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Edgar James Delpero ZERO 1

ZERO
Edgar James Delpero

"Noven figure indorum he sunt 9 8 7 6 5 4 3 2 1. Cum his itaque


noven figuris, et cum hoc signo 0, quod arabice zephirum appellatur,
scribitur quilibet numerus"

Le nove figure indiane sono 9 8 7 6 5 4 3 2 1.


Con queste nove figure e con il segno zero,
che gli arabi chiamano zephirum,è possibile
scrivere qualsiasi numero.
LIBER ABACI 1202.
Leonardo Pisano detto Fibonacci.

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"00=1: ogni insieme di numeri nasce dall'uno e uno dallo zero".


Per tutti noi "zero" è - o ha - un valore. Ma possiamo far di conto con lo zero?
Per interagire concretamente sul risultato si deve definire se 00 valga zero, uno o cos'altro.
Questa domanda richiede una risposta logica; forze la spiegazione sta nell'asimmetria della
situazione da commentare: in un caso la variabile è la base, nell'altro l'esponente.
Possiamo riassumere con precisione il modo con cui siamo arrivati a queste due posizioni.
Attraverso il concetto e funzione limite per x (che tende a zero da destra) di 0x=0, implica lim.
x→0+ |0x=0|; analogamente preso il limite di x0 quando x si avvicina a 0 e, controllando il
processo in corrispondenza di alcune tappe intermedie, convince il fatto che la risposta
dev'essere 1, implica lim. x→ 0 |x0=1|.
Entrambi i metodi sembrano ugualmente validi, ma almeno un risultato dovrebbe essere errato.
Dunque, perché non far variare entrambi i metodi e prendere il limite di xx per x che tende a
zero da destra?; in pratica, applicare la regola di Bernoulli per trovare una risposta definitiva:
lim x→0+ |xx=1!|. Procedere semplicemente immaginando un grafico della funzione f(x)=xx.
Quando ci si muove lungo l'asse x da destra verso 0, non ci sono dubbi che la curva sale dal suo
avvallamento verso 1. Il limite dev'essere abbordato da entrambi i lati perché abbia un senso e
in questo caso si devono affrontare ben quattro distinti ostacoli.
Punto primo, non dobbiamo trovare nessuna interruzione mentre procediamo per la nostra
strada: il grafico supposto dev'essere continuo. Ma (secondo e terzo punto) osserviamo cosa
accade quando cerchiamo di introdurre x = -1/2, per esempio, nella funzione f(x)=xx. (-1/2)-1/2,
significa 1/√ -1/2, dato che 1/2 all'esponente significa radice quadrata, mentre il segno meno ci
obbliga a mettere il risultato al denominatore. Non sarebbe un danno averlo lì, se si trattasse di
un numero reale. Ma √ -1/2 è un numero immaginario; e questo quarto punto significa che
abbiamo di fronte un cambiamento improvviso, siamo stati trasferiti di colpo dal piano dei
numeri reali a quello più vasto e problematico che include i numeri immaginari, numeri come√ -
1, simboleggiato dalla lettera i, che non trovano posto fra i reali ma si possono immaginare
giacente su un loro asse, perpendicolare a quello dei numeri reali.
Sul piano definito da questi due assi possiamo rappresentare ogni combinazione di reali e
immaginari, come 3+4i, per mezzo di un punto di coordinate orizzontali verticali appropriate (in
questo caso,[(3,4]).

