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La vita (1265-1321)

La giovinezza e gli studi

Dante nacque a Firenze nel maggio del 1265. Il padre fu un Alighiero,


appartenente alla piccola nobiltà e di modesta condizione sociale, uno dei
pochi guelfi non esiliati da Firenze dopo la rotta di Montaperti (in cui i Ghibellini
di Manfredi avevano sconfitto la guelfa Firenze). La madre donna Bella,
d'ignoto casato, morì presto e il padre si risposò con donna Lapa che diede a
Dante due fratellastri.
A nove anni Dante conobbe Beatrice, figlia di Folco Portinari, nobile
fiorentino la cui casa era vicina a quella degli Alighieri: la rivide nove anni
dopo e se ne invaghì perdutamente, contemplandola come una donna
ideale e scrivendo per lei numerose poesie di delicata impronta
stilnovistica. Ma Beatrice andò in moglie a Simone de' Bardi,
appartenente a una ricca famiglia di banchieri e morì a 25 anni nel
1290.
Dopo la morte di Beatrice Dante visse un periodo di depressione e forse
anche di vita dissipata (il cosiddetto traviamento), di cui possono essere
testimonianza l'amore per la donna gentile, descritto nella Vita Nuova e la
tenzone con Forese Donati.
Il ricordo di Beatrice e la fraterna amicizia con Guido Cavalcanti spingono
Dante a cambiar vita: si dà, dopo i primi studi di grammatica e di
retorica, agli studi filosofici. Stringe amicizia con Brunetto Latini, studia
Virgilio e Tommaso, legge Boezio e Cicerone, ecc.
Sposa poi Gemma, figlia di Manetto Donati e ha vari figli.

La partecipazione alla vita pubblica

Nel 1289 combatté nella battaglia di Campaldino contro la ghibellina


Arezzo: Firenze vinse assicurandosi l'egemonia guelfa in Toscana.
Nello stesso anno fu presente alla resa del castello di Caprona contro la
ghibellina Pisa.
Nel 1293 furono banditi gli Ordinamenti di Giustizia di Giano della Bella
che segnarono il trionfo della democrazia fiorentina contro il potere dei
Grandi, i nobili del contado che lo sviluppo comunale aveva obbligato ad
abbandonare le proprie terre feudali e a trasferirsi a Firenze, oppure nobili di
antica casata. Gli ordinamenti di Giano della Bella escludevano i Grandi, a
meno che non fossero iscritti alle Arti, dal priorato, e quindi dal
governo di Firenze.
Dante si iscrive all'arte degli speziali e medici, in qualità di cultore di
studi filosofici, e partecipa attivamente alla vita politica della città,
entrando a far parte del Consiglio speciale del popolo e poi del
Consiglio dei Cento (1296).
Mentre faceva parte dei sei Priori fu mandato a San Giminiano come
ambasciatore per allearsi contro Bonifacio VIII nel maggio del 1300. In
giugno ci fu il sanguinoso scontro tra i Bianchi e i Neri, causa principale
delle sue sventure.
I Bianchi e i Neri rappresentavano le due fazioni fiorentine in cui si era
diviso il partito guelfo: Bianchi erano i borghesi, e Neri i Grandi, loro
nemici.
I Bianchi rappresentavano la borghesia o popolo grasso, e facevano capo a
Vieri dei Cerchi, un ricco banchiere, che ora nutriva le stesse ambizione dei
Grandi, cioè la segreta intenzione di signoreggiare in Firenze; i Neri
rappresentavano i Grandi e il popolo minuto e facevano capo a Corso Donati,
che aspirava anch'egli alla signoria di Firenze.
Dante, come è noto, era seguace dei Bianchi, che, essendo guelfi,
perseguivano una politica democratica di libertà, ostile all'intervento
del potere pontificio nelle questioni di Firenze; al contrario i Neri si
appoggiavano all'autorità pontificia e, pur di impadronirsi di Firenze,
appoggiavano le sue mire in Toscana.
Il 1 maggio del 1300 ebbe luogo un sanguinoso scontro tra i Bianchi e i Neri.
In giugno ci fu un'altro sanguinoso scontro. I priori in carica, tra cui
Dante, deliberarono di confinare i capi delle due parti: i Bianchi (tra cui
Guido Cavalcanti) a Sarzana, e i Neri a Pieve del Toppo.
L'anno successivo, tuttavia, i Bianchi furono richiamati in patria dai nuovi
Priori; ciò provocò lo sdegno dei Neri, che tramarono per ottenere l'intervento
di Bonifacio VIII nelle faccende interne di Firenze.
Nel giugno del 1301 ci fu la congiura di S. Trinità organizzata dai Neri che
volevano sollevare il popolo contro i Bianchi, ma furono scoperti e subirono
condanne ancora più gravi. In novembre Carlo di Valois, fratello di Filippo il
Bello, già disceso in Italia con il nome di Capitano del Popolo per riconquistare
la Sicilia agli Angioni, entrò in Firenze per ordine di Bonifacio VIII,
affidando il governo della città ai Neri e lasciando campo libero alle più
indiscriminate vendette di parte.

