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Prefazione di Humberto Maturana al libro


“Cosa succede quando siamo depressi ?” di A.
Ruiz
Traduzione a cura di Marco Baggi – Centro Ikkyu
concessa dall’autore (agosto 2001)

A mio avviso la psicoterapia si svolge come un processo di recupero


dell'amore e del rispetto di sé nel recupero del rispetto e dell'amore nei
confronti dell'altro. O, detto in altre parole, secondo me la psicoterapia
si svolge come un processo in cui, a partire dal recupero del rispetto e
dell'amore di sé e dell'altro, si recupera la libertà riflessiva che
consente l'indifferenza a qualsiasi descrizione della propria identità e,
pertanto, apre spazio al cambiamento che rende possibile vivere gli
eventi della vita senza la sofferenza che porta a consultare lo
psicoterapeuta. Per questo stesso motivo penso che la sofferenza che
porta a cercare aiuto nella psicoterapia nasca dal vivere nella negazione
di sé nella negazione dell'altro, nel vivere basato sulla negazione
ricorrente dell'amore o, detto in modo più diretto, nel vivere nella
negazione continua della biologia dell'amore come fondamento del
convivere sociale. E infine penso, certamente in maniera tautologica,
che proprio per questo la sofferenza di chi consulta lo psicoterapeuta
svanisca quando tale persona recupera il vivere nella biologia
dell'amore, che e' il vivere nell'amore e nel rispetto di sé e dell'altro,
come il suo modo fondamentale di vivere. Ciò che ho appena detto e'
un'affermazione audace, venendo da chi non pratica la psicoterapia e
può per questo non essere valida o risultare scontata per coloro che la
praticano. Talvolta potranno apparire eccessivamente semplificate cose
che senza dubbio tutti coloro che praticano la psicoterapia sanno essere
complicate, anche se a volte la sofferenza si dissolve da un momento
all'altro, senza che si capisca completamente perchè e come. Malgrado
ciò desidero presentare succintamente i fondamenti sui quali si basa ciò
che ho detto a proposito della terapia.

Noi essere umani apparteniamo ad una storia evolutiva di espansione


dell'infanzia oltre il momento della riproduzione sessuale, sino a
abbracciare praticamente tutta la vita. In quanto esseri umani siamo
animali neotenici quindi, come adulti, siamo in realtà bambini grandi.
Una conseguenza della nostra condizione di animali neotenici e' che
siamo o viviamo come animali dipendenti dall'amore in grado estremo
anche per dei mammiferi, e ci ammaliamo quando il vivere amoroso ci
e' negato nel fluire del vivere quotidiano. In quanto esseri umani la
nascita del nostro divenire evolutivo ha coinciso con la conservazione
del vivere nell'intimità amorosa della relazione materno-infantile
espansa a tutte le relazioni, tanto che il nostro benessere dipende dal
piano ludico e amoroso, anche quando facciamo cose orribili negli
offuscamenti culturali che creiamo: sorprendente? Si, però al contempo
non dovremmo sorprenderci perchè tutti, intimamente, sappiamo che e'
così.

Come abbiamo già detto in una precedente pubblicazione (Maturana e


Verden Zoller, 1993) l'amore non e' una virtù propria della condizione
umana, bensì un fenomeno relazionale del convivere animale. Come
fenomeno relazionale l'amore e' al contempo semplice, triviale e

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fondamentale nella convivenza di tutti gli animali. Anche se ha, di fatto,