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Scopriremo cosa sia 00 avvicinandoci; ma ora che ci troviamo su un piano invece che su una
linea, dobbiamo essere certi di poterci avvicinare a 00 da ogni direzione. Finora abbiamo
chiamato la nostra funzione f(x)=xx perché la variabile x può assumere il valore di qualsiasi
numero reale. Per poter tenere conto del fatto che i "numeri complessi" sono composti da una
parte reale(x) e da una parte immaginaria (yi) cambiamo il nome della nostra variabile in z,
dove z=x+yi. Vogliamo "vedere" che cosa accade a f(z)=zz quando z tende a 0, in altre parole
quando x e y tendono entrambi a 0.
Ciò che accade è di una stranezza inquietante, in pratica la funzione non si stabilizza mai, non
converge mai verso un particolare valore (tanto meno verso l'uno). Per zz (0,0) è il peggiore
incubo del mondo, tuttavia su una di loro è disegnata una configurazione di punti che, tornando
al piano reale, sono presenti nei due quadranti di sinistra, dove abbiamo i valori reali della
funzione per valori negativi di x.. Tale configurazione di punti ha un andamento avvolgente
ovvero un certo ordine nel caos.
Richiamo la funzione f(x)=xx al fine di ricordare a me stesso che le patologie interessata dalla
funzione di x^x^x, o di x^x^x, o di scale sempre più lunghe della variabile elevata alla variabile
elevata alla variabile fino a qualunque trasformazione hanno una risposta: la risposta (che si
ottiene applicando ripetutamente la regola dell'Hospital) è prevedibilmente ironica: quando x
tende a 0 dalla destra, il limite è 0 se il numero x nella torre è dispari, 1 se è pari. Naturalmente
ciò non ha alcun effetto sull'allucinazione isterica di 00 rappresentata dal fuso nel grafico.
Il fuso nel grafico rappresenta alcune funzioni limiti e variabili di xx, x0 e 0x (numeri
appartenenti a diversi ed a differenti insiemi numerici).
Osservando qualsiasi polinomio, costatiamo che finisce con un termine costante:
17x3 - 8x+3, oppure 102x19 - 14x8 +5x5 - 7, o persino x2+x in cui la costante è uno zero
sottinteso.
Per rispettare questa contabilità razionalizzata, è dunque bene (soprattutto quando
moltiplichiamo fra loro dei polinomi) ordinare ogni polinomio com'è stato fatto negli esempi
precedenti, partendo dall'esponente più alto e scendendo mostrare la variabile in ogni termine.
Dov'è x2 nel nostro primo esempio? E implicito, con 0 nella sua incarnazione contabile che ci
viene di nuovo in soccorso, come coefficiente. Se avessimo scritto quel polinomio nella sua
forma completa, esso sarebbe stato:
17x3 + 0x2 - 8x+3.
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E dov'è la variabile nell'ultimo termine dei polinomi? È sempre lì, ma (in conformità con
l'ordine decrescente degli esponenti) elevata alla potenza zero. Infatti, sappiamo che x0=1.
Riscriviamo ancora il polinomio del nostro primo esempio, questa volta come 17x3 + 0x2 -
8x+30. L'ultimo termine è senza dubbio 3, e deve rimanere tale quale che sia il valore di x -
persino se x dovesse assumere il valore 0.
Consideriamo perciò il termine costante come coefficiente di x0, e pattuiamo che xo=1 per
qualsiasi valore di x: anche quando x=0, 00=1.
Conseguenza: il prodotto di tutti i numeri nell'insieme che non contiene nulla è uno; pertanto,
con lo zero possiamo far di conto.
Con poche e semplici premesse si possono dimostrare ed assaporare prospettive affascinanti di
