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PAUL AUSTER,

VIAGGI NELLO SCRIPTORIUM.


Einaudi.
Titolo originale Traveh in the Scriplurtum.
Traduzione di Massimo Bocchiola.
© 2006 Paul Auster.
© 2007 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino-
www.einaudi.it.

In sopracoperta: Sam Messer, The Whole Story, olio su tela, 2001.

RISVOLTI.
Mr Blank è seduto su un letto, solo e in pigiama, in una stanza chiusa. Non sa perché si trova in
quella stanza, potrebbe essere una prigione o un ospedale, ma deve comunque affrontare le
microimprese con cui inizia ogni giornata: alzarsi dal letto, lavarsi, urinare e defecare, fare
colazione, vestirsi. Dopo, si trova di fronte all'arduo compito di scoprire qual è la sua storia. Chi è
Mr Blank?
Nella stanza ci sono pochi, essenziali arredi, ognuno contrassegnato da un'etichetta che ne riporta il
nome, e sul tavolo due pile di fogli stampati e una decina di fotografie. Nel corso della singola
giornata in cui si svolge la vicenda, Mr Blank riceve le telefonate e le visite di alcune delle persone
ritratte nelle fotografie: Anna Blume, un ex poliziotto di Scotland Yard, James P. Flood, Sophie
Fanshawe, il medico Samuel Farr - tutti omonimi di personaggi usciti da precedenti romanzi di Paul
Auster. Ma le facce e i nomi non dicono nulla a Mr Blank. Loro invece sembrano conoscerlo bene,
anzi, si aspettano qualcosa da lui, una qualche forma di risarcimento, di espiazione.
Tra una visita e l'altra Mr Blank legge uno dei dattiloscritti che trova sul tavolo. Si tratta della storia
di sapore fantapolitico di un uomo di nome Sigmund Graf, tenuto prigioniero in una cella
nell'avamposto militare di Ultima e minacciato di morte per aver violato i confini della
Confederazione ed essersi addentrato nei Territori Stranieri abitati dai Primitivi alla ricerca del
rivoltoso (o spia ?) Ernesto Land. Le avventurose vicende narrate nel dattiloscritto, opera di un
certo
John Irausc, si intrecciano in un modo misterioso con quelle di Mr Blank.
Tutti i suoi visitatori lo accusano di averli in passato inviati a compiere una non meglio specificata
«missione estremamente pericolosa».
Con un impianto narrativo a metà tMra una commedia di Pirandello e una piece beckettiana, Viaggi
nello Scrìptorìum affronta il tema della responsabilità morale dello scrittore nei confronti dei
personaggi d'invenzione. In una rarefatta atmosfera metafisica, alla fine, Mr Blank di venta un
personaggio al pari di tutti gli altri, imprigionato nella sua eterna vita di finzione dentro la stanza
chiusa.

Paul Auster è nato nel 1947 a Newark (New Jersey). Delle sue opere Einaudi ha in catalogo:
L'invenzione della solitudine, Trilogia di New York, Nel paese delle ultime cose, Moon Palace,
Leviatano, Mr Vertigo, Smoke &Blue in the Face, Lulu on the Bridge, Timbuctù, Sbarcare il
lunario, esperimento di verità, L'arte della fame, Ho pensato che mio padre fosse Dio, Il libro delle
illusioni, La notte dell'oracolo, Follie di Brooklyn e Gioco suicida. Nel 2006 sono uscite le poesie di
Affrontare la musica.

VIAGGI NELLO SCRIPTORIUM.

Il vecchio è seduto sull'orlo del piccolo letto con le ma-


ni appoggiate a palmi aperti sulle ginocchia, la testa bas-
sa, gli occhi al pavimento. Non si sogna nemmeno di pen-
sare che nel soffitto proprio sopra di lui sia nascosta una
macchina fotografica. A ogni secondo l'otturatore fa uno
scatto silenzioso, producendo ottantaseimilaquattrocento
fotogrammi per ogni rivoluzione della Terra. E anche se
il vecchio sapesse che lo stanno guardando, non cambie-
rebbe nulla. La sua mente è altrove, arenata tra le imma-
gini fittizie che gli affollano il cervello mentre cerca una
risposta alla domanda che lo ossessiona.

Chi è lui? Cosa ci fa qui? Quando è arrivato, e fino a


quando resterà? Con un po' di fortuna, il tempo ci dirà
tutto. Per ora, nostro unico compito è studiare con la mas-
sima attenzione le immagini senza voler dedurre conclu-
sioni premature.

