Siamo arrivati al versetto 9,50 del vangelo di Marco, “Buona cosa è il sale, ma se il sale diventa insipido,
con che cosa gli darete sapore? Abbiate sale in voi stessi e siate in pace gli uni con gli altri” al proposito
del sale quando diventa insipido eccetera… il sale non perde mai completamente il suo sapore, ma può
diventare talmente contaminato di tutto e che poi è difficile riconoscere il sapore.
Comunque il sale è inteso come condimento e conservante, ci potrebbe quindi essere un riferimento ai
discepoli di Gesù, come sale della terra come il riferimento del Vangelo di Matteo 5,13: distributore di
sapienza spirituale. “Voi siete il sale della terra, ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà
salato? A nulla altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente.”
A differenza poi di Matteo e Luca (14,34-35: “Buona cosa è il sale, ma se anche il sale perde il sapore con
che cosa verrà salato? Non serve né per la terra né per il concime e così lo buttano via. Chi ha orecchi per
ascoltare, ascolti - e il brano termina con - “abbiate sale in voi stessi e siate in pace gli uni con gli altri”.
Altri riferimenti al sale si trovano nel concludere alleanze e nelle offerte dei sacrifici come si vede in (Lv
2,13) “Nella tua oblazione non lascerai mancare il sale dell’alleanza del tuo Dio; sopra ogni tua offerta
porrai del sale”, lo stesso in Nm18,19 e 2 Cr 13,5.
In conclusione si esortano i discepoli a conservare la pace e soprattutto l’ospitalità.
Detto questo abbiamo concluso con il capitolo 9 ed entriamo nel capitolo 10, che parla del
matrimonio e del divorzio. Il titolo che qui avete è “l’indissolubilità del matrimonio”. C’è un dato
interessante nel testo, in modo particolare (Mc 10,1-12) e adesso diamo una lettura al quanto letterale del
testo che abbiamo, che è un po’ diverso rispetto a quello della CEI che poi vedremo:
“E levatosi di là, - notate i tempi che sono tipici di Marco - viene nel territorio della Giudea e al di là del
fiume Giordano”.
Qui usa il presente vedremo perché. C'è un problema riguardo al manoscritto, non si sa qual è la variante se
viene nel territorio della Giudea oppure va al di là del Giordano.
“e delle folle di nuovo - notate la caratteristica dell'avverbio “di nuovo” - si riuniscono presso di lui e, come
era solito, di nuovo insegnava loro.”
Ora però Marco non ci riporta nessun insegnamento, ma adesso inizia una disputa: “e avvicinatisi dei
farisei, gli domandavano se è lecito a marito ripudiare la moglie, mettendolo alla prova.”
Leggiamo subito l'introduzione di Matteo per fare un piccolo confronto sinottico già all'inizio: “e avvenne
che quando Gesù ebbe detto queste parole partì dalla Galilea e venne nel territorio della Giudea, al di là
del Giordano”, vedete come già all'introduzione potremmo dire che è meno ingarbugliata rispetto a quella di
Marco.
“E lo seguirono grandi folle e là li guarì”, questi pochi versetti che servono di introduzione al nostro brano,
ci presentano un po' la situazione come sempre capita in un contesto narrativo con alcuni adattamenti
possiamo dire che Matteo ha un po' lavorato meglio per cui sempre effettivamente è più scorrevole.
Come dicevamo prima, vedete i verbi che nella traduzione CEI non avete, invece in questo modo… se
adesso andiamo a prendere la traduzione CEI notate: “partito di là venne nella regione della Giudea e al di
là del fiume Giordano” notate che la traduzione è stata un po' sistemata e anche dal punto di vista della
traduzione letterale, quel verbo “viene nella regione” è questo che troviamo qui, il verbo “erkemai”, dal
verbo “erkomai” si trova circa 632 volte nel Nuovo Testamento. Questo verbo qui è detto al presente, ora ne
abbiamo diversi di presenti in Marco, lui è tipico nell’utilizzare il presente nella sua costruzione, nella sua
narrazione perché diciamo, si tratta di un presente storico e i verbi al presente hanno ovviamente un
significato che è passato, però il tempo presente serve a rendere il racconto più immediato, più affascinante,
ed è il tempo che veniva utilizzato per esempio per il cantastorie, in modo tale che chi ascolta è
maggiormente coinvolto in quello che si dice.
