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Thich Nhat Hanh

L’ARTE DI
COMUNICARE
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NUTRI LE TUE RELAZIONI


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Titolo originale: The Art of Comunicatiing


Copyright © 2013 Unified Buddhist Church
Copyright © 2014 Bis Edizioni. Tutti i diritti
riservatii. Pubblicato in accordo con HarperOne,
an imprint of HarperCollins Publishers

coordinamento editoriale Romina Rossi


traduzione Paola Barberis
impaginazione Danila Ganzerla
copertina Matteo Venturi
I edizione eBook giugno 2014

Collana “Spiritualità”
ISBN 9788862283014

© 2014 BIS Edizioni


un marchio del Gruppo Editoriale Macro
via Giardino 30 - 47522 Cesena (FC)
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1. Nutrimento essenziale

N iente può sopravvivere senza nutrimento. Tut-


to ciò che consumiamo contribuisce a guarirci
o ad avvelenarci. Tendiamo a pensare al nutrimento
solo come a ciò che assumiamo attraverso la bocca,
ma anche ciò che consumiamo con gli occhi, le orec-
chie, il naso, la lingua e il corpo è nutrimento. Anche
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le conversazioni che si svolgono intorno a noi e quel-


le a cui partecipiamo lo sono. Stiamo consumando e
creando il tipo di nutrimento che fa bene alla nostra
salute e ci aiuta a crescere?
Quando diciamo qualcosa che ci nutre e dà con-
forto alle persone intorno a noi, alimentiamo l’amore
e la compassione. Quando parliamo e agiamo creando
tensione e rabbia, nutriamo la violenza e la sofferenza.
Noi tutti ingeriamo spesso comunicazione tossi-
ca che ci viene da coloro che ci circondano e da ciò
che guardiamo e leggiamo. Stiamo assumendo cose
che fanno crescere la nostra comprensione e la nostra
compassione? Se è così, si tratta di buon nutrimento.
Spesso ingeriamo comunicazione che ci fa sentire a
disagio o insicuri nei confronti di noi stessi, oppure
superiori agli altri e pronti a dar giudizi. Possiamo
pensare alla nostra comunicazione in termini di nu-
trimento e consumo: Internet è un articolo di con-

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L’arte di comunicare

sumo, pieno di sostanze nutritive che possono essere


terapeutiche o tossiche. È così facile ingerire tante
cose in pochi minuti online. Questo non significa
che non si deve usare la rete, ma occorre essere con-
sapevoli di ciò che si legge e si guarda.
Quando si lavora al computer per tre o quattro
ore si è completamente smarriti. È come con le pa-
tatine fritte: non le si deve mangiare tutto il giorno,
così come non si dovrebbe stare al computer tutto il
giorno. Qualche patatina fritta, qualche ora al com-
puter, probabilmente sono tutto ciò di cui la mag-
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gior parte di noi ha bisogno.


Ciò che leggi e scrivi ti può aiutare a guarire,
perciò sii cauto con ciò che consumi. Quando scrivi
un’e-mail o una lettera piena di comprensione e di
compassione, stai nutrendo te stesso per tutto il tem-
po che dedichi alla scrittura. Anche se si tratta solo
di poche righe, tutto ciò che scrivi può nutrire te e la
persona a cui stai scrivendo.

Consumare con consapevolezza

Come distinguere la comunicazione sana da quel-


la tossica? L’energia della consapevolezza è un in-
grediente necessario della comunicazione sana. La
consapevolezza richiede l’abbandono del giudizio,
il tornare a essere consci del respiro e del corpo e
infine il portare la nostra piena attenzione a ciò che

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1. Nutrimento essenziale

è in noi e attorno a noi. Questo ci aiuta a renderci


conto se il pensiero che abbiamo appena prodot-
to è sano o malsano, compassionevole o crudele.
La conversazione è una fonte di nutrimento. Tut-
ti noi prima o poi ci sentiamo soli e vogliamo parlare
con qualcuno. Tuttavia, quando conversiamo con
un’altra persona, ciò che essa dice può essere pieno
di tossine come l’odio, la rabbia e la frustrazione.
Quando ascolti ciò che dicono gli altri, consumi
quelle tossine, le fai penetrare nella tua coscienza e
nel tuo corpo. Ecco perché la consapevolezza della
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parola e la consapevolezza dell’ascolto sono molto


importanti.
La conversazione tossica può essere difficile da evi-
tare, specialmente sul lavoro. Se si svolge intorno a te,
siine consapevole. Devi avere una sufficiente consa-
pevolezza mentale per non assorbire questi tipi di sof-
ferenza. Devi proteggerti con l’energia della compas-
sione, in modo che, ascoltando, invece di consumare
tossine, dentro di te produrrai attivamente più com-
passione. Quando ascolti in questo modo, la compas-
sione ti protegge e l’altra persona soffre di meno.
Tu assorbi i pensieri, le parole e le azioni che pro-
duci e quelli contenuti nella comunicazione di chi
ti circonda: è una forma di consumo. Perciò, quan-
do leggi qualcosa, quando ascolti qualcuno, dovresti
fare attenzione a non permettere alle tossine di rovi-
narti la salute e di portare sofferenza a te e all’altra
persona o gruppo di persone.

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L’arte di comunicare

Per illustrare questa verità, il Buddha ricorreva


alla vivida immagine di una mucca affetta da una
malattia della pelle. La mucca è aggredita da ogni
tipo di insetto e microrganismo proveniente dal ter-
reno, dagli alberi e dall’acqua. Senza pelle, una muc-
ca non può proteggersi. La consapevolezza è la nostra
pelle. Senza consapevolezza possiamo assorbire ciò
che è tossico per il corpo e per la mente.
Anche quando stai attraversando la città in mac-
china, non smetti di consumare. I cartelloni pub-
blicitari ti colpiscono gli occhi, e sei obbligato a
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consumarli. Percepisci i rumori e ti può addirittura


capitare di dire cose che sono il prodotto di un ec-
cessivo consumo tossico. Dobbiamo proteggerci con
il consumo consapevole, e la comunicazione consa-
pevole ne è un ingrediente. Possiamo comunicare in
modo da consolidare la pace e la compassione che
sono in noi e portare agli altri la gioia.

Le relazioni non sopravvivono senza


il giusto nutrimento

Molti di noi soffrono a causa di una comunicazione


difficile. Ci sentiamo incompresi, specialmente dalle
persone che amiamo. In una relazione, siamo l’uno
il nutrimento dell’altro, perciò dobbiamo scegliere il
tipo di cibo da offrire all’altra persona, il tipo di nutri-
mento che può contribuire a far prosperare le nostre

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1. Nutrimento essenziale

relazioni. Ogni cosa – compresi l’amore, l’odio e la


sofferenza – ha bisogno di nutrimento per continuare.
Se la sofferenza continua, è perché noi continuiamo a
nutrirla. Ogni volta che parliamo senza essere men-
talmente presenti, alimentiamo la nostra sofferenza.
Con la consapevolezza possiamo scrutare a fondo
la natura della nostra sofferenza e scoprire che tipo di
nutrimento le abbiamo finora dispensato per tener-
la in vita. Quando troviamo la fonte di nutrimento
della nostra sofferenza, possiamo interromperne il
flusso, e la nostra sofferenza svanirà.
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Spesso una relazione romantica comincia in mo-


do meraviglioso, ma poi, giacché non sappiamo co-
me nutrire il nostro amore, la relazione comincia
a morire. La comunicazione può riportarla in vita:
ogni pensiero che formuliamo nella mente e nel cuo-
re – in Cina si dice “nella pancia” – alimenta questa
relazione. Quando formuli un pensiero che trasmet-
te sospetto, rabbia, paura, irritazione, quel pensiero
non è nutriente né per te e né per l’altra persona.
Se la relazione è diventata difficile è perché abbiamo
alimentato il giudizio e la collera, e non abbiamo nu-
trito la compassione.
Un giorno, a Plum Village, il centro francese di
meditazione dove vivo, tenni un insegnamento sul
bisogno di nutrire le persone che amiamo praticando
la comunicazione amorevole. Parlai delle nostre rela-
zioni come di fiori che vanno innaffiati con l’amore
e la comunicazione per crescere. Seduta nelle prime

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L’arte di comunicare

file c’era una donna che aveva continuato a piangere


tutto il tempo.
Dopo l’insegnamento, andai dal marito e gli dis-
si: «Mio caro amico, il tuo fiore ha bisogno di un po’
d’acqua». Suo marito aveva assistito alla conferenza
e sapeva della parola amorevole, ma a volte tutti noi
abbiamo bisogno di un amico che ce lo ricordi. Così,
dopo pranzo, quell’uomo portò sua moglie a fare un
giro in macchina per la campagna. Avevano avuto
solo un’ora o poco più, ma per tutto il viaggio lui si
era impegnato a innaffiare i semi buoni.
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Quando furono di ritorno, lei sembrava comple-


tamente trasformata, molto felice e piena di gioia. I
loro figli rimasero molto sorpresi, perché quel matti-
no al momento di uscire, i loro genitori erano molto
tristi e irritabili. Così, in un’ora soltanto, puoi tra-
sformare un’altra persona e te stesso, con la semplice
pratica di innaffiare i semi buoni. Questa è consape-
volezza applicata in azione, non teoria.
La comunicazione che nutre e guarisce è il cibo
delle nostre relazioni. A volte una sola frase crudele
può far soffrire l’altra persona per molti anni, e anche
noi soffriremo per molto tempo. In uno stato di rab-
bia o paura ci potrà capitare di dire qualcosa che può
essere velenoso e distruttivo. Se ingoiamo il veleno,
esso potrà rimanere dentro di noi per molto tem-
po, e ucciderà lentamente la nostra relazione. Forse
non sapremo neppure che cosa abbiamo detto o fatto
per cominciare ad avvelenare la relazione. Tuttavia

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1. Nutrimento essenziale

abbiamo l’antidoto: la compassione consapevole e


la comunicazione amorevole. L’amore, il rispetto e
l’amicizia hanno tutti bisogno di nutrimento per so-
pravvivere. Con la consapevolezza possiamo produr-
re pensieri, parole e azioni che alimenteranno le no-
stre relazioni e le aiuteranno a crescere e prosperare.
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Comunicare con te
2.
stesso

L a solitudine è la sofferenza della nostra epoca.


Anche se siamo circondati da altre persone, pos-
siamo sentirci molto soli. Siamo soli stando insieme.
Dentro di noi c’è un vuoto che ci fa sentire a disagio,
così cerchiamo di riempirlo mettendoci in contatto
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con altre persone. Pensiamo che se saremo in grado


di connetterci, il sentimento di solitudine svanirà.
La tecnologia ci fornisce molti dispositivi per aiu-
tarci a restare in contatto, ma anche quando siamo
connessi, continuiamo a sentirci soli. Controlliamo
la posta elettronica, inviamo sms e pubblichiamo
aggiornamenti più volte al giorno. Vogliamo condi-
videre e ricevere. Ci può capitare di trascorrere un
giorno intero a connetterci senza però ridurre il sen-
so di solitudine che avvertiamo.
Tutti siamo affamati d’amore, ma non sappiamo
come generarlo per nutrircene. Quando siamo vuoti,
usiamo la tecnologia per cercare di dissipare il sen-
so di solitudine, ma la cosa non funziona. Abbiamo
Internet, la posta elettronica, le videoconferenze, gli
sms, i post, le app, le lettere e i telefoni cellulari. Ab-
biamo tutto, eppure non è affatto sicuro che abbia-
mo migliorato la nostra comunicazione.

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L’arte di comunicare

Molti di noi hanno il telefono cellulare: vogliamo


essere in contatto con gli altri. Tuttavia sarebbe me-
glio non riporre troppa fiducia nei nostri cellulari.
Io non lo possiedo, eppure non mi sento isolato dal
mondo. In realtà, senza un dispositivo mobile ho più
tempo per me stesso e per gli altri. Tu pensi che avere
un cellulare aiuti a comunicare, ma se il contenu-
to delle tue parole non è autentico, parlare o inviare
messaggi su un cellulare non significa che stai comu-
nicando con l’altra persona.
Crediamo troppo nelle tecnologie della comuni-
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cazione. Alla base di tutti questi strumenti abbiamo


la mente, il più importante mezzo di comunicazione.
Se la nostra mente è bloccata, non c’è dispositivo che
potrà compensare l’incapacità di comunicare con noi
stessi o con gli altri.

Connettersi internamente

Molti di noi passano tantissimo tempo in riunioni o


scambiando e-mail con altri, ma non dedicano tempo
a comunicare con se stessi. Il risultato è che non sap-
piamo cosa sta succedendo dentro di noi: al nostro in-
terno potremmo portare una gran confusione. Come
possiamo dunque comunicare con un’altra persona?
Pensiamo di poterci collegare con gli altri grazie
a tutti i nostri dispositivi tecnologici, ma si tratta di
un’illusione. Nella vita di ogni giorno siamo scon-

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2. Comunicare con te stesso

nessi da noi stessi. Camminiamo, ma non sappiamo


di farlo. Siamo qui, ma non lo sappiamo. Siamo vivi,
ma non sappiamo di esserlo. Ci perdiamo dalla mat-
tina alla sera.
Fermarti a comunicare con te stesso è un atto
rivoluzionario. Ti metti a sedere e interrompi quel-
lo stato di smarrimento, quel non essere te stesso.
Cominci semplicemente interrompendo qualunque
cosa tu stia facendo, mettendoti seduto ed entran-
do in connessione con te stesso. È questa la consa-
pevolezza: l’essere pienamente consci del momento
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presente. Non ti occorre un iPhone o un computer:


non dovrai far altro che metterti a sedere, inspirare
ed espirare. In pochi secondi potrai entrare in con-
nessione con te stesso: saprai cosa sta succedendo nel
tuo corpo, sarai consapevole delle tue sensazioni, del-
le tue emozioni e delle tue percezioni.

Funzione digitale

Quando non pensi di poter comunicare bene di


persona, o quando ti domandi se ciò che dirai sarà
difficile da ascoltare per l’altra persona, a volte il
modo migliore per comunicare è scrivere una lettera
o un’e-mail. Se saprai scrivere una lettera piena di
comprensione e compassione, durante tutto il tempo
della scrittura nutrirai te stesso. Tutto ciò che scrive-
rai sarà nutrimento per la persona cui scrivi e prima

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L’arte di comunicare

di tutto per te. L’altra persona non ha ancora ricevu-


to l’e-mail o la lettera, ma mentre batti il testo sulla
tastiera, ti nutri, perché ciò che stai scrivendo è pieno
di compassione e di comprensione.
Soprattutto all’inizio della pratica, forse ti sarà più
facile attuare la comunicazione consapevole per iscrit-
to. Scrivere in questo modo fa bene alla salute: pos-
siamo mandare un’e-mail, possiamo spedire un sms e
possiamo parlare al telefono e usare la comunicazione
consapevole. Se il nostro messaggio è pieno di com-
prensione e compassione potremo allontanare la paura
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e la collera dall’altra persona. Perciò la prossima volta


che avrai in mano il telefono, guardalo e ricorda che
il suo scopo è aiutarti a comunicare con compassione.
Di solito abbiamo fretta di mandare le nostre
e-mail e i nostri sms. Appena finiamo di scriverli pre-
miamo “invio”, ed ecco che sono già partiti. Ma non
c’è bisogno di affrettarsi: avremo sempre il tempo di
inspirare ed espirare almeno una volta prima di sol-
levare il telefono o prima di premere “invio” per spe-
dire un sms o un’e-mail. Se lo faremo, avremo una
possibilità molto maggiore di trasmettere al mondo
una comunicazione più compassionevole.

Tornare a casa

Quando cominciamo a praticare la consapevolezza, im-


bocchiamo il sentiero che ci porta a casa, da noi stessi.

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2. Comunicare con te stesso

La propria casa è il luogo dove la solitudine svanisce.


Quando siamo a casa ci sentiamo al caldo, al sicuro, a
nostro agio, appagati. Abbiamo lasciato la nostra casa
da tanto tempo, ed essa è stata abbandonata a se stessa.
Tuttavia, il sentiero che ci riporta a casa non è
lungo: casa nostra è dentro di noi. Per tornare a casa
è sufficiente mettersi seduti e stare con se stessi, ac-
cettare la situazione com’è. Sì, dentro di noi potrebbe
regnare la confusione, ma la accettiamo perché sap-
piamo che siamo stati via da casa per tanto tempo.
Così ora siamo tornati. Con l’inspirazione e l’espira-
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zione, il nostro respiro consapevole, cominciamo a


riordinare la nostra casa.

Comunicare con il respiro

Il sentiero che porta a casa comincia con il respiro. Se


sai come respirare, puoi imparare a camminare, a sta-
re seduto, a consumare il tuo pasto e a lavorare nella
consapevolezza cominciando a conoscere te stesso.
Quando inspiri, torni a te stesso. Quando espiri ri-
lasci ogni tensione. Una volta che potrai comunicare
con te stesso, saprai farlo con maggior chiarezza an-
che verso l’esterno. La via che conduce dentro di te è
la stessa che conduce fuori di te.
Il respiro consapevole è un mezzo di comunica-
zione, proprio come il telefono. Promuove la comu-
nicazione fra mente e corpo, ci aiuta a capire i sen-

17
L’arte di comunicare

timenti che stiamo provando. Tutti noi respiriamo


tutto il tempo, ma prestiamo raramente attenzione
al nostro respiro, a meno che esso non ci crei disagio
o sia impedito.
Con il respiro consapevole, quando inspiriamo
sappiamo che stiamo inspirando, e quando espiria-
mo sappiamo che stiamo espirando. Quando in-
spiriamo portiamo l’attenzione all’inspirazione. Per
ricordare a noi stessi di prestare attenzione al nostro
respiro, possiamo ripetere mentalmente:
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Inspirando, so che sto inspirando.

Espirando, so che sto espirando.

«L’aria entra nel mio corpo. L’aria abbandona il


mio corpo». Segui l’inspirazione e l’espirazione fino
in fondo. Immagina che la tua inspirazione duri
quattro secondi. Per tutto il tempo in cui inspiri la-
scia che la tua attenzione si concentri interamente
sull’atto di inspirare, senza interruzione. Per tutto il
tempo in cui espiri, concentrati interamente sull’atto
di espirare. Sei con la tua inspirazione e con la tua
espirazione: non sei con nient’altro. Tu sei la tua in-
spirazione e la tua espirazione.
Inspirare ed espirare è una pratica di libertà.
Quando concentriamo l’attenzione sul respiro, la-
sciamo andare tutto il resto, comprese le preoccupa-
zioni o le paure del futuro e i rimpianti o le afflizioni

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2. Comunicare con te stesso

per il passato. Concentrandoci sul respiro, ci accor-


giamo di essere nel momento presente. Possiamo far-
lo in ogni momento del giorno, e godere delle venti-
quattro ore che ci sono state donate per inspirare ed
espirare. Possiamo esserci per noi stessi: ci vuole solo
qualche secondo per inspirare e liberare se stessi.
Ci accorgiamo di quando gli altri inspirano ed
espirano in modo consapevole: lo capiamo guardan-
doli. Danno l’impressione di essere liberi. Se siamo
oppressi dalla paura, dalla rabbia, dal rimpianto o
dall’ansia non siamo liberi, qualunque sia la nostra
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posizione nella società e la nostra ricchezza. La vera


libertà viene solo quando riusciamo a lasciare andare
la nostra sofferenza e a tornare a casa. La libertà è la
cosa più preziosa che esista: è la base della felicità ed
è a nostra disposizione con ogni respiro consapevole.

Il non-pensiero e la non-parola

La felicità è possibile, quando si comunica con se stes-


si. Per farlo, devi dimenticarti del telefono. Quando
partecipi a una riunione o a un evento, spegni il cel-
lulare. Perché? Perché vuoi comunicare e assorbire la
comunicazione altrui. La cosa non è diversa quando
comunichi con te stesso: questo tipo di comunicazione
non è possibile con il telefono. Siamo abituati a pensa-
re e a parlare tanto, ma per comunicare con noi stessi
dobbiamo praticare il non-pensiero e la non-parola.

19
L’arte di comunicare

Il non-pensiero è una pratica molto importante.


Ovviamente anche il pensiero e la parola possono es-
sere produttivi, specialmente quando la nostra mente
e le nostre emozioni sono chiare. Tuttavia, tanti dei
nostri pensieri sono rivolti a indugiare nel passato, a
cercare di controllare il futuro, a generare percezioni
erronee e a preoccuparsi di quello che pensano gli altri.
Una percezione erronea può accadere in un mo-
mento, in un lampo. Non appena abbiamo una
percezione, ne siamo catturati, così qualunque cosa
diciamo o facciamo sulla base di quella percezione
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può essere pericoloso. È meglio non dire o non fare


niente! È per questo che nella tradizione Zen si dice
che i sentieri della parola e del pensiero dovrebbero
essere recisi. Il sentiero della parola viene tagliato
perché se continuiamo a parlare, restiamo intrappo-
lati nelle nostre parole.
Il respiro consapevole è una pratica di non-pensie-
ro e non-parola. Senza pensare e senza parlare non c’è
ostacolo che si possa frapporre fra te e le gioie del mo-
mento presente. È piacevole inspirare ed espirare; è
piacevole stare seduti, camminare, fare colazione, fare
una doccia, pulire il bagno, lavorare nell’orto. Quan-
do smettiamo di parlare e di pensare e ascoltiamo noi
stessi in modo consapevole, una cosa che noteremo è
la nostra maggiore capacità e occasione di gioia.
L’altra cosa che accade quando smettiamo di
pensare, di parlare e cominciamo ad ascoltare noi
stessi, è che ci accorgiamo della sofferenza presente

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2. Comunicare con te stesso

nella nostra vita. Nel nostro corpo potrebbero es-


serci tensione e dolore. Potremmo avvertire antichi
dolori e timori, o avvertirne di nuovi, che abbiamo
nascosto dietro le nostre parole, i nostri sms e i no-
stri pensieri.
La consapevolezza ci permette di ascoltare il
dolore, l’afflizione e la paura che abbiamo dentro.
Quando ci accorgiamo che la sofferenza o il dolore
stanno affiorando, non cerchiamo di sfuggire a que-
ste emozioni: dobbiamo semmai tornare indietro e
prenderci cura di loro. Non abbiamo paura di essere
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sopraffatti, perché sappiamo come respirare e come


camminare per generare sufficiente energia di consa-
pevolezza così da riconoscere la sofferenza e prender-
cene cura. Se hai sufficiente consapevolezza generata
dalla pratica del respiro e della camminata consape-
vole, non hai più paura di stare con te stesso.
Se sono libero dal bisogno di avere un telefono
cellulare è perché porto con me la consapevolezza,
come un angelo custode al mio fianco. L’angelo è
sempre con me, quando pratico. Mi aiuta a non ave-
re paura di qualunque sofferenza o dolore si manife-
sti. È molto più importante avere con sé la propria
consapevolezza che non portare con sé il proprio
cellulare. Quando prendi con te il telefono cellulare,
pensi di essere al sicuro, ma la verità è che la consa-
pevolezza farà molto di più del cellulare per proteg-
gerti, per aiutarti a soffrire meno e per migliorare la
tua comunicazione.

21
L’arte di comunicare

Torna a casa

La quiete del non-pensiero e della non-parola ci dà


lo spazio necessario per ascoltare davvero noi stessi.
Non dobbiamo cercare di sfuggire alla nostra soffe-
renza. Non dobbiamo nascondere ciò che è spiacevo-
le dentro di noi. Dobbiamo anzi cercare di esserci per
noi stessi, di comprendere, così da poter trasformare.
Ti prego, torna a casa e ascolta: se non comuni-
chi bene con te stesso, non potrai comunicare bene
con gli altri. Torna, e poi torna ancora e ancora, e
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comunica in modo amorevole con te stesso. È questa


la pratica. Devi tornare a te e ascoltare la felicità che
forse provi in questo momento: ascolta la sofferenza
che avverti nel corpo e nella mente, e impara ad ab-
bracciarla e a darle sollievo.

Comunicare con il corpo

Fintanto che abbiamo la presenza mentale, potremo


respirare in modo consapevole per tutta la giornata,
mentre ci occupiamo delle nostre attività quotidia-
ne. Tuttavia, la nostra consapevolezza sarà più forte,
e ne avremo più guarigione, e comunicheremo in
modo più efficace, se ci concederemo una pausa e
ci metteremo a sedere tranquillamente per qualche
momento. Quando Nelson Mandela venne in visita
in Francia dopo essere stato appena scarcerato, un

22
2. Comunicare con te stesso

giornalista gli chiese che cosa avrebbe desiderato fare


più di ogni altra cosa. Mandela rispose: «Starmene
seduto e non fare niente». Dalla sua liberazione e dal
suo ingresso ufficiale nella politica, non aveva più
avuto il tempo di mettersi seduto e godere di quella
tranquillità. Noi tutti dovremmo trovare il tempo di
metterci seduti, anche se solo per qualche minuto al
giorno, perché stare seduti è un piacere.
Ogni volta che siamo inquieti e non sappiamo
cosa fare, quello è il momento giusto per mettersi a
sedere. È bene stare seduti anche quando si è tran-
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quilli, ed è un modo per coltivare questa abitudine


e questa pratica. Quando ci concediamo una pausa
e ci mettiamo a sedere, possiamo immediatamente
cominciare a seguire l’inspirazione e l’espirazione.
Subito potremo godere dell’atto di inspirare ed espi-
rare, e ogni cosa migliorerà un poco, perché il mo-
mento presente diventerà accessibile.
Respira nel modo che ti dà piacere: quando sei
seduto e respiri in modo consapevole, il tuo corpo
e la tua mente riescono finalmente a comunicare
e a incontrarsi. Si tratta di una specie di miracolo,
perché di solito la mente è in un luogo, e il corpo
in un altro. La mente è intrappolata nei dettagli dei
progetti che intendi attuare oggi, nel dolore legato al
passato, o nell’ansia riguardo al futuro. La tua mente
non è affatto vicina al tuo corpo.
Quando inspiri in modo consapevole, ottieni un
felice ricongiungimento tra corpo e mente. Per attuar-

23
L’arte di comunicare

lo non è necessario ricorrere a una tecnica elaborata:


solo stando seduti e respirando in modo consapevole
riporteremo la mente a casa, a ricongiungersi con il
corpo. Il tuo corpo è una parte essenziale della tua casa.
Quando trascorri molte ore al computer ti può capi-
tare di dimenticare completamente di avere un corpo,
finché esso non sarà troppo dolente, rigido o teso per-
ché tu lo possa ignorare. Devi concederti delle pause
e tornare al tuo corpo prima di arrivare a quel punto.
Per dare più consapevolezza all’unione tra corpo e
mente, puoi dire a te stesso:
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Inspirando, sono consapevole


del mio corpo.

