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Il periodo dell'esilio
Nel gennaio del 1302 Dante fu condannato con altri cittadini per il reato di
baratteria (un accusa allora comune contro gli avversari politici). La
condanna, che in realtà era motivata dall'avversione di Dante al pontefice
e a Carlo di Valois, comportava un'ammenda di 5000 fiorini, due anni di
confino e l'interdizione perpetua dagli uffici pubblici. Poiché non si presentò
entro i termini prescritti per discolparsi, la pena venne aggravata, commutata
nella confisca dei beni, nell'esilio perpetuo e, nel caso fosse caduto nelle
mani del Comune, nella condanna al rogo.
Cominciò così per Dante il duro e doloroso periodo dell'esilio, che durò fino
alla morte.
Tra il 1302 e il 1304 partecipò ad alcuni tentativi di parte bianca di rientrare in
Firenze.
I principali luoghi dell'esilio dantesco nei primi anni furono:
-Verona (1304-1306), dapprima presso Bartolomeo e poi Alboino della Scala
-la Lunigiana (1306-1307), presso i marchesi Malaspina
-il Casentino (1307-1308) presso i conti Guidi di Battifolle.
Nel 1301 l'imperatore Arrigo VII di Lussemburgo dopo un vuoto di potere di
più di mezzo secolo (dalla morte di Federico II in poi), discese in Italia per
risolvere le guerre civili di Lombardia e di Toscana e in genere per restaurare
l'autorità imperiale nella penisola.
Dante appoggiò l'impresa, sperando di poter tornare in patria.
L'impresa si concluse infelicemente a causa dell'ostilità di papà Clemente
V, che temeva un'egemonia imperiale in Italia e del re di Napoli, Roberto
d'Angiò. A questo si aggiunse la morte di Arrigo VII e Dante perse ogni
speranza di tornare a Firenze.
Tra il 1313 e il 1321 Dante continuò a peregrinare, ormai sfiduciato, per vari
luoghi della Toscana e dell'Italia settentrionale. I principali luoghi dell'esilio
dantesco negli ultimi anni furono:
-Lucca (1351) dove fu ospite di Uguccione della Faggiola, signore di Pisa e
Lucca e capo dei ghibellini di Toscana contro Firenze.
Nel frattempo il vicario di re Roberto d'Angiò in Firenze, emanò un decreto di
amnistia per i fuoriusciti, purché dessero una garanzia in denaro e accettassero
di essere "offerti" dal vescovo in S. Giovanni; Dante rifiutò sdegnosamente,
rinunciando per sempre a tornare nella sua città.
Nello stesso anno il comune di Firenze ribadì la condanna contro il poeta,
estendendola anche contro i suoi figli.
-Verona (1316-1318) presso Can Grande della Scala, vicario imperiale nella
Lombardia è ospite generoso di profughi
-Ravenna (1318-1321) dove Dante fu ospitato da Guido Novello da Polenta
poté trovare il suo ultimo rifugio.
Dante chiamò a sé anche i figli e i nipoti e ciò contribuì a rendergli
sereno i soggiorno a Ravenna.
Intanto la fama del poeta che stava attendendo alla stesura del Paradiso, si
levava sempre più alta nella stima e nella considerazione dei contemporanei.
Fu anche invitato a Bologna per essere incoronato poeta, ma rifiutò
perché avrebbe voluto esserlo a Firenze e perché non voleva lasciare
Ravenna.
Nel 1321 Guido affidò a Dante un'ambasceria a Venezia, che insidiava le terre
dei Da Polenta, ma, colpito da febbri malariche durante il viaggio di ritorno, il
poeta morì a Ravenna fra il 13 e il 14 settembre dello stesso anno. Il suo
corpo fu sepolto in una cappella presso la Chiesa di San Pier Maggiore (ora
San Francesco) a Ravenna.
La personalità dantesca
Le concezioni politiche
Le opere
Vita Nova
Rime
Nel secondo trattato (che si propone di commentare la canzone Voi che '
tendendo il terzo ciel movete) ricordiamo:
De Vulgari Eloquentia
Il secondo libro è meno interessante. Dopo aver distinto tre stili poetici: il
tragico (sublime o elevato), il comico (mediano o mediocre) e l'elegiaco
(umile) prende in considerazione le forme metriche meglio rispondenti a
ciascuno stile; ma la trattazione si interrompe alla canzone, forma metrica
meglio corrispondente allo stile tragico, di cui vengono fissate le norme.
Con il De Vulgari Eloquentia, Dante ebbe il merito di affrontare risolutamente
per la prima volta il problema della lingua italiana, in seguito dibattuto a
lungo, attraverso i secoli, fino praticamente ai giorni nostri.
Monarchia