Ora c'è un problema come dicevo prima nel testo di Marco riguardante la geografia del viaggio di Gesù. Noi
abbiamo nei testi critici, cioè quei testi in greco che riportano il testo in greco attendibile e poi in calce
portano le varianti, cioè praticamente quello che vari manoscritti ci dicono. In questo caso ci sono tre
varianti di manoscritti:
- una variante dice “nella regione della Giudea E al di là del Giordano” come praticamente abbiamo
tradotto noi,
- “nella regione della Giudea, al di là del Giordano” togliendo quella e,
- l'altra variante “nella regione della Giudea attraverso i Giordano”.
Vedete, voi avete quella traduzione nella CEI, perché la prima lettura è quella che generalmente viene
accettata dai critici testuali e dai commentatori, anche se ci si potrebbe aspettare un ordine diverso quale:
“al di là del Giordano e nella regione della Giudea”, cioè altre parole che cosa vogliamo dire con questo?
Gesù probabilmente volendo evitare la Samaria sembra che fosse diretto verso la Giudea passando per la
Perea, ad est del Giordano per poi attraversare di nuovo il Giordano e andare nella Giudea.
Diciamo che Marco frequentemente nella geografia non è molto preciso e questo lo si può spiegare perchè
Marco sicuramente non è uno che conosce bene la geografia, forse è meglio Giovanni che conosce meglio la
geografia e in parte anche Matteo, ma questo non ci interessa al momento.
Vedete, la folla è accorsa di nuovo e di nuovo Gesù si insegnava loro, mentre in Galilea Gesù si è
concentrato sull’ istruzione dei sui discepoli e dal capitolo 9 versetti 30-50 nella Giudea riprende di nuovo il
suo insegnamento pubblico, ora questo fatto è messo in risalto dalla ripetizione dell'avverbio “palin”.
Abbiamo l’avverbio “palin”, che compare diverse volte nel vangelo di Marco per fare un po' riferimento
all’abitudine di insegnare da parte di Gesù.
Poi anche un altro aspetto importante: è l’unica volta che Marco utilizza questo termine “okloi”, troviamo
“okos” che è il singolare, è usato 175 volte completamente nel Nuovo Testamento. e questa è praticamente
l'introduzione che fa Marco e poi vedremo l'introduzione che fa Matteo.
Andiamo avanti con il versetto numero con il versetto 2 di Marco: alcuni farisei si avvicinarono per metterlo
alla prova, dal punto di vista letterale in realtà noi dovremmo avere “e avvicinati i farisei gli domandavano
se è lecito a un marito ripudiare la moglie, mettendo alla prova”. Notiamo questo che molti manoscritti non
contengono questa frase e probabilmente questo testo, questa frase, deve essere dovuta ad una
armonizzazione con Mt 19,3 se vedete il testo è più o meno uguale.
Gesù adesso si trova in Giudea, sappiamo bene che nel Vangelo di Marco, il fatto che Gesù si trova spesso
in Giudea, sovente anche degli altri testi evangelici affronta dei dibattiti con diversi gruppi giudaici, ad
esempio prendete Marco 11,17-12,44.
Ora la questione dei motivi riguardanti il divorzio, era oggetto di controversie tra i saggi farisaici. Abbiamo
il verbo “apolyo” che significa “lasciare, mandare via” e molto spesso viene utilizzato come termine tecnico
per dire il divorzio; è usato in Mt 18,27, mandare via è il significato di questo verbo.
Abbiamo come traduzione il verbo ripudiare, però questa traduzione non coglie a pieno l’idea di cosa
capitava alla donna quando il marito decideva di ripudiarla oppure quando decideva di mandare via da casa.
In base alla lettura di Dt 24,1-14, i farisei sapevano molto bene che era lecito a un uomo ripudiare la propria
moglie, e allora si ha l'impressione che gli avversari di Gesù sapessero già in partenza che la sua opinione su
questo argomento era contraria all'opinione comuni e a Dt 24, 1-4 e allora la domanda a Gesù aveva lo scopo
di dimostrare al grosso pubblico la sua mancanza di ortodossia, non era un Giudeo autentico; in questo senso
possiamo dire che lo stavano mettendo alla prova, il verbo con cui si indica per metterlo alla prova è questo
participio “peirazo” che vuol dire effettivamente metterlo alla prova; però secondo uno schema classico, che
cosa succede Gesù risponde con una nuova domanda, ricorrendo alla parola della torah.
Ora, uno potrebbe dire che ad una domanda non devi rispondere con un’altra domanda, ma era tipica della
tradizione rabbinica avere questo colloquio delle diatribe ponendo un ulteriore domanda. Quindi vedete che
cosa dice qui Gesù: “che cosa vi ha comandato Mosè?”.
