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339
Agostino Portera
Manuale
di pedagogia interculturale
Risposte educative nella società globale
Editori Laterza
© 2013, Gius. Laterza & Figli
www.laterza.it
Edizione
1 2 3 4 5 6
Anno
2013 2014 2015 2016 2017 2018
Stampato da
Martano editrice srl - Lecce (Italy)
per conto della
Gius. Laterza & Figli Spa
ISBN 978-88-593-0007-6
verifica critica nella pratica, altrimenti «la teoria diviene un semplice ‘blah, blah,
blah’ e la pratica puro attivismo».
Manuale di pedagogia interculturale
Parte prima
Globalizzazioni e pedagogia interculturale
I.
Novità e crisi del terzo millennio:
serve ancora la pedagogia?
1. Nuove sfide
rapidi fra popoli distanti tra loro, grazie alla tecnologia dei me-
dia, all’aumento dei fenomeni migratori mondiali e delle società
multietniche, con conseguenti intrecci e commistioni culturali che
trasformano valori e norme tradizionali sia nei Paesi di partenza,
sia in quelli di arrivo (Suarez-Orozco, Qin-Hilliard 2004, p. 14).
Accanto ai cambiamenti, le globalizzazioni producono anche
profonde crisi. Innanzitutto, è evidente la crisi sul piano econo
mico-finanziario. Nonostante molti economisti considerino la glo-
balizzazione ed il libero mercato come strada maestra per lo svilup-
po e la crescita (Bhagwati 2002; Feldstein 2002), molti altri (Stiglitz
2002; Sen 2006) sono critici, considerandoli alla base dell’aumento
dell’iniquità e della povertà nel mondo. Per favorire un maggior
equilibrio nelle condizioni dei diversi Paesi e per garantire la stessa
sopravvivenza degli esseri umani, alcuni, come S. Latouche (2007),
propongono persino di avviare una nuova fase di decrescita. Sul
piano politico, la crisi si palesa soprattutto nel paradosso di voler-
dover gestire fenomeni sempre più globali e interdipendenti con
l’ausilio di politiche a carattere locale o nazionale. A parere di alcu-
ni politologi lo Stato nazionale «presto sarà obsoleto» (Boyer 1996,
p. 29). Perciò occorrerà iniziare a governare i fenomeni globali
(produzione, distribuzione dei beni, inquinamento, guerre) rista-
bilendo la centralità della politica sull’economia.
Sicuramente uno dei piani maggiormente toccati dalla crisi è
quello culturale. Per cultura si intende qui ciò che permette a un
dato gruppo di riconoscersi, tracciando dei limiti fra sé e gli altri,
stabilendo un certo ordine, distinguendo gli avvenimenti inelut-
tabili sia da quelli probabili o improbabili, sia da quelli impossi-
bili. All’interno di un gruppo culturale si costruiscono scale di
valori, leggi e regole da rispettare, obiettivi da raggiungere. In
forza di ciò, la cultura, mediante l’attività del distinguere, clas-
sificare, segregare, tracciare confini, compie costantemente il
«miracolo» di evocare l’ordine dal caos (Bauman 2000). Nell’era
della globalizzazione non è difficile scorgere una profonda crisi
culturale. Specie nei Paesi fortemente industrializzati, il mondo è
sempre più concepito come il luogo dell’instabilità, privo di una
coerente direzione, teso allo spontaneismo, all’imprevedibilità e
all’incertezza. Fra i valori più ricercati vi è la «liquidità», ossia
«la capacità di muoversi rapidamente e senza preavviso», di non
legarsi in modo stabile e definitivo a un Paese, a una famiglia, a un
I. Novità e crisi del terzo millennio: serve ancora la pedagogia? 11
2. Risposte pedagogiche
2 Fra i tanti filoni non menzionati per motivi di spazio vi sono, per esempio, il
1. Epistemologia
culture ad entrare in contatto tra loro. Tale contatto avviene in contesti sociali
dove i rapporti tra gruppi e persone sono condizionati da congiunture politiche
(colonialismo), economiche (migrazioni), sociali o culturali (media).
34 Parte prima. Globalizzazioni e pedagogia interculturale
costituisca uno dei punti cardini dell’ideologia razzista. In Francia tale ideo-
logia rappresenta il tipo compiuto della radicalizzazione della differenza: essa
II. Cifre epistemiche e sviluppo della pedagogia interculturale 35
tesi secondo la quale la cultura è una forza talmente caparbia che l’individuo ne
costituisce solo un veicolo o uno strumento passivo.
II. Cifre epistemiche e sviluppo della pedagogia interculturale 37
tolleranza e il rispetto tra gli alunni, in alcuni casi rafforzando la lotta contro il
razzismo e la xenofobia; 2. la dimensione internazionale, che dovrebbe render
capaci di comprendere l’attuale diversità culturale nel suo contesto storico
e sociale; 3. la dimensione europea, che dovrebbe consentire agli alunni di
sviluppare un senso di identità europea» (trad. mia).