Il periodo dell'esilio

Nel gennaio del 1302 Dante fu condannato con altri cittadini per il reato di
baratteria (un accusa allora comune contro gli avversari politici). La
condanna, che in realtà era motivata dall'avversione di Dante al pontefice
e a Carlo di Valois, comportava un'ammenda di 5000 fiorini, due anni di
confino e l'interdizione perpetua dagli uffici pubblici. Poiché non si presentò
entro i termini prescritti per discolparsi, la pena venne aggravata, commutata
nella confisca dei beni, nell'esilio perpetuo e, nel caso fosse caduto nelle
mani del Comune, nella condanna al rogo.
Cominciò così per Dante il duro e doloroso periodo dell'esilio, che durò fino
alla morte.
Tra il 1302 e il 1304 partecipò ad alcuni tentativi di parte bianca di rientrare in
Firenze.
I principali luoghi dell'esilio dantesco nei primi anni furono:
-Verona (1304-1306), dapprima presso Bartolomeo e poi Alboino della Scala
-la Lunigiana (1306-1307), presso i marchesi Malaspina
-il Casentino (1307-1308) presso i conti Guidi di Battifolle.
Nel 1301 l'imperatore Arrigo VII di Lussemburgo dopo un vuoto di potere di
più di mezzo secolo (dalla morte di Federico II in poi), discese in Italia per
risolvere le guerre civili di Lombardia e di Toscana e in genere per restaurare
l'autorità imperiale nella penisola.
Dante appoggiò l'impresa, sperando di poter tornare in patria.
L'impresa si concluse infelicemente a causa dell'ostilità di papà Clemente
V, che temeva un'egemonia imperiale in Italia e del re di Napoli, Roberto
d'Angiò. A questo si aggiunse la morte di Arrigo VII e Dante perse ogni
speranza di tornare a Firenze.
Tra il 1313 e il 1321 Dante continuò a peregrinare, ormai sfiduciato, per vari
luoghi della Toscana e dell'Italia settentrionale. I principali luoghi dell'esilio
dantesco negli ultimi anni furono:
-Lucca (1351) dove fu ospite di Uguccione della Faggiola, signore di Pisa e
Lucca e capo dei ghibellini di Toscana contro Firenze.
Nel frattempo il vicario di re Roberto d'Angiò in Firenze, emanò un decreto di
amnistia per i fuoriusciti, purché dessero una garanzia in denaro e accettassero
di essere "offerti" dal vescovo in S. Giovanni; Dante rifiutò sdegnosamente,
rinunciando per sempre a tornare nella sua città.
Nello stesso anno il comune di Firenze ribadì la condanna contro il poeta,
estendendola anche contro i suoi figli.
-Verona (1316-1318) presso Can Grande della Scala, vicario imperiale nella
Lombardia è ospite generoso di profughi
-Ravenna (1318-1321) dove Dante fu ospitato da Guido Novello da Polenta
poté trovare il suo ultimo rifugio.
Dante chiamò a sé anche i figli e i nipoti e ciò contribuì a rendergli
sereno i soggiorno a Ravenna.
Intanto la fama del poeta che stava attendendo alla stesura del Paradiso, si
levava sempre più alta nella stima e nella considerazione dei contemporanei.
Fu anche invitato a Bologna per essere incoronato poeta, ma rifiutò
perché avrebbe voluto esserlo a Firenze e perché non voleva lasciare
Ravenna.
Nel 1321 Guido affidò a Dante un'ambasceria a Venezia, che insidiava le terre
dei Da Polenta, ma, colpito da febbri malariche durante il viaggio di ritorno, il
poeta morì a Ravenna fra il 13 e il 14 settembre dello stesso anno. Il suo
corpo fu sepolto in una cappella presso la Chiesa di San Pier Maggiore (ora
San Francesco) a Ravenna.

