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Claudio La Rocca
Università degli Studi di Genova
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All content following this page was uploaded by Claudio La Rocca on 27 July 2015.
1. Kant dimenticato
Tra i pregiudizi intorno alla filosofia di Kant che sopravvivo-
no ancora, a oltre duecento anni dalla sua morte, vi è quello che ri-
guarda la nozione di inconscio. Le indagini storiche volte a rico-
struire l’emergere dell’inconscio prima di Freud, l’autore al quale si
usa legare la irreversibile fortuna di questo concetto (che pure ha
visto una prima fioritura nell’epoca del Romanticismo), non man-
cano di citare, in relazione alla filosofia moderna, il nome di Leib-
niz. Attraverso la teoria delle petits perceptions (piccole percezioni)
o perceptions insensibles (percezioni inavvertibili) Leibniz avrebbe
aperto la strada all’esplorazione del concetto di rappresentazioni
inconsce e all’idea di una attività rappresentativa inconscia. Nel li-
bro di Frank Tallis Hidden Minds, che offre una brillante storia dei
diversi modi di concepire l’inconscio, i Nouveaux Essais di Leibniz
vengono celebrati come «il primo vero ingresso del concetto di
funzionamento mentale inconscio nell’ambito della riflessione filo-
sofica»2. I meriti di Leibniz sono indiscutibili, anche se la frase ci-
1 Riprendo in questo saggio in modo più ampio temi trattati in alcuni interven-
ti precedenti: in particolare in una conferenza a Trier (in corso di stampa con il titolo
Unbewußtes und Bewußtsein bei Kant, in Kant-Lektionen. Zur Philosophie Kants und zu
Aspekten ihrer Wirkungsgschichte, hrsg. v. M. Kugelstadt, Königshausen & Neumann,
Würzburg), e nella relazione al Kant-Kongress di São Paulo 2005 (Der dunkle Verstand.
Unbewusste Vorstellungen und Selbstbewusstsein bei Kant, in corso di stampa negli atti
del congresso). Ho affrontato la problematica delle rappresentazioni oscure, in relazione
però con la prospettiva estetica, anche in Das Schöne und der Schatten. Dunkle Vorstel-
lungen und ästhetische Erfahrung zwischen Baumgarten und Kant, in: Im Schatten des
Schönen. Die Ästhetik des Hässlichen in historischen Ansätzen und aktuellen Debatten,
hrsg. v. H. Klemme - M.L. Raters - M. Pauen, Aisthesis-Verlag, Bielefeld 2006, pp. 19-
64. Ringrazio coloro che hanno contribuito alle discussioni a Trier e São Paulo e gli stu-
denti del Dottorato di Ricerca in Filosofia di Genova che hanno partecipato ad un semi-
nario su questi temi.
2 F. TALLIS, Hidden Minds. A History of the Inconscious, New York 2002, trad. it
di A. RANIERI - M. LONGONI, Breve storia dell’inconscio, Il Saggiatore, Milano 2003, p. 15.
64 Leggere Kant
tata forse sopravvaluta il suo contributo, dal momento che già nella
filosofia postcartesiana l’attività inconscia della mente – costituita
dai cosiddetti «pensieri ai quali non si pensa», les pensées impercep-
tibles – rappresentava un tema non secondario se non della ricerca,
almeno della discussione di principio3. In ogni caso, nel contesto di
queste ricostruzioni storiche Kant non viene quasi mai citato, o, se
ciò avviene, viene ricordato solo di passaggio e «a causa della sua
grande influenza, più che per una originalità particolare »4. Dire
che il ruolo di Kant è sottovalutato è dire poco quando si legge che
Kant non avrebbe potuto neanche concepire, per motivi logici, l’e-
sistenza di rappresentazioni inconsce, perché avrebbe affermato
che l’“Io penso” deve accompagnare tutte le rappresentazioni5.
Eppure l’importanza della trasformazione nella concezione
delle attività inconsce della mente che si compie tra Leibniz e Kant
– passando per Wolff, Baumgarten, Meier – non può essere sotto-
valutata. Il contributo di Kant non consiste tanto in una indagine
approfondita della logica del rappresentare inconscio e delle sue
regole particolari – che l’inconscio non sia semplicemente una
mente non consapevole, ma segua piuttosto una sua logica peculia-
re è un’idea che soltanto con Freud emerge con chiarezza. L’impor-
tanza della sua teoria delle rappresentazioni inconsce sta invece
nell’aver reso possibile, ponendo le basi per ogni ulteriore analisi
delle profondità nascoste dell’animo umano, una indagine dell’in-
conscio come sfera autonoma che abbraccia molteplici eventi e
processi mentali. Nel nuovo orizzonte aperto dalla riformulazione
kantiana del concetto di «rappresentazioni oscure» ciò che non era
possibile in un orizzonte leibniziano si trasformò in un compito
concreto. Il lato oscuro dell’anima cessò di essere una terra fanta-
stica, a proposito della quale potevano narrarsi storie favolose e
dubbie, per diventare all’improvviso una regione della quale si pos-
6 G.W. LEIBNIZ, Monadologie, trad. it. a cura di S. Cariuat, con testo francese a
fronte: Monadologia, Bompiani, Milano 2001, p. 64 (§ 14): «L’état passager qui envelop-
pe et représente une multitude dans l’unité ou dans la substance simple n’est autre cho-
se que ce qu’on appelle la Perception, qu’on doit distinguer de l’apperception ou de la
conscience, comme il paroîtra dans la suite. Et c’est en quoi les Cartésiens ont fort man-
66 Leggere Kant
sono troppo piccole per essere notate di per sé: esse hanno il loro
effetto in connessione con altre rappresentazioni e sono percepibili
come complesso7. Inconscio è qui ciò che si sottrae all’attenzione
della mente e per questo non viene notato. Bisogna guardarsi per-
ciò dal pensare, in relazione a questo tipo di rappresentazione non
conscia, a rappresentazioni che mancherebbero di autocoscienza ri-
flessiva: si tratta piuttosto di rappresentazioni che non giungono fi-
no alla coscienza, che si sottraggono ad essa, che appunto non ven-
gono notate. Notare significa a sua volta, in questo contesto, poter
distinguere. Il non conscio non viene dunque definito dalla man-
canza di una componente metacognitiva, dal darsi come rappresen-
tazione “con-saputa”, ma attraverso una caratteristica negativa, una
manchevolezza del conoscere. Nella Acroasis logica di Alexander
Baumgarten è definita come chiara quella rappresentazione del cui
oggetto siamo consapevoli8. Non è dunque la consapevolezza della
rappresentazione ciò che conta in prima istanza.
