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Secondo Piaget l'intelligenza è una caratteristica dell'organismo nel suo insieme. Nel corso dell'evoluzione,
gli organismi appartenenti alle varie specie, hanno sviluppato determinate caratteristiche fisiche, quali la
conformazione degli arti e alcune capacità sensoriali tramite le quali sono riusciti a soddisfare i bisogni e a
adattarsi all'ambiente. L'adattamento all'ambiente avviene anche attraverso il comportamento, che, nelle
specie più evolute, è guidato dalla intelligenza. L'intelligenza è una forma evoluta e complessa di adattamento,
attraverso cui l'uomo conosce l'ambiente e interviene attivamente su di esso per modificarlo. L'adattamento
è un processo che presuppone continui cambiamenti, perché l'esperienza pone al bambino che cresce bisogni
nuovi da soddisfare e problemi nuovi da risolvere. Per piegare queste trasformazioni, Piaget ricorre a tre
concetti importanti:
- schema: gli schemi sono delle strategie messe in atto dal soggetto per conoscere il mondo e agire su di esso.
Queste strategie possono essere azioni semplici, quali scuotere un oggetto, oppure operazioni complesse,
come il raggruppare per categorie.
- assimilazione e accomodamento: l'assimilazione è il processo attraverso cui abbiamo esperienza del mondo
esterno per mezzo di schemi e concetti già in nostro possesso. Il neonato possiede il riflesso della suzione e,
mediante Questo schema, assimila la realtà esterna e così sperimenta che le cose succhiate hanno forma,
consistenza, odore e sapore diverso. Crescendo, il bambino coordina tra loro schemi diversi, dando origine a
schemi più complessi. Ad esempio, il movimento del braccio è coordinato con lo schema della suzione, per
cui impara a portare ripetutamente il dito in bocca, realizzando un accomodamento. L'accomodamento è la
modificazione dei nostri schemi, dei nostri concetti, in base a nuove esperienze che ci forniscono nuove
informazioni, per cui lo schema o il concetto vengono modificati.
Individua quattro stadi di sviluppo a cui o a cui corrispondono forme più evolute di adattamento.
LA SOCIALIZZAZIONE
“La socializzazione si riferisce ai processi per mezzo dei quali i modelli di ciascuna società sono trasmessi da
una generazione alla successiva” (Schaffer, 1998).
SOCIALIZZAZIONE PRIMARIA
Il primo ambiente sociale che il bambino incontra è quello costituito dai suoi familiari. Genitori, fratelli, nonni
e in generale tutti i parenti più prossimi, sono le persone con cui il bambino interagirà sin dai suoi primi giorni
di vita. La famiglia è il sistema sociale in cui avviene il processo di socializzazione primaria.
Come suggerisce la Teoria dell’apprendimento sociale (Bandura, 1977), il bambino apprende il
funzionamento degli scambi sociali attraverso l’osservazione del modello proposto dai genitori ed in seguito
trasferisce le modalità apprese in contesti diversi, per relazionarsi con gli altri.
[Esperimento di Albert Bandura: Bandura radunò una settantina di bambini dai 3 ai 5 anni e li divise in tre
gruppi. Mise ogni gruppo in una stanza piena di giochi. Nella prima c’era anche un adulto che insultava e
aggrediva con un martello un pupazzo gonfiabile chiamato Bobo Doll. Nel secondo gruppo l’adulto ignorava
il pupazzo e giocava tranquillamente con le costruzioni. Nel terzo gruppo i bambini furono liberi di giocare al
gioco che preferivano, senza che l’adulto interferisse. In un secondo momento i bambini dei tre gruppi furono
lasciati soli, senza la presenza dell’adulto. I bambini del primo gruppo dimostrarono di avere comportamenti
aggressivi nei confronti di Bobo Doll e degli altri giocattoli. L’esperimento di Bandura dimostra che
l’esposizione a condotte aggressive e antisociali favorisce nel bambino la tendenza a riprodurle.]
Gli scambi sociali di cui il bambino fa esperienza all’interno della famiglia, favoriscono la sua comprensione
delle diverse tipologie di relazione. Attraverso l’interazione con l’adulto, caratterizzata da un’asimmetria
dovuta principalmente dalla dipendenza del bambino verso chi si prende cura di lui, quest’ultimo impara a
rapportarsi con l’autorità, apprende competenze comunicative, norme e regole che strutturano lo stare
insieme. Inoltre, attraverso i rapporti con i fratelli, il bambino può invece fare esperienza di relazioni più
paritarie, dotate di uno spazio più ampio di condivisione e di negoziazione.
