PREMESSA
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Riguardo il primo aspetto, in Italia durante il ‘700, il problema che impegnò
maggiormente i teorici, immersi in pieno clima illuministico che poneva in primo
piano la ragione e la parola quale unico tramite per giungere ad essa, fu la riforma del
melodramma e quindi i rapporti tra musica e poesia.
Interessante, a riguardo, appare l’opera di alcuni letterati, teorici musicali e musicisti
quali: il letterato Algarotti, i due gesuiti spagnoli teorici musicali Arteaga ed
Eximeno, il compositore e teorico musicale Padre Martini e il musicista Manfredini.
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Antonio Eximeno y Pujades (1729-1808)
Più giovane del Martini di una generazione, sperava di ottenere da quest’ultimo
l’approvazione ufficiale al suo volume Dell’origine e delle regole della musica, ma
questi non solo gli negò l’approvazione, ma riscontrò in esso idee e principi
totalmente opposti ai suoi che generarono uno scambio polemico tra i due.
L’Eximeno è, infatti, nutrito di cultura enciclopedica e, pertanto, le regole della
musica si fondano sul piacere uditivo e non sulla matematica e la musica stessa ha
una comune matrice con il linguaggio, mentre padre Martini rappresentava la difesa
delle regole come fondamento della musica.
L’OPERA A NAPOLI
Premessa
L’opera in musica fu introdotta a Napoli a metà del XVII secolo.
Il viceré spagnolo conte d’Oñate fece venire da Roma una compagnia nomade di
cantanti, i Febi Armonici, i quali presentarono l’opera Didone di Cavallli, alla quale
seguì, l’anno dopo, L’Incoronazione di Poppea di Monteverdi. Nel 1654 fu aperto al
pubblico il teatro S.Bartolomeo.
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Francesco Provenzale (1627 ca.-1707)
Primo operista napoletano fu un musicista di solida formazione tradizionale. Visse
nella città natale, ove fu prima insegnante nei conservatori di S.Maria di Loreto e
della Pietà dei Turchini, poi maestro della cappella reale. Fu tra i primi cultori del
genere melodrammatico a Napoli. Egli rimaneggiò alcune opere veneziane e ne
compose altre. A noi sono pervenute: Il schiavo di sua moglie e Stellidaura
vendicata.
Oltre alla conoscenza del teatro monteverdiano, esse rivelano il gusto per il poetico e
una vivacità comica di stampo popolare.
I Conservatori Napoletani
Intanto i “quadri” dei compositori e dei cantanti, si andavano formando in 4
orfanotrofi che erano chiamati “ Conservatori”.
Essi portavano nomi suggestivi: “ dei Poveri di Gesù Cristo”; “ della Pietà dei
Turchini”; “ di S.Maria di Loreto” e di “S.Onofrio a Capuana”. Essi furono le prime
istituzioni pubbliche in Europa destinate alla formazione professionale dei musicisti.
Erano nati durante il secolo XVI come istituzioni caritative assistenziali con il nobile
proposito di raccogliere l’infanzia abbandonata e gli orfani. Per integrare le entrate
della beneficenza , i “figlioli” ospitati partecipavano alle cerimonie di culto, celebrate
con l’accompagnamento della musica e del canto, nelle chiese cittadine, e queste
prestazioni rese necessario fornire loro una, non rudimentale, educazione nel canto e
nella musica. Queste esigenze stimolarono, tra il 1620 e il 1650, l’istituzione,
all’interno dei Conservatori, di vere scuole di musica le quali a poco a poco assunsero
una definita fisionomia didattica in quanto si insegnavano il canto, gli strumenti a
fiato e ad arco, il clavicembalo e il contrappunto.
La rapida crescita ed affermazione di quella che fu chiamata “ la scuola napoletana”
ha il maggior punto di forza nell’azione proprio in questi 4 Conservatori e
nell’impegno che vi profusero i maestri che vi erano designati.
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Alessandro Scarlatti (1660-1725)
Si espresse in tutti generi della musica vocale, senza trascurare la musica strumentale.
La sua importanza storica è definita dal collocarsi nel punto di separazione tra l’opera
veneziana del XVII secolo e l’opera seria del XVIII secolo.
Con la copiosa produzione di opere che si susseguirono in 40 anni di attività, a
cavallo tra il Sei e il Settecento, egli fissò gli elementi e i caratteri dell’architettura
musicale che sarebbe servita da modello agli operisti di almeno due generazioni.
Inoltre, con le numerose opere composte per Napoli e per la cui esecuzione radunò i
migliori cantanti disponibili, egli portò questa città a dividere, con Venezia, il ruolo
di capitale dell’opera.
Nato a Palermo, svolse la maggior parte della sua attività artistica a Napoli e a Roma.
