In concomitanza con la fase di crescita dell’economia internazionale, l’agricoltura riprese a crescere, rappresentava
il 73% di quella nazionale.
Sfruttando l’onda espansiva del commercio internazionale, la politica giolittiana agevolò l’apertura dei mercati
esteri alla produzione agrumicola siciliana.
Anche la massiccia emigrazione diede un notevole contributo all’esportazione degli agrumi richiesti e reclamizzati
dagli stessi emigrati.
Anche la cerealicoltura riprese ad espandersi grazie alla sensibile moltiplicazione delle piccole e medie aziende
contadine ma anche per i miglioramenti tecnici introdotti in alcuni latifondi. L’industria zolfifera, che aveva ormai
perduto il monopolio mondiale per la concorrenza dello zolfo americano, attraverso accordi internazionali riuscì a
mantenere fino al 1907 una esportazione accettabile che cominciò a decrescere.
Nonostante i suddetti miglioramenti, il divario fra Settentrione e Sicilia, fra gli anni ’90 e la vigilia della grande
guerra, si accrebbe a causa di una velocità di crescita economica nettamente diversa.
La Sicilia avviò la sua crescita economica, basata sulla produzione agricola, sui prodotti alimentari e sulla vendita
di materie prime ma priva di quelle attività industriali necessarie al tanto ambito decollo economico. La sua struttura
politico-sociale di base rimase ancorata al dominio dei grandi proprietari latifondistici ai quali cominciò ad
aggregarsi una borghesia commerciale in via di sviluppo. Nonostante la sua arretratezza, sia pure con
l’aggravamento della pressione fiscale e la crescita del debito pubblico, ebbero un sensibile miglioramento rispetto
al 50ennio preunitario. La maggior parte dei parametri della vita socio-economica siciliana ebbero un notevole
miglioramento ma, purtroppo, subiranno un forte rallentamento fra le due guerre mondiali.
Durante la Grande Guerra si verificò una profonda crisi nell’agricoltura italiana a causa dei richiami alle armi. Di
conseguenza, le braccia lavorative dell’agricoltura divennero assolutamente insufficienti. Se a ciò si aggiunge che
l’industria estrattiva dello zolfo continuava a subire la concorrenza statunitense, riducendo la produzione e
l’esportazione, la crisi dell’economia siciliana risultò inevitabile. In Sicilia, soltanto la produzione agrumicola non
entrò in crisi soprattutto per i profitti che assicurava la vendita all’estero dei vari tipi di produzione.
L’ingresso in guerra dell’Italia, nel maggio del 1915, accentuò la crescita di quei rami produttivi del settore
secondario utili alle esigenze belliche. Ad ogni modo, la spinta popolare, attraverso gli scioperi, l’occupazione delle
terre e le insurrezioni locali, stimolò la mobilità del mercato fondiario e provocò la quotizzazione di ben 341 ex-
feudi per un ammontare di circa 120mila ettari, intaccando sia pur marginalmente il latifondo.
Spesso i risultati acquisiti in modo stabile dipesero dai tempi del pagamento che, andando oltre il 1926, non
risultarono essere un buon affare. Infatti, la maggior parte di coloro che riuscirono ad acquisire in modo definitivo
la proprietà entro il suddetto anno furono costretti a rinunciare a causa della rivalutazione della lira che rese
insostenibile il pagamento della rata del mutuo.
Fra l’affittanza individuale o collettiva e la quotizzazione, fu la seconda a prendere il sopravvento per la convergenza
degli interessi dei proprietari con quelli dei contadini. L’affittanza era prevalsa nel clima di collaborazione
instauratosi durante l’età giolittiana, ma all’emergere di acuti conflitti sociali i contadini preferirono assicurarsi la
proprietà della terra attraverso un forte impegno finanziario di lungo periodo e gli stessi proprietari latifondisti
preferirono vendere, in una situazione di scontro sociale, le terre scarsamente produttive. L’avvento del fascismo,
dopo la marcia su Roma, rallentò il suddetto meccanismo clientelare, destando così attenzione ed interesse da parte
dell’opinione pubblica siciliana.
È lo stesso Mussolini che effettua la sua visita, all’indomani delle elezioni politiche del 1924. Durante questa visita,
lo stesso capo del fascismo si rende conto che i consensi ottenuti non rappresentano un’adesione convinta al suo
partito.
Il governo Mussolini inviò subito in Sicilia efficienti funzionari governativi, sostituì sei dei sette prefetti e diede
l’incarico di commissario straordinario a Pietro Bolzon, fascista della prima ora, per impedire infiltrazioni
moralmente condannabili nel partito.
Lo stesso Alfredo Cucco, federale di Palermo, si impegnò sulla questione morale, sciogliendo alcune sezioni del
partito ed eliminando tutti gli iscritti con la fedina penale non in regola.
