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FEDE E RAGIONE

Le realtà della fede a fondamento e prova della ragione

1. Carità e sapienza

Un semplice atto di carità possiede una sapienza superiore ad ogni altra forma di sapienza perché la
carità da origine ad ogni forma di sapienza e ogni sapienza è ordinata alla carità. La carità, infatti,
rende presente Dio coinvolgendo anche l’intelletto e Dio è l’essenza ed il fine del sapere, è la
scienza della scienza.
Senza Dio, che è amore, non c’è vera sapienza, infatti: “Il timore del Signore è il principio della
sapienza” (Pr 1,7) e: “Il Signore dà la sapienza” (Pr 2,6), e il sapere e l’ingegno sono circostanze
della sapienza. Ne sono la conseguenze e degli strumenti a suo servizio.
 
La principale, più profonda e basilare conoscenza di Dio consiste nell’essere in comunione con lui,
perché chi ha Dio ha tutto: già da ora in speranza e per “diritto” di figlio, in attesa che in Paradiso
tale “possesso” si rivelerà in modo pieno, dove la conoscenza intellettuale sarà inscindibile dalla
comunione con Dio.
Poiché in Cristo: “sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza” (Col 2,3), in Paradiso
chi è più santo è anche più sapiente e intelligente, sebbene in ognuno l’intelligenza si manifesta in
modo originale.
 
Il sapere senza la sapienza, come la fede senza carità, è come la fatica di chi scala una montagna per
osservare dalla cima un panorama mozzafiato che, però, non può vedere perché cieco.
Separare il sapere dalla carità è come separare un gesto concreto d’affetto dalla persona a cui è
indirizzato: senza la persona il gesto non raggiunge il suo fine.
 
“Tutti avete la scienza” scrive l’Apostolo Giovanni (1Gv 2,20): tutti coloro che cercano la verità
sono iniziati alla vera scienza.

2. I sentimenti di Cristo (cfr Rm 15,5)

Se attraverso l’intelligenza noi comprendiamo l’immateriale, nulla è più intelligente dell’amare,


entità immateriale che richiede azione concreta e che rende presente Dio, l’Astratto Vivente che si
rende Presente.
E se l’intelligenza è uno strumento di cui spesso si serve la gioia, nulla dà più gioia dell’amore, di
cui la sensibilità psicologica è uno strumento privilegiato.
La sensibilità (psicologica e, più ancora, spirituale) è uno strumento e, anche, una conseguenza
dell’intelligenza umana, in quanto è legata al “sentire” dell’anima.

L’insensibilità è non sentire: è una mancanza che, in qualche modo, si fa “sentire” e che si
manifesta soprattutto con un’insoddisfazione più o meno consciente.
Quando l’insensibilità è solo un limite, l’insoddisfazione si manifesta soprattutto nella speranza che
questo limite venga superato. Ma quando, invece, è conseguenza di una colpa, si manifesta
soprattutto come frustrazione.
In ogni caso, come ogni limite, l’insensibilità richiede l’apertura di cuore a Cristo.

Chi ha Dio, di per se bisogno d’altro, nemmeno di una “intelligenza umana” notevole, perché Dio è
intelligente anche per lui e comunque lo può far diventare intelligente. A livello essenziale si ha
bisogno solo dell’amore che, in se stesso, comprende l’Intelligenza. Cioè si ha solo bisogno di Dio,
il quale deve trovare dimora in noi con l’assenso del nostro amore e perciò della nostra intelligenza.

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Il sentimento dell’amore è innanzi tutto da intendersi come un sentimento nell’anima: è il
sentimento di Cristo a cui noi siamo chiamati a partecipare con un atto di volontà che è anche un
atto di desiderio. Cioè con un atto di amore per l’Amore.
La sensibilità fondamentale, perciò, è quella dell’anima, a cui si comunica, personalizzandosi, il
sentimento di Cristo.
Tale sensibilità, anche se non è direttamente legata ai sensi e alla psiche, si ripercuote in tutto
l’uomo, coinvolgendo spesso anche l’emotività: accogliendo il sentimento di Cristo, si inizia un
processo di purificazione.

