Il principio di legalità, in materia penale, nello spazio giuridico europeo/ nella prospettiva europea, assume un volto,
delle caratteristiche del tutto nuove rispetto al modo in cui esso è concepito nella prospettiva statale-nazionale.
Ciò almeno per due ragioni:
- innanzitutto perché la legalità penale non si fonda sul primato della lex parlamentaria, così come è concepito
nell’ordine giuridico interno, ma su una pluralità di fonti normative;
cioè non si fonda sull’assunto che la legge sia l’unica fonte delle norme penali, ma abbiamo una pluralità di fonti normative.
- ed inoltre perché nel contesto europeo si riconosce ai giudici, diversamente da quanto accade
nell’ordinamento interno, il potere di creare norme penali e quindi si riconosce alla giurisprudenza il ruolo di
fonte del diritto penale. => quindi questo diritto penale giurisprudenziale è concepito non più come il
risultato del tentativo fatto dalla giurisprudenza di attentare al monopolio legislativo in materia penale, ma
esso è visto come il prodotto di una necessaria attività di completamento e di concretizzazione delle
fattispecie penali fatta dal giudice.
Tuttavia esso, almeno nell’ordinamento italiano, non è parificabile in toto al diritto penale legislativo, avendo
questo una forza creativa e una legittimazione, in fora della procedura democratica, superiore rispetto alla
pronuncia del giudice.
Il diritto dell’UE e il sistema normativo facente capo alla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo hanno inciso, avuto
riflessi sul diritto penale italiano. E ciò è stato possibile in virtù degli art:
- 10
- 11
- 117 della Costituzione.
…
Il monopolio della legge statale nella determinazione dei confini delle condotte punibili e del relativo trattamento
sanzionatorio è sempre più eroso da fonti sovranazionali: in particolare, da norme dell’Unione europea e, in misura
minore, dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dalla sua interpretazione ad opera della Corte di Strasburgo.
Ci si chiede se gli atti dell’UE 1 e se le norme adottate dal Consiglio d’Europa (in particolare la CEDU) possano costituire
fonte di norme incriminatrici.
Con riguardo all’Unione Europea, va detto che l’Unione Europea non ha alcuna competenza diretta2 in materia penale,
il che significa che non ha una competenza a creare norme incriminatrici direttamente applicabili nei diversi Stati-
membri.
Tuttavia molti sono i modi attraverso cui gli organi europei e la normativa dell’Ue incidono, influiscono sul diritto
penale interno.
Innanzitutto, per l’analisi del rapporto tra Unione Europea e diritto penale, ed in particolare dell’incidenza della
normativa prima comunitaria e poi dell’UE sul diritto penale, è necessario porre l’attenzione sull’ Art 83 del Trattato di
Lisbona (TFUE), entrato in vigore nel 2009,
il quale attribuisce agli organi istituzionali europei una vera e propria competenza, sia pure indiretta, a creare
norme penali /incriminatrici:
1. in sfere di criminalità particolarmente grave e aventi dimensione transazionale: ad es. in materia di
terrorismo, di tratta degli esseri umani e sfruttamento sessuale delle donne e dei minori, di traffico
illecito di stupefacenti, di traffico illecito di armi, riciclaggio di denaro, di corruzione, di criminalità
informatica e criminalità organizzata.
1
Già si anticipa con riferimento alle disposizioni normative emanate dagli organi dell’UE che si ritiene che queste
possano contribuire alla specificazione dei precetti penali, delle fattispecie incriminatrici, sia comportare la
disapplicazione della norma penale di diritto interno contrastante con quella di fonte UE, in virtù del primato del
diritto comunitario, per cui la norma comunitaria deve sempre prevalere sulla norma dell’ordinamento interno.
Si esclude però che la normativa europea possa creare direttamente, essere fonte di norme penali, in sostanza
introdurre norme penali negli ordinamenti interni.
2
La competenza di introdurre direttamente fattispecie penali incriminatrici nei singoli ordinamenti.
