economico e sociale. Le prime politiche per il Sud furono avviate all’inizio del Novecento dal
governo Giolitti, per poi essere messe da parte durante il fascismo. Per introdurre il problema
osserviamo la serie storica del rapporto fra il reddito pro capite medio del sud rispetto a quello del
nord.
Alla fine della seconda guerra mondiale il divario economico tra Sud e Centro Nord toccò il
massimo storico. L’attenzione si riaccese dopo la Liberazione, grazie a meridionalisti quali
Saraceno, Giordani, e il Governatore Menichella. Nei primi anni cinquanta gli interventi per il
Mezzogiorno si concentrarono sulle infrastrutture e sull’industria. Negli anni sessanta assunsero
importanza le imprese a partecipazione statale, con impianti nell’industria pesante. Fu questo il
periodo di massima convergenza tra le due aree del Paese. Il PIL pro capite del Mezzogiorno in
rapporto a quello del Centro Nord aumentò dal 55 per cento degli anni cinquanta al 65 di metà anni
settanta . Da allora la convergenza si è interrotta. Gli interventi di industrializzazione, gravati da un
uso politico delle partecipazioni statali, persero incisività . Con il primo shock petrolifero più settori
dell’industria pesante entrarono in crisi; gli investimenti pubblici si ridussero; le svalutazioni della
lira sostennero soprattutto le imprese esportatrici del Centro Nord. Negli anni ottanta la politica per
il Mezzogiorno perse visione strategica .Nel 1992 fu soppresso l’intervento straordinario e
smantellata la Cassa per il Mezzogiorno. Le nuove politiche di coesione dell’Unione Europea non
hanno modificato il trend negativo iniziato dagli anni settanta. Dopo decenni di interventi, a causa
del crisi finanziaria del 2008 anche il ritardo del Mezzogiorno rispetto al Centro Nord in termini di
PIL pro capite è oggi maggiore rispetto agli anni settanta.
Dopo 150 dall'unità d' Italia il ritardo economico del meridione è ancora ampio rapportato al resto
del paese. Esaminando le varie disuguaglianze in termini produttivi considerando che nel
mezzogiorno soggiorna un 1/3 della italiana si riscontra che il pil del meridione in termini assoluti
equivale a un 1/4 di quello del paese e a 1/5 del Pil privato. Le esportazione delle aziende
meridionali pesa solo l'8,6% nella bilancia commerciale. Evidente quindi il divario economico
produttivo del mezzogiorno in confronto al resto dell’Italia.
Si concentra il 45 dei disoccupati italiani e oltre i 2/3 dei cittadini in povertà relativa, ovvero coloro
che hanno come reddito la metà del reddito medio del paese. La popolazione in povertà assoluta si
concentra per un 50% nel meridione. La percentuale di famiglie che si trovano in povertà nel
meridione è pari 10% ,nel settentrione 7% secondo le stime ISTAT. In questo caso povertà assoluta
intesa come la mancanza di un reddito tale da potersi permettere le spese minime per una vita
accettabile. Numero di disoccupazione nel 2020 era il poco oltre il 60 % composta da disoccupati di
lungo periodo *disoccupati da 12 mesi. La disoccupazione causa perdita di autostima aumento delle
difficoltà di trovare occupazione a causa di erosioni di capacità professionali, danni alla salute la
deprivazione materiale, esclusione sociale e il costo del proprio sostentamento in assenza di un
reddito. Il reddito pro capite delle regioni meridionali da allora oscilla tra il 55 e 60 per cento di
quello medio delle altre aree. Reddito individuale del meridione in media il 26% inferiore rispetto al
resto del paese.
Sanità
Diseguaglianze, disparità di accesso, illegalità. Sono molti i fattori che fanno sì che la sanità
meridionale sia anch’essa “una questione nella questione” che non può più essere evitata. Proprio
sul fronte Servizi Sanitari Regionali (SSR), si registrano le valutazioni di alcuni progetti che si
prefiggono di misurarne la performance. Per il CREA Sanità dell’Università di Tor Vergata, la misura
della performance complessiva ottenuta considerando un valore pari a uno che rappresenta un sistema
“ottimale”, va da un massimo di 0,83 della Regione Toscana ad un minimo 0,21 per la regione
Campania. A cinque SSR è stato attribuito un valore inferiore a 0,5: Sardegna, Molise, Puglia, Calabria
e appunto Campania. E anche il “Bersaglio” del Laboratorio Management e Sanità della Scuola
Superiore Sant'Anna di Pisa segna molto spesso “rosso” per le regioni meridionali, confermando la
estrema variabilità nazionale e lo scarto Nord-Sud Italia. Timori fondati se si pensa che sia secondo
i dati dello stesso Censis che dell’Istat una quota sempre maggiore di cittadini deve rinunciare a
prestazioni sanitarie(visite specialistiche, accertamenti diagnostici, interventi chirurgici, acquisto di
farmaci) a causa di motivi economici o per carenze dell’offerta. Il dato che si riferisce all’anno 2013
mostra che al Nord la percentuale non supera in genere il 5,5% mentre nelle regioni meridionali la
percentuale è invece spesso superiore al 13%.L’alternativa rimane spesso quindi l’emigrazione
sanitaria. Le analisi del Cergas Bocconi sul fenomeno della mobilità sanitaria (dati 2011) che mettono
in relazione i tassi di attrazione e fuga delle Regioni italiane individuano la Lombardia, l’Emilia-
Romagna, la Toscana ed il Veneto come le realtà maggiormente attrattive, mentre Calabria, Sicilia,
Campania e Sardegna sono quelle con un alto tasso di fuga. Un altro indicatore per capire le
disuguaglianza è la speranza di vita media. L’Aspettativa di vita in Italia cresce, ma ad un ritmo
sempre più basso. Certo, siamo uno dei Paesi con l’aspettativa di vita più alta del mondo e le differenze
territoriali sono minime, ma se si considera la speranza di vita in buona salute alla nascita (ovvero
quanti anni un individuo che nasce oggi può aspettarsi di vivere in buona salute), il gap è
pari a 3,4 anni (poco più di 61 al Nord rispetto al 57,2 del Sud).