La personalità dantesca

Gli ideali religiosi

Il mondo spirituale di Dante è informato al misticismo (concezione


provvidenziale della storia, ideale della redenzione umana, spirito profetico...).
È esponente di quel Medioevo mistico che ebbe tra i suoi rappresentanti, S.
Bernardo, S. Bonaventura, S. Tommaso, e che alimentò la sua letteratura di
visioni dell'oltretomba. È la Provvidenza che regge il mondo, non l'uomo
con le sue passioni o il caso, come poi penserà Boccaccio.
Dante rinnovò la grande esperienza culturale della letteratura classica,
rispecchiando nel contempo le esigenze più vive e gli ideali dell'età
comunale.
Dante vede il disordine terreno, l'egemonia, del male sul bene, le
passioni, gli odi, le sopraffazioni (pessimismo cristiano), ma sa che
tale disordine è solo apparente, perché sotto di esso agisce la
Provvidenza.
Nel suo accento sublime e nelle immagini intense della sua immortale poesia
si rispecchiano gli ideali e le aspirazioni di tutta l'umanità.
Fu il poeta dell'oltretomba e della giustizia divina, ma anche del mondo
terreno, della concreta realtà storica ed esistenziale del vivere umano.
Egli fa proprio l'ideale della redenzione umana: fugge dal mondo
nell'oltretomba, dove si può trovare verità e salvezza, diventando
poeta-vate, poeta teologo, profeta.

Le concezioni politiche

In politica Dante è teologico, universalista e medievale.


Dante crede ancora nel Sacro Romano Impero, di cui l'Italia dovrebbe
essere il giardino: vuole che l'umanità segua la guida dell'Imperatore,
per giungere alla felicità naturale o regno della giustizia e della pace.
Raggiunta la felicità naturale, l'umanità si troverà meglio disposta a seguire
la guida della Chiesa, della Teologia, della Grazia, che la porterà alla
felicità e alla beatitudine eterna.