Espirando, rilascio tutta la tensione


del mio corpo.

Porta te stesso a fare una passeggiata

La camminata consapevole è un modo meraviglioso


per far incontrare il corpo e la mente. Inoltre ti offre
un’ulteriore occasione per comunicare con qualcosa
che è al di fuori di te, ti nutre e ti guarisce: la Terra.
Quando fai un passo con la piena consapevolezza di
camminare con i piedi sul terreno e sulla Terra, non
c’è distinzione fra corpo e mente. Il tuo corpo è il tuo
respiro. Il tuo corpo sono i tuoi piedi e i tuoi pol-

24
2. Comunicare con te stesso

moni. E quando sei connesso con il corpo, i piedi, il


respiro e i polmoni, sei a casa.
Ogni passo ti porta a casa, al qui e ora, così puoi
entrare in connessione con te stesso, con il tuo cor-
po e con i tuoi sentimenti: questa è una vera con-
nessione. Non ti occorre un dispositivo che ti dica
quanti amici hai o quanti passi hai fatto o quante
calorie hai bruciato.
Quando cammini in modo consapevole, sintoniz-
zi il respiro con ogni passo e ti concentri sul piede che
si connette con la terra. Sei consapevole di fare un
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passo, e smetti del tutto di pensare. Quando pensi, ti


perdi nel pensiero: non sai che cosa sta accadendo nel
tuo corpo, nelle tue emozioni o nel mondo. Se pensi
mentre cammini, non stai davvero camminando.
Concentra invece l’attenzione sul tuo respiro e
sul tuo passo: sii consapevole del tuo piede, del suo
movimento e del terreno che stai toccando. Mentre
concentri l’attenzione sull’atto di muovere un passo,
sei libero, perché in quel momento la tua mente è
presente solo nel passo che stai compiendo. La tua
mente non si fa più trascinare nel futuro o nel passa-
to. Fai un passo e sei libero.
Mentre cammini puoi dire a te stesso: Sono arri-
vato, sono a casa. Queste parole non sono una sempli-
ce dichiarazione o una pratica di affermazione: sono
una constatazione. Non è necessario che tu corra da
nessuna parte. Molti di noi hanno corso per tutta la
vita. Ora possiamo vivere la vita nel modo giusto.

25
L’arte di comunicare

La nostra casa è il qui e ora, dove tutte le meravi-


glie della vita sono già a nostra disposizione, dove la
meraviglia che è il tuo corpo è disponibile. Non puoi
arrivare pienamente nel qui e ora se non investi tutto
il tuo corpo e la tua mente nel momento presente. Se
non sei arrivato al cento per cento, fermati dove sei e
non fare un passo di più: resta lì, e respira finché sarai
sicuro di essere a destinazione al cento per cento. Poi
potrai fare un sorriso di vittoria. Forse è meglio farlo
quando fai la camminata consapevole da solo: se sei
con altre persone, potresti creare un ingorgo stradale.
Cristina Pocora - cristinapocora24@gmail.com

Non ti occorre una “app” o un osservatore esterno


che ti dicano se sei arrivato. Saprai di essere a destina-
zione perché ti accorgerai di essere a tuo agio con te
stesso. Quando cammini dal parcheggio al tuo uffi-
cio, torna a casa con ogni passo. Torna in te ed entra
in connessione con te stesso ad ogni passo: ovunque
tu stia andando, puoi camminare come una persona
libera sul pianeta Terra e vivere con gioia ogni passo.

Camminare sulla Terra cura la nostra


alienazione

Molti di noi vivono in un modo che li aliena dal-


la Terra e dal loro stesso corpo. Quasi tutti viviamo
molto isolati gli uni dagli altri. Noi esseri umani pos-
siamo trovarci a essere davvero soli. Siamo separati
non solo dalla Terra e gli uni dagli altri, ma anche da

26
2. Comunicare con te stesso

noi stessi. Passiamo molte ore al giorno a dimentica-


re di avere un corpo, ma se cominciamo a praticare
il respiro consapevole e ad ascoltare il nostro corpo,
possiamo anche imparare a guardare nel profondo, e
capire che la Terra è ovunque intorno a noi. Tocchia-
mo la Terra e non siamo più alienati dal nostro stesso
corpo o dal corpo della Terra.
Di solito pensiamo alla Terra come al nostro “am-
biente”, ma guardando più in profondità compren-
deremo che la Terra è una realtà meravigliosa e viva.
Spesso, quando ci sentiamo soli, dimentichiamo che
Cristina Pocora - cristinapocora24@gmail.com

possiamo entrare in connessione diretta con la Terra.


Quando portiamo la consapevolezza nei nostri pas-
si, quei passi ci riportano in contatto con il nostro
stesso corpo e con il corpo della Terra. Quei passi ci
possono liberare dalla nostra alienazione.

Connettersi con la sofferenza

Quando cominciamo a respirare in modo consapevole


e ascoltiamo il nostro corpo, ci accorgiamo del senso di
sofferenza che abbiamo finora ignorato. Tratteniamo
queste sensazioni nel nostro corpo e nella nostra men-
te: la nostra sofferenza ha cercato di comunicare con
noi, di farci sapere che c’è, ma noi abbiamo investito
moltissimo tempo ed energia cercando di ignorarla.
Quando cominciamo a respirare in modo consa-
pevole, potrà affiorare un senso di solitudine, tristezza,

27
L’arte di comunicare

paura e ansia. Quando accade, non occorre che fac-


ciamo immediatamente qualcosa: basterà continuare
a seguire la nostra inspirazione e la nostra espirazione.
Non diremo alla nostra paura di andarsene: la ricono-
sceremo. Non diremo alla nostra rabbia di andarsene:
basterà riconoscerla. Queste emozioni sono come un
bambino che ci tira per la giacca. Prendile in braccio e
abbracciale teneramente. Riconoscere le nostre emo-
zioni senza giudicarle o respingerle, abbracciandole
con consapevolezza, è un atto di ritorno a casa.
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La sofferenza dei nostri antenati

Sappiamo che la sofferenza che è in noi contiene la


sofferenza dei nostri padri, delle nostre madri e dei
nostri antenati. Forse i nostri antenati non hanno
avuto la possibilità di entrare in contatto con la pra-
tica della consapevolezza, che avrebbe potuto aiutarli
a trasformare la loro sofferenza: ecco perché ci hanno
trasmesso la loro sofferenza irrisolta. Se riusciremo a
comprendere quella sofferenza, e così facendo a tra-
sformarla, guariremo i nostri genitori e i nostri ante-
nati, come pure noi stessi.
La nostra sofferenza riflette la sofferenza del
mondo. Discriminazione, sfruttamento, povertà e
paura causano una grande sofferenza in coloro che
ci circondano. La nostra sofferenza riflette anche la
sofferenza altrui. Forse siamo animati dal desiderio

28
2. Comunicare con te stesso

di fare qualcosa per contribuire ad alleviare la soffe-


renza del mondo. Ma come possiamo riuscirci senza
comprendere la natura della sofferenza? Se compren-
diamo la nostra stessa sofferenza, per noi sarà mol-
to più facile comprendere la sofferenza degli altri e
quella del mondo. Forse coltiviamo il proposito di
fare qualcosa o essere qualcuno che aiuti il mondo
a soffrire meno, ma se non riusciremo ad ascoltare e
a riconoscere la nostra stessa sofferenza, non saremo
veramente in grado di essere d’aiuto.
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L’ascolto profondo

La quantità di sofferenza dentro di noi e intorno a


noi può essere travolgente. Di solito non ci piace
entrare in contatto con essa perché pensiamo che
sia spiacevole. Il mercato ci fornisce tutto l’imma-
ginabile per aiutarci a fuggire da noi stessi. Consu-
miamo tutti questi prodotti per riuscire a ignorare
e a nascondere la sofferenza dentro di noi. Anche se
non abbiamo fame, mangiamo. Quando guardiamo
la televisione, anche se il programma non è molto
bello, non abbiamo il coraggio di spegnere perché
sappiamo che se lo faremo, forse dovremo tornare a
noi stessi ed entrare in contatto con la nostra soffe-
renza interiore. Consumiamo, non perché abbiamo
bisogno di consumare, ma perché abbiamo paura di
incontrare la sofferenza interiore.

29
L’arte di comunicare

Tuttavia, c’è un modo per entrare in contatto con


la sofferenza senza esserne sopraffatti. Cerchiamo di
evitare di soffrire, ma la sofferenza è utile. Abbiamo
bisogno di soffrire. Tornare ad ascoltare e a compren-
dere la nostra sofferenza fa nascere la compassione e
l’amore. Se ci concediamo il tempo di ascoltare pro-
fondamente la nostra sofferenza, riusciremo a com-
prenderla. Qualunque sofferenza che non sia stata
liberata e pacificata continuerà a esistere. Finché
non sarà compresa e trasformata, porteremo con noi
non solo la nostra stessa sofferenza, ma anche quella
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dei nostri genitori e dei nostri antenati. Entrare in


contatto con la sofferenza che ci è stata tramanda-
ta ci aiuta a comprendere la nostra stessa sofferenza.
Comprendere la sofferenza fa sorgere la compassione:
nasce l’amore, e immediatamente soffriamo meno.
Se comprendiamo la natura e le radici della nostra
sofferenza, il sentiero che porta alla cessazione della
sofferenza ci apparirà davanti agli occhi. Sapere che
c’è una via di uscita, un sentiero, ci porta sollievo e a
quel punto non abbiamo più bisogno di avere paura.

La sofferenza porta felicità

Comprendere la sofferenza porta sempre la com-


passione. Se non comprendiamo la sofferenza, non
comprendiamo neppure la felicità. Se sappiamo
come prenderci cura della sofferenza, sapremo an-

30
2. Comunicare con te stesso

che prenderci cura della felicità. Abbiamo bisogno


della sofferenza per coltivare la felicità. Il fatto è che
la sofferenza e la felicità sono inseparabili. Quando
capiremo la sofferenza, capiremo anche la felicità. Se
sappiamo come affrontare la sofferenza, sappiamo
anche come affrontare e creare la felicità.
Per crescere, il loto dev’essere radicato nel fango.
La compassione nasce dalla comprensione della sof-
ferenza. Tutti noi dobbiamo imparare ad abbracciare
la nostra sofferenza, ad ascoltarla profondamente e a
scrutare a fondo la sua natura. Così facendo, permet-
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teremo all’energia dell’amore e della compassione di


nascere. Quando nasce l’energia della compassione,
soffriamo subito meno. Quando soffriamo meno,
quando proviamo compassione per noi stessi, pos-
siamo comprendere meglio la sofferenza degli altri e
del mondo. Allora la nostra comunicazione con gli
altri si baserà sul desiderio di comprendere, piuttosto
che su quello di dimostrare che abbiamo ragione o su
quello di farci sentire meglio. La nostra unica inten-
zione sarà aiutare.

Comprendere la propria sofferenza


aiuta a comprendere gli altri

Conosco una donna di Washington D.C., che in un


certo momento della sua vita decise di suicidarsi per-
ché non riusciva a vedere una via di uscita dalla soffe-

31
L’arte di comunicare

renza che provava. Non nutriva più speranza. Aveva


una relazione molto difficile con suo marito, e anche
con i suoi tre figli. Una sua amica voleva che ascoltas-
se uno dei miei insegnamenti sull’ascolto profondo e
sulla parola amorevole. Lei rifiutò perché era cattolica
e pensava che ascoltare un insegnamento buddhista
significasse non essere fedele alla sua religione.
La notte in cui aveva pianificato di uccidersi, la
donna telefonò all’amica per dirle addio. L’amica le
disse: «Prima di toglierti la vita, vieni a dirmi addio.
Prendi un taxi». La donna accettò, e quando fu arriva-
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ta, l’amica le chiese il favore di ascoltare una registra-


zione, prima di suicidarsi. Riluttante, l’altra rispose:
«Va bene, prima di morire, esaudirò il tuo desiderio».
Dopo aver ascoltato il nastro, la donna era curio-
sa, e decise di partecipare a un ritiro di consapevo-
lezza. Al ritiro, cominciò ad ascoltare davvero la sua
stessa sofferenza. Prima di allora aveva pensato che
l’unico modo per porre fine alla propria sofferenza
fosse il suicidio: ascoltare era troppo doloroso. Ma
poi imparò a stare con il proprio respiro, così da po-
ter essere con la propria sofferenza. Scoprì di aver cre-
ato tante percezioni erronee e di aver coltivato tanta
rabbia. Aveva creduto che fossero stati suo marito e
la sua famiglia a creare tutta la sofferenza, ma ora
capiva di esserne corresponsabile. Aveva immaginato
che suo marito non soffrisse, e che facesse soltanto
soffrire lei, ma ora vedeva le cose in modo diverso,
e riusciva a capire la sofferenza del marito. Questo

32
2. Comunicare con te stesso

era già un grosso risultato. Quando vedi la sofferenza


dentro di te, riesci a vedere anche quella degli altri, e
puoi riconoscere la tua parte, la tua responsabilità nel
creare la tua sofferenza e quella altrui.
La notte in cui ritornò dal ritiro, andò dal marito
e gli si sedette accanto. Era una cosa completamente
nuova: andare dal marito e sedersi vicino a lui. Stette
là seduta a lungo, e poi cominciò a parlare: «So che
hai sofferto tanto negli ultimi anni, ma non sono ri-
uscita ad aiutarti. Ho peggiorato la situazione. Non
era mia intenzione farti soffrire: era solo che non ti
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capivo. Non vedevo la sofferenza dentro di te. Parla-


mi delle tue difficoltà, per favore aiutami a compren-
dere». Riuscì a usare questo tipo di parola amorevole.
Suo marito cominciò a piangere come un bambino,
perché erano tanti anni che lei non gli rivolgeva la
parola in modo così amorevole. All’inizio la loro rela-
zione era stata molto bella, ma poi era diventata piena
di rancore e di litigi, e priva di ogni vera comunica-
zione. Quella notte segnò l’inizio del loro viaggio di
riconciliazione, e due settimane più tardi la coppia
venne con i figli a raccontarmi questa storia.

Amare se stessi è la base


della compassione

Noi tutti tendiamo a pensare di conoscere e capire


molto bene i nostri cari, ma potrebbe non essere così.

33
L’arte di comunicare

Se non abbiamo capito la nostra stessa sofferenza e


le nostre stesse percezioni, come possiamo capire la
sofferenza di un’altra persona? Non dovremmo essere
troppo sicuri di capire tutto dell’altra persona. Dob-
biamo domandarci: Mi capisco abbastanza? Capisco
la mia sofferenza e le sue radici?
Quando avrai una certa conoscenza e visione pro-
fonda della tua stessa sofferenza, comincerai a capire
meglio gli altri e a comunicare con loro. Se non riesci
ad accettare te stesso – se provi odio nei tuoi stes-
si confronti e ti arrabbi con te stesso – come potrai
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amare un’altra persona e comunicarle amore?


La comprensione di sé è essenziale per compren-
dere gli altri; l’amore di sé è fondamentale per amare
gli altri. Quando avrai compreso la tua sofferenza, sof-
frirai di meno e ti riuscirà molto più facile compren-
dere la sofferenza altrui. Quando saprai riconoscere la
sofferenza di un’altra persona e comprendere come si
sia creata, nascerà la compassione. Non proverai più
desiderio di punire o accusare l’altra persona. Potrai
ascoltare profondamente, e quando parlerai, nelle tue
parole ci saranno compassione e comprensione. La
persona con cui parli si sentirà molto meglio perché
nella tua voce ci saranno comprensione e amore.
Tornare a casa da noi stessi per comprendere la
nostra sofferenza e le sue radici è il primo passo.
Quando avremo capito la nostra sofferenza e come è
nata, saremo in grado di comunicare con gli altri in
modo tale che anche loro soffrano meno. Le nostre

34
2. Comunicare con te stesso

relazioni dipendono dalla capacità di ciascuno di noi


di comprendere le nostre stesse difficoltà e aspirazio-
ni e quelle degli altri.
Quando potrai davvero tornare a casa, e ascoltare
te stesso, potrai approfittare di ogni momento che
ti è concesso di vivere. Potrai godere di ogni istante.
Con una buona comunicazione interna resa più faci-
le dal respiro consapevole, potrai cominciare a com-
prendere te stesso, la tua sofferenza e la tua felicità.
Sapendo come affrontare la sofferenza, al tempo stes-
so saprai come produrre la felicità. E se sei davvero
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felice, noi tutti trarremo vantaggio dalla tua felicità.


Abbiamo bisogno di gente felice in questo mondo.

35
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Le chiavi per comunicare
3.
con gli altri

Q uando ti connetti con te stesso, cominci a en-


trare in contatto più profondo con gli altri.
Senza il primo passo, il secondo non è possibile. Non
dimenticare di dedicare ogni giorno un po’ di tempo
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a comunicare in solitudine con te stesso.


Tutti noi continuiamo ad avere percezioni er-
ronee e sofferenza. Quando comunichiamo con gli
altri, dovremmo essere consapevoli anche della sof-
ferenza che ancora dobbiamo guarire e delle nostre
percezioni. Se riusciamo a essere consapevoli della
nostra inspirazione e della nostra espirazione, ricor-
deremo che il solo obiettivo della comunicazione
compassionevole è aiutare gli altri a soffrire meno.
Se ce ne ricorderemo, saremo già riusciti nel nostro
intento: staremo già contribuendo a creare più gioia
e meno sofferenza.

Accogliere con un saluto

È utile ricordare all’inizio di ogni comunicazione con


un’altra persona che in ognuno di noi c’è un Buddha.

37
L’arte di comunicare

“Il Buddha” è solo un nome che indica la persona più


comprensiva e compassionevole che possa esistere.
Potrai chiamarlo con un altro nome, se vuoi, come ad
esempio “saggezza” o “Dio”. Possiamo respirare, sor-
ridere e camminare in modo tale che questa persona
dentro di noi abbia occasione di manifestarsi.
Dove vivo, a Plum Village, ogni volta che si in-
contra qualcuno mentre ci si reca da qualche parte, si
uniscono le palme e ci si inchina con rispetto a questa
persona, perché si sa che in lei c’è un Buddha. Anche
se questa persona non assomiglia al Buddha e non si
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comporta come lui, ha in sé la capacità di amare e di


provare compassione. Se sai inchinarti con rispetto e
spontaneità, puoi aiutare il Buddha che è in lui o in
lei a manifestarsi. Unire le palme e inchinarsi non è
un semplice rituale: è una pratica di risveglio.
Mentre sollevi le mani e fai combaciare le palme,
inspira ed espira in modo consapevole. Le tue mani
formano un fiore, un bocciolo di loto. Se compi
questo gesto con intenzione sincera, è probabile che
riuscirai a vedere le potenzialità dell’altra persona.
Mentre respiri, potrai dire nella mente:

Un loto per te.


Un futuro Buddha.

Quando unisci le palme, in te dovrebbe esserci


concentrazione, perciò non stai soltanto eseguendo
un gesto meccanico. Il fiore di loto delle tue mani

38
3. Le chiavi per comunicare con gli altri

è un’offerta alla persona che hai davanti: quando ti


inchini, riconosci la sua bellezza.
In molti Paesi asiatici, quando ci si incontra non
ci si dà la mano come in Occidente. Ci si limita a
unire le palme e a inchinarsi. Circa 160 anni fa, in
Vietnam arrivarono i francesi, e ci insegnarono a
stringerci la mano. All’inizio pensavamo che questo
gesto fosse buffo, ma poi imparammo abbastanza
in fretta. Ora tutti sanno salutarsi dandosi la mano,
ma ci piace ancora unire le palme e fare un inchino,
specialmente nei templi. Probabilmente inchinarti a
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mani unite davanti a tutti quelli che incontri non


sarà un saluto adeguato nella vita privata o sul posto
di lavoro, ma potrai comunque guardarli negli oc-
chi. Quando sorridi o pronunci un saluto o stringi
la mano a qualcuno, nella mente potrai continuare a
offrire a tutti un fiore di loto, un segno che vi ricorda
che la natura del Buddha è in ciascuno di voi.

Le due chiavi per la comunicazione


compassionevole

Tutti noi comunichiamo per essere compresi e per


comprendere gli altri. Se parliamo e nessuno ascolta
(forse neppure noi stessi), non stiamo comunicando
in modo efficace. Ci sono due chiavi per una comu-
nicazione autentica ed efficace. La prima è l’ascolto
profondo, e la seconda è la parola amorevole. L’ascol-

39
L’arte di comunicare

to profondo e la parola amorevole sono gli strumen-


ti migliori che conosco per stabilire e ripristinare la
comunicazione con gli altri e alleviarne la sofferenza.
Tutti noi desideriamo essere compresi. Quando
interagiamo con un’altra persona, soprattutto se non
abbiamo praticato la consapevolezza della nostra
stessa sofferenza e non ci siamo ascoltati bene, siamo
ansiosi che gli altri ci comprendano subito. Voglia-
mo iniziare esprimendo noi stessi. Ma parlare subito
in questo modo di solito non funziona: prima deve
venire l’ascolto profondo. Praticare la consapevolezza
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della sofferenza – riconoscere e abbracciare la propria


sofferenza e quella altrui – farà nascere la compren-
sione necessaria alla buona comunicazione.
Quando ascoltiamo una persona con l’intenzione
di aiutarla a soffrire meno, stiamo praticando l’ascol-
to profondo. Quando ascoltiamo con compassione,
non restiamo intrappolati nell’atto di giudicare. For-
se un giudizio si formerà, ma noi non vi resteremo
legati. L’ascolto profondo ha il potere di aiutarci a
creare un momento di gioia, di felicità, e ad affronta-
re un’emozione dolorosa.

Ora è il momento di ascoltare soltanto

L’ascolto profondo è una pratica meravigliosa: se sai


ascoltare per trenta minuti con compassione, potrai
aiutare l’altra persona a soffrire molto meno. Se non

40
3. Le chiavi per comunicare con gli altri

pratichi la consapevolezza della compassione, non


riesci ad ascoltare a lungo. Consapevolezza della
compassione significa che ascolti con una sola in-
tenzione: aiutare l’altra persona a soffrire meno. La
tua intenzione potrà essere sincera, ma se prima non
hai praticato l’ascolto di te stesso e se non pratichi la
consapevolezza della compassione, potresti perdere
piuttosto rapidamente la capacità di ascoltare.
L’altra persona potrebbe dire cose che sono piene
di percezioni erronee, di amarezza, di accuse e di
recriminazioni. Se non pratichiamo la consapevo-
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lezza, le sue parole scateneranno in noi l’irritazione,


il giudizio e la collera, e noi perderemo la capacità
di ascoltare in modo compassionevole. Quando in-
sorgono l’irritazione o la rabbia, perdiamo la capa-
cità di ascoltare. Ecco perché dobbiamo praticare,
in modo tale che per tutto il tempo dell’ascolto, la
compassione possa rimanere nel nostro cuore. Se ri-
usciamo a mantenere in vita la compassione, i semi
della rabbia e del giudizio che sono nel nostro cuore
non verranno innaffiati e non germoglieranno. Do-
vremo prima addestrarci, così da riuscire ad ascolta-
re l’altra persona.
Non è un problema se in un determinato mo-
mento non sei pronto ad ascoltare. Se la qualità del
tuo ascolto non è abbastanza buona, è meglio fare
una pausa e continuare un altro giorno: non preten-
dere troppo da te stesso. Pratica il respiro e la cam-
minata consapevole finché sarai pronto ad ascoltare

41
L’arte di comunicare

davvero l’altra persona. Potrai dire: «Voglio ascoltarti


quando saprò farlo al meglio. Ti andrebbe bene se
continuassimo domani?».
Poi, quando siamo pronti ad ascoltare profonda-
mente, potremo farlo senza interruzione: se cerche-
remo di interrompere o di correggere l’altra persona,
trasformeremo la sessione in un dibattito e rovine-
remo tutto. Dopo aver ascoltato profondamente
permettendo all’altra persona di esprimere tutto ciò
che ha nel cuore, in un secondo momento avremo
occasione di darle alcune delle informazioni di cui ha
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bisogno per correggere le sue percezioni, ma non ora.


Ora ci limitiamo ad ascoltare, anche se la persona
dice cose sbagliate. È la pratica della consapevolezza
della compassione che ci permette di continuare a
praticare l’ascolto profondo.
Devi prenderti il tempo di guardare e vedere la
sofferenza nell’altra persona. Devi essere preparato.
L’ascolto profondo ha soltanto uno scopo: aiutare gli
altri a soffrire meno. Anche se la persona dice cose
sbagliate, esprime amarezza o fa recriminazioni, con-
tinua ad ascoltare con compassione per tutto il tempo
che puoi. Come promemoria potrai dire a te stesso:

Sto ascoltando questa persona con un


solo scopo: permetterle di soffrire meno.

Tieni vivo nel cuore e nella mente l’unico scopo


dell’ascolto profondo. Finché in te dimorerà l’ener-

42
3. Le chiavi per comunicare con gli altri

gia della compassione, sarai al sicuro. Anche se ciò


che l’altra persona dice contiene molte percezioni er-
ronee, amarezza, rabbia, accuse e recriminazioni, sei
davvero al sicuro.
Ricorda che il discorso dell’altra persona potrà es-
sere basato su pregiudizi e malintesi. Avrai occasione
in seguito di offrire qualche informazione, in modo
che l’altro possa correggere la sua percezione, ma non
ora. Ora è il momento di ascoltare soltanto. Se riu-
scirai a mantenere viva la tua consapevolezza della
compassione per almeno trenta minuti, sarai pervaso
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dall’energia della compassione e sarai al sicuro. Fin-


ché sarà presente la compassione, potrai ascoltare
con equanimità.
Tu sai che l’altra persona sta soffrendo. Quando
non sappiamo come affrontare la sofferenza che è
dentro di noi, continuiamo a soffrire e facciamo sof-
frire le persone che ci circondano. Quando gli altri
non sanno come affrontare la propria sofferenza, ne
diventano vittime. Se assorbirai il loro giudizio, la
loro paura e la loro collera, ne diventerai la seconda
vittima. Tuttavia, se saprai ascoltare profondamen-
te e se comprenderai che ciò che l’altro sta dicendo
viene dalla sofferenza, allora sarai protetto dalla tua
compassione.
Vuoi soltanto aiutare l’altro a soffrire meno: non
lo accusi e non lo giudichi più.

