tradizionale, ma la differenza tra questi e i suoni originali è sempre inequivocabile
anche nei casi più felici, perché infinite sono le variabili dei suoni vocali e strumentali.

19
Il valore informativo che ai fini del timbro può essere offerto da uno spettro del suono non consiste
solamente nella cognizione pura e semplice delle ampiezze relative delle varie componenti. In questa
figura sono riprodotti due spettri, uno di violino e l’altro di pianoforte: chi saprebbe distinguerli?

Qualsiasi spettro esige un’interpretazione accurata e specializzata.


Oggi si tende ad accertare nello spettro del suono la presenza di fasce di frequenze di maggior
ampiezza, che sono messe in risalto da fenomeni di risonanza propri, ma ben definiti, della sorgente
sonora e che prendono il nome molto significativo di formanti: la loro considerazione ha dato vita alla
teoria formantica del timbro.
20
Secondo la teoria formantica del timbro quest’ultimo dipende in modo prevalente dalla presenza
più o meno cospicua delle zone formanti e dalla larghezza della fascia di frequenze abbracciata da
ciascuna di esse. In questa figura è data un’esemplificazione delle zone formanti riguardanti un caso reale:

La curva segnata sopra le componenti


dello spettro del suono descrive le
zone formanti inerenti al caso, le quali
interessano due fasce di frequenze che
possono essere così delimitate (nella
figura sotto).

Ciò significa che nei suoni emessi da


quella sorgente sonora si ha
un’esaltazione più o meno accentuata di
tutte le componenti che vengono a
trovarsi nell’ambito delle due zone
formantiche.

21
Il timbro è influenzato anche dall’intensità del suono, in quanto una variazione apprezzabile di questa può
esaltare o attenuare in modo non uniforme, rispetto alle caratteristiche uditive, i vari gruppi delle
componenti.

Anche l’altezza influisce sul timbro: lo spostamento di una stessa situazione armonica in una regione o in
un’altra del campo di udibilità, può infatti alterare l’effetto in funzione della diversa sensibilità
dell’orecchio al variare della frequenza.
Quando si dice che quel tal cantante, o strumentista, riesce ad ottenere un timbro omogeneo in tutta la
tessitura della voce e dello strumento, si dice semplicemente che egli riesce a modificare lo spettro del
suono, in relazione alle variazioni che s’impongono affinché la non linearità dell’udito sia compensata
nella misura massima possibile da adeguate modificazioni delle componenti del suono stesso.

22
Effetto dei transitori di
attacco ed estinzione
sul timbro

23
Il suono di una campana quando sia privato del transitorio di attacco e venga prolungato artificialmente
con volume costante, pur non avendo paragone fra gli strumenti normali, può richiamare l’idea di un
trombone da fantascienza.
Un suono di corno, della tessitura media (FA3), quando venga adeguatamente trattato, in modo che a un
attacco repentino segua un effetto di estinzione tipo “campana”, assomiglia decisamente al suono del
pianoforte, nonostante la così diversa composizione spettrale dei due suoni.

Questi esempi di travestimento del suono potrebbero continuare a lungo, col solo risultato di
dimostrare la stessa cosa: ossia che al livello della percezione e in relazione alle informazioni accumulate
dal soggetto attraverso le sue esperienze precedenti, le qualità e la valutazione del timbro possono
subire le più strane trasformazioni col solo variare delle modalità di attacco del suono.

Nei due casi esemplificati, infatti, la composizione spettrale, controllata prima e dopo il trattamento, è
rimasta invariata, essendo stato usato, per ciascuno di essi, un suono solo, preventivamente registrato su
nastro magnetico. Se attraverso la variazione del modo di attaccare il suono si possono ottenere
cambiamenti del timbro così radicali, bisogna riconoscere che tra le cause oggettive dalle quali il timbro
dipende, è necessario includere in prima fila anche i transitori di attacco e di estinzione.

24
A titolo puramente esemplificativo, per illustrare meglio l’andamento del transitorio di attacco,
riportiamo in figura gli spettrogrammi di due suoni: uno di violino e l’altro di pianoforte.

25
cap 4: Trasmissione di
energia per onde
• propagazione del suono • risonanza

• velocità del suono • interferenza

• riflessione onde sonore • suoni simultanei e


battimenti
• eco

• riverberazione e
• suoni di combinazione
rimbombo • consonanza e dissonanza

• oscillazioni forzate • la teoria armonica tonale

1
Propagazione del suono

2
Una classica esperienza di fisica dimostra più di molte parole cosa si deve intendere per “trasmissione di
energia per onde”, nel cui campo rientra anche la propagazione, o trasmissione, del suono.
Due pendoli identici sono accoppiati tra loro da un vincolo elastico.

Uno dei due viene fatto oscillare mentre l’altro è


tenuto fermo. Dal momento in cui anche il secondo
pendolo viene lasciato libero, l’ampiezza delle
oscillazioni del primo decresce visibilmente, mentre il
secondo comincia a oscillare con ampiezza crescente,
raggiungendo il massimo della elongazione nel
momento preciso in cui il primo pendolo si ferma:
immediatamente il ciclo s’inverte e così via sino
all’esaurimento dell’energia fornita dalla forza
eccitatrice. Si assiste così a trasmissione di energia
attraverso un vincolo elastico, che in senso
esemplificativo può essere considerato l’equivalente
dell’aria, mentre la sorgente sonora può essere
raffigurata dal primo pendolo.

Il movimento delle particelle materiali di un mezzo


elastico, il quale sia sede di onde sonore, determina una
pressione alternativa, che nel caso dell’aria (che è il
mezzo attraverso il quale comunemente si trasmette il
suono) si manifesta mediante condensazioni e
rarefazioni del mezzo stesso.
3
L’energia acustica si propaga con la medesima norma in ogni direzione, per cui l’onda può considerarsi
sferica: su ciascun punto degli infiniti piani generati, istante per istante, dalla propagazione sferica
dell’onda, l’energia sarà presente in ragione inversa al rapporto che intercorre tra la superficie di
diffusione al punto di origine e quella della sfera al punto di ascolto.

Se, ad esempio, la superficie (sferica) di diffusione all’origine è di 314 cm2 (che comporta un raggio di 5
cm), alla distanza di 10 metri la sfera immaginaria sulla cui superficie l’energia sonora sarà
uniformemente distribuita, comporterà un’area di 3.140.000 cm2.
Conseguentemente, l’energia acustica presente in ogni punto di questa sfera sarà pari al valore originario
moltiplicato per il quoziente di 314/3.140.000 vale a dire ridotta alla decimillesima parte dell’intensità
iniziale.

In altri termini:
l’intensità del suono varia in ragione inversa al quadrato della distanza

Durante la propagazione del suono si ha trasporto di energia, ma non di materia, anche quando la forza
raggiunge i valori massimi.

4
Velocità del suono

5
La velocità del suono è la velocità con cui un suono si propaga in una certa sostanza, detta mezzo.
La velocità del suono varia a seconda del mezzo (ad esempio, il suono si propaga più velocemente
nell'acqua che non nell'aria), e varia anche al variare delle proprietà del mezzo, specialmente con la sua
temperatura.

Il suono si propaga in modi diversi a seconda che sia in un solido, in cui tutti gli atomi sono collegati
solidalmente fra loro, oppure in un fluido (liquido o gas), che invece è incoerente. Nei fluidi, la velocità
del suono segna il confine tra due regimi di moto completamente diversi, per l'appunto detti regime
subsonico e regime supersonico.

Questa grandezza è molto importante, perché è anche la velocità con cui si propagano l'energia cinetica
e le sollecitazioni meccaniche in una determinata sostanza.

Nell’aria viene convenzionalmente considerata a 340 m/s, ma come vediamo nella tabella nella pagina
successiva, può variare parecchio con la temperatura.

6
vel suono m/s Temperatura aria vel suono m/s
materiale temp ambiente in °C aria

aria 340 -10 325,4

ossigeno 316 -5 328,5

idrogeno 1260 0 331,5

acqua marina 1435 5 334,5

ferro 5127 10 337,5

vetro al sodio 5000 15 340,5


legno abete 3322 20 343,4
(nel senso delle fibre)
legno abete 724 25 346,3
(nel senso degli strati)
legno abete 1405 30 349,2
(trasversalmente agli strati)
7
Riflessione delle onde
sonore

8
Quando un sistema di onde sonore incontra un corpo incapace di vibrare, oppure atto a propagare con
norma diversa il moto vibratorio, le onde riflettono con una norma che è comune a tutti i fenomeni del
genere e secondo la quale l’angolo d’incidenza è uguale a quello di riflessione:

Dalle caratteristiche della superficie riflettente, dipende l’intensità e la qualità della riflessione. In ogni
caso, la parte di energia che non viene riflessa è assorbita oppure rifratta.

9
Eco

10
In fisica e in acustica l'eco è un fenomeno prodotto dalla riflessione contro un ostacolo di onde sonore
che vengono a loro volta nuovamente "percepite" dall'emettitore più o meno immutate e con un certo
ritardo rispetto al suono diretto.
Tale ritardo non dev'essere inferiore ad 1/10 di secondo. Al di sotto di tale valore non si può più parlare
di eco ma di riverbero.
Un tipico esempio di riverbero è quello prodotto in una stanza dalla riflessione di onde sonore sulle
pareti perimetrali.
Si parla propriamente di eco quando le singole riflessioni dell'onda sonora sono percepite distintamente
dall'ascoltatore.
In termini più generali, l'eco può essere definita come un onda che viene riflessa da una discontinuità nel
mezzo di propagazione, e che ritorna con una intensità e ritardo sufficiente per essere percepita.
Può essere "utile" (come nei sonar) o "indesiderata" (come nei sistemi telefonici).

La sensazione sonora nel nostro organo uditivo dura per 1/10 di secondo circa dopo la fine dello
stimolo acustico: se gli stimoli si succedono con intervalli più brevi, è chiaro che si sovrapporranno l’uno
con l’altro, mentre se la successione avviene con intervalli non inferiori al decimo di secondo, si potrà
avere la percezione separata dalle varie sollecitazioni, regola che condiziona anche il fenomeno dell’eco.

Dato che la velocità del suono è di 340 m/s, in ogni decimo di secondo le onde sonore percorreranno
quindi 34 metri. Dividendo equamente il percorso di andata e ritorno del suono, tra il punto di
emissione e quello di riflessione, risulta che per poter udire distintamente l’eco occorre una distanza
dalla superficie riflettente non inferiore a 17 metri.

L’eco può produrre effetti multipli quando i punti di riflessione sono più di uno, così come può
consentire la ripetizione di più sillabe quando la distanza dal punto di riflessione sia adeguata.

11
Riverberazione e
rimbombo

12
Tra i fenomeni dovuti alla riflessione del suono, la riverberazione è senza dubbio la più
importante nella pratica musicale.
Quando tra il suono diretto e quello riflesso non intercorre un sufficiente intervallo di tempo, al posto
dell’eco si ha una sovrapposizione di effetti chiamata riverberazione, che equivale a un
prolungamento smorzato dell’effetto sonoro diretto.