La sua battaglia per impedire le infiltrazioni mafiose trovò un grosso ostacolo nei palermitani, i quali poi riuscirono
ad isolarlo e a renderlo inviso allo stesso movimento fascista. Infatti, quando Mussolini inviò in Sicilia il prefetto
Mori per combattere la mafia si venne a creare una contrapposizione fra lo stesso Mori e il federale Cucco.
Costringendo Cucco alle dimissioni.
Mussolini aveva tentato di coinvolgere nella politica la classe intellettuale siciliana, inserendo nel suo primo
governo ben quattro ministri: Carnazza, Colonna di Cesarò, Gentile e Corbino.
Invece, nel 1928, il prefetto Mori venne rimosso da Mussolini allo scopo di mutare la strategia verso la Sicilia che
da militare sarebbe dovuta trasformarsi in economica e finanziaria attraverso un programma di bonifica integrale
promosso dalla legge Serpieri del 1933, che favorisse lo sviluppo dell’agricoltura meridionale.
Ad ogni modo, l’economia siciliana, che era integrata in modo distorto nel mercato internazionale del grano, della
seta, dello zolfo e degli agrumi, venne colpita dal tentativo di conciliazione fra le istanze governative e le clientele
locali. Attraverso i fratelli Carnazza, tale tentativo di conciliazione ebbe inizio. Per convincere i vertici finanziari
ad investire nell’agricoltura meridionale, coadiuvato da un gruppo di tecnici ex-nittiani, prospettò la costruzione di
dighe allo scopo di raccogliere le acque da utilizzare per l’irrigazione e la produzione di energia elettrica.
Per raggiungere il suddetto scopo occorreva una notevole spinta legislativa che puntasse ad una ristrutturazione
dell’agricoltura latifondistica. La legge Serpieri sulle trasformazioni fondiarie del maggio 1924 dava la possibilità
alle società per azioni di sostituirsi ai proprietari fondiari che non si sarebbero potuti opporre alla bonifica integrale.
Nello stesso periodo, Carnazza assegnava ad un grande gruppo finanziario la ricostruzione di Messina, che era sotto
il controllo delle clientele municipali, al fine di utilizzare i sostanziosi finanziamenti pubblici. Nell’ambito
dell’industria zolfiera e della produzione agrumaria, il capitale finanziario riuscì persino ad influenzare il Consorzio
zolfiero e la Camera agrumaria che in passato avevano tutelato gli interessi dei grandi proprietari terrieri. Infatti, la
Montecatini assunse una posizione dominante in quanto riuscì ad ottenere un canale preferenziale negli acquisti di
zolfo e di derivati agrumari, emarginando gli acquirenti esteri.
Il continuo ridimensionamento dell’industria mineraria, a causa della concorrenza dello zolfo americano, e la crisi
economica successiva ridussero notevolmente il giro d’affari. Il Carnazza, che si era speso come mediatore fra il
capitale finanziario e le realtà economiche ella Sicilia, venne osteggiato dai ceti dominanti isolani. Quando egli
perdette la titolarità del Ministero dei lavori pubblici, le forze avverse, aiutate attraverso Gaetani Zingali, economista
pubblico e proprietario fondiario di Francofonte, scatenando una forte reazione con lo scopo di eliminare la clausola.
L’introduzione della demanialità delle miniere di zolfo per eliminare l’estagio (percentuale di zolfo percepita dai
proprietari del terreno) viene recepita da una legge del 1927 in modo da non danneggiare né i proprietari terrieri né
le società private che gestivano le zolfare.
Il disegno del capitale finanziario di inserirsi nella realtà economica siciliana era fondato sulla forza con la quale il
regime sarebbe riuscito a vincere le resistenze che provenivano dalle istanze conservatrici delle classi dominanti
nell’Isola. In un primo tempo, la mediazione svolta dal Carnazza sembrava essere riuscita a vincere tali resistenze,
ma, in realtà, il partito agrario, riorganizzandosi a livello nazionale, riuscì a vincere, conquistando un ruolo politico
nettamente superiore a quello economico. Tuttavia esso non riuscì ad evitare l’inesorabile declino della sua
egemonia sulla società, collegato sia alla crisi del ramo zolfifero che di quello agrumario, e i tentativi di colpire la
proprietà latifondistica. Nonostante la profonda crisi economica, la struttura clientelare della Sicilia si era via via
stabilizzata, mimetizzandosi di fronte all’abolizione della lotta politica decretata e sbandierata da Mussolini.