43
L’arte di comunicare

L’amore nasce dalla comprensione

Ascoltando in modo profondo e compassionevole, co-


mincerai a comprendere più a fondo l’altra persona, e
l’amore ne sarà alimentato. Il fondamento dell’amore
è la comprensione, e questo significa anzitutto com-
prendere la sofferenza. Ognuno di noi è affamato di
comprensione. Se davvero vuoi amare qualcuno e farlo
felice, devi comprendere la sua sofferenza. Con la com-
prensione, il tuo amore sarà più profondo e diventerà
vero amore. Ascoltare la sofferenza è un ingrediente es-
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senziale per generare la comprensione e l’amore.


Per me felicità significa capacità di comprendere e
di amare, perché senza comprensione e amore nessun
tipo di felicità è possibile. Non abbiamo abbastanza
comprensione e amore, ed è per questo che soffriamo
tanto. È di questo che siamo assetati.
La compassione e l’amore nascono dalla com-
prensione. Come si può amare senza comprendere?
Come può il padre amare il figlio se non capisce la
sua sofferenza e le sue difficoltà? Come si può fare
felice la persona amata senza sapere nulla della sua
sofferenza e delle sue difficoltà?

Ti capisco a sufficienza?

Se vuoi rendere felice qualcuno, dovresti porti la do-


manda: Lo capisco a sufficienza?, la capisco a suf-

44
3. Le chiavi per comunicare con gli altri

ficienza? Molte persone sono riluttanti a parlare,


perché temono che ciò che diranno verrà frainteso.
Alcuni soffrono davvero tanto: non sono capaci di
parlarci della sofferenza che hanno dentro. E noi ab-
biamo l’impressione che non ci sia niente che non
va, fin quando è troppo tardi.
Aspettare ha conseguenze gravi: a volte la persona
si isola, oppure potrebbe troncare improvvisamente
un’amicizia o una relazione, e addirittura commet-
tere suicidio. C’era qualcosa che disturbava quella
persona da tanto tempo, ma lui o lei davano a vedere
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che fosse tutto a posto. Forse sono la paura o l’or-


goglio a mettersi di mezzo. Ascoltando e guardando
con consapevolezza e concentrazione potremmo sco-
prire che in quella persona c’è un blocco di soffe-
renza. Vedremo che ha sofferto tanto e non sa come
affrontare la sofferenza interiore. Così continua a
soffrire e a far soffrire anche altre persone. Quando
l’avrai capito, improvvisamente la tua rabbia svanirà:
nascerà la compassione. Avrai la visione profonda
della sofferenza dell’altro, e saprai che ha bisogno di
aiuto, e non di punizione.
Se ne avrai bisogno, potrai chiedere aiuto. Potrai
dire: «Mia cara/Mio caro, voglio capirti meglio. Vo-
glio comprendere le tue difficoltà e la tua sofferenza.
Voglio ascoltarti perché voglio amarti». Se dediche-
remo del tempo a guardare più in profondità, po-
tremmo scoprire per la prima volta il grosso blocco
di sofferenza nell’altra persona. C’è chi potrebbe fin-

45
L’arte di comunicare

gere di non soffrire, ma non è così. Se sei in grado di


ascoltare in modo compassionevole, l’altra persona
avrà una possibilità di parlarti delle sue difficoltà.
In qualunque relazione potresti aver desiderio di
verificare se hai compreso l’altra persona. Se si tratta
di una relazione armoniosa in cui la comunicazione è
buona, allora la felicità non manca. Se la comunica-
zione e l’armonia esistono, significa che c’è una mu-
tua comprensione. Non aspettare che l’altra persona
se ne sia andata o sia piena di rabbia prima di porle
questa importante domanda: «Pensi che ti capisca a
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sufficienza?». Se non l’hai capita abbastanza, l’altra


persona te lo dirà. Saprà se sei capace di ascoltare
in modo compassionevole. Potrai dirle: «Per favore,
dimmi. Aiutami, ti prego. Perché so molto bene che
se non ti capisco farò un sacco di errori». Questo è il
linguaggio dell’amore.
La domanda: «Pensi che ti capisca a sufficienza?»
non è indicata solo per le relazioni romantiche, ma
anche per gli amici, per i familiari e per chiunque ti
stia a cuore. Può essere utile anche in un contesto
di lavoro. Se vivi con un familiare, un partner o un
amico, vedendo questa persona ogni giorno potresti
pensare di conoscerla bene. Ma non è così: in realtà
ciò che sai dell’altro è molto poco. Forse hai vissuto
per cinque, dieci, o addirittura vent’anni con un’altra
persona, ma potresti non aver guardato dentro di lei
abbastanza a fondo da comprenderla. Forse hai agito
così anche con te stesso. Hai vissuto con te stesso per

46
3. Le chiavi per comunicare con gli altri

tutta la vita. Pensiamo di sapere già chi siamo, ma se


non ci siamo ascoltati profondamente, con compas-
sione e curiosità e senza giudizi, forse non ci cono-
sciamo molto bene.
Se aspetti finché i membri della tua famiglia non
ci saranno più, sarà troppo tardi per chiedere loro di
raccontarti di più di se stessi. È bello quando un fi-
glio di qualsiasi età si mette a sedere con un genitore
e gli domanda delle sue esperienze, delle sue soffe-
renze e delle fonti della sua felicità. Senza far altro
che stare seduto ad ascoltare. Praticando il respiro
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consapevole e l’ascolto di noi stessi, la nostra capacità


di ascoltare e di vedere si espanderà profondamente,
e potremo forse avere la possibilità di una comuni-
cazione e di una connessione molto maggiore con i
nostri genitori e con le persone che amiamo.
Quando capisci che l’altra persona dentro di sé
prova sofferenza, nel tuo cuore nasce la compassio-
ne. Forse vorrai fare qualcosa per aiutare l’altro a sof-
frire meno. Il tuo ascolto compassionevole e la tua
parola amorevole faranno già molto per cambiare la
situazione. Allora potrai metterti a sedere con l’altra
persona e, insieme, guardando profondamente, po-
trete comprendere quali altre azioni concrete siano
eventualmente necessarie per migliorare la situazio-
ne. L’ascolto compassionevole non è la sola cosa che
possiamo fare quando qualcuno soffre, ma è quasi
sempre il primo passo.

47
L’arte di comunicare

La parola amorevole
Quando devi dare a qualcuno una brutta notizia,
dire la verità a volte è difficile. Se non parlerai in
modo consapevole, dopo avere ascoltato la tua “ve-
rità” l’altra persona potrà essere sopraffatta dall’ira
o dall’ansia. Possiamo addestrarci a dire la verità in
modo tale che, alla fine, l’altro la possa accettare.
Quando parli, dovrai cercare di dire all’altro la ve-
rità sulla tua sofferenza e sulla sua: è questa la parola
amorevole. Dovrai parlare in modo tale che aiuti l’al-
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tro a riconoscere la sofferenza dentro di sé e dentro


di te. Occorre essere abili. Colui che parla deve essere
molto consapevole, e usare le parole in modo da aiu-
tare chi ascolta a non farsi sorprendere da percezioni
erronee. E chi ascolta deve fare attenzione a non farsi
sorprendere dalle parole che gli vengono dette o dal-
le idee che gli vengono suggerite. Dovranno esserci
consapevolezza e abilità da entrambe le parti.
Poiché avrai già praticato l’ascolto consapevole,
saprai che ciò che dirai potrà portare con sé la visio-
ne profonda e la comprensione. Con una maggior
comprensione potrai davvero aiutare l’altra persona
a soffrire di meno, e la tua comunicazione sarà più
efficace. Le tue parole saranno gentili perché sarai di-
sposto ad aiutare; così il nostro modo di comunicare
permette all’altra persona di stare già molto meglio.
Le parole che diciamo sono nutrimento. Possiamo
usare parole che nutrono noi stessi e l’altro. Ciò che dici,

48
3. Le chiavi per comunicare con gli altri

ciò che scrivi, dovrebbe trasmettere solo compassione e


comprensione. Le tue parole possono ispirare a un’altra
persona fiducia e apertura. Grazie alla parola amorevole
la generosità può essere praticata in modo meraviglioso.
Non è necessario spendere denaro per praticare la gene-
rosità: nel buddhismo un sinonimo di parola amorevole
è “Retta Parola”. Nella nostra vita quotidiana, la Retta
Parola è ciò che nutre noi e chi ci circonda.

La parola erronea
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Chiamiamo la parola amorevole “Retta Parola” per-


ché sappiamo che la sofferenza nasce dalla parola
erronea. Il nostro discorso può causare una grande
sofferenza se usiamo parole scortesi, false o violente.
La parola erronea è quella che manca di apertura e
non è basata sulla comprensione, sulla compassione
e sulla riconciliazione.
Quando scriviamo un biglietto o una lettera,
quando parliamo al telefono, ciò che scriviamo o
diciamo dovrebbe essere Retta Parola, che trasmette
la nostra visione profonda, la nostra comprensione e
la nostra compassione. Quando pratichiamo la Retta
Parola, ci sentiamo meravigliosamente nel corpo e
nella mente, e la stessa cosa capita a chi ascolta. È
possibile usare la Retta Parola, una parola di compas-
sione, di tolleranza e di perdono, più volte al giorno.
Non costa nulla e porta guarigione.

49
L’arte di comunicare

I quattro elementi della Retta Parola


La parola amorevole e sincera può portare a tutti
molta gioia e molta pace, ma produrla richiede pra-
tica, perché non siamo abituati a parlare in questo
modo. Quando sentiamo proferire tante parole che
provocano desiderio sfrenato, insicurezza e rabbia, ci
abituiamo a parlare allo stesso modo. La parola sin-
cera e amorevole è qualcosa che richiede esercizio da
parte nostra.
Nel buddhismo c’è una pratica chiamata “i Dieci
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Addestramenti dei Bodhisattva”, e quattro di essi si


riferiscono alla Retta Parola. Un bodhisattva è un es-
sere illuminato che ha dedicato la sua vita ad alleviare
la sofferenza di tutti gli esseri viventi.
L’illuminazione riguarda sempre qualcosa di spe-
cifico. Se cominci a comprendere la natura e la radice
della tua sofferenza, anche questo è un tipo di illu-
minazione, e ti aiuta subito a soffrire meno. Alcuni
di noi sono molto critici nei confronti di se stessi, e
questo accade perché non abbiamo capito la natura
della nostra sofferenza. Quando diventiamo un bo-
dhisattva per noi stessi, non attribuiamo più colpe né
a noi stessi, né ad altri.
Un bodhisattva è colui che sa usare parole gentili
e amorevoli e sa ascoltare con compassione. Chiun-
que può diventare un bodhisattva addestrandosi in
modo diligente. Non è necessario praticare per die-
ci anni per diventare un bodhisattva. Dedica ogni

50
3. Le chiavi per comunicare con gli altri

giorno un po’ di tempo, anche solo cinque o dieci


minuti, alla pratica da seduto, al respiro consapevole
e all’ascolto di te stesso.
Qui di seguito troverai le quattro regole degli
Esercizi dei dieci bodhisattva per la Retta Parola:

1. Di’ la verità. Non mentire e non ribal-


tare la verità.
2. Non esagerare.
3. Sii coerente. Cioè non essere duplice:
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non parlare a una persona in un modo,


e a un’altra nel modo opposto per fini
opportunistici e di manipolazione.
4. Usa un linguaggio pacifico. Evita paro-
le offensive o violente, espressioni cru-
deli, ingiurie verbali o condanne.

Di’ la verità
Il primo elemento della Retta Parola è dire la verità.
Non dobbiamo mentire. Dobbiamo cercare di non
dire falsità. Se pensiamo che la verità sia troppo scon-
volgente, dovremo trovare un modo abile e amorevo-
le per dirla, ma dobbiamo rispettare la verità. Ci sono
persone che offendono verbalmente gli altri, li fanno
soffrire, e poi dicono: «Sto solo dicendo la verità». Ma
la dicono in un modo violento e aggressivo. A volte
questo può dare grande sofferenza all’altra persona.

51
L’arte di comunicare

Quando dici la verità, a volte il risultato non è


quello che ti auguravi. Devi guardare in profondità
nella mente dell’altra persona per capire come dirle
la verità in modo tale che non si senta minacciata e
possa ascoltare. Devi provare a dire la verità in modo
amorevole e protettivo. È importante ricordare che
ciò che tu ritieni sia la verità potrebbe essere la tua
personale percezione erronea o incompleta. Tu pensi
che sia la verità, ma la tua percezione potrebbe essere
parziale: potrebbe essere bloccata da qualcosa.
Mentire è pericoloso, perché un giorno l’altra
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persona potrebbe scoprire la verità, e ne potreb-


be derivare una catastrofe. Perciò, se non vogliamo
dire una bugia e non vogliamo causare offesa all’al-
tro, dobbiamo essere consapevoli delle nostre parole
e trovare un modo abile per dire la verità. Ci sono
molti modi per dire la verità: è un’arte.
La verità è una solida base per una relazione du-
ratura. Se non costruisci la tua relazione sulla verità,
prima o poi essa crollerà. Dobbiamo trovare la ma-
niera migliore per dire la verità in modo che l’altra
persona la possa recepire con facilità. A volte anche
le parole più abili possono causare dolore, e va bene
così: il dolore può guarire. Se le tue parole sono pro-
nunciate con compassione e comprensione, il dolore
guarirà più rapidamente.
La sofferenza può essere benefica: può avere in sé
un valore positivo, ma noi non vogliamo far soffrire
inutilmente gli altri. Possiamo ridurre al minimo lo

52
3. Le chiavi per comunicare con gli altri

shock e il dolore. Dobbiamo cercare di comunicare


la verità in modo che l’altra persona possa ascoltarci
senza soffrire troppo. La cosa importante è che si senta
al sicuro: potrebbe non “afferrare l’idea”, o forse po-
trebbe essere necessario del tempo, prima che l’altra
persona capisca davvero le tue parole. Potrebbe con-
tinuare ad avere una percezione diversa dalla nostra.
A volte potrai cominciare raccontando un’altra
storia, la storia di qualcuno con una situazione simile
a quella del tuo interlocutore, in modo che lui o lei
si possano abituare all’idea. È più facile ascoltare la
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storia di un altro. Potrai dire: «Cosa pensi? Sarebbe


bene che l’altra persona ascoltasse la verità o no?». Di
solito, tutti rispondono: «Sì, è bene venire a sapere la
verità». A volte la persona cui stai parlando trarrà da
sola le conclusioni, e imparerà dal caso che le hai rac-
contato. È necessaria molta pratica per dire la verità
in modo che l’interlocutore la possa ascoltare.

Non esagerare
La seconda regola della Retta Parola è evitare di in-
ventare e di esagerare. Vuoi parlare di una cosa picco-
la, ma esageri e la fai diventare enorme. Per esempio,
qualcuno ha fatto un errore, ma tu lo ingigantisci
come se fosse qualcosa di molto peggiore. A volte,
quando parliamo con noi stessi, facciamo apparire la
situazione molto tragica per giustificare o addirittura
alimentare la rabbia. Potrebbe esserci del vero in ciò

53
L’arte di comunicare

che vuoi dire, ma ora esageri ciò che ha fatto l’altra


persona, e ne dipingi un’immagine sbagliata. Potrà
sembrare un fatto innocuo, ma ti distoglie dalla veri-
tà e distrugge la fiducia in una relazione.

Sii coerente
Il terzo tipo di parola erronea è quello che in vietna-
mita si definisce “lingua biforcuta” o “lingua dupli-
ce”, ovvero dire qualcosa a una persona, ma quan-
do si parla della stessa questione con qualcun altro,
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esprimersi in modo diverso al fine di ottenere qual-


che vantaggio. Parlare della stessa situazione, ma in
modi contrastanti. Questo provoca divisione e può
far sì che una persona o un gruppo pensi male dell’al-
tra persona o dell’altro gruppo, quando invece non
ce n’è motivo. Inoltre può causare molta sofferenza a
entrambe le parti, arrivando persino a fare degli uni i
nemici degli altri. La Retta Parola richiede che tu sia
fedele alla tua parola e che non ne cambi il contenuto
a tuo uso e consumo o per porti in una luce migliore.

Usa un linguaggio pacifico


Il quarto aspetto della Retta Parola è astenersi dalle
parole violente, offensive, umilianti, tali da esprime-
re condanna, accusa o giudizio.

54
3. Le chiavi per comunicare con gli altri

I quattro criteri

Al tempo del Buddha, la gente era prigioniera di co-


struzioni mentali e interpretava gli insegnamenti in
modo diverso dalle intenzioni del maestro. Il Buddha
e i suoi discepoli escogitarono quattro criteri che do-
vrebbero essere contenuti in ogni insegnamento. Oggi
questi quattro criteri sono utili per valutare se noi e gli
altri stiamo usando la Retta Parola e stiamo dicendo la
verità in modo efficace. I quattro criteri sono:
1. Parlare il linguaggio del mondo.
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2. Potremo parlare in maniera diversa


a persone diverse, così da riflettere il
loro modo di pensare e la loro capacità
di ricevere l’insegnamento.
3. Impartiremo l’insegnamento giusto in
base alla persona, al tempo, al luogo,
allo stesso modo in cui un medico pre-
scrive la medicina giusta.
4. Insegneremo in un modo che riflette la
verità assoluta.

Il primo criterio:
parla il linguaggio del mondo
Il primo criterio è comprendere il modo in cui gli altri
vedono le cose, il modo in cui il mondo vede le cose.

55
L’arte di comunicare

A volte dobbiamo usare il tipo di linguaggio che tutti


parlano, e il loro modo di vedere le cose. Se non usi il
linguaggio del mondo, la maggior parte di chi ti ascolta
non capirà che cosa intendi, e potrai comunicare solo
con chi già pensa come te. Questo non implica che do-
vrai imparare il vietnamita o l’arabo, ma piuttosto che
dovrai usare termini che la gente è in grado di capire
sulla base della propria esperienza quotidiana di vita.
Per esempio, siamo abituati a dire che il cielo è
“sopra” e la Terra “sotto”. Quando siamo qui sedu-
ti, diciamo che ciò che è al di sopra di noi è “su” e
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ciò che è al di sotto è “giù”. Ma per coloro che si


trovano dall’altra parte del pianeta, il nostro “giù”
è il loro “su”, e viceversa. Ciò che per questo angolo
della Terra è “su e giù” non lo è per un’altra parte del
pianeta. Perciò “su e giù” sono verità, ma si tratta
di verità relative. Possiamo farne uso come parte del
nostro linguaggio comune, per comunicare fra noi,
senza bisogno di intavolare una lunga discussione sui
termini “su” e “giù” ogni volta che parliamo.

Il secondo criterio:
parla in base alla comprensione della
persona che ascolta
Il secondo criterio dice che potrebbe essere necessa-
rio parlare a ognuno in modo differente. Questo non
contraddice l’elemento della Retta Parola che impone
di non parlare con la lingua biforcuta (parola duplice).

56
3. Le chiavi per comunicare con gli altri

Dobbiamo mantenere uguale il contenuto veritiero, e


al tempo stesso essere consapevoli della prospettiva e
della comprensione della persona con cui stiamo par-
lando, in modo che gli altri abbiano una possibilità di
ascoltare davvero ciò che viene detto. Con una per-
sona parlerai in un modo, e con un’altra dovrai usare
un linguaggio diverso. Devi guardare nel profondo di
questa persona per capire il suo modo di percepire,
e parlare tenendone conto, così da essere compreso.
Se la comprensione dell’altro è profonda, parlerai in
modo da tenerlo in considerazione.
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Un giorno qualcuno chiese al Buddha: «Quando


quella persona passerà a miglior vita, in quale paradi-
so ritieni che andrà?». Il Buddha rispose che sarebbe
potuto nascere in questo o quel regno celeste. Di lì
a poco, qualcun altro gli domandò: «Quando quel-
la persona morirà, dove andrà?». Il Buddha rispose:
«Non andrà da nessuna parte». Uno dei presenti
domandò al Buddha perché avesse dato a ciascuno
dei due una risposta diversa. Il Buddha rispose che
dipende da chi pone la domanda: «Devo parlare in
base alla mente della persona che ascolta e alla sua
capacità di recepire ciò che le comunico».
C’è una storia che racconta di un uomo che una
mattina diede a una donna una brocca di latte. Alla
fine della giornata, l’uomo tornò a riprenderla, ma
nel frattempo il latte si era trasformato in burro e
formaggio. L’uomo disse: «Io ti ho dato del latte, e tu
mi restituisci burro e formaggio». Dunque il latte e

57
L’arte di comunicare

il burro sono la stessa cosa o sono cose diverse? Non


sono la stessa cosa, ma non sono neppure diversi.
A coloro che hanno una comprensione più com-
pleta dovrai dare una risposta più profonda, da cui
emergerà che niente è permanente e tutto è in co-
stante cambiamento. Perciò l’insegnamento che da-
rai e il tuo modo di parlare dipenderanno dal grado
di saggezza del tuo interlocutore e dalla sua capacità
di comprendere ciò che dici. Parlerai in base al re-
troterra e alle capacità della persona alla quale ti stai
rivolgendo.
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Il terzo criterio:
prescrivi la giusta medicina per la malattia
Il terzo criterio suggerisce di prescrivere la giusta me-
dicina per la malattia. Se si somministra a qualcuno
la medicina sbagliata, quella persona potrebbe mori-
re. Perciò darai a ciascuno una medicina particolare.
Quando provi attaccamento, desiderio sfrenato o
disperazione, ricorda che sei il maestro di te stesso.
Potrai ascoltare queste forti emozioni e rispondere
comunicando la guarigione di cui hai bisogno.
Non pensare che se sentirai o leggerai qualco-
sa che ti ispira, dovrai poi ripetere tutto parola per
parola. Pensa al modo in cui puoi far risuonare le
verità che hai ascoltato con la tua personale verità.
Allo stesso modo dovrai conoscere anche la mente
e il retroterra del tuo interlocutore. Se dovessi im-

58
3. Le chiavi per comunicare con gli altri

partire a un’altra persona esattamente lo stesso inse-


gnamento che hai ricevuto, potrebbe non essere un
insegnamento adatto a lei. Dovrai adattare ciò che
dici al retroterra dell’altro. Ma ciò che dici dovrà
anche riflettere il vero insegnamento. Perciò usa il
linguaggio del mondo, ma non uno qualsiasi: il tuo
linguaggio dovrà essere adatto alla situazione, senza
distaccarsi dalla verità.
Pensa a come parliamo ai bambini della morte
e della violenza nel mondo. Diciamo loro la veri-
tà in un modo diverso rispetto a come parleremmo
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a un adulto? Una volta, mentre visitavo un museo,


entrai in una stanza in cui era custodito un corpo
mummificato. Nella stanza c’era una bambina che
osservava il corpo senza vita. Dopo essere rimasti
per qualche minuto a guardare insieme, con gli oc-
chi pieni di paura la bambina mi domandò qualco-
sa che suonava più o meno così: «Un giorno sarò
anch’io morta, distesa così su un tavolo?». Mi presi
il tempo di inspirare ed espirare e le diedi l’unica
risposta adeguata alla situazione: «No». Spero che
un giorno un saggio genitore o amico riuscirà a par-
larle dell’impermanenza di tutte le cose, compresi
i nostri corpi, e anche del profondo insegnamento
del Buddha secondo cui niente cessa mai di esistere
del tutto, niente passa dall’esistere al non-esistere.
Quello però non era il tempo né il luogo per parlarle
di tutto questo, così le diedi la miglior risposta pos-
sibile in quella circostanza, ossia: «No».

59
L’arte di comunicare

Anche con gli adulti possiamo variare ciò che di-


ciamo, a seconda della fragilità che attribuiamo loro
riguardo a un certo tema. Condivideremo le infor-
mazioni in modo tale che possano essere integrate
e utilizzate in un secondo momento, se non imme-
diatamente. Non si tratta di mentire, ma di dire la
verità in un modo abile. Una volta un uomo che ap-
parteneva alla tradizione giainista chiese al Buddha
se gli esseri umani hanno un sé. Il Buddha avrebbe
potuto rispondergli che il sé non esiste, ma rimase in
silenzio. Allora il giainista domandò: «Dunque non
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abbiamo un sé?». Il Buddha continuò a mantenere


il silenzio. Più tardi Ananda gli chiese: «Perché non
gli hai detto che il sé non esiste?». Il Buddha rispose:
«So che è prigioniero della sua visione. Se dovessi dir-
gli che il sé non esiste, sarebbe smarrito e soffrirebbe
molto. Perciò, benché secondo il nostro insegnamen-
to la risposta giusta sia che non c’è un sé, è stato
meglio rimanere in silenzio».

Il quarto criterio:
rifletti la verità assoluta
Il quarto criterio è la verità assoluta, la visione più
profonda delle cose, e si può trovare in frasi come:
«Non c’è un sé separato», oppure: «La nascita e la
morte non esistono». La verità assoluta è corretta: è
la cosa più vicina a una descrizione della realtà ulti-
ma, ma può far sentire smarriti se non abbiamo un

60
3. Le chiavi per comunicare con gli altri

maestro spirituale che ne possa abilmente trasmette-


re i significati profondi, in modo che possiamo re-
cepirli. Perciò ogni volta che dovremo dire qualcosa
che sappiamo sarà difficile da ascoltare, dobbiamo
essere umili e cercare di scrutare sempre più a fondo,
così da scoprire in che modo parlarne.
Ci sono alcune verità assolute, come quelle della
non-nascita e della non-morte, che sono molto difficili
da afferrare nel nostro comune modo di pensare e nelle
nostre vite quotidiane. E tuttavia, se ci viene mostrato
qualcosa di molto semplice, come una nuvola, pos-
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siamo afferrare molto facilmente che una nuvola non


“nasce” e non “muore”: cambia soltanto forma. Potre-
mo pensare che queste verità assolute siano astratte, ma
sono visibili nel mondo naturale tutt’intorno a noi, se
guardiamo in profondità o abbiamo un maestro o un
compagno con cui parlare di ciò che vediamo.

