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ARTE SECONDA LEZIONE MODULO

L’arte longobarda
Nel 268 i longobardi erano un popolo non romanizzato, che era vissuto sempre in
periferia dell’impero, in particolare in una regione antica che si chiamava Pannonia, cioè
l’attuale Ungheria, Erano molto distanti da Roma quindi non avevano avuto contatti con
la città, né con l’arte e né con le tradizioni culturali romane, quindi questo è proprio un
popolo barbarico a differenza degli Ostrogoti dove c’era Teodorico che aveva come
modello Traiano. I longobardi sono un popolo di tradizione proprio barbarica, arrivarono
nel 568 e con il re Alborino conquistarono quasi tutta la penisola italica: in particolare il
territorio a Nord che chiamarono Langobardia Maior e a sud la Langobardia Minor.
Inizialmente i longobardi non costituirono un regno unitario, governarono i singoli
territori attraverso le singole città che erano capoluoghi o capitali di un singolo ducato,
quindi c’era un duca che reggeva questi ducati, i ducati più importanti erano a nord
Pavia e a sud il Ducato di Spoleto e di Benevento. Quindi adesso possiamo vedere
proprio di caratteri dell’arte barbarica, con l’arte barbarica c’è una grande differenza
rispetto all’arte tardo antica romana, l’arte barbarica è un’arte soprattutto MOBILIARE,
essendo popoli seminomadi, quindi non abituati a condizioni essenziali, utilizzavano
molto la decorazione trasportabile, quindi mobiliare vuol dire che si può portare con se,
soprattutto erano oggetti preziosi di orificeria artistica oppure erano elementi decorativi,
a volte anche decorazioni di abiti oppure di armi. Quindi portavano con sé dei piccoli
oggetti di alto artigianato, un altro elemento tipico dell’arte barbarica-longobarda-
ostrogotica è la decoratività, le forme stilizzate, cioè le forme naturali vengono ridotte a
forme geometriche molto simmetriche, All’interno di queste sagome stilizzate, la
superficie viene suddivisi ulteriormente in un reticolato molto fitto. Cioè la decorazione
barbarica ha la caratteristica di riprodurre forme naturali in maniera stilizzata e poi di
articolare le superfici in tante cellette geometriche minori, senza lasciare nessuno
spazio vuoto, tanto è vero che gli storici dell’arte hanno definito questa usanza
HORROR VACUI (paura del vuoto), cioè coprire con degli elementi tutta la superficie a
reticolo. Queste testimonianze inoltre vennero trovate anche a Benevento, circa 20/30
anni fa nel rimuovere il vecchio lastricato hanno trovato delle tombe longobarde. I siti
principali dove sono stati rivenuti questi oggetti sono le tombe di principi, principesse,
duchi longobardi. All’interno del corredo funerario si ritrovano questi oggetti preziosi,
essenzialmente erano degli oggetti come le fibule cioè dei fermagli che servivano a
legare per esempio il mantello della principessa sulla tunica. Oppure si utilizzavano per
fissare le coroncine sulle capigliature, Oppure potevano essere anche delle collane o
dei collari. Le tecniche principali di oreficeria che utilizzavano sono: la tecnica della
filigrana e dell’incastonatura e poi c’è quella dello smalto. La tecnica della filigrana la
possiamo riconoscere avendo una piastra d’oro di base sulla quale vengono saldati dei
fili in oro o in argento, la filigrana è una tecnica monocromatica. L’altra tecnica è
l’incastonatura, cioè sulla lastra di base vengono saldate ortogonalmente delle lastre
metalliche che devono costruire un alveolo, poi nell’alveolo viene incastrata una pietra
preziosa, in questo caso ci sono degli almandini rossi oppure delle perle incastonate
nell’ alveolo. L’altra tecnica è lo smalto che è la pasta vitrea policroma (quindi in diversi
colori). Tra i vari colori si usavano i lapislazzuli di colore blu intenso, questo è lo smalto
del tipo champlevè (Cioè sulla lastra di base vengono incisi con un bulino negli alveoli e
negli incavi viene colato lo smalto che dopodiché viene lucidato) L’altra tecnica di
smalto è il cloisonné (a differenza dello champlevè, qui sulla lastra di base vengono
saldate altre lastre perpendicolari e si creano altri alveoli che sporgono, contenenti
smalto colato). I longobardi quindi conquistarono l’Italia in modo violento, in alcune città
terminarono del tutto l’aristocrazia tardo antica romana ma comunque conservarono
alcune traduzioni.