una diversa presenza nel corso del vivere individuale nelle diverse
classi di animali, a seconda del loro modo di convivere. Vediamoli:
l'amore come fenomeno relazionale biologico consiste nei
comportamenti, o classe dei comportamenti, attraverso i quali l'altro
sorge nella relazione come un legittimo altro nella vicinanza della
convivenza, in circostanze in cui l'altro può essere un uguale. Questo,
accordandosi sul fatto che la legittimità dell'altro si costituisce nei
comportamenti o operazioni che rispettano e accettano la sua esistenza
in quanto tale, senza sforzo e come un fenomeno del mero convivere.
Legittimità dell'altro e rispetto per lui, o lei, sono due modalità di
relazione congruenti e complementari, che si implicano reciprocamente.
Se l'altro (me compreso) e' legittimo nella sua esistenza di fronte a me,
lo rispetto anche nel disaccordo a partire dal quale posso giungere a
negarlo. A partire dal rispetto la mia negazione dell'altro appare come
un atto del quale io mi rendo responsabile, nasce come un atto che si
convalida a partire da me, senza ch'io pretenda di giustificarlo in
maniera trascendente, e di fronte al quale accetto come valide le
conseguenze che ricadono su di me, senza alcuna quescia. Se io rispetto
l'altro, la sua esistenza e' legittima e non deve, ne' necessita, di essere
giustificata da lui, lei o me. Se rispetto me stesso, non devo ne
giustificare il mio esistere ne' discolparmi di essere così come sono,
anche qualora desiderassi cambiare.
Nell'ambito del vivere umano, la legittimità dell'altro - o la propria -
avviene nei comportamenti di mutuo rispetto, o di rispetto per se stessi,
in cui le discrepanze si vivono senza sforzo, in maniera responsabile,
nell'obiezione del fare e non dell'essere. In realtà questo e' precisamente
ciò che vediamo nella vita quotidiana in cui lamentiamo il disamore:
"tu non mi ami, visto che non mi vedi" "tu non mi ami, papà, pretendi
ch'io sia un altro bambino, diverso da quello che sono". Il problema del
disamore consiste nel negare l'essere di una persona, non di obiettarne il
fare. Se si dice a qualcuno che qualcosa e' fatto male, e gli si indica la
procedura adeguata, senza dirgli che e' lui quello che non va bene, non
c'e' problema di disamore. Pertanto, parlando di amore e disamore
distinguiamo classi di comportamenti, e non ci riferiamo ad alcun
comportamento particolare. Così diciamo: "tale persona e' un amante
della natura, sta sempre attento a non danneggiare piante e animali";
diciamo anche : "Pedro e' la persona più amorevole che ho conosciuto,
guardalo, si rende sempre conto di ciò di cui ho bisogno o che manca in
casa". L'amore non e' un sentimento, e' un modo di relazionarsi, e' un
modo di comportarsi con l'altro o con se stessi in cui l'altro, o sé, appare
nella relazione come un essere legittimo, anche nella discrepanza o
nell'irritazione. Lo stesso accade col disamore, che non e' un sentimento
ma un'emozione, un dominio di comportamenti, e come tale e' un modo
di relazionarsi in cui appaiono i comportamenti che negano la
legittimità dell'essere altrui, o di se stesso. La sofferenza nasce nel
coltivare il disamore come fenomeno culturale, perché ciò che e'
naturale, come modalità basilare del vivere umano, e' l'amore.
Proseguiamo.
Come ho già detto, l'amore e' un fenomeno biologico proprio all'ambito
relazionale animale, che nei mammiferi appare come aspetto centrale
della convivenza in intimità della relazione materno - infantile in totale
accettazione corporea reciproca. Come ho già detto, noi esseri umani
apparteniamo al presente di una storia evolutiva particolare di primati
neotenici in cui l'intimità corporea della relazione materno-infantile si e'
estesa alla vita adulta, ed e' divenuta tanto fondamentale che siamo
diventati essere dipendenti dall'amore durante tutta la vita. Per questo ci
ammaliamo se viviamo una cultura che nega sistematicamente l'amore,
come di fatto ci capita vivendo nella legittimazione quotidiana della
negazione dell'altro che si produce nella competizione, nell'esigenza di
un dover essere, nell'apparire ciò che non si e', nella menzogna continua
rappresentata dall'intento permanente di proiettare una buona immagine
in modo da avere successo e, in effetti, ci ammaliamo perchè il vivere
culturale, che trasforma in un modello di vita il vivere nella negazione