Nella stanza c'è un certo numero di oggetti, e sulla su-


perficie di ciascuno è incollata una striscia di nastro ade-
sivo bianco con una sola parola scritta a stampatello. Per
esempio, sul comodino c'è la parola comodino. Sulla lam-
pada c'è la parola lampada. Anche sul muro, che non sa-
rebbe a rigore un oggetto, c'è una striscia di nastro con
scritto muro. Per un attimo il vecchio alza gli occhi, vede
il muro, vede il nastro attaccato al muro e dice piano la pa-
rola muro. Quello che a questo punto non possiamo sape-
re è se stia leggendo la parola sul nastro o se si riferisca
soltanto al muro in sé. Può darsi che abbia disimparato a
leggere, ma riconosca ancora le cose per quello che sono,
e sappia chiamarle con i loro nomi; o che, invece, abbia
perso la capacità di riconoscere le cose per quello che so-
no, ma sappia ancora leggere.

Ha indosso un pigiama di cotone a righe gialle e azzur-


re e un paio di ciabatte di pelle nera. Dove sia esattamen-
te, non gli è chiaro. Nella stanza, d'accordo, ma in quale
edificio si trova la stanza ? In una casa ? In un ospedale ?
In una prigione ? Non ricorda da quanto tempo sia qui, né
la natura delle circostanze che sono precipitate nel suo tra-
sferimento. Forse è sempre stato in questo luogo; forse ci
vive dal giorno della sua nascita. Sa soltanto di avere il
cuore gonfio per un implacabile senso di colpa. E nel con-
tempo non riesce ad allontanare l'idea di essere vittima di
una terribile ingiustizia.

Nella stanza c'è una finestra, ma ha la tendina abbas-


sata, e a quanto ricorda lui non ha ancora guardato fuori.
Lo stesso vale per la porta con il pomolo bianco di porcel-
lana. E chiuso dentro, o è libero di andare e venire come
vuole? Su questo il vecchio deve ancora indagare - per-
ché, come già si è detto nel primo paragrafo, la sua men-
te è altrove, alla deriva nel passato, mentre lui vaga tra i
fantasmi che gli affollano il cervello, spremendosi per ri-
spondere alla domanda che lo ossessiona.

Le immagini non mentono, ma neppure raccontano la


storia per intero. Sono mere testimoni, evidenze esterio-
ri del tempo che passa. Per esempio, non è facile stabilire
l'età del vecchio dalle immagini un po' sfocate in bianco e
nero. L'unica conclusione che si può trarre con sicurezza
è che non è giovane, ma la parola vecchio è un termine fles-
sibile, che può descrivere una persona di qualsiasi età com-
presa fra i sessanta e i cent'anni. Dunque d'ora in poi smet-
teremo l'epiteto di vecchio chiamando l'individuo nella
stanza Mr Blank. Per il momento, basterà il cognome.

Infine Mr Blank si alza dal letto, si sofferma brevemen-


te per trovare l'equilibrio e poi ciabatta fino alla scrivania
all'altro capo della stanza. Si sente stanco come se si fos-
se appena svegliato da una notte di sonno agitato e insuf-
ficiente, e il rumore delle suole delle ciabatte sull'assito
nudo gli ricorda il raschiare della carta vetrata. Remoto,
da lontano, da fuori della stanza, fuori dall'edificio che
contiene la stanza, sente il richiamo fioco di un uccello -
un corvo, forse, o un gabbiano, non sa dire.

Mr Blank abbassa il suo corpo sulla sedia della scriva-


nia. Decide che è una sedia comodissima, rivestita di mor-
bida pelle marrone e provvista di ampi braccioli per l'ap-
poggio di gomiti e avambracci, senza parlare dell'invisibi-
le congegno a molla che gli consente di dondolarsi avanti
e indietro a piacere: esattamente questo inizia a fare nel
momento in cui si siede. Dondolandosi avanti e indietro
Mr Blank si rasserena, e mentre continua a concedersi que-
ste simpatiche oscillazioni ricorda il cavallo a dondolo che
aveva da bambino nella sua cameretta; e comincia a rivi-
vere alcuni viaggi immaginari che faceva sempre su quel
cavallo, il cui nome era Whitey e che, nella mente del pic-
colo Mr Blank, non era un pezzo di legno pitturato di bian-
co, ma un essere vivente, un cavallo vero.