DIRITTO PENALE
2. Allorché il ravvicinamento delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri in materia
penale si rivela indispensabile per garantire l'attuazione efficace di una politica dell'Unione in un settore
che è stato oggetto di misure di armonizzazione. Ciò significa che il Parlamento Europeo ed il Consiglio
possono emanare direttive allo scopo di rendere più omogenee e simili le normative degli stati in materia
penale in relazione ai settori interessati dalle misure di armonizzazione comunitarie.
L’atto normativo attraverso cui si esercita tale competenza, attraverso cui l’Unione delibera è la direttiva.
La competenza dell’Unione Europea in materia penale è, quindi,
- settoriale
- ed indiretta: indiretta perché affinché le fattispecie incriminatrici previste dall’Unione siano recepite
nell’ordinamento italiano occorrono leggi nazionali di attuazione delle direttive.
Ciò che impedisce il riconoscimento in capo agli organi istituzionali europei di una piena e diretta competenza in
materia penale è il principio di riserva di legge in materia penale 3 e il deficit democratico, la mancanza di
legittimazione democratica alle norme penali sovranazionali.
Le norme incriminatrici, dal momento che sono quelle che maggiormente limitano la libertà individuale, invece
richiedono una legittimazione democratica ampia e sebbene il Trattato di Lisbona preveda oggi la cd procedura di
codecisione (che attribuisce il potere deliberativo tra Consiglio, che ha solo una legittimazione democratica indiretta, e
Parlamento Europeo) che assicura una maggiore democratizzazione dei processi decisionali in ambito europeo, non
può dirsi sufficientemente assicurata la legittimazione democratica 4.
Potrebbe dirsi che, richiedendo le direttive europee, per essere introdotte nell’ordinamento interno, una legge di
attuazione deliberata dal Parlamento Nazionale, può considerarsi il principio costituzionale di riserva di legge in
materia penale.
Ma a ben vedere il principio risulta rispettato più nella forma che nella sostanza: dal momento che il poter la
normativa europea prevedere nuove figure di reato comporta in concreto che i parlamenti nazionali sono espropriati
del potere di prendere l’iniziativa nel settore della politica criminale nonché del potere di scegliere, di valutare ciò che
deve essere tutelato penalmente.
6.1.2
Ma ancora il diritto dell’UE può incide sull’applicazione giudiziale del diritto comunitario, in virtù del principio generale
che regola i rapporti tra Diritto dell’Ue e diritto nazionale, che è
il cd. principio del primato del Diritto dell’UE sul diritto interno: in virtù del quale la normativa dell’Ue è destinata a
prevalere sulle norme del diritto interno. Tale prevalenza si concretizza nella possibilità di una norma comunitaria di
provocare la disapplicazione di una norma interna, anche penale, se in contrasto con essa
Questa preminenza del diritto dell’UE sul diritto interno è stata riconosciuta da un importante decisione della
corte di Giustizia CEE (oggi UE), la quale ha sancito l’obbligo del giudice nazionale di applicare le disposizioni
del diritto comunitario e di garantirne l’efficacia disapplicando di propria iniziativa qualsiasi disposizione della
legislazione nazionale, anche posteriore, senza doverne chiedere o attendere la rimozione per via legislativa o
mediante procedimento costituzionale.
La Corte costituzionale ha riconosciuto tale preminenza, statuendo che “il regolamento comunitario prevale
sulla norma interna”.
3
Che attribuisce esclusivamente al Parlamento nazionale (e al Governo) la competenza a emanare norme penali
incriminatrici.
4
Quindi le fonti europee, gli atti normativi europei non possono creare fattispecie norme incriminanti direttamenti
applicabili negli Stati membri, dal momento che mancano di legittimazione democratica, nel senso che non possono
considerarsi espressione della sovranità popolare, dal momento che gli organi che legiferano sono privi di un mandato
di rappresentanza politica.
DIRITTO PENALE
Non vige, invece, per le direttive, le quali vincolano gli Stati al raggiungimento di determinati scopi, lasciando
agli Stati membri ampia discrezionalità circa la forma e i mezzi per attuarli. Proprio per questa loro
caratteristica, e direttive non sono suscettibili di essere applicate dal giudice interno, ove interferiscano in
qualche modo con la normativa comunitaria.
