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di Maurizio Mazziero
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Clima di manovra correttiva e Tremonti, dopo aver aumentato le accise sui carburanti, si
arrovella su come prelevare altri soldi ai cittadini; fra maggiori entrate e minori spese
andranno recuperati circa 40 miliardi con lo scopo di raggiungere il pareggio di bilancio
entro il 2014 (nota bene: pareggio di bilancio non significa azzeramento del debito, ma
solamente che le uscite non supereranno le entrate e quindi non si aggiungerà nuovo
debito; in sostanza ciò che ogni famiglia fa in ogni mese dell’anno).
L’ipotesi che sembra affacciarsi è che tra vari provvedimenti si profili un aumento dell’IVA;
affronteremo qualche considerazione al riguardo, cercando di individuare, seppur in modo
incompleto, chi potrebbe risultare maggiormente penalizzato da questo provvedimento.
L’IVA, acronimo di Imposta sul Valore Aggiunto, grava con aliquote differenti sulla quasi
totalità dei beni prodotti e/o consumati nel nostro Paese. Si tratta di una tassa che colpisce
il consumatore finale di un bene o servizio, mentre costituisce una partita di giro per tutti
coloro che fungono da intermediari nella compravendita. Il gettito IVA nel 2010 è stato di
115,7 miliardi di euro, quasi un terzo delle entrate tributarie statali. L’insieme delle imposte
indirette, oltre all’IVA le accise, i tabacchi e le lotterie, raggiunge i 188,6 miliardi; non molto
distante dai 218,1 miliardi delle imposte dirette.
L’imposizione IVA si articola in un’aliquota ordinaria al 20% e due ridotte al 10% e 4%.
L’intera materia è in fase di revisione anche per la compartecipazione dei comuni agli
introiti IVA a seguito dell’attuazione del Federalismo Municipale; la misura del
trasferimento dovrebbe essere di misura non inferiore al 2% del gettito Irpef, circa 3,3
miliardi di euro.
Premesso quanto sopra il gettito IVA passerebbe dai 115,7 ai 121,5 miliardi, con un
aumento del 5% (infatti 1 punto percentuale corrisponde al 5% di 20 punti, l’aliquota
attuale) pari a 5,8 miliardi; ancora un po’ pochi per raggiungere i famosi 40 miliardi
necessari al pareggio di bilancio, anche se applicati nel trinnio 2012-2014.
L’entità è tale che non varia di molto nemmeno la suddivisione tra imposte dirette e
indirette. A tal proposito si può aprire una breve parentesi; l’art. 53 della Costituzione
Italiana dice: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro
capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.”
Come abbiamo avuto modo di osservare già ora le entrate tributarie provengono per metà
da imposte dirette, che sottostanno a un criterio di progressività, e per la restante da
indirette, che sono in funzione dei consumi. L’applicazione pratica ha dimostrato che
l’imposizione diretta, seppur proporzionale, non garantisce un concorso nelle spese dello
Stato secondo la capacità contributiva di ciascuno. Quindi ben venga l’utilizzo di imposte
dirette, chi ha maggiori disponibilità economiche, consumerà di più e quindi contribuirà
maggiormente al gettito dello Stato.
Ma ora veniamo ad esaminare chi colpisce l’aumento IVA; sicuramente non le aziende che
comprano e vendono beni o servizi, pagano l’IVA sugli acquisti e poi la compensano con
quella incassata, versando il restante all’erario. Una buona notizia, visto che non si potrà
dire che il provvedimento incide sulla competitività delle nostre imprese.
Colpirà integralmente le banche, che sono utilizzatori finali di beni e servizi e che già si
trovano con parametri patrimoniali sacrificati a seguito della crisi economica; niente paura,
proseguiranno subdoli balzi e balzelli nelle pieghe dell’estratto conto.
di Maurizio Mazziero
Analista finanziario e consulente, si occupa di formazione e reportistica per Istituti Bancari
e Aziende, affiancando quest’ultime nell’attuazione di strategie di hedging dal rischio
prezzi.
Gli articoli dell’autore, non rappresentano nel modo più assoluto una testata giornalistica in
quanto vengono redatti senza alcuna periodicità. Non possono pertanto considerarsi
prodotti editoriali ai sensi della legge n. 62 del 07/03/2001.
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