I tassi di istruzione sono fondamentali per capire il futuro del capitale umano di una
regione e delle esternalità positive che la scolarizzazione può portare, oltre che al singolo,
anche alla collettività, come un maggior sviluppo economico e sociale.
Per permettere che venga consumata la quantità efficiente per il benessere sociale lo
stato in Italia finanzia interamente il sistema scolastico. Nonostante i finanziamenti siano
mediamente uguali su tutta la penisola (inferiori al sud solo per le infrastrutture
scolastiche) le disuguaglianze fra nord e sud sono ancora marcate:
• Quantitative:Una primissima idea dei divari territoriali in termini di capitale umano può
essere desunta guardando all’incidenza, nella popolazione residente, di quanti abbiano titoli
di studio elevati l’indagine sulle forze di lavoro dell’Istat segnala che nel 2009 i laureati
erano pari al 15,5 per cento del totale nel Centro Nord e al 12,6 nel Mezzogiorno; i
diplomati – inclusi quelli che avevano completato i nuovi corsi professionali e di arte di
durata inferiore ai 5 anni – rappresentavano, rispettivamente, il 42,4 e il 33,7 per cento;
quelli con licenza elementare o senza titolo di studio il 10,1 e il 17,1 per cento. L’incidenza
in assoluto di diplomati e laureati è ovviamente più alta3 , ma i divari geografici restano
ampi: al Centro Nord è più elevata, di oltre 5 punti percentuali, sia la quota di laureati sia
quella di diplomati; nel Mezzogiorno, ancora il 5 per cento circa della popolazione tra i 25 e
i 34 anni ha al massimo la licenza elementare (2 per cento al Centro Nord). Vi sono almeno
altri due aspetti significativi dei divari nella frequenza delle attività scolastiche nelle due
macroaree del paese. Il primo attiene alla distribuzione degli studenti tra i diversi indirizzi
delle scuole secondarie di secondo grado, che nel Mezzogiorno tendono a preferire, seppur
di poco rispetto al resto del paese, i licei. Queste tendenze si riflettono anche nella
condizione dopo il diploma: i giovani diplomati meridionali si iscrivono con maggiore
frequenza all’università, più raramente sono occupati e quando lo sono godono di condizioni
lavorative peggiori. Nel complesso, la scuola post-obbligo nel Mezzogiorno è poco inclusiva
e con scarso raccordo con il mercato del lavoro; ne risulta sbilanciata verso il conseguimento
di un titolo di studio più “accademico” che ha una rilevante componente di consumo
culturale ed è spesso inteso quale pura credenziale per l’accesso all’impiego pubblico,
piuttosto che come strumento di accrescimento di capitale umano spendibile sul mercato del
lavoro.
• Qualitativi.Le evidenze disponibili sono quelle delle rilevazioni internazionali condotte con
riferimento agli scolari della quarta elementare e della terza media inferiore nonché agli
studenti 15enni indipendentemente dalla scuola frequentata e dalle prove Invalsi. Tali
indagini hanno evidenziato non solo un ritardo medio dell’Italia (dalla media inferiore in
poi), ma anche una notevole ampiezza dei divari al suo interno, in particolare tra Nord e
Sud. Le disuguaglianze nelle materie di base sono sempre sempre più elevate al Sud, con un
divario geografico che cresce lungo il ciclo di vita . In sostanza, la scuola, in particolare nel
Sud, non sembra ridurre ma, anzi, ampliare i divari tra studenti derivanti dal background
familiare e dai fattori di contesto.
•
• Una prima, chiara indicazione è che le differenze di risultati tra le aree del paese non
sembrano immediatamente riconducibili alla quantità di risorse nel loro complesso le risorse
finanziarie spese al Sud siano tutt’altro che deficitarie. In effetti, e non solo con riferimento
al caso italiano, la letteratura esistente non fornisce al momento quantificazioni precise
dell’impatto che i diversi “fattori” hanno nel determinare il livello e l’evoluzione, lungo il
ciclo di vita, delle competenze degli studenti