Se utilizzerai questi quattro criteri non sarai confu-


so quando leggerai o ascolterai qualcosa. Questi criteri
ti possono anche aiutare ad ascoltare bene gli altri e a
esprimerti in modo efficace nella vita quotidiana, sia
nella conversazione fra amici, quando parlerai o ascol-
terai all’interno di un gruppo, sia quando leggerai un
testo, secolare o religioso. Otterrai una comprensione
profonda di ciò che è la verità in ogni situazione possi-
bile, e saprai come reagire nel migliore dei modi.
Questo addestramento non riguarda solo il no-
stro modo di parlare, ma anche il nostro modo di

61
L’arte di comunicare

ascoltare. Perciò il punto focale è ciò che accade non


solo alla mente e alla lingua, ma anche all’orecchio.
Quando ascoltiamo in modo più profondo e vedia-
mo più chiaramente, nasce la compassione, e noi
useremo la parola consapevole che riflette le nostre
intenzioni sincere e premurose. Invece di pronun-
ciare parole crudeli, cominceremo ad ascoltare con
compassione.
Quando avremo la capacità di ascoltare con com-
passione la sofferenza dell’altra persona, anche noi
ne trarremo beneficio. La nostra compassione ci dà
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felicità e pace. Quando ascoltiamo con compassio-


ne, possiamo comprendere cose che non saremmo in
grado di intendere se fossimo pieni di rabbia.
L’ascolto profondo è una variante della visione
profonda: si guarda non con gli occhi, bensì con le
orecchie. Quando guardi con gli occhi puoi vedere la
sofferenza; quando guardi con le orecchie puoi udire
la vibrazione nelle parole dell’altro. In vietnamita il
bodhisattva Avalokiteshvara è chiamato Quan The
Am (in cinese Kuan-yin). Quan significa contempla-
re profondamente; the significa mondo, e am signi-
fica suono. Quan The Am ascolta tutti i suoni, tutta
la sofferenza nel mondo. Quando ascolti così, in te
nasce la compassione, e puoi trovare pace. Ascolta
con grande compassione, te ne prego. Anche quando
sarai triste perché avrai avuto brutte notizie, la com-
passione placherà la tua agitazione e ti trasmetterà
maggiore tranquillità.

62
3. Le chiavi per comunicare con gli altri

Aiutare le persone a comprendere


Nel mio ultimo viaggio in India fui invitato a fare il
redattore ospite per un giorno al «Times of India»,
il più importante quotidiano del Paese. Era duran-
te la commemorazione di Gandhi, nell’ottobre del
2008. Un giorno ero in riunione con i redattori tito-
lari, quando giunse la notizia di un attacco terrorista
a Mumbai, vicino al confine con il Pakistan, in cui
erano rimaste uccise molte persone.
I redattori mi chiesero: «Se lei fosse un giornali-
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sta, ai giorni nostri, come farebbe a dare le notizie,


quando ce ne sono così tante cattive e così poche
di buone? Come dovremmo agire noi giornalisti?».
È una domanda difficile. Il compito dei giornalisti
è riportare le notizie. Tuttavia, se scrivono mentre
sono in preda allo shock, alla paura o all’indignazio-
ne, i loro articoli finiranno per alimentare la paura
e la rabbia del lettore, creando forse ancor più vio-
lenza. Perciò cosa possiamo fare quando riceviamo
notizie del genere?
Non risposi immediatamente. Tornai a concen-
trarmi sull’inspirazione e sull’espirazione e rimasi
in silenzio per un po’, mentre anche loro tacevano.
Poi dissi: «Dovete dire la verità, ma dovete dare le
notizie in modo tale da non innaffiare i semi della
paura, della rabbia e della vendetta nel cuore della
gente. Perciò dovete stare seduti come praticanti e
guardare in profondità, e domandare: “Perché mai

63
L’arte di comunicare

qualcuno dovrebbe usare violenza su persone inno-


centi?”». Guardando in profondità, comprenderai
che coloro che usano violenza hanno una percezione
erronea della situazione. Sono del tutto certi che la
loro percezione sia la verità, e potrebbero pensare che
se moriranno con gli altri nell’esplosione, andranno
direttamente in cielo a raggiungere Dio.
Tutti vogliono vivere: nessuno desidera morire.
Ma queste persone potrebbero pensare che ucciden-
do gli altri e morendo con loro stanno compiendo il
volere divino. Pensano che quelli che sono dall’altra
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parte della barricata siano i nemici di Dio. Ora riesci


a comprendere che si tratta di un modo sbagliato di
pensare, e così provi compassione nei loro confron-
ti. Per chiunque abbia una visione di questo tipo, la
vita è molto buia e piena di sofferenza. Ci sono mol-
te percezioni erronee ovunque. Fintanto che queste
percezioni erronee persisteranno, il numero dei ter-
roristi non farà che aumentare. Sarà molto difficile
trovarli e controllarli tutti.
Se un gruppo di terroristi viene annientato con
la violenza, ne emergerà presto un altro: è una storia
senza fine. Così dissi ai redattori: «Quando date noti-
zia degli atti terroristici, usate la vostra compassione
e la vostra comprensione profonda. Spiegate i fatti in
modo tale che il lettore non sia sopraffatto dall’ira e
forse diventi un altro terrorista».
Possiamo dire la verità, ma dobbiamo aiutare la
gente a comprendere. Quando si comprende, la col-

64
3. Le chiavi per comunicare con gli altri

lera diminuisce. Non si perde la speranza, si sa cosa


fare e cosa non fare, cosa consumare e cosa non con-
sumare per non dar seguito a questo tipo di violenza.
Perciò il mio messaggio quel mattino fu che dobbia-
mo rispecchiare e presentare gli eventi in modo da
non far aumentare la disperazione e la rabbia della
gente. Possiamo invece aiutare gli altri a comprende-
re il motivo per cui accade ciò che accade, in modo
tale da accrescere la loro visione profonda e la loro
compassione. Con la pratica dello sguardo profon-
do possiamo fare una grossa differenza. La soluzione
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non è nascondere la verità.

Usare la Retta Parola


nella vita quotidiana

I quattro addestramenti della Retta Parola ci ricorda-


no ogni giorno di usare parole che esprimano non-di-
scriminazione, perdono, comprensione, sostegno e
amore. È molto liberatorio essere in grado di dire o
scrivere qualcosa usando la parola compassionevole.
Parlare in questo modo porta altrettanta guarigione
a chi parla come a chi ascolta. Questi quattro adde-
stramenti ci ricordano inoltre che qualunque nostra
parola contenente veleno, discriminazione e odio
farà soffrire noi e gli altri. È un’equazione semplice:
la parola erronea provoca malessere; la Retta Paro-
la dà origine a benessere e guarigione. Ogni giorno

65
L’arte di comunicare

possiamo dire qualcosa che ha la capacità di guarire


e aiutare la gente. Può farlo un adulto, così come
un bambino, un uomo d’affari, un politico o un
insegnante. Non dobbiamo aspettare un momento
speciale: possiamo interrompere ciò che stiamo fa-
cendo in questo preciso momento e inviare un’e-mail
che contenga la Retta Parola, e così facendo potremo
dare immediato sollievo alla sofferenza che è in noi
e negli altri.
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66
I sei mantra della
4.
parola amorevole

Q uando abbiamo l’impressione di essere del tutto


soli, e che nessuno ci sostenga, possiamo ricor-
darci che si tratta solo di una percezione: non riflette
la realtà in modo preciso. Pensa a un albero che in
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questo momento è là fuori. L’albero ci sostiene con la


sua bellezza, la sua freschezza e l’ossigeno che respi-
riamo. Anche questo tipo di sostegno è una forma di
amore. L’aria fresca che respiriamo all’aperto, le pian-
te che ci nutrono e l’acqua che sgorga dal rubinetto e
scorre sulle nostre mani sono tutte forme di sostegno.
Ci sono molti modi in cui gli altri ci possono so-
stenere e amare senza di fatto dire: «Ti voglio bene».
Forse conoscerai persone che non hanno mai detto:
«Ti voglio bene» o «ti amo», ma tu sai di essere ama-
to da loro. Quando fui ordinato monaco novizio,
avevo un maestro di cui sapevo mi amasse profonda-
mente, anche se non me lo aveva mai detto: questo
è il modo di essere tradizionale. Se qualcuno pro-
nunciava le parole: «Ti voglio bene», parte della sa-
cralità sembrava perduta. A volte ci sentiamo molto
grati, ma vogliamo esprimere la nostra gratitudine
in modi diversi da un semplice “grazie”. Considera

67
L’arte di comunicare

tutti i modi in cui si comunica il proprio amore sen-


za dirlo. Forse, come l’albero, gli altri ti sostengono
in altri modi.
È anche vero che le persone che ami potrebbero
non sapere di essere amate da te. A volte vorremmo
dire a qualcuno quanto sia importante per noi, ma
non conosciamo le parole giuste per far sì che l’altro
capisca ciò che sentiamo.
I sei mantra sono sei frasi che incarnano la parola
amorevole e comunicano agli altri che li vediamo,
li comprendiamo e teniamo a loro. Nel buddhismo
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queste frasi si chiamano “mantra”. Si tratta di qual-


cosa di simile a una formula magica: quando la si
pronuncia, si può far accadere un miracolo, perché la
felicità diventa immediatamente accessibile.
Come per ogni altra pratica, si inizia con il re-
spiro consapevole per ottenere una vera presenza.
Poi ci si reca dall’altra persona nella consapevolez-
za, e ci si impegna nella pratica della comunicazione
compassionevole. Forse vorrai inspirare ed espirare
tre volte prima di dire il mantra. Questi tre respiri
sono necessari: ti renderanno calmo, e la tua calma
verrà comunicata all’altro. Poi, quando ti recherai da
un’altra persona, saprai di essere sereno, avrai la pace
e le potrai offrire tutto questo.
Se desideri che il mantra funzioni, dovrai prima
inspirare in modo consapevole e sentirti sereno pri-
ma di pronunciarlo. Guarderai l’altra persona negli
occhi e dirai queste brevi frasi. Un mantra può con-

68
4. I sei mantra della parola amorevole

tenere non più di quattro parole, ma in esse potrai


essere pienamente presente per la persona che ami.

Il primo mantra

Il primo mantra è: «Sono qui per te». È il dono mi-


gliore che tu possa offrire a una persona che ami.
Niente è più prezioso della tua presenza. Per costo-
si che siano i tuoi regali, non saranno mai preziosi
come la tua vera presenza. Quella meravigliosa pre-
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senza è viva, solida, libera e calma, e tu la offri a chi


ti è caro per rendere più intensa la sua e la tua felicità.
«Sono qui per te».
Amare qualcuno significa esserci per lui o per lei.
Esserci è un’arte e una pratica. Sei davvero presente
per la persona che ami, al cento per cento? Usando le
tecniche del respiro e della camminata consapevole
potrai far incontrare corpo e mente così da tornare
a te stesso e produrre la tua vera presenza nel qui e
ora. Esserci in questo modo, per te stesso e per l’altra
persona, è un atto d’amore.
Possiamo anche usare questo mantra con noi stes-
si. Quando dico a me stesso: “Sono qui per te”, signi-
fica anche che ci sono per me stesso. La mia mente
torna a casa, al corpo, e io divento consapevole di
averne uno. È una pratica d’amore, diretta a te stesso.
Se sei in grado di stare con te stesso, riuscirai a stare
anche con la persona che ami.

69
L’arte di comunicare

La pratica può essere molto piacevole. Inspirare


e riportare la mente a casa, al corpo, può essere una
cosa molto gradevole da fare. Trarrai gioia dall’inspi-
razione, dal tuo corpo e dalla tua mente. Allora il
mantra avrà un effetto anche su chi ti circonda.
Non dovrai aspettare che la pratica sia ricambia-
ta: l’altra persona non dovrà dire niente in cambio.
Quando produci il mantra, entrambi ne beneficere-
te. Il mantra aiuta te e l’altra persona a tornare a casa,
a voi stessi e al momento che state condividendo.
Così l’effetto è doppio.
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Si dice che l’amore si basi sulla comprensione, ma


com’è possibile comprendere qualcuno se non si è pre-
senti? La tua mente dovrà essere nel qui e ora prima di
poter amare. Perciò la prima definizione di amore è es-
serci. Come si può amare senza esserci? Per amare, devi
essere presente. L’albero che vedi dalla finestra è là, e ti
sostiene. Puoi esserci per te stesso e per quelli che ami,
proprio come l’albero. La pratica della consapevolezza
è il fondamento del tuo amore. Non si può amare in
modo giusto e profondo senza consapevolezza.
Benché tu stia dicendo: «Sono qui per te», l’altra
persona non dovrà essere presente perché tu possa
praticare il primo mantra. Se l’altra persona è a casa
o al lavoro, potrai usare il telefono. Dopo aver preso
in mano il telefono, inspira ed espira alcune volte per
essere calmo e presente. Mentre senti suonare il tele-
fono, potrai continuare a respirare in modo consape-
vole. Quando l’altra persona solleva il ricevitore potrai

70
4. I sei mantra della parola amorevole

domandarle se ha un momento per te. Se è così, potrai


dirle semplicemente: «Sono qui per te». Se avrai prati-
cato il respiro consapevole, il modo in cui dirai il man-
tra trasmetterà all’altro la tua calma e la tua presenza.

Il secondo mantra

Non usare il secondo mantra finché non avrai prati-


cato il primo e prodotto la tua presenza. Poi, quando
sarai davvero presente nel qui e ora, sarai in grado di
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riconoscere la presenza dell’altro. Il secondo mantra


è: «So che ci sei, e sono molto felice». Stai facendo
sapere alla persona amata che la sua presenza è im-
portante per la tua felicità.
Il secondo mantra riconosce che vedi davve-
ro l’altra persona. È essenziale, perché quando una
persona ti ignora, non ti senti amato. Forse penserai
che le persone che ami siano troppo occupate per
vederti. Chi ti è caro potrebbe essere al volante, e
il suo pensiero potrebbe essere rivolto a qualunque
cosa, meno che a te, che gli siedi accanto: non hai
la sua attenzione. Amare significa essere consapevo-
le della presenza della persona amata e riconoscere
quella presenza come qualcosa di molto prezioso per
noi. Si usa l’energia della consapevolezza per ricono-
scere e abbracciare la presenza della persona amata.
Nell’abbraccio della tua consapevolezza, l’altra per-
sona sboccerà come un fiore.

71
L’arte di comunicare

«So che ci sei, e sono molto felice». Il secondo


mantra è riaffermare la presenza dell’altra persona
come qualcuno di molto importante per te. Come
il primo, funziona solo se inspiri ed espiri prima di
pronunciarlo. Immagina che l’altra persona non ci
sia: ha cambiato città o è mancata. Probabilmente
avvertiresti un grande vuoto. In questo momento
preciso, quella persona è viva, ed è accanto a te, per-
ciò sei molto fortunato. Ecco perché devi praticare
il secondo mantra per ricordare a te stesso del dono
della presenza dell’altro.
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Quando qualcuno dice di amarti ma ignora la tua


presenza e non presta attenzione al tuo esserci, non
hai la sensazione di essere amato. Perciò quando ami
qualcuno devi riconoscerne la presenza come qual-
cosa di prezioso per te. Il secondo mantra può essere
praticato ogni giorno, diverse volte al giorno. «So che
ci sei, e la tua presenza mi riempie di felicità».
Questo mantra, come il primo, può essere condi-
viso in qualsiasi momento: prima di andare al lavoro,
a tavola, oppure per telefono o per posta elettroni-
ca, se desideri condividerlo con qualcuno che non
ti è possibile incontrare. Dapprima questi mantra
potranno sembrarti un po’ strani, mentre ti abitui a
pronunciarli, ma una volta che ne avrai visti i risulta-
ti, sarà più facile praticarli. Potrai dare felicità imme-
diata a te stesso e all’altra persona. È più istantaneo
del caffè solubile! Ricorda però una cosa: un mantra
si può praticare con successo solo se si sa come otte-

72
4. I sei mantra della parola amorevole

nere la presenza mentale e se lo si pronuncia in modo


consapevole.

Il terzo mantra

Mentre i primi due mantra possono essere pronun-


ciati più volte al giorno, indipendentemente dalla
situazione, il terzo va usato quando si nota che l’al-
tra persona sta soffrendo. Il terzo mantra può aiutare
istantaneamente l’altra persona a soffrire meno. Re-
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cita così: «So che stai soffrendo, questo è il motivo


per cui sono qui per te».
Grazie alla consapevolezza, sai che un amico o la
persona amata hanno qualcosa che non va. Quando chi
ti è caro soffre, forse proverai l’impulso di fare qualco-
sa per offrirgli un rimedio, ma non sarà necessario fare
molto. Dovrai soltanto esserci per lui o per lei: è questo
il vero amore. Il vero amore è fatto di consapevolezza.
Per mezzo della consapevolezza ti accorgi quando una
persona cara ha qualcosa che non va. Quando te ne ren-
di conto, desideri fare qualcosa per aiutarla a soffrire di
meno. Non dovrai far altro che esserci. Quando pronun-
cerai il mantra, la persona amata soffrirà subito meno.
Quando soffri, e i tuoi cari lo ignorano, la tua
sofferenza è ancora maggiore. Ma se l’altra persona è
consapevole della tua sofferenza e ti offre la sua pre-
senza in questi momenti difficili, ecco che subito sof-
fri di meno. Non occorre molto tempo per portare

73
L’arte di comunicare

sollievo, perciò ti prego: usa questo mantra nella tua


relazione per aiutare l’altra persona a soffrire di meno.

Il quarto mantra

Il quarto mantra è un po’ più difficile, specialmente


per quelli fra noi che sono molto orgogliosi. Lo usia-
mo quando soffriamo e pensiamo che l’altra persona
sia la causa della nostra sofferenza. È una cosa che ac-
cade, di tanto in tanto. Se fosse stato qualcuno di cui
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non ti importa molto a dire o fare ciò che ti ha ferito,


avresti sofferto meno. Ma quando qualcuno che ami
fa un commento che avverti come critico o sprezzan-
te, la tua sofferenza è profonda. Se soffriamo e non
guardiamo la nostra sofferenza in profondità e non
troviamo la compassione per noi stessi e per l’altra
persona, potremmo avere desiderio di punire chi ci ha
ferito perché ha osato farci soffrire. Quando soffria-
mo, pensiamo che sia colpa dell’altra persona che non
ci apprezza o non ci ama abbastanza. Molti di noi
hanno la tendenza naturale a voler punire l’altro. Uno
dei modi in cui pensiamo di punire l’altra persona è
mostrandole che possiamo vivere senza di lei.
Molti di noi hanno fatto questo errore, e io stes-
so con gli altri. Ma poi si impara. Vogliamo mo-
strare all’altra persona che senza di lui o senza di
lei possiamo sopravvivere molto bene. È un modo
indiretto per dire: «Non ho bisogno di te», ma que-

74
4. I sei mantra della parola amorevole

sto non è vero: di fatto, quando soffriamo abbiamo


bisogno degli altri.
Quando soffriamo, dovremmo dire agli altri che
stiamo soffrendo e che abbiamo bisogno del loro aiu-
to. Di solito facciamo l’opposto: non vogliamo anda-
re a chiedere aiuto. Ecco perché abbiamo bisogno del
quarto mantra: «Sto soffrendo. Per favore, aiutami».
È così semplice, ed è anche in parte difficile, ma
se riuscirai a pronunciarlo, immediatamente soffri-
rai di meno: te lo garantisco. Perciò ti prego: scrivi
questa frase su un pezzo di carta delle dimensioni di
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una carta di credito e mettila nel portafoglio. È una


formula magica: «Sto soffrendo. Per favore, aiutami».
Se non pratichi questo mantra, forse ora starai te-
nendo il broncio; se gli altri notano che c’è qualcosa
che non va, che forse stai soffrendo, probabilmente
cercheranno di consolarti domandando: «Stai soffren-
do?». Se qualcuno ti rivolge questa domanda, potresti
essere portato a rispondere: «Soffrire? Perché dovrei
soffrire?». Tu sai che non è la verità: soffri profonda-
mente, eppure fingi che non sia così. Hai detto una
bugia per punire l’altra persona. Se lui o lei cerca di
venirti vicino e di metterti una mano sulla spalla, forse
avrai voglia di sbottare: «Lasciami in pace. Posso so-
pravvivere molto bene senza di te». Molti di noi com-
mettono questo tipo di errore, ma si può imparare.
Praticando il mantra, farai la cosa opposta: dovrai
ammettere di soffrire. Il mantra può essere anche un
po’ più lungo, se suona più adatto alla situazione:

75
L’arte di comunicare

«Soffro. Desidero che tu lo sappia. Non capisco per-


ché hai fatto o detto così. Perciò ti prego, spiegami.
Ho bisogno del tuo aiuto». Questo è vero amore.
Dire: «Non soffro. Non ho bisogno del tuo aiuto»
non è il linguaggio del vero amore.
La prossima volta che soffrirai, e penserai che sia
per colpa dell’altra persona e che sia lei la causa della
tua sofferenza, ricorda di prendere dal portafoglio il
pezzo di carta e di leggerlo, e saprai esattamente cosa
fare: praticare il quarto mantra.
Secondo la pratica che adottiamo al Plum Village,
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hai il diritto di soffrire per ventiquattr’ore, ma non di


più. C’è un termine massimo di ventiquattr’ore, e si
deve praticare il quarto mantra prima di questa sca-
denza. Hai il telefono, e hai il computer: sono sicuro
che quando riuscirai a scriverlo, soffrirai subito di
meno. Se non avrai la calma sufficiente a praticare il
quarto mantra entro ventiquattr’ore, potrai scriverlo
su un pezzo di carta e lasciarlo sulla scrivania dell’al-
tra persona oppure ovunque sia ben visibile.
Il mantra può essere ancora segmentato in tre fra-
si. La prima è: «Soffro e voglio che tu lo sappia». In
questo modo comunichi ciò che senti alla persona
cara. Ognuno di voi condivide con l’altro la propria
felicità, e dovrà fare altrettanto con la sofferenza.
La seconda frase è: «Sto facendo del mio meglio».
Significa: «Sto praticando la consapevolezza, e quan-
do mi arrabbio cercherò di non dire niente che possa
causare danno a me stesso o a te. Sto praticando il

76
4. I sei mantra della parola amorevole

respiro e la camminata consapevole, e sto guardando


la mia sofferenza in profondità per trovarne le radici.
Credo che tu abbia causato la mia sofferenza, ma so
che non dovrei averne troppa certezza. Sto cercando
di capire se la mia sofferenza deriva da una percezio-
ne erronea da parte mia. Forse non intendevi dire
ciò che hai detto. Forse non intendevi fare ciò che
hai fatto. Sto facendo del mio meglio per praticare
la visione profonda e per riconoscere la mia rabbia e
abbracciarla teneramente».
La seconda frase è un invito all’altra persona a fare
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altrettanto, a praticare come te. Quando l’altra perso-


na riceve il messaggio, forse dirà tra sé e sé: “Oh, non
sapevo che stesse soffrendo. Che cosa ho fatto o detto
per farla/farlo soffrire così?”. È un invito all’altra per-
sona affinché pratichi come te la visione profonda.
Se uno di voi individua la causa, dovrà comunicarlo
subito all’altro, e dovrà scusarsi per essere stato così
poco accorto, in modo che l’altro smetta di soffrire.
Così la seconda frase è un invito a entrambe le
parti a guardare in profondità, a essere consapevoli di
ciò che sta accadendo e a investigare la vera causa del-
la sofferenza. È un riconoscimento che l’altra persona
è umana, che ora sta facendo del suo meglio, e che
anche noi stiamo facendo tutto ciò che è possibile.
La terza frase è: «Per favore, aiutami», e ricono-
sce che non possiamo riuscire da soli a capire tut-
to: ognuno ha bisogno dell’altro. Si tratta forse della
parte più difficile. Le tre frasi insieme sono: «Soffro,

77
L’arte di comunicare

e voglio che tu lo sappia. Sto facendo del mio meglio.


Per favore, aiutami».

Il quinto mantra

Il quinto mantra è: «Questo è un momento felice». Po-


trai usarlo quando sei con una persona a cui vuoi bene.
Non si tratta di autosuggestione o di un pio desiderio,
poiché ci sono precise condizioni di felicità. Se non sia-
mo consapevoli, non le riconosceremo. Questo man-
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tra serve a ricordare a noi stessi e all’altra persona che


siamo molto fortunati, che ci sono tante condizioni di
felicità a nostra disposizione nel qui e ora. Possiamo
respirare con facilità. Ognuno ha l’altro. Abbiamo il
cielo azzurro e la solidità di tutta la Terra a sostenerci.
Stando seduto accanto all’altra persona, camminando
insieme a lei, forse avrai desiderio di pronunciare il
quinto mantra e di renderti conto di quanto siete felici.
Riuscire a riconoscere che questo momento è fe-
lice dipende dalla tua consapevolezza. Queste con-
dizioni di felicità sono più che sufficienti perché en-
trambi siate felici nel qui e ora. È la consapevolezza
che fa del presente un momento meraviglioso. Ognu-
no di noi può imparare come portare felicità nel qui
e ora con la propria pratica. Cosa stiamo aspettando
per essere felici? Perché dobbiamo aspettare? Con la
consapevolezza potrai riconoscere che è davvero pos-
sibile essere felici proprio qui e proprio ora.