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sistematica della legittimità dell'altro e di se stesso, si oppone al


fondamento biologico del vivere umano come vivere proprio della
classe di primati neotenici che l'essere umano e'.
Nella competizione e nell'apparenza neghiamo l'altro, in quanto la
soddisfazione dei nostri desideri implica il desiderio che l'altro sparisca
o si sottometta come risultato di ciò che facciamo, consapevoli di
desiderare che l'altro sparisca o si sottometta come risultato del nostro
agire. Però nell'apparenza e nella competizione neghiamo noi stessi,
anche se non ne siamo consapevoli, dato che nel competere e
nell'apparire il soddisfacimento dei nostri desideri viene a dipendere, di
fatto, dall'agire altrui e non dal nostro. Analogamente, vivendo
nell'apparenza e nella proiezione di una immagine, neghiamo noi stessi
in quanto tentiamo di apparire come non siamo e sappiamo di non
essere, e, facendolo, neghiamo anche l'altro in quanto lo inganniamo o
cerchiamo di ingannarlo, mentendo rispetto al nostro essere. Vivere
nella competizione, nel dovere essere, nell'apparire e nell'immagine di
ciò che non si e', genera sofferenza perchè distrugge il rispetto di sé e
dell'altro, rende impossibile l'amore per se e l'amore per l'altro, e con
ciò nega la propria legittimità e la legittimità altrui, come modalità
sistematica del vivere, rimanendo imprigionati, per paura di quella
riflessione che mostrerebbe la mancanza di rispetto e di amore per se
stessi e per l'altro in cui si vive, in totale irresponsabilità. Vivendo
nell'autonegazione ci ammaliamo nell'anima e nel corpo.

Come il misantropo di Molière, simulando una vita integra non ci


amiamo, non amiamo l'altro, la nostra esistenza perde legittimità e
viviamo in continua lotta, senza dignità. Questa e' l'anima malata e
questo e' il vivere malato. Nella lotta e nel disamore per se stessi, la
dinamica sistemica dell'organismo si altera; cambiando il flusso
sanguineo e le tensioni articolari, la configurazione referenziale tonica
cambia attraverso il movimento corporeo e la dinamica circolatoria;
cambiano le configurazioni di riferimento della dinamica endocrina e si
distorcono le coerenze delle produzioni cellulari e molecolari, della rete
chiusa di produzioni cellulari e molecolari che costituisce il sistema
immunitario. Il risultato finale e' che l'organismo cambia il suo modo
sistemico di operare a livello fisiologico, e compaiono in esso reazioni
indesiderabili, tanto nei confronti del suo ambiente circostante quanto
nelle sue dinamiche interne. Il corpo accompagna l'anima ammalata e si
ammala con lei e, come Molière intravede e capta col suo occhio
poetico nel misantropo, quando guarisce l'anima, guarisce il corpo.

Non e' il caso di parlare in questa sede della storia evolutiva nella quale
traiamo origine più di quanto non abbia già fatto. Pertanto vorrei solo
dire che ritengo tale storia sia iniziata con la formazione di una specie
neotecnica che si separò dalla specie che diede origine allo scimpanzè,
più di cinque milioni di anni fa. Il fatto e' che attualmente nasciamo
come bambini necessitanti, per la nostra salute di esseri umani, di
crescere in una modalità di vita amorosa, in cui apprendiamo la nostra
corporeità e la corporeità dell'altro, vivendo nel mutuo rispetto,
nell'accettazione della nostra corporeità e della corporeità altrui, in un
processo che avviene, normalmente, nell'intimità, in totale accettazione
e fiducia, della relazione materno-infantile.