Le opere

Vita Nova

L'opera divisa in 42 capitoli è composta di poesie e di prose, narra


poeticamente la storia dell'amore ideale di Dante per Beatrice, dal loro
primo incontro fino al periodo immediatamente successivo alla morte
di lei, avvenuta nel 1290 all'età di 25 anni.
La stesura delle poesie risale a un periodo compreso tra il 1283 e il 1292,
mentre la prosa fu composta tra il 1292 e il 1293.
Dopo la morte dell'amata, Dante scrisse la Vita Nova unendo quelle rime che
meglio corrispondevano all'ideale della donna angelicata (secondo i principi
dello stilnovo) e collegò alla maniera provenzale tali rime con capitoli in
prosa, atti a raccontare gli episodi salienti della storia d'amore e a
spiegare le poesie stesse, inserendole in una specifica trama e
struttura narrativa.
In ogni più piccolo fatto Dante scorge un segno divino e si compiace di
trovare nella cronologia il numero 9, che per i misticismo medievale
rappresenta un simbolo sacro, perché quadrato del 3, numero della Trinità.
La Vita Nova (titolo che significa "vita giovanile" e "vita rinnovata
dall'amore") fu dedicata all'amico Guido Cavalcanti, a cui Dante doveva
in parte il ritorno dal traviamento alla vita corretta, e quindi al culto di
Beatrice.
La Vita Nova si può dividere in tre parti:
1)dal primo incontro con Beatrice fino alla "seconda donna dello schermo" e al
diniego del saluto;
2)dal diniego del saluto fino alla morte di Beatrice;
3)dalla morte fino alla "mirabile visione".
La prima parte si articola a sua volta in vari episodi:
-il primo incontro a 9 anni con Beatrice,
-il secondo incontro a 18 anni, per la prima volta Dante riceve il saluto di
Beatrice,
-la prima visione profetica di Amore e Morte e primo sonetto A ciascun' alma
presa e gentil core,
-prima donna dello schermo, conosciuta in chiesa; e serventese
(componimento poetico spesso musicato, di origine provenzale, perduto) sulle
60 donne più belle di Firenze, tra le quali Beatrice occupava il nono posto, la
donna dello schermo il trentesimo;
-seconda donna dello schermo, Amore indica a Dante un'altra donna dello
schermo e Beatrice gli nega il saluto.
Anche la seconda parte si articola in vari episodi:
-disperazione di Dante. Solo dopo la trasfigurazione avvenuta durante una
festa nuziale per la presenza di Beatrice e l'esortazione di alcune donne che gli
rinfacciano quello che nel suo poetare era estraneo alla celebrazione di
Beatrice, il Poeta si libera degli artifici e delle simulazioni non degne: nasce
così il vero amore di Dante che si propone di cantare solo la "loda" della sua
donna e scrive la canzone Donne ch'avete intelletto d'amore, con cui rinnova e
approfondisce i modi del dolcestilnovo,
-morte del padre di Beatrice,
-malattia e sogno di Dante, premonitore della morte di Beatrice,
-visione di un incontro con Giovanna (la donna si Cavalcanti) e con Beatrice,
-morte di Beatrice e lettera di Dante (perduta) ai principi della terra per
manifestare loro il suo cordoglio.
La terza parte si articola nei seguenti episodi:
-anniversario della morte di Beatrice,
-amore per una "gentile donna giovane e bella molto",
-visione di Beatrice come era apparsa a Dante nel loro primo incontro, il poeta
pentito allontana da sé il desiderio della donna gentile,
-due sonetti: nel primo Dante parla ai pellegrini che passano per Firenze e
parla loro di Beatrice morta dome di una santa, nel secondo la descrive come
se la vedesse in Cielo,
-la mirabile visione.
Nelle poesie si avverte la progressiva maturazione dell'arte di Dante. In
un primo tempo sono evidenti gli echi della tradizione siciliana,
provenzale e di Guittone d'Arezzo. Dalla canzone Donne ch'avete
intelletto d'amor, Dante rinnova l'esperienza di Guinizzelli e,
accogliendo il mito stilnovistico della donna angelo, dà inizio a un suo
originale e personale atteggiamento poetico.
L'esempio più alto e perfetto della nuova poesia dantesca si ravvisa nel
famoso sonetto Tanto gentile e tanto onesta pare, in cui il poeta canta,
con tono lieve e estatico, il fascino spirituale della sua donna.
La prosa invece è sostenuta da un medesimo tono d'ispirazione: notevole è
l'impronta letteraria (echi della Bibbia, espressioni liturgiche, tecnica del
periodare latino...) e la sua particolare atmosfera mistica e ideale.
La Vita Nova è stata composta a memoria e onore di una santa a lui
particolare, di una donna angelo, di Beatrice.

Rime

È il titolo che si deve dare a tutte le poesie di Dante, escluse quelle


contenute nella Vita Nova: furono composte quasi tutte nella giovinezza e nei
primi anni dell'esilio. Le Rime non furono mai ordinate da Dante, ma dai
posteri e da diversi editori.

