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Scienze motorie – Ragusa I.I.S. “G.

Ferraris”

Appunti di tecnica e didattica dell’educazione fisica.


Prof. GIAMPICCOLO CLAUDIO

Nomenclatura ginnastica del corpo (solido) umano

Il solido umano si suddivide in busto ed arti.


Il busto comprende capo, collo e tronco.
Il capo è delimitato inferiormente dal collo dalla linea cervico-cefalica che va dalla sinfisi del mento
alla protuberanza occipitale seguendo il margine inferiore della mandibola e della linea curva
occipitale superiore. La regione anteriore del capo si chiama fronte, quella posteriore occipite. Il
collo è delimitato superiormente dalla linea cervico-cefalica, inferiormente dalla linea cervico-
toracica che va dalla incisura giugulare dello sterno sino all’apofisi spinosa della settima vertebra
cervicale seguendo anteriormente il margine superiore della clavicola sino all’acromion e
posteriormente il margine superiore della spina della scapola. La regione anteriore si chiama collo
in senso stretto, quella posteriore nuca.
Il tronco è delimitato in alto dalla linea cervico-toracica e in basso dalla parte inferiore del bacino
(all’altezza delle tuberosità ischiatiche). Il tronco comprende: torace, addome e bacino. Il torace è
delimitato in alto dalla linea cervico-toracica e in basso dalla linea toraco-addominale che va
dall’apofisi ensiforme dello sterno seguendo le arcate costali sino alla apofisi spinosa della
dodicesima vertebra toracica. La regione anteriore del torace si chiama petto, quella posteriore
dorso. L’addome è delimitato superiormente dalla linea toraco-addominale e inferiormente dalla
linea addomino-pelvica che va dal solco pubico all’apofisi spinosa della quinta vertebra lombare
seguendo il margine dell’osso iliaco anteriore e superiore. La parte anteriore dell’addome si chiama
addome in senso stretto o regione addominale, quella posteriore regione lombare. Il bacino è la
parte delimitata superiormente dalla linea addomino-pelvica e compresa tra ileo, ischio, pube, sacro
e coccige. La regione laterale del bacino si chiama anca, quella posteriore regione glutea. La
regione laterale del petto e dell’addome si chiama fianco, quella posteriore tergo.
Gli arti si distinguono in arti superiori (braccia) e arti inferiori (gambe).
L’arto superiore si suddivide in spalla, braccio propriamente detto, avambraccio e mano. Tra
braccio e avambraccio posteriormente si distingue il gomito, tra avambraccio e mano il polso. Le
parti della mano sono il palmo, il dorso, le dita e gli apici (estremità) delle dita. L’arto inferiore si
suddivide in coscia, gamba propriamente detta e piede. Tra coscia e gamba si distinguono
anteriormente il ginocchio, posteriormente il poplite (zona poplitea). Il tratto tra la gamba e il piede
si chiama collo del piede e comprende i due malleoli (laterale e mediale). Le parti del piede sono:
superiormente il dorso, inferiormente la pianta, anteriormente l’avampiede con le dita,
posteriormente il tallone.
Articolazioni che interessano la terminologia ginnastica.
Nel busto: occipito-atlantoidea (tra capo e collo), atlanto-epistrofea (tra prima e seconda cervicale),
intervertebrali, vertebro-costali, costo (condro)-sternali.
Nell’arto superiore: acromio-clavicolare, sterno-clavicolare, scapolo-omerale, articolazione del
gomito, radio-ulnare prossimale e distale, articolazione del polso, articolazioni proprie della mano.
Nell’arto inferiore: coxo-femorale (tra coscia e anca), articolazione del ginocchio, peroneo-tibiale
prossimale e distale, articolazione della caviglia, articolazioni proprie del piede.
Assi e piani fondamentali ed intermedi

Gli assi del solido umano servono a definire la dimensione del solido stesso e cioè la sua lunghezza,
la sua larghezza e la sua profondità.
L’asse trasversale (larghezza) va da acromion ad acromion (relativo a individui con spalle più
larghe del bacino) o da trocantere a trocantere (relativo a individui con bacino più largo delle
spalle). L’asse trasversale si può quindi anche chiamare linea biacromiale o linea bitrocanterica in
relazione a specifici individui.
L’asse longitudinale (lunghezza) va dal vertice del capo al punto di congiunzione tra i due talloni.
L’asse sagittale (profondità o spessore - da sagitta: freccia) va dall’apofisi ensiforme dello sterno
alla vertebra direttamente opposta, dal centro del petto al dorso.
Dagli assi e dai loro prolungamenti derivano le direzioni fondamentali: alto-basso (asse
longitudinale), avanti-dietro (asse sagittale) e dentro-fuori (asse trasversale). Tali direzioni si
chiamano direzioni fondamentali o cardinali. Le direzioni poste tra due o tre direzioni fondamentali
si chiamano direzioni intermedie. Esempi di direzioni intermedie tra due direzioni o due assi:
avanti-fuori, fuori-alto, dentro-basso, ecc.. Tra tre direzioni o tre assi: avanti-fuori-alto, dietro-
dentro-basso, ecc. Si noti che si indica prima la direzione che corrisponde all’asse sagittale, poi
quella che corrisponde all’asse trasversale ed infine quella che corrisponde all’asse longitudinale.
Le intersezioni degli assi fondamentali, prese a due a due, individuano i piani fondamentali.
Il piano frontale, individuato dall’intersezione tra asse trasversale e asse longitudinale, divide il
corpo in due parti asimmetriche, una anteriore o l’avanti del corpo, una posteriore o il dietro del
corpo.
Il piano sagittale, individuato dall’intersezione tra asse sagittale e asse longitudinale, divide il corpo
in due parti simmetriche, una sinistra e una destra.
Il piano trasversale, individuato dall’intersezione tra asse trasversale e asse sagittale, divide il corpo
in due parti asimmetriche, una superiore o alto del corpo e una inferiore o basso del corpo.
Ogni movimento, sia del corpo in toto, sia di uno o più segmenti, si svolge sempre attorno a degli
assi, considerati come perni di rotazione, e su dei piani. Il movimento che ha come perno l’asse
longitudinale si effettua sul piano trasversale (un dietro-front dalla posizione di attenti, una torsione
del capo), quello che ha come perno l’asse trasversale si effettua sul piano sagittale (una capovolta,
una flessione avanti del capo), quello che ha come perno l’asse sagittale si effettua sul piano
frontale (una “ruota”, una flessione laterale del capo).

Elementi statici: atteggiamenti, posizioni, classificazione delle posizioni

L’atteggiamento è la figura che assume il corpo del ginnasta, o parte di esso, indipendentemente
dai suoi rapporti con gli oggetti esteriori, con l’ambiente esterno.
Parliamo di atteggiamenti totali se consideriamo il corpo del ginnasta nella sua interezza facendo
comunque riferimento al rapporto busto arti inferiori (si prende in considerazione la cosiddetta
articolarità intermedia, cioè la coxo-femorale). Parliamo di atteggiamenti parziali se consideriamo i
vari segmenti corporei con particolare riferimento ai tre segmenti fondamentali: busto, braccia e
gambe.
Gli atteggiamenti parziali si suddividono in semplici e combinati. Gli atteggiamenti parziali
semplici sono: lungo ( le estremità del segmento sono alla massima distanza), breve (alla minima
distanza), semibreve (alla distanza intermedia tra la massima e la minima), torto (il segmento risulta
ruotato attorno al proprio asse longitudinali mantenendo fissa una delle estremità). Gli
atteggiamenti parziali combinati sono quelli in cui coesistono due atteggiamenti semplici ( ad es.
busto in atteggiamento semibreve e torto).
Gli atteggiamenti totali sono: l’atteggiamento lungo (estremità del corpo, vertice del capo e piedi,
alla massima distanza), breve (alla minima distanza), semibreve (alla distanza intermedia tra la
massima e la minima), torto ( segmenti del corpo, dal capo ai piedi, ruotati attorno all’asse
longitudinale), ad arco (capo e tronco flessi posteriormente, gambe in atteggiamento lungo e
avvicinate posteriormente al tronco), tipo (corpo in posizione cosiddetta funzionale, corpo eretto
braccia lungo i fianchi), a raccolta (busto in atteggiamento lungo, gambe in atteggiamento breve,
cosce avvicinate al tronco), a massima raccolta ( idem ma con busto in atteggiamento breve), a
squadra ( busto e gambe in atteggiamento lungo ad angolo retto), a massima squadra (busto in
atteggiamento breve avvicinato il più possibile alle gambe in atteggiamento lungo).