Però non e' solo per lo sviluppo della coscienza della propria corporeità
e della corporeità altrui, nel rispetto di sé e dell'altro, che la nostra
biologia esige che viviamo fin da piccoli nella biologia dell'amore; e'
per tutto il vivere umano in coscienza e responsabilità sociale. I mondi
che viviamo in quanto adulti e che creiamo nel nostro vivere, dapprima
nella piena intimità della relazione materno infantile e più tardi nella
relazione con tutti gli altri esseri con i quali conviviamo, come
espansione del nostro essere a partire da tale vivere infantile, come
spazi relazionali che generiamo a partire da lì. E quindi saremo adulti
amorevoli e consapevoli, responsabili del nostro essere sociale in un
mondo che cambia, con il nostro vivere e in base al nostro vivere, solo
se avremo avuto la fortuna di conservare il rispetto e l'amore per l'altro

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e per noi stessi come esseri sociali, al momento dell'accesso alle


occupazioni della vita adulta, o se avremo recuperato o acquisito tale
amore e rispetto per l'altro e per noi stessi, intenzionalmente o
accidentalmente, all'interno di una terapia efficace che ci abbia segnato
la vita. ........

La mia spiegazione

Tutte le pratiche terapeutiche possono dare origine, in mano ad un


buon terapeuta, a terapie efficaci. Perchè e come ? Credo che il
processo terapeutico sia sempre lo stesso, qualunque sia la forma di
psicoterapia, e che avvenga quando il terapeuta riesce, mediante la sua
interazione con il paziente, a condurlo, coscientemente o
incoscientemente, all'abbandono della negazione sistematica di sé e
dell'altro e al recupero della biologia dell'amore come modalità o filo
conduttore del suo vivere. Questo non significa che le diverse
impostazioni epistemologiche in ambito terapeutico siano uguali o
equivalenti e che, in fondo, sia lo stesso adottare l'una o l'altra. La
differenza sta sia nel modo in cui il terapeuta imposta il suo intervento,
sia nel cosa fare per indirizzare le sue intenzioni con i pazienti, a
seconda della sua concezione di ciò che avviene in terapia. Questo
mostra e indica chiaramente l'autore del libro nelle sue descrizioni e
resoconti.

Il terapeuta che accetta l'esistenza di una realtà unica e veritiera non


può che pensare che sia tale realtà a dover guidare il vivere, e che il suo
cliente soffre perchè il suo vissuto ha deviato da questa realtà,
qualunque essa sia. In questo caso la terapia dovrà orientarsi, in un
modo o nell'altro, a guidare il paziente al recupero del vivere in armonia
con la realtà. Il procedimento può essere l'emergere della riflessione, o
una strategia coercitiva, o altro che non posso immaginare ,visto che
non faccio terapia, però qualunque esso sia deve portare il paziente a
recuperare la sua connessione con la realtà. Il terapeuta che, al
contrario, accetta l'esistenza di molte realtà, tutte diverse e tutte
legittime, può unicamente operare facendo in modo che il suo paziente
recuperi l'armonia del vivere facendo sorgere quella realtà che ha a che
fare con la vita che coscientemente o in maniera inconscia egli desidera
vivere. Il procedimento può essere qualunque, ma non può contraddire
l'apertura esistenziale implicata dall'accettazione che non esiste una
realtà unica. Questo libro mostra ciò che queste due impostazioni
epistemologiche implicano, però l'autore fa qualcosa di più: mostra e
argomenta la sua preferenza per una delle due, benché abbia fatto
l'esperienza di molte terapie riuscite con l'altra. Cosa e' in gioco qui?
Vediamolo:

1. L'epistemologia non realista

L'impostazione epistemologica non realista postula l'esistenza di molte


realtà di cui noi esseri umani facciamo esperienza o che configuriamo
nel vivere, e la validità intrinseca di ognuna di queste, però non afferma
che tutto sia valido in qualsiasi modo, ne' che qualsiasi cosa pensata sia
possibile in quanto tale, in qualsiasi dominio immaginato, ne' che sia
vivibile in qualsiasi dominio di coerenza esperienziale. Inoltre, il fatto
che le diverse realtà che configuriamo in quanto esseri umani o che
esperiamo nel nostro vivere, siano tutte ugualmente legittime come
realizzazioni di diversi domini di coerenze esperienziali, non significa
che tutte siano ugualmente desiderabili, eticamente accettabili o
piacevoli da vivere. Le cose stanno così perchè le diverse realtà che noi
esseri umani configuriamo o esperiamo nel nostro vivere, emergono dal
nostro vivere, nel corso dello stesso, come distinti domini di coerenza
esperienziale, e non tutti i nostri vissuti ci risultano ugualmente
gradevoli, desiderabili o eticamente accettabili. Infine, per tutti questi
motivi, un'affermazione valida in un determinato dominio di realtà,

