L'ordinamento italiano
e la sua evoluzione
Repubblica, e tracciamo un bilancio della nostra Costituzione, di come è cambiato il testo del
1948 e delle proposte di riforma costituzionale.
Se si riflette su tutto cio che si è fin qui detto, non è difficile capire perchè
qualsiasi ordinamento è in continua, costante trasformazione: come tutti i
fenomeni sociali, l'ordinamento giuridico è espressione della societa e cam-
bia col cambiare della societa. La società italiana, sia in epoca monarchica
sia ancor di più in epoca repubblicana, ha conosciuto cambiamenti enormi:
essi non potevano non riflettersi sul suo ordinamento giuridico e sulla sua
costituzione.
Il mutare della societa influisce anche sull'ordinamento costituzionale, come
l'abbiamo definito nel capitolo 1, con o senza adeguamento formale del testo
della costituzione. Ciò dipende dal modo in cui il testo scritto e formulato,
più o meno elastico: cioè più o meno aperto a molteplici interpretazioni, e
dunque capace di adattarsi all'inevitabile mutamento dei valori dominanti
nella società. Quando, per la troppo limitata elasticità del testo o per la pro-
fondità dei cambiamenti sociali intervenuti, la costituzione esaurisce la sua
capacità di adattamento, e allora che si pone un'esigenza di modificazione
della costituzione. Essa può riguardare aspetti non essenziali dell'ordinamen-
to costituzionale, o che comunque non coinvolgono i principi di fondo: in tal
caso si procede a una semplice, più o meno incisiva, revisione costituzionale. Revisione e
mutamento
Ma tale esigenza può anche coinvolgere le basi stesse dell'ordinamento, e costituzionale
allora si deve parlare di un vero e proprio mutamento della costituzione (che
480 L'ORDINAMENTO ITALIANO E LA SUA EVOLUZIONE [XVI, 2]
L'Unita d'Italia Sin dal XIX secolo si è molto discusso, anche in sede scientifica, intorno
E il tema della alla continuità o alla discontinuità dell'ordinamento italiano, all'indomani
continuità
dell'unità nazionale rispetto all'ordinamento del Regno di Sardegna. Si era
di fronte a un ordinamento nuovo oppure all'ampliamento per annessioni
successive di quello sardo? Dietro la disputa si intravedeva una questione
politica sostanziale: la possibile messa in discussione della legittimazione di
casa Savoia e della corona. Soprattutto per questa ragione non si dette alcun
ascolto alle richieste di un'assemblea costituente che si erano levate a più
riprese dalla parte progressista del movimento nazionale italiano (a partire
da Giuseppe Mazzini). L'unificazione e poi il difficile consolidamento del
Regno d'Italia si fondarono sulla stretta alleanza fra corona e borghesia
liberale moderata: queste erano le forze, per dirla nel linguaggio dei giu-
spubblicisti di oggi, alla base della costituzione materiale dell'epoca. Sicchè,
salvo eventi rivoluzionari, la monarchia non si sarebbe potuta discutere, né si
sarebbe potuto anche solo parlare di costituente senza attentare alle fonda-
menta dell'ordinamento. Infatti, si dovette attendere oltre ottant'anni, e nel
frattempo una guerra mondiale perduta e, soprattutto, la compromissione
monarchica con un regime illiberale e autoritario, perchè si arrivasse alla
prima Assemblea costituente nella storia italiana.
Sotto il profilo formale, molti elementi militano a favore della tesi della
continuità del Regno d'Italia per incorporazione nel Regno di Sardegna di
una serie di ordinamenti statuali prima indipendenti: le annessioni avvennero
dopo votazioni plebiscitarie a suffragio universale maschile; lo Statuto alberti-
no e le leggi sarde furono estesi a tutti i territori mano a mano acquisiti (il che
avvenne in tempi successive dal 1859 al 1860, e poi nel 1866 e nel 1870); il re
non assunse titolo di primo re d'Italia, ma mantenne nome di «Vittorio
Emanuele II»; le legislature continuarono la numerazione avviata l'8 maggio
1848, e infatti quella eletta all'inizio del 1861, che approve il disegno di legge
governativo che segnava la nascita del Regno d'Italia (1. 17 marzo 1861, n.
4671), rimase l’VIII (e non divenne la I). Sotto il profilo sostanziale, è invece
L'ORDINAMENTO ITALIANO E LA SUA EVOLUZIONE [XV1, 2] 481
glianza davanti alla legge (art. 24); tassazione proporzionale e solo per legge
(artt. 25 e 30); liberta individuale e divieto di arresto se non nei casi previsti
dalla legge (art. 26); inviolabilità del domicilio (art. 27); libertà di stampa,
ma facoltà di reprimerne gli abusi (art. 28); inviolabilità della proprietà, salvo
esproprio mediante una giusta indennità in nome dell'interesse pubblico (art.
29); inviolabilità degli impegni assunti dallo Stato con il debito pubblico
(art. 31); libertà di riunione pacifica e disarmata, ma non in luoghi pubblici
o aperti al pubblico (art. 32). Per quanto poi la politica dei governi liberali
si sarebbe uniformata per decenni al principio cavouriano «libera Chiesa in
libero Stato», l'art. 1, fortemente voluto dal re, proclamava il cattolicesimo
romano «religione di stato» e garantiva agli «altri culti» solo tolleranza.
