Sei sulla pagina 1di 5

Roger Verneaux Storia della filosofia moderna Locke

CAPITOLO VII
L’Empirismo inglese

III
LOCKE

Bibliografia. – Traduzione omessa perché irrilevante per il pubblico italiano.


Biografia. – John Locke è nato nel 1632 a Bristol, lo stesso anno di Spinoza. Destinato allo
stato ecclesiastico, entra a Oxford nel 1652 e vi resta quindici anni, prima come studente, poi come
tutore a Christ Church. Una volta diventato Master of Arts, rinuncia alla teologia per consacrarsi
alla medicina. Pubblica dei lavori sull’anatomia e sull’arte medica; viene eletto nella Royal Society
nel 1668. Si occupa anche di politica religiosa e in questo periodo scrive un saggio sulla tolleranza,
che nel 1689 darà luogo a tre Lettere sulla tolleranza, destinate ad avere un grande riverbero.
Nel 1665 entra a servizio del conte di Shaftesbury come medico e segretario. Avendo il
conte una vita politica assai movimentata, Locke ne subì i contraccolpi. Fece due soggiorni in
Francia, il più longo dei quali – dal 1675 al 1679 – gli permise di trascorrere un anno a Montpellier,
la cui Facoltà di Medicina è rinomata. Nel 1683 si rifugia in Olanda col suo protettore e vi resta fino
al 1688. All’arrivo di Guglielmo d’Orange ritorna in Inghilterra. Gli viene offerto un posto come
ambasciatore, che rifiuta, ma svolge per qualche anno la funzione di commissario d’Appello.
Pubblica un Saggio sul governo civile e dei Pensieri sull’educazione.
Fu il caso a portarlo a occuparsi di questioni filosofiche. Come racconta nel Saggio
sull’intelletto umano, la prima idea gli venne quando, discutendo con alcuni amici a casa sua su
questioni di morale e di religione, a un tratto si rese conto che per proseguire «era necessario
esaminare i nostri mezzi di conoscenza, e vedere quali oggetti il nostro intelletto sia capace di
cogliere e quali no». Si convenne allora che fosse questa la prima questione da studiare. Ma gli ci
vollero vent’anni per portare a termine il lavoro. Il Saggio comparve nel 1690. Ritiratosi nel 1691
nella villa di una famiglia amica, ne ritoccò le edizioni successive e supervisionò la traduzione
francese fattane dal segretario Coste. Morì nel 1704.
Il tratto dominante di Locke è quello di essere un «liberale». In questo è l’esatto opposto di
Hobbes. L’essenziale del suo messaggio è contenuto nelle Lettere sulla tolleranza. Il saggio
sull’intelletto umano, tutto sommato, non è altro che una giustificazione filosofica delle sue vedute
politiche. Come filosofo, Locke è cartesiano. Conobbe l’opera di Descartes fin dai tempi dei suoi
studi a Oxford, e si entusiasmò per il metodo cartesiano. Prende però le distanze da Cartesio sulla
questione delle idee innate, il che, nel contesto del cartesianesimo – cioè in assenza di una teoria
dell’astrazione – lo rende ipso facto empirista.

1. – Scopo e metodo.
«Non avrò perso il mio tempo se, con l’ausilio di un metodo chiaro e per così dire storico,
sarò riuscito a mostrare con quali mezzi il nostro intelletto forma le idee che ha delle cose, e se
riuscirò a dar modo di apprezzare la certezza delle nostre conoscenze e i fondamenti delle opinioni
che vediamo regnare tra gli uomini» (Saggio, Introduzione).

1
Roger Verneaux Storia della filosofia moderna Locke

Lo scopo del Saggio, quindi, è quello che potremmo chiamare una critica della conoscenza.
Del resto, Locke stesso impiega a volontà il termine di critica e altre espressioni esplicite:
«Esaminare la certezza e l’estensione delle conoscenze umane, così come i gradi di fede, opinione e
assenso che si possono avere rispetto ai diversi argomenti che si presentano alla nostra mente».
«Esaminare con cura la capacità del nostro intelletto e scoprire fin dove possano giungere le nostre
conoscenze».
Cartesio aveva inaugurato la critica e l’aveva condotta attraverso una via razionale. Locke la
riprende per via empirica. Il suo metodo, in effetti, non è logico, ma psicologico e «storico», cioè
genetico, perché consiste nel descrivere il funzionamento della mente, nel cercare come si formano
le idee e nello svelarne l’origine. Si tratta, potremmo dire, di un’analisi descrittiva.
Kant chiamerà questo metodo una «fisiologica dell’intelletto», opponendolo alla sua analisi
trascendentale, che è logica. Lo giudicherà incapace di risolvere il problema della conoscenza, il
quale porta sulla possibilità della conoscenza (questione di diritto) e non sul suo meccanismo
(questione di fatto). Il che non è del tutto giusto, a nostro modo di vedere, perché il problema della
conoscenza riguarda entrambe le questioni, e la seconda si può porre logicamente solo dopo aver
posto la prima.
Comunque sia, per Locke, il valore delle idee dipende dalla loro origine, e l’analisi della
mente prepara la psicologia d’introspezione.