Per riuscire ad ottenere l’eliminazione di personaggi scomodi venne utilizzata la denunzia anonima. Il regime
eliminò anche l’elezione dei sindaci che vennero sostituiti dai podestà nominati dal governo e per limitare
l’influenza dei deputati in sede locale, in occasione delle elezioni del 1929, venne decretata l’incompatibilità tra la
carica di deputato e quella di federale. Così che, molti federali eletti in Parlamento dovettero abbandonare la loro
carica. Nella realtà dei fatti gli scambi clientelari continuarono a prosperare attraverso la mediazione dei politici e
del ceto aristocratico. l risultato della politica fascista in Sicilia sarà quello di sciogliere tutti i circoli civili che
verranno riorganizzati come circoli di ricreazione, tenendo sempre distinte le associazioni dei ceti abbienti da quelle
dei ceti popolari. Vengono così eliminati i canali di comunicazione fra centro e periferia che erano rappresentati dai
mediatori politici. Per conoscere la realtà locale il governo fascista si affida ai suoi funzionari (prefetti e podestà), i
quali ne danno una visione deformata sia per le arretrate condizioni economico-sociali della maggior parte della
popolazione che per le lamentele espresse attraverso numerose lettere anonime.
La struttura economico-sociale della Sicilia, dopo l’avvento del regime fascista, era cambiata nella sua forma
esteriore ma non nella sostanza. Il sistema clientelare, allineato al regime dittatoriale, ritornando gradualmente nelle
mani dell’aristocrazia fondiaria a causa del fallimento dei tentativi di riforma del fascismo. Le condizioni
economiche soprattutto il progetto di una nuova politica fascista orientata al dominio del Mediterraneo indussero
Mussolini a ritornare in Sicilia nell’agosto del 1937.
Tutti i suoi discorsi contenevano un’esaltazione del ruolo della Sicilia quale centro geografico dell’impero
nell’espansione politica italiana nel Mediterraneo. Ciò rappresentava un chiaro segnale di critica e di volontà di
cambiamento nei confronti della politica precedente che non aveva saputo far penetrare gli ideali fascisti nella realtà
siciliana, alla quale si riconosceva il permanere di un sottosviluppo da combattere vigorosamente. Mussolini
attribuiva un ruolo preminente alla battaglia per il superamento del sottosviluppo attraverso lo smantellamento del
latifondo che non era stato possibile realizzare contestualmente alla distruzione di buona parte delle organizzazioni
mafiose.
I primi provvedimenti politici colpirono i responsabili della mancata penetrazione del fascismo nell’Isola come
Cucco e Zingale, che nell’ultimo decennio erano stati emarginati.
Il blocco delle correnti migratorie verso l’America e il Nord Europa aveva accresciuto la pressione demografica,
determinando una forte crescita verso un lavoro stabile nell’agricoltura siciliana la quale necessitava di
miglioramenti strutturali. La lotta al latifondo era risultata essere incompatibile con l’egemonia di un ceto
parassitario di grandi proprietari terrieri, i quali avevano anche fallito nella gestione della bonifica integrale.
L’economia di guerra incise negativamente sulla popolazione meno abbiente, quale, a causa del razionamento visse
in uno stato di privazione, mentre gli strati borghesi e aristocratici riuscivano con facilità a trovare quasi tutto al
mercato nero.
Era inevitabile che si creasse una frattura fra popolazione e regime a causa del provvedimento del 24 aprile del 1941
con il quale il Ministro delle corporazioni prolungava l’orario di lavoro di due ore e dava ai datori di lavoro la
possibilità di accrescerlo di altre due ore e di sospendere le ferie, provocando un aumento dello sfruttamento
lavorativo. Contestualmente, la partenza di molti giovani per la guerra aveva svuotato le campagne di braccia
lavorative, diminuendo la disoccupazione ed accrescendo il livello salariale che, però, veniva vanificato dalla
crescita dell’inflazione e dal conseguente aumento del costo della vita. I provvedimenti presi dalle autorità il 2
dicembre del 1940 venne introdotto il razionamento di farina, pane e riso. La politica degli ammassi portò alla
formazione del mercato nero e provocò un impressionante aumento dei prezzi del grano. Il panico si sparse fra la
popolazione che nei centri urbani diede in alcuni casi l’assalto ai forni.
Malgrado l’abbondante raccolto le prospettive della campagna agrumaria del 1940-41 divennero incerte a causa
della scarsa disponibilità di carri ferroviari e della deficienza di carburante. Molte proteste vennero causate
dall’obbligo della trebbiatura meccanica per il difficile reperimento delle poche trebbiatrici meccaniche disponibili
quando c’era l’esigenza del raccolto. Spesso molti contadini decisero di trebbiare il grano con i sistemi tradizionali,
ottenendo rese decisamente inferiori. La deficienza di materie prime come il ferro e il cemento accresce la
disoccupazione nelle attività industriali. La pesca era quasi ferma per le misure di sicurezza militare che ne
limitavano il raggio d’azione e ne vietavano l’esercizio nelle ore notturne.