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ascoltata a partire da un altro può essere vissuta come un'illusione, un


errore o una verità assoluta. Da tutto quel che precede, ogni atto umano
risulta essere valido solo nel dominio di realtà in cui avviene, e non in
altri, e risulta esserlo secondo le coerenze esperienziali che definiscono
tale dominio; inoltre, nella multidimensionalità del nostro esistere
umano come esseri nel linguaggio, possiamo sempre definire un
dominio di realtà a partire dal quale un altro dominio risulta a noi
indesiderabile, ed essere responsabili del mondo quotidiano che
esperiamo. Da qui nasce la responsabilità che spetta a tutti
nell'educazione dei bambini perchè e' solo se i nostri bambini vivranno
nella loro infanzia la biologia dell'amore, e potranno conservarla nel
loro passaggio alla vita adulta, che vivranno la coscienza sociale come
il riferimento etico per scegliere, in modo consapevole o inconsapevole,
i domini di realtà che configurano nel loro vivere.
L'impostazione epistemologica non realista, inoltre, non si pone come
una fantasia o come una proposizione arbitraria, ma emerge come
un'astrazione dalle coerenze del vivere, a partire dalla comprensione
dell'operare dell'essere vivente e, pertanto, anche dalla comprensione
dell'essere umano in quanto essere vivente e del suo vivere come tale.
Questa comprensione del vivente e del vivere mostra che ogni essere
vivente e' un sistema determinato strutturalmente e una totalità chiusa
su se stessa nella sua dinamica di stati, anche se aperta al cambiamento
strutturale in una maniera contingente al corso delle sue interazioni;
secondo tale comprensione, inoltre, benché niente di esterno, incidendo
sul sistema, possa specificare ciò che avviene in lui, la sua struttura
cambia in maniera congruente al cambiamento strutturale del medium.
In queste circostanze, l'essere umano e' capace di concepire una realtà
esterna solo perché esiste come essere umano nell'ambito relativo
all'esistenza, intesa come un fluire nel convivere nel linguaggio. E' per
questo che la realtà esterna che concepiamo, per ragioni
epistemologiche, come substrato o come fonte ultima di tutto, appare
come il nulla o come il divino in quanto appare come una fonte che,
come tale, e' inaccessibile all'esperienza diretta, sebbene sia pensabile
dalla nostra riflessione razionale e desiderabile a partire dal nostro
emozionare.

A Partire dalla coerenza con l'ambito biologico da cui nasce


l'impostazione epistemologica non realista, accettare o riconoscere la
legittimità di tutte le forme di esistenza che essa comporta e'
un'opportunità per uscire da qualunque illusione o sofferenza, in quanto
vivere desideri o aspettative conflittuali e' un risultato della confusione
di due o più domini di realtà si soffre perchè si cerca di essere ciò che
non si e' nella continua negazione di sè e dell'altro, e questo per via
dell'attaccamento a fonti di tirannia come la competizione, l'apparire, il
dover essere o la proiezione di un'immagine.

2. L'arte della terapia

La storia dell'umanità mostra che vi sono molti modi efficaci di fare


terapia partendo da impostazioni epistemologiche assai diverse. A parer
mio le cose stanno così non perchè l'impostazione epistemologica che
sottende il lavoro terapeutico sia irrilevante, ma perchè il terapeuta si
muove, nelle sue interazioni con il paziente, in molti domini relazionali
diversi, alcuni certamente inconsci, altri consci, che nella loro
operazionalità implicano, di fatto, impostazioni epistemologiche diverse
e molte volte contraddittorie. Prova ne sia il fatto che vi sono pratiche
terapeutiche che si impostano esplicitamente evitando alcuni di questi
domini. A partire dalla mia comprensione del biologico, penso che
l'effettività terapeutica si ottenga - o la terapia risulti efficace - quando
nel corso della stessa, nel vivere del paziente, si ristabilisce la biologia
dell'amore con il recupero del rispetto per se stesso e per l'altro, a
prescindere dal che questa sia l'intenzione del terapeuta. Perchè questo
avvenga il terapeuta deve incontrarsi con il paziente nel dominio in cui

