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sez. PITTURA
IL CARAVAGGIO
schede di tecnica pittorica
I.S.A. PITTURA
Come dipingeva il Caravaggio
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La prima individuazione delle incisioni risale al Marangoni (1922-1923) che le
notò nel San Matteo e l’angelo della cappella Contarelli a San Luigi dei Fran-
cesi, nella Conversione di San Paolo della cappella Cerasi in Santa Maria del
Popolo, nella Madonna dei palafrenieri della Galleria Borghese e nella Santa
Caterina Thyssen.
In seguito il Longhi le indicò nella Conversione di San Paolo della collezione
Odescalchi, nel Sacrificio di Isacco degli Uffizi (1952) e nella Flagellazione di
Cristo di Rouen (1960), Richard Spear (1971) nel San Giovanni Battista di
Kansas City e G.L. Greaves e M. Johnson (1979) nella Conversione della
Maddalena di Detroit. Le ispezioni a luce radente sui dipinti esposti nel 1985 a
New York hanno consentito a Keith Christiansen e a Thomas M. Schneider di
accertare la presenza di incisioni in altre opere e di trarne delle considerazioni
generali sul metodo seguito dal Caravaggio.
Nei quadri del Merisi le incisioni - o graffiti o incisure, per usare la parola meno
equivoca del Longhi (1960) - sono tracciate a mano libera con il manico del
pennello o uno stilo o un punteruolo. Seguendo un sistema usato dai pittori, il
Caravaggio vi ricorse nelle rappresentazioni di oggetti in prospettiva. Nella
fase giovanile e nel periodo Del Monte usò il punteruolo anche per ricavare
nei bordi dei vestiti un disegno ornamentale dal tono sottostante. Ma la più
importante applicazione caravaggesca delle incisioni consiste nel fermare i
limiti e alcune linee direttrici delle figure sulla preparazione ancora fresca.
Diversamente dal metodo che le usava per trasferire i cartoni nell’affresco e
sui dipinti su tavola, meno frequentemente sulla tela, esse non hanno caratte-
re e significato stilistico e non dipendono da disegni preparatori, ma li
sostituiscono come meri elementi di riferimento per la posizione delle figure.
Nel 1960 il Longhi ha proposto che servissero “per fissare certi rapporti di
distanza tra le masse principali in modo da poter ritrovare ad ogni seduta la
giusta posa dei modelli in un dato viraggio di luce”. Lo Spear (1971), seguito
dal Moir (1985), ha pensato, senza entrare nel problema del processo
naturalistico, che il pittore le usasse per stabilire il rapporto tra le varie aree
della composizione. L’interpretazione del Longhi, che collega questo metodo
con la pratica del dipingere dal naturale, considerata dagli scrittori contempo-
ranei come l’aspetto più sensazionale della pittura del Caravaggio, è stata
accolta da Keith Christiansen, e di fatto concorda con le indicazioni offerte
dalle radiografie che evidenziano una prima fase naturalistica, diretta e
“ritrattistica”, dell’elaborazione sulla tela, a conferma dei referti del suo primo
biografo, Giulio Mancini. Questo procedimento è esclusivo del Caravaggio.
Quando vi sia, è una traccia sicura per distinguere un quadro originale da una
copia (Spear, 1971) e dall’opera dei seguaci (Christiansen, 1986). Ciò non
significa che in assenza delle incisioni si debba negare l’autografia
caravaggesca di un dipinto, ma, per converso, della loro presenza occorre
tenere il debito conto. E anche da notare che si poté verificare il loro totale o
parziale annullamento durante la stesura del colore; che non risulta che il
Merisi se ne sia servito - ed è comprensibile - quando doveva fare una sola
mezza figura, e che sembra probabile l’abbandono quasi totale di questa pra-
tica dopo la fuga da Roma. Quest’ultima constatazione concorda con la fon-
data impressione, a cui ho già accennato, che negli ultimi anni il Caravaggio
dipinse meno frequentemente dal modello.
L’uso delle incisioni non mi sembra gli sia derivato dalla tradizione lombarda.
Il Caravaggio apprese probabilmente questa pratica, facendone un impiego
ben diverso, nella bottega del Cavalier d’Arpino, dov’era usata largamente
per trasporre il disegno già elaborato mediante i cartoni sul muro pronto per
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l’affresco. La tela con la Diana cacciatrice dimostra che nella bottega arpinesca
si usavano le incisioni dal cartone per i dipinti su tela, come usava anche il
Barocci secondo l’affermazione del Bellori.
Il Caravaggio procedeva poi direttamente alla prima stesura del colore senza
l’ausilio del disegno, ma con un abbozzo di pennellate sommarie e costruenti,
assestate con sicurezza nel corso dell’esecuzione anche quando interveniva
con dei cambiamenti. Le tracce di questa fase preliminare affiorano alla su-
perficie e quando sono discordanti dalle soluzioni finali sono facilmente
avvistabili, grazie alle prime indicazioni di Thomas M. Schneider e di Keith
Christiansen.
Una più vasta decifrazione dell’abbozzo è tuttavia possibile attraverso le ra-
diografie che offrono “una lettura in più”. Le risposte sono talvolta imprevedibi-
li, e sempre feconde di nuovi apprendimenti sull’ideazione iniziale che doveva
essere chiara nella mente del pittore ed era sorretta dalla presenza del mo-
dello vivo, e sulla ratio ben riconoscibile dei processi esecutivi che governano
le variazioni prive di incertezza intervenute nel corso dell’opera. La distribuzione
e l’entità delle masse chiare sembrano variare col trascorrere del tempo per
ridursi negli ultimi anni a una traccia più sommaria, e la rapida stesura finale
va poco oltre l’abbozzo o si identifica addirittura con esso. Le parti più conser-
vate dell’estremo e straordinario Martirio di Sant’ Orsola sono esemplari di
questo processo di riduzione, che conferma al livello della superficie visibile la
struttura a fondamento pittorico delle opere del Caravaggio.
L’indagine radiografica conferma ancora che il Caravaggio modellava i nudi
per lo più mediante approssimazioni visive secondo la tradizione lombarda.
Un confronto tra lo scorcio visto in radiografia della spalla dell’uomo issato
sulla scala nel Martirio di Sant’ Andrea di Cleveland e l’analogo particolare
anatomico del San Gerolamo leggente del Moretto è utile per semplificare
questo aspetto fondamentale del metodo del Caravaggio. Sull’Incoronazio-
ne di spine di Prato Thomas M. Schneider ha fatto delle osservazioni che si
possono estendere a tutto il corpus radiografico del Merisi, accennando alla
piena padronanza della distribuzione delle ombre e delle luci già nella fase
preparatoria, che strutturalmente corrisponde allo strato Pittorico finale.
Appare evidente che i nudi furono dipinti dal vivo e modellati con un colore
costruente che talvolta, - mi riferisco per esemplificare al San Giovanni Bat-
tista Corsini e al San Gerolamo di Malta - possiede una tridimensionalità
scultorea, mentre non si nota alcun intervento che abbia un significato
disegnativo. Le teste hanno dei caratteri decisamente ritrattistici che vengo-
no attenuati, pur senza idealizzare, nell’elaborazione successiva anche per
accordarli alle esigenze e alle convenzioni del tema, in una trasformazione
che non ne cancella l’impronta naturalistica derivante dalla ripresa iniziale
dal modello. Uno dei risultati più ovvii dell’indagine radiografica è I’ avvista-
mento di pentimenti sostanziali che non rientrano nella classificazione degli
abbozzi preliminari e che rappresentano di solito delle clamorose scoperte.
È il caso ben noto del Martirio di San Matteo rifatto per tre volte cambiando
la composizione e perfino la scala delle figure. Per ragioni di decoro, e forse
per avere il gradimento del committente, il Caravaggio modificò anche la
testa di Golia nel Davide del Museo del Prado. La prima versione
sottostante conferma in modo inconfutabile l’autografia dell’opera per la
scelta dell’espressione di orrore, corrispondente, come nell’ Oloferne della
Giuditta e nella Medusa, alla reazione psicofisica intervenuta nell’attimo
della morte. Nella stesura finale la testa del gigante appare composta nel
momento successivo e non è più rappresentata nell’acme dell’azione.Nel
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caso che la preparazione fosse ormai asciutta e non gli fosse possibile ri-
correre alle incisioni, il Caravaggio usava il pennello per tracciare, come ha
scritto Thomas M. Schneider (1987), un “disegno a colore” della composi-
zione, steso “con rapide pennellate indicative che trascurano i particolari e
non scendono ai dettagli”. In questa prima fase, il pittore ha assegnato alle
orecchie un ruolo molto importante per fissare la Posizione dei modelli e le
ha abbozzate con energiche pennellate che le definiscono sommaria mente,
ma efficacemente, come riferimenti per l’intera composizione. Quando ab-
biano questa funzione, talvolta le orecchie sono piatte, spesso sproporzio-
nate alla testa a cui si riferiscono a conferma del loro ruolo non soltanto
anatomico, talaltra sono costruite prospetticamente e in questo caso costitu-
iscono dei punti di forza compositivi e luministici, come quelle del musico in
scorcio a destra del Concerto del Metropolitan Museum, dell’angelo del
Riposo Doria, dell’Abramo del Sacrificio d’Isacco Johnson e dell’apostolo di
destra della Cena in Emaus della Pinacoteca di Brera. Spesso nel corso
dell’esecuzione la loro posizione è stata assestata e gli spostamenti sono
registrati dalle radiografie. Col tempo le pennellate originarie sono diventate
visibili e si notano distintamente sulla tela, accanto o incastrate nella reda-
zione finale, o ricoperte con una zona di colore che si è assottigliata e oggi
le lascia trasparire distintamente. Anche di tali situazioni si possono indicare
innumerevoli esempi.