La posizione è la figura che assume il corpo del ginnasta in rapporto all’ambiente esterno. Si
considerano i rapporti tra asse longitudinale del corpo e suolo (stazione), tra centro di gravità e
sostegno (attitudine), tra corpo del ginnasta e attrezzo (ubicazione), tra una parte del corpo e
l’attrezzo (presa e impugnatura), tra segmenti del corpo contigui (rapporti intersegmentari).
Nella stazione, posizione mantenuta per un certo periodo di tempo, il rapporto tra asse longitudinale
e suolo può essere di perpendicolarità (stazione eretta normale, piedi a terra, e inversa, piedi in alto),
di obliquità (normale e inversa), di parallelismo (stazione decubito, da decumbere: coricarsi). Il
decubito può essere prono (corpo coricato sulla parte anteriore), supino (coricato sulla parte
posteriore), laterale (coricato sul fianco destro o sinistro). Queste stazioni in cui l’asse longitudinale
intero assume un unico rapporto con il suolo sono definite stazioni semplici. Le stazioni in cui
l’asse longitudinale “spezzato” assume invece più rapporti con il suolo vengono definite stazioni
miste (stazione seduta, in ginocchio, quadrupedia, carponi).
L’attitudine considera il rapporto del centro di gravità del corpo in toto o di un singolo segmento
con il sostegno (attrezzo o suolo): Nel primo caso abbiamo le attitudini totali, nel secondo le
attitudini parziali. Nelle attitudini parziali il sostegno è rappresentato soprattutto dal tronco che è il
segmento con cui si rapportano normalmente gli altri segmenti. Le attitudini che si verificano sono:
di appoggio, di sospensione, neutra, di volo (nelle attitudini parziali naturalmente non si verifica
l’attitudine di volo!). Quando il rapporto centro di gravità-sostegno è caratterizzato da un unico
rapporto si hanno le attitudini semplici: Esse sono: attitudine di appoggio (il baricentro è sopra il
sostegno e su di esso viene esercitata una forza di pressione. Esempio: traslocazione all’asse
d’equilibrio), attitudine di sospensione (il centro di gravità si trova sotto il sostegno e su di esso
viene esercitata una forza di trazione. Esempio: sospensione alla sbarra), attitudine neutra (il
baricentro si trova alla stessa altezza del sostegno e su di esso forza di trazione e forza di pressione
si annullano come ad esempio nel punto morto superiore di una oscillazione alla sbarra), attitudine
di volo (non c’è contatto del corpo con il sostegno, il corpo si libra in aria come ad esempio in un
salto). Quando lo stesso tipo di attitudine semplice (ad esempio l’attitudine di appoggio) è presente
due o più volte contemporaneamente si hanno le attitudini doppie o multiple. Un esempio di
attitudine di doppio appoggio può essere la quadrupedia; un esempio di doppia sospensione può
verificarsi nella traslocazione in sospensione a mani e piedi alla scala orizzontale. Quando vi sono
contemporaneamente sia attitudini di sospensione che di appoggio (il baricentro è situato tra i due
punti di sostegno) si hanno le attitudini miste come si verifica ad esempio nell’arrampicata alla
pertica effettuata tramite l’azione di braccia e gambe.
L’ubicazione indica il rapporto totale del corpo del ginnasta con l’attrezzo, definisce cioè la
collocazione del ginnasta rispetto all’attrezzo. Si considera il rapporto visto all’inizio e alla fine
dell’esercizio e quello durante l’esecuzione dell’esercizio (quindi rapporto nella posizione di
partenza e di arrivo e rapporto nella posizione assunta durante l’esercizio).
Rapporto iniziale e finale: si indica la parte del corpo (fronte, dorso, fianco sx o dx) rivolta
all’attrezzo,,l’ubicazione del corpo rispetto all’attrezzo ( frammezzo l’attrezzo, sotto, sopra, al di
quà, al di là, a distanza dall’attrezzo oppure a contatto con l’attrezzo), la parte dell’attrezzo alla
quale il ginnasta è più vicino.
Rapporto durante l’esercizio: sopra, sotto, in fuori, frammezzo. Può essere utile indicare anche il
rapporto tra asse longitudinale del corpo e l’asse maggiore dell’attrezzo (posizione di
perpendicolarità, di obliquità, di parallelismo).

Esempio (descrizione della ubicazione iniziale del ginnasta per l’esecuzione dell’arrampicata alla
pertica): ginnasta disposto fronte alla pertica, al di la della pertica e a mezzo passo di distanza
dall’attrezzo. (n.b. l’ubicazione al di là indica che l’attrezzo si trova tra l’insegnante e il ginnasta,
l’ubicazione al di quà indica invece che il ginnasta si trova tra l’insegnante e l’attrezzo).
La presa è il “saldo contatto” (Boni) o il “contatto più o meno saldo” (Tosi) di una parte del corpo
con l’attrezzo. Le prese prendono il nome dalla parte del corpo che stabilisce il contatto. Per
facilitare l’elencazione delle prese principali è bene raggrupparle rispettivamente in prese del busto,
delle braccia e delle gambe.
Prese del busto: pubica, addominale, toracica, frontale, al vertice (sommità del capo), nucale,
dorsale, lombare, glutea:
Prese delle braccia: ascellare, brachiale (del braccio propriamente detto), carpea, palmare, dorsale
della mano, digitale, al volo e a forbice (delle mani).
Prese delle gambe: crurale (tra le cosce), poplitea, tibiale, malleolare, tarsica o di tallone, plantare,
di avampiede, digitale, dorsale del piede, achillea.
Le prese possono essere semplici, doppie o multiple.
Presa semplice: una sola parte del corpo stabilisce il contatto con l’attrezzo (ad esempio: presa
palmare della mano sinistra).
Presa doppia: la presa interessa la stessa parte di arti omologhi (presa palmare di entrambe le mani).
Presa multipla: contemporaneamente più prese semplici e doppie.
L’impugnatura è una presa particolare effettuata esclusivamente dalla mano. Perché ci sia
impugnatura bisogna che tutta la mano o le sole dita avvolgano saldamente l’attrezzo.
Le impugnature possono essere semplici (una sola mano) o doppie (entrambe le mani).
Le impugnature semplici sono: a mano piena (palma e dita avvolgono l’attrezzo), ad anello
(effettuata dal pollice e da una delle dita), digitale (effettuata dalle sole dita), a penna (pollice,
indice e medio avvolgono e reggono l’attrezzo come una penna), carpea (regione del carpo, palma e
dita avvolgono l’attrezzo come ad esempio nella sospensione agli anelli).
Le impugnature doppie sono le stesse delle semplici. Le impugnature doppie eseguite su un attrezzo
ad un solo corrente (bacchetta, piolo o grado della spalliera e del quadro) prendono il nome, a
seconda di come sono disposti i pollici, di impugnatura a pollici in dentro, a pollici in fuori, a pollici
corrispondenti a sx e a dx. Se le impugnature vengono eseguite su un attrezzo a due correnti
(parallele, anelli) prendono il nome, a seconda di come sono disposte le palme, di impugnatura a
palme in dentro, a palme in fuori, a palme corrispondenti a sx e a dx.
La distanza tra due prese o due impugnature si chiama passo ginnastico. Esso si distingue in passo
delle braccia (distanza tra prese o impugnature delle mani), passo delle gambe (distanza tra prese
dei piedi) e passo corporeo (distanza tra prese o impugnature delle mani e prese dei piedi).
Passo delle braccia: è normale quando la distanza tra le prese o le impugnature delle mani
corrisponde alla larghezza delle spalle, largo quando è maggiore della larghezza delle spalle,
larghissimo quando prese o impugnature sono allontanate al massimo purché il passo non sia
interrotto da una presa di altra parte del corpo (ad esempio da una presa toracica o dorsale), stretto
quando le prese o le impugnature sono ad una distanza inferiore alla larghezza delle spalle, unito
quando le mani (in presa o in impugnatura) sono a contatto, incrociato quando un braccio è
sovrapposto all’altro (naturalmente il passo incrociato può a sua volta essere normale, largo,
larghissimo, stretto ed unito).
Passo delle gambe: è normale quando la distanza tra le prese dei piedi corrisponde alla larghezza
delle anche, e, come per le braccia può, a sua volta, essere largo, larghissimo, stretto unito e
incrociato.
Passo corporeo: è normale quando la distanza tra impugnature e prese delle mani e prese dei piedi
corrisponde alla lunghezza del tronco, può inoltre essere largo e stretto.
Il passo si dice fisso quando è mantenuto senza variazioni durante l’esecuzione dell’esercizio, si
dice mobile quando viene abbandonato e ripreso e anche variato durante l’esecuzione dell’esercizio
(ad esempio nelle traslocazioni: quadro, pertica, etc.).
Nei rapporti intersegmentari si prendono in esame i rapporti tra capo e tronco, tra tronco e gambe,
tra avambraccio e braccio, tra mano e avambraccio, tra dita e palma, tra gamba e coscia, tra piede e
gamba.
Il capo rispetto al tronco può essere eretto (asse longitudinale del capo in linea con quello del
tronco), flesso (in avanti quando la fronte si avvicina al petto, in dietro quando l’occipite si avvicina
al dorso, a sinistra e a destra quando l’orecchio si avvicina alla spalla corrispondente), torto (il capo
risulta ruotato attorno al proprio asse longitudinale con il profilo perpendicolare all’asse trasversale
rivolto verso la spalla sinistra o destra,), avanzato e arretrato (asse longitudinale del capo spinto
avanti o in dietro rispetto a quello del tronco sull’asse sagittale).
Il tronco rispetto alle gambe può essere eretto (stazione eretta normale), flesso (in avanti, in dietro, a
sinistra e a destra quando la parte superiore del tronco, in atteggiamento semibreve, risulta
avvicinata rispettivamente alle gambe, ai glutei, ai fianchi), torto (il tronco risulta ruotato a destra e
a sinistra attorno al proprio asse longitudinale mantenendo fissa la sua parte inferiore), inclinato
(solo in avanti in atteggiamento lungo a rachide teso).
L’avambraccio rispetto al braccio può essere esteso, teso o disteso (avambraccio e braccio sono in
linea), flesso o semiflesso (arto superiore in atteggiamento breve o semibreve). Le posizioni delle
braccia estese verso il basso si riconoscono dalla posizione delle palme: posizione palmare o supina
(palma rivolta in avanti), dorsale o prona (dorso in avanti), a palme in dentro o radiale (pollici in
avanti), a palme in fuori o ulnare (5° dito in avanti).
La mano rispetto all’avambraccio può assumere le posizioni palma in avanti o in dietro, in alto o in
basso (rispetto ad assi e piani), palme in dentro o in fuori (rapporto delle palme tra di loro). Può
assumere la posizione di mano normale (mano in linea con l’avambraccio), mano in flessione
palmare e dorsale (palma e dorso avvicinati rispettivamente all’avambraccio), mano in flessione
radiale e ulnare (pollice e 5° dito avvicinati rispettivamente a radio e ulna).
Le dita rispetto alla palma determinano le posizioni di mano normale (mano in posizione
naturalmente rilassata), mano tesa (dita unite e tese in linea con la palma), mano aperta (dita
divaricate e tese), mano a pugno (dita flesse, pollice chiuso sulle dita), mano flessa.
La gamba propriamente detta rispetto alla coscia può essere estesa, tesa, distesa o protesa (gamba e
coscia sono in linea), flessa o semiflessa (arto inferiore in atteggiamento breve o semibreve).
Il piede rispetto alla gamba può assumere la posizione di piede normale (assi di piede e gamba
ortogonali), piede flesso o in flessione dorsale (dorso del piede avvicinato dalla gamba), piede
esteso o in flessione plantare (dorso del piede allontanato dalla gamba), piede divergente, piede
convergente.