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questi vive la propria identità in quel momento, accettando la sua


legittimità qualunque essa sia, da qui guidandolo alla dissoluzione del
conflitto attraverso il recupero del coincidere emozionale fra l'essere e il
desiderare di essere, e questo può avvenire con la consapevolezza o
meno, da parte del terapeuta, del dominio epistemologico in cui sta
avendo luogo la relazione col paziente che risulta essere terapeutica.
Quando ciò avviene la biologia dell'amore diventa il riferimento
relazionale fondamentale del paziente e scompare la richiesta di aiuto.
Vediamo un esempio di ciò, in un caso semplice del vivere quotidiano.

Mobutu e' uno studente nigeriano che fa un dottorato in agricoltura in


un'Università nordamericana. Alloggia in casa di Henry, un amico
professore di fisica. Un giorno si avvicina Henry e gli dice: "Henry,
sono stato ingannato, mi hanno truffato, ho comprato una pellicola a
colori, però, fotografando una fotografia in bianco e nero della mia
famiglia, quello che ottengo e' un'altra fotografia in bianco e nero
anziché una fotografia a colori. Sono indignato, sono stato truffato".
Henry gli spiega la situazione fisica, dimostrandogli che, anche se la
pellicola e' a colori, se l'originale e' in bianco e nero si può solo ottenere
bianco e nero. Mobuto contesta, dicendo che conosce molto bene la
fisica dei colori e dei pigmenti, ma che ha acquistato una pellicola per
fare fotografie a colori e quello che ottiene al posto dei colori e' bianco
e nero. Henry chiede ad uno dei suoi figli, anch'egli fisico, di spiegare
quel che succede, cosa che questi fa con cura e dettagli, pero' avviene la
stessa cosa. Mobuto dice che lo sa, ma che la pellicola che ha comprato
e' per fare fotografie a colori e quello che ottiene e' bianco e nero, per
cui ritiene di essere stato truffato. La situazione si fa tesa e angosciosa
per Mobuto, il quale sostiene di non essere ascoltato. E lo stesso
avviene anche per Henry e suo figlio, i quali dicono che Mobuto non e'
disposto ad ascoltare. Quando le cose sono a questo punto, arriva Jim,
che e' stato per alcuni anni professore in una scuola di Tecnologia in
Nigeria, quand'era nel corpo di Pace nordamericano. Jim ascolta il
resoconto e, rivolgendosi a Mobutu, gli dice: "non e' come tu pensi, non
e' così". Mobutu ascolta, il suo stato d'animo cambia, e dice: "Molte
grazie" e poi se ne va tranquillo. Non c'e' più angoscia ne' tensione in
lui. Che cos'e' successo? Secondo quel che penso, la risposta di Jim ha
permesso ha Mobuto recuperare il rispetto di sé e dell'altro
consentendogli di muoversi nuovamente nella biologica dell'amore nelle
sue relazioni con se stesso e con gli altri. Come? Vediamolo. Mobuto
appartiene ad una cultura autoritaria, e in questo caso il suo conflitto
avviene nel dominio dell'autorità. La fisica e' un dominio di autorità,
non si equivoca, però la casa produttrice della pellicola, la Kodak,
costituisce anch'essa un dominio di autorità e non può dichiarare
sull'involucro della pellicola qualcosa di non valido. Mobuto non può
risolvere questo conflitto partendo della riflessione, perchè dovrebbe
dubitare dell'autorità della fisica, che conosce, accetta, e che, in più, e'
convalidata dai due professori di fisica della casa in cui vive, o
dovrebbe dubitare della Societa' Kodak, cosa che non può fare per
mancanza di elementi. Pertanto l'unica cosa che puo' essere successa e'
una truffa, un inganno ad opera di un'altra persona e Mobutu cerca
appoggio in Henry, lamentandosi dell'inganno di fronte a un'altra
autorita'. Pero' non trova l'appoggio che cercava; al contrario incontra
negazione e rifiuto, e perde il rispetto di se' nel dubitare, senza
necessariamente esserne cosciente, della sua coerenza culturale,
entrando in un conflitto relazionale con coloro che rispetta e apprezza e
desiderando mantenere la validità simultanea di due domini di realtà
contraddittori: l'autorità e l'autonomia nella riflessione. Da qui la sua
angoscia. Jim e' stato in Nigeria e conosce il mondo in cui vive Mobutu.
Non ha bisogno di pensarci; sa, come in modo naturale, di che si tratta
e dice: "non e' come pensi, non succede così, e tutto si trasforma e si
chiarisce. Mobutu ascolta, il suo stato d'animo muta, ringrazia e
recupera la propria serenità. La risposta di Jim, anche se ci e' estranea
(perchè noi cercheremmo di uscire dal conflitto per mezzo della
riflessione), accetta la legittimità di Mobuto nel suo dominio di