A Roma era arrivato a 12 anni per compiere gli studi musicali e qui compose la prima
opera Gli equivoci nel sembiante ( 1679). Nel 1684 si trasferì a Napoli. Fu nominato
maestro della cappella reale, ma si fece apprezzare soprattutto per le opere che
componeva. Motivi vari di insoddisfazione lo indussero nel 1702 a lasciare Napoli.
Dopo un breve soggiorno a Firenze, presso il principe Ferdinando III dei Medici,
riprese la Strada di Roma. La vita musicale romana era in quegli anni particolarmente
felice: vi operavano Corelli e Pasquini e vi soggiornò anche il giovane Händel. Nel
1707, Napoli passò dalle mani degli Spagnoli a quelle degli Austriaci. Nuovo viceré
fu nominato il cardinale Vincenzo Grimani della celebre famiglia patrizia veneziana,
il quale convinse Scarlatti a ritornare a Napoli. A Napoli egli trascorse il resto della
sua vita ed ivi morì. Furono suoi allievi il figlio Domenico e J.A.Hasse.
Nella sua copiosissima produzione il primo posto spetta alle opere, anche perché
l’attività di compositore teatrale fu quella che assorbì tanta parte del suo ingegno
creativo. Scrisse effettivamente 66 opere nuove ( ma solo di 34 ci è giunta la musica
completa). Di esse 45 furono rappresentate per la prima volta a Napoli, 14 a Roma, 5
vicino Firenze. Tra le più importanti si citano: la citata Gli equivoci nel sembiante; La
statira che è l’ultima fatica teatrale; Il trionfo dell’onore, una delle prima commedie
in musica; La Griselda.
Lasciò anche una copiosa produzione in altri generi vocali e strumentali tra cui si
ricordano: 26 scenate e cantate; 811 cantate ad 1 a 2 voci con basso continuo; 7
oratori in latino; 38 oratori in italiano, composti in prevalenza per Roma, ma anche
per Napoli e Firenze ( l’Oratorio per la passione di nostro Gesù Cristo; La Vergine
addolorata; Il trionfo della S.S. Vergine); 13 messe, alcune con strumenti; 72
mottetti, salmi, inni e composizioni varie; 7 sonate per flauto ed archi, concerti e
sonate.
Le forme adoperate da Scarlatti sono le stesse che egli aveva ereditato dalla
tradizione ( l’aria, il recitativo, gli interventi orchestrali, il basso continuo).
L’aria si stabilizza nella forma detta “col da capo”, procedimento quest’ultimo già
introdotto da Antonio Cesti nelle precedenti opere veneziane ma oggetto di maggiore
sviluppo musicale durante il Settecento. Il da capo doveva servire soprattutto ai
cantanti castrati per mettere in luce le loro doti vocali. La struttura di questo tipo di
aria era abbastanza semplice: le prime 2 parti (A e B), oggetto di elaborazione
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musicale con l’inserimento anche di ritornelli strumentali, si adattavano a 2 strofe
poetiche ben distinte con 2 motivi melodici diversi; dopo la seconda parte (B) veniva
ripetuta la prima (A) e qui il cantante si esibiva con fioriture e improvvisazioni.
Il recitativo si era ormai ridotto, verso la fine del Seicento, al cosiddetto recitativo
secco, accompagnato dal solo basso continuo. Scarlatti, tuttavia, spesso sostiene le
voci con altri strumenti d’orchestra: si tratta di ciò che normalmente viene detto
recitativo accompagnato. Ma un più ricco uso di strumenti, via via che passano gli
anni, Scarlatti lo adotta anche nell’accompagnamento delle arie.
L’orchestra è ormai definitivamente basata sugli strumenti ad arco, ma per gli effetti
speciali vengono anche impiegati i fiati: trombe, flauti, oboi, fagotti. L’uso
dell’orchestra diventa particolarmente significativo nella sinfonia introduttiva che
all’inizio della produzione scarlattiana adottava varie possibilità di struttura. A partire
dagli anni del’ 700 il modello prevalente diventa quello “ dell’ouverture all’italiana”
che consiste in un allegro iniziale seguito da un adagio e da un brillante movimento di
danza conclusivo.
L’opera buffa
Un fatto di grande importanza fu la messa in scena di “ opere buffe”, alcune in
dialetto napoletano, avvenuta all’inizio del secolo. Essa segnò il tramonto
dell’inclusione di scene comiche nelle opere di argomento serio e preparò la
demarcazione in 2 generi: l’opera seria da una parte e l’opera buffa dall’altra.
Nelle opere buffe erano messe in scena vicende plausibili, di ambiente borghese.
All’opera buffa si dedicarono all’inizio musicisti di modesta levatura e la sua
affermazione richiamò l’interesse di musicisti di maggior ingegno che determinò, da
quel momento, la piena fortuna del genere.