L’esempio più comune di riverberazione è il cosiddetto effetto di “cattedrale”, il cui nome è già
bastevole a spiegarne l’origine, derivata dal forte prolungamento del suono che si nota nelle grandi
chiese per le varie riflessioni dovute alle navate e ad alte particolarità architettoniche che funzionano
come vere camere riverberanti.
Effetti ancor più grandiosi possono darsi in particolari condizioni, come ad esempio avviene nel
celeberrimo “Orecchio di Dionisio”, che è una caverna di forma arcuata che si apre in una latomia
nei pressi del Teatro Greco di Siracusa.
In questa caverna si ha un ingigantimento del suono di proporzioni stupefacenti: un semplice battimano
diventa fragore di tuono e l’emissione di una vocale sembra un coro di cento voci, con una magnificenza
acustica accentuata dal lunghissimo prolungamento del suono. La regolarità della riverberazione
nell’interno della caverna non fa degenerare l’effetto nella caotica situazione di “rimbombo”, il quale
consiste in una disordinata successione di riflessioni del suono, la cui più comune esemplificazione è
quella del fragore del treno all’interno di una galleria.
Un effetto di ingigantimento del suono è pure quello del tuono, la cui imponenza è apprezzabile, non
vicino al luogo della scarica elettrica, dove l’effetto acustico è piuttosto secco, ma a una distanza che
consenta di percepire meglio l’esaltazione delle frequenze basse dovuta alle varie riflessioni tra il suolo,
gli strati di diversa densità dell’aria e le nuvole.

13
14
Il rimbombo è il “fratello bastardo” della riverberazione, alla quale dsi deve la buona o cattiva riuscita
acustica dei teatri, delle sale da concerto etc.
Lo studio di questo fenomeno acustico è piuttosto complesso ma per la sua importanza rispetto alla
pratica musicale è utile esporre in una tabella i “tempi di riverberazione” consigliati da Bruel per diversi
tipi e grandezze di locali. il tempo è indicato in secondi:

Questi esempi di riverberazione non sono accettati da tutti gli specialisti, ma l’indirizzo odierno è
puntato decisamente verso valori di questa grandezza.
Un tempo di riverberazione troppo lungo è causa di scarsa intelligibilità, sia della parola che della
musica, mentre se è insufficiente si ha una situazione di disagio particolarmente sentita dai cantanti e
dagli strumentisti, tanto che un celebre violinista soleva dire: “in certi ambienti il mio Stradivari si
comporta come uno strumento dozzinale causa la scarsa risonanza dell’ambiente”.
L’unico errore contenuto nella citazione è la parola risonanza scambiata per riverberazione. Tra le due vi
è una differenza sostanziale, non sono di effetto acustico, ma anche di natura fisico-meccanica.
15
Riverbero

PRESUPPOSTI:
1. L'orecchio umano non riesce a distinguere due suoni se essi sono prodotti a meno di 1/10 di secondo
di distanza uno dall'altro (fenomeno della persistenza).
2. La velocità del suono nell'aria a 20°C è di circa 340 m/s.
3. La fonte sonora e l'ascoltatore si trovano nello stesso punto di fronte all'ostacolo.

Dati questi presupposti, in uno spazio aperto si può parlare di riverbero quando l'ostacolo si trova
a meno di 17 metri dalla fonte del suono. Fino a tale distanza, infatti, il percorso dell'onda sonora (dalla
fonte all'ostacolo e ritorno) sarà inferiore a 34 metri e quindi il suono impiegherà meno di 1/10 di
secondo per tornare al punto di partenza confondendosi nell'orecchio dell'ascoltatore con il suono
originario. Se l'ostacolo si trova a più di 17 metri di distanza dalla fonte, allora suono diretto e suono
riflesso distante tra loro di più di 1/10 di secondo risultando quindi come due suoni distinti. In questo
caso si parla di eco.

In uno spazio chiuso ampio come ad esempio una chiesa, a seguito di un suono secco si possono
udire le innumerevoli riflessioni delle estese pareti che decrescono di intensità fino al silenzio. La
riverberazione dipende dalla dimensione dell'ambiente e dalla natura delle pareti investite dal suono.
Materiali diversi hanno coefficienti di assorbimento diversi.
Inoltre, le riflessioni su pareti di tipo diverso hanno intensità diverse a frequenze diverse.

16
Riverberi Artificiali
Il riverbero viene ricreato artificialmente per essere applicato durante spettacoli musicali o in studio di
registrazione alla voce ed agli strumenti musicali per simulare esecuzioni musicali in spazi ampi o per
conferire maggiore profondità ad un suono. Per simulare l'effetto del riverbero sono state implementate
soluzioni diverse nel tempo, beneficiando del progresso tecnologico.

Riverbero a nastro
Si utilizza un particolare registratore/riproduttore a nastro magnetico che fa scorrere a velocità costante
un anello di nastro dentro una meccanica dotata di una testina di registrazione fissa e di una di
riproduzione mobile. La testina di riproduzione è infatti montata su un meccanismo a vite che permette
di variarne la distanza da quella di registrazione. Il segnale registrato dalla prima testina viene letto dalla
seconda e miscelato all'originale generando l'effetto. Il tempo di ritardo dipende dalla distanza tra le due
testine e permette di generare sia l'effetto riverbero che l'eco. Questi apparecchi sono ingombranti e
pesanti. Come in ogni registrazione a nastro, lo scorrimento dello stesso genera un fruscio che peggiora
notevolmente la qualità del suono.

17
Riverbero a tromba
Sull'albero di un motore elettrico a velocità variabile vengono montati, sfasati tra loro di 180°, due
microfoni inseriti in contenitori conici (le "trombe", appunto) che ne aumentano la direzionalità
schermandoli parzialmente dai rumori esterni. Il tutto è inserito in una cassa acustica nella quale un
altoparlante, montato all'altezza dei microfoni rotanti, trasmette il suono che si vuole ritardare.
Ruotando, i microfoni passano davanti all'altoparlante captando il suono e trasmettendolo al circuito di
amplificazione. Il ritardo ottenuto è inversamente proporzionale alla velocità di rotazione del motore
(regolabile dall'utilizzatore) e permette di ottenere riverbero, eco e Leslie (particolare effetto ottenuto
dalla combinazione di ritardo e sfasamento delle frequenze dovuto all'effetto Doppler). I riverberi a
tromba sono ingombranti e pesanti. La qualità del suono dipende dalla bontà della componentistica
(microfoni e altoparlanti) ma è comunque influenzata negativamente dal rumore generato per attriti
meccanici dal motore e dal rumore esterno captato dai microfoni. L'effetto Leslie si può oggi ottenere
più agevolmente con un circuito di sfasamento "a pettine" creato con amplificatori operazionali, meglio
conosciuto con il nome commerciale di Phaser.

18
Riverbero a molla
Il segnale viene fatto passare, tramite un apposito trasduttore attraverso una spirale metallica (appunto,
una molla). All'altro capo della molla un trasduttore equivalente al primo reimmette il segnale nel
circuito di amplificazione miscelandolo a quello originale. Il segnale prelevato dal secondo trasduttore
risulterà leggermente ritardato rispetto a quello applicato al primo originando nell'orecchio
dell'ascoltatore l'effetto del riverbero. Per ragioni di semplicità costruttiva ed esiguità di costi i moderni
amplificatori per chitarra di piccole dimensioni sono spesso dotati di riverbero a molla, che viene
alloggiato all'interno della cassa di risonanza. A differenza di altri strumenti, il suono della chitarra
elettrica non risente particolarmente delle sfumature timbriche che questo tipo di effetto aggiunge al
segnale originale.
Il funzionamento del riverbero a molla è basato sulla trasmissione del movimento applicato ad un capo
della molla tramite l'apposito trasduttore che converte il segnale elettrico in un segnale meccanico. La
molla vibrerà trasmettendo il segnale meccanico attraverso le spire impiegando un certo tempo. All'altro
capo della molla il segnale giungerà quindi in leggero ritardo rispetto al capo di ingresso della molla
stessa e verrà riconvertito in segnale elettrico con un apposito trasduttore, solitamente realizzato
tramite un nucleo ferromagnetico intimamente fissato al capo finale della molla ed immerso in un
solenoide. Grazie alla legge di Faraday il movimento del nucleo magnetico posto all'interno del
conduttore diverrà un segnale elettrico.
Purtroppo il tempo di ritardo del sistema è stabilito a priori dalla lunghezza della molla e dunque non è
modificabile dall'utilizzatore. Anche adottando molle di grande lunghezza, il massimo ritardo ottenibile è
nell'ordine dei millisecondi, quindi non è possibile generare l'effetto eco ma solo un riverbero
accettabile. Se accidentalmente la scatola a molle viene scossa, i trasduttori captano il rumore delle
molle che sbattono tra loro e contro le pareti della scatola stessa inviandolo al circuito di amplificazione.

19
Riverbero a camera
Sulla falsariga del riverbero a molla, in una scatola isolata acusticamente dall'esterno viene inserito un
tubo curvato in maniera da creare il percorso più lungo possibile. Ad un'estremità del tubo viene posto
un piccolo altoparlante mentre all'altra estremità c'è un microfono. Il suono emesso dall'altoparlante
impiegherà un certo tempo per percorrere tutto il tubo ed arrivare al microfono generando così il
ritardo necessario. Come per il riverbero a molle, il tempo di ritardo non è modificabile dall'utilizzatore
ed è comunque piuttosto breve. Il suono ottenuto da questa implementazione di riverbero è di pessima
qualità.

Riverbero digitale
Il segnale analogico viene digitalizzato ed immagazzinato in banchi di memoria RAM che viene utilizzata
come la spirale metallica del riverbero a molla. Infatti i bytes vengono fatti "scorrere" da un banco al
successivo fino al raggiungimento dell'ultimo. Il segnale digitale prelevato dall'ultima memoria viene poi
riconvertito in analogico e miscelato al segnale originale ottenendo l'effetto riverbero. Il tempo di
ritardo ottenibile varia agendo sia sul numero di memorie coinvolte nel processo, sia sulla
temporizzazione del trasferimento dei dati da un banco all'altro. La grande capacità delle memorie RAM
permette di raggiungere anche ritardi di parecchi secondi e quindi passare agevolmente da riverbero a
eco. Esistono sul mercato circuiti integrati che comprendono i convertitori A/D e D/A, le memorie ed i
circuiti di temporizzazione. Con un solo chip è così possibile realizzare un eco digitale in uno spazio
ridottissimo e con pochissima componentistica esterna. La digitalizzazione del segnale e la sua successiva
riconversione in forma analogica causano tuttavia una certa perdita di qualità del suono che dipende
dalla bontà del campionamento, ma che non è completamente eliminabile. Molto diffusi anche i circuiti
integrati detti 'bucket brigade' (catena di secchi) che non operano al loro interno una conversione da
analogico a digitale e viceversa, ma sono formati da tantissime celle a condensatore che si caricano in
sequenza con il valore di tensione campionato ad istanti regolari, analogicamente. Il valore della carica
viene passato da un condensatore all'altro (da qui il nome di catena di secchi) fino a raggiungere l'uscita,
impiegando un determinato tempo che sarà il ritardo desiderato.
20
Tempo di riverberazione
RT60 è il tempo necessario alle riflessioni di un suono diretto, di decadere di 60 dB sotto il livello del
suono diretto stesso.
Il tempo di riverberazione (reverberation time) è definito per i segnali a banda larga. Quando
parliamo del decadimento di una singola frequenza, viene usato il termine termine di decadimento
(decay time).