Per il cammino di santità è più utile il sentimento di Cristo che il ragionamento (che, però, si
richiamano a vicenda), perché la carità tende ad incarnarsi di più nel sentimento purificato della
compassione che nella speculazione intellettuale, ma ciò che conta alla fine è l’amore.

Se avere molte nozioni fosse la cosa più importante, Satana non starebbe all’inferno, visto che è
dotato di una grande intelligenza naturale. Ma la sua è un’intelligenza senza intelligenza (cioè è
stoltezza), così come la sua vita è una vita senza vita (perciò è vera morte), in quanto ha rifiutato
l’Intelligenza e la Vita.
Non a caso Gesù chiama stolto chi sceglie consapevolmente il male e, di conseguenza, sceglie
assurdamente la propria infelicità solo per non volere attraversare la porta stretta dei Comandamenti
dell’amore: la stoltezza nel fare il male consiste proprio nella consapevolezza della scelta.
Alla fine, più intelligente è chi è più beato. Cioè chi più ama.

Il fine e l’essenza dell’intelligenza è il bene: una intelligenza che non viene finalizzata al bene è
perversa e non raggiunge la sua pienezza. E’, perciò, un’intelligenza stolta.

3. Maria, sede della sapienza

La domanda della Madonna all’arcangelo Gabriele nel giorno dell’Annunciazione: “Come è


possibile?”, sta a dimostrare: che a Dio si possono chiedere spiegazioni, purché lo si faccia con
fiducia e umiltà, e che più c’è fede, più la ragione si rafforza.

La Vergine Maria, detta Sede della sapienza, è colei che con tutta purezza ha chiesto all’angelo
spiegazioni dell’annuncio ricevuto, ma è anche colei di cui è scritto “beata colei che ha creduto”
(Lc 1,45): fede e ragione non solo non si oppongono, ma camminano insieme, solo che la ragione
segue la “via di terra”, mentre la fede “vola”.

Ma perché la fede possa giungere al suo “fine”, cioè alla conoscenza esperienziale e vitale del
Vivente, cioè di quel il misterioso “Io sono” della Bibbia che è Dio stesso, occorre la carità, ovvero
l’amore di Dio, perché Dio è amore.

Perciò Papa Giovanni Paolo II, nel Messaggio per la Giornata del Malato del 1999, citando
sant’Agostino, scrive: “Se dunque, non puoi leggere una ad una tutte le pagine della Scrittura, né
puoi srotolare tutti i volumi che contengono la Parola di Dio, né addentrarti in tutti gli arcani della
Sacra Scrittura, abbi la carità, da cui tutto dipende. Così saprai non solo ciò che ivi avrai appreso,
ma anche ciò che ancora non vi hai potuto apprendere”.

Dio in qualche modo può supplire anche alla carenza di cultura, che pure rimane un fattore umano
importante, perché, come ha detto san Giovanni Crisostomo: “La Croce ha reso filosofi anche gli
ignoranti”.
Dio, per manifestarsi, può usare la cultura (che come fine ha l’amore) ma, se vuole, può supplire ad
essa ed usare anche la povertà di cultura, offerta per amore.

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L’importante è che la ragione, per come può, con un atto libero e di fiducia, dia assenso a ciò che
riesce a conoscere della verità, che non può che essere una manifestazione dell’amore di Dio.
 
In una parabola evangelica, un uomo chiama degli operai a lavorare nella sua vigna a più riprese,
durante tutto l’arco della giornata e, alla fine, ricompensa tutti con la stessa paga, come pattuito, sia
chi ha lavorato tutto il giorno, sia chi ha lavorato solo un’ora.
Ricevuta la loro ricompensa, quelli che hanno cominciato a lavorare fin dal primo mattino,
sentendosi trattati ingiustamente rispetto a chi ha lavorato meno, chiedono spiegazioni. Ma il
padrone risponde ad uno di loro: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse convenuto con me per
un denaro? Prendi il tuo e vattene; ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te. Non posso
fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?” (Mt 20, 13-
15).
Si può notare come, a una domanda che, se fosse frutto di onestà intellettuale e non di invidia,
sarebbe legittima, viene risposto in modo ragionevole, ma che, pure, supera la ragione umana. Una
risposta secondo la ragione di Dio, che è amore gratuito.
 