cui la prima è ricavare "uno" da "zero".
Poche, semplici premesse. In primo luogo, se moltiplichiamo un numero n per qualcosa
sperando di ottenere n come risultato, è meglio che quel qualcosa o quanto tanto sia uno, che è
come sappiamo l'identità per la moltiplicazione. Seconda premessa: un insieme (che
indicheremo con S) non è altro che una raccolta di oggetti e lo si può dividere in due parti
(sottoinsiemi) - chiamiamoli A e B - cosicché qualsiasi cosa si trovasse originariamente in S
finirà o in A o in B. Infine, l'insieme vuoto non contiene nulla e perciò è sottoinsieme di ogni
altro insieme. Adesso possiamo cominciare.
Bisogna ammettere che l'insieme vuoto costituisce un'eccezione. Ernest Zermelo, che fu il primo
a ragionare sugli assiomi della teoria degli insiemi, nel 1908 scrisse il suo secondo asserto o
assioma in questi termini: "esiste un insieme, l'insieme nullo, 0, che non contiene nulla".
"Qualcuno potrebbe asserire che non esiste alcun insieme vuoto ma, quand'anche fosse così,
allora l'insieme di questi insiemi sarebbe vuoto e dunque esso sarebbe l'insieme vuoto" (Wesley
Salmon). In un modo o nell'altro, dunque, molti hanno dato esistenza all'insieme vuoto o l'hanno
trovato già pronto.
Uno dei simboli per rappresentarlo è la coppia di parentesi graffe usata per indicare un insieme,
senza nulla al suo interno: {}. Un altro simbolo, ∅, mostra quanto siamo progrediti in un
migliaio d'anni, dato che questo non à il phi (φ) medievale che a volte spodesta theta (θ) nel
ruolo di zero, ma - se l'etimologia popolare è corretta - un segno il cui significato è che
nemmeno lo zero gli appartiene, assegna in tal modo allo zero lo status di numero a tutti gli
effetti. Il nostro scopo dimostrativo è ricavare l'uno da zero, in altre parole il tutto dal nulla ma,
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tale operazione fu inaugurata nel 1923 dal matematico John von Neumann e da allora si è
continuato ad usarlo. "Identifichiamo zero, dice von Neumann, con l'insieme vuoto: esso non
contiene nemmeno lo zero, è lo zero. E adesso consideriamo l'insieme che contiene l'insieme
vuoto: {∅} (oppure {{}}, se vi piace). Dato che l'insieme ha un determinato elemento - cioè
l'insieme vuoto - possiamo identificare questo insieme col numero uno. E il due? - è l'insieme
che contiene i due insiemi precedenti:{∅,{}}, - e così via, con ciascun nuovo insieme che
contiene tutti i precedenti e rappresenta (o è) l'intero successivo. Il tutto è fatto! abbiamo
ottenuto tutti i numeri naturali a partire dall'insieme vuoto; a partire da questi naturali
costruiremo i numeri negativi, le frazioni, i numeri reali e gli immaginari nei modi ben noti".
La riduzione dell'aritmetica alla teoria degli insiemi, e dunque dei numeri al nulla, è stata
compiuta da Gottlob Frege nel 1884, e semplificata da John von Neumann nel 1923. L'idea
ovvia è di identificare lo zero con l'insieme vuoto; meno ovvio è definire l'uno come un insieme
privilegiato con un solo elemento, cioè lo 0, e più in generale un numero con l'insieme dei suoi
predecessori.
Simbolicamente, il processo è generato dalle due regole.../...
0 = ∅ e n + 1 = { 0, ..., n}, da cui si ricavano le seguenti forme esplicite per i primi
numeri ∈ N:
0 = ∅ = {}
1 = {0} = {{}}
2 = { 0,1 } = { { }, { { } } }
3 = { 0,1,2 } = { { }, { { } }, { { }, { { } } }}.