Le sedi teatrali napoletane che ospitavano opere buffe furono diverse da quelle
dell’opera seria. Fu inizialmente il teatro dei Fiorentini e ad essi si aggiunsero, nel
1724, il teatro Nuovo e il Teatro Del Fondo.
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I primi musicisti napoletani che si affermarono dopo Alessandro Scarlatti furono
Feo, Porpora, Vinci, Leo e Pergolesi.
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Giovan Bttista Pergolesi (1710-1736)
Artisticamente superiore ai precedenti, nacque a Jesi e morì nel convento dei
Cappuccini di Pozzuoli dove si era ritirato per curare una grave tisi.
Iniziati gli studi nella città natale, li proseguì a Napoli nel Conservatorio dei Poveri di
Gesù Cristo. Appena conclusi gli studi, ebbe modo di cimentarsi con il teatro vivendo
e operando sempre a Napoli, se si esclude una breve parentesi romana.
Il grande successo postumo riscosso a Parigi nel 1752 dal suo intermezzo La serva
padrona (rappresentato per la prima volta nel 1733 all’interno dell’opera Il
prigioniero superbo) su libretto di Gennaro Antonio Federico, sembrò aprire nuove
aspettative al teatro musicale: in quella che era allora la città più intellettualmente
viva d’Europa il pubblico vi scoprì maggior vivacità, sottigliezze psicologiche
sconosciute alle opere serie italiane e francesi. Ne nacque un “caso” , “la Querelle des
Buffons”, (che coinvolse i difensori della tradizione francese, fra cui Rameau, e gli
enciclopedisti, fautori dell’opera buffa italiana) e sull’onda dell’entusiasmo generale
a Pergolesi fu attribuita la paternità di molte composizioni di teatro, sacre e
strumentali.
Fortunatamente le ricerche avviate nel 1949 dall’inglese Frank Walker consentirono
di svelare moltissime false attribuzioni e di ridimensionare il catalogo delle sue
produzioni autentiche. Esso comprende soprattutto opere di teatro musicale: 1) la
commedia musicale Lo frate’ nnamorato; 2) Il Prigioniero Superbo di librettista
anonimo tra i cui atti erano inserite le due parti dell’intermezzo La serva padrona; )
Adriano in Siria, su libretto di Metastasio tra i cui atti erano inserite le 2 parti
dell’intermezzo Livietta e Tracollo; L’Olimpiade; la commedia musicale Il Flaminio.
Lasciò anche musica sacra : 2 Oratori, Messe, e il famoso Stabat Mater per due voci
femminili e archi, composto poco prima di morire. Allo Stabat si può avvicinare il
Salve Regina in do minore, il più tardo dei due rimasteci.; in queste composizioni
Pergolesi lasciò numerosi esempi di purezza stilistica e di ricchezza inventiva. Dagli
studi più recenti risultano inoltre 4 sonate ( due per organo, una per violoncello, una
per violino continuo), l’oratorio La Fenice sul rogo ovvero La morte di S.Giuseppe, 2
messe, alcune cantate e solfeggi.
I contrassegni originali della musica pergolesiana sono la dolcezza e la malinconia
che traspare dall’invenzione melodica. Nel genere buffo mostrò, inoltre, una grande
maestria nel caratterizzare le varie situazioni. La sua Serva Padrona costituisce,
infatti, una tappa fondamentale nell’evoluzione del teatro musicale in quanto con essa
l’intermezzo si elevò a opera buffa vista anche la perfezione delle arie della breve
partitura che costituì un modello per i decenni a venire.
Tra gli operisti napoletani delle generazioni che seguirono l’età dei Porpora, Leo
Pergolesi, quelli che acquistarono maggiore fama furono Jammelli e Traetta, oltre
naturalmente Piccinni, Paisiello e Cimarosa dei quali si parlerà con riguardo all’opera
sentimentale.
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Niccolò Jommelli (1714-1774)
Nato ad Anversa e morto a Napoli, grazie alla protezione del marchese G.B.d’Avalos
poté far rappresentare la prima opera, L’Errore amoroso. Il successo gli aprì le porte
dei teatri di Roma, Bologna, Venezia, Vienna. A Vienna. In quest’ultima città
conobbe Metastasio e, entrando in contatto con l’ambiente che auspicava la riforma
del melodramma, diede origine ad opere quali Achille in Sciro, Catone in Utica nelle
quali mirò ad una coesione fra musica e testo poetico superiore a quella riscontrabile
nei melodrammi precedenti.
Il periodo più fulgido della sua attività fu quello trascorso a Stoccarda, quale maestro
di cappella di Karl Eugen duca di Wüttemberg. Per assecondare il gusto eclettico del
duca, combinò insieme la drammaturgia metastasiana e quella francese, immettendo
liberamente nella struttura dell’opera italiana cori, brani d’insieme, balli e dando
rilievo alle parti strumentali ed agli accompagnamenti.