II. Cifre epistemiche e sviluppo della pedagogia interculturale 57
niera, che il governo tedesco ha stipulato per primo con l’Italia il 22 dicembre
1955, la Spagna e la Grecia (1960), la Turchia (1961), il Portogallo (1964) e la
60 Parte prima. Globalizzazioni e pedagogia interculturale
Uniti negli anni Sessanta per rivendicare i diritti delle minoranze, oggi servireb-
bero principalmente a nascondere i veri problemi della popolazione immigrata,
che spesso non sono di natura culturale, ma soprattutto di natura sociale, eco-
nomica e politica (cfr., ad esempio, Taguieff 1985, pp. 69-98; Perotti 2003, pp.
27-64).
72 Parte prima. Globalizzazioni e pedagogia interculturale
2. Competenze comunicative
2
Per le indicazioni bibliografiche dei modelli citati più avanti si rimanda a
tale testo.
III. Competenze interculturali 81
3
Per le indicazioni bibliografiche delle scale presentate si rimanda a tali
testi.
III. Competenze interculturali 83
tue) e non dell’o (o le mie ragioni o le tue). Per attuare tale stra-
tegia è necessario individuare i fatti che suscitano il conflitto ed
essere disponibili a discutere per superarlo; identificare i propri
bisogni e scopi e cosa si vuole dell’altro; confrontarsi discutendo
sul problema e non sulla persona; comprendere le ragioni dell’al-
tro; ricercare soluzioni che diano vantaggi ad entrambe le parti;
inventare soluzioni creative; trovare un accordo il più possibile
soddisfacente per tutti. Un’altra modalità efficace, secondo i due
autori, è la controversia: sviluppare tesi opposte su un argomento,
formando gruppi diversi, discutendo, scambiandosi le posizioni,
cercando il consenso mediante posizioni nuove e creative. Per
l’applicazione in contesto educativo familiare, si rivela efficace
anche il metodo del negoziato (Arielli, Scotto 1998, pp. 181-184).
E. Arielli e G. Scotto distinguono fra due modalità di negoziato:
quello distributivo (win-lose), dove la sconfitta di una parte costi-
tuisce la vittoria per l’altra, e quello integrativo (win-win), dove
vincono entrambe le parti. Solamente il secondo, che permette di
trasformare il contenuto del conflitto in maniera nuova e creativa,
integrando aspetti cooperativi, presenta effetti positivi durevo-
li, che si potenziano positivamente nel tempo. Quindi, piuttosto
che reprimerli, è necessario apprendere a riconoscere e gestire i
conflitti nella maniera più adeguata tramite strategie propriamen-
te umane: oltre alle suddette, anche la mediazione, il cooperative
learning, il coaching (per approfondimenti cfr. Portera, Dusi 2005;
Portera 2006).
Non solo per la gestione dei conflitti ma per un sano sviluppo
della persona e delle relazioni interpersonali, a mio parere, fra le
competenze interculturali necessarie rientrano il riconoscimento
e la gestione delle emozioni. Il concetto di emozione deriva dal
latino movere, muovere, e da e, indicante movimento da: impulso
ad agire. Oggi sono intese come «valutazioni sugli avvenimenti,
con cui definiamo la loro rilevanza sulla scorta dei geni, delle espe-
rienze individuali e della società» (Oatley 2004, p. 64). A parte
l’eredità del mondo animale, circa 1,9 milioni di anni fa l’homo
erectus ha affinato il vivere in grotta, il difendersi dalle prede,
l’accendere il fuoco, lo sviluppare armi per catturare animali, il
cuocere cibo e condividerlo. Tutti questi aspetti hanno generato
un forte sbalzo nella gestione delle emozioni. Ad esempio, la pau-
ra serviva ad interrompere l’azione, esaminare il pericolo e poi
III. Competenze interculturali 91
3.2. Riflessioni
Per concludere, mi piacerebbe aggiungere una riflessione critica
su molti programmi di training in intercultural competences. In-
nanzitutto, alla luce di come sono stati precedentemente definiti i
concetti pedagogici (par. I.2), non è mai possibile ridurre l’educa-
zione in termini di training (che rimanda all’addestramento, spesso
sportivo): sarebbe più opportuno parlare di formazione (Bildung)
o educazione che attiene tutta la persona. Sul piano scolastico-
educativo enfatizzare la metodologia e l’acquisizione di tecniche
(come avviene nei numerosissimi corsi offerti in tutto il mondo e
sempre più anche in Italia), ad esempio, per promuovere lezioni
aperte, lavori di gruppo, competenze comunicative, anche inter-
culturali, rischia di non considerare opportunamente sia aspetti
pedagogici inerenti la teleologia (finalità), sia elementi ineludibili
della singola persona umana. Sicuramente ogni insegnante e ogni
alunno necessitano di migliorare la propria cultura comunicati-
va e relazionale, ma la modalità rimane altamente incerta. Da un
lungo filone di ricerche nel settore delle scienze dell’educazione
(Giddens 1998) emerge che ha poco senso un percorso di training
(spesso attuato in poco tempo e con lo stress della misurazione
tramite pre e post-test), ma è necessario includere tali metodi di
apprendimento e di lavoro direttamente nella realtà quotidiana,
ossia in classe durante il programma regolare. A molti studenti
serve a poco sperimentare tecniche, se poi non sono considerate le
loro peculiarità (preconoscenze, disagio, deficit, svantaggio socia-
le, crisi) e non avvengono significativi cambiamenti al loro interno
(sviluppo di tutta la persona). A mio parere oggi si rischia di attua-
re uno dei paradossi di cui avvertiva P. Watzlawick (1983, pp. 27-
32): una persona cercava le proprie chiavi sotto un lampione e alla
domanda se le avesse realmente perse lì rispondeva «no, ma qui c’è
luce e ci vedo meglio». L’attenzione esagerata ai metodi scientifici
di misurazione delle competenze interculturali non può condurci
a sottovalutare tempi, modalità e luoghi preposti. Le competenze,
anche quelle interculturali, attengono a tutta la persona umana,
sono difficilmente disgregabili in singole parti e seguono tempi e
vie diversi da quelli della misurazione tramite test.