Le uniche note positive dal punto di vista economico furono la costruzione di opere militari e la crescita della
presenza di truppe tedesche nel territorio siciliano. a partire dal 16 aprile 1943 iniziarono i bombardamenti anglo-
americani aventi lo scopo di fiaccare la resistenza italo-tedesca prima di avviare l’occupazione militare dell’Isola.
Per evitare gli effetti devastanti dei bombardamenti, gli abitanti abbandonarono le aree urbane e si rifugiarono nei
piccoli paesi circostanti. Lo sbarco degli anglo-americani, avvenuto il 10 luglio del 1943 determinò una svolta a
loro favore e crollo del regime fascista portò all’occupazione della Sicilia entro il 17 agosto 1943, mentre le truppe
italo-tedesche ripiegavano rapidamente verso la Calabria. Da quel momento iniziò la gestione politico-
amministrativa. Vennero costituiti organi di governo locale nei quali gli statunitensi ebbero un posto di primo piano,
riconoscendo al generale inglese Alexander il ruolo di governatore. Lo statunitense tenente colonnello Poletti venne
messo a capo dei Civil Affairs (affari civili).
Dal punto di vista amministrativo venne scelta la forma di governo indiretto. I due capoluoghi più popolosi, Palermo
e Catania, divennero centri politici di primo piano, mentre nel resto del territorio, latifondisti e boss mafiosi
risultarono essere gli unici interlocutori dell’amministrazione anglo-americana. Contestualmente vennero sciolti i
sindacati e le organizzazioni fasciste e si istituirono gli uffici provinciali del lavoro.
A partire dall’8 settembre 1943 l’Italia assunse la posizione di cobelligerante(coalizione) degli anglo-americani che
venne confermata dalla Conferenza di Mosca. In questa fase il governo italiano riassunse gradualmente la titolarità
del territorio siciliano con l’appoggio della Commissione anglo-americana di controllo. Durante la stessa fase di
occupazione nacque il Comitato per l’indipendenza della Sicilia (CIS) con l’obiettivo di entrare a far parte degli
USA come stato federale allo scopo di sottrarla economicamente e politicamente al disastro della sconfitta. Tale
comitato, presentò come interlocutore, un governo provvisorio di fronte agli anglo-americani dichiarando decaduta
la monarchia e chiedendo la proclamazione della repubblica siciliana. Tale proposta non trovò grande accoglienza
da parte degli anglo-americani, i quali puntavano dapprima all’armistizio con l’Italia e, successivamente, ad
un’intesa.
Il neonato Movimento per l’indipendenza della Sicilia (MIS) non riuscì ad avere il sopravvento nelle
amministrazioni locali. Al neonato movimento aderirono quasi subito i più importanti rappresentati della grande
proprietà terriera e di conseguenza i leader della mafia agraria. Nello stesso movimento indipendentista, c’erano
anche i dirigenti di area cattolica, alcuni rappresentanti di sinistra, di idee socialiste, come Antonio Canepa,
intellettuale antifascista docente presso l’Università degli studi di Catania. Agente dell’Intelligence Service inglese
e teorico politico del separatismo, egli verrà ucciso nel 1945 in uno scontro a fuoco fra l’esercito dell’EVIS e i
carabinieri.
Dopo l’invasione anglo-americana, i grandi proprietari terrieri cominciavano a dissociarsi dalla politica dalle classi
dirigenti fasciste. Quando l’Italia, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, dichiarò guerra alla Germania, i partiti
unitari antifascisti furono costretti a riunirsi in un fronte unico siciliano che ribadiva ufficialmente i legami fra la
Sicilia e l’Italia, mentre il movimento indipendentista si proponeva come interlocutore privilegiato nei confronti dei
nuovi alleati. L’idea di mantenere le organizzazioni amministrative esistenti facendole guidare da funzionari
siciliani non coinvolti con il passato regime venne subito adottata e per garantire la collaborazione dei funzionari
locali, si rivolsero ai ceti dominanti locali e alle gerarchie ecclesiastiche. La necessità di coordinare l’attività
amministrativa indusse gli alleati, a realizzare un vero decentramento. Questo tipo di riforma portò alla nomina di
nuovi funzionari. Su indicazione dei partiti del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), il 18 marzo del 1944,
subito dopo il ritorno della Sicilia all’amministrazione italiana, venne istituito l’Alto Commissariato e una Giunta
consultiva composta da nove membri nominati dal Capo dello stato, in rappresentanza dell’antifascismo siciliano
inclusi i separatisti. Il primo Alto commissario nominato fu Francesco Musotto, politico siciliano con idee
separatiste. L’istituzione dei suddetti due nuovi organi, Alto commissario e Giunta consultiva portò alla
polarizzazione dei gruppi politici siciliani in due schieramenti. Il primo comprendeva i sei partiti di governo che
facevano parte dei Comitati di liberazione e il secondo tutti gli altri che erano stati privati dalle loro cariche. Nel
secondo schieramento politico di opposizione il gruppo più forte era quello separatista, largamente appoggiato dalla
popolazione, che, non riuscì a creare una solida organizzazione unitaria che potesse coagulare gli interessi della
popolazione siciliana.
