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Matteo Maria Boiardo, dall’Inamoramento de Orlando: 22a (I I 1-3); 22b (da I XVIII
41-46); 22c (III IX 26)
Nobili cavalieri che vi riunite per udire
Vicende interessanti e mai udite prima,
restate attenti e in silenzio, ad ascoltare
la bella storia che ispira il mio poema
e vedrete le gesta incredibili,
la grande fatica e le prove ammirevoli
che il nobile orlando compì per amore
al tempo in cui Carlo Magno era imperatore
Oh Musa, tu non circondi di caduchi allori le cime del monte Elicona, tu che non sei
circondata da allori effimeri destinati a scomparire ma stai in cielo tra i cori beati, hai
corone fatte di stelle immortali e tu ispiri al mio cuore entusiasmi celesti religiosi. Tu
illumini il mio canto e perdoni se intreccio storie e fantasia e diletti moderni, non
derivati da te.
Spiega che gli uomini prediligono poesia ricca di immagini fantastiche e dilettevoli e
di altri ornamentali dolcezze a lei propri, e trovano nel parnaso il simbolo della
poesia, mescolato a dolci immagini alludono e persuadono anche coloro che sono
più schivi e più ritrosi, così come il fanciullo malato porgiamo una tazza coi bordi
cosparsi di un liquido dolce, il fanciullo ingannato dal sapore dolce beve l’amara
medicina e anche in virtù dell’inganno guarisce.
Tu, forte magnanimo Alfonso II d’este che vuoi sottrarti all’improvvisa tempesta
degli eventi e conduci verso un punto sicuro me pellegrino errante che sono
sballottato, tra gli scogli e le onde, quasi inghiottito accogli, con benevolenza queste
mie carte, che ciò che ti offro come un dono votivo. Forse un giorno verrà che il mio
puro presagio della tua gloria e possa scrivere su dite quello che ora riesco solo ad
accennare.
Se accadrà che il popolo cristiano riesca a recuperare combattendo per mare e per
terra gli infedeli e strappare nuovamente il Santo Sepolcro, ingiustamente nelle
mani dei Turchi, che ti sia concesso o il comando di terra o quello della forza marina.
In modo tale da poter emulare Goffredo; intanto accetta la poesia che ti offro e
preparati a combattere.
Commento
Lo schema classico del proemio reintrodotto nell’epica italiana dal Poliziano e
dall’Ariosto appare ormai consolidato. Anzi qui è dato cogliere, nella proposizione,
un richiamo all’Eneide virgiliana nella coppia di termini, “L’arme e l’capitano” (Arma
virumque cano), messa in evidenza al primo verso. Ma rispetto al Virgilio e anche
all’Ariosto, che esordiva con una fluida ostensione della materia oggettiva del
poema (Le donne, i cavalier, l’arme, gli amori), appare significativa nel Tasso
l’anticipazione del verbo canto. Sempre nell’ottava di proposizione, poi, compare un
motivo già ariostesco, quello dell’errare nel duplice senso di vagare (proprio dei
cavalieri erranti, nel Furioso) e di deviare moralmente. Ma sin da questa prima
occorrenza è chiaro che il motivo nel Tasso si orienta più decisamente in direzione
morale e di una moralità connotata in senso religioso: come meglio si comprenderà
in seguito, anche il motivo dell’errare fisico (vagare), in quanto allontanarsi dal luogo
della battaglia e dal compito supremo della liberazione del sepolcro di Cristo, è un
errare morale, una colpa. E qui precisamente in questo senso, compare il termine
erranti, assai diverso da quello che qualificava i cavalieri della precedente tradizione,
erranti nel senso di vaganti nell’avventura. Quando poi ricompare poco più avanti
riferito al Tasso il medesimo termine si connota, in forza della metafora del mare in
tempesta, nel senso del patetico (altra novità rispetto al Furioso). L’invocazione alla
musa cristiana (probabilmente, col Getto, la Sapienza) e la contrapposizione tra
gloria effimera, connessa alla materia terrena, e gloria imperitura, connessa alla
materia sacra (e anche qui si misura la distanza dall’Ariosto che invocava, tra serietà
e ironia, la donna amata), introducono una riflessione sui fini dell’arte. Sia pur con
cautela, e in verità con una semplificazione rispetto alle tesi esposte nelle opere
teoriche, il Tasso mostra qui di riproporre il binomio classico “utile+dolce”,
endonismo e pedagogismo, ma il dolce è declassato, nella similitudine d’origine
addirittura platonico-cristiana, a necessario allettamento per trasmettere un
insegnamento, una verità morale e religiosa. La sintesi endonismo-pedagogismo
inclina insomma verso il secondo termine, anche se all’altezza della Liberata non è il
caso di insistervi più di tanto, vista la complessità, sul piano dei fatti, delle
motivazioni a scrivere che muovono il poeta. Quanto alle ottave di dedica, si noti
infine il motivo, frequente in questi anni, dell’augurio al duca Alfonso di potersi fare
un giorno condottiero, degno di Goffredo, d’una nuova crociata: la vicenda remota
nel tempo si proietta nell’attualità, il tema religioso trova un aggancio, non
pretestuoso, con la società cortigiana e l’encomio del letterato.