Nei quadri tardi il carattere più sommario della stesura consente di avvistare
facilmente queste curiose elaborazioni. Guardiamo la Salomè con la testa del
Battista della National Gallery di Londra sulle fotografie fornitemi da Thomas
M. Schneider. Nell’orecchio della vecchia assistente l’abbozzo provvisorio si
distingue nella zona chiara in basso, mentre più in alto, oltre la copertura
scura di pieghe e capelli, si notano degli scarabocchi incisi col rovescio del
pennello. Tracce chiare dell’abbozzo, cui si sovrappone il colore scuro dei
capelli, sono visibili anche nell’orecchio del Battista e del carnefice accanto
alle pennellate che ne definiscono lo stadio finale.
Le difficoltà che si incontrano nel riconoscere un’opera al Caravaggio stimola-
no a indicare in questi accertamenti dei validi, decisivi strumenti di verifica per
l’attribuzione e per restituire al corpus del pittore anche opere ricordate dalle
fonti, ma rimaste in una sorta di limbo ritardandone l’inserimento nella
problematica caravaggesca. La pittura del Merisi non è facilmente riducibile
agli schemi ai quali gli studiosi si riferiscono per individuare i caratteri e la
riconoscibilità di un artista. E occorre anche notare che il fondamento
naturalistico non ha incoraggiato lo stesso Longhi ad affrontarne la lettura
stilistica con i metodi tradizionali. Per questo aspetto la situazione attuale non
sembra esser andata molto oltre lo stadio rudimentale di famigliarità col
Caravaggio di cui ha scritto recentemente Denis Mahon (1990).
Ma poiché le opere del Merisi non si sottraggono alle convenzioni e ai nuovi
stilemi creati dallo stesso pittore, anche una lettura di tipo morelliano potreb-
be rappresentare un utile sussidio al lavoro dei conoscitori. Ravvisare talune
costanti nella costruzione non disegnata e in veduta scorciata delle mani sia
nella Cena in Emaus di Londra che nella Coronazione di spine di Prato do-
vrebbe essere ormai un’operazione di filologia corrente, e così si dica per il
pollice appiattito a bacchetta di tamburo che si ritrova soprattutto nelle opere
tarde - forse si tratta di una delle deformità di cui parla il Bellori - e che condu-
ce pianamente, insieme a innumerevoli altri indizi, a restituire il Cavadenti con
formula piena al suo autore.
Vero è che la filologia caravaggesca è giovane e che il lavoro di selezione
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delle sue opere, che non ha ancora raggiunto lo spazio di un secolo, richiede
grandi cautele. Di queste cautele spinte anche oltre il necessario si sono fatti
carico i ‘restrizionisti’ degli anni cinquanta, Lionello Venturi e Walter
Friedlaender, e i loro eredi fedeli al principio che occorreva limitare il corpus
del Caravaggio quasi esclusivamente ai dipinti menzionati dalle tre fonti più
antiche e autorevoli.
Sebbene questa regola non sia sempre stata applicata alla lettera: non c’è
dubbio che ha esercitato un’azione eccessivamente frenante sulla dinamica
propositiva che spetta da sempre alla connoisseurship, e che per il Caravaggio
è stata definita in accezione negativa come ‘espansionismo’. Per uscire da
questa impasse e per trovare un punto di incontro, non resta che ricorrere ad
altri metodi di indagine e di verifica. E‘quanto auspicavo nel 1985 in occasio-
ne della mostra di New York intendendo che sarebbe servita, come infatti è
stato, per approfondire la conoscenza delle tecniche del Caravaggio e attra-
verso di esse del modo come egli lavorava.
Il pittore lasciava quasi sempre fra due zone dipinte sulla preparazione in
riserva una striscia scoperta per poter procedere con celerità prima che il
colore fosse asciutto. Talvolta tale striscia veniva dipinta con un colore che
non poteva che essere dello stesso tono della preparazione. Probabilmente il
Caravaggio aveva imparato negli anni della formazione in Lombardia questa
prassi nei ritratti ripresi dal vivo del Moroni, e nella tecnica ‘povera’ del Ceresa
e del Ceruti. La presenza di una forte linea o bordo scuro contigua agli incar-
nati contribuiva a dare maggiore evidenza ai corpi, così come l’avevano inte-
sa nell’area veneto – lombarda il Romanino, il Moretto e il suo allievo Callisto
Piazza.
Queste coincidenze inducono a qualche ulteriore riflessione sugli anni mila-
nesi. Nella bottega del Peterzano, il Caravaggio fu probabilmente avviato,
come era avvenuto al Moroni apprendista e poi aiuto del Moretto,
assecondando un’attitudine e un occhio certo già sviluppati, alla pittura di
ritratti e di cose naturali, piuttosto che alla pittura di storia. Sembrano indicarlo
le opere conosciute dei suoi inizi, la notizia che nei primi tempi romani trovò
occupazione presso due pittori di ritratti (di “capocce”), e infine un passo del
Belloni, secondo il quale nel tempo milanese “si avanzò per quattro o cinque
anni facendo ritratti”. La sovrapposizione portava la necessità di differenziare
e di staccare, con gli artifici appresi in Lombardia, ciò che veniva eseguito
dopo da ciò che era già dipinto. Esempi paradigmatici delle soluzioni pittori-
che trovate dal Caravaggio per questo fine sono la mano protesa dell’angelo
nel Sacrificio di Isacco degli Uffizi e quelle di Pilato che il pittore sovrappone,
creando per illusione la distanza dal corpo di Cristo, nell’ Ecce Homo di Geno-
va.
Molto frequenti sono l’allargamento o la riduzione delle figure e in questo ulti-
mo caso il Caravaggio intervenne alla fine, ricoprendo la zona eccedente con
lo stesso tono del fondo a formare un bordo che si è evidenziato col tempo.
Anche altre caratteristiche di esecuzione rivelate dalle indagini di laboratorio
o confermate dalla lettura diretta possono definirsi procedimenti naturalistici
secondari e si presentano come delle costanti della pratica caravaggesca,
sebbene non siano esclusive come le incisioni e l’abbozzo preliminare sosti-
tutivi del disegno. E sempre presente - ed è stata individuata nella Conversio-
ne della Maddalena da G.L. Greaves e M. Johnson (1974) e nei Bari dal Mahon
e dal Chnistiansen (1988) - la sovrapposizione, visibile in radiografia e nelle
niflettografie a infrarosso, di campiture e di elementi della rappresentazione,
siano figure, vestiti o oggetti, venendo dal fondo verso il primo piano secondo
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un procedimento aggiuntivo. Come ha notato il Mahon, per questo modo di
procedere, affrontando una figura per volta, il Caravaggio si precludeva l’af-
fresco. Il murale, infatti, che egli eseguì nel casino già Del Monte è dipinto a
olio.
Le opere del Caravaggio sono dunque concepite in una struttura non già dise-
gnata, ma costruita otticamente per successione e sovrapposizione di piani
partendo dal fondo e questo elemento prospettico contribuisce al pari della
luce fenomenica all’illusione del vero. Attraverso gli artifici di una consumata
maestria, che derivava dalla formazione lombarda e fu certamente stimolata
dall’ambiente del candinal Del Monte, il pittore tende i suoi inganni al riguar-
dante e si avvicina e penetra nello spazio reale con una cestina in bilico, con
una mano in scorcio, con forme a cuneo che sono di volta in volta lo sgabello
instabile del secondo San Matteo, la lastra tombale della Deposizione e il
gomito dell’apostolo a sinistra dell’Emaus di Londra, dove ogni elemento - la
luce, la costruzione prospettica, derivante secondo Pico Cellini (1989) dal De
Sphaera di Luca Pacioli - concorre a ottenere una verità vertiginosa.
È probabile che, come è già stato affermato da Keith Christiansen (1986), la
velocità irruente caratteristica delle opere del Caravaggio dipendesse dall’abi-
tudine di copiare dal modello che richiedeva tempi brevi. L’energia e la deci-
sione con la quale la sua pennellata si prolunga con una tensione inimitabile è
elemento primario per riconoscere un’opera originale, e non credo si possa
dare definizione migliore che ricorrendo alla “veemenza” di cui parla il Bellori.
Di fatto, la veemenza esclude quella tecnica che si limita a esaltare i brilii della
luce sulle superfici pittoriche e ad animare il tocco. La pittura del Merisi rifugge
dai facili effetti del venetismo diffuso dalla fine del Cinquecento. Alle superfici
smaltate e di effetto arcaizzante delle prime opere subentra una pittura a cor-
po che impasta i diversi toni per rendere la verità della carne e le variazioni
vibrate della luce senza che queste notazioni risultino superficiali (il confronto
proposto recentemente del San Giovanni Battista nelle due versioni capitolina
e Doria, la prima originale, la seconda copia, ha indicato che la tecnica
caravaggesca era inimitabile). Il punto più alto della maestria corrisponde al
tempo in cui il Merisi dipinse, tra il 1595 e il 1602, i quadri da stanza per i suoi
grandi protettori, il cardinal Del Monte, Vincenzo Giustiniani e Ciriaco Mattei.
In queste opere dialogano mirabilmente la sottigliezza della percezione natu-
rale e il simbolo, e grazie a “una mano a un tempo facile e precisa”, si concilia-
no il gesto veemente e l’attenzione a particolari minimi dipinti con un pennello
sottilissimo.
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La tecnica del Caravaggio: materiali e metodi
Documenti
Le testimonianze documentarie sono talvolta di grande importanza per l’iden-
tificazione dei materiali che compongono un dipinto. A partire dall’esistenza di
un Caravaggio disegnatore, ipotesi che sembra negata dalle prime idee delle
sue composizioni, tracciate mediante abbozzi a colore e incisioni. Tuttavia
alcune prove di archivio attestano che per gli incarichi di maggior prestigio
vennero chieste al pittore preventive prove grafiche. Secondo il contratto del
24 settembre 1600 per la cappella Cerasi il Caravaggio doveva mostrare
“specimina et designationes figurarum et aliorum, quibus ipse pictor ex sui
inventione et ingenio dicta mysterium et martyrium decorare intendit”. Sem-
pre nel 1600 il Caravaggio aveva presentato lo “sbozzo” per il dipinto De Sartis.
per un tentativo di identificazione con la Deposizione della Pinacoteca Vaticana
Nel 1601 gli venne richiesto di consegnare a Laerzio Cherubini il “Designum”
preliminare per la raffigurazione della Morte della Vergine, per poi dipingere il
quadro “similiter”.