CHIESA DI SANTA SOFIA A BENEVENTO
Il ducato di Benevento comprendeva la Campania, metà della Puglia, metà del Molise,
un po’ della Lucania quindi era immenso, infatti era il Ducato più importante del
meridione, soprattutto dopo il 774 quando Carlo, il re dei Franchi conquista la
langobardia maior(che così entra nel perimetro del sacro romano impero), quindi rimane
come fascia longobarda, dopo la Romagna, solo il sud e il ducato di Benevento in
particolare sotto Arechi II incominciò ad avere il sogno di unificare tutto il meridione
sotto un regno longobardo, tanto è vero che si autoproclamò principe per poi diventare
re(però questo obbiettivo non fu mai realizzato). Nel 1059 i Longobardi dovettero
abbandonare il territorio meridionale perché furono conquistati dai Normanni. Perché la
chiesa di Santa Sofia con tutto il monastero benedettino retrostante è stata inserita nel
patrimonio mondiale dell’UNESCO? Perché è proprio uno dei luoghi del potere
longobardo, quando poi fu sconfitto il re Desiderio a nord, la chiesa di Santa Sofia a
Benevento divenne il sacrario nazionale dei longobardi, cioè la chiesa più importante di
tutta la langobardia minor. All’interno della chiesa avvenivano anche le assemblee degli
atti dignitari della corte di Arechi II, quindi era una chiesa e nello stesso tempo anche un
luogo di potere. Inoltre Santa Sofia è la stessa intitolazione di Santa Sofia a
Costantinopoli, A questo punto però i longobardi avevano come punto di riferimento i
bizantini E intitolarono la chiesa come quella di Santa Sofia a Costantinopoli, però
Santa Sofia non è una santa cristiana, è un’intitolazione bizantina, bizantina all’epoca
significa greca, Santa Sofia cioè in lingua greca tradotta in italiano, questa chiesa è
intitolata alla sapienza divina non ad una santa. La facciata è di epoca barocca, non è di
epoca longobarda, mentre invece la facciata longobarda si intravede nella lunetta e nei
fianchi, nella parte retrostante della chiesa. All’esterno è una muratura a faccia vista
come quella di Ravenna mentre all’interno è ricoperta di affreschi però in Opus mixtum
cioè ci sono dei corsi di tufo che vengono alternati a dei corsi di laterizio. La facciata è
barocca, è stata ricostruita nel 700, originariamente c’era un PROFILO (un piccolo
nartece) su 4 colonne corinzie di spoglio, fu demolito dal crollo del campanile che in
origine era situato vicino alla facciata. Il portale è romanico e il campanile è stato
costruito a distanza in modo che se dovesse crollare non possa demolire la chiesa. La
cupola internamente è emisferica però esternamente è nascosta dal tiburio, all’interno
la pianta è veramente originale, si deve definire mistilinea, (in pratica composta da un
profilo circolare nella zona delle absidi che sono 3 e un profilo stellare nei fianchi) è
ottenuta dall’intersezione di un profilo circolare e uno stellare.