E’ ovvio, infatti, che si possa fare delle proprie cose quello che si vuole, questo è comprensibile a
tutti, ma per capire la logica per cui il padrone della vigna paga allo stesso modo sia chi ha lavorato
un’ora solo, sia chi ha lavorato tutto il giorno, occorre cambiare il “piano di osservazione”. Occorre,
cioè, entrare in una prospettiva più profonda, che è quella dell’amore gratuito.
Fidarsi di Dio è il più grande atto di ragionevolezza proprio perché, senza contraddirla, supera la
ragione che si riconosce limitata ma che ambisce all’Infinito, che solo in Dio può trovare.

La ragione può realizzarsi pienamente solo fidandosi totalmente ed incondizionatamente di Dio,


così come ha fatto la Madonna nel giorno dell’Annunciazione, il Venerdì santo e in tutta la sua vita.

4. L’intelligenza è più del cervello

L’intelligenza è ordinata per fare le giuste scelte per la propria realizzazione.


Di conseguenza, se l'intelligenza si apre al dono e al lume della grazia, viene elevata allo stato
soprannaturale per operare in modo conforme alle esigenze della vita eterna, mentre l’intelligenza
mossa dalle sole sue forze naturali, predispone a fare le scelte giuste per la vita terrena, che è in
relazione ed è ordinata alla vita eterna.

Essendo l’intelligenza propria dell’anima, non va confusa con le facoltà cerebrali prese in se stesse,
che in certo modo rappresentano lo “strumento” privilegiato con cui l’anima si serve per
manifestare l’intelligenza concretamente in questa vita.
Infatti le facoltà cerebrali possono essere condizionate da più fattori: biologici, storici, ambientali,
psicologici…

Perciò, anche se a causa del peccato originale e delle sue conseguenze, in questa vita l’intelligenza
naturale non si manifestasse pienamente, chi è partecipe di Cristo e della Chiesa: “avrà in se stesso
la sorgente degli insegnamenti divini, sì da non aver più bisogno dei consigli degli altri” (Papa
Giovanni Paolo II, Udienza Generale del 17 Aprile 2002).
Del resto il cervello umano è più complesso del DNA umano e possiede un incredibile dinamismo
che, se da una parte lo rende “potente”, dall’altra in qualche modo lo rende anche più “fragile”.

L’intelligenza umana, perciò, non può essere ridotta alle sole facoltà del cervello (che però superano
in qualche modo la biologia, anche se ne sono in relazione né dipendono per manifestarsi),
altrimenti un computer, che riesce a contare meglio di un professore di matematica, “saprebbe”
anche contare meglio del professore, cioè comprenderebbe come si conta, ma non è così, perché il

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professore interagisce con la matematica con la sua anima attraverso la sua psiche, e perciò
coinvolge anche il suo “sentire” e la sua vita.

 Da quanto detto, anche i gemelli monozigoti (con lo stesso patrimonio genetico) hanno una
intelligenza diversa, e questo soprattutto perché hanno un’anima diversa.
Come non basta guidare la stessa auto perché due persone procedano allo stesso modo, così
possedere lo stesso DNA (ma il cervello, come visto, non è riconducibile solo dal DNA) non
significa avere la stessa intelligenza.

 Se lo studio dei gemelli monozigoti può dimostrare quanto influisca il patrimonio genetico in ogni
persona, ma può dimostrare anche, e con maggior forza, come ogni persona sia unica, influenzata
dalla propria storia, dalla propria anima, dalla propria libertà e dalla grazia di Dio che, come dice
Sant’Agostino, è più intimo a noi di noi stessi.