Secondo un orientamento ormai consolidato invece le c.d. direttive dettagliate o analitiche sono self-
executing.
[Si analizzino ora le principali forme di interazioni/ integrazioni tra norme di diritto dell’UE e diritto penale interno.
Tali interazioni possono produrre a seconda dei casi effetti riduttivi o effetti espansivi della punibilità.]
A) Quindi La forma più frequente di interazione si è manifesta nei casi di conflitto tra norme di diritto dell’UE e
Legge penale italiana.
In questo caso, laddove l’incompatibilità è evidente e la norma europea sia contenuta in un regolamento o in una
direttiva dettagliata, il giudice italiano è tenuto a disapplicare, non applicare la norma italiana in contrasto con
quella europea. E di fatto, accade spesso che le norme di diritto dell’Ue contrastino con norme penali nazionali ad
es perché riconoscono nuovi spazi o libertà nell’ambito della circolazione delle persone o del diritto all’esercizio di
determinate attività economiche.
Es: un giudice ha negato la configurabilità del reato di esercizio abusivo della professionale (ai sensi dell’art 348 del codice penale), nel caso di
un soggetto che aveva conseguito in Germania il titolo di avvocato e ciò perché la disciplina comunitaria prevede il libero esercizio della
professione di avvocato all’interno dello spazio europeo.
In questi casi la prevalenza del diritto dell’UE ha effetto limitativo o restrittivo del diritto penale interno.
B) Una seconda forma di interazione consiste nella possibilità che norme dell’UE concorrano a delineare i
presupposti di applicazione di fattispecie incriminatrici interne.
Questa possibilità per le fonti comunitarie di integrare le fattispecie incriminatrici interne è possibile a condizione
che esse non producano, in forma diretta ed immediata, effetti di incriminazione o di aggravamento della
responsabilità penale individuale dal momento che come si è detto l’UE non ha una competenza diretta in materia
penale ( cioè non può creare direttamente norme penali o modificare quelle interne).
Quindi, di certo ammissibile è l’ipotesi che un regolamento europeo specifichi o concretizzi da un punto di vista
tecnico uno o più elementi di fattispecie già definite nel loro nucleo essenziale dal legislatore nazionale. ( si tratta
di un’ipotesi analoga a quella di etero-integrazione delle fattispecie penale ad opera di fonti secondarie interne)
Discutibile/ contestabile è invece l’ipotesi in cui una norma sovranazionale si presti ad integrare elementi della
fattispecie incriminatrice con effetti espansivi della punibilità, a svantaggio dell’autore. Tali norme se considerate
legittime hanno appunto come effetto quello di estendere il diritto penale interno.
C) Una terza forma di interazione fa riferimento alla possibilità per l’interprete giudiziale o dottrinale di procedere
ad un’interpretazione conforme al diritto dell’UE: si tratta del canone ermeneutico in base al quale il giudice,
laddove possibile, è tenuto a scegliere tra le varie interpretazioni del diritto interno quella più conforme, più in
armonia con il diritto dell’UE.
L’interpretazione conforme è giustificata dal principio di leale collaborazione e fedeltà comunitaria.
Un tale tipo di interpretazione è configurabile nell’ipotesi di incompatibilità tra norme di diritto interno e norme
sovranazionali non ancora recepite (quindi non direttamente applicabili) o imperfettamente trasposte, introdotte
nell’ordinamento nazionale
Un tale tipo di interpretazione si ritiene:
- Legittima, almeno secondo la dottrina e la giurisprudenza, se ha come esito un effetto riduttivo della
punibilità e dunque se si tratta di interpretazioni in bonam partem , cioè a favore dell’imputato.
- È discutile la sua ammissibilità se tale interpretazione produce effetti espansivi della punibilità, dal momento
che in tal caso si tratta di interpretazioni in malam partem, cioè sfavorevole all’imputato, peggiorative della
sua condizione.