Analisi di figura
E’la descrizione attraverso termini tecnici specifici della figura (statica)assunta da un ginnasta colto
in un particolare momento dell’esecuzione di un esercizio. L’analisi deve iniziare dall’esame
dell’assieme della figura cioè del corpo in toto e proseguire con l’esame dei segmenti del corpo,
prima del busto (parte assiale) e poi degli arti (parte appendicolare) oppure dando precedenza al
segmento che si ritiene più consistentemente impegnato in quel particolare momento dell’esercizio.
Gli elementi da considerare accuratamente nella descrizione sono ovviamente l’atteggiamento e le
posizioni (totali e parziali) che si evidenziano nella figura.
La classificazione delle posizioni serve a definire i vari tipi di posizioni assumibili nei diversi
momenti dell’azione motoria.
Posizione fondamentale: è quella che viene mantenuta principalmente nello svolgersi degli esercizi
(esercizi dalla stazione eretta, esercizi dall’attitudine di sospensione alla spalliera, etc.).
Posizione derivata: successiva alla fondamentale e riguardante solo capo ed arti (esercizi dalla
stazione eretta, braccia avanti).
Posizione iniziale: quella assunta all’inizio dell’esercizio.
Posizione finale: quella assunta alla fine dell’esercizio.
Posizione immergente, o preparatoria o propria: simile alla fondamentale, ma più specifica, più
caratterizzante l’esercizio (ad esempio la posizione di “pronti” nella partenza dai blocchi della corsa
di velocità).
Posizione fissatrice: quella che serve a fissare segmenti del corpo non direttamente coinvolti
nell’azione principale dell’esercizio per migliorarne l’esecuzione (flessioni e torsioni del busto dalla
stazione eretta, gambe divaricate, braccia in fuori).
Posizione ferma: quella che viene mantenuta per più di un tempo esecutivo.
Posizione elastica: quella effettuata con molleggi.
Posizione di passaggio: quella che si assume per passare da una posizione ad un'altra.
Posizione semplice: non scomponibile in altre più semplici (braccio sinistro in fuori, capo flesso in
dietro, busto torto a destra, etc.).
Posizione composta: scomponibile in altre più semplici (capo flesso e torto, braccio flesso e torto,
etc.).
Posizione combinata: insieme di posizioni semplici o composte di segmenti diversi (busto flesso
avanti e torto a sinistra, braccia in fuori).

Elementi dinamici: il movimento e l’esercizio.

Per motricità umana si intende la proprietà dell’organismo umano di entrare in moto


spontaneamente variando i rapporti di posizione delle singole parti del corpo tra di loro o del corpo
in toto con l’ambiente. In questa produzione di movimenti la volontà non è necessariamente
l’elemento determinante. In questo caso la motricità è definita semplicemente motricità di relazione.
Se invece la volontà, la psiche, assumono un valore determinante, se la motricità stessa ha lo scopo,
attraverso il movimento razionale, di migliorare le qualità psico-fisiche dell’individuo, allora la
motricità diventa motricità educativa. Sia la motricità umana di relazione sia la motricità educativa
si esplicano attraverso il movimento il quale, dal punto di vista strettamente tecnico, è il passaggio
da una posizione ad un'altra in forma precisata di uno o più segmenti del corpo o del corpo in
toto. Il movimento è determinato da organi attivi e motori (muscoli) e da organi passivi (segmenti
ossei, scheletro). Muscoli e scheletro insieme formano un sistema di leve in cui il braccio è
rappresentato da uno o più segmenti scheletrici, il fulcro, in genere, dai mezzi di unione dei
segmenti stessi (cioè le articolazioni), e la potenza dalla contrazione dei muscoli. La maggior parte
dei movimenti scaturisce da questo sistema di leve capace solamente di effettuare delle rotazioni,
cioè dei movimenti angolari. Movimenti che, in ultima analisi, sembrano rettilinei, sono in realtà il
risultato di un insieme complesso di rotazioni attorno a degli assi. Nella motricità educativa i
movimenti contengono in sé tre aspetti: quello psicologico (non c’è movimento di tipo educativo
senza il coinvolgimento della sfera psichica), quello fisiologico (con il movimento vengono attivate
molteplici e differenti funzioni dell’organismo umano) e quello tecnico (i movimenti vengono
effettuati con modalità esecutive specifiche).
I movimenti si possono classificare a seconda del minore o maggiore intervento della volontà
necessaria a produrli: vi sono quindi i movimenti istintivi (la volontà è pressoché assente),
impulsivi (scarso controllo da parte della volontà), spontanei (la volontà è poco presente). Vi sono
movimenti che si manifestano addirittura involontariamente come il movimento riflesso. Un tipico
movimento riflesso della muscolatura striata è il riflesso rotuleo: se si percuote il tendine del
quadricipite a livello della rotula il muscolo si contrae bruscamente, senza alcun intervento della
volontà, provocando l’estensione della gamba sulla coscia.
Il movimento volontario, atto motorio per eccellenza, serve a soddisfare un desiderio o bisogno,
uno scopo o una esigenza immediata e proprio per questo motivo ha una importanza relativa nella
motricità educativa. Ha importanza massima invece, il movimento voluto, compiuto a seguito di
interventi che possono o meno coincidere con la volontà di chi esegue. Esso è compiuto per finalità
ben precise ed esprime il grado di educabilità della persona. In educazione fisica si fa una
distinzione tecnica tra movimento voluto e precisato e voluto e non precisato: il primo è il
movimento ginnastico vero e proprio, esattamente definito nella sua azione e nelle sue posizioni; il
secondo lascia più libera l’interpretazione del movimento da parte di chi lo esegue come avviene
nella ginnastica educativa moderna.
Il movimento automatico ed il movimento associato sono altri due movimenti che interessano la
motricità educativa. Il movimento automatico è quello che si acquisisce gradualmente nel tempo
con esecuzioni ripetute e frequenti che a mano a mano trasformano un movimento difficile e
faticoso in un movimento sempre più facile e meno dispendioso fino al punto da svincolarlo quasi
completamente, nelle sua effettuazione, dall’intervento della volontà: la volontà compare solo per
determinare l’inizio e l’interruzione del movimento, può comparire per controllarlo e modularlo. E’
intuibile l’importanza dell’acquisizione di movimenti automatici nella pratica dell’attività motoria.
Il movimento associato è quello che si manifesta inavvertitamente durante l’esecuzione di
movimenti volontari, voluti e automatici. Accompagna il movimento principale e può assecondarlo
positivamente (movimento associato positivo o sinergico) o turbarne l’esecuzione (movimento
associato negativo o asinergico).
Il movimento può essere naturale (camminare, correre, saltare, etc.), o artificiale di tipo analitico
(si esaminano le possibilità di movimento segmento per segmento), sintetico (insieme di più
movimenti analitici per l’effettuazione di un gesto tecnicamente valido), globale (che investe
globalmente l’individuo).
Il movimento può presentarsi, come nelle posizioni, in forma semplice (una sola azione muscolare
interessante una sola parte del corpo: flettere il capo, estendere il tronco,etc.), composta ( più azioni
muscolari interessanti una sola parte del corpo: flettere e torcere il braccio, inclinare e torcere il
tronco) o combinata (una o più azioni muscolari interessanti due o più parti diverse del corpo).
Terminologia tecnica dei principali movimenti ginnastici (da Malavenda)
Elevare: movimento lento degli arti, in qualunque atteggiamento, eseguito dal basso verso l’alto:
Abbassare: movimento lento opposto a quello precedente:
Aprire: allontanamento lento e reciproco degli arti, in qualunque atteggiamento, eseguito sul piano
trasversale. Con aprire si indica anche il passaggio (lento o rapido) del corpo da una posizione in
atteggiamento di massima raccolta o di squadra o di massima squadra in atteggiamento tipo o ad
arco, ordinariamente eseguito ai grandi attrezzi o in volo.
Chiudere: movimento inverso a quello precedente.
Divaricare: allontanamento reciproco degli arti inferiori in direzione opposta.
Riunire: ricongiungimento del piede precedentemente mosso con l’altro rimasto sul posto. Il
termine riunire indica anche l’atto che determina il congiungimento simultaneo degli arti inferiori.
Incrociare: sovrapporre o porre avanti un arto all’altro omologo.
Slanciare: passaggio rapido degli arti da una posizione in atteggiamento lungo ad un'altra analoga
(lanciare se si esegue lo stesso movimento per scagliare un attrezzo come nel lancio del disco).
Circondurre: passaggio diretto e successivo di una parte del corpo per quattro posizioni
diametralmente opposte, in modo che l’estremità distale di essa descriva, approssimativamente, un
circolo.
Flettere: passaggio di una parte del corpo da una posizione in atteggiamento lungo ad un'altra in
atteggiamento breve quando detta parte non è in attitudine di appoggio.
Inclinare: movimento con il quale il busto in atteggiamento lungo (rachide teso) si sposta dalla
posizione eretta verso quella orizzontale facendo perno sull’articolazione dell’anca. Dalla posizione
eretta il busto può inclinarsi solo avanti sino a formare con gli arti un angolo ottuso, retto o anche
acuto. Lo stesso termine si usa per indicare il movimento che esegue il corpo, in atteggiamento
lungo, per spostarsi dalla posizione eretta verso il suolo o verso un qualsiasi altro punto di
appoggio.
Estendere: passaggio di una parte del corpo da una posizione in atteggiamento breve o semibreve ad
un'altra in atteggiamento lungo quando detta parte non è in appoggio sul sostegno. Il termine
estendere riferito agli arti indica che detto passaggio viene eseguito lentamente.
Spingere: passaggio rapido degli arti da una posizione in atteggiamento breve o semibreve ad
un’altra in atteggiamento lungo (gettare se si effettua lo stesso movimento per scagliare un attrezzo
come nel getto del peso).
Tirare: passaggio rapido da una posizione in atteggiamento lungo ad altra in atteggiamento lungo,
passando attraverso una posizione in atteggiamento breve come nel tiro del giavellotto
Rizzare: passaggio da una posizione in atteggiamento breve ad un'altra in atteggiamento lungo,
eseguito dagli arti in appoggio sul sostegno.
Piegare: passaggio da una posizione in atteggiamento lungo ad un'altra in atteggiamento breve,
eseguito dagli arti in appoggio sul sostegno.
Torcere: movimento di una parte del corpo attorno al proprio asse longitudinale mantenendo ferma
una estremità di essa.
Ruotare: idem ma senza mantenere ferma una estremità (ad esempio per compiere un mezzo giro
dalla stazione eretta).
Capovolgere: movimento di tutto il corpo attorno al proprio asse trasversale o sagittale.
Oscillare: movimento di tutto il corpo o degli arti dall’attitudine di sospensione.
Deambulare: spostamento del corpo sul terreno nelle varie direzioni mediante una successione di
passi.
Traslocare: spostamento del corpo su un attrezzo.
Volteggiare. superamento di un ostacolo o di un attrezzo mediante un’azione in appoggio degli arti
superiori su di esso in genere preceduta e seguita da un’azione in attitudine di volo.
Saltare: superamento di un ostacolo o di un attrezzo in attitudine di volo eseguito normalmente con
un’azione degli arti inferiori.