5. Conoscenza

Il conoscere razionalmente tende, per sua natura, a rapportarsi con l’anima. Perciò è, in qualche
modo, anche un po’ vivere ciò che si conosce, e vivendo in qualche modo si conosce ciò che si vive.
Così, chi vive la carità, in qualche modo la pensa, ma non è detto che chi pensa la carità, la vive.

La sapienza non consiste tanto nel sapere molte cose, quanto piuttosto nel saper discernere e
conseguentemente scegliere, sotto l’influsso della grazia, ciò che conduce a Dio, ed il sapere è
ordinato a tale scelta.

Molto schematicamente si può dire che la conoscenza umana può riguardare: la natura creata, fisica
e spirituale, e il divino. Tali ambiti di realtà interagiscono, ma è il divino a dare il vero significato a
ciò che è naturale.

L’uomo, evidenziando le potenzialità dell’universo, si apre sempre più alla conoscenza di se stesso
e di Dio, che illumina tutte le altre conoscenze che, essenzialmente per questo, sono un mistero
inesauribile. Infatti è Dio il vero Mistero ed il vero Infinito: tutto il resto è mistero ed infinito a
seconda del rapporto con lui. Anche la razionalità sfocia, alla fine, nel Mistero.

La razionalità si basa su Dio (non viceversa): è Dio, infatti, il principio della razionalità creata.
Di conseguenza le leggi della natura, sia umana che fisica, sono “modellate” sull’amore.

In Dio l’intelligenza, che pure coincide con lo stesso suo amore, in un certo senso si manifesta come
una conseguenza del suo amore.

Chi ama, perciò, conosce davvero. Infatti, se conoscere comporta in qualche modo un interagire con
l’oggetto della conoscenza, quanto più, rispetto alle cose, ci si può relazionare con le persone e
soprattutto con Dio, origine di ogni relazione e perciò di ogni amore e di ogni conoscenza?
E quanto più conoscere Dio può procurare gioia, se la relazione è intima, cioè se si realizza tramite
la grazia?

Ma si può davvero conoscere se si è conosciuti (l’iniziativa infatti è sempre di Dio): l’uomo perciò
si realizza accettando Dio e donandosi a lui: solo così egli conosce Dio, gli altri e se stesso.

Potremmo dire che la fede sta alla carità come l’intelletto sta alla persona intera: come la fede, per
essere viva, deve integrarsi nella carità quasi “trasformandosi” in essa, così l’intelletto, per non

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disumanizzarsi fino a diventare quasi un’intelligenza artificiale, deve integrarsi alla vita della
persona, che è relazione d’amore, fino, in un certo senso, a trasformarsi in relazione ed amore.

Se il sapere procura gaudio umano, quanto più darà gioia il conoscere Dio già in questa vita?
In Dio c’è ogni bene, tutto quello concepibile e tutto quello inconcepibile, elevato oltre ogni nostra
aspettativa, a cui siamo chiamati a partecipare attraverso la stessa vita di Dio in noi.
Di conseguenza possiamo partecipare al mistero divino anche con l’intelligenza e la razionalità (per
quanto possibile).

Le leggi della ragione si basano su principi e regole evidenti alla ragione stessa, e perciò accettati
per “fede umana”.
Ma la ragione ha una sua ragione d’essere più grande: Dio, che si manifesta attraverso la ragione,
ma che si rivela attraverso la fede.
La fede, essendo soprannaturale, è infallibile, e tutto ciò che da essa è richiamato o presupposto,
come la ragione, possiamo considerarlo “provato”. Anzi, in un certo senso, possiamo considerarlo
“rivelato”, in quanto la Rivelazione eleva anche le evidenze naturali.
La fede, infatti, è prova e se stessa, perché è opera di Dio: “Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito
che siamo figli di Dio” (Rm 8,16).

La fede non mortifica la ragione, ma la realizza, la eleva, la illumina.