78
4. I sei mantra della parola amorevole

Il sesto mantra
Il sesto mantra si usa quando qualcuno ti loda o ti
critica. Potrai usarlo allo stesso modo in entrambi i
casi. Il sesto mantra dice: «In parte hai ragione».
In me ho punti deboli e punti forti: se mi lodi,
non devo sentirmi troppo tronfio ignorando il fatto
che in me ci sono anche aspetti migliorabili. Quan-
do invece mi critichi, non devo smarrirmi e ignorare
le cose positive.
Quando vedi in una persona cose bellissime, ten-
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di a ignorare le cose che non lo sono altrettanto. Ma


come esseri umani noi tutti abbiamo aspetti positivi
e negativi. Perciò quando la persona che ami tesse
le tue lodi e ti dice che sei l’immagine stessa della
perfezione, potrai dirle: «In parte hai ragione, ma sai
che in me ci sono anche altre cose». In questo modo
conservi la tua umiltà. Non diventi vittima di un’il-
lusione altezzosa perché sai di non essere perfetto.
Questo è molto importante. Quando pronunci il se-
sto mantra conservi la tua umiltà.
Se l’altra persona ti critica, potrai risponderle:
«Cara/Caro, hai ragione solo in parte, perché in me
ci sono anche cose buone». Senza giudicare, potrai
analizzare a fondo in modo da riuscire a migliorare. Se
qualcuno ti giudica male, potrai rispondere: «Hai detto
qualcosa che è in parte giusto. Ma in me ci sono an-
che cose positive». Allo stesso modo, quando qualcuno
ti ammira, puoi ringraziarlo per l’apprezzamento, ma

79
L’arte di comunicare

gli farai anche notare che ciò che vede è soltanto una
parte di te, e che hai anche molti aspetti migliorabili.
«Hai detto qualcosa che è giusto solo in parte, perché
ho molti punti deboli che forse non hai ancora visto».
Se qualcuno dice: «Hai molti punti deboli», potrai ri-
spondere: «In parte hai ragione, ma ho anche punti
forti». Potrai rispondere così in silenzio, o dirlo con
garbo. «Ora vedi solo una parte di me, non l’insieme.
Ho anche altre cose in me che sono molto migliori».
Il sesto mantra è la verità: non si mente e non si
ricade nella falsa modestia. Lo si pronuncia a voce
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alta, o anche in silenzio, fra sé e sé. Dentro di te ci


sono tante qualità meravigliose e tanti difetti: devi
accettarli entrambi. Tuttavia, questa accettazione
non ti impedisce di sviluppare qualità positive e di
intervenire su quelle negative.
Possiamo usare lo stesso metodo quando guar-
diamo gli altri. Possiamo accettarli come accettiamo
noi stessi. Sappiamo che ciò che stanno esprimendo
è solo una parte di se stessi. Prima di giudicare qual-
cuno e di urlargli contro, e invece di dirgli che non
vale nulla, dobbiamo guardare più a fondo. Conosco
persone che sono molto sensibili: anche il minimo
giudizio le fa piangere e le rende profondamente
infelici. Forse anche tu conosci persone così. Dun-
que dovremo accettare noi stessi con tutte le nostre
debolezze, e avremo la pace. Non ci giudicheremo:
accetteremo. Ho queste qualità e questi difetti, ma
cercherò pian piano di migliorare, con i miei tempi.

80
4. I sei mantra della parola amorevole

Se puoi guardare a te stesso in questo modo, potrai


guardare così anche agli altri, senza giudicare.
Anche se questa persona ha molti punti deboli,
avrà altrettanti talenti, molti aspetti positivi. Nessuno
è privo di qualità positive. Perciò quando gli altri sba-
gliano a giudicarti, dovrai dire loro che in parte hanno
ragione, ma non hanno visto gli altri aspetti che ti ap-
partengono: hanno conosciuto solo una parte di te, e
non la totalità, perciò non devi essere per nulla infelice.

Possiamo usare i sei mantra per rendere più forte una


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relazione stretta. Recentemente la mia amica Elizabeth


mi ha confidato i diversi modi in cui ha fatto uso dei
mantra. Sua sorella ha un anno più di lei. Da bambine
erano sempre insieme, ma negli anni, soprattutto nel
periodo in cui sono diventate due giovani adulte, Eliza-
beth aveva preso l’abitudine di fare qualche ramanzina
alla sorella e di dirle come doveva comportarsi. Come si
può immaginare, a volte la sorella aveva forti reazioni.
Con la pratica della consapevolezza, Elizabeth
sosteneva di essere diventata più attenta a ciò che di-
ceva, e di aver compreso l’importanza di cambiare
questa abitudine. Quando faceva visita alla sorella,
aveva cominciato a praticare la sua versione del se-
condo mantra: «Sono davvero felice che tu sia qui».
Era entrata in contatto con un profondo senso di
gratitudine per la presenza della sorella nella sua vita,
e per il fatto che la sorella stesse facendo del suo me-
glio, e aveva dato voce a questo sentimento.

81
L’arte di comunicare

Elizabeth ha usato i mantra anche nel suo matri-


monio. All’inizio, quando suo marito diceva qual-
cosa che la feriva davvero, provava immediatamen-
te il desiderio di punirlo. Poi invece aveva provato
ad andare da lui e a usare la sua versione del quarto
mantra, domandandogli: «Mi hai detto una cosa che
davvero non ho capito. Che cosa intendevi dire?». A
quel punto il marito le parlava di ciò che sentiva, e la
maggior parte delle volte Elizabeth scopriva che quel
commento non la riguardava così da vicino. Spesso
si trattava di qualcosa di completamente diverso. Il
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mantra “apriva una porta” che le permetteva di “ve-


dere ciò che accadeva nel mondo di lui”.
A volte, Elizabeth diceva qualcosa al marito che
scatenava in lui una forte reazione, e lei a sua vol-
ta reagiva a quella reazione. Alla fine, aveva invece
imparato a praticare il terzo mantra – «So che stai
soffrendo: ecco perché sono qui per te» – domandan-
dogli: «È stato qualcosa che ho detto? Voglio davvero
capire cos’è successo. Scusami. Non è mia intenzione
dire o fare cose che ti feriscano. Se mi spieghi, potrò
capire l’effetto che le mie parole hanno su di te».
Elizabeth mi ha raccontato anche di un episodio
particolare durante il suo soggiorno a Plum Village.
Era nel giardino interno, e raccoglieva i petali delle
rose che stavano cominciando ad appassire per far-
ne una tisana. Era arrivato un giardiniere e l’aveva
rimproverata per aver colto fiori destinati a rallegra-
re tutti coloro che si intrattenevano nel giardino.

82
4. I sei mantra della parola amorevole

Elizabeth aveva risposto: «Non sto cogliendo quelli


freschi, solo quelli che stanno appassendo». Ma il
giardiniere non si era calmato. Elizabeth era anda-
ta a chiedere consiglio a una delle nostre monache,
perché sapeva che l’avrebbe aiutata a comprendere.
La sorella le aveva raccontato che poco tempo prima
altre persone avevano raccolto i fiori del giardino per
il consumo personale, e il giardiniere in questi casi
era molto suscettibile. «Elizabeth», le aveva detto,
«ti sei soltanto scontrata con la sua suscettibilità».
Sentito questo parere, Elizabeth era riuscita ad an-
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dare dal giardiniere e a praticare il terzo mantra.


Gli aveva detto: «Ora capisco meglio la situazione,
e non toccherò più i fiori del giardino, se preferi-
sce». Il giardiniere si stava preparando a partire per
la Germania, ed Elizabeth aveva praticato anche il
primo mantra: «Sono qui per te», promettendogli
che durante la sua assenza avrebbe innaffiato le rose
e ne avrebbe tagliato le bacche.
Un altro amico mi ha recentemente confidato che
durante il periodo del ritiro stava soffrendo molto.
Aveva scelto di praticare il quarto mantra – «Sto sof-
frendo, per favore aiutami» – rivelando ai suoi com-
pagni di stanza di non aver nulla da discutere con
loro, ma di avere solo bisogno di spazio. Questo aveva
permesso ai suoi compagni di stanza di comprendere
ciò che gli stava accadendo, di non prendere la cosa
in modo personale, e di essere più tolleranti quando
lui non riusciva a essere a loro disposizione quanto

83
L’arte di comunicare

avrebbero desiderato. Per i compagni era stato bene-


fico capire le sue esigenze, e per lui chiedere sostegno.
I sei mantra sono qualcosa che ognuno di noi può
praticare a casa, compresi i bambini, che così spesso si
sentono impotenti all’interno della famiglia. Ma con
la consapevolezza, la concentrazione e la pratica dei
sei mantra, anche i bambini hanno uno strumento.
Pronunciando un mantra con amore e in piena pre-
senza, un bambino può cambiare immediatamente
la situazione, anche se è molto tesa. Inoltre i genitori
hanno occasione di usare il linguaggio dell’amore in-
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vece di quello dell’autorità, quando comunicano con


i loro figli. Questo mantiene viva la comunicazione
fra genitori e figli. Quando in una famiglia manca
una vera comunicazione, ne soffrono sia i grandi che
i piccoli. La pratica dei sei mantra è un modo per
usare la parola amorevole e l’ascolto profondo e così
facendo mantenere aperta la porta della comunica-
zione. Con questo modo di comunicare ci compren-
deremo meglio l’un l’altro e il nostro amore sarà vero
perché sarà basato sulla comprensione.

Come portare la comunicazione


compassionevole nelle proprie relazioni

Quando riuscirai a usare i sei mantra con le persone


che ami, scoprirai che assieme state costruendo una
specie di casa. Ascoltando te stesso in modo compas-

84
4. I sei mantra della parola amorevole

sionevole, hai cominciato a tornare a casa, a te stesso.


Con la comunicazione compassionevole puoi aiutare
le persone care a tornare a casa, a se stessi. Anche i
tuoi cari stanno cercando una casa, un posto dove
trovare un po’ di calore e rifugio. Quando avrai una
casa tua, potrai aiutare l’altra persona. Sei fiducioso
perché sai come connetterti con te stesso e creare una
casa dove rifugiarti. La tua fiducia può ispirare gli
altri a fare lo stesso: potranno trovare una casa in te,
e poi partire da lì per costruirne una dentro di sé.
Non ti occorre un iPhone per raggiungere que-
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sto scopo. Ti bastano gli occhi, per guardare con


compassione, le orecchie e la bocca, per ascoltare in
modo compassionevole e parlare con consapevolezza.
Quando la persona che ami potrà tornare a se stessa,
la vostra relazione sarà veramente tale, perché entram-
bi vi sentirete a casa dentro di voi. Non avere paura
di offrire alle persone che ami lo spazio di cui han-
no bisogno per ascoltare se stessi. Se avrai abbastanza
spazio per ascoltare te stesso, quando vi incontrerete
troverete una casa da condividere l’uno nell’altro, ol-
tre che dentro di voi. Avrete una casa comune da con-
dividere, e questa diventerà la base di tutte le vostre
relazioni. Se vuoi aiutare la società, la tua comunità,
il tuo paese, devi avere una casa che ti faccia da base.
Quando avrai una vera casa dentro di te e nel posto
dove vivi, avrai felicità, sicurezza e appagamento: al-
lora sarai in grado di uscirne e aiutare a creare una
comunità più compassionevole e amorevole.

85
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Quando insorgono
5.
difficoltà

M olti di noi soffrono perché la comunicazione


con gli altri è difficile. Sul lavoro, ad esempio,
abbiamo spesso la sensazione di aver fatto il possibile,
e che ciononostante non ci sia modo di farsi capire dai
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propri colleghi. Anche nelle famiglie succede sovente.


Abbiamo la sensazione che i nostri genitori, fratelli o
figli siano troppo fossilizzati nelle loro abitudini: pen-
siamo che una vera comunicazione non sia possibile.
Eppure ci sono molti modi per mettersi d’accor-
do e creare un’apertura per una comunicazione più
compassionevole.

Comunicare quando si è arrabbiati

Uno dei motivi per cui abbiamo problemi di co-


municazione con gli altri è che spesso proviamo a
comunicare quando siamo in collera. Soffriamo, e
non vogliamo essere soli con tutta quella sofferen-
za. Siamo convinti di essere arrabbiati per qualcosa
che hanno fatto gli altri, e vogliamo che lo sappiano.
La rabbia ha in sé un carattere di urgenza: vogliamo

87
L’arte di comunicare

subito far sapere agli altri quale sia il problema che


hanno causato.
Tuttavia, quando siamo arrabbiati manchiamo di
lucidità. Agire in preda all’ira può condurre a mol-
ta sofferenza e aggravare la situazione. Questo non
significa che dobbiamo reprimere la collera: non è
il caso di fingere che tutto vada bene quando non è
così. È possibile avvertire la propria rabbia e inter-
venire su di essa in modo sano e compassionevole.
Quando c’è questo sentimento, dovremmo trattarlo
con tenerezza perché la nostra rabbia siamo noi. Non
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dobbiamo farle violenza: fare violenza alla nostra


rabbia equivale a fare violenza a noi stessi.
Il respiro consapevole ci aiuta a riconoscere la no-
stra rabbia e a trattarla con tenerezza. L’energia con-
sapevole abbraccia l’energia della rabbia. Quest’ul-
tima è un’energia forte, e a volte potrebbe essere
necessario mettersi seduti in sua compagnia per un
po’ di tempo. Quando cuoci le patate devi tenerle sul
fuoco per almeno quindici o venti minuti. La stessa
cosa vale per la pratica della consapevolezza, quando
abbraccia la rabbia: ci vorrà un po’ di tempo perché
la sua cottura sia completata.
Dopo aver praticato la presenza consapevole e
dopo aver placato la tua collera, potrai guardarla in
profondità per capirne la natura e l’origine. Qual è
la sua radice? La collera a volte deriva da una perce-
zione erronea o da un modo abituale di reagire agli
eventi che non riflette i nostri valori più profondi.

88
5. Quando insorgono difficoltà

Nella psicoterapia popolare, a volte siamo inco-


raggiati a esprimere fisicamente la rabbia e a “espel-
lerla dal sistema”. Ci consigliano di permettere alla
nostra collera di manifestarsi urlando in un luogo
appartato, oppure colpendo un sostituto inanimato,
come un cuscino.
Non trovo che questa pratica sia utile a trasfor-
mare le radici della rabbia. Pensa a una stufa a legna:
se non funziona bene, si potranno aprire le finestre
e far uscire il fumo. Ma se la stufa continua ad avere
quel difetto, il fumo si riformerà. Occorre ripararla.
Cristina Pocora - cristinapocora24@gmail.com

Urlare e prendere a pugni il cuscino può essere solo


un modo di mettere in scena e nutrire la rabbia e
renderla così più forte, anziché espellerla dal sistema.
Dovrai entrare davvero in contatto con la tua rab-
bia per poter guarire. Mentre colpisci il cuscino, non
stai davvero imparando a conoscere la tua collera in
modo da comprenderla meglio. Non stai neppure
entrando in contatto con il cuscino, perché se così
fosse sapresti che è solo un cuscino.
Reprimere la collera può essere pericoloso: se la si
ignora può esplodere. La rabbia, come tutte le emo-
zioni forti, vuole esprimersi. Dunque come gestirla?
La cosa migliore è andare a casa, tornare a noi stessi
e prendercene cura. Possiamo richiamare alla mente
il primo mantra ed esserci per noi stessi, e occuparci
della nostra rabbia. Torniamo a noi stessi e mettiamo
in connessione corpo e mente. Torniamo alla nostra
pratica del respiro e della camminata consapevole.

89
L’arte di comunicare

Essere presenti significa essere consapevoli e usare la


consapevolezza per riconoscere, abbracciare e guar-
dare in profondità le nostre emozioni forti.
Di solito, quando si manifesta la rabbia, vogliamo
affrontare la persona che riteniamo esserne la fonte.
Ci interessa di più chiarire le cose con l’altro, piut-
tosto che prenderci cura della questione più urgente,
che è la nostra stessa rabbia. Siamo come qualcuno
che ha la casa in fiamme e si mette a dare la caccia
al piromane invece di tornare indietro a estinguere
il fuoco. Nel frattempo, la casa continua a bruciare.
Cristina Pocora - cristinapocora24@gmail.com

Ci sono molte cose che si possono fare per comu-


nicare che stiamo soffrendo per qualcosa che qualcu-
no ha fatto. Gli si può scrivere un biglietto o invia-
re un’e-mail. Prima però dovrai praticare il respiro
consapevole e prenderti cura della tua rabbia. È il
momento perfetto per usare il quarto mantra: «Sto
soffrendo. Per favore, aiutami». Una volta che avrai
placato la tua ira, potrai telefonare all’altra persona,
ma solo quando le potrai dire con pacatezza che sof-
fri e hai bisogno di aiuto. Puoi far sapere all’altro che
stai facendo del tuo meglio per prenderti cura della
tua sofferenza, e puoi incoraggiare l’altro a fare lo
stesso. Chiedere aiuto quando si è in collera è molto
difficile, ma permette agli altri di vedere la tua soffe-
renza anziché solo la tua collera. L’altro comprenderà
che è la sofferenza a causare la rabbia, e poi potranno
avere inizio la comunicazione e la guarigione.

90
5. Quando insorgono difficoltà

Aiutarsi a soffrire meno


Quando abbiamo un contrasto o un allontanamento
da qualcuno che ci sta a cuore, entrambi ne soffriamo.
Se non ci importasse profondamente dell’altra persona,
il contrasto non sarebbe così doloroso. Sono le persone
di cui ci importa di più a scatenare la sofferenza più in-
tensa. Potremo forse convivere a lungo con questa frat-
tura, finché cominceremo a pensare che sia irreparabile.
Ma per tutto il tempo che si trova in noi, cer-
cheremo sempre di evitarla, di nasconderla, perché
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abbiamo paura di entrare in contatto con la nostra


sofferenza interiore. Possiamo fingere che non ci sia,
ma è davvero lì, come un grande blocco interiore.
La sofferenza dentro di noi ci chiede di essere com-
presa. Con la pratica quotidiana possiamo generare
sufficiente consapevolezza ed essere abbastanza forti da
tornare senza paura a casa, alla nostra sofferenza. La
consapevolezza ci aiuta a riconoscere la sofferenza inte-
riore e ad abbracciarla, compiendo così il primo passo.
Quando qualcuno ti ha inflitto un grande dolo-
re, probabilmente non vorrai neppure guardare quella
persona, o essere nella stessa stanza con lei, perché que-
sto ti farà soffrire. Con la consapevolezza, puoi com-
prendere la tua stessa sofferenza e riconoscere quella
dell’altro. Potrai persino capire che il motivo per cui
quella persona soffre tanto è che non sa come gestire
questo sentimento. La sua sofferenza trabocca, e tu ne
sei la vittima. Forse l’altro non intende causarti dolore,

91
L’arte di comunicare

ma non conosce un altro modo. Non riesce a capire e


a trasformare la sua sofferenza, e così fa soffrire anche
le persone che lo circondano, pur non avendone in-
tenzione. Poiché l’altro soffre, soffri anche tu. All’altro
non serve una punizione, bensì un aiuto.
Potrai aiutarlo riconoscendo la sofferenza dentro
di lui. Se in una relazione ci sono difficoltà, dobbia-
mo riconoscerle. Siamo tentati di dire che va tutto
bene, perché la difficoltà ci dà un senso di sopraffa-
zione, ma se non riconosciamo la difficoltà, non pos-
siamo generare la comprensione e la compassione, e
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ci sentiamo alienati. Non possiamo essere di aiuto.


Dovrai usare gli strumenti della comunicazio-
ne compassionevole, l’ascolto profondo e la parola
amorevole che hai praticato per ristabilire la comu-
nicazione con la persona con la quale stai vivendo un
momento di difficoltà. Dopo un breve periodo di re-
spirazione consapevole potrai dirle qualcosa di simile:

«So che in questo momento non sei molto


felice».

«Nel passato non capivo i tuoi sentimen-


ti, così ho reagito in un modo che ti ha
fatto soffrire ancora di più, e così facen-
do ho sofferto di più anch’io. Non sono
riuscito ad aiutarti a risolvere il problema.
Ho reagito con rabbia e così ho aggravato
la situazione».

92
5. Quando insorgono difficoltà

«Non è mia intenzione farti soffrire. È


perché non capivo la tua sofferenza, e
neppure la mia».

«Ora capisco meglio i miei sentimenti dif-


ficili, e voglio capire anche i tuoi. Com-
prendere la tua sofferenza, le tue difficol-
tà, mi aiuterà a comportarmi in un modo
che può essere più utile».

«Se ci tieni a me, aiutami a capire».


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«Dimmi cosa c’è nel tuo cuore. Voglio


ascoltare. Parlami della tua sofferenza e
delle tue difficoltà. Se non mi aiuti tu a ca-
pire, chi ci riuscirà?».

Si tratta soltanto di esempi. È importante che le


parole siano le tue. Se avrai nel cuore l’energia della
compassione, le parole amorevoli che solo tu puoi
dire ti verranno spontanee. Quando sei molto ar-
rabbiato con qualcuno, nella foga del momento è
quasi impossibile usare la parola amorevole. Tutta-
via, quando nasce la comprensione, insorge anche la
compassione, ed è possibile usare la parola amorevole
senza dover fare grandi sforzi. Un medico che non
capisce la natura della malattia non può essere d’a-
iuto al paziente. Uno psicoterapeuta che non capisce
la sofferenza del paziente non può aiutarlo. La parola

93
L’arte di comunicare

amorevole può aprire la porta, e poi avrai un’oppor-


tunità di praticare l’ascolto profondo e di aiutare l’al-
tra persona a risanare la relazione.
Ci vuole coraggio per riconoscere la difficoltà in
una relazione. Forse penserai di aspettare finché l’altro
verrà per primo da te, ma questo potrebbe non acca-
dere. Non puoi aspettare. Potrai cominciare la pratica
di ristabilire la comunicazione formulando un dialo-
go sincero e compassionevole. Forse sarà necessario
che tu ti dia una scadenza per iniziare. A chi viene a
trascorrere da noi un ritiro di una settimana di solito
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indico come scadenza per l’inizio della riconciliazione


l’ultima sera del ritiro. Se stai davvero praticando, gli
altri lo vedranno e ne saranno toccati. Forse non riu-
sciranno a dimostrarlo immediatamente, ma ciò che
dirai e lo sguardo che avrai produrranno un effetto.

La sofferenza dell’orgoglio

In Vietnam c’è una storia molto conosciuta che rac-


conta di una coppia che soffrì molto profondamente
perché non fu in grado di praticare la comunicazione
consapevole. Il marito partì per la guerra e lasciò a
casa la moglie incinta. Tre anni dopo, quando l’uo-
mo fu congedato dall’esercito, la moglie si recò alla
porta del villaggio per dargli il benvenuto portando
con sé il loro bambino. Era la prima volta che il pa-
dre lo vedeva. Quando i due si videro, non riusciro-

94
5. Quando insorgono difficoltà

no a trattenere le lacrime di gioia: erano così grati


che il giovane fosse sopravvissuto e tornato a casa.
Una tradizione vietnamita vuole che quando acca-
de un evento importante si faccia un’offerta sull’altare
agli antenati e si racconti loro quanto è successo. La
moglie andò al mercato a comprare fiori, frutta e altre
provviste per un’offerta da presentare sull’altare. Il pa-
dre rimase a casa con il figlio e cercò di convincere il
bambino a chiamarlo “papà”. Ma il piccolo si rifiutava.
Gli disse: «Signore, lei non è il mio papà. Il mio
papà è un altro. Veniva a trovarci ogni sera. Ogni
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volta che veniva, mia madre gli parlava a lungo e


piangeva di continuo. Quando mia madre si sede-
va, l’uomo si sedeva. Quando mia madre si coricava,
anche lui si coricava. Lei non è mio padre». Udendo
queste parole, il cuore del giovane padre divenne di
pietra. Non riuscì più a sorridere e si fece silenzioso.
Quando la moglie tornò, l’uomo non la guardò,
né le rivolse più la parola. Era molto freddo e si com-
portava come se la disprezzasse. Lei non ne compren-
deva il motivo e cominciò a soffrire profondamente.
Dopo la cerimonia dell’offerta agli antenati, è tra-
dizione prendere i cibi deposti sull’altare e mettersi a
tavola con la famiglia per consumare il pasto con gio-
ia. Ma dopo aver presentato l’offerta, il giovane non
fece altrettanto. Uscì di casa, si recò al villaggio e passò
il suo tempo alla taverna. Si ubriacò perché non po-
teva sopportare tutta quella sofferenza. Quando tornò
a casa, era molto tardi. La stessa cosa si ripeté ogni

95
L’arte di comunicare

sera. Non diceva mai nulla alla moglie, né le rivolgeva


mai uno sguardo o si fermava a casa per mangiare. La
giovane donna soffriva tanto da non riuscire a soppor-
tarlo, e il quarto giorno si gettò nel fiume e annegò.
La sera dopo il funerale, il giovane padre e il
bambino tornarono a casa. Quando l’uomo accese
la lampada a cherosene, il piccolo esclamò: «Ecco chi
è mio padre!», e indicò l’ombra del padre sul muro.
Fu così che saltò fuori che ogni sera la giovane don-
na parlava con la propria ombra perché il marito le
mancava tanto. Un giorno il bambino le aveva detto:
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«Tutti i bambini del villaggio hanno un padre: per-


ché sono l’unico a non averne uno?». Per calmarlo,
quella sera la madre gli aveva indicato l’ombra sul
muro, dicendo: «Ecco tuo padre!». Naturalmente
quando lei si sedeva, si sedeva anche l’ombra. Ora il
padre aveva compreso: la sua percezione erronea era
stata cancellata, ma era troppo tardi.
Che cosa sarebbe accaduto se il giovane fosse an-
dato dalla moglie e le avesse detto: «Cara, ho sofferto
tanto in questi ultimi giorni. Non penso che potrò
sopravvivere. Per favore, aiutami. Ti prego, dimmi
chi è la persona che veniva ogni sera, e con cui tu
parlavi e piangevi?». È una cosa molto semplice da
farsi. Se avesse fatto così, la giovane donna avrebbe
avuto occasione di spiegare, la tragedia sarebbe stata
evitata, e i due sposi avrebbero ritrovato la loro feli-
cità assai facilmente. Questo sarebbe stato il modo
diretto di risolvere questa situazione, eppure l’uomo

96
5. Quando insorgono difficoltà

non è riuscito ad agire in questo modo perché era


così profondamente ferito, e il suo orgoglio gli aveva
impedito di rivolgersi a lei e di chiederle aiuto.
Anche la donna soffriva intensamente: era profon-
damente ferita dal comportamento del marito, eppure
non gli aveva chiesto aiuto. Forse se gli avesse doman-
dato quale fosse il motivo della sua tristezza, lui le
avrebbe riferito le parole del figlio. Ma non si decise a
farlo, perché anche lei era prigioniera del suo orgoglio.
Una percezione erronea può essere causa di gran-
de sofferenza. Tutti noi siamo soggetti a malintesi:
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conviviamo ogni giorno con le nostre percezioni er-


ronee. Ecco perché dobbiamo praticare la meditazio-
ne e guardare in profondità nella natura delle nostre
percezioni. Qualunque cosa percepiamo, dobbiamo
domandarci: «Sei sicuro che le tue percezioni siano
giuste?». Per sicurezza, occorre chiederselo ogni volta.
Nella nostra vita quotidiana siamo spesso inclini alle
percezioni erronee. È possibile che l’altra persona non
avesse intenzione di ferirci. La comunicazione consape-
vole ha il potenziale di alleviare gran parte dell’inutile
sofferenza che proviamo nelle nostre relazioni.

