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Sommario
Sommario ....................................................................................................................................... 1
1. Premessa ................................................................................................................................ 2
1.1.1. Descrizione dei requisiti prestazionali certificati dalla barriera EPFM 5.000, ............. 9
6. Strumentazione di monitoraggio............................................................................................. 19
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Via della Gabbia n° 7 - 06123 Perugia - Tel. +39 075 5731708 – Fax +39 075 5736689 ISO9001/2008
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Relazione tecnica generale Progetto Esecutivo
1. Premessa
Il presente progetto è redatto su incarico del Consorzio Triveneto Rocciatori il quale, con
Determina Dirigenziale 1924 del 16.07.2015, è risultato aggiudicatario dell'appalto integrato
relativo agli interventi per la prevenzione dei rischi idrogeologici componente frane. Difesa
dell'abitato di Cesi IX° stralcio, II° lotto.
Visto quanto sopra, questa fase progettuale è stata sviluppata sulla base del progetto definitivo
formulato in sede di gara e sulla scorta delle prescrizioni formulate dagli enti competenti in sede di
conferenza dei servizi svoltasi in data 1 settembre 2015.
2. Scelte progettuali
Come indicato nei precedenti stralci funzionali, le pendici sovrastanti l’abitato di Cesi, sono
soggette ad un continuo degrado dovuto alle azioni tettoniche, all'attività carsica, all'influenza della
vegetazione e degli agenti esterni le quali hanno causato frane di crollo di volumetria
considerevole. In particolare nell’ottobre 1987 si è verificato un crollo dalle pendici sovrastanti la
parte sud orientale di Cesi, che portò al distacco di un masso di volumetria 20-25 metri cubi che
arrivò a lambire il muro di recinzione dell'istituto Peticca adibito ad asilo.
A seguito di questo crollo il Professor Canuti dell'Università di Firenze, per conto della Protezione
Civile, in data 5 dicembre 1987 accertò lo stato di grave pericolo in cui sì trovava l'abitato di Cesi,
per le particolari condizioni geostrutturali e geomorfologiche delle pendici sovrastanti, le quali
facevano presagire ulteriori distacchi di massi di elevata volumetria, che ad oggi non risulta che si
siano fortunatamente verificati.
E’ comunque aumentata la frequenza dei crolli, che come dimostrano i distacchi di blocchi litoidi
che si sono verificati durante i lavori dell’ VIII° Stralcio, possono mettere a rischio l’incolumità degli
operatori.
Sulla base di quanto indicato nel progetto preliminare, di quanto emerso durante i sopralluoghi e gli
studi, in sede di redazione del definitivo, si è scelto di approfondire e sviluppare l’idea progettuale a
base di gara senza stravolgere le tipologie di intervento. Alla luce di quanto illustrato dal Geologo
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Comunale, il presente stralcio segue la pianificazione degli interventi eseguita dal Prof. Canuti nel
’87 andando prima a proteggere l’abitato con barriere paramassi poste sopra alla strada di
accesso all’eremo per intervenire in maniera attiva in parete al fine di prevenire il distacco del
materiale.
Per quanto sopra, il progetto preliminare a base di gara prevede la realizzazione di un tratto di
barriera paramassi in allineamento con quanto realizzato in somma urgenza, per poi eseguire la
messa in sicurezza delle placche e creste rocciose soprastanti.
Vista la morfologia della parete e considerata la potenziale instabilità dei massi descritti nella
relazione geologica si è scelto, in sede di redazione del definitivo, di integrare le scelte progettuali
sviluppate nel progetto preliminare con le seguenti opere integrative:
- Realizzare di n.1 ulteriore barriera paramassi nella porzione basale del canalone presente
nella zona A4 in zona arretrata rispetto al ciglio per garantire una cortina di mimetizzazione
naturale costituita dalle alberature esistenti;
- Ottimizzazione del diametro e della protezione delle chiodature con realizzazione di nicchia
per alloggio della teste.
