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“Ci sono solo tre livelli d'insanità...

Lui ora è al primo, consideralo come un avvertimento... Forse è tempo di tornare indietro?”

Fui una pargola come tanti ai tempi, nacqui il 19 maggio 1980 a Providence nel New England.
Non fui mai il massimo della socialità da piccola, eppure non sembravo mai risentirne, non avevo
molti amici e non mi importava, preferivo la compagnia dei miei cosidetti amici immaginari, o
almeno, è così che mia madre raccontava.
Ero felice nel mio mondo immaginario, lo ricordo poco ma sembrava molto tranquillo, ci vivevo
senza percepirlo come un mondo esterno al mio, e tutto sembrava andare normalmente nella mia
vita, io lo vedevo normale, e non riuscivo a capire che attorno a me si stava scatenando il caos.
Non conobbi mai mio padre, per questo mi regalarono il cognome “Esposito”, mia madre me lo
diede, non voleva essere associata ad una pargola al lavoro, e fu il compagno di mia madre che
allora mi crebbe per i miei primi anni, per poi essere scaricato brutalmente dalla stessa.
Sempre durante quegli anni i problemi iniziarono a farsi sentire, ero grande, troppo grande per
parlare ancora agli amici immaginari, era troppo strano, soprattutto per via delle cose che mi
dicevano, o per come li dipingevo quando volevo che gli altri capissero, bestie con troppe bocche e
occhi, scheletri lunghi e rachitici e altre creature grottesche che non piacquero molto al tempo,
quindi mia madre probabilmente preoccupata per la sua incolumità mi portò in ospedale.
Non fu uno shock scoprire che soffrivo di schizofrenia, nessun diavolo che mi possiede, solo una
mente rotta dall nascita.
Per un motivo o per un altro tornai spesso in ospedale nell'arco della mia vita, non sempre ricordo il
perché, ma ricordo che li conobbi una delle persone più importanti della mia vita.
Samantha Fishnet, o solo Sam, ricordo che ci feci subito amicizia, non era la mia compagna di
stanza ma in un modo o in un altro finiva sempre per nascondersi sotto al mio letto, mentre io ero
attaccata alle flebo.
Lei combatteva il cancro, io una ferita che giuravo di non essermi fatta da sola, e che non ricordavo
neanche di avere quando arrivò l'ambulanza.
A lei piaceva la mia arte, non come a mia madre, non sapeva dipingere ma aveva delle idee
magnifiche, fu la mia unica modella consenziente, e il soggetto più bello che mai dipinsi.
Era intelligente, sopravviveva con le sue sole forze, anche senza capelli, anche quando non si teneva
in piedi da quanto stava male, anche se la chemio la stava distruggendo lei non chiedeva aiuto, e io
non gliene davo.
Fu lei a spingermi a fare lo sbaglio più grande della mia vita, o quella che io chiamo “La parte
interessante della mia vita”: aprì un blog nella quale postavo i miei disegni grotteschi e spichedelici,
mi chiamavo Argo, ripensandoci ora fu davvero una strana coincidenza in effetti, ma beh...
Riscontrai un discreto successo abbastanza presto.
E ai tempi l'internet non era affatto com'è ora, ai tempi era difficile trovare qualsiasi cosa online,
quindi anche la mia piccola cerchia di seguaci mi faceva sentire come una regina.
Ero stupida ed ingenua, mi stavo creando un sentiero di sangue sotto ai piedi, non potevo pretendere
di non attirare l'occhio di qualcuno di losco, in fondo l'internet è un posto molto pericoloso... Beh,
fu quello il mio errore più grande, mi fidai troppo.
Fui contattata da un utente, soprannominato Lewis Carroll, sembrava simpatico, una persona
misteriosa ma che apprezzava la mia arte, mi ci trovavo bene, ed è per questo che non ci pensai due
volte quando mi chiese di essere il mio manager.
Fu una piccola e divertente avventura, tutto sembrò andare così in fretta, ci incontrammo in un cafè
della mia città e da quel giorno non credo di esserle mai stata lontana per più di due ore, io lo
ammiravo, ammiravo quanto fosse bello e bravo nel suo lavoro, parlava con una tale grinta
nell'animo, non potei far altro che scogliermi.
Inizialmente pensavo di essere io quella ossessionata, ero così felice di essere portata in giro, a
mostre di dubbio gusto con altri artisti emergenti come me, era un piccolo sogno che pian piano mi
stava fruttando qualche dollaro extra, tutto andava di rose e fiori, troppo...
Mi accorsi troppo tardi che la mia ossessione non era neanche un quarto di quella che lui provava
per qualsiasi mia creazione, e ben presto capì che provava ciò anche con me.
Era colpa mia, lo ammetto, avevo fatto il bravo cagnolino per quasi un'anno intero, sfornando opere
deliziosamente crudeli e seguendolo ovunque, le sue attenzioni erano diventate il mio nutrimento, lo
avevo abituato così io, era inaccettabile che di punto in bianco volessi decidere per me stessa e
addirittura andare in posti e fare cose... Non è così?
Casi come il mio in genere finiscono peggio, sarei potuta morire, se lui fosse stato un marito geloso
e io sua moglie sommessa, sarebbe stato un caso di omicidio d'onore, ma beh, così non fu, e fu
quella la notte che mi abbracciò, la notte in cui compresi in cosa mi ero cacciata, il 12 settembre
1999.
Lo fece per appropriarsi di me, di tutto il mio essere, era tremendamente ovvio, perché in quel modo
sarei stata dipendente da lui al 100%.
Tornai ad essere un chihuahua servizievole, o forse lo divenni a pieno, tenevo sempre un guinzaglio
fittizio al collo che mi mantenne vincolata per troppo tempo... Ma che potevo fare? Ero in un
mondo nuovo e ostile, che anche dopo anni di ricerche avevo paura di non aver compreso a pieno, e
in effetti con il senno di poi quello che accadde forse non doveva proprio accadere...