È la connessione del concetto di coscienza con la capacità di
distinguere qualcosa da qualcos’altro (e così di riconoscerlo) ciò
che collega in Leibniz la teoria delle petites perceptions con la sua
classificazione gnoseologica delle rappresentazioni. L’ammissione
dell’esistenza di rappresentazioni non consce, che si compie contro
Cartesio, ma anche contro Locke, crea uno spazio particolare per
le cosiddette repraesentationes obscurae, che vengono contrapposte
alle clarae, le quali si dividono a loro volta in soltanto clarae ed in
clarae et distinctae (possiamo qui prescindere dalle pur importanti
ulteriori suddivisioni). In Leibniz le due sfere concettuali delle peti-
tes perceptions, come vengono viste nei Nouveaux Essais, e delle
rappresentazioni oscure non coincidono perfettamente. Ma nella
scuola di Wolff si prescinde necessariamente dai Nouveaux Essais,
qué, ayant compté pour rien les perceptions dont on ne s’apperçoit pas». Le traduzioni
citate dei testi di Leibniz, Locke, Wolff, Kant sono talvolta da me modificate, senza che
ciò venga segnalato ogni volta esplicitamente.
7 G.W. LEIBNIZ, Nouveaux Essais sur l’Entendement humain (1765), in G.W.L.,
Die Philosophischen Schriften, hrsg. v. C.J. Gerhardt, V. Band, Berlin 1882 (ristampa
anastatica, Hildesheim-New York 1965), p. 47, trad. it. di M. MUGNAI, Nuovi saggi sul-
l’intelletto umano, Editori Riuniti, Roma 1982, p. 48.
8 A.G. BAUMGARTEN, Acroasis logica. In Christianum L.B. de Wolff dictabat
Alexander Gottlieb Baumgarten, Halle 1761 (ristampato in CH. WOLFF, Gesammelte
Werke, Abt. III.5., Hildesheim-New York 1973), § 14: «Cognitio, cuius obiecti conscii
sumus, clara; non clara, obscura est».
L’intelletto oscuro 67
9 Di converso «clara ergo cognitio est, cum habeo unde rem repraesentatam
Menschen, auch allen Dingen überhaupt (Deutsche Metaphysik), Halle 1720, ristampa
dell’ed. 1751 in CH. WOLFF, Gesammelte Werke, hrsg. von J. École - H.W. Arndt - Ch.
A. Corr - J.E. Hofmann - M. Thomann, I. Abteilung, Deutsche Schriften, Bd. 2, Olms,
Hildesheim-Zürich-New York 1983, § 201, S. 112, trad. a cura di R. Ciarafardone: Me-
tafisica tedesca, testo tedesco a fronte, Rusconi, Milano, 1999, p. 191. In seguito quest’o-
pera è indicata con la sigla DM.
15 CH. WOLFF, Psychologia empirica, Frankfurt-Leipzig 1732 (ristampa in CH.
WOLFF, Gesammelte Werke, Abt. II.5. Hildeshei, 1968), § 36. In seguito quest’opera è
indicata con la sigla PE.
16 CH. WOLFF, Vernünftige Gedancken von den Kräften des menschlichen Ver-
standes und ihrem Richtigen Gebrauche in Erkäntniss der Wahrheit (Deutsche Logik),
Halle 1713 (Neuausgabe hrsg. von H.W. Arndt, in CH. WOLFF, Gesammelte Werke,
Abt. I.1., Hildesheim 1965), § 10, p. 127, trad. it. della edizione del 1754, a cura di R.
CIAFARDONE, Logica tedesca, Pàtron, Bologna 1978, p. 37. In seguito quest’opera è indi-
cata con la sigla DL.