In realtà, Mosè non dice niente riguardo al divorzio, piuttosto in Dt 24,1-4, l'unico passo, l'unico brano di
tutta la torah che parla del divorzio, la possibilità del divorzio data per scontata, ciò di cui si occupa il
Deuteronomio è il caso di un uomo che ripudia la propria moglie e vuole sposarla di nuovo dopo che la
donna è stata sposata e ripudiata da un altro uomo o è rimasta vedova.
Dt.24,1 non affronta direttamente il problema del divorzio ma la questione è alquanto più ingarbugliata fa
riferimento al ripudio, che era qualcosa che era dato già per scontato, però il libro del Deuteronomio affronta
il discorso di uno che aveva la moglie ripudiata poi la vuole risposare dopo che questa è stata stravolta
ancora ripudiata dal marito, l'uomo che se l'è preso o se questa rimane vedova. Nella Torah, in altri passi
della Bibbia, almeno da quello che sappiamo, il ripudio è una prerogativa del marito.
Mosè ha permesso, vedete, usando il termine “ordinato” al versetto 3, Gesù ha messo i suoi avversari sul
versante della difensiva e li ha costretti ad usare il termine più appropriato, non più “ha ordinato” ma “ha
permesso”, la loro ammissione che Mosè si è limitato a permettere il divorzio lascia aperta la questione
dell’ordinare e prepara il campo per l'affermazione di Gesù che Mosè lo ha fatto solo per la durezza del
popolo e adesso, vedremo qual è il significato di questa durezza.
Siamo di fronte ad un atto di ripudio secondo Dt 24, 1-3 il marito lasciava un documento scritto in cui
dichiarava che aveva ripudiato, mandato via di casa la propria moglie, addirittura a sostare trovati alcuni
libelli di ripudio del Mar morto a Murabat, il testo si diceva “ “io divorzio e ripudio di mia spontanea
volontà; io Giuseppe figlio di Nasan, te mia moglie, di modo che tu sei libera di andare e diventare moglie
di qualsiasi uomo giudeo che ti scelga…”. Il possesso di questa specie di certificato, dava alla donna la
prova legale che il matrimonio contratto era finito e quindi gli dava la possibilità di sposare un altro uomo,
quindi in questo senso il documento offriva alla donna una protezione legale contro eventuali rivendicazioni
del suo precedente marito e la possibilità di cominciare una nuova vita.
Avete capito come stavano le cose, abbastanza diciamo ingarbugliate, no? Si potrebbe paragonare a un
certificato di divorzio attuale, era paradossalmente una forma di tutela che veniva data per la donna. Però
adesso vedete che cosa è utilizzata nella risposta di Gesù, disse loro: “per la durezza del vostro cuore ha
scritto per voi questo comandamento”. Allora, il versetto 5 “sklerokardia” questo termine che vi prego di
annotare, si trova complessivamente tre volte in tutto il Nuovo Testamento e questo termine lo troviamo qui
in Marco in modo particolare ed ha un significato veramente forte, significa duro il cuore. Si usa pochissime
volte nel Nuovo Testamento lo troviamo qui, in Mt 19,8 lo troviamo in Mc 10,5 e in Mc 16,14, in questo
ultimo brano è nel contesto della resurrezione, quando i discepoli non credono ancora che Gesù è risorto, e
gli si dice che hanno “il cuore duro”: “Alla fine apparve anche agli undici, mentre erano a tavola, e li
rimproverò per la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano creduto a quelli che lo avevano
visto risorto.” Siete proprio “sclerocardici”, dovremo tradurre in italiano. Il termine è raro nel Nuovo
Testamento e proprio la durezza del cuore è uno dei grandi temi biblici, perché vedete nell’Antico
Testamento, nella tradizione profetica si riferisce al rapporto del popolo con Dio. Infatti, vedete, la durezza
del cuore, dato che nell’antropologia biblica il cuore è la sede della comprensione e del giudizio, nonché il
centro delle emozioni, la durezza del cuore proprio come espresso qui in termini così perentori, comporta la
totale chiusura della mente e delle emozioni nei confronti della verità. Ed è dura questa questa parola sulla
bocca di Gesù nei confronti dei Giudei, e poi lo dirà anche nei confronti dei discepoli in appunto in Mc
16,14.