Salvatore Aldisio, esponente di primo piano del popolarismo sturziano, quando venne a far parte del secondo
governo Badoglio con il compito di riorganizzare lo Stato, rimosse i prefetti di nomina anglo-americana, e inserì
uomini vicini al Comitato di Liberazione Nazionale. Al posto di Musotto, il 17 luglio del 1944, venne nominato alla
funzione di Alto Commissario per la Sicilia lo stesso Aldisio. Fu Aldisio ad avviare una nuova fase della vita politica
siciliana.
Il governo emanò nell’ottobre del 1944 i decreti Gullo, il primo dei quali era destinato a rendere più favorevole ai
coltivatori la ripartizione dei prodotti della terra. Tale decreto, la cui applicazione doveva essere autorizzata
dall’Alto Commissario per la Sicilia, venne modificato nei suoi contenuti, nel giugno 1945, a favore dei proprietari
allo scopo di tutelare i margini di rendita e quindi accaparrarsi l’appoggio politico dei latifondisti. Per combattere
gli indipendentisti la scelta del governo italiano fu di creare in Sicilia, la Consulta regionale siciliana che si insediò
il 25 febbraio 1945. Il compito della Consulta venne agevolato dalla cessazione dell’attività della Commissione
alleata di controllo che il 31 marzo successivo fece ritornare pienamente la Sicilia sotto la giurisdizione italiana.
Qualche mese dopo, la Consulta decise di affidare ai partiti del Comitato di liberazione nazionale (CLN) e a tre
personalità (Proff. Franco Restivo, Paolo Ricca Salerno e Giovanni Salemi) il compito di predisporre uno statuto
per la regione siciliana.
Il 27 ottobre successivo, la Consulta presentò un progetto di statuto fondato su estese competenze esclusive su molti
settori, fra i quali primeggiavano agricoltura e foreste, sanità e turismo.
La stessa polemica venne condotta dagli autonomisti i quali, senza chiedere l’indipendenza, proponevano una
politica risarcitoria nei confronti dell’Isola. I sostenitori dell’autonomismo capirono che per contrastare e
sconfiggere il separatismo era quello di puntare all’istituto regionale per ottenere ricompense politiche ed
economiche dal governo italiano. Con la fine della seconda guerra mondiale, la situazione economico-sociale della
Sicilia che aveva toccato il punto più basso durante il periodo bellico cominciò a dar segni di ripresa. In tale contesto
bisogna tener conto del ruolo della mafia che venne utilizzata dagli anglo-americani per facilitare l’occupazione e
la gestione politica dell’Isola.
La ricostruzione in Sicilia alimentò un ampio dibattito finalizzato a trovare soluzioni adeguate all’avviamento del
“riparazionismo”. L’intervento dello Stato, con un ruolo propulsivo ma anche integrativo nell’agricoltura e
nell’industria, cominciava a farsi strada.
Nel frattempo, veniva alimentato il dibattito su come utilizzare gli aiuti del piano Marshall che sarebbero stati
indirizzati verso tutte le regioni italiane compresa la Sicilia.
Fra la fine del 1943 e la primavera del 1944, nel Mezzogiorno, si era costituita un’area monetaria, separata dal resto
d’Italia e caratterizzata da una forte inflazione; (AMLire), da parte degli anglo-americani che avevano alimentato
notevolmente l’inflazione, rendendo più agevoli le attività commerciali mentre per contro aveva ridotto il potere
d’acquisto dei ceti a reddito fisso. In Sicilia, il cui sistema bancario era debole operavano il Banco di Sicilia e la
Cassa Centrale di Risparmio Vittorio Emanuele.
La Sezione industriale del Banco di Sicilia sovvenzionò con oltre un miliardo di lire le piccole industrie di alcuni
settori e finanziò la Società Generale Elettrica Sicilia (SGES) allo scopo di costruire la Centrale termica di Messina.
Fermo restando che per sviluppare l’economia di una realtà socio-economica sarebbe occorso far crescere sia il
settore primario che quello secondario, restava irrisolto per la Sicilia il problema del settore che avrebbe dovuto
avere la precedenza nella politica economica della ricostruzione. In Sicilia, dove era stata scelta la via
dell’autonomia anche per risolvere la questione del sottosviluppo, erano in parecchi a pensare che insieme con il
risollevamento dell’agricoltura era necessario pensare allo sviluppo industriale. Anche i più accaniti agraristi
pensavano che lo sviluppo del settore primario dovesse essere accompagnato dal potenziamento del turismo.