- Sostituzione del classico pannello in fune con il rafforzamento corticale attivo costituito
dal'esclusivo metodo DM 40 sviluppato e impiegato esclusivamente dal Consorzio
Triveneto Rocciatori, illustrato nei paragrafi successivi e descritto nei grafici di progetto;
3. Interventi di progetto
La filosofia dell'intervento proposto prevede di eseguire una efficace pulizia vegetazionale e
bonifica delle pareti rimuovendo e demolendo tutto il materiale di piccole/modeste dimensioni per
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poi procedere al consolidamento attivo delle superfici instabili cosi come illustrato nella relazione
geologica allegata al progetto.
Ove in corso d’opera a seguito delle preliminari operazioni di pulizia e bonifica si verificassero
condizioni geometriche o di vincolo significativamente diverse da quelle assunte nel presente
progetto sarà cura dell’impresa riferire tali aspetti alla DL che, se ritenuto necessario, proporrà la
redazione della perizia di variante. I sottoscritti Progettisti si rendono ovviamente disponibili alla
progettazione della suddetta variante.
Preliminarmente all'effettiva esecuzione dei lavori si prevede di eseguire la bonifica del versante al
fine di ottenere un livello di sicurezza tale da garantire la presenza in sicurezza delle maestranze.
L’intervento di disgaggio viene effettuato da squadre di rocciatori abilitati da idoneo attestato che
muovendosi lungo le pareti appesi a funi, per mezzo di leve a mano o martinetti idraulici,
“disgaggiano” i volumi oggetto di intervento. Durante questo intervento, gli operatori raccoglieranno
dati sullo stato della roccia, sulle fessure ecc. che dovranno essere sottoposti alla Direzione dei
Lavori per valutare l'efficacia degli interventi previsti ed
eventualmente disporre opere in variante.
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Come illustrato con la sequenza fotografica, l’intervento consiste nel mettere in condizioni di
sicurezza provvisoria il masso per consentire agli operatori di eseguire le perforazioni e l'iniezione
di malta espansiva.
Una volta avvenuta la disgregazione si provvederà alla demolizione della roccia mediante l'uso di
leverini o martinetti se necessario. Successivamente si provvederà ad allontanare il materiale
secondo le indicazioni di capitolato.
Al fine di garantire la protezione ambientale dovrà essere usata opportuna cautela nell’utilizzo delle
malte espansive, esclusivamente entro idonee calze in materiale plastico, per la loro raccolta al
termine dell’intervento.
Dall'esame dello stato dei luoghi e dalla verifica del discendimento dei massi eseguita è emerso
che al fine di ridurre gli effetti di un eventuale crollo proveniente dalla porzione di monte della zona
A4 è opportuno mettere in opera una barriera paramassi aggiuntiva a valle del canalone presente
tra le due creste sommitali. Quest'opera consente di arrestare da subito i massi evitando che
questi aumentino sensibilmente l'energia a seguito del volo lungo la porzione di parete sub
verticale (zona A3).
Per mitigare gli effetti ambientali, questa barriera verrà installata circa 20 metri prima del cambio di
pendenza, cosi da non modificare la cortina verde esiste che è in grado di mascherare
perfettamente quest'opera, rendendola invisibile da valle.
Viste le energie dei massi sia in questa porzione che a valle della zona A1, considerate le ipotesi
progettuali e la volontà di fornire un'opera a limitato onere di manutenzione, si è previsto di
installare una barriera con alto rendimento in termini di dissipazione di energia. A tal fine si
utilizzerà una barriera paramassi del tipo EPFM 5.000, prodotta dalle officine Maccaferri, che è
in grado di dissipare energia cinetica fino a 5.500 kJ (MEL) e 1.784 kJ in condizioni di servizio
(SEL), valore maggiore rispetto alla massima energia ottenuta in fase di simulazione di caduta
massi pari a 1.660 kJ (vedi relazione di calcolo).
Questa condizione permette di affermare che la barriera che verrà impiegata è in grado di
arrestare il masso di progetto senza subire danni tali da mettere fuori servizio la barriera.
Si precisa che la barriera paramassi prevista è caratterizzata dai seguenti requisiti minimi:
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3) in grado di superare una prova di impatto MEL con energia => al 100% (= 5.500 kJ), senza
subire danni;
4) in grado di superare due prove di impatto SEL, senza eseguire riparazioni, con energia => 1/3
di MEL, senza subire danni (energia superiore a quella sviluppata dal masso di progetto);;
6) la deformata massima (misurata al momento della massima estensione) non superiore a 6,00
metri;
8) le prove devono avvenire per caduta libera, velocità non inferiore a 25m/s;
9) devono essere misurate le forze agenti su tutti i punti di fondazione, comprese le forze di
taglio e compressione alla base del montante;
10) il certificato comprende una specifica dichiarazione sul corretto funzionamento della
barriera ed è privo di condizioni e/o riserve, e le prestazioni di cui sopra risultano
direttamente dal certificato crash-test.