Ora vedete, nei primi capitoli dell’Esodo nel AT, il faraone è presentato come esempio della durezza di
cuore. Nel Salmo 95,8 il popolo di Israele è esortato a non seguire il pessimo esempio dei loro antenati nel
deserto quando si dice “Non indurite il cuore come a Merìba, come nel giorno di Massa nel deserto”. Ora,
Gesù anche nella sinagoga, accusa i suoi avversare per la loro durezza del cuore, però usa un altro termine in
quel contesto in modo particolare in Mc 3,5, usa il termine “Porosis” che significa essere “cieco nel cuore”
come anche l'incapacità del pubblico di capire le parabole e spiegato in termini di cecità del cuore
sull'esempio della profezia di Isaia 6,9-10.
Ora, nel contesto del dibattito riguardo al matrimonio, al divorzio in Mc 10, 1- 12, Gesù interpreta Dt 24, 1-
4 nel senso di una concessione temporanea fatta da Dio alla debolezza spirituale del popolo.
Siamo al verso 6 tra parentesi, vedete, il comandamento abbiamo il termine “entole” questo termine che
appunto è un’ingiunzione, un concetto, una legge, un ordine, viene utilizzato questo termine 67 volte in tutto
il Nuovo Testamento e Marco lo utilizza una sola volta proprio qui nel nostro contesto 10,5.
(Il motivo per cui si dicono le volte in cui le parole sono ripetute, è per capire quali sono gli
argomenti ed il vocabolario tipico di ciascun evangelista e della loro tradizione. Utilizzando un
termine, molte volte si costruisce anche una teologia, c'è un significato particolare che l'autore mette
a quel termine oppure altre volte dietro lo stesso termine ci possono essere altre sfaccettature, quindi
bisogna capire bene il contesto. Se poi il termine per esempio è utilizzato nell’Antico Testamento, ci
indica che probabilmente c'è dietro una tradizione biblica che deve essere compresa. Ecco che
diciamo, lo studio delle ricorrenze ci fa capire se da un punto di vista statistico questo è un termine
proprio di chi scrive Marco, Giovanni, Paolo… oppure no. Per esempio un esempio
interessantissimo, prendiamo le lettere di Paolo, Voi avete già saputo che nella introduzione generale
e ci sono delle lettere chiamate protopaoline e deuteropaoline, se noi andiamo a fare delle indagini
statistiche sul vocabolario di Paolo, notiamo che nelle lettere protopaoline compaiono determinati
termini, poi stranamente nelle lettere deuteropaoline ci sono dei termini che non compaiono mai nelle
lettere protopaoline, che vuol dire? Che probabilmente chi ha redatto quel testo non è solo Paolo, ma
può darsi che è stato aiutato è un testo che è stato scritto successivamente.)
Quindi abbiamo questo termine come dicevo prima entole, qui abbiamo adesso due citazioni della scrittura
dell'Antico Testamento in modo particolare Gen 1,27 e 2,24. Praticamente abbiamo l'unione di due versi che
si trovano in due contesti completamente diversi, siamo in presenza di due racconti di creazione perché
vengono utilizzati questi due brani, questo modo tipico di utilizzare la Scrittura per confermare una volontà
da parte di Dio, ora questi due testi di Genesi sono 1,7 e 2,24 sono considerate espressione della volontà
originaria di Dio per tutta l'umanità, prima della caduta cioè prima di Genesi 3; l'idea è che questi testi
annullano o hanno la meglio sulla concessione fatta da Mosè in Dt 24, 1-4. Il fondamento di questa idea
qual è? È il concetto di “nuova creazione” inaugurata con il ministero di Gesù, cioè adesso può essere
messo in pratica il piano originale di Dio per l'umanità delineato in Gen 1 e Gen 2.
Praticamente per ragionare al modo di Paolo, una volta che c'è stata la giustificazione, ecco sono nate cose
nuove, l'uomo è una creatura nuova e allora ecco che si può riproporre il piano originale di Dio.