Non c'è però nessun motivo per fermare la potenza generativa del nulla, che costruisce
gratuitamente sostanza a partire dalla pura forma, ed è, infatti, Georg Cantor ha esteso nel
1883 l'aritmetica del finito in un'aritmetica del transfinito, che comprende oltre ai numeri interi
anche gli ordinali transfiniti, i cui primi esempi sono i seguenti:
ω = { 0,1,...,} = { { }, { { } },..}
ω + 1 = { 0,1,..., ω} = { { }, { { } },...,{ { }, { { } },...} }

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Ovviamente, una volta innescato, il processo esplode in un Big Bang numerico che prosegue
senza sosta, generando via a via infinita sempre più complicati, benché tutti riducibili in ultima
analisi al nulla:
2 ω = { 0, 1,..., ω, ω + 1,...}
ω 2 = { 0, 1,..., ω, ω + 1,..., 2 ω, 2ω+ 1,..., 3 ω,...}
ω ω = { 0, 1,..., ω, ω+ 1,..., 2ω, 2 ω+ 1,..., 3 ω,..., ω2,...,ω3,...}
Come dai numeri interi si passa successivamente ai numeri razionali, reali, iperreali e surreali,
così si può pensare di fare per gli ordinali. E anche in questo caso ci si può porre il problema di
eliminare successivamente tutti i buchi `esterni', benché l'impresa appaia ora in qualche modo
paradossale, a causa del fatto che i numeri stessi sono costituiti soltanto di buchi `interni': si
tratta cioè di stipare il più possibile oggetti completamente bucati, in modo che non rimanga fra
loro nessun buco. L'idea è comunque di ottenere un sistema che in qualche modo contenga tutti i
numeri, e la soluzione trovata da Conway è stata di estendere appunto la costruzione dei numeri
surreali. Anzi, questa volta si possono definire tutti i numeri in un colpo solo, mediante due
semplici regole che portano all'estremo limite il metodo di Dedekind: se A e B sono insiemi di
numeri tali che ogni elemento di A è minore di ogni elemento di B, allora (A,B) è un numero.
Un numero (A,B) è minore o uguale di un numero (C,D) se ogni elemento di A è minore di
(C,D), e ogni elemento di D è maggiore di (A,B).
Le due regole permettono di generare tutti i numeri ordinali e surreali, e in particolare dunque

0 = (∅ , ∅ )
1 = ({0} , ∅ )
− 1 = ( ∅ , {0} )
ω = ({0,1,...} , ∅ )
ω + 1 = ({0,1,..., ω } , ∅ )
ω − 1 = ({0,1,...} , {ω } )
1
ω+ = ({ω } , {ω + 1} )
2
ω
= ({0,1,...} , {..., ω − 1, ω } )
2
  ω 
ω =  {0,1,...} , ..., , ω  
  2 
1   1  www.matematicamente.it
=  {0} , ..., ,1  .
ω   2 
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gli interi, i razionali, i reali e gli iperreali, oltre ad una cornucopia d'altri numeri mai visti
prima. Ad esempio:

Inoltre, è possibile definire sui numeri, una volta per tutte, operazioni di somma e prodotto che
estendono quelle sui numeri (sur)reali, e che hanno le proprietà solite (di campo ordinato). E in
questo modo si arriva alla fine della storia, o almeno di questa: si dimostra infatti che ogni
insieme che ammetta operazioni di somma e prodotto con le proprietà solite si può pensare
immerso nella classe di tutti i numeri, in modo analogo a quello con cui i razionali sono immersi
nei reali, i reali negli iperreali, e gli iperreali nei surreali.
Sembra dunque che, ottenuti tutti i numeri, non rimanga nient'altro da aggiungere: il che però
suona proprio come a dire che rimane ancora del nulla da eliminare! Ma cercare di spingere
oltre il processo che ci ha portati a tutti i numeri è pericoloso, perché richiederebbe la
considerazione in (A,B) di classi arbitrarie A e B che non sono necessariamente insiemi: il che
in genere è foriero di paradossi e inconsistenza. È allora solo come metafore che è possibile
considerare due limiti estremi: da un lato Ω, l'infinito assoluto che sta oltre ogni numero; e
dall'altro ∞, l'infinito potenziale che sta sopra ogni numero finito, ma sotto ogni numero infinito.
Nè Ω nè ∞ sono numeri: se Ω lo fosse, allora dovrebbe essere Ω < Ω perché Ω è maggiore di
ogni numero; e se ∞ lo fosse, allora sarebbe o finito o infinito, e in entrambi i casi ∞ < ∞, nel
primo perché ∞ è maggiore di ogni numero finito, e nel secondo perché è minore di ogni numero
infinito. Metafore o no, si può in ogni caso dimostrare formalmente l'equazione