Alla luce di tutto ciò, è necessario continuare a riflettere e svi-
luppare tale filone: occorre riconoscere limiti e trappole, superare
94 Parte prima. Globalizzazioni e pedagogia interculturale
frasi del tipo «vai in camera e ritorna quando hai smesso di pian-
gere», oppure, peggio ancora, «se piangi non ti voglio più bene».
I genitori dovranno essere consapevoli che il modo in cui trattano
i loro figli, il clima relazionale instaurato in famiglia, avranno per
questi ultimi conseguenze profonde e durevoli sulla vita emotiva,
sullo sviluppo di tutte le intelligenze e sulla salute psichica2.
In ambito domestico è necessario muovere dalla consapevo-
lezza che non esistono emozioni buone o cattive, l’importante è
l’alfabetizzazione: imparare a riconoscerle, per capire ciò che il si-
stema limbico del cervello vuole comunicarci rispetto a una situa-
zione, per poi interpellare le altre aree del cervello (es. razionalità,
neocorteccia) e del corpo (imparare ad ascoltare le sensazioni di
tutto il corpo). Solo alla fine di tale «concerto» polifonico è pos-
sibile decidere come gestirle nella realtà esterna. A tal fine, sono
di forte aiuto la capacità di riflessione e autoesplorazione; grazie
a ciò magari potremmo comprendere di non essere «per natura
buoni o cattivi», ma dei poliedri: un giorno, in una situazione,
prevalentemente mostriamo una certa faccia, ma possiamo anche
cambiare o celarne tante altre. Ecco la potenzialità educativa: por-
gere l’attenzione al cambiamento, alla potenzialità di sviluppo e
crescita dinamica. Emozioni e sentimenti come l’amore, la gelosia,
il senso di colpa, la paura, il rimorso, la rabbia, ma anche la spe-
ranza, la felicità, la sicurezza possono capovolgere i lati evidenti
del poliedro.
Fra tutti i sentimenti, in base alla mia esperienza di ricerca e
clinica, vorrei ribadire l’importanza dell’amore, della gratitudine
e del perdono3. In famiglia diviene più che mai necessario educa-
re a scoprire il senso della vita, cogliendone non solo gli aspetti
2 La madre che allatta di notte nervosa e irritata, pensando alla lite con il
2. Didattica interculturale
2
Come supporto per gli insegnanti esistono numerosi progetti che promuovo-
no la mobilità di insegnanti e di alunni in Paesi diversi a cui l’insegnante può attin-
132 Parte seconda. Interventi pedagogici interculturali
libri di testo a scuola (nelle immagini e nel linguaggio) rimando a una precedente
ricerca (Portera 2000).
V. Pedagogia interculturale a scuola 137
2
Per G. Mazzini (1941, p. 263) «le nazioni sono gli individui dell’umanità
come i cittadini sono gli individui della nazione».
152 Parte seconda. Interventi pedagogici interculturali
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Indice
Introduzione v
Parte prima
Globalizzazioni e pedagogia interculturale
I. Novità e crisi del terzo millennio: serve ancora
la pedagogia? 5
1. Nuove sfide, p. 5 - 1.1. Globalizzazioni e interdipendenza, p.
5 - 1.2. Neoliberismo, neopositivismo e postdemocrazia, p. 7 -
1.3. Società multiculturali: cambiamenti e crisi, p. 8 - 2. Risposte
pedagogiche, p. 13 - 2.1. Educazione come risposta alle crisi eco-
nomica, politica e culturale, p. 13 - 2.2. Bisogno di pedagogia, p.
18 - 2.3. Correnti di pedagogia generale: personalismo, proble-
maticismo, empirismo, p. 21 - 3. Dalla pedagogia generale alla
pedagogia interculturale, p. 24
Parte seconda
Interventi pedagogici interculturali
IV. Pedagogia interculturale in famiglia 97
1. Trasformazioni e famiglie multiculturali, p. 97 - 1.1. Cambia-
menti in seguito all’emigrazione e dinamiche familiari, p. 101 - 2.
Educazione interculturale in famiglia, p. 104 - 2.1. Formazione
interculturale, p. 106 - 2.2. Interventi e supporti concreti, p. 113
- 3. Competenze interculturali in famiglia, p. 115