Rinnegare la fede è, perciò, anche rinnegare la ragione. La chiusura ermetica alla fede, infatti, si
manifesta attraverso il cieco pregiudizio di non ammettere nessuna altra possibilità se non la
negazione. Ma la negazione di Dio fatta quasi scimmiottando l’atto di fede soprannaturale, cioè
negare Dio con certezza a prescindere, è un atto che contraddice se stesso.

Di fatto sembra che molti “seminatori” di dubbi, di dubbi non ne abbiano affatto quando fanno
affermazioni di tipo “dogmatico” contro la fede. Infatti, sebbene dicono di non avere la pretesa di
essere ispirati da un Ente divino infallibile (come potrebbero?), parlano come fossero ispirati.
La Chiesa, invece, afferma che le verità di fede che proclama sono ispirate da Dio e che tale
affermazione è attestata dallo Spirito Santo attraverso la fede.
 
In un certo senso si può dire che la prima forma di verità nell’uomo è la coerenza, in quanto si
presuppone che, chi agisce con coerenza, cerca la verità. Ma chi cerca la verità non dovrebbe avere
pregiudizi nella sua ricerca.
 
Credere conviene: questa evidenza non potrebbe forse essere considerata, invece che il pretesto per
non credere, un indizio che la fede è vera? Quasi una “prova” umana della fede, la quale però,
essendo un dono di Dio, per essere accettata ha bisogno dall’azione dello Spirito Santo nell’anima,
che è ben più della convinzione umana?
L’unica “prova” della fede, infatti, non può che essere la fede stessa.

Riferisce il Vangelo di Luca, che quando i discepoli di Gesù videro risorto il loro Maestro, per la
troppa gioia non credevano (cfr Lc 24,41). Essi, infatti, non capivano con la mente, ma qualcosa
intuivano col cuore, altrimenti non avrebbero gioito. Volevano credere e, perciò, in un certo senso,
avevano la fede in speranza, cioè quasi credevano attraverso la speranza, che rappresenta come un
anticipo della fede (e perciò della conoscenza).
 
Anche la carità in certo modo anticipa la fede, come dimostrano le donne che, con la Madonna,
stanno con Gesù, ai piedi della Croce. Esse ancora non credono nella risurrezione del Signore, ma
amano. Si comportano come se credessero: con fedeltà. In certo modo sono già fedeli: l’amore
supplisce la fede e anticipa la fede, mentre l’oggetto della fede è l’amore.

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L’uomo che cerca sinceramente la verità e segue la propria coscienza, anche se non ha raggiunto
ancora la fede, come vive i propri dubbi?
Psicologicamente vive l’inquietudine e la lacerazione della ricerca, ma nell’anima spera. E la
speranza colora la sua ricerca: dove c’è speranza, infatti, non c’è disperazione. E, direi, che c’è,
forse, anche qualche certezza, che si manifesta, appunto, attraverso la speranza.
La speranza, anche quando non sa bene cosa cerca, sa che “qualcosa” di buono ci potrebbe essere e
quasi “sente” che c’è, secondo le ragioni e la sapienza del cuore, e, se c’è, allora in qualche modo lo
“possiede”.
Perché chi, consciamente o inconsciamente, spera nella Speranza, apre il cuore all’amore.
 
Insegna Papa Benedetto XVI: “…l’amore vede più che la ragione. Dov’è la luce dell’amore non
hanno più accesso le tenebre della ragione; l’amore vede, l’amore è occhio e l’esperienza ci dà più
che la riflessione… è l’esperienza di un cammino molto umile, molto realistico, giorno per giorno…
di andare con Cristo, accettando la sua Croce” (Udienza del 14 Maggio 2008).

6. Scienza ideologizzata

Senza Dio tutto vacilla, anche la ragione.


Infatti, proprio perché la ragione può arrivare a Dio, che rappresenta il suo termine ultimo e più alto,
Dio (che razionalmente non può non esistere) non può che essere il fondamento della ragione
umana. Di conseguenza Dio può manifestarsi all’uomo con criteri razionali attraverso la fede, e può
manifestarsi intimamente attraverso la grazia, cioè attraverso un rapporto d’amore e di comunione
con noi.