Lo Statuto, Lo Statuto e stato per lo più considerato una costituzione flessibile perchè
costituzione non era previsto un procedimento di modificazione aggravato, né alcuna
fessibile o
rigida? forma di controllo della conformità della legge rispetto allo stesso: perciò
non ci sarebbero stati strumenti per impedire alla legislazione successiva
di derogarvi. Questa prevalente dottrina è però contestata da quanti, ri-
chiamando sia il preambolo (che definiva lo Statuto «legge fondamentale,
perpetua e irrevocabile») sia l'art. 81 (che abrogava ogni legge contraria allo
Statuto), ritengono che esso fosse alle origini una costituzione rigida, diventata
surrettiziamente flessibile nella prassi. Ciò sarebbe avvenuto in realtà dopo
l'avvento del fascismo, perchè fino ad allora la giurisprudenza attesta che gli
stessi tribunali ritennero più volte lo Statuto fonte di grado superiore, tanto
da decidere per l'inapplicabilita della legge non conforme. Probabilmente la
ragione per cui si e considerato flessibile lo Statuto sta nel fatto che il fascismo
non esitò a imporre con le sue leggi istituzioni del tutto incompatibili senza
che l'ordinamento reagisse (ne il re ne i tribunali): neppure dandosi la pena
di modificare lo Statuto, o meglio non ritenendo conveniente farlo per non
sfidare frontalmente la corona. Lo lasciò come un guscio vuoto che poco o
nulla aveva a che fare con le istituzioni realmente vigenti.
La vicenda dello Statuto albertino sarebbe durata fino agli anni Quaranta del
Novecento. In estrema sintesi, per i pochi cenni che possono trovare spazio
in questa sede, dividiamo la storia delle istituzioni statutarie in due fasi: fino
al fascismo e dopo il suo avvento.
L'evoluzione • Fino all'avvento del regime fascista. Ancor prima che venisse esteso al
dell'ordina- Regno d'Italia, lo Statuto fu interpretato conformemente al progressivo
mento fino
al fascismo affermarsi della responsabilità degli esecutivi nei confronti delle assemblee
rappresentative (in particolare della camera elettiva). In altre parole, si passò
quasi subito (col primo governo Cavour nel 1852) dalla monarchia costitu-
zionale alla monarchia parlamentare. Peraltro con queste caratteristiche:
LORDINAMENTO ITALIANO E LA SUA EVOLUZIONE [XVI, 3] 483
di apposite sezioni del Consiglio di stato (la IV nel 1889, la V nel 1907),
dando vita al sistema dualistico rimasto quasi intatto fino ai giorni nostri;
8. dopo l'assassinio di Umberto I e l'ascesa al trono di Vittorio Emanuele
III (1900), il blando riformismo perseguito da Giovanni Giolitti si tradusse
in una apertura ai ceti più disagiati e in una legislazione sociale che teneva
conto anche delle loro esigenze; d'altra parte, le masse popolari avevano
cominciato a organizzarsi in partiti politici strutturati, repubblicani, socialisti
e radicali, mentre i cattolici tornarono progressivamente alla partecipazione
politica, superata la rigidità del veto papale, e fondarono poi un loro partito,
quello popolare.
L'evoluzione • Dopo l'avvento del regime fascista. Comune a l'analisi secondo la quale
dell'ordina- furono gli sconvolgimenti determinati dalla Prima guerra mondiale, anche
mento durante
il fascismo nei paesi che l'avevano vinta come l'Italia, a mettere in crisi le non robuste
democrazie liberali europee. Molte di queste cedettero una dopo l’altra alla
tentazione di dare risposta alle richieste, spesso sostenute con agitazioni vio-
lente, di lavoro e assistenza da parte dei ceti popolari, di ordine e sicurezza
da parte dei ceti medi, ricorrendo a metodi statalisti e autoritari. Portogallo
e Polonia (1926), Ungheria (1932), Germania (1933), Austria (1934), Grecia
(1935), Cecoslovacchia e Romania (1938), Spagna (1939): in tutti questi paesi
la democrazia parlamentare crollò). In Italia il disegno autoritario del fasci-
smo si manifestò, in tutta la sua durezza, ancor prima: la «marcia su Roma»,
la decisione del re di non decretare lo stato d'assedio, che pure il governo
Facta gli aveva proposto al fine di far fronte all'eversione fascista, la nomina
di Benito Mussolini a presidente del Consiglio, pur forte di soli 35 deputati
su 535, sono della fine di ottobre 1922.
In Italia il regime parlamentare entrò dunque in crisi prima che altrove: non fu
diretta conseguenza dell'introduzione della legge elettorale proporzionale,
come si è detto tante volte, ma del fatto che le forze politiche che si erano
affermate nelle elezioni del 1919 e del 1921 non furono capaci di esprimere
una maggioranza in grado di guidare il paese e fronteggiare efficacemente i
problemi lasciati dalla guerra. La classe dirigente liberale da sola non poteva
più farcela; i grandi partiti di massa (popolari e socialisti) non volevano e non
potevano aiutarla, e del resto erano divisi al proprio interno.