I sostenitori dell’industrializzazione, facendo riferimento a quello che avveniva nei paesi capitalistici, si erano
accorti che il numero degli addetti all’agricoltura aveva la tendenza a diminuire mentre in Sicilia era crescente. Per
gli industrialisti, quindi, era impossibile che la soluzione della questione meridionale potesse venire dai
miglioramenti dell’agricoltura, ma sarebbe stato necessario, come sosteneva Rodolfo Morandi, avviare
contestualmente un vero e proprio processo di industrializzazione. Una posizione simile assunse Luigi Sturzo per
la Sicilia, proponendo la realizzazione di complessi industriali serviti da una rete e da mezzi di trasporto adeguati.
Le prime speranze di una rinascita economica della Sicilia nacquero con il preannunziato arrivo degli aiuti del Piano
Marshall, che avrebbero potuto essere utilizzati per una crescita dell’occupazione attraverso la riattivazione di nuove
attività produttive. A tale scopo vennero organizzati numerosi convegni e fondate numerose associazioni per dare
indicazioni e suggerimenti sulla destinazione dei suddetti aiuti che però rimasero inascoltati. Il Centro per
l’incremento industriale della Sicilia, il quale preparò un piano economico quinquennale. Il progetto prevedeva
la costituzione di:
ê Un istituto finanziario, l’ERIS (Ente per la Rinascita Industriale della Sicilia), che avrebbe dovuto avere il
compito della gestione di aziende di pubblico interesse.
ê Un altro istituto tecnico, l’ISEP (Istituto Siciliano per l’Edilizia Popolare), per le nuove costruzioni.
ê Bisognava inoltre potenziare l’Ente per il latifondo siciliano costituito, negli ultimi anni del dominio
fascista allo scopo di migliorare l’agricoltura dell’Isola.
ê Anche l’EAS (Ente Acquedotti Siciliani),
ê così come l’ISA (Istituto Siciliano Autotrasporti).
ê Il piano prevedeva anche la trasformazione della SGES (Società Generale Elettrica della Sicilia) in società
di interesse pubblico con la partecipazione azionaria di maggioranza dell’ERIS (Ente per la Rinascita
Industriale della Sicilia).
ê Infine, occorreva fondare un Ente Turistico Siculo Internazionale e potenziare il provveditorato alle opere
pubbliche.
Tale piano era abbastanza articolato ma aveva scarse possibilità di realizzazione poiché faceva riferimento ad un
contributo di solidarietà dello Stato stimato in circa 4 miliardi di lire, mentre le spese ammontavano a 70 miliardi.
All’annuncio del 9 giugno 1947 da parte del Segretario di Stato americano attraverso il cosiddetto “Piano Marshall”,
i siciliani videro rinascere le speranze per un futuro migliore. Nacque un vivace dibattito che, come area depressa,
si pensava avesse il diritto di ottenere aiuti supplementari per colmare il suo dislivello rispetto alle aree più
sviluppate. Infatti, l’esistenza di una forte pressione demografica e di scarse risorse naturali, oltre che di un basso
livello di reddito e di un alto tasso di disoccupazione collocavano a pieno titolo la Sicilia fra le aree depresse.
Secondo le rilevazioni statistiche degli Stati Uniti, i capitali presenti in Sicilia venivano utilizzati in modo
improduttivo, per cui il solo uso dello strumento creditizio sarebbe stato inutile. Sarebbe stato necessario, perciò,
incoraggiare gli investimenti privati nel settore industriale affinché i finanziamenti del piano Marshall potessero
stimolare l’utilizzo dei capitali locali da destinare al finanziamento delle opere infrastrutturali inesistenti nell’Isola.
Con il trasferimento o la creazione di fabbriche nelle aree depresse si sarebbero potuti raggiungere importanti
risultati sociali ed economici.
Fra il 1947 ed il 1952, vennero organizzati numerosi convegni su vari problemi della realtà economica siciliana,
ma quello che ebbe maggiore rilievo fu il congresso regionale ERP, durante il quale si confrontarono gli “agraristi”
e gli “industrialisti” e si prospettarono varie soluzioni ai problemi dello sviluppo economico siciliano. In base ai
risultati dei lavori del Congresso regionale ERP di Catania, il governo regionale presenta al governo nazionale un
piano dettagliato per l’utilizzo dei fondi del piano Marshall che prevedeva investimenti in otto aree siciliane per un
costo di 21 miliardi di lire per il primo anno. Il governo regionale siciliano considerò il piano Marshall un’importante
fonte di finanziamento per lo sviluppo delle attività economiche presenti nell’Isola. Era necessario, dunque,
richiedere un’equa ripartizione dei suddetti aiuti per assicurare che venisse garantita la quota spettante alla Sicilia e
si vigilasse sulla reale destinazione di tali fondi.