Riconciliarsi in famiglia

A volte la comunicazione è più difficile all’interno


della nostra stessa famiglia perché i familiari condi-
vidono modi simili di soffrire e di reagire alla sof-

97
L’arte di comunicare

ferenza. La sofferenza dei tuoi genitori è stata loro


trasmessa dai loro genitori e prima ancora dai loro
antenati. Se non comincerai a comprendere la tua
sofferenza e a riconciliarti con te stesso, quella soffe-
renza continuerà a essere trasmessa alle generazioni
future. Perciò praticheremo la comunicazione con-
sapevole non solo per noi stessi e i nostri cari, ma
anche per i nostri discendenti.
Comprendendo la tua sofferenza, comprenderai
anche quella di tuo padre. Forse lui ha sofferto intensa-
mente e non è riuscito a gestire e a trasformare la soffe-
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renza, perciò ha trasmesso a te il suo intero fardello di


dolore: hai ereditato la sofferenza da lui e da tua madre.
Quando siamo ancora giovani, siamo spesso deter-
minati a essere diversi dai nostri genitori. Diciamo che
non faremo mai soffrire i nostri figli. Tuttavia, quan-
do cresciamo, tendiamo a comportarci proprio come
loro e facciamo soffrire gli altri perché, come i nostri
antenati, non sappiamo come gestire le energie che
abbiamo ereditato. Abbiamo ricevuto molti semi po-
sitivi e negativi dai nostri genitori e antenati: ci hanno
trasmesso la loro abitudine perché non sapevano come
trasformarla. A volte le energie di questa abitudine
vengono tramandate di generazione in generazione.
Devi riconoscere di essere la continuazione di
tuo padre, di tua madre e dei tuoi antenati. Coltiva
la consapevolezza, così da poter riconoscere l’ener-
gia dell’abitudine ogni volta che nasce, e da poterla
abbracciare con la tua energia della consapevolezza.

98
5. Quando insorgono difficoltà

Ogni volta che riuscirai a fare questo, l’energia dell’a-


bitudine si indebolirà. Se continueremo a praticare
in questo modo, potremo fermare il ciclo della tra-
smissione, e così facendo non daremo beneficio solo
a noi stessi, ma anche ai nostri figli e ai nostri discen-
denti. Potremo anche aiutare i nostri figli a imparare
a gestire le energie dell’abitudine e a nutrire gli ele-
menti positivi che hanno dentro di sé.
La sofferenza che abbiamo ricevuto dai nostri geni-
tori quando eravamo bambini è probabilmente quella
più profonda. Forse siamo arrivati a odiare i nostri ge-
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nitori e pensiamo che non potremo mai riconciliarci


con loro, che siano ancora in vita o no. Tuttavia, con
la nostra pratica del respiro, della camminata consape-
vole e del guardare in profondità, possiamo realizzare
la trasformazione e ristabilire la comunicazione anche
nelle famiglie più difficili. Se anche l’altra persona
pratica la consapevolezza, il compito ci risulterà molto
più facile, ma la riconciliazione è possibile anche se
l’altro non è introdotto alla pratica.
Le relazioni con i genitori e i fratelli possono es-
sere particolarmente difficili. Forse durante l’infan-
zia è stata loro inferta una ferita profonda e nessuno
li ascoltava, perciò ora stanno perpetuando il ciclo,
e non vogliono ascoltare nessuno. Non chiedere ai
componenti della tua famiglia di cambiare. Se saprai
generare dentro di te l’energia della comprensione e
della compassione, la riconciliazione può cominciare
ad aver luogo.

99
L’arte di comunicare

Ricordo ancora un ritiro a Oldenburg, nella Ger-


mania del Nord. Il quarto giorno diedi a tutti i parte-
cipanti la scadenza della mezzanotte per cominciare
a riconciliarsi con qualcuno con cui stavano attra-
versando un periodo di grande difficoltà. Il mattino
successivo, venne da me un uomo e mi disse: «Sono
anni che sono molto arrabbiato con mio padre. Non
riuscivo neppure a guardarlo. Anche ieri sera, mentre
componevo il suo numero di telefono, non credevo
che sarei riuscito a parlargli in modo calmo». Tutta-
via, quando l’uomo aveva udito la voce del padre,
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aveva scoperto che la parola amorevole gli veniva


spontanea: non era necessario alcuno sforzo.
Gli aveva detto: «So che hai sofferto molto in
tutti questi anni. Mi dispiace: scusami. So di avere
agito e parlato in un modo che non migliorava le
cose. Non volevo farti soffrire». Il padre aveva sentito
la compassione nella voce del figlio e per la prima
volta gli aveva parlato della propria sofferenza e delle
proprie difficoltà.
La riconciliazione è possibile. Puoi trovare la so-
luzione alle difficoltà nelle tue relazioni. Non devi
permettere alle difficoltà di continuare a causarti sof-
ferenze mese dopo mese e anno dopo anno.
Il primo passo è praticare il respiro e la cammina-
ta consapevole e la consapevolezza nelle attività quo-
tidiane, in modo da essere abbastanza forte da tor-
nare a te stesso, ascoltare la tua sofferenza e guardare
in profondità nella sua natura. Se non ascoltiamo la

100
5. Quando insorgono difficoltà

nostra sofferenza, non c’è possibilità di migliorare la


qualità delle nostre relazioni. Con la consapevolez-
za nasce la compassione, e potrai accettare te stesso.
Poi avrai la possibilità di guardare agli altri: anche se
non sono con te, potrai metterti a sedere tranquillo,
chiudere gli occhi e vedere quanto hanno sofferto per
tanti anni. Quando potrai vedere la sofferenza negli
altri, comincerai a comprendere che c’è un motivo
per cui soffrono così, e non sarai più in collera con
loro. Nel tuo cuore nascerà la compassione. Quando
c’è compassione, siamo più in pace, la nostra mente
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è più limpida e siamo motivati a dire o fare qualcosa


per aiutare gli altri a trasformare le loro difficoltà. La
riconciliazione diventa possibile.

Comunicare nelle relazioni


di lunga durata

Nelle relazioni di lunga durata, come in quelle fami-


liari, spesso ci convinciamo che il cambiamento non
sia possibile. Pensiamo che l’altra persona dovrebbe
cambiare e che non lo farà, e così perdiamo la spe-
ranza. Ma dobbiamo smettere di giudicare, e tornare
alla nostra comunicazione interna. Se aspettiamo che
i nostri genitori o il nostro partner cambino, potrebbe
essere necessario moltissimo tempo. Se aspettiamo che
sia l’altro a cambiare, potremmo trascorrere una vita
intera nell’attesa. Perciò è meglio che sia tu a cambiare

101
L’arte di comunicare

te stesso. Non cercare di costringere l’altro a cambiare.


Anche se ti richiederà tanto tempo, ti sentirai meglio
quando sarai padrone di te stesso e farai del tuo meglio.
A volte quando vedi il tuo partner comportarsi in
un modo che ti irrita, potresti aver voglia di rimpro-
verarlo. Se provi subito a correggerlo, lui potrebbe
irritarsi, e a quel punto entrambi sarete irritati e di-
venterete sgarbati. È come se scomparissero l’azzurro
del cielo e il verde degli alberi, e voi foste diventa-
ti due blocchi di sofferenza che si scontrano l’uno
contro l’altro. È l’escalation della guerra, l’escalation
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dell’infelicità. Devi riuscire a svincolarti dall’infeli-


cità e tornare a te stesso, alla tua pace, finché saprai
come gestire la situazione in modo amorevole.
Poi, solo quando avrai recuperato la calma, invi-
terai il tuo partner a parlare. Potrai dirgli che ti di-
spiace di non averlo compreso meglio. Gli rivolgerai
queste parole solo quando sarai pronto. Poi ascoltalo
in profondità, anche se ciò che dirà è pieno di accuse
e recriminazioni, o non è molto gentile. Forse potrai
renderti conto che il tuo partner ha molte percezioni
erronee sul tuo conto e sulla situazione, ma cerca di
non interromperlo. Lascialo parlare. Lascia che abbia
occasione di dire tutto fino in fondo, di sentirsi ascol-
tato e compreso. Mentre il tuo partner parla, conti-
nua a respirare in modo consapevole. In un secondo
momento potrai trovare la maniera di sciogliere i
suoi fraintendimenti, poco per volta, in modo abile e
amorevole, e la comprensione reciproca crescerà.

102
5. Quando insorgono difficoltà

Se il tuo partner dirà qualcosa che non corrispon-


de al vero, non interromperlo dicendo: «No, no, hai
torto. Non era questa la mia intenzione». Lascia che
dica tutto ciò che deve dire: sta solo cercando di ri-
velarti le sue difficoltà. Se lo interrompi perderà l’i-
spirazione a parlare e non ti racconterà tutto. Hai
tutto il tempo che vuoi a disposizione. Potrai persino
prenderti qualche giorno per guardare in profondità,
in modo da spiegargli abilmente la sua percezione
erronea, quando sarà in grado di ascoltare. Può essere
che siate arrabbiati l’uno con l’altro da anni, e che
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forse a causa di una sola circostanza, continuiate a


essere bloccati e non riusciate a cambiare la situazio-
ne. Se riuscirai a comprendere profondamente l’altra
persona, potrai cominciare a fare la pace. La parola
amorevole e compassionevole e l’ascolto profondo
sono gli strumenti più potenti per ristabilire la co-
municazione. Se riesci a comprendere e a trasformare
te stesso, potrai aiutare il tuo partner.
A volte siamo in un ambiente negativo che non ci
lascia lo spazio per comunicare con noi stessi, e a vol-
te sarà necessario cambiare l’ambiente intorno a noi.
Ma in una relazione talvolta ci rendiamo conto che
la separazione o il divorzio sono l’unica alternativa:
questo capita quando siamo in una situazione di vio-
lenza o di abuso. È importante che noi tutti siamo in
un luogo in cui ci sentiamo sicuri e non vulnerabili.
Ma se sei in una situazione in cui l’uno ama l’altro e
non c’è intenzione di farsi deliberatamente del male,

103
L’arte di comunicare

ma solo incapacità di comunicare, allora potrebbero


esserci altre soluzioni. Molti pensano che il divor-
zio sia la via giusta, ma una volta firmate le carte,
continuano a soffrire. Se ci sono figli, o questioni
finanziarie o di altra natura che vi legano, dovrete
continuare ad avere a che fare l’uno con l’altro negli
anni a venire. Non riuscirai a toglierti l’altra persona
dal cuore, né potrai uscire dal suo. La sofferenza con-
tinua. Perciò la questione non è se resterete insieme
o no, ma se siete disposti a impegnarvi per cercare
di capire l’altro usando la parola compassionevole e
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l’ascolto profondo, indipendentemente dal risultato.

Comprensione reciproca
in situazioni impegnative

La comunicazione compassionevole è un modo stra-


ordinariamente potente di creare la comprensione
reciproca e attuare il cambiamento. Può essere usata
in situazioni in cui molti considerano impossibile
ogni connessione e comunicazione. Può trasforma-
re situazioni in cui entrambe le parti sono piene di
paura e di rabbia.
Ho assistito a questo quando a Plum Village ab-
biamo ospitato un gruppo di israeliani e palestinesi.
I primi giorni di un ritiro di questo tipo sono sempre
molto difficili. All’inizio entrambi i gruppi sono pie-
ni di paura, rabbia e diffidenza: non si guardano nep-

104
5. Quando insorgono difficoltà

pure l’un l’altro, sono troppo sospettosi. Non sono a


proprio agio quando si guardano, perché hanno sof-
ferto molto, e ciascuna parte crede che la propria sof-
ferenza sia stata provocata dall’altra. Nel corso della
prima settimana ci concentriamo solo sulla comuni-
cazione con noi stessi. Entrambi i gruppi praticano e
si esercitano nel respiro consapevole, nel non-pensie-
ro e nell’ascolto profondo di se stessi.
Solo nella seconda settimana incoraggiamo le
pratiche della comunicazione compassionevole con-
sistenti nell’ascolto profondo e nella reciproca parola
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amorevole. Il gruppo che parla è incoraggiato a usare


un tipo di linguaggio che aiuti gli altri a comprende-
re la sofferenza passata, che si tratti di bambini o di
adulti. Ogni gruppo parla all’altro di tutte le espe-
rienze passate, ma lo fa utilizzando la parola amorevo-
le e cercando di evitare le accuse o le recriminazioni.
Consigliamo al gruppo che ascolta di farlo con
compassione. Se si individua una percezione erronea,
non si deve cercare di interrompere e correggere, perché
in seguito si avrà tantissimo tempo a disposizione per
aiutare l’altro gruppo a correggere le proprie percezio-
ni. Quando un gruppo ascolta profondamente l’altro,
ognuno riconosce, forse per la prima volta, che l’altra
parte ha sofferto tantissimo, e che la sofferenza dell’al-
tro gruppo è molto simile alla propria, anche se le cir-
costanze sono differenti. Per molti è la prima volta che
riconoscono negli altri degli esseri umani proprio come
loro, che hanno sofferto esattamente allo stesso modo.

105
L’arte di comunicare

Quando comprenderai la sofferenza degli altri,


proverai compassione per loro, e improvvisamente
non li odierai più, né ti infonderanno più paura. Il
tuo modo di considerarli sarà cambiato. Loro ve-
dranno nei tuoi occhi la compassione e l’accettazio-
ne, e immediatamente soffriranno di meno.
Queste sessioni di ascolto profondo sono organiz-
zate in modo tale che tutti abbiano tempo sufficiente
per ascoltare e parlare della propria sofferenza. Quelli
di noi che erano stati presenti alle sessioni non erano
né palestinesi, né israeliani: eravamo monaci e mona-
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che e praticanti laici che si erano aggregati per stare


seduti e respirare con loro, sostenendo la loro pratica.
Praticavamo il respiro consapevole e offrivamo l’e-
nergia collettiva della pace e della consapevolezza, in
modo che tutti potessero praticare l’ascolto compas-
sionevole. La nostra presenza al fianco dei due gruppi
era molto importante: insieme creavamo un’energia
collettiva che favoriva la parola consapevole.
Ritengo che si possa organizzare la stessa prati-
ca per se stessi o per qualsiasi gruppo diviso in due
parti opposte. A volte gli induisti hanno paura dei
musulmani, e al tempo stesso i musulmani hanno
paura degli induisti. In altre situazioni, i musulmani
hanno paura dei cristiani e i cristiani dei musulmani.
Pensiamo all’altro gruppo come a una minaccia per
la nostra sopravvivenza e per la nostra identità.
La prima cosa da fare è guardare in profondità e
capire che non solo dalla tua parte, ma anche dall’al-

106
5. Quando insorgono difficoltà

tra c’è tanta paura e sofferenza. All’inizio pensiamo di


essere i soli a soffrire e a essere pieni di paura. Ma se
andiamo abbastanza vicini all’altra parte e osserviamo,
capiremo che anche gli altri sono pieni di paura – pau-
ra di noi – e anche di sofferenza. Quando riusciremo
a vedere la loro sofferenza e la loro paura, già soffrire-
mo di meno. Quando saremo in grado di produrre un
pensiero compassionevole, questo pensiero comincerà
a guarirci, a guarire l’altro e a guarire il mondo.
Cristina Pocora - cristinapocora24@gmail.com

Negoziati di pace

Penso che se i funzionari governativi organizzassero


negoziati di pace nel modo in cui noi organizziamo
le sessioni di ascolto profondo e parola amorevole,
avrebbero più successo nel far riconciliare le parti op-
poste. Quando due parti opposte si incontrano per
negoziare, non dovrebbero iniziare immediatamen-
te le trattative. Ogni gruppo cova in sé tanti dubbi,
tanta rabbia e paura, e negoziare può essere troppo
impegnativo in presenza di queste forti emozioni.
La prima parte di qualunque iniziativa di pace do-
vrebbe essere dedicata alla pratica della respirazione,
della camminata, della meditazione da seduti e della
calma. Poi forse i gruppi saranno pronti per ascol-
tarsi a vicenda, e il desiderio e la capacità di mutua
comprensione fungeranno da base per la buona con-
clusione dei negoziati.

107
L’arte di comunicare

Se durante la sessione di negoziazione l’atmosfera


si scalda troppo e la tensione è troppo forte, la per-
sona incaricata di presiedere dovrebbe invitare tutti
a fermarsi e a inspirare ed espirare per calmarsi. An-
che se in quel momento qualcuno stesse facendo un
intervento rivolto al gruppo, tutti dovrebbero inter-
rompersi per inspirare ed espirare insieme.
Durante il mio discorso in una riunione dei rap-
presentanti del Congresso a Washington, proposi
un procedimento simile. Al termine della sessione,
offrimmo un ritiro a un gruppo di rappresentanti
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e praticammo insieme la consapevolezza. Questo è


successo diversi anni fa, eppure ancora oggi alcuni
membri del Congresso praticano la camminata con-
sapevole sulla Capitol Hill. Portare la comunicazione
compassionevole e la parola amorevole nella vita po-
litica è una cosa possibile e di grande beneficio.
Non c’è un solo luogo in cui l’ascolto profon-
do e la parola amorevole non siano adeguati. Non
dobbiamo tenere in serbo queste tecniche per le oc-
casioni speciali: possono essere adattate a qualsiasi
situazione, ed essere di grande utilità. Se le usiamo
ora, avremo la comprensione e la visione profonda
di cui abbiamo bisogno per riparare i danni che ab-
biamo causato nel passato e per portare guarigione a
noi stessi, alle nostre famiglie, alle nostre relazioni e
alle nostre comunità.

108
Comunicazione
6. consapevole
sul lavoro

U na comunicazione efficace sul posto di lavoro co-


mincia prima ancora di arrivare sul luogo. Spesso,
durante il tragitto – mentre guidiamo l’automobile,
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prendiamo il treno o l’autobus o camminiamo – con-


centriamo la nostra attenzione su ciò che dovremo fare
quando arriveremo, o su qualcosa che non abbiamo
terminato di fare prima di uscire di casa.
Se invece portiamo la nostra consapevolezza al re-
spiro consapevole e a quanto sta accadendo in quel
preciso momento, potremo godere di ogni minuto
del nostro percorso verso il luogo di lavoro. Prima di
cominciare uno dei miei insegnamenti, non passo il
tempo a preoccuparmi delle domande che il pubbli-
co mi potrebbe fare o delle risposte che potrei dare.
Piuttosto, mentre cammino dalla mia stanza al luogo
dove insegno, godo pienamente di ogni passo e di
ogni respiro, e vivo profondamente ogni momento
della mia camminata. In questo modo, quando ar-
rivo, mi sento pieno di energia e pronto a lavorare.
Potrò offrire la mia risposta migliore a qualsiasi do-
manda mi verrà posta.

109
L’arte di comunicare

Se arrivi sul luogo di lavoro avendo già praticato


la consapevolezza mentre ti prepari a casa e mentre
compi il tragitto, arriverai più felice e rilassato di
quanto ti accadesse in passato, e ti sarà molto più
facile comunicare con successo.
Il modo in cui consideri il tuo lavoro e le tue re-
lazioni professionali si riflette nella tua maniera di
comunicare nell’ambiente di lavoro. Forse sei sog-
getto all’impressione che lo scopo del tuo lavoro sia
offrire un servizio agli altri o produrre un oggetto o
un bene, ma mentre lavori produci anche pensieri,
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parole e azioni. La comunicazione è parte del tuo la-


voro quanto il prodotto finale: se comunichi bene
nel tuo ambiente professionale, non solo ti divertirai
di più, ma creerai un’atmosfera armoniosa che trasfe-
rirai anche in ciò che fai. Ogni cosa che farai avrà un
elemento più forte di compassione e sarà di maggior
beneficio a un numero più grande di persone.

Dare l’esempio

In India, alcuni anni fa, incontrai K.R. Narayanan


all’epoca in cui era presidente del Parlamento india-
no. Parlammo dell’impiego della pratica dell’ascolto
profondo e del dialogo compassionevole all’interno
degli organi legislativi. Io dissi che qualunque am-
biente di lavoro, compresa un’assemblea legislativa,
poteva diventare una comunità animata da compren-

110
6. Comunicazione consapevole sul lavoro

sione e compassione reciproche. Se riusciremo a cre-


are una comunità di lavoro sana e in grado di nutrire
i suoi membri, potremo plasmare il tipo di ambiente
che intendiamo realizzare nel mondo.
Quando in un ambiente di lavoro si usa la parola
consapevole e compassionevole, si offre il meglio di
se stessi. Se riusciremo a combinare le nostre visioni
profonde e le nostre esperienze, la visione profonda
collettiva produrrà le decisioni più sagge. Se non sia-
mo in grado di ascoltare i nostri colleghi con il cuo-
re libero, se consideriamo e sosteniamo solo le idee
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che già conosciamo e approviamo, danneggiamo il


nostro ambiente di lavoro. Qualunque sia la tua po-
sizione sul posto di lavoro, potrai dare l’esempio im-
parando ad ascoltare chiunque con lo stesso interesse
e la stessa partecipazione.
Molti luoghi di lavoro sono caratterizzati da co-
stante stress: dobbiamo allestirvi degli spazi per la
pratica del respiro consapevole. Il respiro consape-
vole è il primo passo verso la comunicazione con-
sapevole perché ci permette di rilassare il corpo e la
mente. Dobbiamo essere rilassati e sentirci bene per
poter prendere le migliori decisioni possibili. Quan-
do creiamo il rilassamento sul posto di lavoro, stiamo
già comunicando in modo efficace.
Narayan e io parlammo di portare la pratica del
respiro consapevole nel Parlamento indiano come
metodo per ridurre lo stress. Se lo si può fare nell’as-
semblea legislativa, forse lo potrai fare anche nel tuo

111
L’arte di comunicare

ambiente di lavoro. Riesci a riunire i tuoi colleghi e


a convincerli a praticare il respiro consapevole o a
far sì che trovino il tempo per questa pratica prima
di ogni riunione, in modo che tutti siano in grado
di comunicare in modo più efficace e senza stress?
Se non riesci a organizzare gli altri, anche il tuo solo
respiro consapevole farà fluire meglio la comunica-
zione professionale fra voi. A volte la comunicazione
sul posto di lavoro può sembrare davvero difficile,
ma un solo respiro consapevole già comincia a ren-
derla più facile.
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Salutare i colleghi

Qual è la prima cosa da fare appena si arriva sul


posto di lavoro? Di solito sorridi alle persone che
vedi? Le saluti? I primissimi minuti sono decisivi
per stabilire il tono della tua giornata lavorativa.
Forse avrai la sensazione di avere troppi pensieri per
la testa. Forse sarai ancora immerso in un litigio, o
in qualcosa di impegnativo che è capitato prima di
arrivare. Tuttavia, se recandoti al lavoro hai dedica-
to tutto il tempo a respirare in modo consapevole
e a essere nel momento presente, vi arriverai con la
mente limpida e potrai salutare le persone con un
sorriso caldo e aperto: fa parte del tuo lavoro, qua-
lunque sia la tua professione.

112
6. Comunicazione consapevole sul lavoro

Rispondere al telefono
Sul lavoro, molti di noi comunicano non solo con le
persone che li circondano, ma anche per posta elet-
tronica, per telefono o in videoconferenza. Alcuni di
noi lavorano principalmente con persone che non si
trovano nello stesso spazio fisico e nemmeno nello
stesso fuso orario o nello stesso Paese. Anche in que-
sto caso, si può trasformare ogni conversazione telefo-
nica o messaggio di posta elettronica in un’opportu-
nità per praticare la comunicazione compassionevole.
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Ogni volta che il telefono suona, potrai considerarlo


una campana della consapevolezza e interrompere
qualunque cosa tu stia facendo. Invece di precipitarti
a rispondere, potrai inspirare ed espirare tre volte in
modo consapevole prima di sollevare il ricevitore, per
essere certo di essere davvero presente per chiunque
stia telefonando. Riconosci ogni sensazione di stress o
irritazione che potrai avvertire, o ogni impressione di
essere stato interrotto. Mentre respiri, potrai mettere
la mano sul ricevitore per far capire ai tuoi colleghi
che intendi prendere la chiamata, ma che semplice-
mente non hai fretta. Questo li aiuterà a ricordare che
non devono sentirsi vittime del telefono.
Potrai utilizzare la stessa pratica prima di leggere
un’e-mail. Quando lavoriamo, spesso passiamo da
un messaggio di posta elettronica all’altro senza pri-
ma praticare il respiro consapevole e senza accertarci
di essere davvero presenti per qualunque cosa il mes-

113
L’arte di comunicare

saggio abbia da dire. Se, prima di aprire un’e-mail,


aspetteremo di aver fatto qualche respiro consapevo-
le e di essere tornati pienamente presenti, è vero che
ci occorrerà un po’ più di tempo per leggere i messag-
gi, e che il nostro ritmo di lavoro potrà essere un po’
più lento, ma la nostra comunicazione sarà con ogni
messaggio più efficace, più chiara e comprensiva.
Se intendi inviare un messaggio di posta elettro-
nica o telefonare a qualcuno, prima di cominciare
a scrivere o a formare il numero, potrai recitare a te
stesso questi versi:
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Le parole possono percorrere migliaia e


migliaia di chilometri.
Possano le mie parole creare comprensio-
ne reciproca e amore.
Possano essere belle come pietre prezio-
se, delicate come fiori.