La barriera paramassi prevista corrisponde al mod. EPFM 5.500 avente classe di assorbimento
di energia N. 8 = 5.500 kJ, certificata sulla scorta di prove in vera grandezza eseguite
secondo le modalità tecniche previste da ETAG 027 e in possesso di benestare tecnico
europeo ETA n. 14/0268 e certificato CE n. 1301-cpr-1023.
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Il campo prove a caduta verticale, di proprietà del Consorzio Triveneto Rocciatori di Fonzaso (BL),
dove vengono effettuati i test delle barriere di Officine Maccaferri, è stato allestito in località Agana
in Comune di Fonzaso (BL). Il campo a caduta verticale è conforme a quanto previsto da ETAG
027.
Il sito si trova immerso in un'area pianeggiante con una parete rocciosa già naturalmente
caratterizzata da una inclinazione pressoché ortogonale rispetto all'orizzontale. Sulla parete
rocciosa, ad una altezza di 31,50 m dal piano di campagna è stato installato un braccio di
sollevamento in acciaio. Il braccio, collegato a terra mediante un giunto a cerniera, può muoversi
grazie ad un argano di brandeggio, mentre un argano di sollevamento consente di elevare il blocco
di prova fino all'altezza desiderata e posizionarlo in modo tale da poter impattare con precisione in
un punto prestabilito dei pannelli di rete da testare sottostanti.
Il braccio consente il sollevamento di un blocco di prova dal peso di oltre 200 kN, fino all'altezza di
79,0 m rispetto al piano di campagna. La barriera da testare viene posizionata, in parete verticale,
ad una quota di circa 12,0 m., ed è costituita da un modulo funzionale formato da tre campate con
interasse tra i montanti pari a circa 10,0 m.
I tiranti della barriera sono collegati al terreno mediante ancoraggi, in fune o in barre dywidag, dalla
resistenza minima ciascuno maggiore di 500 kN.
Tutti i punti di fondazione della barriera sono dotati di strumenti idonei alla misurazione delle forze
agenti sulle fondazioni. La barriera è dotata inoltre di dispositivi idonei a misurare le forze di
compressione e taglio trasmesse alla base del montante, requisito esclusivo delle barriere
della Maccaferri.
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Ogni singolo evento viene completamente registrato da almeno tre telecamere ad altissima
precisione, di cui una ad alta velocità di ripresa, posizionate con diversa angolazione.
I filmati vengono utilizzati anche per la verifica del punto di impatto, per il rilievo della massima
deformazione (prima del ritorno elastico), del tempo di frenata e della velocità di impatto. Per la
rilevazione esatta della velocità d'impatto (dato essenziale per il calcolo della energia assieme alla
massa del blocco) l'impianto è stato dotato di un misuratore di velocità a sensori laser.
I blocchi di prova, di dimensioni variabili in relazione alle energie di prova, sono confezionati in
cemento armato e la loro geometria è quella di un poliedro di forma conforme alle norme ETAG
027.
In aggiunta a quanto previsto dalle Linee Guida ETAG 027, sono state certificate anche ulteriori
prove, consistenti in prove di impatto successive alla prova alla massima energia senza eseguire
riparazioni, e le prove con piccoli corpi di lancio al fine di verificare la resistenza alla perforazione
della rete, come indicato dalle Direttive svizzere.
1.1.1. Descrizione dei requisiti prestazionali certificati dalla barriera EPFM 5.000,
Tutti i test, come detto, sono stati eseguiti in un campo prove a caduta verticale, senza che ci sia
stato alcun contatto del blocco di prova con il terreno. Tale approccio garantisce che l’energia del
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masso, al momento dell’impatto, oltre che essere assorbita esclusivamente dalla barriera senza
contributi di altri elementi non ben definibili (impatto con il terreno), possa essere anche facilmente
verificata sia in via teorica che sperimentale.