Mussolini costitui una compagine ministeriale nella quale sedevano espo-
nenti di altri partiti e, quali uomini di fiducia del re, gli ex comandanti
dell'esercito (generale Diaz) e della marina (ammiraglio Thaon di Revel): il
governo ottenne la fiducia della Camera (306 a favore, 116 contro), inclusa
buona parte dei liberali e dei popolari. Segui una fase pseudo-parlamentare
in cui l'esecutivo Mussolini governò in modo non troppo diverso da quelli
che l'avevano preceduto, ma avvalendosi anche dei «pieni poteri» che le
Camere gli avevano concesso. I segnali di un'evoluzione verso la dittatura ci
furono subito tutti. Mussolini teorizzò la costituzione di uno «stato nuovo»
e non esitò a minacciare le istituzioni parlamentari in occasione del voto
L'ORDINAMENTO ITALIANO E LA SUA EVOLUZIONE [XVI, 3] 485
lgt. 98/1946 (che parlava di «rnaggioranza degli elettori votanti»): però, anche
contando i voti non validi (schede bianche e nulle: 1.509.735), la repubblica
avrebbe prevalso. Sicché, dopo un breve braccio di ferro culminato in un
polemico proclama di Umberto II (a favore del quale, con qualche forzatura,
Vittorio Emanuele III aveva abdicato un mese prima per influenzare il voto)
e in una dura risposta del governo De Gasperi (che definì quel proclama un
Il testo base fu presentato in Assemblea nel gennaio 1947 e discusso per nove
mesi nel corso di 170 sedute; furono presentati 1.663 emendamenti (in media,
12 ad articolo) e di questi ne furono accolti 292, quasi un terzo dei quali in
materia di ordinamento regionale, uno dei temi piu accesamente dibattuti
(insieme all'assetto del Parlamento, ai rapporti con la Chiesa cattolica e al
divorzio, ai diritti economici e sociali). L'approvazione finale avvenne i1 22 L'approvazione
dicembre 1947 con 453 voti a favore e 62 contro (dunque, su 515 presenti e della Costi-
votanti, i favorevoli furono 1'88% e, considerando gli assenti, oltre 1'81 % dei tuzione
556 membri). Si trattò quindi di un testo largamente condiviso, nonostante
solo pochi mesi prima, nel maggio 1947, socialisti e comunisti fossero stati
esclusi dal governo.
In base al d.lgs. lgt. 98/1946, come abbiamo visto, alla Costituente non fu
attribuita la competenza legislativa generale: fino alle prime elezioni dopo
l'entrata in vigore della nuova Costituzione essa resto delegata al governo.
Ciò favorì la continuità dell'ordinamento giuridico, dati gli equilibri interni
all'esecutivo e l'atteggiamento di prudenza dei gruppi dirigenti dei partiti che
lo componevano. Una riprova di questo si ebbe con la rinuncia alla preannun-
ciata epurazione (cioè l'allontanamento dal pubblico impiego di coloro che si
erano compromessi col fascismo): scelta che i partiti giudicarono impraticabi-
le, tanto più che essi erano in forte competizione fra loro alla ricerca di legitti-
L'ASSEMBLEA COSTITUENTE
Presidenti
Giuseppe Saragat
e poi
Umberto Terracini
Comitato di redazione
Ruini (Misto); Ambrosini, Dossetti, Fanfani, Fuschini, Moro, Tupini, poi sostituito da Piccioni (Dc);
Canevari, Ghidini, P. Rossi (Psi/Psli); Grassi (Udn); Marinaro (Uq); Calamandrei (Autonomista);
Cevolotto (DI); Grieco, Terracini, poi sostituito da Laconi, Togliatti (Pci); Perassi (Pri)
490 L'ORDINAMENTO ITALIANO E LA SUA EVOLUZIONE [XVI, 5]
• Una prima fase fu caratterizzata dalla questione dell'attuazione della Co- La lenta attua-
stituzione. Durò circa un ventennio (1948-68), segnato prima dal centrismo zione della
Costituzione
degasperiano, poi dal centro-sinistra. Il primo si fondò sull'alleanza fra la (1948-68)
Dc, nettamente vittoriosa contro il Fronte popolare Pci-Psi alle elezioni del FINET:q1,4ntatrtrAW
18 aprile 1948, e i partiti laici minori (Pli, Pri, Psdi). Sul piano istituzionale
il centrismo si contraddistinse per una grande lentezza nell'attuazione de-
gli istituti previsti dalla Costituzione, al punto che l'opposizione parlò di
ostruzionismo della maggioranza. Solo nel corso della seconda legislatura
fu possibile attivare la Corte costituzionale. Non era questione da poco: il
ritardo fece si che si affermassero interpretazioni della Costituzione con-
servatrici e talvolta restrittive dei diritti dei cittadini (in relazione ad es. alla
libertà di riunione, alla libertà religiosa, alla libertà di espressione e dell'arte:
si pensi che certi spettacoli venivano proibiti e il proselitismo religioso di
confessioni diverse dalla cattolica ostacolata). Sul piano internazionale il
centrismo corrispose col periodo più acuto della guerra fredda (fra Stati
Uniti e paesi occidentali da una parte, Unione Sovietica e paesi del blocco
comunista dall'altra).