2. – Origine delle idee.


Il primo libro del Saggio confuta la teoria delle idee innate; il secondo mostra come tutte le
nostre idee si costituiscano a partire dall’esperienza.
Locke prende il termine idea in senso molto lato. «Mi sono servito di questo termine per
esprimere tutto ciò che si intende per fantasma (phantasma), nozione, specie (species) o qualunque
cosa occupi la mente mentre pensa». Per Locke, quindi, l’idea è pressappoco identica a ciò che
Cartesio chiama pensiero. È un qualsiasi stato di conoscenza: così sia la sensazione che l’immagine
sono delle idee. O, ancora, è l’oggetto immediatamente presente alla coscienza: «delle semplici
apparenze nella nostra mente».
Che non esistano idee innate Locke lo mostra facilmente. L’ipotesi è contraria ai fatti,
perché né i bambini, né i selvaggi, né i pazzi hanno le idee che ha un uomo colto. È un’ipotesi
comoda, inventata per dispensarsi dalla spiegazione dei fatti. Quanto a dire che le idee innate sono
latenti, è una contraddizione, perché il pensiero è cosciente. La tesi di Cartesio, identificando
pensiero e coscienza, si è rivoltata contro di lui: «Si le parole essere nell’intelletto vogliono dire
qualcosa di positivo, significano essere compreso e percepito dall’intelletto, di modo che sostenere
che una cosa è nella mente senza che la mente la percepisca equivale a dire che è e non è nella
mente al tempo stesso».
Pertanto, l’innatismo attuale è contrario ai fatti e l’innatismo virtuale è contradditorio. Non
resta che ammettere che la mente all’inizio è «come un foglio bianco» o una «tabula rasa». Tutte le
nostre idee sono acquisite e provengono dall’esperienza.
Tentando ora di ripercorrere la genesi delle nostre idee, occorre distinguere tra le idee
semplici, che sono primitive, e le idee complesse, che sono derivate.
Le idee semplici provengono da due fonti: l’esperienza esterna e quella interna. Le
sensazioni ci danno l’idea delle qualità dei corpi. Locke distingue le «qualità primarie», come
l’estensione, la figura, il movimento, e le «qualità secondarie», come il colore, l’odore, il sapore.
Questa distinzione è diventata classica, ma dire il vero non è molto nuovo. L’aveva fatta Cartesio,
riservando il nome di qualità sensibili alle seconde, e già Aristotele distingueva i «sensibili
2
Roger Verneaux Storia della filosofia moderna Locke

