Domenica scorsa Zîna non aveva troppa voglia di fare i compiti di matematica. A un certo punto, furiosa, mi ha detto che non
poteva. Nicuşor, un bambino di sei anni, l’ha sentita e le ha detto: “Non esiste ‘non posso’, esiste solo ‘non voglio’”.
Oana se ne sta ancora seduta vicino a noi, tutta presa dal suo libro. Nicuşor è felicissimo perché ha imparato a fare le
addizioni fino a venti e le sottrazioni a una cifra. Zîna corruga la fronte e comincia a leggere da capo. Arriva alla fine senza fare
errori. In Romania le cose miglioreranno. E questa trasformazione avverr{ nonostante la classe politica. L’importante è voler
cambiare il paese. Che si possa fare, questo è certo. La conferma ce l’ho davanti ogni settimana quando lavoro con i bambini di
Ferentari.
Un giorno ho conosciuto una ragazza e abbiamo avuto una lunga conversazione. Abbiamo parlato del
più e del meno e mi sembrava davvero una persona piacevole e interessante. Le ho raccontato che
collaboravo come volontaria in un centro diurno con bambini che vivevano situazioni di estrema
marginalità sociale e a rischio di abbandono scolastico. In quel periodo ero particolarmente
soddisfatta perché attraverso le attivit{ di educazione non formale e i giochi che l’educatrice
proponeva nel centro, alcuni dei bambini che pochi mesi prima non conoscevano l’alfabeto gi{ stavano
imparando a leggere e scrivere. L’ho raccontato a quella ragazza con immensa gioia ma lei, quando ha
capito che avessi a che fare con dei rom, ha immediatamente cambiato espressione del viso. Mi ha
detto più volte di ammirarmi per la scelta coraggiosa che avevo fatto ma non capivo bene cosa volesse
dire. Per me il coraggio è uno stato d’animo che viene fuori da situazioni di pericolo, aiutando a
superarle e affrontarle. Io invece ero semplicemente lì per intraprendere un percorso di crescita
personale, per offrire un sorriso, per far sapere a quelle persone che avrebbero potuto contare su di
me nel momento del bisogno. E giorno dopo giorno, ricevevo in cambio tanta di quella gratitudine e di
quell’affetto sincero e incondizionato.
La ragazza poi è andata avanti col discorso, spiegandomi bene a cosa si riferisse. Secondo lei il mio era
un coraggio che mi rendeva cieca, inconsapevole della realtà dei fatti. Quei bambini avrebbero
sicuramente lasciato la scuola a un certo punto della loro vita. Le bambine avrebbero fatto figli già in
età adolescenziale, trovandosi costrette a stare in casa e accudirli. I bambini invece avrebbero seguito
l’esempio dei loro padri e a un certo punto sarebbero diventati dei criminali e avrebbero passato il
resto della loro vita in carcere. Era così che funzionava secondo lei, e si trattava di un circolo vizioso
senza fine.
Io non ho mai pensato che le condizioni di questi bambini sarebbero cambiate nel giro di poco tempo o
che tutto si sarebbe risolto semplicemente con l’aiuto di associazioni pronte a offrire loro un supporto.
Non ho mai pensato di avere il potere di stravolgere le loro vite e di renderle perfette e senza la
presenza di ostacoli. Se così fosse, allora i problemi nel mondo si potrebbero affrontare con troppa
facilit{. La realt{ è un’altra. Di certo noi volontari avevamo un atteggiamento positivo e una forte
motivazione, e i risultati c’erano, ma è anche vero che il primo punto di riferimento per dei bambini è
sempre la famiglia e i modelli da seguire sono i genitori. È normale che sia così, soprattutto nel caso dei
rom, per i quali la famiglia è importantissima e contribuisce fortemente alla costruzione delle identità
dei componenti.
È chiaro che con quei discorsi la tendenza era di generalizzare forzando in una categoria le tipiche
caratteristiche associate ai rom. Ed è proprio questo l’esempio di un episodio che ci porta a ragionare
attraverso una concezione binaria della realtà e ha come conseguenze una visione limitata e un forte
timore per il “diverso”.
Questa entità del “diverso” ci confonde con la sua presenza e minaccia creando caos nell’ordine delle
nostre categorizzazioni. “Lo straniero finisce quando ci riconosciamo tutti stranieri”; niente è più vero
considerando che è impossibile parlare di autenticità. Anche se proviamo un senso di appartenenza
per un luogo, ciò non determina in maniera assoluta la nostra identità. Esso appare come una traccia
che si mescola continuamente al flusso delle storie che fanno parte del nostro vissuto. Attraverso il
pensiero critico si vuole quindi riscrivere la memoria del passato utilizzando un approccio
postcoloniale. Con la visione binaria si è stati solo in grado di costruire monologhi, non dialoghi con
l’altro, senza comprenderne minimamente i vari punti di vista.
Bibliografia
Chambers, I., 1994, Migrancy, culture, identity, London, Routledge; trad. it. 2003, Paesaggi migratori.
Culture e identità nell’epoca postcoloniale, Roma, Meltemi Editore.
Marcu, O., 2014 Malizie di strada. Una ricerca azione con giovani rom romeni migranti, Milano, Franco
Angeli.
Villa, E., Evoluzione socio-culturale dei Rom di Romania dal periodo interbellico al regime comunista,
disponibile da www.balcanicaucaso.org