Nel tardo XIX secolo Sabine cominciò a fare alcune esperienze all’università di Harvard per studiare
l’impatto dell’assorbimento sul tempo di riverbero.
Usando un windchest (camera d’aria?) portabile e alcuni tubi d’organo come sorgenti sonore, un
cronometro e le sue orecchie nude, lui misurò il tempo tra l’interruzione della sorgente al momento
dell’inudibilità (rozzamento attorno ai 60dB). Trovò che il tempo di riverbero è proporzionale alle
dimensioni della stanza e inversamente proporzionale all’ammontare dell’assorbimento presente.

Il tempo di riverberazione ottimo per uno spazio dove dev’essere suonata musica, dipende dalla
grandezza della stanza e dipende da cosa dev’essere prodotto nello spazio.
Le stanze per il parlato hanno bisogno di un tempo di riverberazione più corto che quelle per la musica
dato che un tempo di riverberazione più lungo può dare difficoltà nel riconoscere le parole.
Se il tempo di riverberazione da una sillaba raggiunge la sillaba successiva può essere difficile identificare
la parola. Parole come cat cab e cap possono suonare molto simili.
Se d’altra parte il tempo di riverberazione è troppo corto, il bilancio tonale e l’intensità ne possono
soffrire. Gli effetti di riverberazione sono spesso usati negli studi per rendere il suono più piacevole.

I fattori di base che possono influenzare il tempo di riverberazione di una stanza sono le dimensioni e la
forma della stanza stessa, i materiali edili e anche ogni oggetto posto all’interno di essa, comprese le
persone.
21
Equazione di Sabine

L’equazione di Sabine sulla riverberazione fu sviluppata attorno al 1890 con metodi empirici. Egli stabilì
una relazione tra l’RT60 di una stanza, il suo volume e il suo totale assorbimento (che si misura in
Sabine). Questo è dato dalla equazione:

dove c è una costante (c = 0.161), V è il volume della stanza m3 , S la superficie totale della stanza in m2,
a è il coefficiente di assorbimento medio delle superfici della stanza, e quindi Sa è l’assorbimento totale
in sabine.

L’assorbimento totale in sabine (e quindi il tempo di riverberazione) generalmente dipende dalla


frequenza e dal fatto che l’equazione non tiene conto di forma e dimensioni della stanza, né delle perdite
del percorso del suono attraverso l’aria (importanti per spazi larghi).
In generale la maggior parte delle stanze assorbono meno nelle basse frequenze causando un lungo
tempo di decadimento.

22
Assorbimento
Il coefficiente di assorbimento di un materiale è un numero adimensionale tra 0 ed 1 che indica il
rapporto tra suono assorbito e riflesso dalla superficie nella stanza.
Una finestra grande e aperta completamente non dovrebbe offrire nessuna riflessione per i suoni.
Questa potrebbe avere un coefficiente di assorbimento di 1, invece, un soffitto liscio dipinto potrebbe
essere acusticamente equivalente ad uno specchio e dovrebbe avere un coefficiente di riflessione vicino
allo 0.

Misura del tempo di riverberazione


Storicamente il tempo di riverberazione si poteva misurare soltanto usando un level recorder (un
dispositivo che graficava il livello del rumore in funzione del tempo su un nastro di carta).
Si produceva un rumore altissimo e quando il suono scemava il level recorder scriveva una curva
caratteristica. L’analisi di questa curva rivelava la misura del tempo di riverberazione.
Ora alcuni misuratori di livello sonoro moderni e digitali, possono fare queste analisi automaticamente.

Ci sono due metodi di base per creare un rumore sufficientemente alto (che deve avere un preciso
momento di fine). Sorgenti di rumori ad impulsi come uno sparo di una pistola a salve, uno scoppio di un
pallone, possono essere usati per la misura della risposta agli impulsi in una stanza.
Altrimenti un segnale di rumore casuale come il rumore rosa, o il rumore bianco, può essere generato
attraverso gli altoparlanti, e poi fatto finire. Questo metodo è conosciuto come “interrupted method” e
il risultato di misura è l’”interrupted respose”.

http://www.trinitysoundcompany.com/rt60.html
23
Oscillazioni Forzate

24
Per arrivare alla risonanza la via migliore è quella delle oscillazioni forzate.
Si tratta di una specie di trascinamento che le vibrazioni prodotte da un corpo elastico possono imporre
a un altro qualora concorrano determinate condizioni, che spiegheremo ricorrendo di nuovo all’esempio
dei due pendoli accoppiati mediante un vincolo elastico, che questa volta saranno però di lunghezza
moderatamente diversa, così come può indicare la figura:
Sappiamo che è dalla lunghezza del pendolo che dipende la
frequenza dell’oscillazione (isocronismo), per cui nel caso
esemplificato si avranno periodi di durata un po’ diversa.
Facendo oscillare uno dei due pendoli, con le stesse
modalità spiegate a proposito della “trasmissione di
energia per onde”, si avrà un fenomeno identico come
natura, ma di ampiezza un po’ ridotta poiché il trasporto
dell’energia avviene con minore spontaneità, in
conseguenza, appunto, della diversa durata dei due periodi.
Ma la cosa più interessante è che il pendolo “trasmittente”
tende ad imporre la sua frequenza all’altro, senza tuttavia
riuscirci completamente. Le oscillazioni del pendolo
“trasmittente”, pur diminuendo in una certa misura di
ampiezza, non arriveranno mai al punto di fermarsi,
mentre quelle del pendolo “ricevente”, pur aumentando
un po’ di ampiezza subito dopo aver iniziato il
movimento, e tendendo a sintonizzarsi con quelle del
pendolo trasmittente, non arriveranno mai allo scambio
totale di energia e alla identicità di periodo che abbiamo
visto nel caso precedente, quando l’esperimento era fatto
da due pendoli di uguale lunghezza.
25
Lo stesso numero di queste oscillazioni è piuttosto ridotto. Insomma: vi è uno scambio forzato di
energia, limitato però dalla resistenza dovuta alla differenze durata dei due periodi naturali. Fatta salva la
diversa natura delle vibrazioni, l’esempio è valido anche per i fenomeni acustici, per cui il fenomeno può
definirsi così:
un corpo elastico può essere costretto a vibrare con frequenza moderatamente impropria, per l’azione di una
forza esterna che sia di periodo moderatamente diverso.

Il fenomeno delle oscillazioni forzate ha una importanza eccezionale nella pratica musicale, e in acustica
in senso generale: basti pensare che l’aria che conduce il suono vibra con le frequenze che le sono
imposte dalle innumerevoli sorgenti del nostro mondo sonoro; che nell’orecchio la membrana del
timpano fa la stessa cosa; come del pari funzionano le membrane degli altoparlanti, le lamine dei
ricevitori telefonici etc, per arrivare sino al caso degli strumenti a fiato, dove il suonatore può alterare
entro certi limiti l’intonazione del proprio strumento, imponendo alla colonna d’aria di pulsare con una
frequenza prossima, ma non identica, a quella del suo periodo normale di pulsazione.
Dal fenomeno delle vibrazioni forzate si passa senza soluzione di continuità a quello della risonanza.

26
Risonanza

27
Questa volta l’esemplificazione la facciamo con uno strumento musicale, supponiamo, il corno.
Immaginiamo di aver accertato nel migliore dei modi possibili che lo strumento sia idoneo a dare il FA3
di 350 Hz, che l’ottava armonica del normale corno in FA. Invitiamo quindi il cornista a forzare l’altezza
del suono in modo che questo riesca il più crescente possibile, senza tuttavia passare all’armonica
seguente, il SOL3. Se il cornista è abbastanza abile, riuscirà certamente a ottenere un FA3 crescente di
un buon quarto di tono, ma di timbro aspro e di intensità molto modesta. Siamo in pieno regime di
oscillazioni forzate, e le caratteristiche negative dell’intensità e del timbro denunciano chiaramente il
“braccio di ferro” che si sta svolgendo tra la forzatura imposta dal suonatore e la resistenza opposta dal
periodo naturale di pulsazione della colonna d’aria.
Diciamo quindi al cornista di diminuire gradualmente la forzatura, sino a riportare al giusto sincronismo
gli impulsi della eccitazione.
Man mano che ciò avviene si nota che il suono riprende poco a poco le sue caratteristiche,
raggiungendo il risultato più soddisfacente a normalizzazione avvenuta.
A questo punto siamo passati dalle oscillazioni forzate al regime naturale di risonanza della
colonna d’aria.

Se osserviamo il movimento ondulatorio di un’altalena possiamo capire meglio come si svolga questo
fenomeno. Nell’altalena, gli impulsi impressi dalla persona che ci sta sopra devono essere sincronizzati
col periodo naturale di oscillazione del sistema: il moto ottenuto col primo impulsi non si è ancora
esaurito, quando deve arrivare con regolare tempismo il secondo impulso, che farà aumentare di poco
l’ampiezza della oscillazione, poi arriverà con la stessa norma il terzo impulso, quindi il quarto etc, con
una sommatoria di tanti apporti energetici che, al limite, potrebbero persino provocare la rottura del
sistema.

28
Per fenomeni di risonanza possono infatti darsi effetti meccanici anche imponenti: un ponte sospeso,
come quelli che talvolta son gettati per cause contingenti tra una riva e l’altra di un torrente, può
senz’altro cedere sotto il passo cadenzato di una fila di persone che lo attraversi: ogni passo aggiunge un
po’ di energia e se il periodo di oscillazione del ponte coincide con la cadenza, si ha appunto un
accumularsi di forza e un conseguente aumento di ampiezza delle oscillazioni che a un certo momento
possono determinare la rottura del ponte.

Nella pratica musicale sono molti i casi, oltre a quelli degli strumenti a fiato, in cui il fenomeno della
risonanza viene sfruttato a favore del risultato acustico: citiamo il caso del pianoforte, dove la tavola di
risonanza esalta grandemente la qualità e l’intensità del suono: si può anzi dire che senza questo sistema,
anche il suono emesso da una corda tra quelle che nel pianoforte possono raggiungere intensità sonore
veramente notevoli, se viene tesa fra punti rigidi in piena aria, emetterà un suono di intensità
enormemente minore, senza poi considerare la perdita qualitativa a carico del timbro.
Ogni strumento musicale ha un risonatore e risonatori sono pure quei cilindri cavi che si
mettono sotto i regoli della marimba, della celeste, dello xilofono e di altri strumenti, per aumentare
l’intensità del suono e migliorare la qualità del timbro.