Raramente il Merisi fece ricorso ai supporti lignei; se ciò accadde fu probabil-
mente per esplicito volere del committente, come nel caso della prima versio-
ne della Conversione di Saulo per la cappella Cerasi, oggi in collezione
Odescalchi . Nel contratto di allogagione risulta che venivano forniti al pittore
“duo quadra cupressus longitunidis palmorum decem et latitudinis octo”. Per
ciò che riguarda i pigmenti utilizzati dal pittore, nel contratto Crescenzi per la
cappella Contarelli, viene redatta una stipula affinché l’artista sia pagato per
qualsiasi oltremarino o azzurro richiesto. Tale colore risulta presente solo nel-
le tele laterali (non se ne riscontra alcuna traccia nel San Matteo e l’angelo), e
più precisamente nella Vocazione, nella manica del giovane di profilo seduto
all’estrema sinistra, nella veste di San Matteo, nella tunica di San Pietro, nella
veste del giovane di spalle in primo piano; nel Martirio, nella veste dell’uomo
atterrito al centro sul lato sinistro, nel risvolto del manto di San Matteo. Un
altro punto di riferimento preciso è il contratto per la cappella Cerasi, pubblica-
to dal Mahon ; in esso si fa cenno a una provvisione all’artista per ulteriori
somme, in aggiunta al compenso pattuito, per il costo dell’oltremare, colore
che compare nella Crocefissione di San Pietro (nel mantello a terra nell’ango-
lo inferiore destro e nei calzoni verdi delll’ uomo curvo che tira la corda per
issare la croce). Nella Conversione di Saulo sembra forse presente solo nelle
rifiniture verdi della tunica del santo. Il blu di lapislazzulo appare usato in larga
misura nella prima versione della Conversione di Saulo oggi Odescalchi. Un’ul-
tima preziosa testimonianza documentaria relativa al Martirio di Sant’Orsola
oggi presso la Banca Commmerciale di Napoli fornisce l’unica informazione
sulla pratica della verniciatura dei dipinti da parte del Caravaggio.
Fonti
Come ha sottolineato il Cordaro “un’utile traccia per la più corretta determina-
zione del rapporto tra materiali, tecnica d’ esecuzione e formulazione d’im-
magine in Caravaggio è sicuramente data dagli scritti dei suoi primi biografi” .
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Per primo il Mancini colse la novità della sua pittura “per il colorir che ha
introdotto”. Il van Mander asseriva che l’artista copiava la natura “in tutta la
varietà dei suoi colori”. Il Bellori ricorda che il pittore imitava da giovane la
natura con poche tinte” sull’esempio di Giorgione “il più puro e il più semplice
nel rappresentare con poche tinte le forme naturali” e per la Maddalena del
Caravaggio asserisce analogamente che il pittore aspirava a “l’imitazione in
poche tinte sino alla verità del colore”. Le materie coloranti usate dal Merisi
sono relativamente poche; la sua tavolozza è basata sul bianco di piombo,
sulle ocre gialle e rosse, sul cinabro, sul verde rame, sul nero carbone, sulle
terre. L’uso di colori brillanti e decisi riscontrabile nelle opere giovanili (in par-
ticolare nel Fruttaiolo Borghese, nella Canestra ambrosiana, nella Buona ven-
tura capitolina,) sembra attenuarsi nei dipinti della tarda maturità, in cui pre-
dominano tonalità scure e smorzate e compaiono colori a base di terre. Gli
stessi biografi avevano già rilevato nelle opere del Merisi una notevole diffe-
renza fra la fase giovanile e quella matura, in cui usava un “colorito più tinto..,
tutto risentito di oscuri gagliardi, servendosi assai del nero per dar rilevo alli
corpi”. L’effetto del lume fortemente contrastato era ottenuto con l’uso di una
stanza buia in cui una luce scendeva a piombo dall’alto. Inoltre il pittore utiliz-
zava il colore bruno della tela”.
L’olio è stato usato dal Merisi come legante degli strati pittorici. I suoi quadri
sono dunque “a olio dipinti” come notava il Baglione, “poiché egli non operava
in altra maniera”. Anche nell’unico caso documentato di pittura murale (Casi-
no Del Monte, oggi Ludovisi) il pittore si è servito dell’olio come medium. Alcu-
ne indagini hanno individuato nella Cena in Emaus di Londra e nella Conver-
sione della Maddalena di Detroit la presenza di lumeggiature a tempera d’uo-
vo sovrapposte agli strati a olio wet on wet , perchè un colore fresco sormonta
quello sottostante che non è ancora ben seccato. L’uso misto dei due leganti
sembra testimoniato dalle fonti antiche relativamente a una sola opera del
Caravaggio, la Resurrezione di Lazzaro di Messina, dove si riteneva che l’ar-
tista “avesse fatto il campo a guazzo”. Anche se i risultati delle analisi condot-
te nel 1951 sembrano escludere tale ipotesi, è comunque rilevante la testimo-
nianza delle fonti su questo procedimento esecutivo in riferimento a un dipinto
del Caravaggio.
Nel 1672 il Bellori ricordava che il Caravaggio non usava “cinabri né azzurri”
che considerava “il veleno delle tinte”. Questa affermazione, pur utile come
indicazione generale (la tavolozza del Caravaggio è quasi monocromatica ed
è basata prevalentemente su toni bruni, ocra e rossi) non è tuttavia del tutto
corretta poiché esistono opere in cui sono presenti entrambi questi colori, si
vedano le tele Cerasi e Contarelli, la Cattura di Cristo di Odessa (nell’azzurro
ferreo del mantello), la Santa Caterina Thyssen (manto blu), la Deposizione
Vaticana, la Crocefissione di Sant’Andrea di Cleveland (blu della veste della
vecchia), la Decollazione del Battista di Malta (veste del carceriere).
Le indagini moderne sulla tecnica
I contributi di alcuni storici dell’arte interessati alle problematiche conservative,
che hanno coniugato i dati storico documentari con i risultati ottenuti dagli
esami di laboratorio, hanno consentito di approfondire l’analisi dei metodi ese-
cutivi della pittura antica.
I pionieri in quest’ambito di ricerca sono stati i due maggiori studiosi delle
problematiche caravaggesche: Roberto Longhi e Denis Mahon. Quest’ultimo
ha promosso nel 1973-1974 indagini scientifiche sulla Conversione della
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Maddalena , sulla Crocefissione di Sant’ Andrea di Cleveland e più recente-
mente, nel gennaio 1987, sui Bari già della collezione Sciarra e nel maggio
1988 sul Suonatore di liuto in collezione privata a New York (.Grazie alle sue
acutissime capacità visive, Roberto Longhi attraverso il semplice esame di-
retto ha individuato una serie di particolarità esecutive, poi avvalorate dalle
indagini di laboratorio. È comprensibile che nel clima polemico e battagliero
seguito alla mostra milanese del 1951 si sia cercato un mezzo alternativo e
insieme ausiliario, capace di offrire nuove aperture sul complesso problema
dei quadri autografi del Caravaggio.
L’avanzamento nella conoscenza dei dati tecnici relativi ad alcuni dipinti, così
come emergeva dalle contemporanee relazioni di restauro, offrì nuove indica-
zioni per rivedere alcuni problemi attributivi lasciati in sospeso.
Alle analisi effettuate fino a quel momento dall’Istituto Centrale per il Restauro
, si aggiunsero, per iniziativa di Lionello Venturi, le radiografie delle due grandi
tele laterali della cappella Contarelli. I conseguenti Studi radiografici sul
Caravaggio del 1952 prendevano in esame le diverse redazioni presenti in
questi dipinti e analizzavano gli “abbozzi alla prima” emersi ai raggi X, cioè gli
interventi preliminari eseguiti direttamente a colore senza disegno preparato-
rio, come già usava Giorgione secondo la testimonianza del Vasari . Le radio-
grafie permisero di riscontrare frequenti modifiche rispetto alla versione inizia-
le, certamente dovute al fatto che l’artista dipingeva direttamente sulla tela.
Secondo Denis Mahon, come risulta da molti dipinti del Caravaggio, il pittore
cambiava idea nel corso dell’esecuzione. Ciò ha convinto alcuni studiosi , che
la presenza di tali pentimenti fosse per sé stessa una conferma dell’autografia
di un’opera.
La prima indagine comparativa sulla tecnica del Merisi volta ad analizzare più
opere contemporaneamente fu eseguita in negativo; il fine cui essa mirava
consisteva infatti nell’enucleare i dipinti dalle caratteristiche tecniche “sospet-
te”, distinguendoli da quelli che rientravano nei canoni tradizionalmente ac-
cettati come caravaggeschi. In questa prospettiva si aprì un dibattito di vasta
portata, quando Edoardo Arslan, giudicò falsi alcuni capolavori del Caravaggio
(Maddalena Doria, Bacchino Borghese, San Giovanni Battista Corsini poiché
dipinti su una tela particolare, dallo studioso ritenuta in uso solo a partire dal
XVIII secolo in poi.
Una prima replica alle ipotesi di Arslan giunse da Roberto Longhi, che nel suo
articolo Un originale del Caravaggio a Rouen e il problema della copie
caravaggesche , sottolineò una peculiare caratteristica tecnica che poteva
consentire di distinguere gli originali del Merisi da altre versioni non autografe
“ci era noto come Caravaggio tracciasse talora in qualche parte dell’imprimitura
dei suoi dipinti una specie di graffito, di incisura, assai bene percepibile per
chi guardi l’opera a luce radente”, soprattutto nei “casi di più ardua struttura”.