L’intelletto oscuro 69
17 Ibid. (Ciafardone traduce fremd, che rendo con “sconosciuta”, con “esotica”).
18 Ibid.
19 DL, § 11, p. 127, it. p. 37.
20 È bene ricordare che la nozione di Wolff di pensiero (Gedancke) non va iden-
tificata con quella odierna e già kantiana Secondo Wolff il «Gedancke» (cogitatio) è
«quell’atto dell’anima mediante il quale noi siamo consapevoli» («diejenige Würkung der
Seele, wodurch wir uns bewust sind») (DL., § 2, p. 123, it. p. 33; cfr. anche PE, § 26).
21 Ibid.
70 Leggere Kant
24 DM, § 45, p. 24, it. 89. Cfr. la Psychologia rationalis (Frankfurt-Leipzig 1725,
in CH. WOLFF, Gesammelte Werke, hg. von J. École, II. Abteilung, Lateinische Schriften,
Bd. 6, Olms, Hildesheim-New York 1972; citata in seguito con la sigla PR), § 21, che af-
ferma l’implicazione reciproca di coscienza di sé e coscienza delle cose fuori di sé: «Quan-
do anima sui rerumque perceptarum conscia est, eas extra se invicem atque extra se perci-
pit et contra». Su questo punto si veda P. PIMPINELLA, Sensus e sensatio in Wolff e Baum-
garten, in Sensus - Sensatio, a cura di M.L. Bianchi, Olschki, Firenze 1996, pp. 471-498.
25 DM § 740, p. 472; cfr. nel § 752, p. 468 il paragone tra il rappresentare con il
XVII. und XVIII Jahrhundert, Niemeyer, Halle, 1916 (Nachdruck Olms, Hildesheim
/New York, 1981), pp.186-187.
29 A.G. BAUMGARTEN, Metaphysica, Halle 1739 (ristampa anastatica della 7a edi-
zione, Halle 1779: Olms, Hildesheim-New York 1969), § 511. Cfr. H. ADLER, Fundus ani-
mae - der Grund der Seele. Zur Gnoseologie des Dunklen in der Aufklärung, in Deutsche
Vierteljahrsschrift für Literaturwissenschaft und Geistesgeschichte, 62, 1988, pp. 197-220.
30 PE, § 36.
L’intelletto oscuro 73
ut aliqui eorum characteres clari sint, aliqui obscuri. Eiusmodi perceptio, qua notas cla-
ras, distincta est».
32 Cfr. C. LA ROCCA, Das Schöne und der Schatten. Dunkle Vorstellungen und
ästhetische Erfahrung zwischen Baumgarten und Kant, in Im Schatten des Schönen. Die
Ästhetik des Hässlichen in historischen Ansätzen und aktuellen Debatten, hrsg. v. H.
Klemme - M.L. Raters - M. Pauen, Aisthesis-Verlag, Bielefeld 2006, pp. 19-64.
33 «A multis adhuc ingnoretur, etiam philosophis», si dice nel § 80 dell’Aesthetica
fidungen) vere e proprie sembra consistere nel fatto che le ultime possono «diventare
pensieri», cosa che le prime non possono «mai» (§ 740, p. 462). Nella macchina la distin-
zione tra “in sé “ e “fuori di sé” (quindi la coscienza che rende le rappresentazioni pen-
L’intelletto oscuro 75
sieri) non può aver luogo. Le sensazioni però anzitutto non sono pensieri; la loro diffe-
renza dalle «rappresentazioni materiali» consiste allora solo nel fatto che esse si presen-
tano nell’anima semplice. La semplicità viene però derivata – con una certa circolarità –
dall’incapacità dei corpi di pensare (di essere coscienti) (§ 742). Dunque le sensazioni so-
no rappresentazioni non ancora consce in un ente che può diventare cosciente. L’incon-
scio viene sempre in linea di principio concepito come provvisoriamente inconscio.
40 Cfr. DM § 193, it. p. 187: «Qualora, infatti, si trovi in noi più di quanto siamo
to oscura se non la distinguiamo in nessun modo da nessun altra, se non ne siamo affat-
to coscienti e non pensiamo affatto al suo oggetto. A queste appartengono le rappresen-
tazioni di tutte le cose che non ci vengono neppure in mente (in die Gedanken) e ognu-
no vede che qui non sono in grado di citare alcun esempio»; Wolff ammette perceptiones
totaliter obscurae, che però sono note per dimostrationem, cioè per inferenza; cfr. PE, §
200. Va notato anche che il riferimento all’oggetto sembra essere stabilito attraverso la
chiarezza, il che rende problematico concepire un rappresentare che contenga intenzio-
nalità senza coscienza. Così in Wolff l’intenzionalità di pensieri oscuri è concepita come
una sorta di intenzionalità complessiva indeterminata: nello stato di pensieri oscuri, scri-
ve, «non distinguiamo proprio nulla, e nell’intero pensiero, che abbraccia ogni cosa a
cui pensiamo contemporaneamente, non vi sono né chiarezza né perspicuità» (DM, §
213, it. p. 199). Un tale pensiero dovrebbe essere però inconscio (cfr. DM, § 731), dun-
76 Leggere Kant
que a rigore nient’affatto un pensiero (cfr. §§ 194-195, dove «Gedancke» viene identifi-
cato con il rappresentare cosciente; Wolff tuttavia non si mantiene sempre coerente con
la decisione terminologica lì presa, come avviene appunto anche nel § 213).