Le poesie delle Rime si possono dividere in quattro categorie:

1)Rime d'amore contemporanee alla composizione della Vita Nova,


comprendono alcune rime per Beatrice, altre per le due donne dello
schermo, per la "donna gentile"...Tra esse possiamo ricordare Voi ch
'intendendo il terzo ciel movete, canzone in cui il poeta esprime il suo dissidio
fra l'amore per la morta Beatrice e il nuovo amore per la "donna gentile"; Amor
che che ne la mente mi ragiona, canzone in cui il poeta canta la vittoria del
nuovo amor per la "donna gentile".
Queste due ultime canzoni furono poi riprese e commentate allegoricamente
nel Convivio, allo scopro di identificare la "donna gentile" con la Filosofia
e salvare in tal modo la fedeltà a Beatrice.
2)Rime d'amore estranee all'atmosfera della Vita Nova, tra cui possiamo
ricordare il sonetto Guido, i' vorrei che tu e Lapo ed io, in cui il poeta fantastica
navigazioni per mari ignoti, in compagnia di Guido Cavalcanti, di Lapo Gianni e
delle rispettive donne.
Sono poi da ricorda altre rime ispirate a un realismo crudo e sensuale,
che si ricollegano a una tradizione italiana e provenzale di poesia sensuale e
che per l'insistente ritorno del nome "pietra", dietro cui si celerebbe la
donna che le ha ispirate, donna Pietra appunto, vengono comunemente
chiamate rime pietrose (o pietrose). La pietra simboleggia la durezza
d'animo di questa donna.
3)Rime di tono realistico, tra le quali possiamo a ricordare la cosiddetta
tenzone con Forese Donati, compagno di dissolutezze di Dante nel periodo
del traviamento. Si tratta di una tenzone nata probabilmente per scherzo, che
poi però si fa ricca di ingiurie. Dante rimprovera Forese per la
trascuratezza e la povertà in cui lascia la moglie, lo accusa di
ghiottoneria e di furto; Forese rimprovera a Dante guadagni illeciti e
viltà. I tre sonetti di Dante rivelano forza di invenzione e un'eccezionale
bravura tecnica ed espressiva.
4)Rime di carattere allegorico e dottrinale, ispirate ad argomenti più
specificamente dottrinali (esaltazione della filosofia, ideale della
rettitudine...) e animate da un vigoroso senso morale. Possiamo ricordare la
canzone Le dolci rime d'amor ch'i' solìa in cui Dante canta la vera nobiltà e la
canzone Tre donne intorno al cor mi son venute composta negli anni dell'esilio
in cui tre donne (allegorie della Giustizia universale, del Diritto Divino e del
Diritto Umano) cercano rifugio nel cuore di Dante.
Convivio

Il Convivio, composto tra il 1304 e il 1307, è un trattato scientifico-


filosofico in volgare: una specie di enciclopedia in cui Dante invita gli
uomini che non conoscono il latino a un simbolico banchetto di scienza
offrendo loro il commento letterale e allegorico ("pane") di tre canzoni
("vivande").
È un'opera importante perché per la prima volta, in campo scientifico e
filosofico, viene utilizzato il volgare al posto del francese o del latino; la
scienza viene così portata tra il popolo.
Dante avrebbe voluto scrivere il commento di quattordici canzoni già note al
pubblico in quattordici libri e un libro di introduzione; venne scritto solo il libro
di introduzione e il commento di tre canzoni, per cui in tutto il Convivio
comprende quattro trattati.
Le canzoni commentate sono:
-Voi che ' tendendo il terzo ciel movete, in cui il poeta esprime i contrasti del
suo animo incerto tra l'amore per la morta Beatrice e il nuovo amore per la
"donna gentile";
-Amor che ne la mente mi ragiona, dedicata anch'essa all'amore per la donna
gentile;
-Le dolci rime d'amor ch'i' solìa, in cui viene cantata la virtù della vera nobiltà.
L'opera rimase incompiuta forse perché l'autore si dedicò totalmente alla
stesura della Divina Commedia.