È improbabile che all'inizio della creazione, come dice il testo il termine arche notate tra parentesi abbiamo
in greco il termine arche che troveremo anche in Giovanni e praticamente traduce l'ebraico bereshit, quante
volte ricorre il termine en arche notate 55 volte, può significare un'estremità, il primo posto, Giovanni per
esempio, lo usa all'inizio di tutto; come anche nella lettera agli Ebrei 1,10, significa “il primo”; quindi il
significato di en arche dipende da come lo si utilizza. Nel nostro testo l’archè che vedete fa riferimento
proprio a questo piano originario di Dio, cioè praticamente si riferisce ai primi capitoli della Gen, tant’è che
poi segue la citazione di Gen 1,27 nella formulazione così che noi abbiamo qui, corrisponde perfettamente
alla traduzione della LXX e quindi, Marco, come testo base per utilizzare questa citazione, la riprende dalla
LXX, quindi, il testo descrive la creazione da parte di Dio dell’umanità, nel sesto giorno, secondo la
versione della tradizione Sacerdotale; ora il fatto che Dio abbia creato il genere umano maschio e femmina
costituisce per Gesù il presupposto per il suo insegnamento positivo secondo la coppia sposata, costituisce
una sola carne. Infatti, anche nei versetti 7,8 come continua il nostro testo: “per questo l'uomo lascerà suo
padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne, così che non sono più due
ma una sola carne”, anche qui abbiamo la citazione di 2,24, che corrisponde esattamente alla traduzione
della LXX. Abbiamo poi, per inciso iniziale e centrale, dove si dice “e si unirà a sua moglie”, questo
versetto qui manca in molti manoscritti, come mai? Ci sono varie spiegazione, la sua assenza viene spiegata
come un errore da parte di una copista, qui abbiamo qui un “e” poi un altro “e” per cui avrebbe saltato
alcune parole, sapete nell'attività del copista, perché sicuramente lo sapete, noi non abbiamo nessun testo
originale, il testo più antico che abbiamo è un piccolo francobollo del vangelo di Marco e poi il manoscritto
più antico che risale all’inizio del II secolo è un brano del Vangelo di Giovanni che corrisponde
perfettamente ai nostri manoscritti; di questi testi qua noi non abbiamo testi originale, che si sono persi.
Naturalmente tenete conto che quando c’è la trasmissione dei testi, chi li trasmetteva sapeva che non poteva
tradire quello che è stato scritto nella tradizione e poi dopo c'era un criterio importantissimo, cioè la fedeltà a
ciò che era stato tramandato, facendo attenzione che non ci fossero deviazioni dottrinali.
Come si scriveva? Molte volte per fare più copie, soprattutto nel medioevo, c’era uno che dettava e gli altri
che scrivevano (tipo “Il nome della rosa”).
Naturalmente, non esisteva la possibilità di un controllo con il computer, molte volte uno poteva avere
l’occhio che non vede bene o l’orecchio che non sente bene e quindi ci sono degli errori, infatti noi degli
errori in alcuni manoscritti li troviamo (es. al posto della parola serra, la parola sera, oppure rosa, rossa),
oppure siccome uno che sta scrivendo si ricorda un brano parallelo, invece che scrivere quello che viene
dettato scrivi un'altra cosa. Vedete, ci sono molte volte dei manoscritti e questa è anche il lavoro che fa la
critica testuale (il cardinal Martini, buon’anima ha passato tutta la sua vita a studiare la critica testuale), è di
trovare quelli che sono detti errori consci e inconsci. Gli errori consci sono quelli dovuti al difetto uditivo o
al difetto visivo di colui che sta scrivendo, è normale non ci stavano i computer e poi anche alcune volte era
un difetto volontario, nel senso che volontariamente uno apportata un piccolo cambiamento, naturalmente
non abbiamo poi una moltitudine di i manoscritti avendo una moltitudine di manoscritti ecco allora che si fa
il confronto. Attraverso questo confronto si vede da dove provengono, dove non provengono, se da est o da
ovest, e si cerca la tradizione più autentica.
Ora, come dicevo prima può essere abbiamo l'assenza di questa parte del versetto 8, oppure diciamo
probabilmente è dovuto al fatto che un copista si ricordava bene Genesi 2,24 e quindi l'ha voluto portare per
intero; quindi il nostro brano di Genesi 2,24-25 ricorda che è stato creato prima l’uomo e poi la donna
formata della costola. Nel contesto della disputa di Marco, il matrimonio tra un uomo e una donna
rappresenta una specie di riunificazione tanto è vero che nel versetto 8 si dice “non sono più due ma una
sola carne”, cioè la frase sintetizza idea espressa dalla combinazione di Genesi 1, 27 e 2,24 e presenta
l'ideale positivo del matrimonio proposto da Gesù, quindi, propone un ideale positivo.
Poi si dice, vedete, nel versetto 9 “dunque l'uomo non divida quello che Dio ha congiunto”; ora dato che,
secondo Dt 24, 1-4 è solo il marito che può prendere l'iniziativa di procedere al divorzio, qui l’uomo deve
essere il marito, anziché una gente estraneo come sarebbe un giudice.