42 Cfr. R. BRANDT - W. STARK, Einleitung, in Kants gesammelte Schriften, Bd.
Meier è ristampato nel vol. XVI della Akademie-Ausgabe; cfr. qui AA XVI 296): «Una
nota, un carattere della conoscenza e delle cose (nota, character cognitionis et rei) è ciò
nella conoscenza o nelle cose che, se viene conosciuto, è la ragione per cui noi ne siamo
coscienti; ovvero esse sono gli elementi di differenziazione della conoscenza e dei suoi
oggetti. Dove dunque v’è una coscienza, là vengono conosciute delle note». Nella Logik
Busolt (databile tra il 1788 e il 1790) Kant riferisce a Wolff l’idea della nota come rap-
presentazione distintiva (Unterscheidungs Begrif) e ne prende parzialmente le distanze,
in quanto la nota può segnalare anche una somiglianza tra cose: esistono dunque note
dell’identità e note della diversità (AA XXIV 633-634).
78 Leggere Kant
tono la coscienza; cfr. ibid., § 150. Il carattere “privativo” della conoscenza oscura in
Meier è estremo nel caso della conoscenza «del tutto oscura», che corrisponde a quelle
rappresentazioni che semplicemente non abbiamo (cfr. ibid., § 156, p. 170). Tuttavia
Meier nega, non senza fatica, vista la definizione di oscurità ricordata, l’identità tra co-
noscenza oscura e Unwissenheit (§ 159, p. 175).
L’intelletto oscuro 79
XV 64, databile tra il 1764 e il 1769. Ma questa tesi è ripresa nella Anthropologie in
pragmatischer Hinsicht (1798) (in seguito citata con la sigla Anthr.), AA VII 136; trad. it.
di P. Chiodi: Antropologia dal punto di vista pragmatico, TEA, Milano 1995, p. 18: «Nel-
l’uomo, il campo delle rappresentazioni oscure è il più vasto».
56 AA XXV 479.
80 Leggere Kant
Theologie und der Moral (1764), AA II 289-290, trad. it. Indagine sulla distinzione dei
principi della teologia naturale e della morale, in Scritti precritici, cit., p. 254.
59 R 177, AA XV 65.
L’intelletto oscuro 81
60 Ak XXV 479.
61 Cfr. E.R. REED, From Soul to Mind. The Emergence of Psychology from Era-
smus Darwin to William James, Yale University Press, New Haven-London 1997, pp.
131 sgg.
62 Il controllo cosciente in particolare degli atti conoscitivi ha per Kant una fun-
zione indispensabile, come mostra l’esempio dei «giudizi provvisori» (che fanno parte
anche delle rappresentazioni oscure, cfr. AA XXV 481): essi possono aver luogo senza il
processo che Kant chiama «riflessione (Überlegung)», ma degenerano necessariamente
in pregiudizi.
63 Anthropologie Collins, inverno 1772/73, AA XXV 31-32.
64 Sulle diverse rappresentazioni oscure cfr. anche V. SATURA, Kants Erkennt-
uomo già lo sa; soltanto che non ne era cosciente; e chi ce lo spiega ed espone cose non
ci dice propriamente nulla di nuovo che ancora non sapessimo, ma egli fa sì soltanto che
io prenda coscienza di quanto era già in me» (AA XXVIII 227, it 54).
69 Anthr., AA VII 136-137, it. p. 19. Su questo cfr. C. LA ROCCA, Das Schöne
tica della capacità di giudizio, con testo tedesco a fronte, Rizzoli, Milano 1995, p. 241.
74 Anthr. AA VII 144-145. it. p. 27.
75 AA VII 187, it. p. 70.
84 Leggere Kant
sori cfr. C. LA ROCCA, Giudizi provvisori. Sulla logica euristica del processo conoscitivo, in
Soggetto e mondo. Studi su Kant, Marsilio, Venezia 2003, pp. 79-119.
L’intelletto oscuro 85
ren (1763), AA II 191, trad. it. Tentativo per introdurre nella filosofia il concetto delle
quantità negative, in Scritti precritici, cit., p. 275.
85 KrV A B 370-71: «…compitare i fenomeni conformemente all’unità sintetica
per poterli leggere come esperienza»; Prolegomena § 30, AA IV 312: i concetti puri del-
l’intelletto servono solo a «compitare (buchstabieren) i fenomeni, per poterli leggere co-
me esperienza».
86 Leggere Kant
86 «How can something be part of an actual process and yet be merely logical?»
87 Kritik der reinen Vernunft A 320 B 376-377; cito quest’opera con la sigla KrV
e le pagine della prima e della seconda edizione originale (A e B), indicate anche nelle
traduzioni italiane di P. Chiodi (TEA, Milano 1986) e di C. Esposito (Bompiani, Milano,
2004). Faccio riferimento prevalentemente a quest’ultima traduzione. Sulla “scala” delle
rappresentazioni nella prima Critica e in genere sulla nozione di rappresentazione in
Kant in rapporto alle sue fonti cfr. P. RUMORE, Paola Rumore, L’ordine delle idee. La ge-
nesi del concetto di‘rappresentazione’ in Kant attraverso le sue fonti wolffiane (1747-
1787), Le Lettere, Firenze 2007.