Come previsto dalle Normative, viene certificato che la barriera EPFM 5.000, è stata in grado di
resistere all’impatto di un blocco dotato di energia superiore a 5.000 kJ (Prova 1 - MEL - Energia
effettiva = 5.500 kJ). La barriera ha assorbito inoltre una ulteriore quota di energia potenziale
corrispondente a 802 kJ, PERTANTO L’ASSORBIMENTO TOTALE DI ENERGIA È DI 6.302 KJ.
Durante la prova non sono stati riscontrati rotture o danni a nessun componente del sistema.
Conformemente a quanto previsto da ETAG 027, la barriera EPFM 5.000 è stata sottoposta
anche al ciclo di prove SEL con energia cinetica di 1.784 kJ in entrambe le prove, senza
che, tra le prove, sia mai stato eseguito alcun intervento di sistemazione, riparazione o
sostituzione di elementi della barriera, dimostrando di superare positivamente anche questa
successione di impatti. Il manufatto ottempera pertanto, con un miglioramento del livello
energetico delle prove (1.667 kJ > 1/3 · 5.000 kJ) alla prescrizione progettuale.
Al fine di verificare la perforabilità della rete di intercettazione sono state eseguite delle prove
dinamiche di perforazione con massi di dimensioni ridotte (effetto proiettile) con velocità
superiore a 25 m/s. Le prove di perforazione hanno registrato l’arresto dei massi e l’impatto non
ha procurato danni alla struttura di intercettazione.
Le prove non sono previste da ETAG 027, ma sono invece indicate dalle “Linee Guida per
l’omologazione delle reti paramassi” del UFAFP-WSL Svizzero.
La barriera EPFM 5.000, è stata sottoposta anche ad alcune prove in cui era previsto che il
masso andasse ad impattare direttamente sul montante.
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A tal fine la soluzione di posizionare della barriere nei canaloni presenti nell'area di intervento
risulta estremamente interessante sia dal punto di vista della sicurezza pubblica anche in termini di
funzionalità e durata dell'intervento.
Vista la morfologia dei canaloni sono state individuate n.4 posizioni in cui installare delle speciali
barriere paramassi che si possono installare all'interno dei canaloni che normalmente sono le zone
che veicolano verso valle i massi di maggiori dimensioni.
Queste opere hanno la caratteristica di adattarsi estremamente bene alla morfologia dei luoghi in
special modo ove si ha la presenza di un impluvio particolarmente stretto, come nella condizione
che è stata riscontrata.
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Le barriere della serie RMC DF possono essere installate su qualsiasi tipo di terreno, sia in pendi
aperti, sia in avvallamenti con morfologia molto accidentata. La loro configurazione geometrica
consente di ridurre le forze agenti e quindi di minimizzare le opere di fondazione. Ove presenti i
montanti, la piastra di base è fondata per mezzo di barre d'acciaio o micropali.
I componenti della struttura sono realizzati in modo da ridurre i danni da impatto e minimizzare le
difficoltà di manutenzione. I montanti, che hanno la primaria funzione di sostenere le funi oriz-
zontali superiori, sono svincolati dalla rete; essi possono quindi essere omessi qualora la struttura
sia posta a chiusura di canali con piccola ampiezza, ancorando direttamente lo schermo alle
sponde dell'impluvio.
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Le funi di controvento sono attrezzate con sistemi di dissipazione d'energia al fine di minimizzare
l'effetto dell'impatto sui montanti.
La rete primaria è realizzata con rete ad anelli. Speciali pannelli possono essere installati sui lati
per chiudere spazi liberi sui fianchi del canale.
Nello specifico realizzando questo tipo di intervento si ottiene il duplice risultato di avere una
efficace stabilizzazione del masso ed al contempo ottenere la completa mitigazione dell'impatto
ambientale in quanto le teste di ancoraggio verranno alloggiate all'interno di nicchie realizzate
all'interno del profilo della roccia e richiuse con la stessa roccia in sito, cosi da rendere
praticamente invisibile l'intervento.