Con Jommelli e Traetta siamo ormai ai limiti del gusto e dell’estetica metastasiana.
L’uno e l’altro, venuti, infatti, a contatto con ambienti più esigenti di quello della
patria napoletana, sperimentarono tipi di opera che tendevano a forzare i limiti delle
rigide strutture elaborate da Metastasio. Cosicché, negli ultimi 30 anni del secolo,
cioè nell’epoca di Piccinni, Paisiello, Cimarosa, i testi predisposti da Metastasio
venivano ancora musicati, ma dovevano subire rifacimenti e adattamenti mentre,
negli anni Novanta, essi sono ormai decisamente in declino e vengono sostituiti da
nuovi modelli, in gran parte di provenienza francese.
L’opera sentimentale
Una fase evolutiva dell’opera buffa è rappresentata dall’opera sentimentale o
commedia sentimentale o “larmoyante”. Essa pretende di ritrarre la realtà com’è, cioè
mista di comico e di serio, lasciando parte larghissima al patetico, al malinconico,
escludendo la grossolana e convenzionale esuberanza farsesca. Tra gli autori più
importanti si ricordano:
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Nicolò Piccinni (1728-1800)
Nato a Bari e morto a Passy, alle porte di Parigi, iniziò gli studi con il padre e li
completò a Napoli con Leo. Esordì in teatro con un’opera buffa, Le donne dispettose.
A poco più di 30 anni scrisse il suo capolavoro, “ La Cecchina o La buona figliola su
libretto di Goldoni. Nell’opera, primo esempio di commedia sentimentale, si rivela
una mescolanza di grazia e spontaneità. Alla fine del 1776 si trasferì a Parigi, in
quanto era stato chiamato dai sostenitori del gusto italiano, per contrastare il
crescente successo di Gluck il quale propugnava un tipo teatro in cui la musica fosse
a stretto servizio della poesia, mentre nel modello italiano accadeva il contrario.
Scoppiata la rivoluzione francese, Piccinni perdette il posto a corte e nel 1791 tornò a
Napoli ma poco dopo rientrò a Parigi dove morì.
L’OPERA A VENEZIA
Premessa
Per tutto il XVIII secolo la città lagunare rimase il più vivo centro musicale dell’Italia
Settentrionale. La “macchina” teatrale infatti continuava a girare a Venezia come e
più che nel secolo precedente. I teatri continuavano ad essere un’attività
imprenditoriale lucrosa in mano ad alcune delle famiglie più illustri: 1) i Grimani
(possedevano il S. Mosè e avevano sostituito il teatro dei Santi Giovanni e Paolo con
il teatro di S.Giovanni Grisostomo,); 2) i Tron (che possedevano il S.Cassiano), i
Cappello ( che possedevano il S.Angelo).
C’era, inoltre, concorrenza tra i vari teatri e in alcuni di essi si allestivano solo opere
serie, mentre in altri si rappresentavano anche opere buffe.
I teatri veneziani producevano annualmente spettacoli operistici in numero molto
maggiore che in ogni altra città. Si pensi che tra il 1700 e il 1743 furono rappresentate
in tutto 432 opere diverse. Vi erano bene accolti i maestri forestieri, soprattutto
napoletani, e le loro opere erano ospitate nei vari teatri. Porpora, Jommelli, Traetta,
Sacchini e Cimarosa soggiornarono anche lungamente a Venezia, composero per i
suoi teatri e assunsero anche la funzione di maestri negli Ospedali.
Principali operisti
Tra gli operisti Veneziani se ne devono ricordare almeno due: Vivaldi e Galuppi.
COMPOSITORI D’OLTRALPE
La fortuna goduta dell’opera italiana durante il XVIII secolo presso pubblici di ogni
ceto e condizione è testimoniata dalla sua trionfale diffusione nei teatri di corte e
pubblici d’Italia e di molti parti d’Europa. Molti compositori stranieri scrissero,
infatti, opere in stili italiani. Tra essi, il musicista più integrato nella concezione
dell’opera settecentesca italiana fu un tedesco.
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Johann Adolf Hasse (1699-1783)
Allievo di Alessandro Scarlatti, mise in musica quasi tutti i libretti di Metastasio e
nelle circa 60 opere teatrali si dimostrò uno dei più validi esponenti dell’opera
napoletana, impiegando frequentemente il recitativo drammatico e dedicando attente
cure all’accompagnamento orchestrale.
Considerato il massimo esponente dello stile dell’opera seria italiana del Settecento,
fu uno dei compositori più prolifici del suo tempo: scrisse oltre 50 melodrammi, 11
oratori, moltissima musica sacra e lavori strumentali in genere. In tutte le sue
composizioni si trova una grande abilità nel fondere la severità di linguaggio appresa
in Germania con la vena melodica tipica dell’opera napoletana.
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