La formula centrista entrò in crisi col fallimento della legge elettorale del
1953 con premio di maggioranza: questa prevedeva l'attribuzione del 65%
dei seggi della Camera alla coalizione che avesse ottenuto la maggioranza
.assoluta dei voti. Ciò avrebbe permesso alla Dc di governare da posizioni di
maggior forza perchè meno condizionata dai partiti alleati. Ma alle elezioni
di quell'anno, anche per le strenue resistenze suscitate (si parlò di legge
492 L'ORDINAMENTO ITALIANO E LA SUA EVOLUZIONE [XVI,6]
truffa), il premio non scattò per circa quarantamila voti. La Dc decise allora
di orientarsi verso una cauta e progressiva apertura ai socialisti, con l'obiet-
tivo di staccarli dal Pci, per allargare le basi democratiche del paese. Così
sarebbero nati, dal 1963 in poi, i governi di centro-sinistra (alleanza della Dc
con Psi, Psdi e Pri). La stessa elezione di Giovanni Gronchi alla presidenza
della Repubblica (1955) si inquadrò in questa strategia. Anche grazie al suo
stimolo, venne avviato il disgelo costituzionale: dopo la nomina dei giudici
della Corte costituzionale (che cominciò a operare con una decisione in ma-
teria di libertà di manifestazione del pensiero, la sent. 1/1956), fu istituito il
Csm (1958); ma si sarebbe dovuto attendere fino al 1970 perchè venissero
istituite le regioni e disciplinati i referendum. Intanto era stato firmato il
Trattato di Roma ed era nata la Comunità economica europea (1957).
• Una terza fase fu caratterizzata dal tentativo di aggiornare e adeguare le Gli anni
Ottanta e i governi
pentapartito
istituzioni, con aggiustamenti che non mettessero però in discussione né le
basi dell'ordinamento né il ruolo delle principali forze politiche. Anch'essa
durò poco più di un decennio, in buona parte ancora segnato da attentati
terroristici (1979-91). Dopo le elezioni anticipate del 1979 Dc e Pci non
poterono proseguire la loro stentata collaborazione, anche perchè i rapporti
internazionali stavano peggiorando (con la crisi degli euromissili). Si varò
una formula di governo diversa dalle precedenti, incentrata sulla coalizione
di pentapartito fra la Dc, il Psi e i tre partiti laici minori (escludendo i comu-
nisti, oltre che, a destra, l'Msi). A simboleggiare equilibri politici in qualche
misura nuovi, per vari anni la presidenza del Consiglio venne affidata a
non democristiani (il leader del Pri Giovanni Spadolini, partito che ebbe
percentuali sempre sotto il 5%, e il leader del Psi Bettino Craxi, partito con
percentuali mai oltre 11 14%, quando la Dc non era mai scesa sotto 1132%).
Si trattava di un'evidente anomalia, ma che nella situazione italiana aveva
una sua razionalità. Nell'impossibilità politica (non giuridica) di una vera e
propria alternativa di governo, si realizzava l'alternanza possibile all'interno
della maggioranza. In effetti, i governi di pentapartito condussero una
strategia di riforme interne al sistema costituzionale, per quanto destinata
a rivelarsi tardiva. Si possono ricordare: la revisione del Concordato con la
Chiesa cattolica (1984); la riforma dei regolamenti delle Camere per dare
più forza al governo in parlamento e ridimensionare drasticamente il voto
segreto (1983-88); il nuovo ordinamento della presidenza del Consiglio e
la riforma delle procedure di bilancio (1988); il nuovo codice di procedura
penale (1988-89); il primo ordinamento repubblicano delle autonomie
locali e la legge generale sul procedimento amministrativo (1990); la prima
legislazione antitrust e la disciplina del sistema radiotelevisivo, che ratificò
peraltro il duopolio fra la Rai e il gruppo privato Fininvest (1990).
Tutto questo, tuttavia, non bastò a evitare una seconda e più profonda crisi
politico-istituzionale, anche perchè la finanza pubblica stava andando fuori
controllo per l'eccesso di spesa (il debito passò dal 60 al 100% del Pil in soli
dieci anni). Fu così necessario far salire l'imposizione fiscale (che passò nello La crisi
stesso periodo dal 30 al 40% del Pil), con le inevitabili reazioni dei ceti colpiti. politico-
• Una quarta fase si aprì all'inizio degli anni Novanta e segnò l'avvio di una istituzionale
degli anni
transizione che sarebbe durata molti anni (anzi: ancor oggi il sistema politico- Novanta
istituzionale non sembra aver ritrovato una qualche stabilità). Il contesto inter-
nazionale era radicalmente mutato a seguito della caduta del muro di Berlino e
poi della rapida scomparsa dell'Unione Sovietica. Venne così meno la necessità
di fare fronte contro il comunismo; inoltre, la realizzazione del mercato unico
europeo metteva alla frusta le imprese; la parte più' dinamica del paese comin-
494 L'ORDINAMENTO ITALIANO E LA SUA EVOLUZIONE [XVI, 6]
• Una quinta fase e quella che si è aperta a causa delle pesanti ricadute della
grande crisi globale del 2008, prima finanziaria poi economica, che in Italia
precipitò nel 2011. La crisi è valsa a segnalare le debolezze strutturali di un
paese appesantito da un debito pubblico enorme (sopra il 130% del Pil prima
della pandemia Covid-19) e da una ventennale assenza di crescita, sottoposto
perciò continuamente al giudizio dei mercati. Costretta a severe politiche di
bilancio, si da sottrarre risorse a un'economia già prostrata, l'Italia si è trovata
di fronte all'esigenza di elaborare e adottare innovazioni istituzionali tali da
permettere alle autorità di governo di raccogliere sfide sempre più ardue. I
tentativi al riguardo, avviati a più riprese, sono però sistematicamente falliti.