Fra il 1949 ed il 1955, furono erogati in Sicilia aiuti per un ammontare di quasi 19 miliardi di lire finanziamenti
richiesti dalle aziende furono molto più elevati di quelli concessi e non tutte furono accontentate. Nell’assegnare i
finanziamenti in moneta e in macchinari, l’ERP (European Recovery Program) non tenne in alcun conto
dell’accanito dibattito sviluppatosi fra sostenitori dell’agricoltura e sostenitori dell’industria. Nel frattempo, aveva
preso corpo una linea di politica regionale in contrasto con quella del governo nazionale, per cui quando Alessi,
presidente della Regione, richiese di poter trattare direttamente con gli USA per gli aiuti del piano Marshall destinati
alla Sicilia, Alcide De Gasperi, presidente del consiglio, si oppose nettamente. La Sicilia perdette, così,
un’importante occasione per convogliare gli aiuti americani fra le risorse utili ad un progetto di sviluppo economico.
Nell’economia siciliana, che presentava tutti i problemi di arretratezza economica delle altre regioni meridionali
italiane, a partire dagli anni Cinquanta, cominciarono a manifestarsi i segni dell’avvio di un processo di
industrializzazione. Infatti, alcune aree industriali composte da piccole, medie e grandi aziende si insediarono con
facilità nella parte orientale, mentre nella parte occidentale si incontrarono grosse difficoltà. Le differenze fra le due
parti della Sicilia si possono far risalire al periodo della rivoluzione dei prezzi (secc.16-17) quando a causa
dell’afflusso dei metalli preziosi dal Nuovo Mondo si verificò un forte aumento della domanda di prodotti agricoli
siciliani da parte dei mercanti spagnoli. Molti feudatari isolani che possedevano terre dove c’era abbondanza
d’acqua cominciarono a concederle a lungo termine per favorire gli investimenti di lavoro e di capitale allo scopo
di aumentare le proprie rendite.
La riforma agraria, accompagnata dalla politica economica della regione siciliana e dagli interventi della Cassa per
il Mezzogiorno, consentì una trasformazione della struttura economico-sociale della Sicilia. Agli aiuti non
coordinati del piano Marshall, si aggiunsero le risorse finanziarie del Fondo di solidarietà nazionale, la Regione
siciliana, per stimolare l’avvio dell’industrializzazione, approvò due leggi:
In tutti i progetti, regionali o nazionali, lo sviluppo della Sicilia sarebbe dovuto essere realizzato dall’iniziativa
privata stimolata dalle imprese pubbliche con l’obiettivo di sviluppare l’agricoltura e lo sfruttamento minerario del
territorio.
In seguito alla scoperta dei giacimenti petroliferi, che tante speranze aveva suscitato in Sicilia, i grandi complessi
oligopolistici nazionali ed internazionali scelsero di affidare all’Isola le lavorazioni di base. Cosicché, l’attività
industriale della Sicilia si sviluppò soprattutto in rami dove lo sviluppo occupazionale era limitato, cioè a dire in
imprese ad alta intensità di capitale, come quelli dell’ENI a Gela.
Nella zona industriale di Catania si svilupparono numerose iniziative imprenditoriali di medie e piccole dimensioni
orientate in parte verso la fabbricazione di beni durevoli e in parte verso quella di generi di consumo.
La regione siciliana emana il 5 agosto 1957 una legge contenente una serie di interventi classificabili in due
categorie: quelli diretti verso l’incentivazione aggiuntiva riguardanti le iniziative industriali e quelli indirizzati verso
la gestione diretta di imprese siciliane mediante la costituzione di società finanziarie.
Vennero inoltre introdotte consistenti agevolazioni fiscali e istituiti presso l’IRFIS (Istituto Regionale di
Finanziamenti alle Industrie Siciliane) due fondi: il primo finalizzato alla concessione di finanziamenti alle
iniziative industriali siciliane al costo del 4% e il secondo destinato alla concessione di prestiti per scorte delle
industrie che svolgevano la loro attività esclusivamente in Sicilia.
La grande novità, destinata ad incidere sul futuro economico siciliano, fu la costituzione della SOFIS che aveva il
compito di agevolare le iniziative industriali regionali nella fase di avvio. La Sofis si trovò a gestire, nei primi anni
Settanta, oltre quaranta aziende che, tranne qualche raro caso, stavano entrando in crisi per mancanza di imprenditori
qualificati in grado di gestirle.