APPROFONDIMENTO SANTA SOFIA
La Chiesa di Santa Sofia, voluta dal Principe longobardo di Benevento Arechi II nell’VIII
secolo, è stata eletta il 25 giugno 2011 dall’UNESCO patrimonio dell’umanità. La
Chiesa di Santa Sofia si trova a Benevento ed è parte integrante del sito seriale “I
Longobardi in Italia. Con i Longobardi il Ducato di Benevento, chiamato Longobardia
Minor, per distinguerla dalla Longobardia Maior, visse una progressiva ripresa socio-
economica, conquistando la sua conformazione più salda e sicura come Principato dal
774 al 1077. Il principe Arechi II, che assunse il significativo titolo di Samnitium Dux,
fece completare nel 762 la Chiesa di Santa Sofia. La chiesa di Santa Sofia presenta
piccole proporzioni: si può circoscrivere con una circonferenza di 23,50 m di diametro.
La pianta centrale si rifà a quella dell'omonima chiesa di Costantinopoli, ma è molto
originale: al centro sei colonne sono disposte ai vertici di un esagono e collegate da
archi che sorreggono la cupola. L'esagono interno è poi circondato da un anello
decagonale con otto pilastri di pietra calcarea bianca e due colonne ai fianchi
dell'entrata, ognuno dei quali disposto parallelamente alla corrispondente parete. La
disposizione delle colonne e dei pilastri crea insoliti giochi prospettici, inoltre la
combinazione del decagono esterno con l'esagono interno dà luogo ad irregolari
coperture a volta. La zona delle tre absidi è circolare, ma nella porzione centrale ed
anteriore le mura disegnano parte di una stella, interrotta dal portone, con quattro
nicchie ricavate negli spigoli. La facciata presenta degli spioventi ricurvi. Il portale
romanico, nella cui lunetta si trova un bassorilievo di XII o XIII secolo, originariamente
posizionato sul protiro andato distrutto, rappresenta Cristo in trono tra la Vergine, san
Mercurio e l'abate inginocchiato. Il portale è incluso in una cavità più grande che ricorda
anch'essa un portale, fiancheggiata da due colonne che reggono un altro arco. Attiguo
alla Chiesa è il Chiostro, non quello originario, ma quello ricostruito nella metà del
1100 con caratteri spiccatamente romanici ed influenze arabe, Si sviluppa su una pianta
quasi quadrata con sedici pilastri tra i quali si aprono quindici quadrifore ed una trifora,
sormontate da archi a sesto ribassato poggianti su mensole. La Chiesa fu intitolata
ad Agian Sophian e cioè non ad una santa, ma a una donna che fu canonizzata, ma
alla Sacra Sapienza. Era un omaggio alla più alta forma di conoscenza, a quella che,
superando tutti i limiti dell’esperienza sensibile, coglie la perfezione e l’universalità
dell’essere, cioè Dio stesso. A quanto pare, l’idea venne a Paolo Diacono, eminenza
grigia di Arechi, per un evidente intento politico: un omaggio alla Chiesa Giustinianea di
Costantinopoli, con la quale il principe voleva intrattenere i migliori rapporti. La chiesa
subì gravi danni durante il terremoto del 5 giugno 1688 e poi ancora a causa del sisma
del 14 marzo 1702: a causa del primo crollarono le aggiunte medievali e la cupola
primitiva. Già in quest'occasione il cardinale Orsini, il futuro papa Benedetto XIII, volle
che la chiesa fosse ricostruita secondo il gusto barocco: nei lavori di restauro, affidati
dal 1705 all'ingegnere Carlo Buratti, la pianta fu trasformata da stellare a circolare,
furono costruite due cappelle laterali, fu cambiato l'aspetto dell'abside, della facciata,
dei pilastri. Furono inoltre distrutti quasi del tutto gli affreschi che ricoprivano la chiesa,
dei quali restano solo alcuni frammenti con Storie di Cristo e della Vergine. Un discusso
intervento di restauro nel 1957 ripristinò scrupolosamente, sulla base dei documenti
disponibili, le absidi e l'originale pianta della chiesa longobarda ed eliminò le cappelle
settecentesche; tuttavia lasciò quasi immutata la facciata barocca.

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