Una successione razionale di movimenti ginnastici che tende al conseguimento di un fine educativo
si chiama esercizio ginnastico. Nella forma più semplice l’esercizio comprende almeno due
movimenti: un movimento di andata, o momento o tempo di andata e un movimento di ritorno, o
momento o tempo di ritorno.
L’esercizio si definisce semplice quando interessa un solo tratto scheletrico, combinato quando
interessa due o più tratti scheletrici.
L’esercizio semplice (eseguito con movimento semplice o composto) può svolgersi in tre forme di
esecuzione diverse: la forma semplice con tempi di andata/e e ritorno/i nella stessa direzione (da
capo eretto flessione del capo avanti e ritorno), la forma successiva con tempi di andata/e e
ritorno/i nelle varie direzioni (da busto eretto torsione del busto a sx e ritorno, torsione del busto a
dx e ritorno), e la forma alternata con tempi di andata/e e ritorno/i da posizioni diametralmente
opposte (da capo flesso avanti direttamente a capo flesso dietro). La forma semplice e quella
alternata prevedono due tempi di esecuzione, quella successiva almeno quattro.
L’esercizio combinato può svolgersi in quattro forme di esecuzioni diverse: la forma successiva, la
forma simultanea, la forma alternata e la forma ad immersione. Per facilitare l’esemplificazione
chiameremo il movimento di andata di un segmento corporeo A1, il suo ritorno R1, il movimento di
andata di un secondo segmento A2 e il suo ritorno R2, e indicheremo con p.p la posizione di
partenza o iniziale.
Forma successiva: (A1) (R1) (A2) (R2) 4 tempi di esecuzione
p.p. ritti con mani alle spalle
1 piegare le gambe (A1)
2 tornare ritti (R1)
3 spingere le braccia in alto (A2)
4 tornare a mani alle spalle ( R2)
Forma simultanea: (A1 A2) (R1 R2) 2 tempi
p.p. ritti con mani alle spalle
1 piegare le gambe spingendo le braccia in alto (A1 A2)
2 tornare ritti con mani alle spalle (R1 R2)

Forma alternata: A1 (A2 R1) (A1 R2) R1 2 tempi


p.p. ritti con mani alle spalle
posizione preparatoria gambe piegate A1
1 tornare ritti spingendo le braccia in alto (A2 R1)
2 piegare le gambe tornando a mani alle spalle (A1 R2)
al termine si assume la posizione finale cioè si torna alla p.p. R1
Forma ad immersione: A1 (A2) (R2) R1 2 tempi
p.p. ritti con mani alle spalle
posizione immergente gambe piegate A1
1 spingere le braccia in alto (A2)
2 tornare a mani alle spalle (R2)
al termine si assume la posizione finale cioè si torna alla p.p. R1
oppure (A1) (A2) (R2) (R1) 4 tempi
p.p. ritti con mani alle spalle
1 piegare le gambe (A1)
2 spingere le braccia in alto (A2)
3 tornare a mani alle spalle (R2)
4 tornare ritti (R1)
(l’assunzione della posizione immergente diventa parte integrante dell’esercizio).

Gli elementi tecnici dell’esercizio sono rappresentati dalla definizione della parte minima in cui è
scomponibile l’esercizio, cioè il momento o tempo, e dai modi di combinare i momenti o tempi
per ottenere una composizione idonea al raggiungimento degli obiettivi prefissati.
L’insieme di più momenti, non meno di due, dà origine alla misura. Più misure costituiscono la
sequenza che deve essere in grado di conseguire, almeno parzialmente, gli obiettivi scelti. Le
misure che costituiscono la sequenza possono essere organizzate in due modi differenti che
prendono il nome di serie e di grado.
Nella serie le misure non devono necessariamente contenere lo stesso numero di tempi all’interno
della misura stessa e saranno in numero tale da rendere possibile un risultato educativo
soddisfacente (esempio: proporre “serie di esercizi dalla stazione” eretta significa proporre
liberamente, come tempi esecutivi e come numero di misure, svariati esercizi da quella posizione).
Nel grado invece le misure, che devono essere almeno due, contengono sempre lo stesso numero di
tempi.
Il grado si sviluppa nella progressione, che è una successione di esercizi scelti per svolgere un
determinato tema didattico e disposti con criteri di graduale difficoltà o intensità, o di entrambe.
La progressione si definisce a sviluppo limitato se è organizzata in un solo grado e si propone
obiettivi semplici. Si definisce a sviluppo complesso se è organizzata in due o più gradi, cioè tanti
quanti sono ritenuti necessari al conseguimento di obiettivi più consistenti.
E’ bene ricordare che nelle progressioni il numero dei tempi all’interno delle misure è sempre
uguale, e sempre uguale è anche il numero delle misure all’interno dei gradi. Questo rigido
schematismo è insieme un pregio ed un difetto: da una parte impegna chi la formula ad una scelta
attenta e meditata degli esercizi e consente agli esecutori una più facile memorizzazione del
susseguirsi degli esercizi, dall’altra può portare ad introdurre esercizi non strettamente necessari pur
di rispettare la simmetria e gli esatti rapporti tra tempi, misure e gradi.
La stesura della progressione deve contenere: l’intestazione (argomento che sarà svolto),
l’indicazione generale (numero dei gradi, età o classe, sesso,se necessario, dei soggetti a cui è
proposta; numero delle misure, numero dei tempi delle misure, cadenza o ritmo esecutivo,
posizione di partenza o iniziale), il tema (scopo della progressione o descrizione degli esercizi), la
descrizione (indicazione dei movimenti ginnastici da eseguire), l’illustrazione (disegni, immagini,
etc. per rendere più comprensibile la descrizione). I tempi si indicano con numeri arabi, le misure
con numeri romani.

Un esempio di stesura: intestazione ESERCIZI A CORPO LIBERO


indicazione generale Progressione di tre gradi per alunni/e di
prima superiore
4 misure di 4 tempi ritmo personale
partenza dalla stazione eretta, braccia in basso
tema esercizi delle braccia - esercizi combinati delle
gambe e delle braccia - esercizi combinati di
busto, gambe e braccia
descrizione primo grado

I. - 1………………...
2…………………
3…………………
4…………………

II - 1…………………
2…………………
3…………………
4…………………

III - 1…………………
2…………………
3…………………
4…………………

IV – 1…………………
2…………………
3…………………
4…………………

secondo grado etc.


Nella ginnastica moderna il concetto di movimento, o momento o tempo, cioè la parte minima in
cui è scomponibile l’esercizio (un tempo esecutivo) è sostituito dal concetto di esercizio di base
che è costituito da due tempi esecutivi, da due movimenti o momenti, corrispondenti a contrazione e
decontrazione, ad andata e ritorno. Una flessione seguita da una estensione, una oscillazione che
preveda andata e ritorno sono esempi di esercizio di base.
Più esercizi di base oppure un solo esercizio di base portato su più piani e con spostamenti limitati
danno origine alla composizione che si chiama piccola combinazione. Oscillazioni delle braccia
sul piano frontale e sul piano sagittale opportunamente assecondati da azioni molleggiate delle
gambe sono un esempio di piccola combinazione.
Un insieme di esercizi di base portati nello spazio con ampi spostamenti ed eseguiti con modalità
più complesse dà origine alla grande combinazione. L’esercizio a corpo libero della ginnastica
artistica è un esempio di grande combinazione.

Classificazione degli esercizi


Gli esercizi, a seconda delle loro finalità e caratteristiche possono essere classificati in vari modi. Se
consideriamo l’intensità di sforzo richiesta e la difficoltà esecutiva possiamo classificarli in esercizi
blandi, moderati, intensi e violenti.
Se guardiamo alle qualità fisiche li definiremo come esercizi per lo sviluppo della forza, della
velocità, della resistenza, della flessibilità, della destrezza.
Se analizziamo le masse muscolari interessate distingueremo esercizi piccoli (esempio: esercizi
delle mani), esercizi grandi (lancio del peso), esercizi ad effetto localizzato (ginnastica addominale),
esercizi ad effetto generale sulle grandi funzioni (la corsa).
Se ci rivolgiamo ad acquisizioni psicoeducative possiamo avere esercizi di coraggio, di socialità, di
collaborazione, etc.
Tutti gli esercizi sopra elencati possono essere raggruppati in tre categorie: gli esercizi elementari,
gli esercizi di applicazione e gli esercizi ordinativi.
Gli esercizi elementari, o fondamentali, o di base sono quegli esercizi che si eseguono a corpo
libero o con piccoli attrezzi, sul posto o con piccoli spostamenti, e da qualsiasi stazione. Questi
esercizi tendono allo sviluppo armonico a carattere generalizzato dell’individuo e alla conoscenza
dei movimenti essenziali dei vari segmenti corporei, senza fini prettamente utilitaristici quali
potrebbero essere lo sviluppo della forza , della velocità, della resistenza, del ritmo, dell’equilibrio,
del coraggio, dell’estetica, della tecnica, etc.
Gli esercizi con fini di tipo utilitaristico e obiettivi ben definiti sono invece gli esercizi di
applicazione.
Gli esercizi ordinativi sono una particolare categoria di esercizi che servono all’insegnante per
assegnare un posto adatto ad allievi ed attrezzi nel corso della lezione. Educano all’ordine e ad un
comportamento adeguato all’attività da svolgere.