SOCIALIZZAZIONE SECONDARIA
La socializzazione secondaria è un processo che origina da tutte quelle relazioni di cui il bambino fa
esperienza a livello extra-familiare. L’inizio di tale processo è convenzionalmente segnato dall’ingresso nella
scuola d’infanzia. Tale transizione comporta un allargamento notevole della rete relazionale in cui è inserito
il bambino. Egli incontrerà altri tipi di autorità, rappresentate per esempio da insegnanti e educatrici, e si
inserirà all’interno di un gruppo di pari che gli permetterà di creare nuovi tipi di relazioni orizzontali, tra cui
l’amicizia.
Il sistema familiare influisce anche in modo più diretto nel processo di socializzazione secondaria del bambino.
Per esempio, intervenendo sulle scelte amicali che quest’ultimo compie o offrendogli la possibilità di
partecipare a spazi sociali piuttosto che altri. A livello psicologico, le modalità relazionali interne al contesto
familiare mantengono un’influenza indiretta sulle relazioni sociali dell’individuo per tutto il corso della vita.
LA FAMIGLIA
La famiglia è un'istituzione sociale, sede degli aspetti più intimi e personali di un individuo, in questo senso,
è il luogo della vita più legato al mondo degli affetti. In famiglia, in quanto luogo degli affetti, la vita presenta
spazi di libertà sconosciuti in altre realtà sociali: in essa le persone si sentono amate, protette è al sicuro. La
famiglia costituisce anche il luogo dove la conflittualità può raggiungere. è molto elevate, come confermato
dagli abusi e dalle altre forme di violenza e prevaricazione di cui possono essere protagonisti i membri che la
compongono.
La famiglia, intesa come organizzazione primaria, ha la funzione di rendere stabile la personalità degli adulti.
L'adempimento di tale funzione richiede, alle persone che costituiscono un gruppo familiare, di svolgere dei
ruoli specifici che soddisfano bisogni reciproci. Si stabiliscono così delle relazioni interpersonali, che possono
essere soddisfacenti, ma anche conflittuali e persino patologiche.
Lo stile autorevole è caratteristico dei genitori che assumono in modo chiaro la direzione educativa dei figli,
discutono con loro le regole da applicare e sanno Ascoltare le loro esigenze. I figli di genitori autorevoli
tendono a realizzare un buon adattamento sociale, sono attivi, intraprendenti e la loro aggressività non è
ostile, ma tesa a realizzare le proprie inclinazioni.
Lo stile autoritario è caratteristico dei genitori molto Severi nell'applicare le regole, che non sono oggetto di
discussione con i figli. I figli di genitori autoritari manifestano spesso disturbi di tipo nevrotico o sintomi
psicosomatici. Sono in genere timidi e incapaci di assumere un ruolo autonomo. Nei casi più gravi possono
sviluppare forme depressive o avere problemi di adattamento che possono sfociare in comportamenti
devianti.
Lo stile indulgente e permissivo è caratteristico dei genitori che, pur essendo affettuosi con i figli, non
riescono a dirigere in modo efficace il loro comportamento. I figli di genitori indulgenti hanno difficoltà ad
assumersi delle responsabilità, tendono a sviluppare un carattere narcisista, pretendono molto dagli altri e
manifestano una scarsa tolleranza alla frustrazione.
Lo stile trascurato è indifferente è caratteristico dei genitori che, oltre a essere in efficaci nella comunicazione
con i figli, mostrano nei loro confronti un atteggiamento di rifiuto. I figli di genitori dallo stile educativo
trascurato è indifferente sono soggetti aggressivi con scarso rispetto per l'autorità e la legge. Il loro principale
interesse è quello di rivolgere la loro ostilità verso qualsiasi forma di autorità. Sono prepotenti e si ritengono
scontrarsi con le regole sociali ea ricevere dagli altri quelle frustrazioni che non hanno conosciuto in famiglia.
Le loro tendenze antisociali possono sfociare in n forme di delinquenza minorile e di devianza sociale.
La famiglia multiproblematica
Nella realtà di oggi non esiste “una famiglia” ma una varietà di “tipi di famiglia” che presentano problemi
diversi. La stessa “famiglia tipo” costituita da due coniugi e da uno o più figli, a seconda delle fasi della vita,
si presenta con diverse tipologie di organizzazione e di problemi, per cui è necessario un sostegno
differenziato. La famiglia può essere:
- Formata dalla sola coppia;
- Con bambini piccoli;
- Con adolescenti alla ricerca di identità e autonomia;
- Con figli adulti maggiorenni che continuano a permanere in famiglia;
- Formata dalla sola coppia, dopo che i figli hanno costituito nuclei autonomi;
- Costituita da una coppia non più giovane, ma con qualche grande vecchio bisognoso di cure e
assistenza;
- Prematura, perché i due coniugi sono troppo giovani;
- Adottiva, in presenza di un figlio di razza diversa;
- Costituita da un membro diversamente abile o malato;
- Costituita da coniugi che appartengono a culture e religioni diverse;
- Costituita da un bambino adottato o in affido;
- Monoparentale (un solo genitore con i figli), nella maggioranza dei casi composta dalla madre con i
figli, l’altro genitore è di solito poco presente, quasi sparito del tutto e in certi casi disturbante;
- Ricostituita, la coppia convive con i figli nati da precedenti esperienze matrimoniali concluse, ai
quali vanno ad aggiungersi in alcuni casi i figli della nuova coppia.