88 Kant correggerà in una annotazione nella sua copia della Critica: «… dell’im-
minare con maggior attenzione, seppure solo per alcuni tratti gene-
rali, la presentazione kantiana del tema dell’appercezione trascen-
dentale.
Il passo più celebre sulla appercezione trascendentale è la tesi
sull’“Io penso” che apre il § 16 della deduzione trascendentale nel-
la seconda edizione:
L’Io penso deve poter accompagnare tutte le mie rappresentazioni,
poiché, se così non fosse, in me verrebbero rappresentato qualcosa che
non potrebbe affatto essere pensato: il che vuol dire, in altri termini, o che
la rappresentazione sarebbe impossibile, o che essa - almeno per me - non
sarebbe nulla93.
93 KrV B 131-132.
94 Si veda ad esempio H.F. KLEMME, Kants Philosophie des Subjekts. Systemati-
sche und entwicklungsgeschichtliche Untersuchungen zum Verhältnis von Selbstbewußt-
sein und Selbsterkenntnis, Kant-Forschungen Bd. 7, Felix Meiner Verlag, Hamburg
1996, pp. 195 sgg.; H. ALLISON, Kant’s Trascendental Idealism. An Interpretation and
Defense, revised and enlarged edition, New Haven-London 2004, pp. 163 sgg.; P. KEL-
LER, Kant and the Demands of Self-Consciuousness, Cambridge 2001, pp. 67-69.
95 Per la verità qualcuno non l’ha notato, o non ne ha tenuto conto; cfr. M. FER-
RARIS, op. cit., che su questo punto è contestato dagli autori che discutono con lui in A.
FERRARIN (a cura di), Congedarsi da Kant? Interventi sul «Goodbye Kant» di Ferraris,
Edizioni ETS, Pisa 2006. Ma anche secondo P. GUYER, Kant on Apperception and A
priori Synthesis, «American Philosophical Quarterly» 17, luglio 1980, pp. 205-212, Kant
difenderebbe la tesi che ogni rappresentazione implica coscienza ed ogni coscienza au-
tocoscienza (pp. 209 sgg.). Come sopra ricordato, secondo Guyer in Kant l’idea di rap-
presentazione inconscia è contraddittoria (cfr. sopra, n. 5); egli deve perciò sottovaluta-
re, là dove riconosce la relazione kantiana con la concezione delle petites perceptions, la
teoria di Kant delle rappresentazioni oscure (P. GUYER, Kant and the Claims of Know-
ledge, cit., pp. 143-144.; cfr. anche Kant on Apperception, p. 210).
96 J. LOCKE, An Essay concerning Human Understanding, ed. by P.H. Nidditch,
Oxford 1975, II.27.9, trad. it. a cura di V. CICERO - M.G. D’AMICO, Saggio sull’intelletto
umano, Bompiani, Milano 2004, pp. 605-607. Secondo Patricia Kitcher l’affermazione
L’intelletto oscuro 91
di Kant in KrV B 133 sul carattere disperso della coscienza che accompagna le rappre-
sentazioni è da vedere come una critica a Locke. Cfr. P. KITCHER, Kant’s Trascendental
Psychology, New York-Oxford 1990, p. 126.
97 AA XXV 859. Anche nella R 5653 AA XVIII 306 c’è una analoga frase senza
99 KrV B 133.
100 Ibid.
101 AA XXV 862.
102 AA XXV 1219. Cfr. le lezioni di metafisica Metaphysik L1, AA XXVIII 227,
dove la «coscienza soggettiva» è vista come «un osservare rivolto a se stessi; non è di-
scorsiva, ma intuitiva».
L’intelletto oscuro 93
generale riformulazione dei concetti – è più stretto è quello in KrV B 414, dove Kant di-
scute i concetti di oscurità e chiarezza in relazione a quello di coscienza, e sembra iden-
tificare la coscienza con la capacità di «fare distinzione (Unterschied machen)». Il passo
meriterebbe un ulteriore approfondimento, che qui non possiamo svolgere. Sul nesso
94 Leggere Kant
con le teorie della scuola wolffiana si veda F. WUNDERLICH, Kant und die Bewußtsein-
stheorie des 18. Jahrunderts, De Gruyter, Berlin-New York 2005, che non dà però parti-
colare peso al concetto di rappresentazione oscura.
L’intelletto oscuro 95
per mezzo dell’unità sintetica dell’appercezione); tutto ciò senza che io at-
traverso questo gioco conoscessi minimamente qualcosa, neanche questo
mio stato106.
106 AA IX 51-52.
107 Cfr. Logik, AA IX 58.
108 Nello scritto Die falsche Spitzfindigkeit der vier syllogistischen Figuren (AA II
59; trad. it. a cura di S. Marcucci: La falsa sottigliezza delle quattro figura sillogistiche,
Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, Pisa-Roma 2001, p. 38) Kant identifica la
distinzione (Deutlichkeit) di un concetto – e con esso la capacità rappresentativa umana
– non nella rappresentazione chiara di una nota, ma nella rappresentazione chiara di es-
sa in quanto nota di una cosa.
109 «La forma di ogni giudizio consiste nell’unità oggettiva della coscienza dei
96 Leggere Kant
concetti dati, cioè nella coscienza che essi devono appartenere l’uno all’altro, e attraver-
so di ciò designano un oggetto, nella cui (completa) rappresentazione essi devono essere
sempre rinvenuti insieme» (R 5923, AA XVIII 386).