Nel primo trattato, di introduzione, sono da ricordare:

-l'apologia di se stesso, in cui Dante sottolinea la difficoltà della sua


condizione di esule;
-la difesa della lingua volgare.

Nel secondo trattato (che si propone di commentare la canzone Voi che '
tendendo il terzo ciel movete) ricordiamo:

-l'esposizione dei quattro sensi delle scritture: letterale allegorico,


morale, anagogico (o sovrasenso spirituale). Dante nel suo commento
interpreta gli scritti solo in senso letterale e allegorico;
-l'esposizione del sistema tolemaico, con la descrizione dei nove cieli, oltre
ai quali Dante, secondo la dottrina cattolica, ricorda anche l'Empireo, sede dei
beati;
-l'apologia del proprio amore per la "donna gentile", identificata con la
filosofia e non considerata una donna reale . Dante vuole salvare la fedeltà
del suo amore per Beatrice.

Nel terzo trattato, che si propone di commentare la canzone Amor che ne la


mente mi ragiona, è da rivelare il passo relativo alla teoria dell'amore:
l'Amore è la volontà, consapevole o inconsapevole dell'anima di unirsi
alla sua fonte prima, Dio. In questo libro si trova e oltre l'elogio alla
sapienza e l'esortazione a onorare gli studi di filosofia.

Nel quarto trattato che si propone di commentare la canzone Le dolci rime


d'amor ch'i' solìa, sono da rilevare i seguenti passi:

-l'esaltazione dell'Impero romano, ritenuto d'origine divina; per cui Dante


riconosce la necessità dell'autorità imperiale per il fine della felicità umana;
-l'esaltazione della nobiltà, intesa non come nobiltà di ricchezza e di
sangue, ma dote individuale, vera e propria nobiltà d'animo e di opere.
Nel complesso il Convivio è scritto in una prosa complessa e vigorosa,
sostenuta da una lucida trama concettuale è animata da un fervido tono
artistico, in cui si esprime l'intensità del l'insegnamento intellettuale e morale
di Dante.

De Vulgari Eloquentia

Composto contemporaneamente al Convivio tra il 1304 e il 1307, il De Vulgari


Eloquentia è un trattato linguistico in latino.
È un opera importante, perché apre nella letteratura italiana la questione
della lingua: Dante si propone di studiare il volgare illustre, in cui
dovevano essere scritte le rime e le prose di più alto stile.
Il trattato doveva consistere di quattro libri, ma rimase incompiuto: venne
scritto solo il primo libro e parte del secondo.
Nel primo libro Dante descrive le caratteristiche del linguaggio originario,
quello parlato da Adamo e, seguendo la Bibbia, fa risalire la confusione delle
lingue all'episodio della torre di Babele, al seguito del quale sorsero tre
gruppi di idiomi: il settentrionale, il meridionale e l'orientale
(germanico, neolatino e greco).
Nacque la necessità di trovare un linguaggio convenzionale e fisso, la
lingua latina.
Dante poi passa a studiare gli idiomi del gruppo meridionale: il
provenzale o lingua d'oc, il francese o lingua d'oïl, e l'italiano o lingua
del sì, soffermandosi sul volgare illustre.
Qui ha inizio la parte più interessante del trattato. Dante fornisce una
classificazione dei dialetti italiani, distinguendone quattordici tipi.
Il poeta ricerca poi tra essi l'essenza del volgare illustre (così
denominato perché dovrebbe illuminare tutti i volgari municipali),
detto anche cardinale (perché dovrebbe essere il cardine di tutti i
dialetti), aulico (cioè degno di essere parlato nell'eventuale aula o
corte regale d'Italia) e curiale (perché è proprio la corte o curia, tutto
ciò che regola le nostre azioni).
Dante pur avvertendo la presenza del volgare illustre in ogni dialetto italiano,
non lo rintraccia perfettamente in nessuno, neppure nel toscano. Tuttavia per
lui al modello del volgare illustre si avvicinano i poeti della scuola
siciliana, bolognese e toscana.
Visto che Dante lesse le rime dei siciliani e dei bolognesi in redazioni
toscane, il volgare illustre si può identificare con il fiorentino delle
persone colte, di cui parlerà molto tempo dopo Manzoni.