Se, perciò, la ragione non fa riferimento a Dio, concetto assolutamente “laico” in quanto non
occorre la fede per credere alla sua esistenza, come dimostrano tanti filosofi non cristiani, vede
svanire la base su cui si regge, che c’è una base sicura che fa della ragione stessa la norma di
conoscenza.
Il puro relativismo in realtà non ammette nulla: né Dio, né la ragione. Ammette solo l’assurdo in cui
si afferma che non si può affermare, anche se tale affermazione si contraddice…

Se la realtà si può conoscere attraverso la ragione, Dio, che è superiore alla nostra ragione, può
essere da noi conosciuto solo se si rivela a noi.
E allora, quando la Realtà della realtà si rivela nella sua Realtà, meglio si potrà capire la realtà.

La ragione che in modo preconcetto fa a meno di Dio (che è la Realtà che fa la realtà), si aliena
perché non vive la realtà totale, che è quella reale, e, spesso, percorre vie di ricerca sbagliate. Vive
perciò una realtà irreale in modo irreale nella sua stessa essenza.

Non che la scienza vada studiata con gli stessi criteri della teologia o vada confusa con essa, ma
poiché la ricerca scientifica spesso pone dei problemi filosofici e teologici, questi non vanno
affrontati col metodo scientifico, ma con quello filosofico e, anche, con l’ausilio della fede.
Ma oggi, purtroppo, certi scienziati divulgatori vogliono grottescamente vestire anche i panni dei
filosofi e dei teologi, spesso però in modo goffo, ingenuo e pasticciato.

7. Sano “materialismo”

L’affermazione di molti materialisti riguardo alla fede: “Se non vedo, non credo”, non solo non può
essere applicata alla fede, che è opera della grazia e perciò è immateriale, ma, a certe condizioni,
può essere valida proprio per quella scienza a cui molti materialisti dicono di fare riferimento.

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Se la scienza moderna, infatti, è esplosa con Galileo, che ha applicato alla scienza un metodo
estremamente rigoroso con risultati positivi mai prima raggiunti, e ciò vorrà pur dire qualcosa!
Vuol dire che, il sapere, ordinariamente, avanza partendo da assunti dati per CERTI e da ipotesi
che, però, vanno in qualche modo verificate, e non partendo da idee stravaganti che, anche se per
assurdo fossero vere, se proposte in modo errato, potrebbero essere di ostacolo al vero progresso
scientifico.

E se a volte nuove scoperte scuotono dalle fondamenta i vecchi modelli scientifici creati dall’uomo
per spiegare la realtà, i vecchi modelli non sono stati inutili, in quanto hanno costituito un
fondamento di vera, anche se parziale, conoscenza, che ha fatto da base di lancio per nuove
conoscenze capaci di mettere a fuoco ancora meglio la realtà fisica.
Una conoscenza che, alle condizioni date, l’universo funziona in una certa maniera, ma nella
consapevolezza che i modelli sono una riduzione della realtà e, a volte, possono contenere dei dati
da correggere.

La realtà materiale conduce a una conoscenza “precaria”, ma non per questo falsa, in quanto
orientata alla verità, ma che non può che richiedere una Verità certissima e fondamentale che, in
ultima analisi, non può che essere quella trascendente (per noi cristiani, quella della fede).
Di fatto la materia non si spiega da sola mentre Dio si spiega in sé stesso.

Voler, perciò, trarre conclusioni filosofiche dello studio della scienza non facendo riferimento al
principio che la materia ha un Principio; volendo, cioè, trarre conclusioni ultime dallo studio del
mondo facendo a meno di Dio, è come pretendere di spiegare compiutamente un quadro non
parlando mai del suo autore.

INDICE

1. Carità e sapienza

2. I sentimenti di Cristo (cfr Rm 15,5)

3. Maria sede della sapienza

4. L’intelligenza è più del cervello

5. Conoscenza

6. Scienza ideologizzata

7. Sano “materialismo”

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