La vita famigliare non è sempre facile e alcune condizioni particolari in cui la famiglia si può trovare possono
aggravare le normali difficolta della vita quotidiana. Alcune di queste condizioni sono che:
- Il matrimonio attualmente si radica su una libera scelta. Tale aspetto è positivo ma può portare ad
una eccessiva idealizzazione dell’altro e a nutrire nei suoi confronti aspettative talvolta irreali. Se non
si accetta l’altro come essere umano con le sue imperfezioni e i suoi problemi la frustrazione per non
aver avuto ciò che si cercava può frantumare l’unita del nucleo;
- La coppia coniugale è sempre più sola nella costruzione della sua esperienza famigliare. Questo da
un lato permette di mettere alla prova le proprie capacità costruttive e di costruire un’intimità
essenziale e dall’altro se le persone non sono sufficientemente mature di far aumentare le
insicurezze
- Nella famiglia di oggi non vi sono ruoli separati, rigidi, predeterminati, come nel passato. I ruoli
sfumabili e intercambiabili portano la donna e l’uomo a dover ridefinire la loro posizione all’interno
della famiglia
Le famiglie marginali
Quando sussiste una realtà di marginalità sociale le relazioni familiari risultano compromesse. Si può far
riferimento:
− Alla marginalità da povertà che può manifestarsi con un rilevante divario tra le condizioni di vita e
quelle godute dalla maggioranza dei cittadini;
− Alla marginalità per disoccupazione che è connessa non solo alle questioni di carattere economico
ma anche a fattori psicologici perché può scatenare sensi di colpa o la mancanza di autostima;
− Alla marginalità da mobilità sociale dovuta a cambiamenti territoriali ed ambientali per motivi di
lavorativi o di altra natura;
− Alla marginalità da devianza quando un componente del nucleo entra nel circuito della criminalità,
della droga e dell’alcolismo.
Le relazioni familiari possono essere gravemente compromesse quando la famiglia si presenta fragile sul
piano delle relazioni e dei valori. Si segnalano le seguenti tipologie:
- La famiglia conflittuale, un nucleo in cui i coniugi non sono in grado di stabilire quell’equilibrio
fondato sul rispetto a causa dei continui disaccordi, contrasti, divergenze e tensioni
- La famiglia disgregata, quel nucleo che arriva alla propria dissoluzione a causa dell’incapacità e della
rivalità reciproca;
- La famiglia nevrotica, che costringe un suo componente ad ammalarsi, cioè a svolgere un ruolo di
vittima;
- La famiglia centripeta, cioè chiusa in sé stessa e che rifiuta ogni esperienza sociale;
- La famiglia centrifuga, che si rivolge prevalentemente all’esterno alla ricerca continua di nuove
emozioni, non soffermandosi a riflettere ed approfondire le problematiche e gli equilibri interni;
- La famiglia ricattante, in cui qualche componente si trova a soddisfare i desideri, le aspettative, la
volontà di qualche altro membro;
- La famiglia disorientante, si basa su un andamento incoerente per cui i segnali che i due partener si
inviano, e che soprattutto inviano ai loro figli, sono costantemente contradditori;
- La famiglia perfezionista, che valuta il comportamento dei componenti in base ai risultati ottenuti e
non in relazione al processo di crescita ed allo sforzo evidenziato;
- La famiglia arrivista, in cui la vita è totalmente orientata al mantenimento e al miglioramento status
socioculturale raggiunto;
- La famiglia violenta, in cui la debolezza psicologica di solito di uno o di entrambi i coniugi si esprime
in forme sconvolgenti. Si scarica sulla prova o sul coniuge più debole il proprio stato di disagio.