La risonanza non ha nulla a che vedere con la riflessione delle onde sonore e con la riverberazione in
generale, in quanto consiste nella facoltà da parte di un corpo elastico di convibrare con
spontaneità quando viene eccitato da vibrazioni esterne la lui frequenza coincide
con il suo naturale periodo di vibrazione.

29
Archi: risonatori o accoppiatori?

E’ controverso se gli strumenti ad arco debbano essere considerati solo risonatori oppure anche
“accoppiatori”.
La differenza tra risonatore e accoppiatore è che il primo partecipa con spontaneità al fenomeno della
risonanza, il secondo invece trasmette le vibrazioni da un mezzo all’altro, come in una catena
perfettamente solidale. Questo sembra essere il caso degli strumenti ad arco, dove l’anima, che è un
cilindretto di legno inserito verticalmente tra la tavola e il fondo, ha l’ufficio di rendere meccanicamente
solidali questi due piani, i quali pertanto vibrano in concordanza di fase, muovendosi
contemporaneamente nello stesso senso.
Le vibrazioni si trasmettono dalla corda al ponticello, da questo alla tavola e quindi, attraverso l’anima, al
fondo, formando un sistema ininterrotto di accoppiamenti al quale è vincolata pure la massa d’aria
contenuta nello strumento.

Pur accettando di considerare gli strumenti ad arco anche come accoppiatori, dobbiamo dare pieno
rilievo alla risonanza perché è da essa che dipende principalmente la qualità del suono.

30
Risonatori di Helmholtz
Il risonatore di Helmholtz o “globo di risonanza” è una sfera vuota in ottone sottile con aperture alle
due estremità opposte. Il foro più grande riceve il suono, mentre il più piccolo si adatta all’orecchio.
L’aria nel globo ha una propria nota fondamentale dipendente dalla dimensione del globo. I risonatori
permettevano di analizzare i suoni nelle loro frequenze costitutive e furono uno strumento
fondamentale per la teoria della musica. Helmholtz riuscì a riprodurre un suono determinato
combinando i suoni componenti evidenziati dai suoi risonatori.

Quando dell'aria in eccesso viene forzata attraverso una cavità, la pressione all'interno della stessa
aumenta. Una volta che la forza esterna che ha causato la forzatura dell'aria cessa, l'aria a maggior
pressione presente all'interno della cavità tenderà a fuoriuscire dallo stesso punto da cui era entrata.
Comunque, questo flusso di aria in uscita tenderà a sovracompensare, e la cavità rimarrà ad una
pressione leggermente inferiore a quella esterna, provocando un risucchio d'aria. Questo processo si
ripete con intensità decrescente della sovracompensazione, fino a smorzarsi.

La risonanza di Helmholtz
trova applicazione nei
motori a combustione
interna (air-box), nei
subwoofer e nell'acustica.

31
Interferenza

32
Interferenza: da intervenire, interporre, mettere di mezzo.
Non ha significato pregiudizionalmente negativo e in acustica indica la coesistenza in uno stesso punto
dello spazio, o del sistema vibrante, di più onde o vibrazioni, le quali agendo contemporaneamente sul
mezzo che le ospita sommano algebricamente le rispettive energie.
Ciò vuol dire che se nel luogo d’interferenza le onde si incontrano in concordanza di fase, esse
sommano positivamente le rispettive energie, con conseguente aumento dell’intensità del suono. Se
invece gli incontri avvengono in opposizione di fase, la sommatoria delle energie è negativa, come, per
esempio, può dirsi di un credito che compensa in toto o parzialmente un debito: cosa da cui in acustica
consegue una proporzionale attenuazione dell’intensità.
E’ intuitivo che le combinazioni e gli effetti possono essere innumerevoli. Nella pratica musicale si può
dire che ogni combinazione di suoni strumentali o vocali, semplice o complessa che sia, risente del modo
in cui le varie componenti interferiscono fra di loro: basti dire che qualsiasi forma d’onda, emblema
significativo del timbro e dell’agglomerato sonoro, dipende dalla interferenza delle onde coesistenti nel
modo vibratorio delle varie sorgenti sonore e nella propagazione ondulatoria del suono.
L’interferenza è causa anche di particolari fenomeni che ora considereremo...

33
Suoni simultanei e
battimenti

34
Nella teoria musicale e, più specificatamente, in quella del suono, si parla di battimenti in riferimento
all'effetto per l'orecchio umano di due onde sonore, pure posizionate vicine tra di loro, e di
frequenza molto vicina, sempre tra di loro.

Entrando più in dettaglio, conviene fare qualche esempio. Prendiamo una chitarra (elettrica, in modo che
il suono duri più a lungo), e suoniamo ad esempio le due corde più alte, il si e il mi. Il nostro orecchio
sente le due note distintamente, e si accorge che il suono complessivo è anche piacevole all'orecchio.
Supponiamo ora di cominciare a tendere sempre di più la corda del si, per alzarne la frequenza e
arrivare al mi. Ammesso che la corda non si spacchi prima per la troppa tensione, per un po'
continueremo a sentire due suoni più o meno armonici. Quando le due corde avranno la stessa
frequenza, sentiremo naturalmente un solo suono; ma subito prima ci sarà uno strano effetto:
cominceremo a sentire un solo suono, ma il suo volume ci sembrerà cambiare nel tempo, ora più forte e
ora più piano.

La ragione di questo comportamento è legata all'acustica, e alla incapacità del nostro orecchio a
distinguere due frequenze molto più vicine tra di loro, che vengono in un certo
senso "unificate". Se però facciamo un grafico che mostra la funzione corrispondente al suono
complessivo delle due corde, possiamo notare come i massimi e i minimi delle creste d'onda non sono
più costanti come quando viene suonata una nota pura, ma variano nel tempo: quando le due onde sono
quasi in opposizione, i massimi di una cancellano i minimi dell'altra, mentre quando sono quasi in fase i
massimi si sommano, aumentando il volume percepito.

35
Vediamo nella figura sopra due oscillogrammi, uno dei quali riproduce la coesistenza di due onde
sinusoidali, che nel medesimo tempo compiono rispettivamente 8 e 9 periodi.
All’inizio di questo ciclo di periodi le onde, che sono in concordanza di fase, sommano con effetto
positivo le loro energie: poi una di esse si avvantaggia progressivamente sull’altra, così che, a un certo
momento, le due onde si trovano in opposizione di fase, ed essendo di pari ampiezza riducono a zero
l’effetto acustico (punto centrale in figura).
Ma poi il vantaggio dell’onda di frequenza superiore aumenta ancora, fintanto che verrà a ripristinarsi la
concordanza di fase.
Nei punti di concordanza il suono si rinforza, mentre in quelli di opposizione si attenua. Da questo
periodico alternarsi di rinforzi e di affievolimenti risulta una fluttuazione dell’intensità, che, appunto per
questa sua caratteristica, prende il nome di “battimento”.

36
Nella figura qui sopra è riprodotto l’oscillogramma della fluttuazione di ampiezza dovuta a battimento
fra due onde sinusoidali.
Quando i battimenti sono 5 o 6 al secondo, l’effetto può essere anche gradevole e conferire al suono
una preudoespressività, che i costruttori d’organi hanno sempre usato disponendo nello strumento uno
speciale registro, chiamato unda maris oppure voce celeste, etc, quasi a voler compensare con la
suggestività del nome la materialità della causa alla quale il fatto è dovuto.
I battimenti sono di effetto sgradevole quando avvengono fra suoni molto gravi e sono di scarso effetto
nelle ottave molto alte. La fascia di frequenze più adatta per usare i battimenti come fattore di artificiale
espressività del suono è compresa, grosso modo, tra i 150 e i 1500 Hz.

37
La frequenza dei battimenti dipende sempre dalla differenza che intercorre tra le frequenze battenti: ad
esempio, se i suoni sono rispettivamente di 500 e 550 periodi, i battimenti avranno la frequenza di 50 al
secondo, e così via.

Ciò non significa che i battimenti siano udibili in qualsiasi caso, poiché bisogna tener conto del potere di
discriminazione dell’orecchio, che non riesce a separare gli impulsi acustici quando questi siano più di
16-20 al secondo, nonché di altri fattori, come la tessitura in cui si trovano i suoni principali, l’intensità
dei medesimi, etc.

Oltre alla fluttuazione del suono, della quale abbiamo or ora parlato, i battimenti possono dar luogo ad
altri importanti fenomeni, come i suoni di combinazione e l’effetto della dissonanza.

38
Suoni di combinazione

39
L’organista Sorge notava, nel 1740, che in coincidenza di un bicordo di quinta giusta, che egli stava
suonando sul suo strumento, appariva un suono estraneo, di tessitura più grave.
Indipendentemente dalle osservazioni del Sorge, il grande violinista Giuseppe Tartini pubblicava nel
1754 (Padova) il “Trattato di musica secondo la vera scienza dell’armonia”, dove tra l’altro
introduceva la teoria del “terzo suono”, da lui scoperto sin dal 1714 in circostanze analoghe a quella
del Sorge, con la sola differenza che Tartini fece la scoperta sui suoni del violino.
Nel 1714 Tartini aveva solo 22 anni ed è nota la sua vita piuttosto movimentata, sicché solo in età più
matura poté esporre in un libro la sua teoria.
A parte ogni discussione sulla priorità della scoperta, rimane il fatto che Tartini seppe trarre quelle
deduzioni che gli consentirono di formulare una teoria, il cui punto fondamentale è che il terzo suono ha
una frequenza pari a quella del battimento, ossia uguale alla differenza che intercorre tra le frequenze dei
due suoni generatori: se essi sono, supponiamo, di 240 e 160 periodi, il “suono differenziale” (questo è il
nome scientifico del terzo suono) sarà di 80 Hz, e così via per ogni altro caso.
Quando tra i suoni principali intercorre un rapporto armonico, anche il suono differenziale appartiene
alla serie stessa, tanto che dal numero d’ordine delle armoniche generatrici, con una semplice
sottrazione, si può conoscere quello del suono differenziale.

esempio: se i suoni generatori, o principali, che dir si voglia, sono le armoniche 24 e 16, il differenziale
sarò l’armonica 8, etc

Nel bicordo tartiniano i suoni principali sono le armoniche 2 e 3, per cui il terzo suono è l’armonica 1,
ossia la fondamentale della serie. Anche questo è un punto importante della teoria di Tartini
sull’armonia, da lui considerata, in senso quasi oggettivo, come scienza vera e propria, forse più che come
fatto estetico musicale.

40
Giuseppe Tartini (Pirano, 12 aprile 1692 – Padova, 26 febbraio 1770) è stato un violinista e compositore
italiano, autore della celebre sonata per violino in sol minore Il Trillo del Diavolo.