“Non si tratta già di un tracciato completo di tutto il quadro ma solo di alcune
parti di esso”. Il Caravaggio se ne avvaleva “per fissare certi rapporti di distan-
za fra le masse principali in modo da poter ritrovare ad ogni seduta la giusta
posa dei modelli in un dato viraggio di luce”.
Due sole campagne radiografiche furono promosse nel corso degli anni ses-
santa, in occasione del restauro della Decollazione del Battista di Malta e
della Medusa degli Uffizi. Una ripresa di interesse per le problematiche relati-
ve ai metodi di esecuzione fu suscitata dalla mostra Immagine del Caravaggio,
tenutasi a Bergamo nel 1973. Gli organizzatori arricchirono l’esposizione con
una sezione innovativa dal titolo “La pittura. Aspetti tecnici e tipologici”, in cui
furono gettate le basi per uno studio comparativo fra le opere, che rappresen-
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ta ancor oggi un fondamentale punto di riferimento.
Una prima, importante apertura sugli aspetti tecnici e tipologici di alcune ope-
re si ebbe nel convegno Novità sul Caravaggio i cui atti furono pubblicati nel
1975. In quella sede si confrontarono le immagini radiografiche delle tele, le
macrofotografie delle pennellate e delle stesure pittoriche, le riproduzioni gra-
fiche delle tavolozze e degli accostamenti di colore nonché le tipologie simili
di volti e di mani.
Si trattò di un episodio significativo nel contesto della ricerca tecnica perché
con esso venne legittimata l’importanza delle indagini in profondità ai fini di un
accurato esame dei singoli elementi costituenti l’opera: dal supporto, al telaio,
alla preparazione, ai pigmenti, alle vernici.
Dopo la monografia di Maurizio Marini (1974) e la mostra del 1973, le caratte-
ristiche tecniche generali delle opere esaminate in laboratorio fino a questa
data ebbero un’ampia divulgazione. Tuttavia l’articolo fondamentale che ha
impresso una svolta decisiva e che ha in seguito rappresentato un punto di
riferimento per tutti gli studi sulla tecnica del Caravaggio, fu scritto da Merryl
Johnson e James L. Greaves nel 1974 , sulla Conversione della Maddalena
conservata a Detroit. Un gran numero di dati, acquisiti sulla base di accurati
esami scientifici, e parzialmente studiati da Fniednick Cummings nella sua
relazione di restauro), permise agli autori di registrare, oltre alla presenza con-
sueta delle incisioni , alcune novità nel processo esecutivo, fra le quali l’impie-
go della tecnica wet on wet, individuata con l’ausilio di analisi chimiche, e
l’uso di risparmiare un bordo che corre lungo gli incarnati en reserve dalla
preparazione del fondo.
Negli anni seguenti si procedette quindi a riscontrare, anche in altre opere del
Merisi, l’utilizzazione dei metodi esecutivi appena individuati.
Mentre un’eco tempestiva di queste indagini si rileva nello scritto di Mina
Gregoni che, oltre all’analisi stilistica, si avvale anche dell’ausilio di tale tecni-
ca per lo studio del Ritratto di cavaliere di Malta della Galleria Palatina e delle
opere del periodo maltese, gli sviluppi successivi della ricerca sollecitavano la
creazione di ulteriori banche di dati utilizzando le nuove informazioni, acquisi-
te durante le campagne di indagini diagnostiche effettuate con crescente fre-
quenza sui singoli dipinti nei tardi anni settanta. Simili approfondimenti settoriali
permisero sì la decifrazione e la puntualizzazione di metodi di esecuzione mai
analizzati in precedenza, grazie alla messa a punto di nuove tecnologie, ma
causarono anche un frazionamento delle ricerche per singole opere con la
conseguente perdita di una visione generale.
La monografia di Mia Cinotti nel 1983 costituì una premessa per gli studi di
carattere tecnico effettuati in seguito in occasione della mostra di New York e
Napoli. Inserendo nella scheda storico - critica di ogni opera una parte sul-
l’esecuzione, sui restauri e sulle indagini scientifiche di ogni dipinto, la studio-
sa ha costruito il primo vasto archivio di raccolta delle testimonianze tecniche,
senza mai tralasciare di inserire la documentazione fotografica delle radiogra-
fie reperibili.
Questo settore di ricerca è stato fatto in occasione della mostra Caravaggio e
il suo tempo svoltasi a New York e Napoli nel 1985. In quell’occasione si
auspicava “di approfondire la conoscenza delle tecniche del Caravaggio e
attraverso di esse del modo come lavorava”.
Oltre alla rapidità esecutiva, menzionata dai biografi e ben individuabile nelle
opere, e alla pratica di dipingere direttamente senza disegno mediante l’uso
di abbozzi preliminari a colore, furono indicati altri aspetti della tecnica del
Caravaggio: l’uso del tono bruno della preparazione, la tecnica della
12
sovrapposizione di campiture successive, la presenza delle incisioni, la tecni-
ca mista non tradizionale, costituita da pittura a olio e da tempera ad uovo wet
on wet nelle carni e nelle lumeggiature dei bianchi . Ha fatto tesoro della pos-
sibilità di fare indagini in tale sede Keith Christiansen che si è concentrato su
un singolo aspetto tecnico. Egli ha focalizzato l’attenzione sulla presenza,
riscontrabile in molte delle opere del Merisi, di incisioni eseguite a mano libera
direttamente nella preparazione, che sembrano essere un tratto tipico ed esclu-
sivo del Caravaggio. Esse sono state classificate dallo studioso in tre diverse
categorie: il tipo decorativo “ornamental”, quello prospettico usato “to define
essencial semiarchitectural elements”, e quello che definisce l’abbozzo som-
mario e provvisorio “at an early stage of the designing process”.
I risultati della mostra del 1985 furono riepilogati e puntualizzati nel convegno
L’ultimo Caravaggio, i cui atti sono stati pubblicati soltanto due anni più tardi.
I due interventi tecnici si devono a Thomas M. Schneider e a Michele Cordaro.
Lo Schneider, uno dei primi restauratori interessati allo studio dei metodi di
esecuzione, ha annotato in sintesi le tappe fondamentali della produzione
caravaggesca: la fase delle prime opere romane secca, tagliente e fredda; la
seconda fase (dopo la Santa Caterina Thyssen) in cui il pittore si avviò a
“ingagliardire gli scuri”; poi, con la Cena in Emaus di Londra e l’Amore vincito-
re di Berlino, il passaggio verso una maggiore raffinatezza di esecuzione;
quindi la fase matura (dopo la fuga da Roma nel 1606) e l’ultimo periodo
(Malta, Sicilia, Napoli) in cui si assiste a una progressiva disgregazione della
forma. Lo Schneider ha individuato la presenza degli abbozzi visibili nelle opere
del Caravaggio sotto la redazione finale, eseguiti con rapide pennellate indi-
cative; non si tratta in realtà di pentimenti. quanto piuttosto di un preparatorio
“disegno a colore”. Il Caravaggio dunque non disegnava ma fissava i punti
cardinali dell’impianto compositivo sommariamente, o con delle incisioni, o
con un rapido abbozzo a colore direttamente sulla mestica, prima della stesu-
ra finale del dipinto, in sostituzione del disegno preparatorio”.
Il Cordaro ha fornito un sunto delle caratteristiche esecutive più salienti, dopo
aver suddiviso i dipinti nelle loro componenti primarie: supporti, strati prepara-
tori e stesure pittoriche.
Negli ultimi anni lo studio dei metodi di esecuzione e dei materiali utilizzati in
pittura è stato raramente affrontato dagli storici dell’arte.
Purtroppo i tecnici del settore conservativo e diagnostico hanno dato alle re-
centi ricerche un’impostazione, volta a spiegare in termini scientifici l’utilità di
nuove metodiche di indagine, piuttosto che ad analizzare in modo rigoroso ed
obiettivo i risultati ottenuti .
Una valida collaborazione fra storici dell’arte e operatori del settore scientifi-
co, è stata realizzata dal professor Corrado Maltese e dall’ingegner Sebastiano
Sciuti. Insieme hanno trovato un collegamento fra le due diverse impostazioni
attraverso la messa a punto di un nuovo sistema di indagine, la X.R.F. (fluore-
scenza ai raggi X), che permette di ottenere una mappatura chimica di alcuni
pigmenti senza dover effettuare prelievi di campioni dal dipinto in esame.
Denis Mahon e Keith Christiansen hanno scritto gli ultimi recenti articoli in
stretta collaborazione, valorizzando i compiti spettanti a ciascuno: la lettura
storica e stilistica al critico d’arte e la lettura dei dati tecnici al funzionario del
laboratorio di restauro.
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La struttura fisica dei dipinti
Nei dipinti antichi la struttura fisica è costruita per livelli successivi, indipen-
denti ma anche strettamente correlati uno all’altro. Nelle opere del Caravaggio
esiste una scansione per gradi, dal fondo verso lo spettatore, che può essere
esemplificata attraverso la successione dei paragrafi di questa sezione: sup-
porto; preparazione disegno preliminare, incisioni, abbozzi; strati pittorici; ver-
nici;
Supporti
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L’artista ha prevalentemente usato tele di lino romano dalla tramatura media
semplice, regolare, di 7 x 7 fili per centimetro quadrato, ma i supporti tessili da
lui utilizzati variarono negli anni. Nuove radiografie, effettuate appositamente
per questa ricerca, hanno permesso di rilevare in alcuni dipinti la presenza di
un tipo di tela che non era mai stata rinvenuta precedentemente: l’armatura
(cioè l’insieme di trama e ordito) “saia”, di andamento diagonale, costituita da
tre fili di ordito e da tre di trama, meglio nota come “tela Olona”. Assai frequen-
te in ambito veneto, essa è stata utilizzata dal Caravaggio nel Sacrificio di
Isacco degli Uffizi, nella Madonna dei Pala frenieri, nella Salomè di Londra e
nel Sacrificio di Isacco Johnson.