Di tutto ciò parliamo nei paragrafi 8 e 9.
REVISION! COSTITUZIONALI
L. cost. Art.135.3
22 novembre 1967, n. 2 Da 12 a 9 anni la durata in carica dei membri della Corte costituzionale
L. cost. Art.88
4 novembre 1991, n. 1 Eccezione al «semestre bianco» se coincidente con la scadenza naturale della legislatura
L. cost. Art.79
6 marzo 1992, n. 1 Procedimento aggravato per le leggi di amnistia e indulto
L. cost. Art.68
29 ottobre 1993, n. 3 Abolizione dell'autorizzazione a procedere contro i parlamentari
L. cost. Art.111
23 novembre 1999, n.2 Principi del giusto processo (parita fra accusa e difesa)
L. cost. Art.48
17 gennaio 2000, n.1 Previsione di modality specifiche per il voto dei cittadini residenti all'estero
L. cost. Artt. 56 e 57
23 gennaio 2001, n.1 Numero dei deputati e senatori assegnati alle circoscrizioni estero
L. cost. Artt.114,115,116,117,118,119,120,123,124,125,127,128,129,130,132
18 ottobre 2001, n.3 Riforma del titolo V su regioni e autonomie locali
L. cost. Art. 51
30 maggio 2003, n.1 Pad opportunity fra donne e uomini
L. cost. Art.27
2 ottobre 2007, n. 1 Abolizione della pena di morte in tempo di guerra
Nota: L'8 ottobre 2019 it Parlamento ha approvato un testo di legge costituzionale concernente la revisione degli artt.56, 57 e
59 in materia di riduzione del numero dei parlamentari, sul quale 6 stato indetto it referendum ex art.138.
Anche negli anni ormai lontani in cui l'attenzione prevalente era verso l'attua-
zione della Costituzione, vi fu chi ne proponeva la riforma: sia da prospettive
contrarie al sistema democratico sia per favorirne, invece, il consolidamento.
In ogni caso, fino alla fine degli anni Settanta le forze politiche di maggioranza
(la Democrazia cristiana e i partiti alleati) e la maggiore forza di opposizio-
ne (il Partito comunista) furono concordi nel respingere qualsiasi ipotesi
I partiti di revisione. Insieme essi formavano il cosiddetto arco costituzionale, che
dell'arco esprimeva la costituzione in senso materiale dell'epoca (nel senso indicato
costituzionale
nel cap. 1 par. 5).
Di fronte alle evidenti difficoltà di funzionamento del sistema politico-
istituzionale, culminate nella VII legislatura (1976-79) con la drammatica
vicenda di Aldo Moro, fu il Partito socialista a farsi per primo promotore di
incisive modifiche costituzionali, lanciando la parola d'ordine della grande
riforma. Era i11979: da allora il tema non è più uscito dall'agenda politica. Le
resistenze, per anni, furono enormi (anche perche il riformismo istituzionale
socialista era parte di una legittima strategia volta a contendere la leadership
ai due partiti maggiori: per ciò stesso da questi contrastata energicamente).
Tuttavia, anno dopo anno l'esigenza di modernizzare le istituzioni si fece
strada. Lo dimostrano da un lato la politica delle riforme possibili (di rango
sub-costituzionale) perseguita dalle coalizioni pentapartitiche (1981-91),
dall'altro i ripetuti tentativi di modifica costituzionale perseguiti dal Parla-
La via delle mento fin dalla prima metà degli anni Ottanta. Le commissioni parlamentari
bicamerali
(1983-98) bicamerali per le riforme, costituite nell'arco di quindici anni con l'obiettivo
di revisionare la Costituzione del 1948, furono ben tre (v. tab. riassuntiva).
L'ORDINAMENTO ITALIANO E LA SUA EVOLUZIONE [XVI, 8] 499
COMMISSIONE PARLAMENTARE Varò, senza il consenso dell'opposizione comunista, un progetto che toccava
PER LE RIFORME ISTITUZIONALI 45 articoli della Costituzione. Inseriva la tutela dell'ambiente fra i principi
fondamentali; includeva il diritto all'informazione nell'art. 21; ampliava le
Presidente: Aldo Bozzi (Pli) garanzie del cittadino nel processo; introduceva la tutela dei disabili; ade-
12 ottobre 1983-29 gennaio 1985
guava l'art. 39 in materia di sindacati; obbligava i partiti alla pubblicità, tra-
40 cornponenti più i1 presidente
sparenza e partecipazione degli iscritti. Rivedeva il procedimento legislativo
Istituita con mozioni approvate dalle
differenziando le competenze delle due Camere, ridisciplinava il referendum,
Camere
rafforzava il ruolo del presidente del Consiglio al quale solo sarebbe andata
la fiducia a Camere riunite, con potere di revoca dei ministri. II progetto non
ebbe alcun seguito.