Diciamo che, nell'ottica del vangelo di Marco, Gesù, abolisce del tutto l'istituzione del divorzio proibendo al
marito di dar corso alla pratica, questo è un po' il significato del nostro testo. “Quello che Dio ha congiunto”
troviamo questo verbo che sarà un po' difficilotto, questo verbo “syzeugnymi”, si trova soltanto due volte:
una volta in Matteo e una volta Marco. È composto del verbo Siun “con, unire”, significa praticamente,
letteralmente “unito insieme”, e “zeugos” è il giogo che tiene due animali insieme quando trasportano
l'aratro uno accanto all’altro, c'è questo giogo che praticamente li fa andare avanti insieme e quindi così
come si procede uniti, è questo il riferimento che è fatto alla coppia; secondo la logica di Marco 10,6-9, la
volontà originaria di Dio l’uomo e la donna è che costituissero una sola carne.
Nel versetto 10 abbiamo un cambiamento di scena, all'improvviso: “a casa, di nuovo i discepoli lo
interrogavano su questo argomento”, cioè sembra che a un certo punto tutto va in altra direzione. Non è
chiaro dov'è la casa si trovi, a chi appartenga questa casa, tenuto conto che adesso Gesù e i discepoli, si
trovavano in Giudea, un contro è che si trovavano in Galilea e sappiamo appunto che i discepoli sono tutti
galilei e quindi hanno i loro appoggi, mentre in Giudea non lo sappiamo… probabilmente qui si fa
riferimento alle istruzioni che Gesù da sempre ai suoi e li dà stando in casa, che diventa il luogo per poter
istruire i suoi.
Lo interrogavano di nuovo su questo argomento, è interessante questo versetto 11 e i versetti che seguono
che sono alquanto interessanti: “chi ripudia la propria moglie di sposa un'altra commette adulterio riguardo
a lei e se lei ripudiato il marito ha sposato un altro commettono adulterio”, cioè praticamente, qui sembra
che sia una prerogativa sia del marito che della moglie, cosa che non era assolutamente permessa; adesso
vediamo come sta la situazione: questa concisa esposizione dell'insegnamento di Gesù in materia di divorzio
e seconde nozze, vedete, è simile un po' alle istruzioni che Paolo dà nella prima lettera ai Corinzi 7,10- 11:
“il marito non ripudi la moglie”. E poi notiamo che nella Fonte Q, cioè questo versetto 9, lo abbiamo sia in
Luca ma in un altro contesto, al capitolo 16,18 dove vedete viene affrontato non direttamente il divorzio ma
viene affrontato il tema del divorzio e del celibato, sul significato del celibato e quello del matrimonio, dove
viene data pari dignità ad entrambe le scelte: “chiunque ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra
commette adulterio, chi sposa una donna ripudiata dal marito commette adulterio”. Quindi abbiamo la
versione Lucana, quella di Marco e poi quella di Matteo che vedremo domani.
Quindi, notate l'ultima frase Marco 10,11, ci presenta l'idea che anche la moglie può essere in qualche modo
vittima dell'adulterio del marito, cioè vedete, nella società patriarcale dei tempi di Gesù in cui la moglie è
considerata una proprietà del marito, per cui l’adulterio era principalmente un'offesa contro il marito; quindi,
l’espressione “verso di lei”, è interessante, introduce la nota di una certa uguaglianza tra marito e moglie.
Anche se non è chiaro se poi si riferisca alla prima o alla seconda moglie.
Il versetto 12 è interessante, vedete se la donna ripudiato il marito ne sposa un altro, commette adulterio;
questa frase generalmente è considerata un'aggiunta all'insegnamento di Gesù allo scopo di tener conto della
prassi legale romana, secondo cui anche la donna poteva chiedere il divorzio, questa è una di quelle
attestazioni per cui si dice che il Vangelo secondo Marco è stato scritto per una tradizione latina,
probabilmente è stato scritto a Roma; per cui l’uguaglianza introdotto nel versetto 11, si capisce allora che
anche la donna nella tradizione romana, aveva questo diritto, ovviamente non ogni donna, ma quella che
contava.
Per capire quella che era la legge romana, basta andare a prenderla e 1 Cor 7,10-11: Corinto era una colonia
romana e a proposito di questa situazione Paolo dice “la moglie non si separa dal marito” che vuol dire che
c'era nel mondo romano anche la possibilità che la moglie si potesse separare dal marito.
Le clausole invece ce l'abbiamo in Mt 5,32; 19,9 “eccetto il caso di unione illegittima”, sono considerate
adattamenti dell’insegnamento di Gesù in materia di divorzio, alle leggi e ai costumi giudaici, del resto non
poteva che farlo Matteo che così come Marco riporta la tradizione giudaica.