Esercizi elementari
Posizioni ad esercizi del capo: gli esercizi del capo sono determinati dalla somma di due segmenti,
il capo ed il collo. Il segmento capo comprende le articolazioni occipito-atlantoidea (flessione
avanti e dietro) e atlanto-epistrofea (torsione), il segmento collo le articolazioni intervertebrali dalla
terza alla settima vertebra cervicale (flessione in tutte le direzioni e torsione). Associando le
possibilità di tutte queste articolazioni risultano consentite al segmento capo-collo movimenti di una
certa ampiezza in tutte le direzioni. Gli esercizi del capo vanno eseguiti in forma blanda.
lentamente, alternando i movimenti nelle varie direzioni. Le posizioni del capo sono: capo eretto,
flesso nelle quattro direzioni,torto a sx o a dx,avanzato o spinto avanti, arretrato o spinto dietro. Gli
esercizi semplici del capo sono: la flessione (da capo eretto a capo flesso), l’estensione (movimento
inverso), la torsione, la spinta (da capo eretto a capo spinto avanti o dietro). Gli esercizi composti:
flessione e torsione, estensione e torsione, circonduzione (associando flessioni, torsioni ed
estensioni).
Posizioni ed esercizi del busto: la somma dei movimenti intervertebrali consente al busto di
compiere diversi movimenti. Le possibilità articolari sono ampie nella flessione avanti, meno ampie
in quella laterale e dietro per la conformazione stessa delle vertebre Le posizioni del busto si
riconoscono dai suoi rapporti con le gambe, con il suolo e con l’asse longitudinale. Esse sono: busto
eretto, flesso, inclinato (atteggiamento lungo, rachide teso e solo in avanti rispetto alle gambe),
torto. Gli esercizi semplici del busto: flessione, estensione, inclinazione, torsione. Gli esercizi
composti: flessione e torsione, estensione e torsione, inclinazione e torsione, circonduzione.
Posizioni ed esercizi delle spalle. Le posizioni sono: spalle normali (in posizione fisiologica
naturale allo stesso livello), in alto ed in basso, avanti e dietro. Gli esercizi: in forma lenta le
elevazioni, gli abbassamenti, le abduzioni e le adduzioni (da spalle normali a spalle avanti e dietro),
le circonduzioni; in forma rapida le spinte e le circonduzioni.
Pozioni ed esercizi delle braccia. Le posizioni in atteggiamento lungo si riconoscono dal rapporto
con gli assi fondamentali del corpo: si dicono dirette quando gli arti sono paralleli ad uno degli assi
o sono sul loro prolungamento, indirette o intermedie quando sono obliqui rispetto agli assi.
Posizioni dirette: braccia basse, in alto, avanti, dietro, in fuori. Posizioni indirette tra due assi:
avanti-basso, avanti-alto, dietro alto, dietro basso, dentro alto, dentro basso, fuori alto, fuori basso.
Posizioni indirette tra tre assi: avanti-fuori-basso, avanti-fuori-alto, dietro-fuori-basso, etc. Le
posizioni delle palme si precisano attraverso il rapporto con il suolo (palme in alto e in basso), con
la parte frontale del corpo (palme in avanti e in dietro), o con il reciproco rapporto ( palme in
dentro, in fuori, corrispondenti a sx o a dx).Le posizioni delle braccia in atteggiamento breve o
semibreve si riconoscono dalla parte del corpo con cui vengono a contatto o dal particolare
atteggiamento che assumono: braccia a cerchio, ad arco, mani ai fianchi, a tergo, al petto, alla nuca,
alle spalle, braccia conserte al petto. Esercizi: torsione, flessione,estensione,spinta, slancio,
elevazione e abbassamento, oscillazione, piegamento, il rizzare.
Posizioni ed esercizi delle avambraccia. Le posizioni si riconoscono dai rapporti con le braccia:
braccia semiflesse, flesse, torte, estese. Esercizi delle avambraccia: flessione, estensione, torsione
con supinazione (da palme in dentro a palme in alto) e con pronazione (da palme in dentro a palme
in basso).
Posizioni ed esercizi delle mani. Le posizioni si riconoscono dal rapporto delle mani con le
avambraccia e dai rapporti interesistenti tra le dita: mano in linea o estesa, flessa verso il palmo, il
dorso, in flessione radiale, in flessione ulnare, mano tesa, aperta, a pugno. Esercizi delle mani:
flessione, estensione, circonduzione.
Posizioni ed esercizi delle gambe. Le posizioni degli arti inferiori in atteggiamento lungo si
riconoscono dal reciproco rapporto o dal rapporto con il suolo: gambe unite, divaricate (sul piano
frontale o sagittale), incrociate (sinistra sopra o destra sopra), gamba posata (un arto in
atteggiamento lungo viene allontanato dall’altro di circa un passo in tutte le direzioni e posato al
suolo con presa di tutta pianta), protesa (idem ma con presa di solo avampiede), sollevata (idem ma
allontanata di poco dal suolo e quindi senza presa), elevata (idem ma allontanata dal suolo il più
possibile). Le posizioni degli arti inferiori in atteggiamento breve o semibreve si riconoscono o dal
rapporto con il busto, o dal reciproco rapporto o dal rapporto tra attitudine e atteggiamento: gamba
flessa avanti, dietro, fuori (la coscia si avvicina al busto), gambe piegate, semipiegate, tuttopiegate
(arti in atteggiamento breve o semibreve in attitudine di appoggio con presa di avampiede, talloni
uniti, ginocchia unite o divaricate), gamba piegata (piegata sx o dx avanti, dietro, in fuori: una
gamba rimane sul posto protesa con presa plantare o di avampiede, l’altra, quella che esegue la
piegata, si sposta nella direzione voluta assumendo, con movimento che avviene per caduta, la
posizione di gamba semipiegata, ginocchio a piombo sull’estremità del piede, busto eretto), gamba
tuttopiegata (idem ma con gamba in atteggiamento breve), gamba contropiegata sx o dx (si sposta
l’arto nominato in atteggiamento lungo nella direzione voluta assumendo, con movimento che
avviene per ceduta, la posizione di gamba semipiegata, ginocchio a piombo sull’estremità del piede,
busto eretto), gamba (in) affondo e (in) contraffondo (come la piegata ma con il busto in linea con
l’arto proteso). gambe in ginocchio (ginocchia a terra, coscia e busto allineati e perpendicolari al
suolo), gamba in ginocchio (un solo ginocchio a terra). Esercizi delle gambe: flessione, spinta,
flessione e spinta, slancio, piegamento,il rizzare, torsione, estensione, circonduzione, elevazione,
abbassamento, oscillazione, molleggio.
Posizioni ed esercizi dei piedi. Le posizioni si riconoscono dal reciproco rapporto o dal rapporto
con le gambe: piedi uniti o giunti, , paralleli, divergenti o in fuori o divaricati, convergenti o in
dentro, piedi normali (perpendicolari alla gamba), flessi (dorso del piede avvicinato alla gamba),
estesi, piede addotto e abdotto (il piede in estensione, risulta flesso e ruotato rispettivamente in
dentro e in fuori). Esercizi dei piedi: flessioni, estensioni, circonduzioni, adduzioni e abduzioni.

Esercizi ordinativi
Ordinativi sul posto: riga (allievi disposti uno a fianco dell’altro), fila (uno dietro l’altro),
intervallo (spazio tra un allievo e l’altro sulla riga), mezzo intervallo, primo intervallo, doppio
intervallo (a distanza di mezzo braccio, un braccio, due braccia), distanza (spazio tra un allievo e
l’altro sulla fila), mezza distanza, prima distanza, doppia distanza (a distanza di mezzo passo, un
passo, due passi), numerazione (si assegna, da parte dell’insegnante o di un allievo, un numero ad
ogni allievo, nella riga o nella fila, perché possa assolvere ad indeterminato compito), adunata sulla
riga, sulla fila, sulla retta di base, sul circolo di base, a gruppo vicino all’insegnante (serve a
radunare gli allievi prima dell’inizio dell’attività), attenti, riposo (divaricata sagittale, sinistro avanti
o divaricata frontale), raddoppiamento della riga o della fila, passi contati.
Ordinativi in movimento o evoluzioni: modi di spostare gli allievi mediante cammino
(successione di passi naturali mantenendo il contatto con il suolo), marcia (cammino disciplinato da
norme quali il passo, il tempo, la cadenza, la lunghezza del passo, la direzione, l’allineamento),
corsa (successione ritmica e alternata di passi balzati).
Ordinativi misti o schieramenti: modi di disporre gli allievi creando spazi tra l’uno e l’altro per
poter svolgere al meglio l’attività. Lo schieramento è totale quando si agisce sia sulla distanza che
sull’intervallo, parziale quando si agisce sull’uno o sull’altro. Schieramento libero: ognuno sceglie
liberamente il proprio posto. Schieramento retto: gli allievi sono disposti sulle intersezioni di un
fascio di rette parallele con un altro fascio,sempre di rette parallele, perpendicolari alle prime.
Schieramento obliquo e a scaglione: gli allievi sono disposti sulle intersezioni di un fascio di rette
parallele con un altro fascio, sempre di rette parallele, oblique alle prime.
Ordinativi per i piccoli attrezzi (quelli maneggevoli): modi di distribuire gli attrezzi agli allievi e
di farli riporre senza disordine e perdite di tempo.
Ordinativi per i grandi attrezzi (quelli sui quali si effettua l’esercizio): modi di disporre in modo
opportuno gli allievi nei confronti dell’attrezzo per svolgere al meglio l’esercizio.
Ordinativi complessi: modi per organizzare attività di gioco o sportive (ad esempio come si
dispongono e si fanno spostare gli allievi per l’esercizio di schiacciata della pallavolo, o per una
esercitazione di salto in alto di tutta la classe, etc.), utilizzando vari tipi di ordinativi.