Altro ente pubblico regionale che ebbe un percorso simile alla Sofis fu l’Ente Minerario Siciliano (EMS), costituito
nel 1963 con il compito di risistemare il settore zolfifero. Il suo destino era segnato poiché le aziende da gestire
producevano forti perdite annuali. Il 27 ottobre del 1953 dalla profondità di 2.122 metri sgorgò un metro cubo di
miscela fatta di petrolio, gas e fango, rivelando l’esistenza del petrolio nel sottosuolo siciliano. La capienza del
giacimento venne stimata in milioni di tonnellate e il suo valore fu calcolato in migliaia di miliardi di lire. Riaccese
la speranza che anche in altri siti doveva esserci il petrolio, per cui venne intensificata la ricerca anche da parte
dell’ENI (Ente Nazionale Idrocarburi) di Enrico Mattei, il quale era stato sempre convinto che in Sicilia esistessero
risorse minerarie e petrolifere. La battaglia fra i giganti dell’industria petrolifera si concluse con il ritrovamento di
nuovi pozzi a Ragusa e Gela e la costruzione di alcuni grandi impianti per la raffinazione del petrolio greggio sia
estratto dai pozzi siciliani che importato dall’estero, finendo col concentrare nell’Isola la grande industria chimica
di base.
La Cassa per il Mezzogiorno assunse un atteggiamento favorevole agli investimenti nelle grandi imprese
petrolchimiche che erano in linea con una industrializzazione compatibile con lo sviluppo economico settentrionale.
Tra il 1973 ed il 1978, ci fu una crisi petrolifera, spegnendo le speranze di industrializzazione della Sicilia.
Comunque, tale tipo di sviluppo industriale, non potendo soddisfare la forte richiesta locale di posti di lavoro, aveva
costretto moltissimi siciliani a lasciare la Sicilia dopo essere stati espulsi dalla campagna. Inizialmente ci fu una
migrazione interna dalle aree rurali a quelle urbane alla ricerca di un’occupazione nell’edilizia. Successivamente la
migrazione si orientò verso le altre regioni italiane, cioè a dire verso il triangolo industriale italiano (Genova -
Torino – Milano). Una conseguenza di grande rilievo fu la diminuzione della popolazione agricola rispetto a quella
urbana e, non meno importante, fu la creazione di rapporti saldi e duraturi fra l’Isola, il resto d’Italia e molti paesi
europei, accrescendo il sentimento nazionale e quello europeista.
Agli inizi degli anni ’60, la SOFIS (Società Finanziaria Siciliana) si trovò a gestire oltre una quarantina di imprese
nelle quali cominciavano a profilarsi perdite più o meno consistenti soprattutto nel ramo metalmeccanico dove
emergeva il problema dell’inefficienza imprenditoriale. La situazione era talmente critica che costrinse la regione
siciliana a costituire nel 1967 l’Ente Siciliano per la Promozione Industriale (ESPI). Questo tipo di imprenditoria
venne alimentato finanziariamente da un marcato credito agevolato e contribuì ad una ripresa industriale della Sicilia
nel corso degli anni Ottanta.
La debolezza del tessuto imprenditoriale siciliano, sia endogeno che esogeno, caratterizzerà l’industria isolana,
nonostante la disponibilità delle banche a fornire coperture creditizie. Infatti, la nascita di iniziative industriali
risulterà scarsamente auto propulsiva sia per l’inquinamento della criminalità organizzata che per gli effetti della
crisi finanziaria che bloccherà il sistema creditizio. Il credito agevolato, distribuito senza alcuna selettività aveva
creato inefficienza e scarsa produttività.
Il debole meccanismo di crescita del sistema economico nel suo complesso si arresta non solo per i suoi legami con
la spesa pubblica ma anche per le infiltrazioni della criminalità organizzata. Indipendentemente dal sistema
finanziario, il tessuto imprenditoriale siciliano risultava carente di infrastrutture essenziali e accompagnato da un
apparato amministrativo-burocratico inefficiente e quindi con poche speranze di migliorare la sua produttività. Si
accentuò la tendenza ad accrescere il valore aggiunto nel settore dei servizi, mentre nel settore primario esso
mantenne valori elevati con un forte miglioramento qualitativo.
La rete stradale era caratterizzata da inadeguatezze infrastrutturali; avveniva per la rete ferroviaria, per il trasporto
stradale e gli entroterra portuali.
Gli ortaggi della Sicilia sud-orientale, mediante la coltivazione in serra, conquistano molti mercati, come ad esempio
i pomodorini di Pachino. La coltivazione della vite dà luogo alla produzione di ottimi vini, sia rossi che bianchi,
conosciuti e apprezzati in tutto il mondo. L’affermazione a livello internazionale ha consentito ad alcuni vini di
acquisire il marchio DOC. Ovini, caprini ed equini sono allevati soprattutto nella provincia di Ragusa.
Restano, come attività estrattiva principale, i pozzi di petrolio di Ragusa e quelle delle piattaforme petrolifere al
largo di Gela. Sono presenti in Sicilia anche giacimenti di gas metano e quelli di marmo (Perlato di Sicilia) di
Custonaci (Trapani).
Il livello di industrializzazione dell’Isola non è assolutamente paragonabile a quello del Settentrione ma è
leggermente superiore alla media del Meridione grazie alla presenza di grandi stabilimenti e di numerosi distretti
industriali concentrati nella piana di Gela, nel Siracusano, a Milazzo e ad Enna.