Dopo la breve puntata nella sua infanzia, Mr Blank sen-


te l'angoscia che torna a salirgli nella gola. Ad alta voce,
dice stancamente: Non posso permettere che succeda que-
sto. Poi tende il collo per esaminare i mucchi ordinati di
fogli e fotografie appoggiati sul piano della scrivania di mo-
gano. Prima prende le foto, tre dozzine di ritratti in bian-
co e nero formato 20 per 25 di uomini e donne di diverse raz-
ze ed età. La prima ritrae una ragazza sui vent'anni. Ha i
capelli scuri tagliati corti, e gli occhi guardano la lente con
un'espressione intensa e preoccupata. E in piedi all'aper-
to, in una città: forse una città dell'Italia o della Francia,
visto che si trova davanti a una chiesa medievale; e dato
che indossa una sciarpa e una giacca di lana, si può sensa-
tamente dedurre che sia stata fotografata in inverno. Mr
Blank fissa gli occhi della ragazza sforzandosi di ricordare
chi è. Dopo una ventina di secondi, sente se stesso dire una
sola parola: Anna. E si sente travolto da un'ondata di amo-
re. Si domanda se Anna sia una donna con cui è stato spo-
sato; o, invece, se non stia guardando una foto di sua figlia.
Un attimo dopo aver formulato questi pensieri è invaso da
un nuovo senso di colpa e capisce che Anna è morta. Peg-
gio, sospetta di essere lui il responsabile della sua morte.
Può anche darsi, dice fra sé, che l'abbia uccisa io.

Mr Blank geme di dolore. Guardare le foto è troppo


per lui, quindi le mette da parte e rivolge l'attenzione ai
fogli. Ce ne sono quattro risme in tutto, alte una quindi-
cina di centimetri. Senza nessun particolare motivo di cui
sia cosciente, prende la prima pagina dell'ultima risma a
sinistra. Le parole, manoscritte in uno stampatello simile
a quello delle strisce di nastro adesivo, dicono cosi:

Vista dalle più remote distanze spaziali, la Terra non è


più grande di un granello di polvere. Ricordatevelo, la
prossima volta che scriverete la parola «umanità».

Dal disgusto che si diffonde sul suo volto mentre esa-


mina queste frasi, possiamo essere abbastanza sicuri che
Mr Blank non ha disimparato a leggere. Ma chi possa es-
sere l'autore delle frasi, resta ancora da scoprire.

Mr Blank prende la seconda pagina della risma e vede


che si tratta di un testo dattiloscritto. Il primo paragrafo
dice:

Nel momento in cui ho cominciato a raccontare la mia


storia, mi hanno buttato a terra e hanno iniziato a darmi
calci in testa. Quando mi sono rialzato e ho ripreso a par-
lare, uno di loro mi ha colpito alla bocca, e un altro mi ha
sferrato un pugno nello stomaco. Sono andato giù. Sono
riuscito a rialzarmi di nuovo, ma proprio mentre comin-
ciavo per la terza volta a raccontare, il Colonnello mi ha
sbattuto contro il muro e ho perso i sensi.

La pagina contiene altri due paragrafi, ma Mr Blank non


fa in tempo a mettersi a leggere il secondo che squilla il te-
lefono. E un modello nero, a disco, di fine anni Quaranta,
o inizio Cinquanta, e sta sul comodino, quindi Mr Blank
deve alzarsi dalla sedia di pelle morbida e ciabattare all'al-
tro capo della stanza. Alza il ricevitore al quarto squillo.

Pronto, dice Mr Blank.

E Mr Blank ?, chiede la voce in linea.


Se lo dice lei.

È sicuro ? Non posso correre rischi.

Io non sono sicuro di niente. Se mi vuole chiamare Mr


Blank, risponderò a quel nome di buon grado. Con chi
parlo ?

Sono James.

Non conosco nessun James.

James P. Flood.

Mi faccia ricordare.

Sono venuto a trovarla ieri. Abbiamo passato due ore


insieme.

Oh. Il poliziotto.

Ex poliziotto.

Ah, già. L'ex poliziotto. Cosa posso fare per lei?

Vorrei rivederla.

Non le è bastata una conversazione ?

Oh, no. So di essere solo un personaggio secondario in


questa faccenda, ma mi hanno detto che avevo diritto di
vederla due volte.

Mi sta dicendo che non ho scelta.