Bisogni di sostegno
La famiglia ha bisogno di aiuto e di sostegno al momento della costituzione del nucleo perché è un’esperienza
umana impegnativa ed anche perché le difficoltà sociali rendono fragile il nucleo ed è necessario essere
consapevoli dei problemi connessi alla vita di coppia;
La famiglia ha bisogno di aiuto e di sostegno per realizzare un adeguato rapporto di coppia ed anche per
istaurare un soddisfacente rapporto genitori-figli;
Un particolare sostegno va indirizzato anche alla famiglia alla quale appartiene un soggetto con particolari
problemi. Il sostegno che si deve a tali famiglie non va solo nella direzione di evitare un allontanamento del
soggetto con problemi, ma è volto ad aiutare gli altri membri della famiglia a vivere in modo più sereno le
difficoltà;
Un importante sostegno va rivolto a quei nuclei nei quali si evidenzia il problema della violenza in famiglia
nei confronti dei minori e delle donne;
La famiglia che si rende disponibile ad accogliere un bambino biologicamente non suo ha bisogno di un
particolare sostegno. Se il bambino non è molto piccolo si deve aiutare i genitori a non annullare, anche se
in buona fede, il precedente vissuto del figlio adottivo, a considerare le sue esperienze, la sua realtà per
evitare che si eserciti un’opera di cancellazione della vita passata e di riprogrammazione;
Un lavoro di sostegno, poi, nel caso dell’affidamento è basilare. La famiglia affidataria deve attivarsi in un
lavoro di educazione e di recupero mantenendo sempre una giusta distanza per il minore e, allo stesso tempo,
ricostruendo significativi rapporti con la famiglia di origine;
La famiglia che si ricostruisce dopo esperienze familiari precedenti più o meno negative ha bisogno di
sostegno. Le relazioni tra i figli provenienti da contesti familiari diversi e i figli nati dal nuovo nucleo familiare
non sono sempre facili.
Le resistenze all’aiuto
Non sempre la famiglia è disposta a chiedere aiuto per avviare a soluzione i suoi problemi perché:
- Si illude di poter risolvere da sola i suoi problemi;
- Si preoccupa di salvaguardare l’intimità e la privatezza
- Si è convinti che la famiglia deve trovare in sé la forza di superare le difficoltà ed i problemi
- Si ha una certa sfiducia nei servizi;
- Si è convinti che le difficoltà siano dovute all’altro genitore, coniuge o figlio.
Questo porta la famiglia non solo a non chiedere aiuto ma anche a rifiutarlo quando le viene offerto.
Alcuni possibili interventi
L’intervento economico
La famiglia multiproblematica spesso copre con la richiesta economica, la presenza di altri bisogni. È
necessario, infatti che l’intervento economico entri a far parte del progetto più complessivo a favore della
famiglia. Per fare questo intervento vanno valutate le possibili situazioni in cui si trova la famiglia
multiproblematica. La famiglia può chiedere un sussidio economico:
- Per difficoltà oggettive che sono situazioni indipendenti dalla volontà di cambiamento dei membri
della famiglia;
- Per una situazione di disoccupazione e che quindi ha un margine di cambiamento
- Per una cattiva amministrazione del proprio reddito e in questo caso bisogna fare in modo che la
famiglia modifichi le proprie capacità di gestione.
L’assistenza domiciliare
Viene introdotto nell’ambiente familiare un operatore, il quale si inserisce nelle dinamiche familiari e può
sollecitare processi di cambiamento dall’interno. Il suo ruolo è quello di affiancare i genitori nell’accudimento
dei figli, sostenere i ruoli genitoriali, ecc.
Gruppi educativi
I minori provenienti da famiglie carenti sul piano educativo vengono inseriti in gruppi educativi diurni. Questi
hanno l’obiettivo di offrire risposte alternative ad un ambiente familiare non particolarmente ricco di stimoli
e di prevenire situazioni di disagio e di devianza.
Prima infanzia (0 – 2 anni)
Nel primo mese di vita i neonati apprendono attraverso i riflessi innati (riflesso della suzione, non solo per il
latte materno, ma afferrano il dito di un adulto o un oggetto che conoscono e sperimentano tramite la
suzione).
Reazioni circolari: azioni effettuate dal bambino che traendone piacere, le ripete.
Reazioni circolari primarie: tra il primo e il quarto mese di vita il bambino sviluppa le reazioni circolari primarie
ovvero la ripetizione di un’azione casuale per ritrovarne gli effetti gradevoli. L’esempio è la suzione del dito,
trovandola piacevole il bambino la ripete per lunghi periodi.
Reazioni circolari secondarie: tra il quarto mese e l’anno di vita il bambino orienta i suoi comportamenti verso
l’ambiente esterno cercando di afferrare e muovere gli oggetti e osserva i risultati delle sue azioni. Agitando
un sonaglio provoca dei rumori piacevoli e cerca di ripetere l’azione per riprodurre il suono.
Reazioni circolari differite: tra gli 8 e i 12 mesi il bambino è in grado di riprendere un’azione su un oggetto
dopo averla interrotta
Reazioni circolari terziarie: dai 12 ai 18 mesi. Consistono nello stesso meccanismo descritto in precedenza ma
effettuato con variazioni. Ad esempio, afferrare e battere un oggetto contro superfici diverse. In questa fase
il bambino inizia a comprendere la permanenza degli oggetti mentre nelle fasi precedenti se l’oggetto non è
in vista “non esiste”.