Maurizio Marini ha evidenziato un supporto tessile in cui “trama e ordito risul-
tano a incrocio rilevato”, la cosiddetta “tela laziale”, usata dal Caravaggio nel-
la estrema fase romana e forse durante la fuga nei feudi Colonna (estate
1606).
Di particolare interesse è l’uso da parte del Caravaggio di tele operate con un
disegno formante intrecci di losanghe, “... un damasco di lino del tipo noto
come Tela di Fiandra o de Venise, tessuto già noto nel XIV secolo, ed in
genere impiegato per tovaglie” . A questo tipo di tessuto si può forse ricollegare
l’affermazione del Bellori secondo la quale il Caravaggio “mangiò molti anni
sopra la tela d’un ritratto, servendosene per tovaglia mattina e sera. Si tratta-
va di un materiale pregiato e costoso che veniva usato per ragioni di grande
robustezza ed elasticità e per la scarsa incidenza delle crettature . Nel caso
della Crocefissione di Sant’ Andrea di Cleveland, secondo il Marini l’incarico
Vicereale e l’alto prezzo pagato (1500 ducati) giustificherebbero il supporto
costoso di lino di Fiandra.
A testimoniare la frequente abitudine di utilizzare “tele di recupero” o “di
reimpiego”, è il fatto che spesso frammenti di tessuti già dipinti costituiscono il
supporto di opere del Merisi, soprattutto nel suo primo periodo romano (si
vedano la Buona ventura capitolina, la Canestra ambrosiana. Egli ridipingeva
sopra la precedente stesura pittorica di altra mano senza raschiarla via né
mascherarla con altri strati neutri o bianchi (di preparazione o di colore), e
senza neppure stendervi sopra un altro strato preparatorio, come invece face-
va il Manfredi.
In alcuni casi dunque il Caravaggio ha dipinto su tele dipinte o abbozzate:
abbiamo le grottesche sotto la Canestra ambrosiana per le quali si è pensato
a Prospero Orsi, la raffigurazione di Venere Marte e Amore forse di un
manierista franco - fiammingo sotto il Davide e Golia di Vienna, la Madonna
orante arpinesca sotto la Buona ventura capitolina. Talvolta sembra che egli
Stesso abbia impostato una prima composizione (intera o parziale) poi modi-
ficata nella stesura definitiva, come nella stessa Buona ventura capitolina,
certamente nei dipinti laterali della cappella Contarelli, nel Davide e Golia del
Prado , nella Maddalena Doria Pamphili (in una prima stesura era stato dipin-
to un fruttaiolo) e nella Flagellazione di Napoli. In quest’ultima nel brano
sottostante, il supposto committente a una lettura più attenta sembra piutto-
sto raffigurare un San Francesco. Viene quindi logico ipotizzare che possa
trattarsi di un primo abbozzo per la oggi dispersa pala Radolovich, che raffigu-
rava la Madonna col Bambino e i Santi Francesco, Domenico, Niccolò e Vito.
Consapevole che le giunture costituivano zone deboli della pittura e che il
colore lungo di esse era destinato presto a distaccarsi, l’artista cercava di
seguire tali linee con gli elementi compositivi della raffigurazione, come si può
vedere ad esempio nella Adorazione dei pastori di Messina, dove la palizzata
segue il profilo verticale della cucitura.
15
Preparazione
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Ad eccezione delle prime opere eseguite con un fondo chiaro (grigio-verde o
ocra) il pittore otteneva da ultimo, una tonalità più scura sullo strato preparato-
rio rossastro mediante velature ad olio brune o nere, per il fondo della compo-
sizione.
Una preparazione a base di bolo era consigliata, a livello teorico, dal De
Mayerne (1620) che insegnava anche di tornarvi sopra con una colorazione
grigia o bruno scuro. Si tramanda, per tradizione antica, che “la quantità degli
strati di preparazione e dell’olio dovesse essere proporzionata alla qualità del
tessuto, “cioè se questo è di trama più grossa ne richiede di più, e di meno se
la trama è fine” .
Disegno preliminare
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Incisioni
Abbozzi
Si riscontra da parte degli studiosi una certa confusione nell’uso dei termini
“pentimenti”, “diverse redazioni” e “abbozzi sottostanti”. Già Keith Christiansen
ha effettuato una prima netta distinzione fra pentimenti e abbozzi preliminari.
È opportuno differenziare almeno cinque diverse tipologie di intervento che di
solito vengono tutte indicate con il nome generico di pentimenti:
1. Sovrapposizione di diverse redazioni autografe per uno stesso soggetto,
parziali come nel Davide e Golia del Prado o dell’intero dipinto, come nel
Martirio di San Matteo Contarelli.
2. Uso di supporti di reimpiego, già dipinti da altra mano o personalmente, ma
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di altro soggetto, come nel Davide e Golia di Vienna, nella Buona ventura
capitolina.
3. Pentimenti, ovvero variazioni che alterano il significato iconografico,come
nella Madonna del rosario di Vienna e nella Flagellazione di Napoli, e nella
Deposizione Vaticana.
4. Riprese di profili compositivi o di scorci anatomici.
5. Abbozzi preliminari sottostanti .
L’opinione comune che le radiografie delle opere del Caravaggio mostrino
sempre la presenza di pentimenti, quasi che questa fosse una caratteristica
costante dei suoi lavori, è legata all’errore di una interpretazione errata e trop-
po ampia del termine ‘pentimento’; in realtà, a parte alcuni rari casi, le opere
del Merisi mostrano pochi cambiamenti compositivi. Le varianti, in prevalen-
za, sono indice del rimaneggiamento delle forme appena abbozzate nella pri-
ma stesura, una procedura di esecuzione frequente nella scuola veneta del
Cinquecento e da porre in connessione con il graduale abbandono del dise-
gno preliminare. Secondo le fonti antiche l’abbozzo iniziale della figurazione
eseguito senza disegno, direttamente con una campitura cromatica, fu inven-
tato da Giorgione. Dalla testimonianza del Boschini apprendiamo che Palma
il giovane soleva dire che Tiziano abbozzava i suoi quadri con matasse di
colori che servivano “per far da letto o base alle espressioni che sopra poi li
doveva fabbricare”. Occorre osservare che per tornare a dipingere su di un
abbozzo a olio, è necessario che esso risulti perfettamente essiccato, il che
può avvenire anche dopo quindici giorni o un mese.
Thomas M. Schneider ,ha interpretato l’abbozzo come mezzo utilizzato dal
pittore per “disegnare dipingendo”, mediante rapide “pennellate indicative che
trascurano i particolari e non scendono in dettagli”.
Alla fattura liquida degli abbozzi giovanili il Merisi sostituì in seguito una assai
più corposa, le cui pennellate, ricche di impasto pittorico, sono rapide e mos-
se e non sempre corrispondono alla raffigurazione finale .
Nelle opere tarde la stesura finale delle carni fu lasciata dal pittore pressoché
a livello dell’abbozzo, con una definizione sommaria delle forme che consen-
tiva la massima economia di mezzi e di tempo (si vedano il Seppellimento di
Santa Lucia e la Resurrezione di Lazzaro).
Strati pittorici
L’ esame al microscopio di alcune cross – section fornisce informazioni pre-
ziose sulla dibattuta questione della pratica caravaggesca del dipingere alla
prima. Nelle cross - sections, campioni molto piccoli di pittura (della misura di
una virgola) vengono fortemente ingranditi, in modo da poter vedere se un
dipinto sia stato realizzato in un solo strato o in vari. Inoltre, quando una pittu-
ra è eseguita in molti strati le cross - sections possono rivelare se il primo era
completamente asciutto prima che il seguente fosse applicato.
Macrofotografie dalle cross-sections dei fondi di alcuni dipinti, sembrano sug-
gerire che furono applicati sull’ultimo strato della preparazione mediante una
leggera velatura bruna.
Su un’imprimitura rossastra a bolo, il pittore usava stendere alla fine una
velatura bruna per abbassarne il tono troppo squillante; più tardi ricorse addi-
rittura a velature nere. Il colore divenne pertanto il risultato dell’equilibrio di
una velatura cupa su un fondo rosso, come insegnava il De Mayerne (1620) e
come è stato acutamente osservato dal Carità: “Trattò (le superfici di fondo)
con impalpabili bruni sulla preparazione rossastra, ottenendo uno straordina-
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rio effetto di atmosfera drammatica e cupa” .
Sono state pubblicate almeno sette cross - sections tratte dai dipinti del
Caravaggio: tre di esse mostrano una sovrapposizione di più strati ben defini-
ti; una apparentemente illustra un’ applicazione del colore alla prima ; e infine
nelle tre rimanenti è difficile leggere la sovrapposizione degli strati pittorici,
almeno dalle fotografie reperibili. Nell’insieme questi esempi di cross - sections
suggeriscono che il Caravaggio deve avere spesso rielaborato i suoi dipinti,
sia ridipingendo intere zone, sia effettuando solamente correzioni e ritocchi.
Esistono ancora troppo pochi campioni per poter fornire una esauriente
decrizione del metodo caravaggesco di impostare un dipinto, ma è chiaro che
il Merisi non fu sempre rapido come qualche studioso ha supposto. I dati più
preziosi in questa direzione ci vengono forniti dall’analisi di alcuni campioni di
pittura prelevati dalla Conversione della Maddalena di Detroit, grazie ai quali
è stato possibile individuare cinque diversi procedimenti con cui il Caravaggio
applicava gli strati pittorici:
1.Wet on wet (nelle carni e nelle zone di massima luce).
2.Il metodo più tradizionale: una campitura unita di base con alcune velature
sovrapposte (nei capelli e nello specchio).
3. Un singolo strato di pittura steso a diretto contatto col fondo (nella veste
purpurea della Maddalena).
4. Costruzione di un colore mediante pennellate parallele di colori accostati,
più che sovrapposti in strati (nel drappo verde).
5. Miscuglio di molti pigmenti uniti insieme (bianco, blu, rosso, marrone scuro,
bruno - rossastro, nero e giallo) che ne rendono complessivamente un unica
tonalità, in questo caso bruno - grigia (nel fondo).