La didattica
Elementi didattici dell’esercizio: la durata, il tipo di esecuzione (a tempo o a ritmo),
l’interpretazione, l’intensità, la descrittiva e la terminologia sono aspetti dell’esercizio di cui si deve
tener conto nelle metodiche di insegnamento.
La durata dell’esercizio, cioè per quanto tempo bisogna protrarre un esercizio, dipende da diversi
fattori quali l’intensità di sforzo richiesta dall’esercizio, la difficoltà dell’esercizio, il grado di
preparazione raggiunto, l’età, il sesso etc. L’esercizio può essere fondamentalmente proposto con
esecuzione a tempo o a ritmo: l’esecuzione a tempo “si ha quando viene suddivisa la misura in
parti uguali (esempio: 1,2,3,4 – 1,2,3,4 – etc.). L’esecuzione a ritmo si ha , invece, quando
segniamo uno schema ritmico che divide le misure in un numero di figure musicali non uguali nella
misura stessa, con continua alternanza di accenti deboli e forti” (Tosi –Savorelli). Un esempio di
esecuzione a tempo può essere la progressione. L’esercizio a corpo libero della ginnastica artistica,
eseguito su brano musicale, è invece un esempio di esecuzione a ritmo. Nella ginnastica educativa
si tende a privilegiare l’esecuzione libera a ritmo personale.
L’interpretazione dell’esercizio, cioè come deve essere eseguito l’esercizio, può essere suggerita
dall’insegnante nella spiegazione dell’esercizio oppure può essere lasciata alla libera iniziativa
dell’allievo.
L’intensità dell’esercizio deve essere rapportata alle capacità dell’allievo. Essa dipende
fondamentalmente dall’entità del coinvolgimento a livello muscolare e nervoso.
La descrittiva è il modo di presentare e spiegare l’esercizio. Può essere scritta, orale o per
immagini (disegni o video), Deve essere improntata a brevità e chiarezza. La tradizione
dell’educazione fisica vuole che nella descrizione orale e scritta dell’esercizio si indichi nell’ordine
l’azione motoria richiesta (verbo all’infinito), il segmento del corpo interessato, la direzione del
movimento (torcere - il busto - a sinistra). Quando siamo in presenza di un esercizio composto (due
movimenti) se i movimenti sono successivi si useranno due infiniti (flettere e torcere) se sono
simultanei si userà l’infinito ed il gerundio (inclinare il busto torcendolo a sinistra) e così si farà
anche in caso di esercizio combinato (flettere il busto avanti portando le mani alla nuca).
La terminologia che si deve usare è, in linea di massima, quella ufficiale. Parlando a bambini o a
persone non troppo colte è bene adottare una terminologia più vicina al loro modo di esprimersi (ai
bambini si faranno fare “capriole” e non capovolte).

Momento didattico
Così viene definito il momento del contatto docente-discente,il momento in cui, attraverso proposte
di attività motorie di vario genere si instaura il rapporto educativo. Schematicamente, senza entrare
per il momento in valutazioni più approfondite, si possono analizzare tre fasi fondamentali del
momento didattico: la fase di preparazione, la fase di azione e la fase di controllo, cioè quello che
l’insegnante deve dire o fare nel proporre l’esercizio e durante e dopo l’effettuazione dell’esercizio
stesso.
Fase di preparazione
Annuncio dell’esercizio: presentazione dell’esercizio che deve essere fatto con termini tecnici
appropriati, indicando l’azione da compiere (esempi: ora faremo dei piegamenti delle gambe, ora
faremo un esercizio in sospensione alla spalliera, etc.).
Spiegazione: sarà fatta solo quando è necessaria, in modo chiaro e sintetico.
Dimostrazione: si può fare in due modi. Dimostrazione diretta: l’insegnante dimostra
personalmente l’esercizio. Indiretta: fatta fare da un allievo o con altri mezzi (disegni, video).
Apprezzamento: può essere utile un breve commento sugli scopi e valori dell’esercizio per
stimolare l’interesse e motivarne l’esecuzione.
Fase di azione
Richiesta motoria o comando ginnastico: vari modi con cui l’insegnante designa l’esercizio o
l’azione, o la posizione da assumere, e ne precisa l’inizio. Il comando può essere diretto quando
provoca l’esecuzione immediata e simultanea da parte degli allievi attraverso ordini precisi,
indiretto quando mira ad ottenere lo stesso effetto utilizzando una forma espressiva più discorsiva e
più consona alla personalità degli allievi.
Il comando diretto si suddivide in comando di avvertimento (si indica l’azione da compiere usando
l’infinito, il segmento corporeo che deve compierla, la direzione del movimento), pausa (tempo di
uno-due secondi in cui si sta in silenzio:serve per dare agli allievi lo spazio di tempo necessario a
prepararsi per l’esecuzione dell’esercizio), comando di esecuzione. Le posizioni di partenza,
preparatorie o immergenti richiedono l’ indicazione della posizione da assumere seguita dalla
pausa,seguita a sua volta dalla parola pronti! (mani alle spalle… pronti!). Esempi di comando
partendo dalla posizione di mani alle spalle: spingere le braccia in alto … uno! tornare a mani alle
spalle … due! Oppure: spingere le braccia in alto e tornare a mani alle spalle … via! Oppure:
spingere le braccia in alto, di seguito … via! (quando si eseguono più ripetizioni).
Anche il comando indiretto deve contenere l’avvertimento, la pausa e l’esecuzione, ma ,come
detto sopra, in forma discorsiva , ad invito, più consona agli allievi (bambini ad esempio): quando
dirò via tutti lancerete la palla in alto … via! Al comando indiretto ad invito può aggiungersi, per
renderlo più comprensibile, l’imitazione dell’esercizio da parte dell’insegnante: quando dico via,
provate anche voi a fare così… come faccio io.
La guida dell’esercizio: e il modo con cui l’insegnante dà un aiuto agli allievi durante l’esecuzione
degli esercizi (con la voce, con la battuta delle mani, col tamburello, con la musica, eseguendo
personalmente l’esercizio assieme agli allievi, etc.). La guida può essere diretta quando scandisce
tutti i tempi esecutivi, o indiretta quando, pur continuando a scandire l’insegnante riesce di tanto in
tanto a inserire parole di commento, di sostegno, o altro.
Fase di controllo
Sorveglianza: è il vigile controllo effettuato dall’insegnante sull’attività degli allievi e sulla sua
azione di insegnamento.
Correzione: è l’azione fondamentale del momento didattico. Richiede competenze tecniche sicure,
capacità di comunicazione, e grande sensibilità nei modi di rapportarsi con gli allievi.
Assistenza: fondamentalmente sono quelle azioni che l’insegnante compie per evitare danni agli
allievi durante l’esecuzione degli esercizi. Può essere fatta direttamente dall’insegnante o anche tra
gli allievi stessi. L’assistenza preventiva è quella che si attua prima dello svolgimento dell’attività:
consiste nel controllo della sicurezza degli attrezzi e nella scelta attenta delle attività da proporre (si
deve essere sicuri che gli allievi siano preparati ad affrontarle senza rischio). L’assistenza di pronto
soccorso è quella che si presta immediatamente in caso di infortunio: richiede conoscenze esatte di
ciò che si deve fare.

La lezione di educazione fisica (dal punto di vista tecnico-organizzativo)


Nella lezione distinguiamo: la forma costitutiva della lezione, la forma figurativa, i criteri didattico-
metodologici.
Forma costitutiva: per “costruire” una lezione bisogna scegliere l’attività principale da svolgere
durante la lezione stessa (parte tematica) anche prendendo in esame il vissuto motorio degli allievi
(parte anamnesica). Il tema da svolgere sarà individuato valutando gli elementi di riferimento
didattico di base (obiettivi didattici, classe o ciclo scolastico, tipo di scuola, periodo dell’anno, ora
della mattinata scolastica, numero degli allievi, etc., cioè tutto ciò che riguarda gli alunni), e
valutando gli elementi di riferimento sussidiari (luogo dove si svolge la lezione e attrezzi da
utilizzare). E’ chiaro che i riferimenti di base precedono nella scelta quelli sussidiari (sono
importanti gli alunni, non gli attrezzi che si hanno a disposizione!). L’anamnesi si riferirà a
valutazioni dell’attività motoria degli alunni precedente alla lezione e riguarderà soprattutto i livelli
di apprendimento raggiunti nel settore tecnico-educativo e in quello comportamentale.
Forma figurativa: si occupa dei modi di organizzare la lezione e disporre gli alunni nello
svolgimento dell’attività. Fondamentalmente si utilizzano gli ordinativi e altre particolari forme
organizzative quali il lavoro a gruppi, le ondate di lavoro (alunni su righe che si attivano una dietro
l’altra, a mo’ di onde), la lezione a circuito, a stazioni etc.
Criteri didattico-metodologici: è il cosiddetto “piano” di lezione, la suddivisione della lezione
nelle sue parti essenziali. Tradizionalmente le lezione si compone di cinque parti: l’avviamento
motorio (adunata degli allievi, eventuale appello e comunicazione dell’attività da svolgere), il
riscaldamento (adatto all’attività da svolgere), il tema principale della lezione, l’attività di gioco, il
defaticamento. Considerando che a scuola l’ora di lezione arriva a non più di quaranta,
quarantacinque minuti effettivi di attività si evidenzia la necessità di puntare all’essenziale: prima e
seconda parte possono essere messe insieme (appello e comunicazione dell’attività si fanno durante
il riscaldamento), non si perde troppo tempo nel riscaldamento, si fa il defaticamento solo se è
proprio necessario, qualche volta si può eliminare il gioco (molto raramente nelle elementari e nelle
medie data la sua importanza nel processo educativo motorio), in modo da sviluppare al meglio il
tema principale della lezione.
(da Pièron)
Un insegnante che si accinge a lavorare con una classe è bene che si ponga preliminarmente tre
domande:
dove andare? preparazione all’insegnamento: obiettivi, programmazione
come ci si arriva? azione in classe: mezzi di insegnamento
siamo (gli alunni ed io) arrivati? controllo dell’insegnamento: valutazione e correzione