Il secondo libro è meno interessante. Dopo aver distinto tre stili poetici: il
tragico (sublime o elevato), il comico (mediano o mediocre) e l'elegiaco
(umile) prende in considerazione le forme metriche meglio rispondenti a
ciascuno stile; ma la trattazione si interrompe alla canzone, forma metrica
meglio corrispondente allo stile tragico, di cui vengono fissate le norme.
Con il De Vulgari Eloquentia, Dante ebbe il merito di affrontare risolutamente
per la prima volta il problema della lingua italiana, in seguito dibattuto a
lungo, attraverso i secoli, fino praticamente ai giorni nostri.

Monarchia

Trattato politico in latino, consistente in tre libri, composto con ogni


probabilità fra il 1310 e io 1313, in occasione della discesa di Arrigo VII in
Italia e del suo conflitto con Clemente V.
L'opera contiene il pensiero politico dell'autore e fornisce il sottinteso
ideale di tutta la Commedia (necessità dell'Impero universale e suoi
rapporti con la Chiesa), e Dante tende a dare alla politica italiana una base
razionale riconoscendo l'indipendenza dell'Impero dal potere
ecclesiastico.

Nel primo libro si sostiene la necessità dell'impero universale ai fini della


pace e della giustizia: solo in un regno di pace e di giustizia l'uomo può
raggiungere la felicità terrena, che consiste nella vita contemplativa.
Anche l'Italia con i suoi piccoli Stati deve essere subordinata all'Impero
universale: Dante ha il concetto dell'unità etnica, geografica e letteraria della
penisola, ma non della sua indipendenza politica.
Nel secondo libro si sostiene il diritto dell'Impero universale di risiedere
a Roma, per disegno provvidenziale: il popolo romano è un popolo
eletto come il popolo d'Israele; la sua storia è piena di miracoli; e mirò non
alla conquista, ma a diffondere nel mondo la giustizia.
A dimostrazione della predilezione divina verso il popolo romano, Dante ricorda
che Cristo volle nascere ed essere crocifisso sotto la giurisdizione dell'Impero
universale di Roma, proprio per riconoscere e sancirne l'effettiva legittimità e
autorità temporale.

Nel terzo libro si trova la parte più audacemente polemica e più


interessante dell'intera opera. Gli interpreti del diritto canonico sostenevano
che l'imperatore è subordinato al Papa, valendosi di argomenti biblici
(immagine del sole e della luna in cui la luna, cioè l'Impero, riceve la luce dal
sole, cioè dal papato) e di argomenti storici (donazione di Costantino).
Dante confuta questi argomenti: l'impero non è creazione del Papato, ma
deriva immediatamente da Dio. È innegabile, quindi, la separazione dei
due rispettivi poteri:
-l'Impero, o potere temporale, ha la funzione di guidare l'uomo civile
verso la felicità naturale, o terrena, per mezzo degli insegnamenti
filosofici e della ragione;
-la Chiesa, o potere spirituale, rappresenta la guida dell'uomo
spirituale verso la felicità soprannaturale, o celeste, per mezzo degli
insegnamenti teologici e delle verità rivelate.
In tal modo Dante combatte tanto la teoria guelfa che pretendeva l'impero
soggetto al Papato, quanto quella ghibellina, che sosteneva il contrario.
La Monarchia è un opera notevole, sostenuta da un pensiero vigoroso e
complesso, è animata da una fede vivissima e profonda nei più alti valori
della pace, della giustizia e della libertà. In essa Dante seppe esprimere, con
raro rigore intellettuale e con ardente partecipazione morale, i suoi più vivi
ideali politici e religiosi.

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