In mancanza di analisi chimiche e in attesa della pubblicazione dei risultati
ottenuti mediante la fluorescenza ai raggi X sui dipinti del Caravaggio , le
radiografie possono essere di aiuto nell’identificazione di alcuni pigmenti.
Il sangue che gronda dai colli recisi del Battista nella Salomé di Londra, dell’
Oloferne della Giuditta Barberini, della Medusa degli Uffizi e del Golia nel
Davide Borghese appare di colore scuro nelle lastre, ciò significa che il pittore
non ha fatto uso di rosso vermiglione, poiché tale pigmento a base di zolfo e
mercurio, per la presenza dell’elemento pesante (mercurio) altamente radio-
paco avrebbe dovuto fornire una risposta chiara in radiografia.
Tutti i bianchi sono stati eseguiti mediante biacca (bianco di piombo); anche il
piombo, come il mercurio, scherma i raggi X e la biacca fornisce in radiografia
la risposta chiara che possiamo osservare nelle lastre di tutte le opere espo-
ste.
Il Caravaggio fu scolaro di Simone Peterzano, a sua volta allievo diretto di
Tiziano. Egli ereditò forse dal maestro alcune delle caratteristiche tecniche
(come l’uso misto di olio e tempera e le sottili profilature nere degli incarnati)
del grande pittore veneziano sia attraverso la pratica che gli insegnamenti
verbali.
Nei lavori del Caravaggio si notano casi in cui il pittore ha raschiato la super-
ficie col fondo del pennello per rendere visivamente l’effetto di ruvidità della
terracotta, come si osserva nella caraffa della Cena in Emaus di Londra, e i
colori pressati con i polpastrelli per suggerire un tessuto damascato come nei
Bari di Fort Worth. L’uso delle dita per applicare stesure a olio è riportato
dall’Armenini come tipico di Tiziano.In tutte le opere esaminate la
sovrapposizione delle campiture pittoriche procede avanzando progressiva-
mente dal fondo della composizione verso il primo piano, procedimento carat-
teristico del Caravaggio. Il Merisi, non ritagliava le sue figure entro profili ben
20
definiti, come avrebbe fatto un pittore che avesse avuto davanti agli occhi un
disegno, ma eseguiva per intero le singole figure partendo dal fondo e ad
esse sovrapponeva poi quelle in primo piano .
Per questo motivo spesso le braccia proseguono sotto le maniche, oppure è
possibile scorgere l’addome, le gambe o il torace sotto i panneggi di alcuni
personaggi. Sotto gli elementi decorativi (spade, cinture, nastri, colletti...) ri-
sultano generalmente visibili, in radiografia e in riflettografia a infrarossi, le
figure sottostanti. Il pittore risparmiava dalla preparazione certi spazi liberi in
cui inserire successivamente determinati elementi; queste zone spesso si
rivelavano più ampie di quanto fosse necessario. Il Caravaggio tornava quindi
a chiuderle con colori simili, ma mai del tutto identici a quelli sottostanti (come
si vede nelle ceste di frutta del Bacco degli Uffizi e del Fruttaiolo Borghese,
nell’avambraccio della Giuditta Barberini, , negli oggetti sul tavolo della Cena
in Emaus di Londra e del Cavadenti, , nella corona dell’Amore vincitore di
Berlino, nella Coronazione di spine di Prato, , e nell’Ecce Homo di Genova,.
Vernici
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scheda tecnica
il sacrificio di Isacco
olio su tela
cm. 104 x 135
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Il Bellori ricorda un quadro di questo soggetto dipinto dal Caravaggio: “Al car-
dinale Maffeo Barberini, che fu poi Urbano VIII sommo pontefice, oltre il ritrat-
to, fece il Sacrificio di Abramo, il quale tiene il ferro presso la gola del figliuolo
che grida e cade”. Alcuni appunti autografi di monsignor Maffeo Barberini, a
quel tempo non ancora cardinale, contenuti nel Giornale degli anni 1600-1604
, riportano quattro pagamenti al Caravaggio, che dovevano riferirsi a un qua-
dro di misura media, tra il 20 maggio 1603 e l’8 gennaio 1604. Il 20 maggio
1603 il pittore ricevette 25 scudi “per a buon conto di un quadro”, il 6 giugno 10
scudi “per a buon conto di un quadro”, il 12 luglio 15 scudi “per a buon conto di
un quadro”, l’8 gennaio dell’anno seguente, Maffeo pagò a saldo 50 scudi “per
resto di pitture au.te da Lui fino al presente giorno”.
L’intervallo dei pagamenti dal luglio 1603 al gennaio 1604 è probabilmente da
porre in rapporto con un’interruzione del lavoro per le vicende del processo
intentato dal Baglione (l’11settembre per circa due settimane il Caravaggio fu
in carcere, e con il suo viaggio nelle Marche del tardo autunno che è tutt’altro
che sicuro . La Aronberg Lavin afferma convincentemente che i quattro paga-
menti si riferiscono a un solo quadro, il Sacrificio di Isacco, e nota che nel
Giornale cominciato il 27 maggio 1600 non se ne trovano altri prima del 20
maggio 1603. In una lettera del 3 agosto 1610 pubblicata da C. D’Onofrio
Maffeo Barberini menziona l’ Ambra (Abramo) mio fatto dal Caravaggio” che
gli era stato richiesto dall’ambasciatore di Francia per farlo copiare.
Si riferiscono a un Sacrificio di Isacco, le cui misure corrispondono all’incirca
a quelle del quadro degli Uffizi, alcune citazioni negli inventari Barberini pub-
blicati da M. Aronberg Lavin a cui facciamo riferimento.
Un dipinto di questo soggetto è elencato nel 1608 senza indicazione di autore
nell’inventano delle robe di Maffeo, da quell’anno arcivescovo di Spoleto, in
casa del marchese Salviati in via dei Penitenzieri dove il prelato doveva stare
quando risiedeva a Roma:
“Un Quadro dentro vi uno abram con Cornice nere”. Ancora privo di autore, è
citato nel 1623 nell’ inventano della Seconda Donazione al fratello Carlo
Barberini:
“Il sacrificio d’Isach con cornice nere”. Il quadro riappare nell’inventario poste-
riore al 1672 di don Maffeo Barberini, principe di Palestrina, n. 587: “Un Qua-
dro per longo con il Sagreficio di Abram et Isach longo p.mi 5 1/2 e alto p.mi 4
1/2 Incirca con Cornice Intagliata tutta dorata mano del Caravaggio”. Vanno
rilevati in questo documento, dove si nota un diverso interesse per il dipinto, la
data successiva alla pubblicazione delle Vite del Belloni, e il rinnovamento
della cornice che doveva essere importante. Dopo la morte di don Maffeo
(1686) è descritto, n. 203: “Un quadro per longo, che rapresenta il Sagrificio
d’Abram lungo p.i 5 1/2 p.i 4 in circa con cornice intagliata, e’ dorata, mano del
Caravaggi”.
In seguito alla divisione del 1812 delle raccolte tra i discendenti dei due figli di
Cornelia Costanza Barberini sposata a Giulio Cesare Colonna di Sciarra, il
Sacrificio di Isacco toccò al ramo Barberini Colonna di Sciarra e fu conservato
nel palzzo al Corso qui è citato col n. 126 negli elenchi fidecommissari (1818
e seconda metà dell’Ottocento) come di Gherardo delle Notti . E ricordato
nelle guide con la stessa attribuzione.
In seguito alla vendita dei quadri Sciarra alla fine dell’Ottocento per il crollo
finanziario del principe Maffeo, il quadro passò con altri in proprietà della So-
cietà di Credito e di Industria Edilizia, di Jacob Levi e figli di Venezia, di Edoardo
Almagià e di Angelo Sinigaglia creditori del principe. Figurava al n. 37 dell’e-
lenco con riferimento al numero 126 dell’inventario del 1818 (atti del 20 gen-
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naio e 27 luglio 1897). Non è noto quando il Sacrificio di Isacco fu acquistato
da John Fairfax Murray che lo ha dato nel 1917 come originale del Caravag-
gio alla Galleria degli Uffizi dichiarando la sua provenienza dalla collezione
Sciarra.
Il Marangoni ha collegato il dipinto pervenuto alla Galleria fiorentina alla descri-
zione del Bellori, ritenendolo però una copia e spetta al Voss di averne
riaffermato l’autografia, seguito dal Longhi e dallo stesso Marangoni.
L’accoglimento nel corpus caravaggesco è stato in seguito unanime. Si distin-
gue la proposta di W. Friedlaender che si tratti non di una copia, ma di un
pasticcio, cioè dell’opera di un altro autore che ha combinato motivi e elemen-
ti del Merisi di varie epoche, sulla scia di osservazioni del Marangoni circa le
rispondenze con diversi dipinti. Tali riserve sono oggi superate anche in con-
siderazione della cambiata datazione dell’opera, che prima del ritrovamento
dei documenti del 1603 veniva indicata, dopo una prima proposta del Maran-
goni al 1606, a vari anni dell’ultimo decennio del Cinquecento.
La datazione precoce sostenuta dal Longhi e da altri studiosi fondava sulla
luminosità che rende pienamente leggibile il campo visivo del Sacrificio
d’Isacco. Le emergenze dei chiari sono infatti interrotti solo dalla cesura della
penombra trasparente che interessa soprattutto la figura di Abramo ed esalta
il rosso del mantello annodato ai fianchi (in questa scansione è da vedere
un’evoluzione del partito dell’ombra e della luce del primo Sacrificio d’Isacco,
.La pittura in chiaro era ritenuta propria soltanto della fase giovanile del Cara-
vaggio, in conformità allo schema storiografico del Belloni fondato sul radica-
le cambiamento intervenuto prima della fine del secolo, quando il Caravaggio
aveva cominciato a “ingagliardire gli oscuri”. In realtà il Caravaggio ritornò
anche in seguito a una luminosità in chiaro, e l’esempio più significativo è il
primo San Matteo per l’altare della cappella Contarelli a San Luigi dei France-
si che precedette la seconda redazione (ambedue i quadri furono compiuti tra
il febbraio e il settembre del 1602). Il secondo San Matteo è notevolmente
difforme come concezione pittorica perché eseguito con un impasto ‘alla ve-
neziana’, meno reattivo alla luce e meno ‘lombardo’.