L'aneddoto che ha dato luogo alla sonata il trillo del diavolo, è così raccontato da Tartini stesso al
celebre astronomo Delalande:

« Una notte (1713) sognai che avevo fatto un patto e che il diavolo era al mio servizio. Tutto mi riusciva
secondo i miei desideri e le mie volontà erano sempre esaudite dal mio nuovo domestico. Immaginai di
dargli il mio violino per vedere se fosse arrivato a suonarmi qualche bella aria, ma quale fu il mio stupore
quando ascoltai una sonata così singolare e bella, eseguita con tanta superiorità e intelligenza che non
potevo concepire nulla che le stesse al paragone. Provai tanta sorpresa, rapimento e piacere, che mi si
mozzò il respiro. Fui svegliato da questa violenta sensazione e presi all'istante il mio violino, nella
speranza di ritrovare una parte della musica che avevo appena ascoltato, ma invano. Il brano che composi
è, in verità il migliore che abbia mai scritto, ma è talmente al di sotto di quello che m'aveva così
emozionato che avrei spaccato in due il mio violino e abbandonato per sempre la musica se mi fosse
stato possibile privarmi delle gioie che mi procurava. »

(Giuseppe Tartini)

41
I suoni di combinazione, la cui conoscenza è andata vieppiù approfondendosi a partire dalla teoria
di Tartini, comprendono non solo i differenziali, ma anche suoni somma più alti dei
generatori, nonché altri sempre relativi alle combinazioni che possono darsi non
solo tra i suoni principali, ma anche tra questi e i differenziali.
Ammessa, come devesi, questa possibilità, è evidente che le combinazioni immaginabili possono essere
pressoché infinite, almeno da un punto di vista numerale.
In pratica, la realtà è senza dubbio più modesta, pur restando sempre cospicua e complessa.

Ferma restando l’oggettività del fenomeno dei battimenti, dipendente dalle interferenze ora descritte, e
l’altrettanto oggettiva loro funzione di stimolazione acustica sull’organo dell’udito, bisogna dire che per
ciò che concerne la presenza a livello auditivo dei suoni di combinazione la teoria tende ad accreditarne
la causa a fattori riguardanti la fisiologia e la psicologia dell’ascolto.
Non in senso creativo, ma come conseguenza soggettiva dovuta alla stimolazione oggettiva indotta dal
fenomeno dei battimenti.
Comunque ciò che più importa è la realtà del fenomeno al livello di ascolto.

42
ll terzo suono di Tartini

Suonando due note contemporaneamente, l'orecchio percepisce note aggiuntive di varie frequenze pari
ad opportune somme e differenze delle due note emesse: si parla in questi casi di suoni di
combinazione.
Fra questi il più importante da un punto di vista pratico è il cosiddetto terzo suono di Tartini, scoperto
appunto dal Tartini nel ‘700. Il celebre violinista constatò infatti che suonando un bicordo ad un intervallo
di 5a (ovvero con rapporto di frequenze 3:2) si sentiva al basso un'altra nota la cui frequenza
corrispondeva a un numero di vibrazioni pari alla differenza fra quelle dei due suoni originari. Così, ad
esempio, se un suono aveva 900 vibrazioni e l'altro 600, il suono ulteriore che si sentiva aveva 300
vibrazioni al secondo ed era, quindi, di un'ottava più grave.

Da un punto di vista fisico il fenomeno risulta particolarmente evidente suonando due note ad un
intervallo di 5a poiché i prodotti di intermodulazione del second'ordine f2-f1 e del terz’ordine 2f1-f2,
che sono normalmente disgiunti, in questo caso coincidono esattamente sommandosi.
Il fenomeno dei suoni di combinazione è ormai noto da oltre mezzo secolo nell'elettronica applicata alle
telecomunicazioni dove questi vengono denominati "prodotti di intermodulazione": si generano in ogni
amplificatore che produce una forte distorsione su due segnali in ingresso, in particolare quindi anche
all'interno del nostro orecchio quando questo percepisce due suoni da sorgenti distinte.

43
Due suoni di frequenza f1 ed f2 sommati in un amplificatore ad alta distorsione come il nostro orecchio,
producono infatti i prodotti di intermodulazione del second'ordine:

del terz'ordine:

e degli ordini successivi; oltre alle armoniche

... multiple delle frequenze fondamentali.

Sono tali frequenze generate all'interno dell'orecchio a produrre i suoni differenza e addizione, i primi a
lungo confusi con inesistenti "armonici inferiori" o "ipotoni".

Termini come "ipotoni", "suoni di moltiplicazione", "subarmonici", che si trovano sovente in letteratura
non hanno alcun significato in fisica. Il fenomeno dei cosiddetti subarmonici, ad esempio, deriva non
tanto da un fenomeno fisico reale, quanto da un errore indotto dall'orecchio quando percepisce due
suoni da sorgenti distinte producendo al proprio interno i prodotti di intermodulazione sopra citati.

44
Applicazioni del terzo suono di Tartini

Il fenomeno del "terzo suono" trova una sua applicazione


pratica nella costruzione degli organi: invece di
costruire canne enormi per frequenza molto basse si creano
registri in cui due canne a distanza di quinta suonano
contemporaneamente creando l'illusione di un terzo suono
più profondo.

Anche il theremin sfrutta il battimento tra due frequenze


non udibili (nel campo degli ultrasuoni) per ottenere un
suono udibile e modulabile cambiando la frequenza di una
delle due onde.

I registri di "Voce umana" degli organi e molti registri delle


fisarmoniche sfruttano il fenomeno dei battimenti per
ottenere un suono più caldo ed espressivo. Questi registri
fanno suonare contemporaneamente due canne (o ance): una
intonata correttamente ed una leggermente calante o
crescente, in modo da ottenere un certo numero di
oscillazioni di intensità al secondo.

45
Consonanza e
dissonanza

46
Definizioni di consonanza e dissonanza

Nel linguaggio ordinario con il termine consonanza (dal latino consonare, "suonare insieme") si indica
in genere un insieme di suoni eseguiti simultaneamente e tali che l'effetto
complessivo risulti morbido e gradevole, mentre con il termine dissonanza, all'opposto, si
indica un agglomerato di suoni dall'effetto aspro e stridente.

I due termini possono anche indicare non l'insieme dei suoni, ma il loro effetto stesso; si parla, ad
esempio, anche di dissonanza prodotta da un certo accordo.

Nel linguaggio tecnico della teoria musicale, e in particolare dell'armonia, le due parole hanno significati
ben precisi, e anzi si può dire che la contrapposizione tra consonanza e dissonanza, insieme al principio
della tonalità, rappresenta la base della teoria armonica occidentale.

47
Basi acustiche e fisiologiche

Galileo:
Prima di esporre i principi dell'armonia tonale su consonanze e dissonanze consideriamo i principali
risultati conseguiti nel tentativo di interpretare i fenomeni attraverso l'acustica e la fisiologia.
Galileo, nei Discorsi e dimostrazioni intorno a due nuove scienze, propone una
spiegazione molto semplice dei fenomeni di consonanza e dissonanza. Se consideriamo il segnale
costituito dalla sovrapposizione dei due suoni del bicordo, in prima approssimazione la lunghezza del suo
periodo sarà tanto minore quanto più il rapporto tra le frequenze fondamentali che costituiscono i due
suoni sarà semplice, ossia espresso da una frazione intera con numeratore e denominatore non troppo
grandi. Ebbene, l'idea di Galileo è che il grado di consonanza risulti inversamente proporzionale alla
lunghezza del periodo del suono complessivo, e analogamente il grado di dissonanza risulti
proporzionale a questo periodo. L'orecchio, secondo Galileo, apprezza finemente la maggiore o minore
regolarità del suono risultante.

Un'obiezione all'idea di Galileo sorge qualora il rapporto tra le frequenze di due suoni sia irrazionale, ma
vicinissimo a una frazione molto semplice. Il suono risultante sarà ovviamente non periodico, il che
rappresenterebbe il massimo grado di dissonanza nell'ottica galileiana, ma sarà anche assai prossimo, anzi
volendo anche del tutto indistinguibile dall'orecchio, a un suono consonante. Questa obiezione è
importante, ma non sarebbe difficile complicare leggermente l'idea galileiana, conservandone il nocciolo,
al fine di superarla.Vedremo inoltre che tale idea contiene, nella sua semplicità, anche aspetti molto
positivi e profondi.

48
Helmholtz:
Una trattazione sperimentale sistematica dei fenomeni che stiamo considerando è dovuta a
von Helmholtz.
Egli cominciò a considerare l'effetto di due suoni puri, cioè di frequenze ben precise che non danno
origine a ipertoni. L'esperimento base di Helmholtz consisteva nell'emettere due suoni puri
simultaneamente, di altezza inizialmente uguale, e poi, tenendo fissa la frequenza di uno di essi, far variare
l'altra all'interno di un piccolo intervallo simmetrico su scala logaritmica rispetto alla frequenza di
partenza.
Si poteva così notare che i due suoni, per differenze di frequenza molto piccole,
producono una consonanza, mentre man mano che la differenza cresce il suono
risultante acquista un colore sempre più aspro fino a un certo limite, per poi
tornare ad essere gradualmente sempre più consonante.
L'ampiezza dell'intervallo tra la frequenza di partenza e la fine della zona dissonante era, nella zona di
frequenze corrispondente alla parte centrale della tastiera di un pianoforte, leggermente più piccola di
una terza minore temperata.

Helmholtz interpretò questi dati immaginando che responsabili della dissonanza fossero i battimenti.
Poiché essi sono molto lenti quando le frequenze sono molto simili, inizialmente si ha una sensazione
generale di consonanza. La massima dissonanza corrisponde alla zona in cui si producono circa 30
battimenti al secondo, mentre per differenze di frequenza ancora superiori i battimenti diventano così
rapidi da non essere percettibili, e il loro contributo alla sensazione di dissonanza diminuisce.

49
L'idea di Helmholtz, in questa forma base, spiega abbastanza bene la fenomenologia relativa ai suoni puri
non troppo distanti in frequenza, ma, anche nell'ambito dell'ottava, rimangono dei problemi con i suoni
reali dotati di ipertoni.
Infatti questi suoni (come ad esempio quelli di un pianoforte) risultano dissonanti, in particolare, anche
per il tritono, e anzi tanto più dissonanti quanto più il sistema di amplificazione dello strumento usato
mette in risalto gli armonici (ad esempio più nel pianoforte che negli archi).

Se, come fece Helmholtz, applichiamo l'idea base sopra descritta, oltre che al suono fondamentale, anche
ai suoi armonici più vicini (e quindi maggiormente percettibili), avremo una teoria che spiega abbastanza
bene, in prima approssimazione, il fenomeno della dissonanza del tritono.
Infatti il primo armonico della nota superiore del tritono e il secondo della fondamentale cadono
proprio nella zona in cui i battimenti sono più frequenti. Allo stesso modo si spiega la dissonanza di
intervalli come la settima maggiore e la nona minore.

