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è un Ricercare
con il seguente soggetto:
Es. 1. Il soggetto della fuga, S, I movimento
il Soggetto è composto da tutti I suoni della scala cromatica
comrpesi nell’intervallo di quinta giusta La-Mi.
Un esame del contenuto delle altezze del soggetto mostra tutti i semitoni da la
fino a mi.
Es.3. Contenuto delle altezze del Soggetto
LA FORMA
Questo Ricercare presenta una forma ad arco con un unico
centro tonale basato sul la.
ESPOSIZIONE FUGATA
Battute 1-20.
Il soggetto entra 5 volte, in voci successive, attraverso il circolo
delle quinte, riflesse totalmente attorno a questo la;
la 1ª entrata è su la3, (bat.1)
la 2ª una quinta sopra su mi4, (bat. 5)
la 3ª una quinta sotto su re3, (bat. 9)
la 4ª sul si superiore, (bat. 13)
la 5ª sul sol inferiore. (bat. 17)
PROLUNGAMENTO DELL’ESPOSIZIONE
L’esposizione a 5 voci termina alla battuta 20, e dopo 6 battute di
parti Libere il Soggetto continua le sue entrate attraverso il
circolo delle quinte andando in direzioni opposte:
1. prima con un Canone a 2 voci (batt. 26-33) – il Soggetto
infatti entra in Fa# e Do, quindi ad intervallo di TRITONO.
2. Poi uno Stretto (batt. 34 – 37) in cui I frammenti del soggetto
entrano più volte in Fa, Do#, SI b, Sol#, Re, Re b.
DIVERTIMENTI
- da Batt. 38 a 44 c’è una sezione basata sulla variazione e
prolungamento del Soggetto, in Si b, suonato da Contrabbassi e
Violoncelli.
- alla b.45 con il Soggetto in Mi b inizia una progressiva
escursione verso l’alto eseguita da violoncelli e contrabbassi, che
da al passaggio un tono di drammaticità. Poi alla b.52 essi si
uniscono alle voci superiori.
Qui inizia il cammino verso il PUNTO MASSIMO, accompagnato
da piatti, timpani e cassa (N.B. la Grancassa sta suonando da
battuta 34 – in tutto9 il brano ha solo un ingresso...che serve a
rendere inequivocabile il P.M.).
S+Si
Alla b.78, quando si ritorna sul la, viene esposta la versione
originale del soggetto, suonata simultaneamente con la sua
inversione per moto contrario. E’ l’unico punto in cui il soggetto e
la sua inversione si ascoltano contemporaneamente (S+Si nel
diagramma dell’es. precedente).
Collegamento interdisciplinare
Filosofia:
La Filosofia Duale.
Esempi:
- Platone – dualismo metafisico – mondo materiale e mondo delle idee;
- Aristotele – contrappone Anima e Corpo;
- Cartesio -
- Kant – dualismo critico del Fenomeno e della Cosa in sè;
- Francis Herbert Bradley – Apparenza e Realtà ( 1846-1924 );
- Henri Bergson – Intuizione e Concetto
- William James – Religione e Scienza (1842-1910);
- Marx – struttura e sovrastruttura - dualismo metodologico per la comprensione delle scienze fisiche
e di quelle spirituali;
- Heidegger – nella sua filosofia ontologicamente non dualistica c’è contrapposizione tra Autentico e
Inautentico, Esistenziale ed Esistentivo.
Fisica:
Il dualismo Onda-Particella
FINALE
Dopo questa sorta di unione magica, ha inizio la sezione finale
alla b.82, con frammenti del soggetto esposti in stretto insieme
alle sue inversioni, sempre basandosi su la come perno.
SIMMETRIA
La frammentazione del soggetto in frasi rappresentative aiuta la
contrazione nelle durate dopo il P.M.
FINALE.
Il movimento si conclude con uno stretto del frammento x, con la
sua inversione e un’affermazione finale di y. Quest’ultima è
significativa, in quanto si tratta dell’ultima affermazione del
soggetto, che viene qui combinata simultaneamente con la
sua inversione, e disposta simmetricamente intorno al la, con il
P.M. sul mib.
Musica per archi, percussione e celesta di Bartók
Tratto dal programma di sala dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Nella Filosofia della musica moderna di Theodor W. Adorno, il libro che ha maggiormente
condizionato la valutazione critica, storica e ideologica della musica del Novecento, non c’è posto per
Béla Bartók. Il celebre studio, pubblicato nel 1949, si proponeva per metodo di considerare il pensiero
musicale “moderno” attraverso la contrapposizione delle due tendenze più estreme:
- quella progressista riconducibile a Schönberg
- e quella restauratrice facente capo a Stravinskij.