COMMISSIONE PARLAMENTARE Varò un progetto che toccava solo 22 articoli relativi a forma di governo e
PER LE RIFORME ISTITUZIONALI ordinamento regionale. Prevedeva l'elezione parlamentare del primo ministro,
il quale nominava con proprio decreto i ministri, che poteva revocare, e la
Presidenti: Ciriaco De Mita (Dc) e poi
sfiducia costruttiva; riduceva la durata della legislatura a 4 anni; limitava gli
Nilde lotti (Pds)
ambiti di intervento dei decreti legge. Per la prima volta ipotizzava l'introdu-
23 luglio 1992-7 febbraio 1994
zione del principio dell'equilibrio finanziario della parte corrente. Proponeva
60 componenti
di invertire il criterio di riparto delle competenze legislative fra Stato e regioni,
Istituita con deliberazioni delle Camere e
con un generale rafforzamento delle attribuzioni regionali, compreso il potere
dotata di poteri referenti con I. cost. 6
di adottare una forma di governo diversa da quella stabilita in Costituzione. II
agosto 1993, n. 1
progetto non ebbe alcun seguito.
COMMISSIONS PARLAMENTARE Varò un progetto che riscriveva integralmente la parte II della Costituzione.
PER LE RIFORME COSTITUZIONALI Delineava una forma di governo semi-presidenziale con capo dello Stato eletto
dal popolo e dotato di importanti poteri,affiancato da un esecutivo responsabile
Presidente: Massimo D'Alema (Ds)
davanti al Parlamento. Questo era riformato prevedendo una differenziazione
24 gennaio 1997-9 giugno 1998
funzionale fra le due Camere.Altre novità toccavano: pubblica amministrazione,
70 componenti
partecipazione del l'Italia all'Ue, giustizia, attribuzioni della Corte costituzionale.
Istituita con I.cost. 24 gennaio 1997, n.1 La Camera ne iniziava l'esame nel gennaio 1998, ma lo interrompeva dopo pochi
mesi; le parti sulle regioni sarebbero state riprese dalla l. cost. 1/1999 e dalla l.
cost. 3/2001, 1a disciplina del giusto processo dal la l. cost. 2/1999.
La riforma Alla vigilia delle elezioni politiche del 2001, la revisione del titolo V della
del titolo V Costituzione (le regioni, le province, i comuni) fu invece approvata, con
(2001)
solo quattro voti oltre il quorum, dalla sola maggioranza di centro-sinistra.
Ciò provoco, per la prima volta, la richiesta di referendum costituzionale: il
voto popolare, senza grande partecipazione, confermo la riforma. Era però
venuto a cadere il veto di fatto contro riforme a maggioranza in materia
costituzionale.
La riforma Così la maggioranza di centro-destra uscita dalle elezioni del 2001, se-
proposta dal
centro-destra
guendo e anzi portando a conseguenze più estreme la strada aperta dal
(2005-06) centro-sinistra, approvò da sola un'ampia revisione della parte II della
Costituzione, sulla quale fu chiesto un secondo referendum costituzionale.
Quella riforma (v. Gazzetta Ufficiale n. 269 del 18 novembre 2005) inter-
veniva su quattro punti: forma di governo, bicameralismo, rapporti Stato-
regioni, garanzie costituzionali. In particolare, avrebbe rafforzato il ruolo
del presidente del Consiglio (governo del primo ministro o premierato)
e ridefinito il ruolo di garanzia del presidente della Repubblica; avrebbe
portato a una riduzione del numero dei parlamentari e una netta diffe-
renziazione fra le due Camere (ma col Senato ancora eletto direttamente).
Il progetto fu duramente avversato dall'opposizione di centro-sinistra, in
procinto di tornare maggioranza (elezioni del 2006), e suscitò reazioni
prevalentemente critiche in ambito dottrinario. Il voto popolare lo bocciò
seccamente con il 61,3% di «no».
La XV legislatura ebbe vita brevissima. Con la XVI legislatura sembrò de-
linearsi un sistema partitico meno frammentato (dopo la nascita del Partito
democratico e del Popolo della libertà), caratterizzato da un clima più co-
struttivo nei rapporti maggioranza-opposizione, ma la prospettiva riformista
venne travolta dal progressivo sfaldarsi della maggioranza di centro-destra e
dalle difficoltà del governo Berlusconi IV davanti alla crisi dei debiti sovrani
nell'eurozona. Nell'estate 2011 si moltiplicarono gli ammonimenti all'Italia
della Commissione e della Banca centrale europea: in una lettera firmata dal
presidente uscente della Bce Jean-Claude Trichet e da quello neonominato
Mario Draghi si davano stringenti indicazioni sulle riforme, anche istitu-
zionali, che il nostro paese avrebbe dovuto realizzare per poter contare sul
sostegno delle istituzioni dell'Unione e degli stati membri.