L'applicazione dell'idea fondamentale ai suoni armonici è giustificata dal fatto che il meccanismo di
percezione dei suoni, come ha dimostrato lo stesso Helmholtz, effettua un'analisi spettrale
molto simile a quella di Fourier, che applicata alle onde sonore corrisponde proprio
alla loro analisi armonica.

I suoni che hanno i primi armonici simili e che quindi, secondo la teoria di Helmholtz, sono
consonanti poiché presentano in genere battimenti molto lenti (o molto deboli, perché
provocati da armonici molto lontani dai suoni fondamentali), hanno rapporti di frequenze
semplici, e quindi risultano anche consonanti secondo la teoria Galileo, che viene così ad
essere non contraddetta, ma inclusa in quella di Helmholtz.

50
Recenti ricerche sperimentali, integrate da rilevamenti statistici effettuati con la collaborazione di
numerosissimi soggetti, hanno permesso di acquisire cognizioni che possono valere come conferma e
come completamento della teoria di Helmholtz sulla causa fisica della dissonanza (quindi dovuta ai
battimenti fra suoni simultanei, quando la frequenza di battimento rientra in
determinati limiti rispetto all’altezza dei suoni generatori).
La prova che questa causa consiste nei battimenti è abbastanza facile da realizzare: due suoni sinusoidali
decisamente dissonanti, come possono esserlo, ad esempio un DO e n DO#, sono generati da due
oscillatori distinti e vengono fatti ascoltare attraverso gli auricolari di una cuffia, ai quali i suoni stessi
arrivano congiunti. L’effetto di asprezza dovuto alla dissonanza è inequivocabile.
A un certo momento, per mezzo di un apposito commutatore, i suoni vengono separati, in modo che
uno arrivi solo all’auricolare di destra e l’altro solo a quello di sinistra. L’effetto dissonante scompare
nell’atto medesimo in cui avviene la separazione e i due suoni vengono percepiti come entità
indipendenti, mentre contemporaneamente scompaiono anche i battimenti, in quanto la separazione
comporta la soppressione dei fenomeni d’interferenza da cui i battimenti stessi dipendono.
Inapprezzabile è l’interconduzione dei suoni per via ossea. Impediti i battimenti cessa la dissonanza.
Qualsiasi causa che possa impedire o attenuare i battimenti comporta la cessazione o l’attenuazione
della causa fisica della dissonanza, anche se sullo spartito musicale la situazione rimane teoricamente
invariata.
Per questa ragione una stessa coppia di note può produrre effetti molto differenziati a seconda
dell’intervallo che le separa, così come può esemplificarsi con:

DO# DO#

DO DO

51
Quando poi l’intervallo supera le quattro ottave, si può dire che la dissonanza è praticamente
inapprezzabile.
Anche le componenti armoniche del suono influiscono sia sulla consonanza sia sulla dissonanza, ma
sempre in funzione dei battimenti a cui possono dare luogo.
Per la medesima ragione due strumenti che suonino l’uno accanto all’altro, ma a un semitono
d’intervallo, producono una dissonanza senza confronto più accentuata, di quella a cui darebbero luogo
facendo la stessa cosa ai punti opposti di un’orchestra.

Dice Berlioz, riportando nel suo trattato sulla strumentazione un certo giudizio, che per far parlare i
mostri e i demoni, basta far suonare fortissimo corni e tromboni nella loro tessitura centrale.
Se si analizza la situazione spettrale di questi suoni, si può vedere che la composizione armonica di quelli
emessi dai tromboni contrasta con alcune componenti del suono dei corni, generando intensi battimenti
da cui dipende infatti l’effetto così aspro che con combinazioni strumentali di questo tipo è possibile
ottenere.
Ecco dunque che il rigore della fisica conferma ancora una volta l’aureo empirismo delle più
sperimentate regole musicali.

52
La teoria armonica
tonale

53
In questa sezione verranno trattati gli aspetti più elementari della teoria armonica tradizionale
che si occupano di consonanza e dissonanza. Per maggiore semplicità la trattazione è limitata
all'armonia tonale che impiega il temperamento equabile, che è anche quella studiata di regola nei
corsi dei conservatori, e quella cui è dedicata la maggior parte della trattatistica classica.

Nell'ambito della nona, intervallo in cui con buona approssimazione è contenuta la distanza tra voci
adiacenti nella scrittura a parti late, gli intervalli consonanti sono l'unisono, l'ottava, la quarta e la quinta
giuste, la terza e la sesta maggiori e minori. Sono invece dissonanti la seconda, la settima e la nona
maggiori e minori, (si noterà qui la coerenza con la teoria di Helmholtz) e tutti gli intervalli
aumentati o diminuiti (che includono il tritono, che è una quarta aumentata o una quinta diminuita).

Un accordo è dissonante se contiene un intervallo dissonante; altrimenti è


consonante.
Osserviamo esplicitamente che alcuni intervalli, come ad esempio la sesta minore e la quinta aumentata,
possono coincidere enarmonicamente, e tuttavia risultare l'uno consonante e l'altro dissonante.
D'altra parte la funzione armonica di un suono della scala cromatica è il più delle volte deducibile dal
contesto, e quindi di regola in un accordo che è parte di una sequenza armonica non ci dovrebbero
essere dubbi sull'identità di un suono enarmonicamente ambiguo. Esistono naturalmente
eccezioni a questa constatazione, la più notevole delle quali è l'accordo di settima diminuita, che
proprio per questo è assai usato come mezzo modulante enarmonico.
In generale le dissonanze devono essere preparate; questo vuol dire che uno dei due suoni che
producono dissonanza (in generale quello superiore) deve venire sentito, con un valore ritmico almeno
pari a quello della dissonanza stessa, nell'accordo che precede quello in cui la dissonanza si verifica, e
deve in esso costituire consonanza. La dissonanza deve inoltre essere risolta; ciò significa che il
suono dissonante che era stato preparato deve procedere per grado congiunto, generalmente
discendente, verso una consonanza.
54
Questo principio base, che è seguito abbastanza fedelmente dalla musica corale tardo-medioevale,
rinascimentale e del primo Seicento, serve a smorzare l'effetto di asprezza provocato dalla
dissonanza, facendo in modo che essa sia circondata da un ambiente accordale consonante e
non troppo dissimile. La principale eccezione a questo principio è costituita dalla settima minore,
intervallo che, se sentito nell'ambito dell'accordo di settima di prima specie, non necessita di
preparazione. Ciò è in buon accordo con la teoria di Helmholtz, in quanto la settima minore è,
tra le dissonanze, l'intervallo in cui la nota superiore costituisce l'armonico più vicino di quella inferiore.
Ci si potrebbe chiedere perché questo bisogno di attenuare l'effetto della dissonanza non si sia
storicamente risolto nella sua semplice esclusione dalla pratica musicale. La risposta a questa domanda
non è semplice, e qui ci si limiterà a riportare una sintesi del pensiero di Schoenberg sull'argomento.
Si tenga presente, innanzitutto, che per lungo tempo la polifonia vocale medioevale aveva scelto proprio
l'eliminazione totale della dissonanza, e anzi, più o meno fino all'avvento della Scuola di Notre Dame,
aveva considerato consonanti solo unisoni, ottave, quarte e quinte. A un certo punto, però, l'esigenza di
varietà implicita in ogni forma d'arte e l'assuefazione progressiva a suoni armonicamente più lontani
costituirono una componente abbastanza rilevante da far muovere la composizione musicale verso la
situazione di equilibrio illustrata dal principio base prima esposto. Tale assuefazione, secondo
Schoenberg, fu dovuta in gran parte all'utilizzo sempre più frequente di note di passaggio nelle voci
superiori al cantus firmus, che rispetto all'armonia della nota fondamentale, per il fatto stesso di
procedere in genere per grado congiunto, rappresentavano armonici abbastanza lontani. Nell'opera citata
in bibliografia Schoenberg definisce questa compresenza di esigenze melodiche e armoniche in contrasto
tra di loro una fortunata combinazione.
Anche quando la pratica viva dell'arte musicale (soprattutto nella tradizione strumentale) ha pian piano
superato la rigidità del principio base che è stato enunciato, esso ha continuato a costituire un
importante punto di riferimento sia per l'analisi armonica, sia perché rappresenta (anche grazie all'illustre
tradizione corale cui si accennava) la formula di base che spesso opera a livello profondo, quasi
inconsapevole, nella mente del compositore.
55
I Microfoni
• la ripresa microfonica: • caratteristiche
introduzione microfoniche:

• il design dei microfoni: - la risposta direzionale

- dinamico - la risposta in frequenza

- a bobina mobile - la risposta ai transienti

- a nastro - caratteristiche di uscita

- a condensatore

1
La ripresa microfonica:
introduzione

2
Il microfono è spesso il primo dispositivo che si incontra nella catena di
registrazione; esso è un trasduttore che trasforma l’energia da una certa
forma (onde sonore) in energia diversa (segnale elettrico).
La qualità della ripresa microfonica dipende da molte variabili esterne, per esempio
la collocazione dei microfoni e l’ambiente acustico e anche da variabili
interne vale a dire il tipo di progettazione.

Questi elementi interdipendenti contribuiscono alla qualità della ripresa complessiva del microfono. Allo
scopo di soddisfare le necessità di un gran numero di applicazioni e di gusti personali, si ha una notevole
varietà di microfoni per l’uso professionale.
Dato che le particolari caratteristiche di ciascuno di essi si adattano meglio a un uso specifico,
l’utilizzatore può ottenere la migliore ripresa di una sorgente acustica combinando attentamente la
scelta del microfono e il suo utilizzo.
Quando si sceglie il posizionamento microfonico più adatto, si devono tenere presenti le due
raccomandazioni elencate qui di seguito:

- non ci sono regole, solamente linee guida.


Anche se tali linee guida possono aiutare ad ottenere una buona ripresa, non
bisogna dimenticarsi di sperimentare altre soluzioni, che potrebbero adattarsi
maggiormente al proprio gusto personale.
- La qualità del segnale audio, ripreso e registrato, non risulterà
migliore rispetto alla qualità data dal dispositivo meno valido che si
trova nel percorso di registrazione del segnale stesso.
3
Il microfono è un trasduttore di tipo elettro-meccanico in grado di convertire le onde di pressione
sonora in segnali elettrici.
Esistono diversi tipi di microfono che basano il proprio funzionamento su differenti tecnologie e metodi
di conversione.

I microfoni vengono classificati principalmente secondo la tipologia di funzionamento (in pratica il


tipo di trasduttore) e la caratteristica direzionale (ovvero la diversa sensibilità del trasduttore in
relazione alla direzione di provenienza del suono).

Altre caratteristiche tecniche sono la banda passante / risposta in frequenza, dinamica e


sensibilità, l'impedenza, la necessità o meno di alimentazione.

Vi sono poi le caratteristiche psico-acustiche: trasparenza del suono, risposta ai transienti,


selettività, resa sulle armoniche, ecc.

Possono fare parte del sistema microfonico, a seconda del tipo: trasduttori meccanici ed elettrici, cavità
di risonanza, tubi ad interferenza, filtri, sospensioni, alimentatori, amplificatori.