«Se si volesse passare in rassegna tutta la produzione qualitativamente moderna, comprendendovi tutte
le transizioni e i compromessi, si finirebbe inevitabilmente con l’imbattersi in quegli estremi – precisa
Adorno –. Questo però non implica necessariamente un giudizio sul valore e neppure sul peso
rappresentativo di ciò che sta nel mezzo: i migliori lavori di Béla Bartók, che cercò sotto certi aspetti di
conciliare Schönberg e Stravinskij, sono probabilmente superiori alla produzione di quest’ultimo per
densità e pienezza». Tutta qui la presenza di Bartók nel testo adorniano. E gli va di lusso, visto il
trattamento riservato ad altri compositori novecenteschi come Šostakovič, Britten, Hindemith e
Milhaud, liquidati en passant con espressioni ai limiti dell’ingiuria.
Certo non sono mancate le “storie” della musica che hanno provveduto a delineare un quadro, se non
completo, almeno più oggettivo della musica del secolo scorso, riconoscendo a ciascun compositore – e
Bartók tra questi – il giusto apporto. È tuttavia innegabile che all’interno della ferrea dialettica
adorniana, oggi forse inattuale ma non così facilmente screditabile come si vorrebbe, il compositore
ungherese non trovi diritto di collocazione. Più che un conciliatore tra gli opposti (una definizione
effettivamente affrettata), Bartók doveva apparire come un oggetto misterioso, sicuramente degno di
attenzione, ma sostanzialmente un outsider. Appartenente a una sfera culturale ed etnica periferica
rispetto alla Mitteleuropa, la sua personalità presentava elementi in “Musica per archi, percussione e
celesta” di forte originalità misti a fraintendimenti su influenze impressioniste; poco si sapeva, inoltre,
sulla sua attività di etnomusicologo, sul meticoloso e pionieristico lavoro di catalogazione di canti
popolari balcanici e sul ruolo effettivo che tali studi avevano avuto sul suo linguaggio musicale, ben
diverso da quel richiamo all’esotico che aveva alimentato il sorgere delle cosiddette “scuole nazionali”
sul finire dell’Ottocento.
In questo senso Bartók risulta davvero difficilmente collocabile (e non soltanto per Adorno che, per
parte sua, era principalmente interessato a trovare due pilastri su cui impostare il proprio sistema
filosofico). La modernità dell’autore del Mandarino Meraviglioso (Balletto, Op.19 – è una pantomima
in un atto composta nel 1924) viene fuori alla distanza, nel corso della seconda metà del Novecento,
sulla scorta di un processo di elaborazione e metabolizzazione delle polemiche adorniane che tennero
banco anche a Darmstadt negli anni Cinquanta. Tra i principali artefici vi furono, infatti, proprio gli
animatori della “Nuova musica” che nei processi compositivi di Bartók evidenziarono il ruolo
dell’elemento formale, il recupero del contrappunto e l’attenzione per le costruzioni simmetriche
sia su piccola che su larga scala, il ricorso a sistemi alternativi al linguaggio tonale come il
cromatismo organico e la presenza di scale modali, il lavoro sul ritmo e la ricerca di soluzioni
timbriche inedite. Componenti, a ben vedere, non dissimili – almeno sulla carta – dalla poetica di
Anton Webern, il compositore austriaco allievo di Schönberg nel quale i vari Boulez e Stockhausen
vollero riconoscere uno dei loro padri putativi.
Insieme alla Sonata per due pianoforti e percussioni e agli ultimi Quartetti, emblema di questo
personale sperimentalismo è la “Musica per archi, percussione e celesta”, composta
nel 1936 su commissione dell’Orchestra da camera di Basilea, allora diretta da Paul
Sacher che ne firmò la prima esecuzione il 21 gennaio dell’anno successivo.
Benché la Musica si articoli in quattro movimenti ben distinti e separati, la scelta di rinunciare a un
titolo che si rifaccia a una forma prestabilita, così come a un nome o a un’immagine evocativi, rivela
l’intento di concentrarsi su una dimensione prettamente oggettiva e informale definita
unicamente dall’organico strumentale prescelto. Un ensemble di soli archi, ripartiti al loro
interno in due gruppi (due sezioni per viole, violoncelli e contrabbassi, quattro per i violini) da
disporre in modo perfettamente speculare a semicerchio; al centro, un set di percussioni
composto da timpani, gran cassa, piatti, tamburo piccolo e xilofono, in cui Bartók fa rientrare
anche la celesta, l’arpa e il pianoforte. La funzione di quest’ultimo non è dunque assimilabile a
quella di solista, né di “pianoforte in orchestra”, recuperando piuttosto la sua primigenia e
barbarica natura percussiva. Quanto all’arpa, il suo ruolo è essenziale nella coagulazione
timbrica tra le varie sezioni e in particolare tra pianoforte e celesta. cd e libri.
N.B.
L’aggettivo “tranquillo” (in italiano) che definisce l’Andante con cui si apre la composizione deve
intendersi come un’indicazione pertinente al tempo d’esecuzione, disteso appunto e privo della minima
oscillazione agogica, e non piuttosto un’indicazione espressiva che suonerebbe affatto incongrua
con il piano di sospensione metafisica su cui si pone l’intero movimento.