comuni», corrispondenti alle qualità primarie, dai «sensibili propri», corrispondenti alle qualità
secondarie.
L’esperienza interna, o riflessione, ci fornisce l’idea delle operazioni psicologiche, come
percepire, pensare, dubitare, credere, volere. Leibniz noterà che dopo tutto le «idee di riflessione» di
Locke non sono veramente diverse da quelle che chiama idee virtuale; in effetti sono innate, perché
la mente le trae dal suo intimo.
Tutte queste idee sono definite semplici, non perché siano semplice in sé stesse, ma perché
l’analisi psicologica è incapace di risalire oltre. Sono, per dirla come Bergson, dei dati immediati
della coscienza. La mente le riceve passivamente.
Le idee complesse, invece, sono costruite. Gli atti della mente si riducono a tre: 1°
combinare, cioè unificare più idee in una sola; 2° comparare, ovvero stabilire delle relazioni tra le
idee; 3° separare, isolare un’idea dalle altre contenute in essa, vale a dire astrarre. Consideriamo
solamente due punti: la teoria della sostanza e quella dell’astrazione.
La prima idea che ci formiamo della sostanza è quella di un gruppo di qualità sensibili,
gruppo stabile al quale diamo un nome solo, e che «inavvertitamente» consideriamo come un’idea
semplice. Successivamente, «non potendo immaginare in che modo queste idee semplici possano
sussistere da sé, ci abituiamo a supporre qualche cosa che le sostenga, qualcosa in cui sussistono e
da cui derivano, e a cui, a causa di ciò, abbiamo dato il nome di sostanza» (II, 23). In definitiva,
quindi, «l’idea di sostanza non è altro che l’idea di un non so che che supponiamo essere il sostegno
delle qualità che sono responsabili della produzione delle idee semplici nella nostra anima». «Ciò
che indichiamo con il termine generale di sostanza non è nient’altro che un soggetto che non
conosciamo». Questa è la concezione empirista della sostanza: o un gruppo stabile di qualità
sensibili, oppure un substratum inconoscibile. Kant conoscerà solo questa, ed è qui l’origine della
sua distinzione tra i fenomeni e la cosa in sé.
L’astrazione, secondo l’empirismo, è una separazione. La mente considera a parte un
carattere che nella realtà si trova legato ad altri. Il che porta subito a dire che, per esempio,
considerare a parte la bianchezza della carta rispetto alle altre sue qualità, vuol dire astrarre. Ma
astrarre significa anche formare un’idea generale. Per fare questo confrontiamo diversi individui e
separiamo ciò che è comune a tutti da ciò che è proprio di ciascuno. Il carattere comune viene
fissato nella mente con un nome. Quindi, secondo Locke, la funzione dell’idea generale è quella di
«rappresentare in maniera uguale una pluralità di cose individuali, ciascuna delle quali è, in sé
stessa, conforme a tale idea e – per ciò stesso – a tale specie di cose». Pertanto, non si dirà più che
un’idea astratta rappresenta un’essenza, ma che l’essenza è quest’idea. «Per cui appare chiaramente
che le essenze di ogni specie non sono altro che tali idee astratte» (III, 3). Poiché quest’essenza è
significata da un nome, Locke la chiama «essenza nominale». Non c’è modo migliore per dire che
si tratta di una teoria «nominalista».

3. – Valore della conoscenza.


Il quarto libro del Saggio critica la conoscenza da diversi punti di vista. Un capitolo tratta
Dei gradi della nostra conoscenza, un altro Dell’estensione della conoscenza umana, un altro Della
realtà della nostra conoscenza, altri Della verità, Della probabilità, Dei gradi di assenso, tre
capitoli sono dedicati alla conoscenza dell’esistenza. Ecco quantomeno le linee generali di questa
critica.
Locke stabilisce prima di tutto quello che noi chiameremmo il principio di immanenza:
«Poiché la mente ha come unico oggetto dei suoi pensieri le idee, è evidente che tutta la nostra
conoscenza si basa sulle nostre idee» (IV, 1). Ma poiché la verità è solo nel giudizio, la conoscenza