I rapporti con questa seconda redazione sono significativi. Secondo il
Marangoni, Abramo ha le stesse fattezze del secondo San Matteo intento a
scrivere, che il Caravaggio dovette derivare dal medesimo modello vivente,
indicato dal Moir anche nell’apostolo piè arretrato dell’Incredulità di San
Tommaso di Potsdam, dipinta per Vincenzo Giustiniani, la cui datazione mi
sembra si debba fissare intorno al 1601-1602.
Il modello dell’angelo rappresentato in quest’opera è il medesimo che appare
nel secondo San Matteo. Analogo è il pensiero della presentazione di profilo,
secondo un’esigenza di regolanizzarne e classicizzarne le sembianze che mi
sembra nata al tempo in cui il Caravaggio attendeva al San Matteo e l’angelo
dopo il rifiuto della prima versione, probabilmente anche a causa del realismo
con cui erano raffigurati i due protagonisti. In modo analogo, i panneggi sono
costruiti classicamente con pieghe lunghe e avvolgenti. Pure in rapporto con
il secondo San Matteo è da leggersi la gravità del volto di Abramo, dove il
pittore rimedita i modelli di Lodovico e di Annibale Carracci e la pensosa rusticità
dei personaggi sacri del Moretto da Brescia.
La datazione fornita dai documenti al 1603 sembra confermata dalla fattura
sciolta con cui sono eseguite le rughe della fronte e le mani di Abramo, e certe
parti del paesaggio che appaiono pittoricamente non lontane dalla rappre-
sentazione dei vegetali e degli oggetti nel fondo del San Giovanni Battista
Corsini. La scena è concentrata e si svolge in primo piano in un taglio di tre
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quarti di origine veneziana che il Caravaggio ha costantemente usato a parti-
re dalla Buona ventura capitolina. L’azione ha un andamento dinamico e
concatenato, che si sviluppa parallelamente alla superficie del quadro secon-
do uno schema semplice che non richiedeva un’elaborata preparazione dise-
gnativa. Tuttavia i raccordi tra le figure sono meglio risolti che nella Giuditta e
Oloferne, attraversata dalle braccia riprese dal vivo, ma maldestre della pro-
tagonista e nell’Incredulità di San Tommaso di Potsdam. Una sequenza di
valore anche compositivo, che forse riflette un ricordo del Correggio, congiun-
ge il braccio dell’ angelo al polso di Abramo e rivela il corpo di Isacco in uno
scorcio molto contratto, analogo a quello dell’angelo sulla nube del Martirio di
San Matteo.
Notevoli sono i cambiamenti intervenuti dal tempo della prima, acerba reda-
zione del soggetto oggi nella collezione di Barbara Johnson. Al naturalismo
trasparente e di mera registrazione di un evento di esito incerto, di quella
prima versione il Caravaggio sostituisce una macchina che mette in moto
l’azione secondo un modo di concepire il quadro di storia che si intende pas-
sato attraverso le esperienze della Giuditta e Oloferne e del Martirio di San
Matteo. La clamante icasticità dell’azione al suo acme si concentra nell’urlo e
nella contrazione del corpo del giovane Isacco ed è evidenziata, per con-
trasto, dal paesaggio calmo e lontano. Il largo impianto alla veneta dello sfon-
do è vivificato da una nuova registrazione del dominio dell’ombra sullo sco-
sceso della valle e delle lontananze nella luce. La sua presenza autonoma e
non funzionale all’azione è la conseguenza del metodo caravaggesco fonda-
to sulla ripresa diretta dal modello e dell’attenzione del pittore rivolta prevalen-
temente alla figura.
Il Caravaggio ha disposto con le incisioni sulla mestica la collocazione, i colle-
gamenti e le pose dei protagonisti. Studiate sistematicamente da Keith
Christiansen a da Thomas M. Schneider con qualche divergenza nella loro
individuazione, le incisioni del Sacrificio di Isacco costituiscono, come quelle
della Giuditta e Oloferne, un campo d’indagine di grande utilità per la com-
prensione di questo procedimento del tutto personale e rivoluzionario, basato
non già sul disegno come componente fondamentale dell’ideazione, ma sulla
ripresa del modello .Sono infatti tuttora visibili anche a occhio nudo le incisioni
delle teste, del braccio con la mano puntata dell’angelo, e di quelle protese di
Abramo e della mano del patriarca nel gesto di afferrare la testa di Isacco, a
cui, come vedremo, il Caravaggio ha dedicato una particolare attenzione. Al-
tre due incisioni segnano il piano di posa dell’altare del sacrificio. Va notato
che il Caravaggio ha omesso significativamente la barba di Abramo, che ag-
giungerà come di consueto in un secondo momento che non sono considerati
i panni che rivestono le braccia del patriarca, e che l’incisione per il suo brac-
cio destro passa attraverso quella della mano dell’angelo. La testa di Isacco è
invece incisa nella sua forma e nei particolari del viso. Mentre per il naso il
pittore si è limitato a un segno sommario, le incisioni della bocca e degli occhi,
le sedi dove si concentra la manifestazione dei ‘moti’, ne precisano dell’una la
forma, degli altri la posizione. Isolando la bocca e l’incisione preliminare, si
nota una regolarità che fa pensare che il Caravaggio avesse in mente le ma-
schere classiche. Questo riferimento, che non è una citazione letterale né una
desunzione grafica ma un ricordo affiorante globale e di immagine, si rivede
anche in uno degli astanti della Resurrezione di Lazzaro. Quanto al segno che
unisce i due occhi, si tratta di una linea curva per allinearli correttamente, un
sistema usato dagli artisti nei disegni schizzati di teste e che il Caravaggio
doveva avere appreso in Lombardia negli anni di tirocinio. Egli lo userà in
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seguito anche per il viso del San Giovanni di Kansas City e per la testa di tre
quarti di uno degli aguzzini della Flagellazione di Rouen. Altre incisioni indivi-
duate da Keith Christiansen, come rivela la riflettografia a infrarossi sono
relativeal corpo di Isacco, non già al suo difficile scorcio (ciò che avrebbe
avuto un significato grafico), ma come di consueto alla mera posizione ripresa
dal modello vivo, fissata con pochi segni, uno dei quali si riferisce ai genitali.
La gamba, prevista in un primo tempo, è stata coperta dal mantello di Abramo.
La riflettografia a infrarossi ha rivelato anche un procedimento relativo al pro-
filo dell’angelo che il Christiansen vede giustamente come una filiazione
leonardesca. Dopo avere presumibilmente inciso la posizione della testa, il
Caravaggio ha campito sul fondo scuro la superficie ad essa destinata, poi ha
dipinto la testa da un modello vivo, di cui la riflettografia rivela il profilo più
minuto e delicato rispetto a quello finale, che risulta più regolare e idealizzato.
Questa immagine riflettografica pone in evidenza un altro aspetto, considera-
to dal Christiansen, del metodo del Caravaggio, che campiva in una fase rela-
tivamente iniziale certe aree della composizione per isolarle en reserve dal
contesto e in seguito ne precisava e modificava i contorni. Questa pratica,
che qui è usata per la testa dell’angelo, per il braccio sinistro e il dorso di
Abramo, e per il nudo poi scoperto di Isacco, consentiva di dipingere rapida-
mente davanti al modello.
Altre caratteristiche tecniche ricorrenti nelle opere del Caravaggio si notano in
questo dipinto nella preparazione visibile tra una campitura e l’altra. Talvolta
questo bordo è stato ricoperto da una tonalità scura stesa con un pennello
sottile e, come nella mano puntata e nell’avambraccio dell’angelo, giova a
staccarlo di tono dalla veste di Abramo.Il soggetto del Sacrificio di Isacco in-
contrò grande fortuna tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento con la
ripresa dello studio dei testi di Sant’Agostino che aveva trattato nel De Civitate
Dei l’obbedienza e la fede di Abramo. Delle due versioni del Caravaggio si
conoscono delle copie e delle derivazioni di altri pittori. Questo fu il tema pre-
ferito di Giuseppe Vermiglio, che lo ripeté più volte, e sua è la versione un
tempo nella collezione Nils Rapp a Stoccolma che combina le due interpretazio-
ni del Caravaggio, ciò che indica che il pittore, già ricordato a Roma nel 1604,
doveva averle viste entrambe.
Scheda tecnica
Il supporto originale è formato da un’unica porzione di tela a tramatura diago-
nale, saia, non troppo fitta, che finora non era mai stata notata nei dipinti del
Caravaggio, mentre si ritrova in realtà nella Madonna dei palafrenieri, nella
Salomè della National Gallery di Londra, e nel Sacrificio di Isacco Johnson.
Il telaio è ligneo, con traversa centrale verticale e rinforzi di ferro sugli angoli.
Il dipinto è citato con “Cornice nere” nell’ inventano Barberini del 1608 e con
“cornice intagliata, e dorata” in quello Barberini del 1686. La cornice attuale è
a gola dorata.
Nei due inventari Barberini è menzionato di palmi 5.1/2 di lunghezza e 4.1/2 o
4 circa di larghezza, corrispondenti a circa 100 x 122 cm, misure vicine a
quelle attuali. La preparazione bruno-rossiccia è lasciata in vista in alcune
zone e particolarmente nei bordi che, secondo la consueta tecnica en reser-
ve, delimitano gli incarnati del volto e delle spalle di Isacco, del braccio destro
dell’angelo, del volto e delle mani di Abramo. In altre zone, intorno all’incarna-
to di Abramo, e lungo la mano indicante e il profilo dell’angelo, il pittore ha
dipinto una linea scura sopra la pellicola pittorica con un pennello sottile intri-
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so di nero.