È senza dubbio più compatibile con la ratio del principio costituzionale di riserva di legge l’orientamento che
considera ammissibile l’interpretazione conforme di norme penali interne solo nei casi in cui ne derivino effetti
restrittivi della punibilità.
DIRITTO PENALE
Quanto all’incidenza sul diritto penale italiano delle norme adottate dal Consiglio d’Europa, ed in particolare di quelle
contenute nella Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e dei Protocolli addizionali, va detto che l’incidenza è
divenuta sempre più rilevante nel corso degli anni grazie all’importante ruolo assunto dalla Corte Edu di Strasburgo,
che viene ormai percepita come una sorta di giudice di ultima istanza per i casi di violazione dei diritti fondamentali.
Le norme CEDU:
-sono norme pattizie che pongono obblighi a carico dello Stato italiano, in quanto stato firmatario della Cedu.
-norme che, diversamente dalle fonti Ue, non hanno un effetto/ efficacia diretta e quindi non comportano
l’automatica disapplicazione da parte del giudice interno della norma nazionale con esse contrastanti.
È l’art 117 a giustificare la vincolatività delle norme Cedu rispetto all’ordinamento italiano: infatti esse non beneficiano
della copertura costituzionale dell’art 11, ma la norma costituzionale di riferimento è proprio l’art 117, comma 1 Cost.
In base al quale l’esercizio della potestà legislativa deve avvenire nel rispetto non solo della Costituzione, ma
anche dei vincoli derivanti dall’ordinamento europeo e degli obblighi internazionali.
È infatti tra gli obblighi internazionali di cui all’art 117, comma 1 che può annoverarsi l’obbligo di rispettare le norme
CEDU.
Si capisce perché allora esse costituiscono norme interposte, che fungono da parametro di costituzionalità, in quanto
la loro violazione da parte del legislatore determina una violazione indiretta dell’ art 117 comma 1 della Costituzione.
Le norme CEDU si collocano, nel sistema delle fonti, in una posizione intermedia tra la Costituzione e la legge
ordinaria, per cui può dirsi che hanno rango sub-costituzionale ma supra- legislativo.
Il giudice nazionale è tenuto ad interpretare le leggi penali interne in conformità alle norme CEDU e più
precisamente in conformità alle norme CEDU così come interpretate dalla giurisprudenza della Corte di
Strasburgo.
Nel caso in cui l’interpretazione conforme risulti incompatibile con il tenore letterale della disposizione
interna da applicare, non può procedere alla sua non applicazione, ma deve sollevare una questione di
legittimità dinanzi alla Corte Costituzionale della norma interna per violazione dell’art. 117 Cost, denunciando
cioè il possibile contrasto tra penale interna e art 117 cost.
Una differenza tra sistema CEDU e sistema UE che merita di essere menzionata è che:
mentre lo Stato italiano è vincolato al rispetto del diritto comunitario, per effetto della limitazione di sovranità che
questi ha volontariamente accettato in base all’art 11 cost., nei limiti in cui siano rispettati i principi supremi
dell’ordinamento costituzionale italiano (i quali fungono pertanto da controlimiti).
Lo Stato italiano è tenuto a conformarsi alle norme CEDU in base all’art 117 ma a condizione che queste non
contrastino con l’insieme delle norme della costituzione italiana.
Così come le norme europee non possono introdurre fattispecie incriminatrici nei singoli Stati, delineandone il
precetto e la sanzione, anche la Convenzione europea dei diritti dell’uomo non può incriminare determinate condotte
né prevedere le relative sanzioni, perché ciò contrasterebbe con il principio di legalità e di riserva di legge in materia
penale.
Quindi, per quanto riguarda gli effetti concreti che il diritto europeo e le norme Cedu possono produrre sul diritto
penale interno:
Il primo effetto che la CEDU ha avuto sull’ordinamento penale nazionale è stato quello di assicurare una più efficace
protezione dei diritti fondamentali dei soggetti coinvolti nelle vicende penalmente rilevanti (es indagati, imputati,
vittime) in primo luogo sul terreno del processo penale e poi nell’ambito del diritto penale sostanziale.