Citando Dt 24, Gesù non giustifica il divorzio, anzi sottolinea che quella è stata una disposizione
momentanea che è stata presa, che non è nemmeno un comandamento ma un’indicazione, però dopo
approfondendo il discorso con i discepoli, si chiarisce ulteriormente come stanno le cose nel senso
che ribadisce il concetto iniziale, noi dobbiamo tener conto di quella che era la situazione del
dibattito, la discussione in ambito giudaico e poi successivamente di quello che è l’ulteriore
insegnamento che Gesù fa con i discepoli.
Quindi nel contesto del racconto del viaggio di Gesù verso Gerusalemme Mc 10,1-12 ci presenta
l'insegnamento di Gesù in materia di matrimonio e divorzio, innanzitutto viene presentato un ideale positivo,
cioè che marito e moglie diventino una sola carne e poi l’attuazione di questo ideale vuol dire niente
divorzio. La parte principale di questo brano, presenta come abbiamo visto una controversia, nella quale i
farisei cercano di mettere Gesù in confronto con ciò che considerano un chiaro insegnamento delle scritture;
per cui dopo aver impostato la scena con Gesù in Giudea, Marco presente i farisei che pongono la domanda
tranello a Gesù: “è lecito ad un uomo ripudiare la propria moglie?”, quando Gesù chiede loro cosa dice
Mosè in proposito, essi citano Dt 24,1-4, in questo modo Gesù smaschera la loro ostilità, perché essi
mostrano di sapere già quale sia la risposta biblica alla loro domanda, l’implicazione e che essi vogliono
soltanto che Gesù dichiari la sua opinione eterodossa sull'argomento; nel resto della controversia, Gesù
presenta punto di vista in materia di matrimonio e divorzio, abbiamo visto che ha liquidato il testo di
Deuteronomio come una concessione alla debolezza umana; Gesù in 10,6-8 richiama questi due testi della
Genesi che esprimono il piano originale di Dio per l'uomo e per la donna, quindi da questo ideale Gesù trae
la conclusione che l’uomo non divida ciò che Dio ha congiunto. Quindi, la controversia pubblica è seguita
dall'istruzione privata in cui Gesù ribadisce la sua condanna e ripudio e l'applica sia all’uomo sia alla donna,
cioè li mette su uno stesso piano di parità.
Ora, vedete, la discussione che si trova sul divorzio al capitolo 10 di Marco, è certamente di attualità, però
certamente Mc 10,1-12 non costituisce l’unico brano del NT sul tema, la dottrina morale cristiana è fondata
in modo più ampio, non si basa solo su questo episodio del Vangelo; però colpisce la radicalità del discorso
di Gesù, soprattutto a livello di mente e infatti, vedete, soprattutto davanti al contrasto tra norme differenti
contenute entrambe nella torah, ritiene che si debba seguire quella più originaria, cioè quella di Genesi che è
allo stesso tempo quella più rigorosa; cioè non fissa l'attenzione sulle concessioni, ma sulla prescrizione la
cui autorità non dipende soltanto da ciò che l’uomo può dire ma dalla piena corrispondenza di quello che è il
progetto di Dio sull’uomo.
Si potrebbe anche osservare vedete che i brani di Genesi, che cita Gesù si riferiscono entrambi a prima della
caduta del peccato, Gen 3 influisce sulla vita della prima coppia: ciò che se chiede non è solo un
adeguamento alla norma più antica ma un vero e proprio ritorno all'origine della visione di Dio sull’uomo
ciò probabilmente presuppone la possibilità che Gesù possa riportare l'uomo a quello che è lo stato
originario, o che almeno Gesù annuncia la volontà di Dio di portare l'uomo in quella condizione.
E proprio la pregnanza del richiamo alle origini, come vi dicevo prima, compare in quei vocaboli che Marco
utilizza inizio (archè), questa parola che nel Vangelo di Marco compare all’inizio quando dice “inizio del
Vangelo di Gesù…” e poi compare qui, e non compare per niente in tutto il resto del Vangelo. Poi un altro
aspetto importante, abbiamo visto la creazione, il termine creazione ectisis, lo utilizza qui per la prima volta
e tornerà sempre in 13,19. Ora è chiaro che qui Gesù si sta riferendo un tempo originario senza dimenticare
appunto il riferimento a Dio e che implicito il concetto biblico di creazione, come del resto citando il libro
della Genesi, però vedete, qui si tratta di un compimento non contro la legge ma si tratta di compiere fino in
fondo la volontà di Dio senza servirsi della legge per fare ciò che Dio non vuole. Gesù, non ha opposto alla
Torah una propria norma giuridica, Gesù contrappone al regime del peccato, di cui la torah è un rimedio
divinamente autorizzato, la logica del regno, che conduce a una piena realizzazione del piano di Dio.