110 KrV B 134.
111 Cfr. su questo C. LA ROCCA, Come sono possibili i giudizi sintetici a posterio-
bleme der Subjektivität in Geschichte und Gegenwart, hrsg. v. D.H. Heidemann, Stuttgart
2002, p. 81.
L’intelletto oscuro 97
113 «Ogni coscienza empirica ha una relazione necessaria a una coscienza tra-
esame, e che d’altronde è semplicemente derivata dalla prima sotto determinate condi-
zioni in concreto – ha solo una validità soggettiva» (KrV B 140). Inoltre il grado inter-
medio, «l’atto di rappresentare complesso che non intende un accordo con il mondo
98 Leggere Kant
6. L’appercezione trascendentale
Vediamo ora meglio – seppure per tratti essenziali – in cosa
consista l’operare dell’appercezione trascendentale, per poi poter
riproporre il problema del rapporto con l’operare inconscio ma in-
tellettuale di cui Kant riconosce l’esistenza.
La stessa possibilità di chiamare “mie” delle rappresentazioni
presuppone la possibilità di riferirle ad un io identico. Da dove na-
sce la conoscenza o coscienza di questa entità identica – numerica-
mente identica, sostiene Kant – sottintesa ad ogni attribuzione di
“appartenenza” delle rappresentazioni? Kant si è lasciato ormai alle
spalle la sua idea degli anni ’70 secondo cui sarebbe possibile coglier
tale entità identica tramite intuizione (conoscendo poi così anche –
ma questo non è ora importante – una sostanza, semplice e immate-
riale)120. L’identità viene rappresentata ora non preliminarmente, ma
contestualmente all’atto di “inclusione” in una coscienza.
Cosa significa riconoscere come “mie” delle rappresentazio-
ni? Non che io sia cosciente di esse come tali, ma che possano ap-
partenere tutte insieme (insgesamt, durchgängig) alla mia coscien-
za121. Ma cos’è, se si prescinde dalla metafora apparentemente
comprensibile della proprietà o della coscienza come “contenito-
re”, questa appartenenza? Non il fatto che ogni rappresentazione
sia “accompagnata” da una coscienza, né fatto che ogni rappresen-
tazione sia “contenuta” in essa, perché accompagnatore e conteni-
tore non sono identificabili separatamente, non abbiamo un modo
per identificarli. Manca, dice Kant, «il riferimento alla identità del
soggetto». E aggiunge il passo decisivo:
Questo riferimento non avviene dunque ancora per il fatto che io
rebbe tutte quante (insgesamt) mie rappresentazioni, se tutte quante non appartenessero
ad un’unica autocoscienza: vale a dire che esse, in quanto rappresentazioni mie (sebbene
io non sia cosciente di esse in quanto tali), devono poter essere però necessariamente
conformi alla solo condizione per cui possono coesistere in un’autocoscienza universale,
perché in caso contrario non apparterrebbero tutte (durchgängig) a me» (KrV B 132).
L’intelletto oscuro 99
7. Coscienza e consapevolezza
La coscienza sintetica che sta strutturalmente dietro a quella
analitica (psicologica) non è però in quanto tale psicologicamente
consapevole. Ciò non toglie che essa sia ogni volta anche un atto, la
cui natura trascendentale è data però non dal fatto di svolgersi
“prima” o in una dimensione pura separata dall’accadere empirico
e psicologico-empirico, ma dal rispondere a delle necessità struttura-
li e riconoscerle (poterle riconoscere come tali). Riprendiamo la let-
tura del § 16. L’autocoscienza analitica, che consiste nel chiamare
“mie” delle rappresentazioni, è vista da Kant come fondata sul dar-
si delle rappresentazioni stesse. La sua struttura di fondo è “io pen-
so x”, non è mai “io penso me”: l’Io è sempre quello determinante,
dirà Kant nei Paralogismi, mai determinato: in altro termini l’Io
non prende mai se stesso come oggetto. L’aspetto riflessivo (quello
espresso dal prefisso “auto-)” dell’autocoscienza pone a Kant pro-
blemi intricati, soprattutto nella definizione del suo status ontologi-
co ed epistemico. Ma in sede di deduzione trascendentale delle ca-
tegorie Kant non è interessato ad altro che a sottolineare la neces-
sità ineludibile dell’appercezione trascendentale, e questa viene
identificata con la coscienza di una sintesi operata dall’intelletto,
non con l’identificazione di un “io”. In altri termini: è l’io psicolo-
gico, quello che trova espressione nel possessivo (le “mie” rappre-
sentazioni), a svelare come propria condizione l’io logico – come
124 AA XVI 633, R 3051, corsivo mio. Le parole in parentesi sono aggiunte da
zione contiene una sintesi delle rappresentazioni ed è possibile solo tramite la coscienza
di questa sintesi» (KrV § 16, B 133).