- Chiodature di piccolo diametro realizzate con barre in acciaio tipo Gewi Plus Ø 20 mm
istallate all'interno di perforazioni Ø 40 mm;
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- Chiodature di medio diametro realizzate con barre in acciaio tipo Dywidag Ø 26,5 mm
protette con guaina corrugata in materiale plastico e iniezione realizzata all'interno di calza
in TNT, istallate all'interno di perforazioni Ø 90 mm;
Per ottenere una idonea protezione della barra è previsto di impiegare una guaina in H.D.P.E.
corrugata per tutta la lunghezza della barra cosi da formare un efficace barriera di protezione della
stessa barra dalla corrosione.
Anche la testa di ancoraggio risulta efficacemente protetta dalla corrosione in quanto incassata
all'interno di nicchie che verranno completamente intasate con malta cementizia per formare una
efficace barriera contro l'infiltrazione di acqua e degli aventi corrosivi.
In merito agli ancoraggi che saranno sottoposti a monitoraggio geotecnico si prevede di installare i
sensori all'interno della nicchia, valutando in fase di esecuzione la modalità di mitigazione di
queste chiodature.
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Di seguito si riportano le foto scattate sulle barriere subito a monte di questo tratto dove si osserva
che il pannello risulta sospeso e non raggiunge il terreno.
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Figura 9 - Foto dei varchi presenti sotto alle barrire esistenti. Purtroppo l'abbondante vegetazione
presente non ha dato la possibilità di scattare foto migliori.
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Grazie a questo dispositivo, andando a serrare la piastra integrativa posizionata nelle zone
depresse, si riesce ad imprimere una azione contenitiva che permette al pannello di fasciare e
trasmettere una forza attiva di contenimento alla porzione di roccia instabile.
Il miglioramento dell'aderenza del pannello permette di ridurre l'impatto visivo in quanto il pannello
si maschera efficacemente con l’ambiente circostante. Inoltre, al fine rendere impercettibile questo
intervento si offre di utilizzare delle funi verniciate in grigio opaco, cosi da eliminare il potere
riflettente dell'acciaio zincato.
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Le legature dei massi verranno eseguite utilizzando funi ad anima metallica (AMZ) rivestite con
Lega Zn 95% e Al 5% secondo Norme UNI EN 10244 e UNI EN 10264-2 classe A e ulteriormente
protette con un involucro in plastica di colore grigio che oltre a garantire ulteriormente la
durabilità della fune, ne garantisce anche la mitigazione ambientale. La durabilità delle funi con
questa speciale tipologia di rivestimento è garantita per oltre 120 anni.
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6. Strumentazione di monitoraggio
Nel presente progetto è prevista la realizzazione di n.2 diversi sistemi di monitoraggio:
Quest’ultimo in parte è già stato installato nei precedenti stralci funzionali e con il presente progetto
viene arricchito di alcune strumentazioni da installare nell’area di intervento ed altre da mettere in
opera nello stralcio VI per rendere uniforme e compatibile tutta la strumentazione esistente.
Al fine di offrire un sistema affidabile e pienamente compatibile con quanto installato si è scelto di
avvalersi della collaborazione della ditta GESTECNO di Castel Raimondo (MC) che ha già curato
l'installazione della strumentazione presente nell'area.
Per approfondimenti in merito a questa strumentazione si rimanda alle relazione sugli impianti rif.
14026RIMP-PD00-- e alla relazione sulla gestione della sicurezza 14026RSICPD00--.
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L’area ove sorge la parete di Cesi si trova nel comune di Terni e geologicamente è inserito nelle
estreme propaggini meridionali della catena montuosa dei Monti Martani che separa i due rami
della Valle Umbra, il graben del Tevere ad Ovest e il graben Spoletino Folignate ad Est, ove nel
Plio-Pleistocene si trovava il lago Tiberino, il più grande e profondo lago che l'Italia centrale abbia
mai ospitato nel corso della sua storia geologica, che si estendeva da Nord a Sud lungo tutta
l'Umbria, da Città di Castello a Spoleto, e da Perugia fino a Terni.
Dai ripidi versanti degli Appennini, ruscelli e torrenti portarono acqua verso questa depressione,
alimentando una rete di fiumi che scorrono lungo la valle laterali.
I fiumi si allargano, si intersecano fra loro e si uniscono, fino a diventare un vero e proprio lago,
che percorre longitudinalmente tutta la nostra regione. Nel momento della sua massima
estensione, all'incirca 1,5 milioni di anni fa, pare che il lago abbia avuto in certi punti del suo ramo
occidentale delle profondità abissali.