11 governo ll presidente del Consiglio Berlusconi si vide costretto a dimettersi nel no-
Monti vembre 2011. Col suo partito accettò di sostenere, insieme all'opposizione,
(2011-13)
un nuovo governo che il presidente della Repubblica Napolitano decise di
affidare a un accademico, l'ex commissario europeo e neosenatore a vita
Mario Monti. Sostenuto e in alcuni passaggi quasi affiancato dal capo dello
Stato, Monti forme una compagine ministeriale senza personalità designate
dai partiti (di per se sintomo delle difficoltà di funzionamento della forma
di governo): fu un governo composto da tecnocrati, che impose al paese
drastiche misure di austerità (a cominciare dal decreto «salva Italia» che le
Camere approvarono in due settimane, inclusa la riforma delle pensioni). Lo
L'ORDINAMENTO ITALIANO E LA SUA EVOLUZIONE [XVI, 8] 501
II tentativo del
L'eterna partita delle riforme si riaprì con l'ascesa del nuovo segretario del governo Renzi
Pd Matteo Renzi, eletto direttamente dai simpatizzanti nel dicembre 2013. (2014-16)
Egli subito siglò su questo tema un patto con il leader di Forza Italia, l'ex
senatore Berlusconi (stante l'indisponibilità del M5s). Nel febbraio 2014 il
presidente del Consiglio Letta fu costretto alle dimissioni dal suo partito
per consentire a Renzi di assumere la guida del governo. La determina-
zione del nuovo presidente del Consiglio, il contesto da ultima spiaggia,
il costante pungolo del capo dello Stato, l'esito delle elezioni europee del
maggio 2014 che premiò il Pd: tutto ciò sembrava aprire prospettive di
successo ai propositi di riforma. In effetti, già il 12 marzo 2014 la Camera
in prima lettura aveva approvato la nuova legge elettorale. L'8 aprile 2014 il
governo aveva presentato al Senato un disegno di legge costituzionale «per
il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei
502 L'ORDINAMENTO ITALIANO E LA SUA EVOLUZIONE [XVI, 8]
Stato-regioni Cambiava il riparto delle competenze legislative Veniva abolita la competenza legislativa concorrente,
previsto dall'art. 117: alcune materie di competenza con un significativo aumento delle materie di compe-
concorrente di cui al comma 3 diventavano esclusive tenza esclusiva statale (ad es.coordinamento finanziario
dello Stato (ad es. tutela della salute, sicurezza del la- e tributario, tutela della salute, tutela e sicurezza del
voro, grandi reti di trasporto e navigazione, produzione, lavoro, commercio con l'estero, governo del territorio,
trasporto e distribuzione nazionali dell’energia); altre produzione, trasporto e distribuzione nazionali dell'e-
diventavano di competenza esclusiva delle regioni (ad nergia,grandi reti di trasporto a navigazione).Le materie
es.assistenza e organizzazione sanitaria,organizzazione regionali erano quelle espressamente elencate (ad es.
scolastica), insieme alle materie residuali di cui al comma pianificazione del territorio, dotazione infrastrutturale,
4. Veniva abolito il vincolo alla potestà legislativa statale programmazione e organizzazione dei servizi sanitari
e regionale derivante dagli obblighi internazionali. e sociali, servizi scolastici) e tutte le altre non espressa-
mente riservate allo Stato. Era introdotta una clausola
di supremazia che permetteva allo Stato di intervenire
anche nelle materie di competenza regionale.
Corte Fermo iI numero di 15, i giudici della Corte erano scelti: 15 giudici di elezione parlamentare erano scelti non più
costituzionale 4 dal presidente della Repubblica, 4 dalle supreme dal Parlamento in seduta comune, ma separatamente
magistrature, 3 dalla Camera e 4 dal Senato (integrato 3 dalla Camera e 2 dal Senato. Era introdotto il ricorso
dai president delle giunte regionali). Era introdotto i l diretto alla Corte in via preventiva da parte di mino-
ricorso diretto alla Corte degli enti locali contro leggi ranze parlamentari (un quarto dei deputati, un terzo
statali o regionali a tutela delle proprie competenze. dei senatori) sulla legittimità delle leggi elettorali di
Camera a Senato.
Altro Venivano costituzionalizzate le autorità amministrative Cancellava tutti i riferimenti alle province.
indipendenti. Sopprimeva il Cnel.
La Conferenza Stato-regioni diventava un organo di Riduceva il quorum del referendum abrogativo alla
rilievo costituzionale. metà più uno dei votanti alle ultime elezioni politiche
Prevedeva che la richiesta del referendum costituzionale in caso di richiesta avanzata da 800.000 elettori, ferma
fosse sempre possibile. la disciplina vigente per le richieste sottoscritte da
500.000 elettori. Rinviava a una legge costituzionale
la disciplina di referendum propositivi e di indirizzo.