130 KrV § 25, B 158.
L’intelletto oscuro 103
l’identità dell’io non è l’identità personale, che per Kant viene sta-
bilita attraverso una unificazione continua, per la quale non è suffi-
ciente un’appercezione, ma serve la memoria (una memoria dotata
di continuità) dei propri stati e delle proprie azioni: la memoria
della propria “storia” empirica131. C’è una riflessione curiosa e un
po’ enigmatica, anche perché forse da correggere dal punto di vista
testuale, che può esser interessante per il nostro tema. Discutendo
dello status post mortem, commentando la metafisica di Baumgar-
ten, Kant scrive:
Che un ente dopo la morte sia tale da essere cosciente di tutte le no-
stre determinazioni della vita e si attribuisca queste a sé come passate, non
dimostra ancora, che questo ente sono io. Qui sembra che la coscienza
debba essere [in]interrotta, almeno che abbia continuato [come] attraver-
so il periodo di trapasso e di ottundimento che si ha al risveglio. Il senso
interno deve durare in modo ininterrotto (secondo la sensazione) sebbene
la coscienza secondo la riflessione è interrotta132.
alla presenza di una componente morale. Cfr. R 5646, AA XVIII 295: «L’io. Sulla base
dei fenomeni del senso interno (così come di quello esterno) non ci si può mai conside-
rare come un sé identico, neppure secondo il carattere sensibile. Solo in relazione alla
moralità, che è la pura coscienza di noi stessi indipendentemente da una determinazione
nello spazio o nel tempo, lo stesso soggetto delle azioni libere sotto le stesse leggi è in
ogni momento in cui noi siamo coscienti di noi stessi, e in questo caso il tutto delle no-
stre azioni viene considerato come unità» (cfr. R. BRANDT, Kritischer Kommentar, cit., p.
74). La datazione di questa Reflexion oscilla tra il 1776 e il 1788.
132 R 4559, AA XVII 593-594 (1772-76). Nel testo si legge unterbrochen (inter-
rotta) ma dal senso della frase mi sembra indubbio che Kant abbia voluto scrivere unun-
terbrochen (ininterrotta).
104 Leggere Kant
cosciente anche di tutte quelle azioni, di cui noi ci ricordiamo, allora sa-
rebbe me stesso. Dunque l’identità della persona non riposa sulla concor-
danza dell’appercezione, ma sulla continuazione di essa, sia pure in uno
stato di rappresentazioni oscure (unter dunklen vorstellungen)133.
futazione, fino al frammento Vom inneren Sinn non sono che svi-
luppi di questa impostazione di fondo137.
8. Appercezione e coscienza di sé
Veniamo ora al problema sollevato dal confronto con la teo-
ria “psicologica” della rappresentazioni oscure. È ancora autoco-
scienza l’appercezione sintetica originaria?
Ridotta ad una frase, la teoria kantiana, della cui complessità
abbiamo cercato di mostrare alcuni aspetti, dice che la coscienza di
sé come identità (e solo come identità) presuppone una coscienza
dell’atto di sintetizzare il molteplice. La autocoscienza psicologica ha
come sua condizione (che aiuta a manifestare) la possibilità di una
coscienza intenzionale, la quale – è la scoperta di Kant più decisiva –
non è un atto puntuale di relazione di un singolo stato ad un singolo
oggetto, ma è originariamente complessa, ossia presuppone la costitu-
zione di un intero mondo conoscibile da una coscienza: presuppone
la dimensione che Kant chiama dell’«esperienza possibile»138.
Uno dei luoghi nei quali è più chiaramente ripetuto che è ca-
rattere proprio dell’appercezione quello di essere coscienza di fun-
zioni di unificazione d’altro – il carattere formale dell’appercezione
trascendentale come fondamento dell’intenzionalità – è il § 3, dedi-
cato alla sintesi della ricognizione nel concetto della prima versione
della deduzione trascendentale delle categorie, la deduzione A.
Qui viene chiaramente affermato che l’oggetto – il correlato inten-
zionale, potremo dire in termini non kantiani – della rappresenta-
zione scaturisce dalla coscienza della necessità della sintesi operata:
la rappresentazione può “uscire da sé” grazie alla coscienza di esse-
re il risultato di una regola necessaria.
137 Cfr. C. LA ROCCA, Soggetto e mondo, cit., pp. 53 sgg. Sulla tematica delle con-
te le rappresentazioni solo a noi stessi come modificazioni del nostro stato; esse sono al-
lora separate l’una dall’altra, e sopratutto esse non sono conoscenza di una qualche cosa
e non si riferiscono ad alcun oggetto. Esse non sono ancora esperienza, la quale deve
contenere sì rappresentazioni empiriche, ma al contempo come conoscenza degli oggetti
dei sensi». In altri termini, non è sufficiente che vi siano rappresentazioni empiriche per-
ché vi sia esperienza, ma devono darsi rappresentazioni in grado di riferirsi ad oggetti
fuori di sé.
L’intelletto oscuro 107
È chiaro che, dal momento che abbiamo a che fare con il molteplice
delle nostre rappresentazioni, e quella X che corrisponde loro (l’oggetto),
poiché deve essere qualcosa di diverso da tutte le nostre rappresentazioni,
non è nulla per noi, […] l’unità che l’oggetto rende necessaria non possa
essere altro che l’unità formale della coscienza nella sintesi del molteplice
delle rappresentazioni139.