3
Roger Verneaux Storia della filosofia moderna Locke

propriamente detta, cioè il sapere, sta nel rapporto di convenienza o di non-convenienza tra le nostre
idee.
Ci sono tre gradi di evidenza: l’intuizione, la dimostrazione e la sensazione. L’intuizione è la
percezione immediata del rapporto tra due idee. «Questa specie di conoscenza è la più chiara e la
più certa di cui sia capace la debolezza umana. Essa agisce in maniera irresistibile, come la
luminosità di una bella giornata…». In altre parole, è sull’intuizione che si fonda in un’ultima
analisi tutto il sapere. La dimostrazione consiste nello scoprire la convenienza di due idee per
mezzo di idee intermediarie. Affinché sia valida, bisogna che ogni tappa intermedia sia conosciuta
per intuizione.
Fin qui Locke non ha fatto altro che seguire Cartesio, ma se ne discosta nel momento in cui
accorda un certo grado di evidenza alla sensazione. Questa è il grado più basso della conoscenza,
ma è comunque superiore della probabilità. Che l’idea di qualcosa di esterno si trovi nella mente è
un’intuizione. Che da qui «possiamo inferire in maniera certa l’esistenza di qualcosa fuori di noi
che corrisponda a quest’idea» certi filosofi non lo giudicano possibile. «Quanto a me, credo tuttavia
che in questo caso abbiamo un grado di evidenza che ci elevi al di sopra del dubbio». In effetti, non
ci è possibile confondere una sensazione attuale con un’immagine o un ricordo. Qui termina la
conoscenza. Scendendo al di sotto di questa, entriamo nel campo della probabilità, che si fonda
sulla testimonianza e che dà luogo soltanto alla credenza e all’opinione.
Stabilito ciò, bisogna affrontare la questione decisiva della verità. Il principio di immanenza
non ha forse come conseguenza ineluttabile quella di chiudere la mente in sé stessa? Locke procede
in tue tappe. Per prima cosa studia «la realtà» della conoscenza, cioè la conformità del pensiero con
il suo oggetto, il quale può benissimo non esistere, come in matematica. Poi studia il modo in cui
conosciamo l’esistenza.
Per quanto riguarda le idee astratte, nessuna difficoltà: sono vere se sono intuitive o
dimostrate, perché sono fatte per rappresentare soltanto sé stesse, oppure – vuol dire la stessa cosa –
rappresentano le cose nella misura in cui queste sono conformi alle idee. In questo modo si trovano
fondate la matematica e la morale, perché per essere vere non necessitano che il loro oggetto sia
esistente: che la giustizia è una virtù è vero anche se nessuno la pratica.
Per quanto riguarda le idee semplici, invece, la mente è passiva rispetto a esse, non può
costruirle in alcun modo. Quindi, «bisogna necessariamente che siano prodotto da delle cose che
agiscono naturalmente sulla mente». Esse hanno dunque tutte la conformità che possono e che
devono avere con le cose che esistono fuori di noi.
Resta infine il problema dell’esistenza. La nostra esistenza la conosciamo per intuizione.
L’esistenza di Dio la conosciamo per dimostrazione, applicando il principio di causalità al nostro io
contingente. La conoscenza delle cose materiali, infine, la conosciamo per sensazione. «Credo che
nessuno sia così seriamente scettico al punto da essere incerto dell’esistenza delle cose che vede e
che sente attualmente». Le qualità primarie esistono nelle cose così come le conosciamo. Le qualità
secondarie non esistono formalmente, sono soggettive, ma hanno un fondamento reale nelle cose
che in noi le producono.
Con questa critica, la conoscenza umana trova al contempo un fondamento e un limite. La
conclusione del Saggio è che bisogna lasciare da parte i problemi metafisici, che sono in solubili,
che abbiamo le certezze sufficienti per vivere, e che ciascuno deve rispettare la libertà d’opinione
dell’altro. Le Lettere sulla tolleranza trovano così una giustificazione.
Locke prolunga la sua dottrina liberale in un Saggio sul governo civile, nel quale si oppone
all’assolutismo di Hobbes. La società proviene sì da un contratto ma, lungi dal sopprimere i diritti
naturali degli individui, questo contratto ha per scopo di garantirli, perché essi consistono nella

4
Roger Verneaux Storia della filosofia moderna Locke

libertà e nella proprietà. Il solo diritto naturale che l’individuo cede allo Stato è quello di farsi
giustizia da sé.

Conclusione
«In filosofia, tra Platone e Locke non c’è nulla». Il Saggio sull’intelletto umano «è il solo
libro che contiene soltanto delle verità e nessun errore». Questi giudizi sono di Voltaire; non danno
un’idea molto bella del suo genio filosofico. Leibniz diceva: «Locke era provvisto di raffinatezza, di
destrezza e di una specie di metafisica superficiale ch’egli era capace di difendere». È più corretto,
benché non ci siano tracci di metafisica in Locke. L’unica cosa che si trova è l’abbozzo di una
critica, e una prima formulazione, ancora timide, dell’empirismo. Il punto più debole del Saggio è
indubbiamente la teoria della sensazione. Locke è ancora convinto che le idee semplici provengano
dalle cose e le rappresentino, ma questo realismo mal si coniuga con il principio di immanenza.
Perché se l’unico oggetto della conoscenza è l’idea non abbiamo modo alcuno di sapere se l’idea è
conforme alla cosa. Berkley e poi Hume vedranno meglio la portata del principio e non avranno
paura di affermarne le conseguenze logiche.

Tratto da : Roger Verneaux, Histoire de la philosophie moderne, pp. 111-118, 196818, Paris, Beauchesne, trad. S.
Cansella

[Il liberalismo di Locke]


Roger Verneaux non ha approfondito questo aspetto capitale e focale del pensiero di Locke.
Il liberalismo andrà quindi studiato dal libro, pagine da 402 a 409.

Potrebbero piacerti anche