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La locazio-conductio consentiva:
- Di assumere un impegno x il futuro, senza dovere effettuare una datio immediata
- Di concludere questi accordi anche tra cittadini romani e stranieri, o tra stranieri in
roma.
L’editto del pretore tutelava come locationes conductiones un certo numero di rapporti
giuridici accomunati dai seguenti tratti distintivi:
a) La bilateralità del contratto da cui questi scaturivano
b) L’obbligazione a mettere a disposizione una cosa o la propria persona x una data
finalità
c) Lo’obbligazione al pagamento di una merces, come corrispettivo dell’utile tratto dal
rapporto
d) L’individuazione del locatore nel contraente che metteva a disposizione una cosa e
del conduttore nel contraente che impiegava la cosa o che usufruiva delle
prestazioni lavorative messe a disposizione dall’altro
FINE DELLA LOCAZIONE Con la fine della locazione il conduttore doveva restituire la cosa
al locatore. La restituzione costituiva una delle obbligazioni del conduttore (l’altra
obbligazione era il pagamento della merces fino alla cessazione della locazione).
Per individuare il momento in cui il conduttore incorreva nella violazione dell’obbligo di
restituire la cosa, era necessario determinare con precisione la fine della locazione.
Se viceversa le parti NON avevano contrattualmente previsto una scadenza del rapporto
la locazione poteva cessare nei tempi previsti dagli usi locali, o per disdetta esercitabile
dall’uno o dall’altro contraente.
La morte di uno dei contraenti non scioglieva di regola gli obblighi e i diritti reciprochi, che
si trasmettevano agli eredi.
Inizialmente in caso di mancata restituzione della cosa alla scadenza del rapporto di
locazione, il conduttore era ritenuto responsabile (soltanto) per inadempimento
contrattuale, potendo il locatore esercitare l’actio locati x riavere la res.
Successivamente, la mancata restituzione del fondo assunse carattere di ILLECITO PENALE.
La somiglianza ravvisata tra i due contratti derivava soprattutto dal fatto che ad entrambi
era riconosciuta efficacia meramente obbligatoria.
I tratti distintivi stanno nel fatto che nell’emptio-venditio il potere di possedere liberamente
(l’habere licere) che il venditore doveva assicurare al compratore era un potere assoluto e
perpetuo; mentre nella locatio-conductio, il godimento della cosa da parte del conduttore
non implicava, per il locatore, la privazione definitiva del diritto di proprietà sul bene.
Disciplina della vendita della cosa locata: il principio secondo cui “la vendita scioglie la
locazione” non si applicava con assolutezza. Questo principio indica che colui il quale
acquistasse dal locatore una cosa locata poteva pretendere dal conduttore la consegna
della res anche prima della scadenza del termine del rapporto di locazione previsto dal
contratto. Al conduttore però era riconosciuto il diritto di esercitare l’actio conducti nei
confronti del locatore, per inadempimento contrattuale.
I giureconsulti consigliarono a chi volesse vendere una cosa già locata, di concordare con
l’acquirente il rispetto, da parte di quest’ultimo, del preesistente contratto di locazione;
questo patto però aveva effetto solo tra le parti, e qualora l’acquirente non lo avesse
onorato il conduttore non poteva fare altro.
Questo schema giuridico si poneva come una eccezione alla regola, costituita piuttosto
dallo sfruttamento degli schiavi. Con la locatio-operarum si faceva il primo passo verso una
nuova e diversa concezione del lavoro, quale attività economicamente valutabile in base
alla quantità e qualità delle prestazioni effettuate.
Dal contratto di Locatio conductio operarum nascevano le stesse azioni derivanti dalla
locatio rei:
il locatore poteva esperire l’ACTIO LOCATI nei confronti del conduttore (datore di lavoro),
il datore di lavoro aveva a disposizione l’ACTIO CONDUCTI per fare valere le proprie
pretese verso il prestatore di lavoro.
LOCATIO OPERIS: IN BASE ALLA LOCATIO OPERIS IL LOCATORE DOVEVA PRESTARE UNA
RES di sua proprietà(UNA MATERIA PRIMA) AD UN LAVORATORE SPECIALIZZATO O AUN
IMPRENDITORE (CONDUTTORE) e il CONDUTTOR SI OBBLIGAVA A RAGGIUNGERE UN
DETERMINATO RISULTATO MEDIANTE LA PROPRIA ATTIVITA’ LAVORATIVA, LAVORANDO O
TRASFORMANDO LA RES, IN CAMBIO DI UN CORRISPETTIVO (merces), per poi RESTITUIRE
LA COSA AL LOCATORE o alla persona da questo indicata.
Si ricorreva alla c.d. locatio operis quando si consegnavano, per esempio agli scultori blocchi
di marmo da trasformare in statue.
Erano in qualche maniera riconducibili allo schema della locazione anche alcuni accordi su
prestazioni intellettuali o di livello artistico: (p.es.) un artista poteva assumere il ruolo di
conductor nel momento in cui si obbligava a decorare o affrescare le pareti di una stanza.
Atteneva alla materia della locazione anche il contratto di trasporto marittimo, relativo
all’affidamento a un capitano di un dato quantitativo di merci da trasportare mediante
navigazione marittima. Lo schema locativo rilevava in relazione all’ipotesi delle avarie
marittime: problematica sentita particolarmente dai Romani per la frequenza con cui si
manifestavano naufragi e sinistri marittimi.
Il principio dal quale muoveva la disciplina era che tutti, armatori e cacciatori, avessero un
interesse comune alla salvezza della nave e delle res da questa trasportate. Ciò detto, si
riteneva che i proprietari delle merci caricate sulle navi, il capitano (magister navi) e
l’armatore (exercitor navis) instaurassero tra di loro un regime di comunione, in ordine al
rischio di perdita delle merci. Era sulla base di tale communio che si regolava la
contribuzione dei danni. Ma, le azioni con cui ciascuno poteva fare valere le proprie pretese
nei confronti degli altri non erano le ‘azioni divisorie’, bensì l’actio locati e l’actio conducti.
Se, avendo paura di un naufragio, il magister navi avesse ordinato di gettare in mare parte
delle merci caricate per alleggerire la nave, sui proprietari delle merci che non erano stateb
gettate in mare gravava l’obbligo di risarcire i proprietari delle merci distrutte.
Il danno si divideva proporzionalmente tra tutti gli interessati.
Ad armatore e capitano era inoltre riconosciuto dal pretore uno ius ritentionis (diritto di
ritenzione) sulle merci salvate, fino a quando i proprietari di queste non avessero pagato la
somma di danaro corrispondente alla quota di danno posta a loro carico.