Emerge dal silenzio una figurazione frammentaria e apparentemente informe, esposta pianissimo dalle
viole con sordina, che si muove in un ambito ristretto di semitoni. È il soggetto di una fuga o meglio di
un Ricercare, rigorosissimo nel suo svolgimento quanto oscillante in una griglia metrica continuamente
mutevole, cui fa seguito la risposta dei terzi e quarti violini insieme, quindi dei violoncelli, dei secondi
violini, dei contrabbassi fino alla sesta voce, la più acuta, affidata ai violini primi.
Questa testura contrappuntistica, “contrappunto germinale” per usare una definizione di Massimo Mila,
anima lentamente le voci che, ravvivate da un crescendo strisciante, raggiungono un primo culmine nel
punto di massimo ispessimento delle parti in corrispondenza del primo riferimento modale, l’intervallo
di quinta la-re, in fortissimo, per poi convergere immediatamente su un ulteriore climax rappresentato
da un improvviso unisono, anch’esso in fortissimo e ribattuto, che degrada esaurendo presto la sua
portata espressiva. Questo è il Punto Massimo.
Riprende a questo punto il fugato iniziale, ma in senso inverso, finché irrompe il timbro irreale,
magico ed inquietante, della celesta che con una serie di arpeggi ostinati accompagna l’esposizione
dei soggetti di fuga, l’originale e il suo inverso, presentati simultaneamente, penultimo atto di una
tessitura contrappuntistica che si spegne rapidamente in un terminale esercizio imitativo.
Il tema informe di questa composizione è un SOGGETTO che ricompare a tratti nei movimenti
successivi e costituisce l’elemento unificatore dell’intera composizione.
SECONDO MOVIMENTO.
Nel secondo movimento, un Allegro in forma di sonata, la ripartizione degli archi in due blocchi
contrapposti è palese e assume funzione strutturale, con passaggi compatti all’unisono alternati a
momenti di filatura del tessuto contrappuntistico, l’esposizione lineare dei temi, gli addensamenti
timbrici e l’ossatura ritmica sempre in evidenza. Lo sviluppo sottopone i temi a un lavorio di
parcellazioni, inversioni e ostinati ritmici, fino a un episodio in cui il pianoforte emerge in primo piano.
Dopo una sezione strettamente imitativa con gli archi pizzicati, lo svolgimento culmina in un fugato
ricavato da un inciso cromatico del primo tema che dal registro grave dei violoncelli trascina a poco a
poco nella sua lenta marcia ascendente le altre sezioni degli archi in un crescendo che prelude alla
ricapitolazione, opportunamente variata, della prima parte.
TERZO MOVIMENTO.
Anche se non vi è alcuna indicazione al riguardo, il terzo movimento, Adagio, è una tipica “musica
della notte”, così come compariva nella Suite pianistica All’aria aperta, analoga ai movimenti centrali
della Sonata per due pianoforti e percussioni e del Primo Concerto per pianoforte e orchestra. In
apertura, lo xilofono afferma una serie di rintocchi ripetuti in progressiva accelerazione e successivo
rallentamento: una figura simmetrica che informa di sé l’intero movimento, scandito in sei episodi fra
loro corrispondenti, e le sue parti. Il timbro gioca qui un ruolo fondamentale e ad esso Bartók “affida i
brividi delle sue visioni più allucinanti, i fruscii, i sussurri in cui si esplica la vita segreta delle cose”
(Mila). Anche i temi, esposti linearmente dagli archi, appaiono distorti sopra la continua instabilità
creata dai glissandi sospesi dei timpani e le immateriali fasce timbriche generate dalla combinazione di
figure ripetitive e simmetriche affidate a pianoforte, arpa e celesta in sovrapposizione.
I cinefili ricorderanno che con questa musica il regista Stanley Kubrick realizzò una delle sue
straordinarie operazioni di straniamento del repertorio preesistente, inserendola a commento di uno dei
passaggi cruciali di Shining (1980), quando il protagonista, interpretato da Jack Nicholson, perde
coscienza di sé per passare definitivamente in balia delle forze maligne che abitano l’Overlook Hotel. I
glissandi degli archi e gli ostinati ossessivi di arpa, pianoforte e celesta rendono perfettamente, in
questa occasione, il senso di smarrimento, la sospensione del tempo e la perdita di riferimenti razionali
del personaggio, trasmettendo subliminalmente allo spettatore un senso di inquietudine e angoscia
profondi.
QUARTO MOVIMENTO.
Con il suo carattere di Rapsodia popolare, il finale Allegro molto è il movimento nel quale i riferimenti
al folclore appaiono più scoperti, anche se privi della genuinità originaria e considerati come
componenti strutturali della tessitura melodica e armonica. Così il trascinante tema d’esordio in ritmo
bulgaro è in realtà un’elaborazione del soggetto di fuga del primo movimento, sottoposto a inversione e
vivacizzato al punto da renderlo irriconoscibile. Il soggetto tornerà percepibile solo nel penultimo
episodio, ma depurato della sua componente cromatica e riportato sul piano diatonico.