Preparazione all’insegnamento
Obiettivi: distinguiamo obiettivi generali che investono non solo finalità educative proprie
dell’educazione fisica, e obiettivi specifici dell’educazione fisica. Nel primo gruppo possiamo
indicare obiettivi quali insegnare ad apprendere, la socialità (individui inseriti in un’etica educativa
sociale), l’autonomia e la libertà di comportamento, buoni rapporti educatore-allievo, valenza
estetica del movimento,etc. Nel secondo gruppo, quello degli obiettivi propri dell’educazione fisica,
distinguiamo obiettivi del campo psicomotorio, del campo socio-affettivo, del campo cognitivo.
Alcuni esempi di obiettivi psicomotori: consolidamento dei movimenti di base (camminare, correre,
manipolare , saltare, arrampicare, etc.), potenziamento fisiologico generale (le qualità fisiche),
elaborazione degli schemi motori, capacità di coordinare.
Esempi di obiettivi socio-affettivi: lavorare insieme agli altri e collaborare (attività di gruppo e
giochi di squadra), saper organizzare (attivare piccoli tornei tra compagni), consapevolezza dei
propri mezzi.
Esempi di obiettivi cognitivi: comprendere sequenze di movimenti (attraverso la valutazione-
correzione tra compagni), apprendere le tecniche, capire le strategie di gioco e conoscere le regole
dei giochi (pratica e arbitraggio dei giochi sportivi).
Programmazione: può essere a lungo, a medio e a breve termine. Quella a lungo termine è
solitamente riferita ad un anno di attività oppure, nella scuola, al ciclo scolastico (i tre anni della
media ad esempio, o i primi due anni o gli ultimi tre della superiore). Quella a medio termine è
individuata nell’unità di insegnamento che corrisponde ad un periodo da una a più settimane in cui
ci si concentra in una esercitazione specifica all’interno di un obiettivo da raggiungere: ad esempio
avendo come obiettivo il potenziamento della resistenza l’attività specifica sarà correre sempre più
a lungo in regime aerobico, oppure essere in grado di correre 1000 metri ad un buon ritmo metri
senza fermarsi.
Scelta delle attività: bisogna saper individuare le esercitazioni idonee al raggiungimento degli
obiettivi (in altre parole i “contenuti” dell’insegnamento). I criteri che guidano la scelta sono:
proporre attività adatte al livello medio della classe (attraverso test valutativi di ingresso o con
l’osservazione della classe in attività all’inizio dell’anno scolastico) senza perdere di vista i livelli
individuali per non creare difficoltà ad alcuni; proporre attività significative (immediatamente
interessanti per gli alunni, non generiche); proporre attività specifiche (poche attività, ma mirate e
ben svolte); proporre attività che garantiscano la partecipazione interessata del maggior numero di
allievi possibile, che abbiano una significativa valenza fisiologica, psicologica e tecnica, che evitino
la monotonia (diversificando le esercitazioni, le situazioni, le forme organizzative).
Tipi (stili) di insegnamento: l’ insegnamento può svolgersi mediante comandi, per compiti, per
valutazione reciproca, per programmi individuali.
Insegnamento per comandi: è forse il meno difficile, è ben definito e preciso, ma naturalmente è
bene non abusarne per non rischiare di togliere autonomia agli allievi. Il comando, come già detto,
può essere diretto, ad invito e ad imitazione; al comando segue la dimostrazione, l’esecuzione e la
correzione. La correzione è rilevante per rendere efficace l’insegnamento.
Insegnamento per compiti: si tratta di assegnare dei compiti agli allievi o a gruppi di allievi che li
svolgono in autonomia. Gli allievi diventano protagonisti: infatti del compito assegnato e degli
esercizi da svolgere decidono inizio, fine, ritmo, quantità di lavoro, pause, etc. Con questa modalità
l’insegnante è meno presente, l’allievo impara ad autogestirsi. All’insegnante rimane l’assegnazione
del compito, cioè la scelta dell’obiettivo, e la valutazione del lavoro svolto.
Insegnamento per valutazione reciproca: agli allievi viene assegnato l’incarico di valutare la
corretta esecuzione degli esercizi, gli uni con gli altri . Questo tipo di insegnamento, non
facile,contribuisce a sviluppare la capacità dell’allievo di riconoscere e capire, nell’esecuzione
dell’esercizio da parte del compagno, quali sono gli elementi più importanti dell’esercizio stesso,
dalle posizioni da assumere ai movimenti da compiere. L’acquisizione di questa capacità è
sicuramente utile per imparare a “capire” come si deve compiere una azione e rende in grado di
poter trasferire questa comprensione dell’esercizio su se stessi. L’insegnante ha il difficile compito
di fornire agli allievi i giusti elementi per metterli nella condizione di compiere valutazioni corrette.
Insegnamento per programmi individuali: si tratta di assegnare ad ogni allievo un programma
individualizzato, rapportato al suo livello, da eseguire autonomamente. Si prepara una scheda
personale contenente indicazioni sugli obiettivi del programma di lavoro, sui contenuti,
sull’organizzazione delle esercitazioni, sugli elementi di valutazione dei risultati conseguiti, che
aiuti l’allievo nell’autonomo svolgimento dell’attività. E’ il caso di sottolineare che la stesura della
scheda richiede da parte dell’insegnante notevole attenzione nei riguardi della maturazione
psicomotoria dell’allievo e competenze sicure.
Modi di organizzare l’attività: si richiama a quanto detto sopra riguardo alla forma figurativa della
lezione, uno degli aspetti tecnico-organizzativi della lezione di educazione fisica.

Azione in classe
Osservazione degli allievi: durante l’insegnamento è importante controllare che ciò che si sta
facendo coinvolga o no la classe nel suo insieme, se tutti gli allievi partecipino attivamente al lavoro
proposto o se invece qualche allievo abbia un atteggiamento che non corrisponda alle attese
dell’insegnante, sia defilato dal resto della classe. Un controllo efficace si può ottenerlo decidendo
di osservare un certo numero di allievi, cinque-sei per lezione, non di più, in attività dello stesso
tipo (stessa unità didattica ad esempio). Sta all’insegnante giudicare se il coinvolgimento è
soddisfacente o se è necessario apportare modifiche all’attività.
Tempo di impegno motorio
E’ il tempo che l’allievo utilizza realmente in attività motoria effettiva nell’arco della lezione. La
lezione non può essere totalmente utilizzata in impegno (attività) motorio. Si pensi ai tempi
necessari alla presentazione delle attività, alla spiegazione, alla dimostrazione, alla correzione, alla
collocazione degli attrezzi, agli ordinativi necessari all’organizzazione, alle pause di riposo dopo gli
esercizi, ai tempi di attesa per esercitazioni che prevedano turni esecutivi, etc. E’ chiaro che bisogna
tendere a rendere ottimale il tempo di impegno motorio, precisando però che ottimale non sempre
vuol dire automaticamente tempo più lungo possibile perché ci sono attività che richiedono più
interruzioni di altre (ad esempio si nota una diminuzione del tempo di impegno motorio nelle
attività di apprendimento rispetto ad attività dedicate allo sviluppo di qualità fisiche,e ciò non è di
per sé un fatto negativo). L’obiettivo comunque resta pur sempre quello di ottimizzare questo tempo
non uguale all’interno delle diverse attività. Le vie per realizzare l’obiettivo si concretizzano,in
sintesi, mediante una scelta oculata delle attività, mediante la qualità dell’organizzazione della
lezione e attraverso interventi di rilancio dell’attività (riattivazione e stimolazione positiva
individuale o di gruppo).
Presentazione delle attività
Nella presentazione delle attività (annuncio e spiegazione degli esercizi) l’insegnante può procedere
con due ottiche differenti: dire e spiegare poco in modo che gli allievi “scoprano” da soli come si
deve fare l’esercizio (metodo della scoperta guidata) oppure, al contrario, dire e spiegare bene come
si deve fare l’esercizio (metodo dell’informare). Entrambe sono modalità valide: in linea di
massima la prima si adatta bene ai bambini per un insegnamento individuale o a piccoli gruppi, la
seconda sembra preferibile quando ci troviamo a gestire una classe intera di alunni meno giovani
dove non tutti sono interessati a “scoprire”. Nella prima diminuisce il tempo di impegno motorio
dato che “scoprire” è un processo lento, nella seconda si realizza più attività motoria.
Se si sceglie di informare si deve farlo con chiarezza, precisione e concisione: si indicheranno gli
obiettivi dell’attività, i criteri essenziali per la riuscita ed eventualmente gli elementi necessari
all’autovalutazione.
Dimostrazione (modello visivo)
Si rimanda a quanto già detto. La dimostrazione, ben fatta, dell’esercizio da parte dell’insegnante è
un buon modello. Attira l’attenzione degli allievi, visualizza in dettaglio i vari movimenti, permette
di guadagnare tempo evitando troppe parole di spiegazione, rafforza la posizione di “esperto”
dell’insegnante e di conseguenza la sua autorità. La dimostrazione fatta da un allievo può essere
vantaggiosa perché più vicina alle caratteristiche motorie degli allievi. La dimostrazione effettuata
con immagini televisive e con sequenze fotografiche dell’azione di campioni sportivi è utile nel
perfezionamento tecnico-sportivo.

Controllo dell’insegnamento
La valutazione di come è stato eseguito un esercizio (prestazione) e la sua eventuale correzione
(reazione alla prestazione) sono indispensabili al processo di apprendimento. L’informazione di
ritorno o retroazione o feedback, cioè il fornire all’allievo da parte dell’insegnante informazioni
relative a quanto realizzato correttamente o non correttamente nell’esercizio appena svolto o in
svolgimento costituisce “un elemento di progresso nell’acquisizione delle abilità motorie da parte di
chi impara”(M.Piéron).
La reazione alla prestazione, cioè in che modo intervenire e se intervenire durante l’esecuzione
degli esercizi, deriva da una serie di operazioni che l’insegnante deve compiere: osservazione e
identificazione dell’errore (osservare la prestazione motoria e confrontarla con quella che si
vorrebbe distinguendo tre errore/i più importanti, errori primari ed errori secondari), scelta se
reagire o no, individuazione del tipo di errore e sua causa (mancanza di capacità fisiche, difetto di
percezione, ad esempio della traiettoria del pallone, fattori psicosociali come la paura del giudizio
dei compagni), intervento, comportamento successivo alla reazione.