Numerose incisioni nell’ imprimitura caratterizzano questo dipinto. Notando la
linea incisa del braccio sinistro di Abramo il Marangoni ne ha rilevato per
primo la stretta relazione per la posizione con il braccio sinistro (non inciso)
del carnefice nel Martirio di San Matteo della cappella Contarelli. Roberto
Longhi ha individuato a occhio nudo le linee incise della testa e della bocca di
Isacco e del contorno posteriore dell’angelo. Tracce affini, ma di minore inci-
denza riferibili al braccio e alla mano sinistra di Abramo, sono state osservate
da Richard E. Spear lungo i bordi del masso sacrificale.
In una lettura sistematica Keith Christiansen ha osservato che linee incise
analoghe a quelle che definiscono la posizione della testa di Oloferne nella
Giuditta Barberini si trovano nella nuca e nel mento dell’angelo e nella testa e
nel mento di Abramo. Ancora una volta la barba è stata ignorata in questa
prima fase, come accade nel San Francesco di Hartford, nel San Gerolamo
Borghese e nel San Francesco di Cremona. Altre linee incise seguono la
spalla sinistra di Abramo e la posizione delle braccia nude, sulle quali è stato
aggiunto il panneggio direttamente con il colore. Corte incisioni nel torace di
Abramo indicano l’andamento convergente delle pieghe della veste. La
linea incisa che definisce l’avambraccio destro di Abramo passa attraverso
la mano dell’angelo. L’ovale del volto e i lineamenti di Isacco sono anch’essi
indicati mediante incisioni. Un arco inciso definisce l’allineamento degli oc-
chi; un uncino fornisce un’indicazione preliminare per il naso. Essendo la
bocca aperta nel grido di importanza cruciale per l’espressione degli affetti,
il Caravaggio ne ha segnato con attenzione la posizione mediante linee
incise. Il significato di altre incisioni non è del tutto chiaro. Alcune di esse,
sopra la linea orizzontale che definisce il margine dell’altare, possono forse
riferirsi ad una prima posizione, poi abbandonata, per la mano destra di
Abramo e per il manico del coltello. Un’altra incisione che cade in diagonale
verso il basso sul lato sinistro potrebbe definire il contorno del braccio di
Abramo o suggerire l’angolo in scorcio del bordo dell’altare. Inoltre si notano
una linea incisa dalla forma ad “U”, appena sotto il polso della mano destra
di Abramo, e altre due che scendono in diagonale verso sinistra. La loro
funzione non sarebbe stata chiara senza l’aiuto della riflettografia infrarossi
(si veda alla voce relativa). Tale analisi ha dimostrato che esse non si riferi-
scono ad Abram ma al corpo di Isacco; le due linee in diagonale ne defini-
scono la coscia destra, chiaramente visibile in riflettografia mentre linea ad
“U” si riferisce ai genititali del ragazzo. Per la gamba il pittore aveva blocca-
to un’area scura attorno all’altare.
In seguito decise di coprire l’arto con il panneggio del mantello di Abramo.
Le incisioni e la riflettografia a infrarossi consentono di stabilire che il
Caravaggio aveva ripreso il corpo di Isacco da un modello in posa. Il Marini
riscontra altre incisioni “nel volto d’ Isacco, nella nuca, nel mento e nel gomi-
to dell’angelo, nonché nei contorni della figura e nella costruzione (senza
panneggio) del braccio sinistro di Abramo”. Thomas M. Schneider ha ag-
giunto, a quelle già osservate in precedenza, le incisioni sulla spalla dell’an-
gelo e sul dorso di Abramo e ha modificato leggermente l’andamento notato
dal Chnistiansen per quelle che delimitano il masso sacrificale e il volto di
Isacco. Recentemente (sopralluogo effettuato nel 1991) ha notato altre inci-
sioni relative alla testa dell’ariete e alla ricaduta della veste di Abramo in
corrispondenza del suo fianco destro, precisando inoltre che un’incisione
corre intorno alla barba e non all’ovale del volto.
La superficie risulta granulosa nelle zone in cui compaiono colori a base di
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terre, in particolare negli alberi e sul fondo.
È presente sul dipinto una vernice trasparente, ma offuscata e ossidata, che
ne altera i valori cromatici.
Il cretto segue un andamento irregolare con cunicoli sottili e isole poco sol-
levate del diametro medio di 1 cm circa.
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fondo verso il primo piano, si può individuare anche in questo caso nel coltello
che sormonta la manica di Abramo, la quale a sua volta si sovrammette alla
spalla di Isacco. Ancora si può osservare che il braccio destro dell’angelo
passa sopra il panneggio del braccio di Abramo, dipinto per intero al di sotto.
Lettura delle riflettografie I.R.
Sono state eseguite da Keith Chnistiansen nel 1985; i risultati sono stati pub-
blicati nel 1986 le niflettografie hanno rivelato che alcune incisioni di difficile
interpretazione non si riferiscono alla figura di Abramo, ma a quella di Isacco.
Le due incisioni diagonali che scendono verso sinistra indicate dal Christiansen
(1986, p. 430) delimitano il fianco destro della vittima: l’incisione a forma di
“U” sotto il polso destro di Abramo sembra registrare la posizione dei genitali.
In un primo momento il Caravaggio aveva previsto di lasciare in vista la gam-
ba di Isacco; in seguito dovette ritenere che la presenza di un elemento così
fortemente in aggetto interfenisse con il disegno generale della composizione
nel suo movimento diagonale dall’alto verso il basso e da sinistra verso de-
stra. Di conseguenza coprì la gamba con il panneggio del mantello di Abramo.
Di qui deriva la difficile lettura della posizione compressa di Isacco (con la
gamba destra piegata indietro e il braccio destro flesso dietro la schiena), il
cui nudo è stato certamente ripreso dal modello in posa.
La rflettografia a infrarossi costituisce anche un’analisi interessante per stu-
diare la genesi del viso dell’angelo, di ricordo leonardesco sul lato sinistro, e
per capire il passaggio all’idealizzazione del profilo. Dopo aver inciso le linee
di base per definire la posizione del volto, il Caravaggio dipinse nell’area bru-
na della preparazione un profilo generico. In seguito copiò il volto da un mo-
dello vivente, con guance minute e labbra delicate, ben visibili nella riflettografia
a infrarossi, si trattava di lineamenti individuali e caratterizzati furono poi co-
perti allungando il contorno per dare al viso un profilo idealizzato .
Ancora Keith Christiansen ritiene che il Caravaggio abbia messo in posa due
volte lo
stesso modello: una volta per l’Isacco e l’altra volta per l’angelo. E forse per
questo motivo che le uniche incisioni per l’angelo sono quelle che definiscono
genericamente la forma della testa e che le incisioni che descrivono l’avam-
braccio destro di Abramo non tengono conto della presenza della mano del-
l’angelo, che non c’era ancora quando la posizione del braccio di Abramo fu
incisa. La stesura scura a velatura intorno al volto dell’angelo sembra dipinta
alla fine e non fissata anteriormente al viso come pensa Keith Christiansen.
Secondo lo studioso il Caravaggio in una fase relativamente iniziale ha la-
sciato delle zone scure nella composizione per isolare certe aree come dimo-
stra il particolare della testa dell’angelo dove è stato lasciato il fondo scuro
intorno al profilo, e così pure egli si è regolato per il braccio sinistro e per il
contorno della schiena di Abramo. In altre parole secondo Keith Christiansen
il Caravaggio ha risparmiato il fondo scuro in certe zone della composizione e
ha ripreso i contorni definitivi solo nell’ultimo stadio, spesso modificandoli.
Questa tecnica gli consentiva di procedere rapidamente e con grande deci-
sione dal modello alla pittura finita.
Stato di conservazione
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quindi bianca in radiografia a causa della radiopacità del gesso il film pittorico
appare
in discreto stato di conservazione.
Restauri
dopo il luglio del 1954 presso il Gabinetto Restauri della Soprintendenza fio-
rentina
Nel 1965, sempre presso il Gabinetto Restauri della Soprintendenza (GR. n.
1649), è stato effettuato un controllo dello stato di conservazione in vista del-
l’invio del quadro alla mostra di San Paolo in Brasile.
Copie dipinte
Si può dedurre la possibile esistenza di una copia da una lettera inviata da
Maffeo Barberini al fratello Carlo nel 1610. In essa si parla della richiesta del
quadro da parte dell’ambasciatore di Francia per farlo copiare.
Se ne conoscono numerose derivazioni variate ,la più famosa delle quali,
oggi perduta, era nella collezione del duca di Orléans e fu incisa come opera
del Caravaggio da J. Ch. Le Vasseur alla fine del Settecento.
Per alcune derivazioni da questa redazione del soggetto e dall’altra attual-
mente nella collezione Johnson ,nella quale Isacco ascolta il messaggio del-
l’angelo e non grida.
Fra le copie si enumerano invece:
1) Londra, collezione privata di fattura scadente.
2) Firenze, collezione privata, olio su tela, cm. 104 x 133 con una villa nello
sfondo al posto della chiesa.
Stampe
Non se ne conoscono.
Disegni dall’opera
Non se ne conoscono.
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radiografia
31
particolare
32
particolare
33
particolare a luce radente
34
incisioni sulla mestica
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Sommario
3 .................................................. Come dipingeva il Caravaggio
9 ........................ La tecnica del Caravaggio: materiali e metodi
9 .................. La tecnica nei documenti e nella letteratura artistica antica
9 .................................................................................................. Documenti
9 ............................................................................................................Fonti
10 ......................................................... Le indagini moderne sulla tecnica
14 ....................................................................................................Supporti
16 ............................................................................................ Preparazione
17 ..................................................................................................................
17 ................................................................................ Disegno preliminare
18 .................................................................................................... Incisioni
18 .....................................................................................................Abbozzi
19 ........................................................................................... Strati pittorici
21 ...................................................................................................... Vernici
22 .................................................................................il sacrificio di Isacco
26 ..........................................................................................scheda tecnica
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