Dopo i 18 mesi il bambino sviluppa la capacità di immaginare gli effetti delle azioni che sta eseguendo, di
eseguire e descrivere azioni differite o oggetti non presenti nel suo campo percettivo, di eseguire sequenze
di azioni come, per esempio, appoggiare un oggetto per aprire la porta, cominciano inoltre i primi giochi
simbolici, il “fare finta di … “. Il bambino apprende il concetto di “permanenza dell’oggetto “, ovvero la
capacità di comprendere che gli oggetti esterni che formano il mondo, sono entità esistenti, a prescindere
dalla sua consapevolezza di essi.
I primi suoni emessi sono molto semplici e si distinguono in suoni vegetativi (colpi di tosse, starnuti,
singhiozzi) e suoni vocali (gridi e gemiti). In questa fase la faringe del neonato si trova ancora nella parte alta
del collo e questo gli consente di poppare e respirare nello stesso momento. A partire dai 2 mesi di età la
laringe si abbassa nella posizione definitiva e questa capacità scompare. Diventa invece possibile articolare
semplici suoni ripetitivi.
2 mesi circa: cooing sound, il bambino emette semplici suoni consonantici
5-6 mesi: lallazione (ripetizione delle stesse sillabe)
12-18 mesi: olofrasi, una sola parola che sta al posto di una frase intera (pappa: voglio la pappa)
18-24 mesi: frasi binarie (due parole per un’intera frase, come ad esempio mamma pappa)
Dai 24 ai 30 mesi: frasi telegrafiche, corte senza connettivi, di 3 parole
Sviluppo affettivo:
Processo di separazione e quindi “coscienza di sé” (2 mesi) →il concetto di sé è la concezione che ogni
persona ha di sé e usa per descriversi e per capirsi. Varia con l’età perché nel corso della vita ognuno di noi
si modifica e gli ambiti sociali di appartenenza si modificano e si differenziano.
Il primo stadio pe l’acquisizione del concetto di sé in un bambino è quello in cui egli i rende conto di essere
un’entità separata dagli altri, in particolare di non essere un tutt’uno con il corpo della madre che lo
accudisce. Questa consapevolezza si fa strada dai 6-8 mesi e si consolida verso i 9-12, definendosi tra 15-18.
Dopo essersi reso conto di essere un’entità separata deve proseguire nel riconoscimento di sé stesso come
evento continuo nel tempo e nello spazio. Nel bambino il concetto di sé deriva dagli incontri sociali con i
genitori e le altre persone nei primi anni di vita.
Sviluppo emotivo/sociale
PIANTO→ è il mezzo più importante che i neonati hanno a disposizioni per comunicare. Il primo pianto
permette di verificare se, alla nascita, i polmoni del neonato si riempiono di aria. I neonati tendono a
rispondere con il pianto e con espressioni facciali di dispiacere quando sentono altri neonati piangere.
Esistono almeno 3 tipi di pianto:
- Pianto di base: un modello ritmico che consiste, generalmente, di un pianto, un silenzio breve, un
fischio inspiratorio corto con una tonalità più alta del pianto principale, e poi una breve pausa prima
del pianto successivo. La fame è una delle condizioni che scatenano il pianto di base
- Pianto di rabbia: simile a quello di base, ma con maggiore quantità d’aria spinta attraverso le corde
vocali (associata a esasperazione o rabbia)
- Pianto di dolore: improvvisa comparsa di un pianto onoro senza la presenza di un lamento
preliminare. Questo pianto iniziale è lungo e seguito dal trattenimento del respiro per un periodo
prolungato.
Il pianto funge da segnale per il caregiver e aiuta l’instaurarsi delle prime relazioni affettive.
- Sorriso endogeno o riflesso: non si manifesta in risposta a stimoli esterni, generalmente compare nel
sonno (primo mese di vita)
- Sorriso esogeno: sorriso prodotti da sveglio in risposta a stimoli acustici e visivi come il volto o la voce
umani, indifferenziati. È un segnale sociale di grande importanza, dato che i caregiver, gratificati dal
sorriso del bambino iniziano a trattarlo come partner sociale
- Sorriso sociale: sorriso che si manifesta come risposta specifica alle persone familiari con cui si
instaura un rapporto specifico. Compare intorno alle 4-6 settimane di vita.
PAURA: una delle prime manifestazioni che si osservano nel bambino. Appare intorno ai 6 mesi di vita e
raggiunge l’apice verso gli 8.
Paura dell’estraneo: è l’espressione più comune della paura in un bambino piccolo; si manifesta come
diffidenza e paura nei confronti di persone sconosciute o poco familiari. Tende a presentarsi nella seconda
metà del primo anno di vita, mentre prima non era presente. Aumenta fino al compimento dei 12 mesi.