E si deve qui vedere anche un’interessante situazione per valutare la complessa dinamica dei rapporti tra
antico e nuovo testamento.
Poi diciamo, qui le parole di Gesù come le presenta Marco rappresentano un esempio di come Gesù si pone
davanti alla legge giudaica, come interpreta la Scrittura, cioè fornisce una lettura esemplare di come ci si
collega alla Scrittura; quindi il discorso non è semplicemente il divorzio perché c'è una questione particolare,
ma si trattenete di ritornare al progetto originario di Dio.
Poi vedremo domani qual è la tradizione matteana e notate anche un altro aspetto che era interessante,
vedete l’insegnamento radicale di Gesù in materia di matrimonio e di divorzio, deve essere anche visto nel
contesto del mondo palestinese, di quello greco romano, cioè il mondo dei tempi di Gesù era di una società
marcatamente patriarcale, molti matrimoni nel passato erano concordati, tutta questa tradizione è rimasta ad
esempio nel mondo orientale, vedete nel mondo musulmano ad esempio.
Molti matrimoni erano concordati, venivano stipulati tra il padre della sposa ed il futuro marito; il
matrimonio era considerato soprattutto come un contratto tra il marito e il padre della sposa; concluso il
contratto i fidanzati potevano conoscersi a vicenda, sempre sotto stretta sorveglianza e solo dopo un anno si
potevano sposare.
La cerimonia delle nozze quindi comportava la firma dei documenti richiesti e l’introduzione della sposa
nella casa della famiglia dello sposo; così si descrive che le lampade sono accese perché la sposa è stata
portata dallo sposo…
Poi immaginate che nel contesto del giudaismo palestinese del primo secolo, l’insegnamento di Gesù sul
matrimonio è radicale, mentre la poligamia era diventata più rara e ristretta alle classi superiori, come le
famiglie erodiane, il divorzio era diffuso e quindi sulla base del caso previsto in Dt 24,1-4, il marito poteva
ripudiare la moglie, qualora avesse trovato lei qualcosa di vergognoso o sconveniente e la procedura
prevedeva che il marito consegnasse alla moglie il certificato di divorzio e la mandasse via da casa; fare il
certificato, come dicevo prima, era una protezione per la donna nel senso che la metteva a riparo da
eventuali future rivendicazioni da parte dell’ex marito, ora non andiamo a questionare se glielo dava, non
glielo dava ecc… comunque, a prescindere, questa era un po’ la situazione per quanto riguarda il
matrimonio; bisogna senz'altro tener conto di questa situazione e Gesù qui propone un ideale positivo di un
matrimonio che rientra nel progetto originario di Dio. Vedete, in una società in cui il divorzio era
comunemente accettato, e le controversie erano solo sui motivi per i quali poteva essere concesso,
l’atteggiamento di Gesù che non ammetteva il divorzio per nessun motivo, andava contro il costume e
l’impostazione culturale.
I primi cristiani hanno cercato di seguire questa situazione, poi però sorgeva il problema per esempio di quei
cristiani che si convertivano e quindi avevano grossi problemi magari con la tradizione precedente, ma
questa è un’altra questione. Ora, naturalmente qui è abbastanza complesso il nostro testo, come dicevo prima
per quanto riguarda l’insegnamento dell’indissolubilità del matrimonio, non si fa riferimento solo a questo
testo, ma la situazione è ben più articolata.
Indubbiamente bisogna dire che è un insegnamento positivo di Gesù e quindi, questo insegnamento, questa è
la cosa importante, deve essere inquadrato nel contesto della proclamazione di Gesù del Regno di Dio e
quindi della richiesta radicale di un impegno, cioè Gesù ha una visione nuova della creazione, in cui l’unità e
la reciprocità del matrimonio, corrispondono al piano originale di Dio e quindi possiamo dire veramente che
l’insegnamento di Gesù è tanto radicale nel primo secolo quanto lo è oggi.
L’insegnamento di Gesù va sempre controcorrente, ciò che Gesù afferma è la possibilità di un progetto.
Va bene, ci vediamo domani. Grazie e arrivederci.