Riunioni consapevoli
La nostra comunicazione nelle riunioni può essere
spesso fonte di tensione, stress e conflitti sul lavoro:
a volte passiamo in gran fretta da una riunione all’al-
tra, così quando arriviamo siamo già in uno stato di
ansia e distrazione.
Sarà utile programmare alcuni minuti all’inizio di
ogni riunione per stare seduti insieme in silenzio. Se

114
6. Comunicazione consapevole sul lavoro

i colleghi sul tuo posto di lavoro acconsentono a far


iniziare una riunione con il suono di una campana,
questo segnale potrà aiutare tutti a tornare alla respi-
razione e a trovare un po’ di calma. Se i colleghi non
accettano di cominciare la riunione con un momento
in cui tutti sono seduti in silenzio, potrai comunque
arrivare alla riunione con qualche minuto di anticipo,
in modo da avere il tempo di rilassarti e di respirare in
modo consapevole. Forse qualcun altro noterà il tuo
esempio e la prossima volta si unirà a te. Non ci sarà
bisogno di dire niente, né dovrai sentirti in dovere di
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dire agli altri ciò che stai facendo: limitati a eseguire


la pratica, e godi dei benefici che ti offre.
Per imprimere il tono a una riunione potrà essere
utile aprirla con un accordo verbale in cui i parteci-
panti si dichiarano disposti a rispettare le parole degli
altri e aperti alle opinioni altrui. Se cerchiamo di im-
porre agli altri il nostro punto di vista, non facciamo
che creare tensione e sofferenza sul posto di lavoro.
Perciò in ogni riunione, pratica l’apertura e l’ascolto
delle esperienze e delle visioni profonde altrui.
Se hai un’idea brillante e sei ansioso di comunicarla
agli altri, è una cosa buona, ma non dovresti essere im-
paziente di condividere le tue idee al punto di soffoca-
re quelle altrui. Invita ciascuno a esprimere la propria
opinione. Sii certo che da questo processo emergeran-
no le idee migliori sotto forma di saggezza collettiva.
Durante la riunione, pratica la parola amorevole
e l’ascolto profondo. Mentre ascolti, segui il tuo re-

115
L’arte di comunicare

spiro. Lascia parlare una sola persona per volta, senza


interruzione. Non farti coinvolgere in duelli verbali.
Parla dal punto di vista della tua esperienza personale,
e ogni volta che prendi la parola, rivolgiti a tutto il
gruppo. Se hai domande o motivi di preoccupazione,
ponili al centro del cerchio, in modo che l’intero grup-
po possa esaminarli e proporre delle soluzioni. Forse
tutto questo potrà risultare impegnativo: probabil-
mente si tratta di una nuova cultura per la conduzione
delle riunioni, un modo di affrontarle completamente
diverso da quello che vigeva nel passato. Non dovrai
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necessariamente cercare di cambiare questa cultura da


un momento all’altro. Se tutti accettano di ascoltare in
modo consapevole e senza interruzione, sarà meravi-
glioso. Ma anche se sarai solo tu ad attenerti a queste
linee guida e a impegnarti a parlare e ad ascoltare in
modo compassionevole, l’effetto sarà positivo.

Creare comunità sul lavoro

Se stai introducendo la comunicazione compassione-


vole nel tuo ambiente di lavoro, in breve tempo altre
persone potrebbero essere interessate a praticare con
te il respiro, la meditazione da seduti e la camminata
consapevole. Se sei circondato da persone che pratica-
no insieme la consapevolezza, voi tutti sarete sostenu-
ti dall’energia collettiva, così che la parola consapevo-
le e l’ascolto profondo risulteranno molto più facili.

116
6. Comunicazione consapevole sul lavoro

Più praticherai la consapevolezza, più individue-


rai cose che potrai fare per cambiare il tuo ambien-
te di lavoro in modo positivo. Quando pratichiamo
la parola consapevole e l’ascolto profondo, il nostro
modo di comunicare diventa per tutti una campa-
na della consapevolezza. Quando cammini in modo
consapevole, godendo di ogni passo che fai, questo
incoraggia gli altri a fare altrettanto, anche se non
sanno che stai praticando la consapevolezza. Quan-
do sorridi, il tuo sorriso sostiene tutti quelli che ti
circondano, e ricorda anche agli altri di sorridere.
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Quando pratichi, la tua presenza ha un effetto posi-


tivo su di te e su tutte le persone intorno a te.

Una pietra nel fiume

A tutti noi può capitare di avere difficoltà sul lavoro.


Tutti abbiamo i nostri motivi di dolore, di sofferenza
e le nostre paure. Spesso sul lavoro non ci concedia-
mo il tempo o lo spazio di riconoscere e abbraccia-
re queste emozioni forti, così la tensione si sfoga in
modi non intenzionali. Questo può rendere difficile
la comunicazione.
Tuttavia, nessuno di noi dovrà abbracciare il do-
lore e la sofferenza da solo. Quando getti nel fiume
una pietra, per piccola che essa sia, sprofonderà fino a
toccare il fondo del fiume. Ma se hai una barca, potrai
trasportarvi molte tonnellate di pietre, e non affonde-

117
L’arte di comunicare

ranno. Lo stesso vale per la tua sofferenza: il dolore, la


paura, le preoccupazioni e la sofferenza che avvertia-
mo sono come pietre che possono essere trasportate
dalla barca della consapevolezza. Se ci diamo il tempo
e lo spazio per abbracciare e riconoscere la sofferenza,
non sprofonderemo in un oceano di rabbia, di preoc-
cupazioni e di dolore. Diventeremo più leggeri.
Possiamo praticare la consapevolezza da soli, ma
potremo trovare più conforto e gioia se riusciremo a
introdurre la comunicazione consapevole nel nostro
ambiente di lavoro e a ottenere il supporto delle al-
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tre persone che praticheranno la consapevolezza con


noi. Non pretendere di cambiare il tuo ambiente di
lavoro da un giorno all’altro. Tuttavia, se ti impegne-
rai davvero a praticare la comunicazione consape-
vole, sia con te stesso, sia con i tuoi colleghi, starai
compiendo dei passi nella giusta direzione, e questo
è già di per sé un fatto positivo.

118
Creare comunità
7.
nel mondo

P er efficace che la comunicazione consapevole


possa essere quando la utilizziamo nelle nostre
relazioni personali, il suo potere è esaltato quando
la introduciamo nelle nostre comunità. Le parole
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comunicazione e comunità derivano entrambe dal-


la stessa radice latina communicare, ossia rendere
partecipe, condividere, o mettere in comune. Dob-
biamo andare nella direzione della riconciliazione
e della comprensione, non solo con gli amici e i
familiari, ma anche nel nostro vicinato e sul posto
di lavoro. Possiamo creare una fondazione compas-
sionevole e accogliente come base dalla quale inte-
ragire con tutti.

Una comunità che si impegni a praticare la pa-


rola consapevole e l’ascolto profondo può essere
molto efficace nel migliorare la società. Queste due
pratiche potrebbero essere parte di un’etica globale
che sarebbe a disposizione di tutti gli appartenenti a
qualunque cultura o tradizione religiosa per ridurre i
conflitti e ristabilire la comunicazione.

119
L’arte di comunicare

La comunità crea il cambiamento


Possiamo parlare della nostra pratica in termini di ener-
gia perché la consapevolezza è un tipo di energia. Quan-
do uniamo le nostre energie, le moltiplichiamo mille
volte. L’insieme può essere davvero molto più grande
della somma delle sue parti. Un cambiamento sistema-
tico non è ottenibile senza l’energia della comunità. Se
vuoi salvare il pianeta, se desideri trasformare la società,
ti occorre una comunità forte: la tecnologia non è suf-
ficiente. In assenza di consapevolezza, la tecnologia può
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essere più distruttiva che costruttiva. Quando parliamo


di creare un ambiente sostenibile o una società più giu-
sta, di solito ci riferiamo ad azioni fisiche o a progres-
si tecnologici come strumenti per raggiungere questi
obiettivi. Dimentichiamo però l’importanza di una co-
munità connessa: senza di essa non possiamo fare nulla.
Di solito pensiamo all’azione della comunità in
termini di atti concreti, ma l’energia di un silenzio
meditativo condiviso o di un canto di gruppo è an-
ch’essa comunicazione, e rappresenta un tipo di azio-
ne efficace. Non penso a questo tipo di pratica come
a una preghiera o a un rito religioso, ma piuttosto
come a una forma di comunicazione. Quando stiamo
seduti e ci concentriamo come comunità, creiamo
un’energia collettiva che ha in sé compassione e com-
prensione risvegliata. Stare seduti insieme in silenzio
può essere una pratica di ascolto della nostra sofferen-
za e della sofferenza del mondo.

120
7. Creare comunità nel mondo

L’energia collettiva della consapevolezza sostiene


anche la nostra pratica individuale. Quando vedia-
mo altre persone che hanno una buona comunica-
zione con se stesse e con gli altri, ne veniamo ispirati.
A volte la causa del nostro dolore è nascosta da così
tanti strati di sofferenza che non riusciamo a pene-
trarli da soli, anche se pratichiamo con impegno e
sediamo in consapevolezza. In questi casi, l’energia
di una comunità che si dedica alla consapevolezza
può aiutarci ad abbracciare e a lasciar andare la sof-
ferenza cui non siamo riusciti ad arrivare da soli. Se
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apriamo il nostro cuore, l’energia collettiva della co-


munità riuscirà a penetrare la sofferenza dentro di
noi. L’ascolto e la parola consapevole ci aiuteranno a
costruire una comunità forte.

Costruire la fiducia e condividere


la sofferenza

Alcuni di noi non si fidano facilmente degli altri. Per


individui di questo tipo può essere difficile immagi-
nare di confidare i propri pensieri a una comunità più
grande. Forse saremo un po’ diffidenti o addirittura
molto sospettosi. Gli altri dicono di amarci e di com-
prenderci, ma non abbiamo davvero fatto esperienza
di quell’amore e di quella comprensione. Dovremmo
riuscire a trovare il modo di aiutare una persona che
non ha la capacità di ricevere amore e comprensione.

121
L’arte di comunicare

A volte il vero amore e la vera comprensione ci sono


davvero, ma la persona non crede in questi doni, ed
è per questo che non è mai riuscita a riceverli. Quella
persona assomiglia a un fantasma affamato. Nel bud-
dhismo un “fantasma affamato” è qualcuno che ha
un grande stomaco vuoto e vorace ma una gola mol-
to piccola: anche se il cibo abbonda, quella persona
non riuscirà a inghiottirlo, non potrà assimilare nien-
te. Perciò anche se le si offre una grande quantità di
amore e comprensione, non sarà in grado di riceverli.
Una persona che soffre in questo modo non ha
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capacità di ricevere comprensione, amore e aiuto. Oc-


correrà essere molo pazienti. A volte si vedono fan-
tasmi affamati girovagare così, e li si riconosce facil-
mente: hanno l’aria di essere soli e isolati. Dobbiamo
essere molto pazienti e concedere loro molto tempo
e molto spazio. Non essere troppo ansioso di aiutare,
perché se lo sarai potrai ottenere l’effetto opposto a
quello desiderato, e scatenare una reazione contraria.
Mantieniti sereno, affettuoso, compassionevole e
aperto nei loro confronti: questo è quanto potrai fare
ora. Guarda in profondità per capire se puoi trovare
un mantra che sia sufficientemente efficace da aiu-
tarli ad allargare la gola e a ricevere il nutrimento di
cui hanno bisogno. Con la pazienza e col tempo, un
giorno le loro gole saranno più larghe, ed essi comin-
ceranno ad accorgersi dell’energia dell’amore e della
comprensione che è in te. Costruire una comunità
richiede tempo.

122
7. Creare comunità nel mondo

La comunità rafforza la compassione


Gli scienziati hanno studiato il comportamento de-
gli animali sociali come gli uccelli e i pesci, e hanno
scoperto che in ogni comunità c’è un elemento di
altruismo: alcuni individui sono disposti a morire e a
sacrificare la vita per il bene della propria comunità.
C’è un pesce chiamato spinarello che nuota in
banchi formati da migliaia di individui. Quando
scorgono l’ombra di un predatore – un pesce di gran-
di dimensioni che potrebbe mettere in pericolo il
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branco – alcune decine di pesci si staccano dal grup-


po per andare in esplorazione. Sono consapevoli dei
rischi, ma sono decisi a seguire quella direzione per
vedere se la minaccia è reale. Se verificano che non
ci sono pericoli, tornano indietro e si riaggregano al
gruppo. Se invece il pericolo è reale, alcuni di essi
si fermano per essere divorati dal predatore mentre
il resto torna indietro a dire al grosso del banco di
cambiare direzione. Le formiche si comportano allo
stesso modo, così come le api e alcune specie di uc-
celli. Anche noi esseri umani a volte abbiamo notizia
di eroi che si sacrificano in modo simile.
Questo comportamento da parte di alcuni mem-
bri della nostra comunità va a nutrire la nostra gene-
rosità e il nostro altruismo. Gli scienziati coinvolti
in questo studio sui pesci hanno scoperto che se un
banco rimane compatto, la generosità aumenta. I di-
scendenti ne traggono profitto e diventano sempre

123
L’arte di comunicare

più generosi, ma se vengono dispersi, la generosità


diminuisce molto rapidamente.
Secondo gli scienziati che hanno condotto le
ricerche, quando siamo esposti a questo compor-
tamento da parte di qualche membro della nostra
comunità, il seme dell’altruismo che è in noi viene
innaffiato. E quando viene il nostro turno, agiamo
allo stesso modo: siamo capaci di sacrificarci per il
resto della nostra comunità.
Vivendo nel mondo, abbiamo abitudini radicate:
camminiamo senza consapevolezza e senza ricavare
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gioia dai nostri passi. Camminiamo come se doves-


simo correre. Parliamo ma non sappiamo cosa dicia-
mo: con le nostre parole creiamo tanta sofferenza.
Le comunità che si impegnano nella pratica della
consapevolezza possono insegnare ai propri membri
a parlare, a respirare e a camminare in modo con-
sapevole. La comunità ti aiuta ad addestrarti, e tu
potrai addestrare te stesso.
Quando si pratica in una comunità, ci sono più
persone a sostenerci, ma anche più opportunità di
essere colti dalla frustrazione e dalla rabbia. La paro-
la amorevole e l’ascolto profondo sono la chiave per
costruire una comunità. Si impara a parlare in modo
da non causare sofferenza a se stessi e alla propria co-
munità. Se la tua comunità non pratica tutto questo,
non è una comunità autentica. Anche se hai motivo
di sofferenza e di rabbia, potrai addestrarti a parlare
in modo da aiutare l’altra persona o il gruppo a com-

124
7. Creare comunità nel mondo

prendere cosa sta accadendo dentro di te, e in modo


da rendere possibile la vera comunicazione.

Il nostro mondo può essere


una comunità consapevole
e compassionevole

Dobbiamo trovare dei modi migliori per comunica-


re. Se riusciamo a farlo nelle nostre relazioni, potre-
mo riuscirci anche sul posto di lavoro e perfino negli
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ambienti della politica. Dobbiamo trasformare i no-


stri governi in luoghi consapevoli e compassionevoli
di ascolto profondo e parola amorevole. Ognuno di
noi può fare la propria parte per contribuire come
cittadino e come membro della famiglia umana.
Nell’atto di costruire una comunità otteniamo la
trasformazione e la guarigione di cui abbiamo biso-
gno per promuovere la trasformazione e la guarigio-
ne del mondo.
Si tratta di un processo di addestramento e ap-
prendimento. Quando parli, permetti alla visione
profonda della nostra umanità collettiva di parlare
attraverso di te. Quando cammini, non farlo per te
solo: cammina per i tuoi antenati e per la tua comu-
nità. Quando respiri, fa’ che il mondo che hai intor-
no respiri per te. Quando sei in collera, permetti che
la tua rabbia sia liberata e abbracciata da una comu-
nità più grande. Se saprai fare questo per un giorno,

125
L’arte di comunicare

sarai già trasformato. Sii la tua comunità, e lascia che


la tua comunità sia te: questa è vera pratica. Sii come
il fiume quando sfocia nell’oceano, sii come le api
e gli uccelli che volano insieme. Vedi te stesso nella
comunità e la comunità in te. È un processo di tra-
sformazione del tuo modo di vedere, e trasformerà il
tuo modo di comunicare e la sua efficacia.
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126
La nostra
comunicazione
8.
è la nostra
continuazione

T utti gli esseri umani e gli animali comunicano.


Generalmente pensiamo alla comunicazione co-
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me alle parole che diciamo o scriviamo, ma il nostro


linguaggio del corpo, le espressioni del nostro viso, il
tono della nostra voce, le nostre azioni fisiche e addi-
rittura i nostri pensieri sono modi di comunicare.
Allo stesso modo in cui un albero di arancio può
produrre foglie, fiori e frutti di grande bellezza, un
bell’essere umano può produrre pensieri, parole e
azioni altrettanto belli. La nostra comunicazione non
è neutra: ogni volta che comunichiamo, produciamo
più compassione, amore e armonia, oppure più sof-
ferenza e violenza.
La nostra comunicazione è ciò che inviamo al
mondo, ed è anche ciò che rimane dopo che l’ab-
biamo lasciato. Di conseguenza, la nostra comuni-
cazione è il nostro karma. Il termine sanscrito karma
significa “azione”, e si riferisce non solo all’azione
fisica, ma anche a ciò che esprimiamo con il corpo,
con le parole e con i pensieri e le intenzioni.

127
L’arte di comunicare

Nel corso di ogni giornata, produciamo energie di


pensiero, parola e azione. Comunichiamo in ogni mo-
mento, con noi stessi o con gli altri. I pensieri, le paro-
le e le azioni fisiche sono le nostre manifestazioni. Noi
tutti siamo le nostre azioni. Siamo ciò che facciamo,
non solo con il corpo, ma anche con le parole e con la
mente. Il karma è la triplice azione dei nostri pensieri,
delle nostre parole e delle nostre azioni fisiche.
Pensare è già un’azione. Anche se non ne vediamo
la manifestazione, è presente come energia potente.
Il pensiero ti può spingere a fare o a dire cose distrut-
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tive, così come può creare una grande quantità di


amore. Ogni pensiero è destinato a dare un frutto,
a volte nell’immediato, a volte in un momento suc-
cessivo. Quando crei un pensiero di odio, rabbia o
disperazione, quel pensiero è un veleno che nuoce
al tuo corpo e alla tua mente. Un pensiero di odio o
di rabbia può portare a ferire gli altri. Se commetti
un atto violento, significa che hai covato pensieri di
odio, rabbia e desiderio di punire. Perciò pensare è
già agire. Non occorre che tu dica o faccia niente per
agire: produrre un pensiero significa agire.
Quando formuli un pensiero pieno di compren-
sione, perdono e compassione, quel pensiero avrà im-
mediatamente un effetto di guarigione sulla tua salute
fisica e mentale e sulle persone che ti circondano. Se
nella mente produci un pensiero pieno di rabbia e
di condanna, quel pensiero subito avvelenerà il tuo
corpo e la tua mente, e le persone che hai intorno.

128
8. La nostra comunicazione è la nostra continuazione

Il pensiero è la prima forma di azione, perché è


pensando che gettiamo le basi di quello che sarà il
nostro impatto sul mondo. Anche le nostre parole
hanno un effetto enorme. Se riusciamo a parlare e a
scrivere con compassione e comprensione, ci senti-
remo magnificamente nel corpo e nella mente. Non
parleremo con compassione solo affinché la persona o
il gruppo di persone a cui stiamo parlando si sentano
meglio! La nostra parola compassionevole esercita un
effetto di guarigione anche su noi stessi. Dopo che
sarai riuscito a dire qualcosa che esprima gentilezza,
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perdono e compassione, ti sentirai molto meglio.


Quando scriverai parole piene di compassione e di
perdono, ti sentirai più libero, anche se la persona a
cui stai scrivendo non le avrà ancora lette. Già prima
di impostare la lettera o di inviare il messaggio elet-
tronico o l’sms, starai meglio. Anche chi leggerà le tue
parole avvertirà la tua compassione. Allo stesso modo,
se parli con rabbia e violenza, se le tue parole sono
animate dal desiderio di punire, sia tu che la persona
che ascolta avvertirete una sofferenza ancor maggiore.
Pensa a un bambino che sente litigare i suoi genitori.
Anche se non sono dirette a lui, quelle parole piene di
rabbia produrranno un effetto molto simile. La paro-
la, la seconda forma di azione, può guarire e liberare,
ma può anche causare distruzione e dolore.
La terza forma di azione è l’azione fisica. Noi tutti
comunichiamo con il linguaggio del corpo (i pugni
chiusi, o le braccia aperte), ma anche con le nostre

129
L’arte di comunicare

azioni di più ampio raggio (comprese le cose per cui


scegliamo di impegnarci, il modo in cui passiamo le
nostre giornate, e la nostra maniera di trattare gli altri).
Se riesci a fare qualcosa che si proponga di salvaguar-
dare, sostenere, proteggere, consolare, soccorrere o cu-
stodire con amore, l’effetto positivo sarà immediato.

Ogni comunicazione
porta la nostra firma
Cristina Pocora - cristinapocora24@gmail.com

Tutto ciò che diciamo e facciamo porta la nostra


firma. Non possiamo dire: «Questo non è il mio
pensiero». Siamo responsabili della nostra comuni-
cazione, perciò se ieri ho fatto qualcosa che non era
giusto, oggi dovrò fare qualcosa per trasformarlo. Il
filosofo francese Jean-Paul Sartre afferma: «L’uomo
è la somma delle sue azioni». Il valore della nostra
vita dipende dalla qualità del nostro pensiero, delle
nostre parole e delle nostre azioni.
Desideriamo offrire la miglior forma di pensiero,
di parola e di azione fisica perché queste azioni sono
la nostra continuazione. Quando pensiamo, quan-
do parliamo e quando agiamo, noi tutti creiamo, e
siamo presenti nelle nostre creazioni. La nostra co-
municazione non sarà perduta quando i nostri corpi
fisici non ci saranno più. L’effetto dei nostri pen-
sieri, delle parole e delle azioni fisiche continuerà
a propagarsi come un’onda nel cosmo. Che questo

130
8. La nostra comunicazione è la nostra continuazione

corpo sia ancora qui o si sia disintegrato, le nostre


azioni continuano.
Ogni pensiero che formuli porta la tua firma. Sei
tu che hai prodotto quel pensiero e ne sei responsabi-
le. Se è un pensiero di compassione, di indulgenza, di
non discriminazione, continuerai a esistere in modo
magnifico, perché sarai presente in quel pensiero: sei
l’autore di quell’azione. Anche le tue parole e le tue
azioni fisiche, siano esse compassionevoli o violente,
portano la tua firma.
Noi tutti siamo come la nuvola che produce la
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pioggia. Mediante la pioggia, la nuvola continua


a esercitare il suo influsso sul raccolto, sugli alberi
e sui fiumi, anche quando non fluttua più nel cie-
lo che li sovrasta. Allo stesso modo, tutto ciò che
esprimiamo in termini di pensiero, parola e azione
continuerà a vivere anche quando il nostro corpo si
sarà disintegrato. La nuvola è presente nel campo
di granturco e nel fiume. Quando questo corpo si
sarà disintegrato, le nostre parole, i nostri pensieri e
le azioni fisiche continueranno ad avere un effetto.
I nostri pensieri, le nostre parole e le nostre azioni
sono la nostra vera continuazione.
In base a questa pratica è possibile continuare
magnificamente la propria esistenza nel futuro. Im-
magina che in qualche luogo ci sia un conto bancario
in cui depositare ogni parola, ogni pensiero e azione
fisica. Il conto certamente esiste, ma la sua natura è
quella del non luogo. Nulla è perso.

131
L’arte di comunicare

Cambiare il passato
Immagina di aver detto nel passato qualcosa di sgar-
bato a tua nonna. Ora lei non è più in vita, perciò
non puoi chiederle direttamente scusa. Molti di noi
si portano dentro il senso di colpa per qualcosa che
hanno detto o fatto e cui pensano di non poter più
porre rimedio. Tuttavia è possibile cancellare questa
tua azione maldestra del passato. Il passato non è
davvero passato. Se sappiamo che la nostra comu-
nicazione continua, sappiamo anche che il passato è
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ancora qui, travestito da momento presente. Dopo


tutto, la sofferenza esiste ancora: la puoi toccare.
Ciò che puoi fare è metterti seduto, inspirare ed
espirare e riconoscere che tua nonna è presente in
ogni cellula del tuo corpo. «Nonna, so che sei in ogni
cellula del mio corpo: io sono la tua continuazione.
Mi dispiace di aver detto qualcosa che ha fatto sof-
frire te come ha fatto soffrire me. Per favore ascolta,
nonna. Ti prometto che d’ora in poi non dirò più a
nessuno una cosa simile. Nonna, ti prego, accetta di
aiutarmi in questa pratica». Quando parli a tua non-
na in questo modo, puoi vederla sorriderti, e puoi
guarire la sofferenza del passato.
La comunicazione non è statica. Anche se ieri hai
formulato un pensiero di rabbia e di odio, oggi po-
trai produrne uno che va nella direzione opposta, un
pensiero di compassione e di tolleranza. Non appe-
na avremo formulato il nuovo pensiero, esso potrà

132
8. La nostra comunicazione è la nostra continuazione

rapidamente raggiungere il pensiero di ieri e neu-


tralizzarlo. Usare la giusta comunicazione oggi può
aiutarci a guarire il passato, a godere del presente e a
preparare il terreno per un buon futuro.
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133
Cristina Pocora - cristinapocora24@gmail.com
Pratiche per la
9. comunicazione
compassionevole

Una campana sul computer

M olte volte, quando lavoriamo al computer, sia-


mo completamente persi nel lavoro che svol-
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giamo, e dimentichiamo di rimanere in contatto con


noi stessi. Oppure a volte dimentichiamo di prestare
attenzione alle nostre conversazioni, e ci lasciamo
coinvolgere in succosi pettegolezzi, in critiche e la-
mentele, o in altri discorsi poco consapevoli.
Possiamo programmare nel nostro computer una
campana di consapevolezza, e ogni quarto d’ora (o con
la frequenza che ci sembra più adeguata), la campana
suonerà, così avremo modo di fermarci e tornare a noi
stessi. Inspirare ed espirare per tre volte sarà sufficiente
a rilasciare la tensione dal corpo e a sorridere, e poi
potremo ricominciare a lavorare.