ω =∞

n misterioso legame quasi esoterico fra i tipi di infinito che il vuoto ha generato, e dunque una
suggestiva conclusione dell'indagine del nulla.
D'altronde algebricamente: a+bn/n=x, dunque, l'uno è generato.
Il ragionamento matematico e ricorsivo, vuole offrire attraverso il seguente esempio
(l'elementarità di) una maggiore apertura; interagendo dal punto di vista superiore; sottinteso
che è l'identità per la moltiplicazione operante nell'esempio.
Prendiamo una manciata di gettoni, ciascun contrassegnato da un numero, e mettiamoli in una
scatola. Ogni volta che ne estraiamo uno, moltiplichiamo il suo numero per quello dei gettoni
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già estratti. Esauriti i gettoni, avremo ottenuto un prodotto che chiameremo r. Ora inseriamo
una parete divisoria nella scatola e rovesciamo di nuovo i gettoni al suo interno. Alcuni
finiranno nello scompartimento di sinistra (che chiameremo A), altri in quello di destra (B).
Estraiamo i gettoni di A e moltiplichiamo fra loro i numeri corrispondenti. Alla fine avremo un
prodotto che indicheremo con p. Facciamo lo stesso con i gettoni di B, ottenendo un altro
prodotto che chiameremo q.
Naturalmente p*q=r, dato che abbiamo eseguito la medesima moltiplicazione che avevamo
eseguito in precedenza, ma spezzandola in due parti; è altrettanto chiaro che non importa quanti
gettoni vi siano in ciascuno scompartimento. Ciò va inteso in senso stretto: anche nel caso in cui
tutti i gettoni siano finiti in B e A fosse vuoto, è ancora p*q=r. Ma in tal caso, siccome B
contiene tutti i gettoni, q=r. Il che significa (per la prima delle nostre premesse) che p=1: il
prodotto di tutti i numeri nell'insieme che non contiene nulla è 1.
Le iterazioni applicate nel contesto sono, in altre parole, le permutazioni di n oggetti ovverosia
tutti i possibili modi diversi di mettere in fila gli n oggetti.
Teorema. Il numero delle permutazioni di n oggetti è dato da Pn=n(n -1)(n -2) ... 2*1, cioè dal
prodotto dei primi numeri interi. Tale prodotto viene indicato con il simbolo n!, che si legge
fattoriale o fattoriale di n, quindi Pn = n!
La dimostrazione si ottiene direttamente dal teorema precedente ponendo nella formula che dà
le disposizione k = n.. Si pone, per definizione, 0! = 1! = 1.
Grazie alla straordinaria capacità di Gottlob Frege e del matematico John von Neumann anche
i numeri interi sono un'opera dell'uomo; confutando definitivamente l'asserzione di Leopold
Kronecker: "Dio creò gli interi, il resto è opera dell'uomo".
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Per completezza di trattazione riporto il teorema d'esistenza degli zeri:
Teorema: Se f è continua in [a,b], e a < b, e f (a) f (b) < 0, allora esiste un x in (a,b) tale che f
(x) = 0
Naturalmente l'enunciato del teorema, con la locuzione "se...allora..." è una implicazione, che si
rappresenta come (f continua in [a,b], e a < b, e f (a) f (b) < 0) → ∃ x ∈ (a,b) f (x) = 0, o ancora
più schematicamente, o formalmente, con (f continua in [a,b] ∧ a < b, ∧ f (a) f (b)< 0) → ∃ x ∈
(a,b)∧f(x)=0.
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Bibliografia:
♦ Robert Kaplan: "Zero, Storia di una cifra" - Biblioteca Universale Rizzoli.
♦ Piergiorgio Odifreddi: "EX NIHILO OMNIA" - Aprile 1997.

edgar_james2002@yahoo.it

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