Io lo terminai, o almeno credo! Eravamo in una stanza d'hotel, guardai l'orologio sul comodino,
segnava le 4:35 del mattino.
Chiusi le palpebre, ero stanca, e quando le riaprì l'orologio segnava le 6:23, ero confusa, la camera
girava e un acre odore la appezzava completamente, guardai in basso e notai un cumulo di cenere
posto tra dei resti di vestiti bruchiacchiati. Ricordo che andai in bagno per sciaquarmi la faccia ma
prima di entrare lasciai un'impronta cremisi sul legno chiaro.
Ancora adesso non capisco cosa sia successo, e l'ultima memoria che ho di lui è dell sua cravatta
appena appesa sull'attacca panni.
Il panico mi avvolse, l'unica persona che mi stava crescendo in questo nuovo mondo, che mi stava
istruendo su come sopravvivere, giaceva sotto forma di polvere sul pavimento di un hotel... Dovevo
allontanarmi, e così scappai via, cercai di scappare da ciò che era la mia nuova paura, scappai fino a
quando le mie gambe non cedettero e ancora più in la, la paura mi consumò.
Il trauma fu grande, ma ero un'animale ormai, non mi importava delle cicatrici emotive, io dovevo
sopravvivere.
Piano piano imparai a cavarmela da sola, mia madre voleva aiutarmi, non la vedevo da tanto, mi
invitò a Brooklyn, dove a quanto pare si era trasferita per iniziare una nuova vita con il suo nuovo
compagno.
Il suo corpo era rovinato da una vita sulla strada, si era data allo stripping quando era molto
giovane, forse anche per mantenermi, e ora il suo corpo ne portava i segni, però sembrava felice,
con una famiglia modesta in una casa modesta... Mi invitò a restare, fu gentile con me, ma dava già
rifugio a ragazze che in vita erano come lei, lavoravano con il sesso per mantenersi un posto, non
era adatto a me, e inoltre, io non volevo restarci.
Fu però una buona idea per me trasferirmi li, scoprì che la mia amica d'infanzia Samantha viveva
anch'essa li, lavorava in un ospedale come chirurgo vascolare, decisi però di non disturbarla troppo,
sembrava essere felice e più di un'occhiata non le diedi molto altro, mi faceva felice sapere di avere
qualche volto nuovo intorno ma avevo altre priorità.

In effetti dopo aver imparato a procacciarmi del cibo tornai ad interessarmi alla mia cultura, a quello
che il mio sire defunto mi aveva concesso dopo l'abbraccio, avevo imparato abbastanza per essere
diventata desiderosa di più, volevo imparare, sapere, conoscere e padroneggiare questo nuovo
potere artistico che avevo, e così iniziai ad usare me stessa come tela, e di tanto in tanto su quelle
che io chiamo le mie piccole tele, creature o volontari che si cedono a me, volontariamente o no, e
che mi diverto a deformare.
Imparai ben presto però che sapersi cacciare del cibo non equivaleva essere al sicuro, e che cacciare
in territorio altrui è estremamente stupido e pericoloso, fu così che attirai a me le attenzioni non
richieste ma gradite di qualcuno, per le persone come me ero un libro aperto, un solo sguardo
bastava a capire cosa ero, ma per fortuna l'umanità era ancora dolcemente ignara.

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