4
Il design dei microfoni

5
Microfono Dinamico
Il microfono dinamico è strutturalmente simile ad un piccolissimo altoparlante, con
funzionamento inverso: sfrutta la legge di Lenz per convertire il movimento di una
membrana (la parte destinata a raccogliere le pressioni sonore) in forza elettromotrice,
grazie ad un avvolgimento di filo conduttore sottilissimo meccanicamente fissato alla
membrana stessa; tale avvolgimento è immerso nel campo magnetico generato da un
nucleo di magnete permanente.

In teoria, il sistema di ripresa dinamico opera mediante induzione


elettromagnetica per generare un segnale di uscita.

Quando un elemento metallico, elettricamente conduttore, è posizionato in modo da


incrociare perpendicolarmente le linee di flusso di un campo magnetico, all’interno del
metallo stesso si genera una corrente di ampiezza e direzione date.

I microfoni dinamici sono di due tipi: a bobina mobile e a nastro.

6
Microfono a bobina
mobile
Lo schema di questo design microfonico è
rappresentato nella figura a pagina successiva e di
solito è composto da un diaframma di mylar di
circa 0.35 mm di spessore.
A questo è collegato un avvolgimento ben realizzato di
filo, detto bobina mobile, sospeso con molta
precisione all’interno di un campo magnetico di
alta intensità.

Quando un’onda sonora raggiunge un lato di questo


diaframma (A), la vicina bobina (B) è mossa in maniera
direttamente proporzionale all’ampiezza e alla
frequenza dell’onda, facendo sì che la bobina stessa
attraversi il percorso delle linee del flusso magnetico
generato da un magnete permanente (C).
In questo modo, ai capi della bobina si genera un
segnale elettrico analogo (di ampiezza e direzione
specifiche).

7
8
Microfono a nastro
Il microfono a nastro (fig a lato),
similmente a quello a bobina mobile, si
basa sul principio dell’induzione
elettromagnetica. In questo caso tuttavia si
usa un diaframma composto da un nastro
di alluminio molto sottile (2 micron).
Spesso questo diaframma presenta delle
ondulazioni trasversali (lungo la sua
lunghezza), ed è sospeso all’interno di un
campo magnetico con flusso magnetico
molto forte.
Quando le variazioni di pressione sonora,
secondo la velocità delle particelle
dell’aria, fanno muovere il diaframma
metallico, il nastro si muove
perpendicolarmente rispetto alle linee di
flusso del campo magnetico.
Ciò induce nel nastro una corrente di
intensità ed ampiezza proporzionale
all’onda sonora.
9
A causa della lunghezza ridotta del diaframma a nastro (se paragonato
alla bobina mobile), la sua resistenza elettrica è dell’ordine di 0.2 Ω.
L’impedenza considerata è troppo bassa per essere connessa
direttamente ad un preamplificatore microfonico, e quindi si deve usare
un trasformatore elevatore per portare l’impedenza stessa ad un valore
accettabile, compreso tra i 150 e 600 Ω.

10
Recenti sviluppi nella tecnologia del microfono a nastro
Negli ultimi trent’anni, alcuni costruttori di microfoni hanno fatto grandi passi
avanti nella miniaturizzazione e nel miglioramento delle caratteristiche funzionali
dei microfoni a nastro.
Per esempio la Beyerdynamic ha progettato i modelli M260 e M160: nel caso
del M260, Beyerdynamic usa un magnete a terre rare per formare una
struttura magnetica abbastanza piccola da poter stare in una griglia sferica di 2’’ di
diametro - molto più piccola dei tradizionali microfoni a nastro, per esempio i tipi
RCA 44 o 77.
Il nastro, che è ondulato nel senso della lunghezza per conferirgli maggior
resistenza e più flessibilità alle estremità, ha spessore di circa 3 micron, larghezza
0,20 cm, lunghezza 2 cm e pesa solamente 0,312 mg. Un tubo di plastica è
fissato sopra il nastro e contiene un filtro antipop.
Due filtri addizionali e la griglia sferica riducono di molto il rischio che il
nastro venga danneggiato dal vento, rendendolo adatto per le riprese in esterni e
ad essere tenuto in mano.

Un altro sviluppo recente nella tecnologia dei microfoni a nastro è il microfono


a nastro stampato. In teorica, il nastro stampato opera nello stesso identico
modo del nastro tradizionale. Il diaframma è fatto di una sottile pellicola di
poliestere sulla quale viene stampato un nastro di alluminio a forma di
spirale. La struttura magnetica è data da due magneti ad anello in fronte a due
dietro al diaframma stesso; ciò provoca una cascata di flusso magnetico, che,
attraverso del nastro, induce in esso una determinata corrente elettrica.
11
Microfono a
condensatore
Il microfono a condensatore (electret) sfrutta le variazioni di capacità del
condensatore, realizzato con una lamina metallica o di plastica metallizzata
costituente l'armatura fissa del condensatore, ed una seconda, mobile (la
membrana).
Questo design microfonico si basa su un principio elettrostatico piuttosto
che elettromagnetico, come succede invece nel caso dei microfoni dinamici e di
quelli a nastro.
La capsula del microfono a condensatore, avendo caratteristiche di alta
sensibilità, si presta a prelevare suoni anche a grande distanza: per tale
uso è possibile accentuare le caratteristiche direzionali del microfono, montando
la capsula all'interno di tubi progettati e calibrati per ottenere determinate
interferenze additive e sottrattive.

Viene spesso impiegato nella sonorizzazione di molti film. Altri impieghi del
microfono a condensatore sono: conferenze, televisione (microfoni a cella per
cravatta) traduzioni simultanee ecc.
Il microfono a condensatore, il cui principio di funzionamento si basa sulla
variazione di un campo elettrico, per funzionare ha bisogno di una batteria di
alimentazione che viene utilizzata per generare il campo elettrico necessario.

12
La sua figura polare può essere omnidirezionale, bidirezionale (cosiddetta
"figura 8") o unidirezionale (cardioide, supercardioide, ipercardioide
e shotgun).

Il microfono a condensatore può essere ritenuto qualitativamente migliore perché


più sensibile ai transienti e alle sollecitazioni, tuttavia la capsula non ha un
grande rendimento per cui viene aggiunto nel corpo del microfono un
preamplificatore preposto ad alzare il livello del segnale generato, il quale
però necessita di essere alimentato (la capsula può essere invece prepolarizzata
nei microfoni electret).
Il preamplificatore rappresenta però anche il punto debole di un microfono a
condensatore perché se di bassa qualità può indurre saturazioni, distorsioni e
introdurre rumore (di solito è il preampli a determinare il massimo e il minimo
livello sopportabile dal microfono). L'alimentazione può essere separata o
viaggiare sul cavo del microfono (in questo caso detta phantom) e di solito è di 48
volt ma può essere specifica per ogni microfono (da 5 a svariate centinaia di volt
per quelli a valvola).

Uno dei costruttori storici più apprezzati è Neumann. L'esperienza


cinquantennale di questa casa nella trasduzione elettromeccanica del suono fa sì
che venga preferita nella scelta dei microfoni da utilizzare negli studi di
registrazione. Alcuni modelli di questo produttore, la cui attività risale agli anni 40,
sono contrattati come pezzi storici, da appassionati collezionisti.

13
La testa o capsula del microfono a condensatore consiste di due lamine molto sottili, una fissa
ed una mobile, dette armature.
Queste due lamine formano un capacitore (in origine chiamato condensatore, da cui il nome di
microfono a condensatore).
Un capacitore è un dispositivo elettrico in grado di immagazzinare una carica elettrica; l’ammontare della
carica che un capacitore può immagazzinare è dato dal valore della sua capacità e dalla tensione
applicata, secondo la seguente equazione:
Q = CV
Q è la carica elettrica in coulomb
C è la capacità elettrica, in farad
V è la tensione, in volt

La capacità della capsula è determinata dalla superficie delle due lamine, dal dielettrico, cioè la
sostanza presente fra le lamine (che nel nostro caso è l’aria), e dalla distanza fra le lamine stesse (che
varia a seconda della pressione sonora).
Perciò, le lamine della capsula di un microfono a condensatore formano un
capacitore sensibile alle variazioni di pressione sonora.

14
Nel design più usato dai costruttori, le lamine sono collegate ai poli di un alimentatore in continua, che
fornisce una tensione di polarizzazione per il capacitore (la Phantom). Gli elettroni sono portati via dalla
lamina connessa con il polo positivo dell’alimentatore e attraversano un resistore di grande valore fino
alla lamina connessa con il polo negativo dell’alimentatore. Tale processo continua fino a che la carica
presente nella capsula (cioè la differenza fra il numero di elettroni presenti sulla lamina caricata
positivamente e quelli presenti sulla lamina caricata negativamente) sia uguale alla capacità della capsula
per la tensione di polarizzazione. Quando si raggiunge questo equilibrio non scorre più una corrente
apprezzabile attraverso il resistore. Se il microfono è raggiunto da un’onda di pressione sonora, la
capacità della capsula varia. Se la distanza fra le lamine diminuisce, aumenta la capacità; viceversa se la
distanza aumenta, diminuisce la capacità.
Secondo la precedente equazione, Q, C e V sono interrelati fra di loro; quindi se la carica Q è costante e
la pressione sonora fa variare la capacità del diaframma C, la sua tensione V cambierà in maniera
proporzionale.

15
Insieme con la capacità delle lamine, un resistore di alto valore dà una costante di tempo del circuito
maggiore del ciclo di qualsiasi frequenza audio. (La costante di tempo di un circuito è proporzionale al
tempo necessario al circuito stesso per caricarsi o scaricarsi).
Dato che il resistore previene variazioni della carica del condensatore che siano causate dai rapidi
cambiamenti in capacità dovuti alla pressione sonora applicata, la tensione presente nel capacitore varia
in base alla formula V = Q/C.
Il resistore e il capacitore sono in serie con l’alimentazione, così che la somma delle rispettive tensioni
eguaglia quella di alimentazione. Quando varia la tensione ai capi del capacitore, cambia in maniera
eguale la tensione ai capi del resistore - ma con segno opposto. La tensione ai capi del resistore diventa
quindi il segnale in uscita.

16
Dato che il segnale al di fuori del diaframma ha un’impedenza molto alta, il
capacitore è alimentato mediante un amplificatore a conversione di
impedenza, posizionato nella circuiteria il più vicino possibile al diaframma
(spesso 2’’ o meno).
Tale amplificatore è messo all’interno del corpo del microfono in modo da
prevenire i ronzii, la ripresa di rumori e la perdita di livello del
segnale che altrimenti si verificherebbero.
Questo è un altro dei motivi per cui un microfono a condensatore necessita
di un’alimentazione per funzionare (phantom, pila etc).