DIRITTO PENALE
a) La corte di Strasburgo ha elaborato un concetto di legalità penale che tiene conto delle rispettive tradizioni degli ordinamenti di
civil law e common law: per cui la riserva di legge non è concepita più come riserva di legge parlamentare. Nel concetto di legge
rientra per la Corte di Strasburgo:
-qualsiasi atto normativo purché sia garantita la conoscibilità della fonte normativa, e quindi l’accessibilità e la prevedibilità da
parte dei destinatari delle conseguenze della sua applicazione.
-ma non solo, vi rientra anche il diritto giurisprudenziale: in questo modo si riconosce al giudice un ruolo fondamentale nella
determinazione della fattispecie penale, che è la risultante di fatto della combinazione del dato normativo e di quello
interpretativo.
b) quanto al concetto di materia penale la Corte di Strasburgo fornisce una definizione particolarmente ampia che ricomprende
tutti i comportamenti cui segue l’applicazione di una sanzione con finalità preventive, retributive ed afflittive, indipendentemente
dal nomen iuris di volta in volta attribuito nell’ordinamento interno (es: illecito penale, amministrativo, disciplinare) ed a
prescindere corrispondente fonte normativa.
L’obiettivo perseguito elaborando una concezione ampia di materia penale è quella di rendere il più possibile omogena la
protezione dei diritti fondamentali nello spazio europeo.
Ma inoltre va detto che può produrre anche effetti espansivi ed effetti riduttivi delle condotte penalmente rilevanti
(precetto) o dell’afflittività delle norme penali (sanzione).
Infatti la CEDU ha inciso sul nostro diritto penale riducendo l’area penalmente rilevante: infatti, nel momento in cui si
riconosce maggiore esplicazione ai diritti umani, liberandoli da limiti e compressioni, si rischia di restringere la sfera di
operatività dei precetti penali, o di mitigare le sanzioni.
Es di effetto riduttivo sul precetto penale: la Corte EDU è favorevole ad estendere i limiti entro cui è lecito l’esercizio del diritto di
cronaca e di critica giornalistica, nel caso di diffamazione di politici o di magistrati.
Es di effetto riduttivo sulla sanzione penale: dalla proibizione della tortura e dei trattamenti disumani e degradanti si è ricavato il
divieto di procedere all’espulsione di extracomunitari, anche come misura di sicurezza una volta scontata la pena.
Ma le norme CEDU, oltre ad aver avuto effetti riduttivi della punibilità, hanno avuto anche effetti espansivi della
punibilità: in quanto i diritti fondamenti previsti dalla CEDU sono stati considerati come meritevoli di tutela penale,
con la conseguenza che si sono ampliati gli obblighi di tutela penale facenti capo ai singoli Stati membri.
Es: i giudici di Strasburgo sostengono che in capo gli Stati sussistono dei veri e propri obblighi di tutelare i diritti fondamentali presi
in considerazione dalla CEDU. Ciò spiega ad esempio perché la Corte ha condannato la Francia per la mancanza nell’ordinamento di
una norma penale effettivamente idonea a sanzionare la riduzione in schiavitù e servitù, in violazione dell’art 4 CEDU. O spiega
ancora il perché la Corte abbia sollecitato uno Stato all’introduzione di norme penali volte a reprimere le violazioni di diritti
fondamentali considerati dalla CEDU.
È presumibile che la Corte EDU tenderà a riconoscere un sempre maggiore numero di obblighi di tutela penale a carico
degli Stati al fine di garantire una più efficace tutela dei diritti fondamentali. Di fatto però quest’espansione del diritto
penale, che avviene ad opera non del legislatore democratico ma di un organo giurisdizionale non democraticamente
eletto dai cittadini, manca della legittimazione democratica che il principio di riserva di legge mira a garantire, ciò
spiega le resistenze critiche che continua a mantenere parte della dottrina penalistica italiana nei confronti di questo
processo di espansione del diritto penale.