Aumentava a 150.000 le firma per i progetti di legge
d'iniziativa popolare, garantendo tempi certi per la
deliberazione parlamentare.
primari sia secondari, con largo ricorso a decreti del presidente del Con-
siglio dei ministri; accanto a questi, ordinanze del ministro della salute,
circolari del ministro dell'interno, ordinanze del capo del dipartimento
della protezione civile e del commissario straordinario, nonchè, a livello
territoriale, ordinanze di presidenti delle regioni e sindaci. Fondamento
di questa attività normativa, oltre al citato codice della protezione civile e
altre norme previgenti (art. 32 1. 833/1978, art. 50 Tuel), erano alcuni
decreti legge emanati ad hoc, e segnatamente il d.l. 6/2020 e poi il più
analitico d.l. 19/2020, nei quali si indicavano i contenuti delle misure po-
tenzialmente applicabili. Fra il 31 gennaio e il 30 giugno 2020 il governo
aveva adottato 17 decreti legge (9 convertiti, 5 non convertiti, 3 in attesa
di conversione) e 19 d.p.c.m. (di cui 15 nella fase più critica, fra fine
febbraio e fine aprile);
• alle stesse date il Parlamento aveva approvato solo 20 leggi, di cui 5
ratifiche di trattati internazionali, 2 leggi ordinarie extra-coronavirus e
13 conversion di decreti legge (di cui 7 relativi all'emergenza). Pur senza
interrompere la sua attività, per settimane le Camere si riunivano il meno
possibile, a ranghi ridotti (con l'accordo fra i gruppi a ridurre in proporzione
la presenza dei propri componenti); diversamente dai parlamenti di altri
paesi (e anche dal Parlamento europeo), esse optavano per non consentire
la partecipazione e il voto a distanza. Solo in un secondo momento si in-
staurava un raccordo costante fra le Camere e il governo con frequenti co-
municazioni del presidente del Consiglio. Così la disciplina dell'emergenza
veniva sostanzialmente affidata ad atti del presidente del Consiglio (sentiti i
ministri competenti e col parere delle regioni), ma non sottoposti al Consi-
glio dei ministri e senza il coinvolgimento del Parlamento e del presidente
della Repubblica. Con una modifica inserita nel d.l. 19/2020 le Camere ot-
tenevano di essere informate dal presidente del Consiglio preventivamente o
entro sette giorni dall'adozione di ciascun d.p.c.m. D'altra parte, al di là
della copertura garantita dalle norme dei decreti legge citati, a vero che solo
provvedimenti non legislativi potevano garantire la necessaria prontezza di
risposta all'evolversi di un'emergenza perdurante mai sperimentata prima,
che richiedeva continui aggiustamenti;
• quanto alla questione del bilanciamento fra la tutela del diritto alla salute
(art. 32 Cost.) e la tutela degli altri diritti fondamentali incisi dalle restrizioni
imposte dopo la dichiarazione dello stato d'emergenza, va rammentato che, a
proposito della libertà di circolazione, l'art. 16 Cost. consente alla legge di
stabilire limitazioni «per motivi di sanità»; mentre l'art. 17 Cost. da un lato
consente di vietare le pubbliche riunioni a tutela dell'«incolumità pubblica»,
dall'altro non tutela gli assembramenti. In ogni caso, le restrizioni previste con
decreto legge e attuate con decreto del presidente del Consiglio hanno avuto
carattere non discriminatorio ma generale, sono state basate su presupposti
sanitari e indicazioni scientifiche e sono state applicate senza coercizione
fisica (pur in presenza di sanzioni). Esso appaiono perciò tali da superare
508 L'ORDINAMENTO ITALIANO E LA SUA EVOLUZIONE [XVI, 9]
P A R O L E C H I AV E
F ON T !
PE RCOR S O DI AU TO VE RI FICA
7. Come si possono riassumere i contenuti più significativi della Costituzione del 1948?
8. In quali fasi puù essere distinta la storia costituzionale della Repubblica? E quali formule politiche
le hanno contraddistinte?
9. Come vennero attuati i nuovi istituti previsti dalla Costituzione?
10. Perchè si parla di una prima crisi politico-istituzionale negli anni Settanta?
11. Quali furono le riforme istituzionali approvate negli anni Ottanta?
12. Perchè il sistema politico-istituzionale entrò in crisi agli inizi degli anni Novanta? E in cosa
consistette la strategia referendaria per le riforme?
13. Quante e quali modificazioni ha conosciuto la Costituzione?
14. Qual è il quadro the si può tracciare dello stato delle istituzioni dopo oltre settant'anni di
esperienza costituzionale?
15. Quali sono stati i tentativi di riforma costituzionale negli ultimi quattro decenni?
16. Cosa prevedeva il progetto di revisione della parte seconda della Costituzione bocciato dagli
elettori nel 2006?
17. Quali eventi politici segnarono la XVI e la XVII legislatura?
18. Cosa caratterizzava la riforma elettorale del 2015 e il progetto di revisione costituzionale respinto
nel referendum del 4 dicembre 2016?
19. Di quali riforme si discute nella XVIII legislatura?
20. Come e stata affrontata l'emergenza dell'epidemia e quali conseguenze ha avuto sulle istituzioni e
sui diritti costituzionali?