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Penalizzazione rispetto ai distretti industriali del Nord

Nei modelli neoclassici, nell’ipotesi in cui siano presenti rendimenti decrescenti e completa
mobilità dei fattori produttivi, la tecnologia sia un bene pubblico (no brevetti), ci dovrebbe essere
una naturale propensione alla convergenza (diminuzione
disuguaglianze territoriale), poiché si dovrebbero spostare
i fattori produttivi dove sono meno presenti, per la legge
del rendimento marginale, quindi nelle regioni meno
sviluppate. Nella pratica ciò non accade ma anzi si verifica
il fenomeno opposto. Si spostano (investono) capitale e
lavoro dove sono più utilizzati e la produttività marginale
può diventare crescente per una serie di fattori che si
verificano nei distretti industriali: esternalità positive
riguarda la tecnologia e la conoscenza, presenze di piccole
economia di scala che permettono di avere costi medi
decrescenti e maggiore capitale sociale.
Questo fenomeno fa aumentare la divergenza fra le regioni
del paese. Infatti i distretti industriali meridionali nel 2011
erano solo il 13,5% ed occupava il 6% degli addetti totali

Keynes e la trappola della povertà

Nell’interpretazione Keynesiana il ritardo economico di alcune regione è legata essenzialmente ai


bassi livelli di consumi individuali, legati alla scarsità reddito, che comportano un livello di
domanda aggregata inferiore all’equilibrio di piena
occupazione. Un livello basso di domanda effettiva genera
così, seguendo il modello dell’economia circolare, prezzi e
livelli di offerta inferiori che vanno a ridurre ulteriormente il
reddito individuale e la domanda, poiché le aziende
aspettandosi l’ammontare della domanda ridurranno la
produzione e quindi anche la distribuzione dei redditi fra i
lavoratori attraverso i salari, facendo così aumentare la
disoccupazione. Questo circolo vizioso prende il nome di
Causazione cumulativa o “trappola della povertà”. Per
interrompere il circolo Keynes individua nelle politiche
economiche espansive, come il sostegno ai redditi individuali,
il miglior strumento per creare uno shock esogeno e portare
l’economia della regione al livello di piena occupazione.
Il quadro economico precedente è conforme a questo impianto teorico, alti tassi di disoccupazione e
basso reddito pro capite, ma le soluzioni di politica economica di matrice keynesiana non si sono
sempre dimostrate efficaci.

Mancanza di Capitale Sociale

Oltre ai classici fattori produttivi (capitale fisico e umano), negli ultimi 30 anni si è andato ad
affermare una nuova categoria interpretativa, ossia il capitale sociale. La definizione che ne da
Putnam è “l’insieme di fiducia, norme e reti in grado di migliorare l’efficienza della società”, quindi
un indicatore della salute civica, della propensione alla cooperazione e all’azione collettiva.
Un elevato accumulo di capitale sociale permetterebbe una maggiore efficienza del sistema
economico poiché ,oltre a ridurre i costi di transazioni, ha degli effetti sui vari agenti economici:

• Sugli individui.- Più elevate dotazioni di capitale sociale si associano a una più elevata
produttività del lavoro, a una maggiore propensione a svolgere attività di tipo
imprenditoriale. Il ritardo del sud è attribuibile ad una mancanza di capitale sociale che si
manifesta in norme sociali che incoraggiano forme di lassismo e/o potrebbe associarsi a un
cattivo funzionamento della Pubblica amministrazione, in un modello culturale in cui i
principali legami sociali sono quelli di tipo familiare e, in questo ambito, prevarrebbe un
modello familiare tradizionale caratterizzato da una forte sproporzione a sfavore delle donne
del carico dei lavori domestici, riducendo così la partecipazione delle donne nel mercato del
lavoro, come i dati dell’Istat ci riportano (solo 1/3 delle donne meridionali lavora, contro i
2/3 del centro-nord)

• Effetti sulle imprese. – Elevato capitale sociale permette di creare sia relazioni con industrie
geograficamente vicini, come nei distretti industriali, e anche di aumentare la dimensione
dell’impresa, facendo aumentare quindi anche gli investimenti in ricerca e la conoscenza
tecnologica, come osservato da Cingano e Pinotti (2009) ,con riferimento sia ai paesi OCSE
sia alle regioni italiane. Inoltre permetterebbe una accesso facilitato al mercato del credito,
poiché essendoci fiducia maggiore da parte del creditore che venga ripagata l’obbligazione
ridurrebbe i tassi di interesse, dovendo sostenere un minor rischio di insolvenza.

• Effetti sul settore pubblico. – La propensione all’azione collettiva e alla partecipazione alla
vita politica presenti in una società. Queste, a loro volta, costituiscono una forma di
controllo e di pressione sulla classe dei decisori politici il cui operato viene valutato ed
eventualmente sanzionato attraverso la mancata rielezione.
Giordano et al. (2009) verificano empiricamente questo meccanismo, mostrando come
l'efficienza del settore pubblico è direttamente collegato con i tassi di partecipazione
elettorale. Infatti, l’efficienza del settore pubblico nel Mezzogiorno è inferiore di quasi un
quarto rispetto a quella del Centro Nord.