Modello di reazione alla prestazione (da M.Piéron)

PRESTAZIONE DELL’ALLIEVO PRESTAZIONE VOLUTA


differenza

natura e grandezza della differenza


DIAGNOSI
identificazione della causa

PRESCRIZIONE informazione di ritorno (feedback)

(il modello si ripete finché è necessario)

Intervento
I modi verbali di intervenire sono:
valutare la prestazione (“va bene”, “non va bene”e varianti quali “bene”, “molto bene”, “ottimo”,
“meglio”, “stai progredendo”, “ce la stai facendo”, etc. evitando la doppia negazione come “non
male”e specificando il commento sia positivo, “bene, la posizione delle mani era corretta”, che
negativo, “non va, hai sbagliato il passaggio, i piedi non erano in direzione giusta”).
descrivere la prestazione (descrizione di richiamo: “guarda i piedi! Sono in direzione giusta?”;
descrizione laconica: “i piedi?”
prescrivere un cambiamento (“attento, durante il salto devi estendere le gambe”).
porre domande sull’esecuzione (“come erano le gambe durante il salto?”).
intervenire in maniera affettiva (incoraggiare, incitare).
gli interventi possono anche essere anche di altro genere: verbale con aiuto manuale (far “sentire” la
posizione o l’azione) oppure con la prescrizione di un esercizio diverso, ma comunque propedeutico
per l’esercizio non riuscito.
La reazione alla prestazione (intervento) può esplicitarsi o sull’aspetto generale del movimento o su
alcune componenti specifiche (direzione e ampiezza del movimento, durata del movimento, velocità
del movimento, forza da utilizzare, etc.).
L’insegnante deve anche decidere se intervenire durante l’esecuzione dell’esercizio o subito dopo
oppure se optare per un intervento ritardato. Non ci sono regole precise: l’esperienza didattica, la
capacità di comunicazione e la sensibilità possono aiutare nella scelta. Deve altresì decidere quale
seguito dare alla reazione alla prestazione cioè cosa fare dopo aver effettuato l’intervento: è utile
un’organizzazione che permetta immediatamente più ripetizioni per arrivare all’esecuzione più
corretta possibile; dopo aver fornito una serie di feedback è bene non cambiare immediatamente
attività per dare tempo all’allievo di far sue le informazioni di ritorno e utilizzarle proficuamente.

Modello di operazioni di intervento (da M.Piéron)

INTERVENTO

VERBALE NON VERBALE


rinforzo o informazione aiuto manuale o proposta di
(incoraggiamento) altro esercizio

Conduzione della classe


Nella conduzione della classe bisogna aver ben presenti questi tre punti, facilmente intuibili: cercare
di utilizzare al meglio il tempo a disposizione; creare un clima positivo anche mediante rinforzi
positivi; stabilire regole chiare di comportamento.
Per utilizzare bene il tempo a disposizione e per non abbassare troppo il tempo di impegno motorio,
è necessario evitare:
attese in fila, spostamenti lunghi e laboriosi di attrezzi, partite e giochi in cui possano partecipare
pochi allievi alla volta, gare ad eliminazione, lavori di gruppo in cui non si è coinvolti o
controllati,etc.;
è necessario :
attirare l’attenzione degli allievi e mantenerla;
essere tempestivi nel cambiare attività quando c’è noia;
controllare regolarmente il livello di partecipazione ossia la percentuale degli allievi impegnati nelle
attività proposte;
stimolare l’attività con feedback che riguardino il gruppo o la classe, fissare nuovi obiettivi.
Per instaurare un clima positivo è opportuno:
incoraggiare e, se è il caso, lodare gli allievi con interventi di approvazione (con misura, anche solo
con l’atteggiamento); lodare in modo semplice e diretto (“bene”, “benissimo”, “stai migliorando”,
etc.) anche utilizzando,se è il caso, frasi complete, dirette e personali; ricordarsi di variare gli
interventi di approvazione adottando anche interventi non verbali (cenno di approvazione con la
testa, sorriso, pollice in su, pacca sulle spalle, accenno ad un applauso,etc.); evitare la doppia
negazione (“va bene” piuttosto che “non c’è male”); esprimersi in modo discreto, garbato,
personale.
Il clima positivo si instaura anche con comportamenti individuali e collettivi appropriati e ciò si
ottiene stabilendo chiare regole di comportamento concordate tra insegnante ed allievi. Ciò
nonostante possono presentarsi problemi disciplinari in presenza dei quali l’insegnante deve saper
intervenire:
un comportamento inappropriato, se banale, va ignorato;
un comportamento inappropriato, se grave, necessita di intervento da parte dell’insegnante: se è la
prima volta che si verifica è bene intervenire in modo impersonale (“attenzione! alcuni disturbano
troppo!”); se si ripete più volte si interviene in modo personale (“tizio e caio smettetela!” oppure
“tizio e caio non spingete i compagni!”); nell’intervento bisogna evitare di porre delle domande
(“che diavolo stai facendo?”), di fare minacce, di permettersi un attacco personale all’allievo, di
prendere in giro o, peggio, di ridicolizzare o essere addirittura offensivi. Bisogna evitare altresì ogni
reazione istintiva dovuta a collera e far capire all’allievo che si disapprova non la sua persona ma il
suo comportamento negativo.
La sanzione o punizione può essere utile quando non è sufficiente l’intervento verbale di
rimprovero. Non bisogna usare un’attività fisica per punire (rappresenterebbe un messaggio
negativo nei riguardi dell’educazione fisica), ma piuttosto utilizzare la soppressione di privilegi o
l’esclusione da un’attività gradita all’allievo (il gioco al termine della lezione ad esempio).
L’espulsione dalla lezione è una soluzione estrema ed è ammissibile solo in presenza di
comportamenti eccezionalmente gravi e pericolosi. Non bisogna arrivare all’espulsione che “in ogni
caso costituisce, di fatto, una confessione di impotenza nel trovare una soluzione” (F.Pièron) e che
denuncia il fallimento del dialogo educativo indispensabile in ogni insegnamento.

Il problema della valutazione e osservazione (cenni)


Per valutazione si intende la formulazione di un giudizio in seguito ad un’attività motoria, ad una
prova o ad un determinato numero di prove. L’insegnante si trova di fronte a due tipi di valutazione:
la valutazione formativa è una valutazione che si fa “alla fine di ogni compito di apprendimento e
serve ad informare allievi ed insegnante sul grado di capacità motoria raggiunto e scoprire in cosa e
dove l’allievo trova difficoltà d’apprendimento per proporgli o fargli scoprire strategie che gli
permettono di migliorare” (da De Landsheere); la “valutazione formativa, per principio, ha carattere
privato (si tratta di una sorta di dialogo tra l’educatore e il suo allievo)”; la valutazione sommativa
invece si concretizza nell’attribuzione di un voto, “è pubblica: eventuale classificazione degli
allievi, comunicazione dei risultati ai genitori con una pagella, attribuzione di un certificato o di un
diploma…”(da Bloom).
Gli obiettivi della valutazione sono da una parte la ricerca di informazioni (valutazioni) che siano
utili al dialogo educativo, dall’altra la ricerca di informazioni utili alla selezione pura e semplice.
Gli obiettivi dell’osservazione sono per lo più rivolti al miglioramento del processo di
apprendimento nell’ambito del rapporto educativo.
Sia se si effettua una valutazione attraverso test sia se si attua l’osservazione si devono rispettare
due condizioni: test e osservazioni devono essere validi e fedeli: un test è valido se misura con
precisione quello che si pensa debba essere misurato; un test è fedele se “si ottengono gli stessi, o
quasi gli stessi risultati quando il test viene applicato agli stessi soggetti, nelle stesse condizioni”
(M.Piéron)..
Due sono gli approcci di utilizzazione dei test: l’approccio normativo e l’approccio per criteri.
L’approccio normativo consiste nel confrontare i risultati del soggetto con dati ufficiali,batterie di
test, per vedere, ad esempio, mediante prove standardizzate, se il soggetto è più o meno dotato di
qualità fisiche; quello per criteri, invece, serve a verificare le acquisizioni di un allievo o di un
gruppo di allievi mediante misurazioni e/o osservazioni costruite in funzione degli obiettivi
dell’insegnamento e delle caratteristiche degli allievi. E’ chiaro che il primo è adatto a operazioni di
selezione nel settore sportivo, il secondo risulta più utile nell’insegnamento dell’educazione fisica
nell’ambito scolastico.
Guida pratica che permette di verificare la validità dei propri criteri di valutazione tramite
osservazione (da Maccario):
1. Per che cosa verrà utilizzato il risultato dell’osservazione? - pronostico? - classifica? –
certificazione? – rimedio?
2. Quale è l’obiettivo della valutazione? – un giudizio (quali sono i miei valori?) –un voto
(quale è la mia scala di giudizio?) – un bilancio (quali criteri? quale tolleranza delle
deviazioni?) – una interpretazione (quali sono le cause? Quali i rimedi?)
3. C’è coerenza tra oggetto della valutazione e oggetto dell’apprendimento?
4. La prestazione è complessa: quali sono le capacità dominanti alle quali miro?
5. Lo strumento della valutazione è –oggettivo? – fedele? – valido (in rapporto agli obiettivi?)
6. Sono precisate le condizioni del compito sulle quali si basa la valutazione? Non introducono
elementi di disturbo?
7. I miei allievi capiscono il mio linguaggio e le mie intenzioni?
8. Conosco quali sono i miei principali atteggiamenti come valutatore?
9. Se pensassi ad associare i miei allievi alla valutazione?
10. Dopo la valutazione, sono pronto a cambiare la mia strategia educativa?

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