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La catena montuosa dei Martani è costituita da una anticlinale a sommità piatta (tipo box fold) con
nucleo in Calcare Massiccio e localmente (zona di Acquasparta) in alcuni termini marnosi Triassici,
ed è delimitata ad ovest da una seria di faglie bordiere che hanno dato origine al graben della valle
Tiberina, mentre il fianco orientale risulta rovesciato e sovrascorso sui termini più recenti della
Marnosa Arenacea.
La struttura anticlinalica dei Monti Martani è derivata dalla fase compressiva Tortoniano-
Messiniana (circa 10 milioni di anni fa), che ha causato l’innalzamento della catena Appenninica.
Tali spinte tettoniche aventi direzione Ovest-Sud Ovest hanno causato l’innalzamento, il
piegamento ed il rovesciamento del fianco orientale delle formazioni rocciose di origine marina
depositatesi nell’ampio periodo compreso tra il Triassico e l’Eocene e costituite principalmente da
calcari e calcari marnosi, con subordinati episodi marnosi.
Successivamente nel Pliocene e nel Quaternario l’intero gruppo montuoso è stato interessato da
una intensa fase distensiva (rigetti Anche di 600-1000 m) che ha generato una serie di depressioni
tettoniche nella zona occidentale e meridionale della struttura e quindi la successiva formazione
delle vaste aree pianeggianti e pedemontane colmate da depositi continentali (di età compresa tra
2 e 4 milioni di anni) prodotti dall’erosione fisico-chimica degli agenti atmosferici e dall’azione delle
acque di scorrimento superficiali.
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7.2. Strutture
D.M. 14.01.2008: “Norme tecniche per le costruzioni” emesse ai sensi delle leggi
05.11.1971, n. 1086, e 02.02.1974, n. 64, così come riunite nel Testo Unico per l’Edilizia di
cui al D.P.R. 06.06.2001, n.380, e dell’art. 5 del decreto legge 28.05.2004, n. 136,
convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 27.07.2004, n. 186 e ss. mm. ii.
Circolare 2 Febbraio 2009, n. 617: “Istruzioni per l’applicazione delle Nuove norme tecniche
per le costruzioni di cui al D.M. 14 Gennaio 2008”.
7.3. Interferenze
Le opere previste in progetto non presentano interferenze negative con l’ambiente circostante, al
contrario mitigano il rischio di crollo ed i relativi effetti sulle strutture.
Le uniche interferenze ipotizzabili sono quelle relative alle limitazioni di fruizione dell’area
dell’eremo durante l’esecuzione degli interventi in parete. Tale limitazione sarà ridotta al minimo e
grazie alle misure di mitigazione proposte dall’impresa scrivente.
Il progetto di IX stralcio va ad interessare un’area che sovrasta l’abitato di Cesi, a monte dell’eremo
di Sant’Onofrio, ad una quota compresa tra i 550 ed i 710 m slm., la situazione dello stato attuale
dei luoghi, relativamente alle componenti naturali del paesaggio indagato, è caratterizzata da due
diverse morfologie:
2. una morfologia acclive, con versanti connotati dalla presenza di vegetazione sia di
alto fusto che di cespugli nonché erbacea, in cui l’esistenza di essenze sempreverdi
(leccio) caratterizza in modo univoco l’ambito.
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L’immagine che si rileva è quindi quella di una forte naturalità del territorio, dovuta alla massa del
rilievo del Monte Maggiore.
Gli insediamenti, salvo alcuni casi di addensamento lungo le direttrici della viabilità principale,
hanno principalmente caratteri di ruralità, caratteri confermati dalle strutture per allevamento e di
corredo all’attività agricola.
Scarsi se non del tutto assenti, i tratti del paesaggio agricolo (seminativi, vigneti, prati etc.) ed
anche quelli del reticolo idrografico superficiale.
La preponderanza paesaggistica degli elementi naturali è alta e, come già accennato, realizza la
dominante del complessivo paesaggio in cui il progetto interviene.
Gli elementi del paesaggio antropico presenti all’interno dell’area di studio attengono unicamente
al complesso edilizio dell’Eremo di Sant’Onofrio e alla viabilità di collegamento tra l’abitato di Cesi
e lo stesso Eremo.