Misurare il capitale sociale in italia


La natura multidimensionale del concetto di capitale sociale si riflette su alcune difficoltà legate alla
sua misura. Non ne esiste infatti una sola e comunemente accettata e, solitamente, si ricorre a
diversi indicatori ciascuno dei quali, singolarmente preso, coglie solo alcuni aspetti ed è quindi
probabilmente parziale. Le misure “macro” disponibili possono essere raggruppate, in quattro
classi:
1. indicatori di partecipazione politica come, per esempio, il grado di partecipazione elettorale;
2. indicatori di partecipazione civile come l’incidenza dell’associazionismo o la diffusione
delle donazioni di sangue;
3. indicatori relativi alle reti sociali come quelli volti a misurare l’ampiezza delle reti amicali;
4. indicatori relativi alla fiducia, cioè alla propensione a fidarsi degli altri .

Carenze istituzionali e giuridiche

La risposta neoclassica di Lutz alla questione meridionale individua nella carenze nei fattori di
natura istituzionale, alti tassi di criminalità e mancanza di infrastrutture. Infatti gli operatori, anche
incondizioni operative ottimali, (rendimenti marginali decrescenti e di libertà nella circolazione dei
fattori) preferiscono spostare i fattori produttivi dove i rendimenti marginali attesi sono maggiori, i
quali risentono del capitale sociali e delle difficoltà istituzionali.
In Italia i tempi di realizzazione delle opere pubbliche sono lunghi ovunque, ma lo sono ancor più
nel Mezzogiorno a causa di attività accessorie, quali iter autorizzativi e burocratici, di pertinenza
delle Amministrazioni locali. Le opere incompiute, più numerose al Sud che al Centro Nord,
riguardano in gran parte infrastrutture sociali – plessi scolastici, centri sportivi, strutture ospedaliere
– di pertinenza degli Enti locali. Il fenomeno è di
dimensioni rilevanti: dei 647 progetti che nel 2017
risultavano avviati e non completati 26, il 70 per cento è
localizzato al Sud, per un valore totale di 2 miliardi. In più
casi lo stallo è dovuto alla mancanza di fondi. Inoltre gli
investimenti pubblici statali sono sistematicamente
inferiori rispetto al nord e nel decennio 2006-2016 è
diminuita del 3,6%. La dotazione di infrastrutture al Sud è
inferiore a quella del Centro Nord in termini sia
quantitativi sia qualitativi19. Il divario è ampio in settori
cruciali per l’attività economica. Nel campo dei trasporti
le regioni meridionali presentano un’estensione della rete autostradale e ferroviaria, in rapporto alla
popolazione, assai inferiore a quella del resto del Paese. Il divario si accentua se si considera la
velocità dei collegamenti

Mafia ed economia sommersa

La mafia è fenomeno radicato nel meridione dalla epoca borbonica, sviluppandosi enormemente nel
secondo dopoguerra fino al rallentamento dovuto ai procedimenti giudiziari iniziati negli anni 80 in
buona parte del meridione, in particolar modo in Sicilia con il Maxiprocesso di Palermo. Ancora
oggi il fenomeno mafioso incide sull’economia nazionale. Secondo i numeri diffusi dal procuratore
nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho. Gli affari delle mafie in Italia “ammontano a 420
miliardi in un anno (oltre il 20% del pil). 220 miliardi riguardano l’economia sommersa, di cui 97
miliardi di sole tasse evase. Nel dettaglio circa 60 miliardi per i traffici di droga, 20 miliardi di
abusivismo edilizio, 9 miliardi dalle estorsioni. Per capire la grandezza dei numeri il Pil greco era
pari alla metà degli affari mafiosi (210 Miliardi nel 2021). Le problematiche principali sono:
• l’impossibilità di tassare le attività economiche illegali, le quali introducono beni di
demerito per l’intera società come droga ed armi.
• l’alta evasione fiscale del riciclaggio mafioso, pregiudicando le basi imponibili
dell’imposizione fiscale.
• Il mancato sviluppo economico territoriale legato a fenomeni come l’estorsione e l’usura, i
quali danno alle mafie un potere contrattuale (power syndicate) tale da impadronirsi delle
attività economiche e controllare la società, espandendosi ulteriormente.
• La sostituzione del mercato del credito e degli investimenti che ha permesso a molti gruppi
criminali di agire come banche sui territori grazie alla liquidità di cui esse dispongono,
impedendo uno sviluppo legale e sostenibile, essendo i tassi di interesse molto più alti
rispetto a quelli bancari.
• L’espansionismo mafioso verso le aree settentrionali del paese

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