Bere il tè in consapevolezza
Bere il tè è un modo meraviglioso di dedicare tempo
a comunicare con se stessi. Quando bevo la mia tazza

135
L’arte di comunicare

di tè, non faccio altro che bere il mio tè. Non devo
pensare: mentre bevo il tè posso interrompere ogni
pensiero. Quando smetto di pensare, posso concen-
trare l’attenzione sulla mia bevanda. C’è solo il tè,
e ci sono solo io: fra me e il tè c’è una connessione.
Non ho bisogno di un telefono per parlare con il tè.
In effetti, poiché non sono al telefono, posso metter-
mi ancora meglio in contatto con il tè. Mi limito a
inspirare, e so che la mia inspirazione c’è, sono con-
sapevole della presenza del mio corpo e del mio tè.
È meraviglioso trovare il tempo da dedicare sol-
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tanto a bere il proprio tè. Nel buddhismo Zen, nor-


malmente non ricorriamo a comandamenti o a re-
gole inderogabili, ma «Bevi il tuo tè!» è una sorta di
comandamento Zen che serve a farti tornare alla tua
vera casa. Non pensare. Sii presente, corpo e mente
uniti. Stabilisciti nel qui e ora. Tu sei vero, non sei un
fantasma. Sei reale, e sai cosa sta accadendo: c’è una
tazza di tè nelle tue mani, ecco cosa sta accadendo.

Ascoltare il proprio bambino interiore

Ognuno di noi ha dentro un bambino ferito che ha


bisogno della nostra cura e del nostro amore. Ma noi
rifuggiamo quel bambino interiore perché abbiamo
paura della sofferenza. Oltre ad ascoltare gli altri con
compassione, dobbiamo anche dare ascolto al bam-
bino ferito dentro di noi. Quel piccino ha bisogno

136
9. Pratiche per la comunicazione compassionevole

della nostra attenzione. Concediti il tempo di tor-


nare indietro e abbracciare teneramente il bambino
ferito che è in te. Puoi parlargli nel linguaggio dell’a-
more: “Mio caro, nel passato ti ho lasciato solo. È
tanto tempo che mi sono allontanato da te. Scusami.
Ora sono tornato per prendermi cura di te, per ab-
bracciarti. So che soffri tanto, e io ti ho trascurato.
Ma ora ho imparato come prendermi cura di te. Ora
sono qui”. Se sarà necessario, potremo piangere con
quel bambino. Ogni volta che mediteremo, potremo
passare del tempo seduti a respirare con lui. “Inspi-
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rando torno dal mio bambino ferito; espirando mi


prendo cura del mio bambino ferito”. Quando an-
dremo a fare una passeggiata, potremo prendere per
mano il nostro bambino interiore.
Dovremmo parlare più volte al giorno al nostro
bambino perché avvenga la guarigione. Il bambino è
stato lasciato solo per tanto tempo, perciò dovremo
iniziare subito questa pratica. Torna ogni giorno al
tuo bambino interiore, ascolta per cinque o dieci mi-
nuti e avrà luogo la guarigione.
Il nostro bambino ferito non siamo solo noi: lui o
lei potranno anche rappresentare diverse generazioni di
antenati. Forse i nostri genitori e antenati hanno soffer-
to tutta la vita senza sapere come occuparsi del bambi-
no ferito che era in loro, e così l’hanno trasmesso anche
a noi. Perciò quando abbracciamo il nostro bambino
interiore, avremo fra le braccia tutti i bambini feriti
delle generazioni passate. Questa pratica non dà bene-

137
L’arte di comunicare

ficio solo a noi: libera infinite generazioni di antenati


e discendenti. È una pratica che può spezzare il ciclo.

Scrivere una lettera d’amore

Se hai difficoltà di relazione con qualcuno nella tua


vita, potresti passare del tempo da solo e scrivergli
una vera lettera. Potrai scriverla a qualcuno che vedi
ogni giorno, o con altrettanta efficacia, a qualcuno
che non vedi da anni, o che addirittura non è più in
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vita. Non è mai troppo tardi per portare pace e gua-


rigione in una relazione. Anche se non vediamo più
quella persona, possiamo riconciliarci dentro di noi,
e la relazione potrà guarire.
Concediti un paio d’ore per scrivere una lettera
usando la parola amorevole. Mentre scrivi la lettera, os-
serva in profondità la natura della tua relazione. Perché
la comunicazione è stata difficile? Perché non è stata
possibile la felicità? Qui di seguito trovi un esempio:

Mia cara/Mio caro,


so che hai sofferto tanto per molti anni. Non
sono stata/o capace di aiutarti, e di fatto ho solo
peggiorato la situazione. Non è mia intenzione
farti soffrire. Forse non sono abbastanza abile.
Forse ho cercato di importi le mie idee. Nel pas-
sato pensavo che tu mi facessi soffrire. Ora capisco
che sono stata/o responsabile della mia sofferenza.

138
9. Pratiche per la comunicazione compassionevole

Ti prometto di fare del mio meglio per aste-


nermi dal dire o fare cose che ti fanno soffrire.
Per favore, dimmi ciò che hai nel cuore. Devi
aiutarmi, altrimenti non potrò farlo. Non potrò
riuscirci da sola/o.

Scrivendo questa lettera non avrai nulla da per-


dere. Potrai addirittura decidere in un secondo mo-
mento quando spedirla. Ma che tu la spedisca o no,
scoprirai che la persona che ha finito di scrivere la let-
tera non è la stessa che l’ha iniziata: la pace, la com-
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prensione e la compassione ti avranno trasformato.

Trattati e messaggi di pace

Il trattato e il messaggio di pace sono due strumenti


che ci aiutano a guarire la rabbia e le ferite nelle no-
stre relazioni. Il trattato può essere usato come uno
strumento preventivo, prima di pronunciare parole o
azioni che sembrino crudeli, o prima di esserne offe-
si. Quando lo firmiamo, non stipuliamo la pace solo
con l’altra persona, ma anche con noi stessi.
Il messaggio di pace può essere usato come stru-
mento di guarigione quando siamo offesi o arrabbiati
per qualcosa che qualcuno ha detto o fatto. Potrai co-
piarlo e tenerne a disposizione delle copie da compilare
ovunque ti possano servire. Puoi usarlo al posto del bi-
glietto del quarto mantra che conservi nel portafoglio.

139
L’arte di comunicare

Se qualcuno fa qualcosa che ci crea sofferenza, po-


tremo dire: «Le parole che hai appena detto mi feri-
scono. Vorrei guardarle a fondo e vorrei che lo facessi
anche tu. Fissiamo un momento fra qualche giorno in
cui possiamo rifletterci insieme». Se una persona guar-
da alle radici della sofferenza è una cosa buona, quan-
do le persone sono due è meglio, ma se le due persone
ci riflettono insieme fanno la miglior cosa possibile.
Sia il trattato che il messaggio suggeriscono di
aspettare alcuni giorni prima di discutere. Potrai sce-
gliere una sera qualsiasi. Anzitutto sei ancora offeso,
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e potrebbe essere troppo rischioso cominciare subito


la discussione: potresti dire cose che peggiorerebbe-
ro la situazione. Da questo momento fino alla sera
prefissata, potrai praticare guardando a fondo nella
natura della tua sofferenza, e l’altra persona potrà
fare altrettanto. Prima di quella sera, uno di voi o en-
trambi forse vedrete la radice del problema, e sarete
in grado di informarvi a vicenda e di chiedere scusa.
Poi, quella sera, potrete bere insieme una tazza di tè
e godere della reciproca compagnia.
Se non sarà possibile trasformare la sofferenza en-
tro la sera prefissata, una persona comincerà a espri-
mersi, mentre l’altra praticherà l’ascolto profondo.
Quando sarai tu a parlare, dirai la verità più profon-
da usando la parola amorevole, il tipo di discorso che
l’altro può capire e accettare. Quando invece ascol-
terai, terrai presente che il tuo ascolto dovrà essere di
qualità per alleviare la sofferenza dell’altra persona.

140
9. Pratiche per la comunicazione compassionevole

Se è possibile, fissa la discussione per il venerdì sera,


oppure per sabato mattina, così avrete ancora tutto
il fine settimana per godere del vostro stare insieme.

Trattato di pace
Al fine di vivere insieme a lungo e felicemente, e per
far sì che il loro amore e la loro comprensione possa-
no continuamente evolversi e diventare più profon-
di, i sottoscritti si impegnano a osservare e praticare
quanto segue:
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Io sottoscritto, la persona in collera, acconsento a:


1. astenermi dal dire o fare qualunque cosa possa
causare ulteriore danno o far aumentare la rabbia;
2. non sopprimere la mia collera;
3. praticare la respirazione e prendere rifugio nell’i-
sola del sé;
4. comunicare la mia rabbia e la mia sofferenza, con
pacatezza ed entro ventiquattr’ore, a colui/colei
che le ha scatenate, verbalmente o consegnando
un messaggio di pace;
5. chiedere un appuntamento per un giorno succes-
sivo della settimana (per esempio venerdì sera)
per discutere più a fondo la questione, verbal-
mente o tramite un messaggio di pace;
6. non dire: «Non sono arrabbiato. È tutto a posto.
Non sto soffrendo. Non c’è niente per cui essere

141
L’arte di comunicare

in collera, o comunque niente di abbastanza gra-


ve da scatenare la mia rabbia»;
7. praticare la respirazione e guardare a fondo nella
mia vita quotidiana – da seduto, da sdraiato, in
piedi e camminando – per capire:
a. le volte in cui io stesso sono stato poco abile;
b. come ho offeso l’altra persona a causa della
mia energia dell’abitudine;
c. come il seme forte della rabbia dentro di me
sia la causa principale della mia rabbia;
d. come la sofferenza dell’altra persona, che in-
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naffia il seme delle mia rabbia, ne sia la causa


secondaria;
e. come l’altra persona stia solo cercando sollie-
vo dalla sua sofferenza;
f. che fintanto che l’altra persona soffre, non po-
trò essere davvero felice;
8. chiedere immediatamente scusa, senza aspetta-
re il giorno dell’appuntamento, non appena mi
renderò conto della mia mancanza di abilità e di
consapevolezza;
9. posporre l’incontro se non mi sentirò sufficiente-
mente calmo per incontrare l’altra persona.

Io sottoscritto, la persona che ha scatenato la colle-


ra dell’altro, acconsento a:
1. rispettare i sentimenti dell’altra persona, non ridico-
lizzarla, e dedicarle il tempo sufficiente a calmarsi;

142
9. Pratiche per la comunicazione compassionevole

2. non insistere per fissare una discussione immediata;


3. confermare la richiesta di appuntamento dell’al-
tra persona, verbalmente o tramite un messaggio,
e assicurarle la mia presenza;
4. praticare la respirazione e prendere rifugio nell’i-
sola del sé per capire che:
a. ho in me i semi della crudeltà e della rabbia,
nonché l’energia dell’abitudine che rendono
infelice l’altra persona;
b. ho erroneamente pensato che far soffrire l’al-
tro avrebbe alleviato la mia sofferenza;
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c. facendo soffrire l’altro, faccio soffrire anche


me stesso;
5. chiedere scusa non appena mi renderò conto del-
la mia mancanza di abilità e di consapevolezza,
senza fare alcun tentativo di giustificarmi e senza
aspettare il giorno dell’appuntamento.

Giuriamo di attenerci a questi articoli e di praticare


con tutto il nostro cuore.

Giorno ___________ mese __________________


anno _____________ luogo __________________

Firma
____________________

143
L’arte di comunicare

Messaggio di pace

Data:

Ora:

Caro/Cara _________________,

Questa mattina/Questo pomeriggio/Ieri hai detto/
fatto qualcosa che mi ha fatto molto arrabbiare. Ho sof-
ferto davvero tanto e voglio che tu lo sappia. Hai detto/
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fatto:____________________________________
________________________________________
______________.

Ti chiedo per favore di considerare insieme ciò che hai


detto/fatto e di esaminare la questione con calma e aper-
tura il prossimo venerdì sera,
Il tuo/La tua

___________________________,
che al momento non è molto felice.

Ricominciare da capo

Quando insorge una difficoltà nelle nostre relazioni


e uno di noi è risentito od offeso, una buona pratica
da adottare si chiama “ricominciare da capo”, ossia

144
9. Pratiche per la comunicazione compassionevole

guardare in modo profondo e onesto in noi stessi – i


nostri pensieri, le parole e le azioni passate – e creare
un nuovo inizio dentro di noi e nelle nostre relazioni
con gli altri.
Ricominciare da capo ci aiuta a sviluppare la parola
gentile e l’ascolto compassionevole perché è una prati-
ca di riconoscimento e apprezzamento degli elementi
positivi dell’altra persona. Riconoscere i tratti positivi
degli altri ci permette di vedere anche le nostre buone
qualità. Insieme a questi tratti positivi, ognuno di noi
ha anche aree di debolezza, come parlare spinti dal-
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la rabbia o essere prigionieri delle percezioni erronee.


Come in un giardino in cui l’uno “innaffia i fiori” del-
la gentilezza amorevole e della compassione che sono
nell’altro, al tempo stesso sottraiamo energia ai semi
della rabbia, della gelosia e delle percezioni erronee.
Possiamo attuare questa pratica ogni giorno,
esprimendo alle persone cui teniamo il nostro ap-
prezzamento, e chiedendo subito scusa quando di-
ciamo o facciamo qualcosa che le ferisce. Possiamo
anche far sapere agli altri con gentilezza quando ci
sentiamo offesi.
Una versione più formale di questa pratica potrà
essere attuata settimanalmente in famiglia e nell’am-
biente di lavoro. Si tratta di un processo in tre fasi:
innaffiare i fiori, esprimere rincrescimento e mani-
festare i propri risentimenti e le proprie difficoltà.
Questa pratica è in grado di impedire che settimana
dopo settimana si sviluppi un senso di offesa, e con-

145
L’arte di comunicare

tribuisce a mantenere una situazione di sicurezza per


tutti, sul posto di lavoro e in famiglia.
Innaffiare i fiori è la prima parte della pratica e
consiste semplicemente nel mostrare apprezzamento
per gli altri componenti della famiglia o della comu-
nità in cui si lavora. Si prende la parola uno alla volta,
aspettando finché ci si sente spinti a parlare. Gli altri
lasciano esprimere la persona di turno, senza reagire.
È utile tenere un vaso di fiori o un altro oggetto di
fronte a sé, mentre si parla, in modo che le parole
riflettano la freschezza e la bellezza dei fiori. Durante
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questa pratica, chi parla riconosce le qualità sane e


meravigliose degli altri. Lo scopo non è adulare: dob-
biamo dire la verità. Tutti hanno dei punti forti che
possono essere considerati con consapevolezza. Nes-
suno può interrompere la persona che ha in mano i
fiori. Ognuno ha a disposizione tutto il tempo di cui
ha bisogno, e tutti gli altri praticano l’ascolto profon-
do. Quando si finisce di parlare, ci si alza e si riporta
lentamente il vaso al centro della stanza.
Non si deve sottovalutare la prima fase, dedica-
ta all’innaffiare i fiori. Quando riconosciamo since-
ramente le meravigliose qualità degli altri, è molto
difficile perseverare nei nostri sentimenti di rabbia
o rancore. Ci ammorbidiamo in modo naturale, e la
nostra prospettiva diventa più ampia e più compren-
siva della realtà nel suo insieme.
Nella seconda parte della pratica, i partecipan-
ti esprimono rincrescimento per qualunque azione

146
9. Pratiche per la comunicazione compassionevole

abbia causato offesa agli altri. Basta una frase detta


senza pensare per ferire qualcuno. A volte coviamo
risentimenti o dispiaceri di poco conto, che poi cre-
scono perché non abbiamo il tempo di mettere le
cose a posto. La pratica del ricominciare da capo è
un’opportunità per ripensare a un dispiacere di qual-
che giorno prima e per annullarlo.
Nella terza parte della cerimonia parliamo dei
dispiaceri che ci sono stati inflitti dagli altri. La pa-
rola amorevole è essenziale: vogliamo guarire la no-
stra famiglia e la comunità in cui lavoriamo, non
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danneggiarle. Parleremo con franchezza, ma senza


essere distruttivi. Quando siamo seduti fra persone
che praticano insieme l’ascolto profondo, le nostre
parole diventano più belle e più costruttive. Non re-
criminiamo, né litighiamo mai.
In questa fase finale della pratica, l’ascolto com-
passionevole è decisivo. Ascoltiamo i motivi di ri-
sentimento e le difficoltà altrui con la disponibilità
ad alleviare la sofferenza dell’altra persona, non con
l’intenzione di giudicare od opporre le nostre ragio-
ni. Ascolteremo con la massima attenzione. Anche se
sentiremo dire qualcosa che non corrisponde al vero,
continueremo ad ascoltare in modo profondo per far
sì che l’altra persona possa esprimere il suo dolore e
rilasciare la tensione interiore. Se replichiamo o cor-
reggiamo le sue parole, la pratica non porterà frutto:
ci limiteremo ad ascoltare. Se dobbiamo dire all’al-
tra persona che la sua percezione non era corretta, lo

147
L’arte di comunicare

potremo fare di lì a qualche giorno, in privato e con


pacatezza. Poi, alla successiva pratica, anche l’altra
persona potrà rettificare il proprio errore, e noi non
dovremo dire nulla. Potremo terminare la pratica
con un momento di silenzio.
La sola pratica della prima fase – innaffiare i fiori –
può aumentare la felicità e la comunicazione nella tua
famiglia e nell’ambiente di lavoro. Non è necessario
attuare ogni volta tutte e tre le fasi. Soprattutto se per
te la pratica è nuova, sarà efficace dedicare la mag-
gior parte del tempo a innaffiare i fiori. Col tempo, a
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mano a mano che si crea la fiducia, potrai aggiungere


gradualmente la seconda e la terza parte. Anche quan-
do sarai arrivato a questo punto, non saltare la prima:
esprimere apprezzamento è uno dei modi più belli
per costruire relazioni forti e piene di calore.

Il dolce in frigorifero

Uno degli strumenti che possiamo utilizzare per mi-


gliorare la nostra comunicazione è un dolce. Non
importa se non sei un pasticciere, non hai un dolce
o sei allergico al glutine. Si tratta di un dolce molto
speciale che non è fatto di farina e di zucchero come
il pandispagna. Possiamo continuare a mangiarlo, e
non finisce mai. Si chiama “il dolce in frigorifero”.
Questa pratica è stata creata per aiutare i bambini
ad affrontare i litigi dei loro genitori, ma può anche

148
9. Pratiche per la comunicazione compassionevole

essere usata dagli adulti in una relazione. Quando


l’atmosfera diventa pesante e sgradevole, e sembra
che una persona stia per perdere il controllo, potrai
usare la pratica del dolce per ristabilire l’armonia.
Prima di tutto, inspira ed espira tre volte per darti
coraggio. Poi rivolgiti alla persona o al gruppo di per-
sone che sembrano turbate, e informale che ti sei ap-
pena ricordato di qualcosa. Quando ti chiederanno
di dire cosa, potrai rispondere: «Mi sono ricordato
che abbiamo un dolce in frigorifero».
La frase “c’è un dolce in frigorifero” in realtà si-
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gnifica: «Per favore, smettiamo di farci del male».


Udendo queste parole, la persona capirà. Se tutto va
bene, ti guarderà dicendo: «Va bene, ora vado a pren-
dere il dolce». Questo è un modo di uscire da una
situazione pericolosa senza esprimere giudizi. Ora la
persona turbata ha occasione di ritirarsi dalla lite sen-
za causare altra tensione.
Quella persona va in cucina, apre il frigorifero per
prendere il dolce e mette a bollire l’acqua per il tè, ascol-
tando per tutto il tempo il suo respiro. Se in frigorifero
non c’è un vero dolce, potrà sostituirlo con qualcos’al-
tro: un frutto, una fetta di pane tostato o qualunque
altra cosa a disposizione. Preparando lo spuntino e il tè,
quella persona potrà anche ricordare di sorridere, un
modo per sentirsi più leggeri nel corpo e nello spirito.
Mentre sarà seduta da sola in salotto, l’altra per-
sona potrà cominciare a praticare la respirazione con-
sapevole. La collera gradualmente si placherà. Dopo

149
L’arte di comunicare

aver messo in tavola il tè e il dolce, forse tutti si uni-


ranno alla merenda in un’atmosfera serena e piena di
comprensione. Se qualcuno esita a partecipare, lo si
potrà blandire dicendo: «Per favore, vieni a prendere
un tè con il dolce insieme a me».

Meditazione dell’abbraccio

Alcuni dei nostri modi più potenti di comunicare


non comprendono le parole. Quando ci abbraccia-
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mo, i nostri cuori si connettono, e ci accorgiamo di


non essere individui separati. Abbracciarsi con con-
sapevolezza e concentrazione può portare riconcilia-
zione, guarigione, comprensione e molta felicità.
Potrai praticare la meditazione dell’abbraccio con
un amico, un figlio, un genitore, un partner, e anche
con un albero. Per praticare, dapprima inchinati e
riconosci la presenza dell’altro. Chiudi gli occhi, fai
un respiro profondo e visualizza te stesso e la persona
amata di qui a trecento anni. Poi potrai assaporare
tre respiri profondi e consapevoli per riportarti pie-
namente nel presente. Potrai dire a te stesso: «Inspi-
rando, so che la vita è preziosa in questo momento.
Espirando, ho caro questo momento della vita».
Sorridi alla persona che hai di fronte, ed esprimi
il desiderio di tenerla fra le braccia. Questa medita-
zione è una pratica e un rituale. Quando fai incon-
trare il corpo e la mente per produrre la tua presenza

150
9. Pratiche per la comunicazione compassionevole

totale, per diventare pieno di vita, quello che stai


compiendo è un rituale.
Quando bevo un bicchiere d’acqua, investo il cento
per cento di me stesso in questa azione. Dovresti adde-
strarti a vivere così ogni momento della tua vita di ogni
giorno. L’abbraccio è una pratica profonda. Devi essere
totalmente presente per attuarla in modo corretto.
Poi aprirai le braccia e comincerai ad abbracciare.
Rimanete l’uno nelle braccia dell’altro per tre inspira-
zioni ed espirazioni. Con il primo respiro, sarai con-
sapevole di essere presente in quel preciso momento,
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e di essere felice. Con il secondo respiro sarai consa-


pevole che l’altra persona è presente in questo preciso
momento, e che anche lei è felice. Con il terzo respiro
saprai che siete insieme, in questo preciso istante su
questa terra, e avvertirete una profonda gratitudine e
felicità per il vostro essere insieme. Poi potrai lasciar
andare l’altra persona e potrete inchinarvi l’uno all’al-
tro per dimostrare la vostra riconoscenza.
Potrai anche praticare nel modo che segue: du-
rante il primo respiro, acquisterai la consapevolezza
che tu e la persona amata siete entrambi vivi. Nel
secondo respiro pensa a dove sarete di qui a trecento
anni. E al terzo respiro, ritornerai alla visione pro-
fonda che entrambi siete vivi.
Quando abbracci in questo modo, l’altra perso-
na diventa reale e viva. Non dovrete aspettare finché
uno di voi starà per partire per un viaggio: potrete
abbracciarvi subito, e ricevere il calore e la stabilità

151
L’arte di comunicare

dell’altra persona nel momento presente. L’abbraccio


può essere una profonda pratica di riconciliazione.
Durante l’abbraccio silenzioso, emergerà chiara-
mente il messaggio: “Caro, sei prezioso per me. Mi
dispiace di non essere stato consapevole e premuro-
so. Ho fatto degli errori. Permettimi di ricominciare
da capo”.
In quel momento la vita diventa reale. Gli archi-
tetti dovranno costruire aeroporti e stazioni ferrovia-
rie in modo che ci sia abbastanza spazio per praticare
l’abbraccio. Il tuo abbraccio sarà più profondo, e così
Cristina Pocora - cristinapocora24@gmail.com

la tua felicità.

152
L’Autore

T hich Nhat Hanh ha comunità spirituali nella


Francia sudoccidentale (Plum Village), a New
York (Blue Cliff Monastery) e in California (Deer
Park Monastery), dove monaci e laici praticano l’ar-
te del vivere consapevole. I visitatori sono invitati a
unirsi alla pratica per almeno una settimana. Per in-
Cristina Pocora - cristinapocora24@gmail.com

formazioni, si prega di scrivere a:

Plum Village
13 Martineau
33580 Dieulivol
Francia

NH-office@plumvillage.org (per le donne)


LH-office@plumvillage.org (per le donne)
UH-office@plumvillage.org (per gli uomini)
www.plumvillage.org

153
L’arte di comunicare

Per informazioni sui nostri monasteri, sui centri di


pratica della consapevolezza e sui ritiri negli Stati
Uniti, si prega di rivolgersi a:

Blue Cliff Monastery


3 Hotel Road
Pine Bush, NY 12566
Tel.: (845) 733-4959
www.bluecliffmonastery.org

Deer Park Monastery


Cristina Pocora - cristinapocora24@gmail.com

2499 Melru Lane


Escondido, CA 92026
Tel.: (760) 291-1003
Fax: (760) 291-1172
www.deerparkmonastery.org
deerpark@plumvillage.org

154
Indice

1. Nutrimento essenziale............................5
2. Comunicare con te stesso...................... 13
3. Le chiavi per comunicare con gli altri....... 37
4. I sei mantra della parola amorevole......... 67
Cristina Pocora - cristinapocora24@gmail.com

5. Quando insorgono difficoltà................... 87


6. Comunicazione consapevole
sul lavoro............................................109
7. Creare comunità nel mondo ................. 119
8. La nostra comunicazione
è la nostra continuazione......................127
9. Pratiche per la comunicazione
compassionevole.................................135
L’Autore.................................................153
Thich Nhat Hanh
L'Arte di Comunicare
Nutri le tue Relazioni con Amore e Rispetto

Nonostante tutte le nostre migliori intenzioni, la


comunicazione è ancora una sfida per molti di noi.
Qual è il modo migliore per dire quello che
pensiamoaffinché il nostro interlocutore ci
comprenda davvero?

Come possiamo imparare ad ascoltare con


Cristina Pocora - cristinapocora24@gmail.com

compassione e comprensione?
Le persone comunicano in modo diverso. Come
possiamo trarre giovamento dalle nostre reciproche
differenze perrafforzare le nostre relazioni?
Sfruttando la sua esperienza di lavoro con coppie,
famiglie, colleghi di lavoro e intervenendo a favore
della risoluzione dei conflitti internazionali, il
celebre leader spirituale Thich Nhat Hanh ci rivela
i cinque passi per ottenere una comunicazione
veramente consapevole.

Concentrandosi su pratiche concrete e


accessibili, L’arte di comunicare fornisce la chiave
per comunicare con se stessi e con gli altri in modo
più efficace, con gentilezza e consapevolezza.
«C’è un detto in vietnamita “Non costa nulla avere
la parola amorevole”. Abbiamo solo bisogno di
scegliere con attenzione le nostre parole e possiamo
fare felici gli altri».
Perché non farlo allora?

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