Per quanto attiene agli aspetti percettivi, intesi come rapporti visivi tra i luoghi in questione ed i
recettori sensibili, essendo questi aspetti rilevanti per l’intervento in esame, sono indagati e trattati
in un apposito capitolo della relazione paesaggistica a cui si rinvia [cfr. § 5.6 della specifica
relazione].
Deve comunque essere sin da ora chiaro che la visibilità degli interventi, da cui discende la
percezione, risulta fortemente caratterizzata dalla morfologia dell’area e dalla limitatissima
possibilità di percepire le opere progettate. Si sottolinea infatti come per dimensioni, materiali e
forme le opere in progetto non comportano una particolare modifica delle situazioni paesaggistiche
presenti.
Relativamente al primo punto le presenze storiche sono date dall’Eremo di S. Onofrio, complesso
monastico sviluppatosi intorno al 1500, abbandonato nel 1870 dopo l’unità d’Italia, utilizzato anche
come colonia montana nei primi anni del 1900 ed ora interessato da un recupero dopo molti anni di
abbandono.
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Per quanto attiene alla presenza di ambiti a forte valenza sociale e simbolica, oltre al citato Eremo,
non risultano ulteriori beni che possano essere ascritti a tali categorie.
Infine, per quanto attiene alle tessiture territoriali storiche, i riscontri effettuati non hanno
evidenziato la presenza di una significativa rete di viabilità storica, con l’unica eccezione data dalla
strada di collegamento tra Cesi e l’Eremo.
Vista del paesaggio del Monte Maggiore sullo sfondo e dell’Eremo di San Onofrio in primo piano.
- l'esecuzione dei lavori venga effettuata al di fuori del periodo di riproduzione della fauna
selvatica e della fauna ornitica da 1 febbraio a1 31 luglio;
- vengano salvaguardati gli esemplari arborei di leccio presenti sulla parete rocciosa;
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Al fine di valutare il rischio residuo a seguito dell'ultimazione degli interventi del presente stralcio è
stata seguita la procedura contenuta nell'allegato alle NTA del PAI denominata "Procedura di
individuazione, delimitazione e valutazione delle situazioni di rischio da frana".
Considerando le definizioni contenute nel citato quaderno si ritiene che nell'area di intervento (A2,
A3, A4 cosi come indicato nella GIN02) l'Intensità e la Frequenza del rischio frana non risultano
ridotte in quanto le masse instabili contenute nell'area di intervento verranno consolidate, ma non è
possibile escludere che ulteriori massi possano cadere da aree situate a monte dell'area di
intervento (zone comprese nella perimetrazione R4). E' quindi possibile affermare che la
Pericolosità non subisce variazioni.
P = f (F,I)
dove:
F = frequenza;
I = intensità;
In merito agli aspetti legati alla Vulnerabilità, definita come probabilità che un elemento a rischio
subisca un danno al verificarsi di una frana di intensità nota, nulla è cambiato.
V = f (E,Q)
dove:
A seguito delle valutazioni sopra riportate, la procedura prevede di definire i livelli di Rischio
Specifico per ciascuno degli elementi a rischio (beni). Per quanto sopra, considerando che non
risultano ridotte le variabili P e V, il Rischio Specifico non risulta ridotto.
Rs = f (P,V)
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dove:
P = pericolosità;
V = vulnerabilità;
Definite le condizioni di rischio specifico per i beni, è possibile definire la classe di Rischio Totale
attraverso le regole riassunte nella tabella 7 dell'allegato PAI sopra richiamato, la quale risulta
sostanzialmente immutata.
Figura 15 - tab. 7 Regole per l’attribuzione dei livelli di rischio previsti dall’Allegato Tecnico alla Legge 267/98
- estratto PAI ""Procedura di individuazione, delimitazione e valutazione delle situazioni di rischio da frana"
Considerato che sono stati eseguiti solo alcuni degli stralci previsti nella pianificazione degli
interventi eseguita dal Prof. Canuti nell'87 e nel progetto generale redatto nel 1988 dall'Ing.
G.Tordelli, si ritiene che un declassamento generale dell'area può essere condotto solo una volta
completato l'intervento "generale.
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