Esistono ovviamente delle differenze individuali: il contesto sociale (luogo familiare/casa vs esterno),
presenza della figura di attaccamento (i bambini con attaccamento sicuro sono meno inclini a esibire paura
dell’estraneo), l’atteggiamento dell’estraneo (amichevole o serio).
L’ansia da separazione è un’altra paura infantile connessa con la sicurezza del legame di attaccamento. Si
tratta della paura di essere separati da chi si prende cura di loro (caregiver). Si manifesta con pianto o altri
segni di sofferenza all’allontanamento del caregiver. Compare in genere durante la seconda metà del primo
anno di vita, lo stesso periodo in cui si stabilisce l legame di attaccamento. Il picco è intorno ai 15 mesi, poi
va gradualmente decrescendo durante l’infanzia e il periodo prescolare. È una reazione emotiva universale.
La regolazione emotiva
Durante il primo anno di vita, il bambino sviluppa gradualmente la capacità di inibire o attenuare l’intensità
e la durata delle sue reazioni emotive. La prima forma di autoconsolazione è la suzione del pollice, presente
fin dai primi giorni di vita. (funzione: scaricare la tensione) I neonati hanno però bisogno dei caregiver adulti
per regolare le loro emozioni (essere cullati accarezzati, ecc). L’azione dei caregiver influenza la regolazione
neurobiologica delle emozioni (es riduzione degli ormoni dello stress). Una risposta rapida di consolazione è
un ingrediente importante nello sviluppo di un forte legame tra il neonato e il suo caregiver.
Bisogni prevalenti
- Fonetico: che ci conclude verso i tre anni, quando il bambino è diventato capace di produrre tutti i
suoni della propria lingua
- Morfologico: che riguarda l’apprendimento delle strutture specifiche (grammatica e sintassi) della
lingua materna
- Semantico: concerne l’apprendimento dei vocaboli e del loro significato. A tre anni, quando inizia la
scuola dell’infanzia, il ambino possiede un bagaglio lessicale di base di circa 2000 parole e una
minima competenza dialogica.
Sviluppo emotivo:
- Freud → Fase anale, il controllo sfinterico
- Erikson → Seconda fase, Capacità di controllo e vergogna del proprio corpo
Bisogni prevalenti
- Bisogno di gioco e di scoperta: il gioco è l’attività fondamentale dei bambini e favorisce i processi
cognitivi, affettivi e sociali. Si supera l’egocentrismo.
- Bisogno di autonomia e iniziativa: il bambino compie azioni autonomamente. I bambini sono in
continuo movimento.
- Bisogno di interazione con i coetanei: l’interazione sociale si amplia ad altri adulti significativi e vi è
una attenzione particolare allo stare con i coetanei.
Gioco simbolico
Terza infanzia (6 – 11 anni)
Sviluppo affettivo/emotivo/sociale
Strutturazione dell’autostima
Diventano importanti le figure significative (insegnanti, genitori e pari)
Ci deve essere un equilibrio tra l’immagine che il bambino ha di sé e l’immagine che hanno gli altri di lui
Gioco di regole
Bisogni prevalenti
− Bisogno di avventura: possibilità di esplorare il mondo contando sulle proprie forze. Si verifica un
dispiego di energie per padroneggiare la realtà circostante, anche attraverso strumenti, manufatti e
l’impiego di tecnologie.
− Bisogno di aggregazione: i genitori perdono il valore di uniche figure di riferimento. Cominciano le
prime ribellioni.
− Bisogni di stima e riconoscimento: con l’ingresso nella scuola, dove la valutazione aiuta a misurare
le proprie debolezze e capacità, il bambino diventa sensibile ai giudizi.
Gioco di regole
L’adolescenza è definita come un lento processo dall’età infantile all’età adulta che comporta rotture
e disarmonie che interessano il corpo, la personalità, i comportamenti, le relazioni con sé stesso e con gli
altri. È la fase in cui le trasformazioni condizionano il futuro della vita adulta.
Questo periodo è diviso in tre fasi:
1. Preadolescenza (11-14 anni): è caratterizzata da cambiamenti puberali e presenta gli elementi più
problematici.
2. Adolescenza propriamente detta (14-17 anni): si caratterizza per le identificazioni con coetanei e
adulti. All’interno di questo periodo trovano risoluzione alcuni residui legati al complesso edipico.
3. La post adolescenza/giovinezza (17-20 anni): è caratterizzata dall’assunzione di un preciso ruolo
sociale.
Bisogni prevalenti
− Bisogno di identità: inizialmente l’identità è diffusa, poi troverà il proprio stile di comportamento e
quindi la propria identità. C’è il bisogno di identificazione con persone che stimiamo.