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esistenza proprio perché avviene nell'ambito dell'autorità, e fa si che


possa recuperare il rispetto di sé a partire dal rispetto per l'altro, che lo
rispetta. Nell'accettazione di sé che rinasce in Mobutu grazie all'essere
accettato nella sua legittimità da Jim, cambia la sua emozione, non c'e'
piu' conflitto con Henry, e gli risuta possibile vedere tutto da un
dominio, o prospettiva, in cui puo' entrare nelle riflessione sulla fisica
dei colori senza dover negare la legittimità dell'ambito di autorità a cui
appartiene. Jim, in modo naturale e senza sforzo, opera nella biologia
dell'amore, cosi', semplicemente perche' si muoveva già in essa nel
dominio di esistenza di Mobutu essendo partecipe della sua cultura e
accettandola nella sua legittimità. Mobutu esce dal conflitto in cui si
trovava semplicemente perchè questo si dissolve, ed entra di nuovo,
come per incanto, nelle coerenze del suo dominio normale di esistenza.
Anche Henry e suo figlio, sorpresi da quello che avviene, ma contenti
di vedere Mobutu uscire dal proprio conflitto, si tranquillizzano e
rasserenano. C'e' qualcosa di magico in questa danza emozionale che
risulta curativa?

L'arte del terapeuta, la sapienza del terapeuta, la poetica del terapeuta,


stanno nell'incontrarsi col proprio paziente nel dominio di esistenza in
cui egli vive, o può vivere, nel rispetto di sé e dell'altro, e, partendo da
qui, scegliere un procedimento che permetta di guidarlo ad ampliare tale
dominio, o a rimanere in esso in modo che il conflitto si dissolva perchè
scompare la confusione fra piani di realtà. Fare questo non e' sempre
facile come e' stato fatto con Mobutu. Però l'apparente semplicità di
questo caso non deve nasconderci ciò che esso rivela. Perchè il
terapeuta possa guidare il suo paziente al recupero del vivere nella
biologia dell'amore deve operare, coscientemente o incoscientemente,
nell'epistemologia non realista. Se lo fa in maniera inconscia, lo fa
perchè la cosa principale nella poetica della relazione spontanea col suo
paziente avviene nella sua accettazione di lui o di lei nelle dimensioni
in cui vivono il loro conflitto. Se lo fa in maniera consapevole, il
terapeuta usa la sua comprensione e la sua visione poetica per scoprire
l'ambito in cui il paziente vive il proprio conflitto e, accettandolo,
sceglie una delle molteplici forme di interazione che gli permettono di
guidarlo nel modo più adeguato fino al successo, l'accettazione di sé e
dell'altro, con il conseguente ampliamento della sua libertà riflessiva.
Però nulla di tutto ciò può avvenire partendo da un'epistemologia
implicitamente o esplicitamente realista.

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