Anche se la maggior parte dei microfoni attualmente in uso ha un FET


(transistor ad effetto di campo) per diminuire l’impedenza della capsula, alcuni
design più vecchi e di gran fama (e i nuovi rifacimenti di tali modelli) usano
delle valvole a gas rarefatto messe all’interno della capsula.
Questi microfoni di solito sono molto apprezzati dagli studi o dai collezionisti
per il loro suono valvolare; generalmente danno una piacevole colorazione
tonale, risultante dal design stesso (spesso hanno un’intelaiatura più ampia e
una chiusura a griglia a rete) e dalla distorsione degli armonici pari,
oltre ad altre caratteristiche che si incontrano quando si usano le valvole.

17
condenser vs dynamic

18
Caratteristiche
Microfoniche

19
La risposta direzionale
La risposta direzionale di un microfono si riferisce alla sua sensibilità (cioè livello di uscita) per diversi
angoli di incidenza del suono rispetto all’asse centrale (frontale) del microfono stesso:

Tale grafico, noto come diagramma polare o risposta polare del microfono, è usato per definire
graficamente la sensibilità del microfono rispetto alla direzione di provenienza e alla frequenza di un
suono, su 360°.

20
La direzionalità di un microfono può essere classificata in due tipi fondamentali:
- risposta polare omnidirezionale
-risposta polare direzionale

Il microfono omnidirezionale è un dispositivo sensibile alla pressione; il suo diaframma reagisce in


maniera eguale a tutte le variazioni di pressione sulla sua superficie, senza operare discriminazioni basate
sulla posizione della sorgente. Il tipo di ripresa che mostra caratteristiche direzionali è detta a
gradiente di pressione; ciò significa che il sistema è sensibile alle differenze di pressione fra le due
facce del diaframma.

21
Un microfono a gradiente di pressione assoluto ha un diagramma polare bidirezionale detto “a
coseno” o a “figura a 8”.
La maggior parte dei microfoni a nastro ha diagramma polare bidirezionale; dato che il diaframma del
microfono a nastro è esposto alle onde sonore sia sull’asse anteriore che su quello posteriore, esso è
sensibile in maniera eguale ai suoni provenienti da entrambe le direzioni.

22
I suoni provenienti posteriormente rispetto al diaframma danno una tensione che è di 180° fuori fase
rispetto al segnale in asse equivalente. I suoni provenienti da 90° fuori asse producono una pressione
eguale in valore ma opposta per entrambe le parti del nastro e quindi si cancellano sul diaframma, dando
come risultato un segnale nullo.

Sorgenti sonore in asse e a 90°


fuori asse rispetto al
diaframma di un microfono a
nastro.

a) il nastro è sensibile ai suoni


provenienti anteriormente e
posteriormente

b) Onde sonore provenienti


da 90° fuori asse

23
La figura qui sotto illustra graficamente come l’output di un bidirezionale (a gradiente di pressione) e
di un omnidirezionale (a pressione) possano essere combinati per ottenere diversi altri diagrammi
direzionali (e, in effetti, se ne possono avere un’infinità).

I diagrammi risultanti più noti sono il cardioide, il supercardioide e l’ipercardioide.

24
Il microfono a bobina mobile può dare una risposta di tipo cardioide se presenta una apertura nella
parte posteriore della sua capsula; essa serve da labirinto acustico per creare un ritardo o
resistenza acustica. Un feltro leggero o un foglio di nylon sono spesso usati per attenuare la
risonanza del diaframma su tutte le frequenze.
Nella figura (a) è raffigurato un microfono dinamico con risposta cardioide che riceve un segnale sonoro
in asse (a 0°).
In realtà il diaframma riceve due segnali: quello incidente
frontalmente e quello posteriore in ritardo. In questo caso il
segnale in asse esercita una pressione positiva sul diaframma
e si porta anche a 90° verso l’apertura laterale, dove viene (a)
ritardato di altri 90° (trovandosi così sfasato di 180° nella
parte posteriore del diaframma).
Durante tale periodo di ritardo, il segnale in asse comincia
ad esercitare una pressione negativa sul diaframma,
venendosi a trovare ora in fase con il segnale posteriore
ritardato.
Dato che le pressioni esistenti sulle due opposte facce del
diaframma sono in fase, si ha un ben preciso segnale in
uscita.
La figura (b) mostra un suono che si origina a 180° fuori (b)
asse rispetto al microfono. Il segnale si porta a 90°
lateralmente al microfono ed entra nel labirinto di ritardo,
venendo quindi ritardato di altri 90° (in totale 180°). anche
il suono che colpisce la parte frontale del diaframma è stato
ritardato di 180° (a causa del tempo necessario per girare attorno all’elemento di ripresa) ed è perciò
acusticamente fuori fase rispetto alla parte posteriore del diaframma.
25
Ciò si traduce in una serie di cancellazioni acustiche, e quindi il segnale in uscita sarà nullo o molto
basso.
L’attenuazione di tale segnale fuori asse, rispetto a un segnale in asse dello stesso valore, è nota come
discriminazione fronte - retro di un microfono ed è espressa in decibel.
In molti microfoni a condensatore, tramite un interruttore, si può passare da un diagramma a un altro; è
un’operazione di tipo elettrico che si serve di un sistema di capsula a doppia membrana montata
attorno ad una lamina centrale (figura sotto).
Se la configurazione di queste capsule è in fase elettricamente, si ha un diagramma polare
omnidirezionale; se sono configurate fuori fase, si ha un diagramma bidirezionale. Le variazioni comprese
fra questi due stati (ottenibili in modo continuo o a scatti prefissati) danno altri diagrammi, come il
supercardioide e l’ipercardioide.

26
La risposta in frequenza
La curva di risposta in frequenza di un microfono è la misurazione del suo output su tutto lo spettro
dell’udibile, dato un segnale in ingresso costante in asse. Tale curva, che è rappresentata graficamente
come livello di uscita (in decibel) rispetto alla frequenza, dà informazioni importanti e indica come un
microfono reagisce a determinate frequenze.

Un microfono può essere progettato per


rispondere in maniera eguale a tutte le
frequenze. In questo caso si dice che ha una
risposta in frequenza piatta (flat).

Altri microfoni possono essere disegnati


per enfatizzare o attenuare la risposta nella
parte alta, nella parte media o in quella
bassa dello spettro audio.

27
Le curve di risposta in frequenza della figura a pagina precedente, sono basate su misurazioni in asse e
mostrano risposte di segnali accettabili.
Alcuni design, comunque, danno risposte più che irregolari se usano misurazioni
fuori asse.

Questa colorazione del segnale può diventare molto evidente quando il microfono opera in una zona
in cui i suoni fuori asse (sotto forma di dispersione) raggiungono l’elemento di ripresa, traducendosi in
un cambiamento delle caratteristiche timbriche. La risposta in frequenza fuori asse di un microfono (che
indica la fedeltà del microfono nel riprendere suoni fuori asse) può essere rappresentata graficamente
assieme alla curva in asse (come si può vedere nelle curve di risposta tratteggiate delle figure a pagina
precedente e nella curva di risposta fuori asse della figura a pagina successiva.

28
Caratteristiche di risposta in frequenza alle basse frequenze
Alle basse frequenze, il rimbombo di sottofondo (dato da vibrazioni di alto livello nella regione
compresa fra i 3 Hz e i 25 Hz) può essere trasmesso in uno studio o in una sala, oppure attraverso la
superficie di un pavimento grande e non opportunamente costruito.
Si può eliminare questo effetto indesiderato in uno qualunque dei tre modi seguenti:

1. usare una gabbia elastica (shock


mount) per isolare il microfono dalle
vibrazioni provenienti dal pavimento e
dall’asta;

2. usare un microfono che abbia una


limitata risposta in frequenza alle basse;

3. diminuire l’ampia risposta in


frequenza di un microfono mediante
l’uso di filtri taglia basso (rolloff).

29
Effetto prossimità
Un altro fenomeno che si verifica nella maggior parte dei microfoni direzionali è noto come
l’effetto prossimità.
Esso provoca un incremento nella risposta alle basse frequenze man mano che la sorgente sonora si
avvicini al microfono; si nota moltissimo quando la sorgente sia a meno di 30 cm rispetto al microfono
stesso. Questo effetto di incremento alle basse aumenta proporzionalmente alla diminuzione della
distanza, ed è, in un certo modo, maggiore per microfoni bidirezionali rispetto a microfoni con
diaframma cardioide.

Per compensare questo effetto sui microfoni è spesso presente un filtro che tagli le basse frequenze:
esso riporta la risposta alle basse frequenze ad una curva di risposta piatta e ad un bilanciamento che
suoni più naturale; di solito lo si mette in funzione tramite un interruttore posizionato sul corpo del
microfono oppure tramite la sezione di equalizzazione di un mixer.
Un altro modo per eliminare l’effetto prossimità, e l’enfatizzazione delle lettere p e b dette plosive, è
quello di sostituire il microfono direzionale con un omnidirezionale (a pressione), se si sta attuando un
microfonaggio ravvicinato.

Tuttavia tale incremento nella risposta alle basse frequenze è molto apprezzato dai cantanti, i quali lo
sfruttano se hanno una voce piuttosto sottile, per ottenere una sonorità più piena e ingrossata
rispetto a quanto non sia nella realtà. In molti casi il microfono direzionale è quindi diventato una parte
fondamentale della sonorità voluta da un artista.

30
La risposta ai transienti
La risposta ai transienti costituisce un aspetto molto significativo, pur non rientrando ancora in un
sistema di misurazione standard.
La risposta ai transienti è la misura della velocità di reazione del diaframma di un microfono all’onda
sonora. Tale valore varia ampiamente a seconda dei microfoni ed è una delle ragioni fondamentali della
differenziazione di sonorità fra le tre tipologie più importanti di trasduttori.
Il diaframma di un microfono dinamico, che può essere abbastanza grande (fino a 6.5 cm), unito alla
bobina mobile, oppone una notevole massa se paragonata con l’intensità dell’onda sonora incidente.
Quindi un microfono dinamico può reagire molto lentamente ad un’onda sonora, dando un suono
duro.

In confronto, il diaframma di un microfono a nastro è molto più leggero, e quindi ha una risposta ai
transienti molto superiore (sempre che il nastro stesso sia in ottime condizioni di lavoro e non sia
deformato da un uso errato). Anche il microfono a condensatore ha un diaframma estremamente
leggero, il cui diametro varia da 0.6 a 6.5 cm, con uno spessore di circa 0.00375 cm.
Ciò significa che il diaframma stesso offre una resistenza meccanica molto piccola all’onda di pressione
sonora, permettendogli quindi di seguire l’onda stessa accuratamente lungo tutto lo spettro delle
frequenze.

31
32
Caratteristiche di uscita
Le caratteristiche di uscita di un microfono si riferiscono alla misura della sua sensibilità, del rumore
equivalente, delle caratteristiche di distorsione, di impedenza e altri tipi di risposta in uscita.

Valutazione della sensibilità:


Può essere definita come il livello in uscita (in volt) che un microfono produce, dato un livello in ingresso
specifico e standardizzato (espresso in dB SPL). Tale specific