− Bisogno di indipendenza: il relativo allentamento dei legami familiari, l’insofferenza per regole e
divieti, le regole di comportamento, crisi morali, le convinzioni, gli ideali di vita e di giustizia: tutto
questo grazie al pensiero acquisito durante l’adolescenza. La crisi di una morale autonoma e di
ideali accettati consapevolmente è possibile grazie all’acquisizione di capacità di ragionamento
astratto.
− Bisogno di “senso”: se nel bambino dell’età prescolare era importante il fare per fare, adesso
l’adolescente si chiede “perché fare?”; c’è il bisogno di sapere. C’è un “perché” in ogni cosa.
il gruppo dei coetanei ha la funzione principale di aiuto a livello emotivo, psicologico, comportamentale,
cognitivo.
Il dialogo e il confronto con amici e coetanei può permettere una più approfondita comprensione del
problema da affrontare, in quanto si prendono in considerazione altri punti di vista e vi è la presa di
distanza emotiva che permette di vedere altri aspetti del problema.
Il confronto permette una valutazione autonoma del proprio comportamento e delle proprie scelte al di là
del controllo degli adulti.
Quali sono gli elementi che contraddistinguono il gruppo di adolescenti da altri gruppi che si formano
nell’età adulta?
1. Senso di appartenenza e status sociale. Vi è un forte senso di appartenenza, ogni individuo si sente parte
della creazione di proprietà fondamentali. In questo caso il gruppo si considera qualcosa di proprio in un
ambiente dove si possono avere legami personali con altri, in cui si può ottenere qualcosa altrimenti
irraggiungibile, in cui ci si sente accettati come persone. Il confronto con il gruppo è funzionale
all’autostima in quanto approva e stabilisce criteri di successo in qualcosa. Fare parte di un gruppo significa
avere uno status autonomo, basato sulle realizzazioni, che è negato agli adolescenti dalla società. Si pensa
che esiste un rapporto tra la marginalità sociale e la formazione di gruppi, in quanto l’appartenenza ad un
gruppo è un modo per andare contro l’autorità adulta.
2. La costruzione di regole di gruppo. L’interazione dei soggetti all’interno del gruppo porta alla costruzione
delle regole che possono essere implicite o esplicite e l’assunzione di ruoli. Una volta costituito si
producono fenomeni di una vita collettiva, quali il nome del gruppo, soprannomi dei membri, modi di
vestire e truccarsi, regole di condotta. Le norme si riferiscono ai comportamenti considerati appropriati dal
gruppo secondo valori e sistemi socioculturali a cui si fa riferimento. Solo ciò che è importante per il gruppo
è regolato da norme. I soggetti che devono rispettare maggiormente le norme sono i leader.
3. Il rispetto delle regole e l’esclusione dal gruppo. Quando un soggetto non rispetta le regole, viene
richiamato, poi emarginato, fino ad arrivare all’espulsione. Le norme sono definite in base ai valori e al
contesto.
4. La composizione del gruppo. Nei preadolescenti il gruppo è composto da soggetti dello stesso sesso. I
maschi tendono ad organizzarsi in gruppi ampi dove l’attività è l’esplorazione di spazi fisici. Le femmine
invece tendono ad organizzare gruppi più ristretti dove prevale l’elemento intimistico. Con il proseguire
degli anni, il gruppo si apre ad entrambi i sessi, formati sulla base di affinità.
5. Gli scopi del gruppo. Il gruppo è una “identità collettiva” ed ha la funzione di sostenere un processo di
dipendenza piuttosto che di costruzione dell’identità individuale. Esistono gruppi formali in cui vengono
svolte attività (come lo sport, gruppi religiosi, ecc.), oppure gruppi informali che si costituiscono sulla base
di affinità personali.
6. La devianza del gruppo. Essa si manifesta con la formazione di bande o gang. La devianza all’interno delle
bande si differenzia da altri gruppi informali perché è più aggressiva e distruttrice, è strutturata con molte
regole per garantire l’affidabilità dei membri. Questo fenomeno è dato dal forte bisogno di appartenenza.
Altre realtà
Il disagio corrisponde ad una percezione soggettiva di malessere/insoddisfazione per ciò che si è o per
come ci si percepisce. Si manifesta con una serie di comportamenti quali chiusura, instabilità emotiva,
disinvestimento affettivo. Diffuso è il disagio giovanile, che è legato alle dinamiche sociali, familiari e con le
richieste che la società avanza all’adolescente. Il problema del disagio giovanile, inteso come disagio nei
confronti di ruoli assunti e che si esprime con “comportamenti a rischio”, è tipico di questo contesto storico
culturale.
Una situazione di disagio può portare a disadattamento, ovvero l’incapacità/difficoltà di adattamento
all’ambiente da parte del soggetto (es. scolastico, sociale, ecc.).