L’unità formale della coscienza presuppone, dice Kant poco
dopo, che l’intuizione si stata prodotta «secondo una regola», che
rende «a priori necessaria» la riproduzione del molteplice e possibi-
le un concetto in cui tale molteplice si unifichi. È questo l’elemento
autoriflessivo nell’appercezione trascendentale: l’identità logica cui
“appendere” il giudizio e la stessa unificazione percettiva non è la
sussistenza di un ente, del soggetto inteso come un ente, ma la co-
stante necessità di una regola di unificazione («l’io costituisce il so-
strato per una regola in generale», scriveva Kant già nel Duigsburg-
Nachlass, prima della stesura della Critica)140. In questo senso per-
ché identità da un lato e oggettività dall’altro siano possibili non è
necessario che io sia cosciente di me stesso, ma è necessaria “co-
scienza” - possiamo tradurre: la applicazione unitaria ed intercon-
nessa, e controllata - di regole vincolanti, che sono quelle che con-
sentono la distinzione di ciò che è oggettivo da ciò che non lo è. È
evidente come una tale “coscienza” meriti le virgolette, meriti cioè
che venga sottolineata la sua assoluta peculiarità rispetto ad ogni
coscienza psicologica di un sé personale, rispetto alla quale Kant
ha parole chiare che conviene ricordare, perché lo mostrano più
“postmoderno” – o forse semplicemente più moderno – di Locke o
Hume:
La coscienza di se stesso, secondo le determinazioni del nostro stato
nella percezione interna è meramente empirica, costantemente mutevole:
non si può dare in questo flusso di apparenze interne alcun sé stabile o
durevole, e tale coscienza viene chiamata abitualmente il senso interno o
la appercezione empirica141.
Non è ad un tale fondamento che si può appendere alcuna
funzione logica o conoscitiva, eppure la coscienza dell’identità nel
pensare è un fatto, certo un fatto anch’esso peculiare, dato da una
148 Cfr. Anthr., AA VII 135, it. p. 17: «Avere rappresentazioni senza esserne co-
scienti sembr contraddittorio; infatti come potrmmo sapere di averle se non ne fossimo
coscienti? Si tratta dell’obiezione già sollevata da Locke che ne traeva la conseguenza
del’inesistenza di queste rappresentazioni. Ma noi possiamo essere coscienti mediata-
mente di avere una r+ anche se non ne siamo coscienti immediatamente».
149 KrV A 118.
L’intelletto oscuro 111
150 Ibid. Cfr. A 123: «L’io stabile e permanente (della appercezione pura) costi-
9. L’autocoscienza e l’inconscio
Abbiamo ora molti elementi per rispondere alle domande
formulate circa il rapporto tra le rappresentazioni oscure e l’auto-
coscienza e la compatibilità delle due teorie kantiane, quella della
prevalenza cognitiva delle rappresentazioni oscure e della condizio-
ne necessaria dell’autocoscienza.
Tra gli interpreti che hanno dato risalto a questa questione
sono state proposte alcune soluzioni. Heiner Klemme, uno dei
non molti autori che si sono posti questa domanda, e uno dei mi-
gliori studiosi della coscienza in Kant, sostiene che si può parlare
in un senso ampio di “mie” rappresentazioni, un senso tale da non
escludere le rappresentazioni oscure, che potrebbero «stare pari-
menti secondo Kant sotto l’unità oggettiva dell’autocoscienza co-
me quelle che accompagniamo con la coscienza»153. Questa tesi
viene giustificata solo con l’osservazione di principio – corretta –
che la distinzione rappresentazioni oscure-rappresentazioni chiare
è di tipo empirico, non trascendentale. Tuttavia dire genericamen-
te che una rappresentazione inconscia è cosciente in senso tra-
scendentale rischia di non chiarire molto la problematica. Resta
oscura la relazione tra l’autocoscienza trascendentale e la nostra
effettiva capacità di avere stati mentali autocoscienti. Anche con-
cependo la soggettività trascendentale come «l’unità del conscio e
p. 131.
157 P. KITCHER, Kant’s Trascendental Psychology, New York-Oxford 1990, p. 83.
the Eight International Kant Congress, ed. by H. Robinson, Milwaukee 1995, vol. I, pp.
645-659.
159 A. BROOK, Kant and the Mind, Cambridge 1994, pp. 231-232.
114 Leggere Kant
160 «Gli psicologi prendono comunemente per sinonimi le parole senso interno e
appercezione, a dispetto del fatto che il primo deve indicare soltanto una coscienza psi-
cologica (applicata), la seconda però solo una coscienza logica (pura)» (Anthr., AA VII
142, it. 25). Carattere logico e formale della appercezione vanno insieme. Nella cosid-
detta Rostocker Anthropologenachschrift Kant scrive ad esempio: «L’io in ogni giudizio
non è né una intuizione né un concetto e niente affatto una determinazione di un qual-
che oggetto, bensì un atto intellettuale del soggetto determinante in generale; e la co-
scienza di se stesso, l’appercezione pura stessa è dunque appartenente alla logica (senza
alcuna materia o contenuto)» (AA VII 398). «L’io della riflessione», si dice nella Antro-
pologia pragmatica, «non contiene in sé alcun molteplice, ed è in tutti i giudizi uno e me-
desimo, perché contiene soltanto questo elemento formale della coscienza (dieses Förm-
liche des Bewußtseins)» (AA VII 141-142, it. 24).
L’intelletto oscuro 115