Di conseguenza al disadattamento può verificarsi la devianza, che corrisponde a comportamenti che si
collocano nell’illegalità.
I minori stranieri
Parola – chiave: identità etnica insieme di valori culturali e sociali appartenenti ad una comunità.
I minori stranieri diventano soggetti a rischio di disagio nel momento in cui il processo di integrazione nel
nuovo paese diventa difficile; a volte non lo si raggiunge.
Spesso un soggetto scopre la sua identità etnica quando entra a contatto con forme culturali diverse. Da qui
ha inizio il possibile processo di esclusione e marginalità ai confini della società, in quanto non sempre si
condividono le culture diverse.
I minori devono fare una scelta: seguire l’etnia dei genitori o quella del nuovo ambiente. Ciò provoca
conflitti all’interno della famiglia, che propone valori e modelli culturali diversi da quelli della nuova società.
Il bambino può attribuire un valore basso alla cultura di origine, con conseguente svalutazione della
famiglia.
Segni di mancata/scarsa integrazione nel paese d’arrivo sono: carriera scolastica fallimentare, abbandono
di percorsi scolastici.
Soluzioni per la definizione dell’identità
1. Resistenza culturale: il soggetto “resiste” alla nuova cultura seguendo quella di appartenenza. Ciò
provoca scarsa integrazione, poche relazioni sociali con i soggetti del nuovo paese (e quindi formazione di
sottogruppi culturali), emarginazione.
2. Assimilazione della nuova cultura: il minore straniero accetta la nuova cultura e rifiuta quella di
appartenenza perché inadeguata per il nuovo contesto sociale. Questo processo avviene soprattutto nei
ragazzi molto giovani o nati in Italia che hanno stabilito amicizie nel nuovo paese. Ciò può portare alla
negazione dell’appartenenza culturale dei genitori e quindi conflitti familiari.
3. Marginalità: confusione per quanto riguarda la scelta dell’identità; ciò provoca marginalità in quanto non
si ha un senso di appartenenza.
4. Doppia identità etnica: si matura una doppia identità etnica, ovvero si sceglie di fare una mediazione tra
le due culture integrandole tra di loro e sviluppando un senso di appartenenza duplice.
Maltrattamento
Per maltrattamento si intende atti o carenze che turbano gravemente bambini e che attentano alla loro
integrità corporea, affettiva, intellettiva e morale. Il maltrattamento determina conseguenze gravi anche
sullo sviluppo e la formazione della personalità, che possono manifestarsi a breve/medio/lungo termine.
Maltrattamento fisico
Caratteristiche del maltrattamento fisico sono le percosse che determinano lesioni di vario tipo. È
importante riuscire a distinguerle da quelle accidentali; elementi distintivi sono il ritardo con il quale la
famiglia chiede aiuto o porta il bambino al pronto soccorso, la tendenza a fornire spiegazioni poco chiare
sull’accaduto e a scaricare la colpa su altre persone, scarsa preoccupazione o tendenza a sottovalutare la
lesione. Spesso la madre si dimostra poco coinvolta e depressa.
Maltrattamento psicologico
È uno dei tipi peggiori di maltrattamento in quanto è un comportamento non facilmente visibile da
operatori sociali o insegnanti. Proprio perché è difficile rivelarlo perdura a lungo nel tempo, determinando
importanti squilibri psicologici.
Trascuratezza o negligenza
È una condotta passiva spesso legata all’incapacità effettiva dei genitori di occuparsi dei propri figli e di
soddisfare i bisogni materiali e psicologici. I bambini risultano spesso abbandonati a sé stessi, malnutriti,
stanchi e quindi che presentano difficoltà di concentramento con conseguenti problemi di apprendimento.
Sono bambini spesso malati a causa del disinteresse dei genitori e quindi delle scarse cure mediche. Anche
l’igiene è scarsa e gli indumenti inadeguati.
L’abuso sessuale
È la pratica più lesiva della personalità, in quanto porta ad una sua strutturazione insicura e a una scarsa
valutazione di sé stessi.
Con il termine abuso sessuale ci si riferisce a quelle situazioni in cui viene coinvolto in attività sessuali un
soggetto minorenne, al quale manca la consapevolezza delle proprie azioni e la capacità di scegliere. Nei
bambini queste due condizioni non possono esserci, poiché non vi è la capacità di gestire le proprie pulsioni
affettive e manca la capacità di sottrarsi alle pressioni fisiche e psicologiche dell’adulto, soprattutto se si
tratta di un familiare. L’abuso è un fenomeno che riguarda tutte le fasce sociali; sono colpiti
indifferentemente maschi e femmine, anche se sono maggiori gli episodi riguardanti il sesso femminile,
sempre più di giovane età.