Temo di no. Ma non è necessario che parliamo nella


stanza se non lo desidera. Se preferisce possiamo uscire e
andarci a sedere nel parco.

Non ho niente da mettere. Sono qui in pigiama e cia-


batte.

Guardi nell'armadio. Ha tutti i vestiti che le servono.

Ah, l'armadio. Grazie.

Ha già fatto colazione, Mr Blank ?

Non credo. Mi è permesso mangiare?


Tre pasti al giorno. Dunque... è ancora un po' presto,
ma fra poco dovrebbe arrivare Anna.
Anna ? Ha detto Anna ?

E la persona che si cura di lei.

Credevo fosse morta.

Non direi proprio.

Forse è un'altra Anna.

Ne dubito. Di tutte le persone coinvolte in questa sto-


ria, lei è l'unica che sia al cento per cento dalla sua parte.

E gli altri ?

Diciamo solo che c'è un bel po' di astio in giro, e fer-


miamoci qui.

Bisogna osservare che, oltre alla macchina fotografica,


c'è anche un microfono dissimulato in una delle pareti, e
ogni rumore fatto da Mr Blank viene riprodotto e conser-
vato da un registratore digitale a nastro ad alta sensibilità.
Il minimo gemito o singhiozzo, il minimo colpo di tosse o
la flatulenza più tenue che gli fuoriesca dal corpo sono dun-
que anche loro parte integrante della nostra cronaca. Inu-
tile dire che questi dati acustici comprendono anche le pa-
role in vario modo borbottate, dette o gridate da Mr Blank,
come per esempio la telefonata di James Flood riportata
sopra. Il colloquio termina con Mr Blank che cede a ma-
lincuore alla richiesta dell'ex poliziotto di andarlo a visi-
tare in mattinata. Posata la cornetta, Mr Blank si siede
sull'orlo del lettino in posizione identica a quella descrit-
ta nella frase iniziale di questa cronaca: a palmi aperti sul-
le ginocchia, testa bassa, occhi al pavimento. Si chiede se
non dovrebbe alzarsi in piedi e cercare l'armadio di cui ha
parlato Flood; e se non farebbe bene a togliersi il pigiama
e indossare qualche vestito, purché l'armadio esista e, se
esiste, purché contenga dei vestiti. Ma Mr Blank non ha
fretta di dedicarsi a queste banalità. Vuole tornare al dat-
tiloscritto che aveva iniziato a leggere prima di essere in-
terrotto dal telefono. Perciò si alza dal letto e fa un primo
passo esitante verso l'altro capo della stanza, sentendo nel
frattempo un improvviso capogiro. Capisce che se si osti-
na a stare ritto cadrà, ma anziché tornare al letto e seder-
cisi sopra fino a quando la crisi non sarà finita, accosta la
mano destra al muro, vi si appoggia con tutto il peso e pia-
no piano scende fino a terra. Ora in ginocchio, Mr Blank
si lascia cadere in avanti e pianta contro il pavimento an-
che i palmi delle mani. Malgrado il capogiro, è talmente ri-
soluto a raggiungere la scrivania che ci arriva carponi.

Quando riesce a issarsi sulla sedia di pelle, si dondola


qualche secondo avanti e indietro per distendere i nervi.
Malgrado gli sforzi fisici, si rende conto che riprendere a
leggere il dattiloscritto gli fa paura. Come mai lo abbia col-
to questa paura è una cosa che non sa spiegare. Sono solo
parole, dice fra sé, e da quando le parole hanno il potere
di spaventare quasi a morte un uomo ? Non riuscirà, mor-
mora a voce bassa, quasi impercettibile. Poi, per tranquil-
lizzarsi, ripete la medesima frase urlando con quanto fia-
to ha nei polmoni: non riuscirà!

Inspiegabilmente, l'improvvisa esplosione sonora gli dà


il coraggio di continuare. Respira a fondo, ferma gli occhi
sulle parole davanti a lui e legge i due paragrafi seguenti:

Da allora mi hanno sempre tenuto in questa stanza. Da


quel che posso capire, non si tratta di una classica cella, e
non sembra appartenere al carcere militare o alla prigione
di zona. E un piccolo spazio chiuso, più o meno tre metri
e mezzo per quattro e mezzo, e data la semplicità della co-
struzione (pavimento di terra, spessi muri di pietra), ho
idea che un tempo possa essere servito da magazzino per
derrate alimentari, magari sacchi di farina o granaglie. C'è
un'unica finestra con le sbarre alla sommità del muro occi-
dentale, ma è troppo in alto perché possa mettervi mano.
Dormo in un angolo, su una stuoia di paglia, e mi danno
due pasti al giorno: porridge freddo al mattino, minestra
tiepida e pane duro alla sera. Secondo i miei calcoli, mi
trovo qui da quarantasette notti. Ma potrei sbagliarmi.
Nei primi giorni in cella ho subito numerosi pestaggi, e
non ricordando quante volte ho perso i sensi - né la dura-
ta dei periodi di incoscienza quando mi è capitato - può
darsi che a un certo punto abbia perso il conto e non mi sia
accorto del sorgere di un sole o del tramonto di un altro.
Il deserto inizia appena fuori dalla mia finestra. Ogni
volta che il vento spira da ovest, sento il profumo dei ce-
spi di salvia e di ginepro, la vegetazione minima di quelle
aride distese. Là fuori io ho vissuto solo, per quasi quat-
tro mesi, vagando liberamente da un luogo all'altro, dor-
mendo all'aperto con ogni clima, e non mi è stato facile fa-
re ritorno dalla vastità di quelle lande ai miseri confini di
questa stanza. Posso resistere alla forzata solitudine, alla
mancanza di colloquio e contatti umani, ma spasimo per
vivere di nuovo nell'aria e nella luce, e passo i giorni affa-
mato di qualcosa da guardare oltre questi rugosi muri di
pietra. Di tanto in tanto dei soldati camminano sotto la
mia finestra. Sento i loro scarponi scricchiolare sul terre-
no, gli scoppi irregolari delle loro voci, il frastuono dei car-
ri e dei cavalli nella calura del giorno inaccessibile. Questa
è la guarnigione di Ultima: la propaggine più occidentale
della Confederazione, il posto al limite del mondo cono-
sciuto. Qui siamo a oltre duemila miglia dalla capitale, af-
facciati sulle distese incognite dei Territori alieni. Per leg-
ge, a nessuno è permesso di andarci. Io l'ho fatto perché
me l'avevano ordinato, e ora sono tornato per fare il mio
rapporto. Mi ascolteranno o non mi ascolteranno, poi mi
accompagneranno fuori e sarò fucilato. Di questo ora so-
no quasi sicuro. L'importante è non illudere me stesso, non
farmi tentare dalla speranza. Quando infine mi metteran-
no al muro e punteranno i fucili contro il mio corpo, l'u-
nica cosa che chiederò loro sarà di togliermi la benda da-
gli occhi. Non perché mi interessi vedere gli uomini che
mi uccideranno, ma perché voglio guardare ancora il cie-
lo. I miei desideri attuali sono tutti qui. Stare fuori, all'a-
perto, e alzare gli occhi all'immenso cielo azzurro sopra di
me, per guardare un'ultima volta l'infinito che urla.
Mr Blank smette di leggere. Anziché impaurito ora si
sente confuso, e anche se fino a qui ha compreso ogni pa-
rola del testo, non sa cosa pensarne. E un vero rapporto?,
si domanda; e che dire del paese detto la Confederazione,
con la sua guarnigione di Ultima e i misteriosi Territori alie-
ni... ? e perché questa prosa in stile ottocentesco ? Mr Blank
sa bene di non avere affatto la mente a posto, sa di non
sapere un bel niente del luogo in cui si trova e dei motivi
per cui vi si trova, ma è abbastanza sicuro che il momen-
to attuale si collochi grossomodo agli inizi del xxi secolo,
e di vivere in un paese chiamato Stati Uniti d'America.
Quest'ultimo pensiero gli ricorda la finestra, o a essere pre-
cisi la tendina della finestra, su cui è stata attaccata una stri-
scia di nastro adesivo bianco con la parola tendina. Pre-
mendo le piante dei piedi sul pavimento e le braccia sui
braccioli della sedia di pelle, ruota di novanta-cento gradi
a destra per dare un'occhiata alla tendina suddetta - per-
ché la sedia può non solo dondolare avanti e indietro, ma
anche girare in tondo. Quest'ultima scoperta fa talmente
piacere a Mr Blank che al momento dimentica perché pri-
ma volesse guardare la tendina della finestra, e si abban-
dona al tripudio per la finora ignota prerogativa della se-
dia. Gira in tondo una volta, poi due volte, poi tre, e nel
frattempo ricorda quando era bambino e si sedeva sulla se-
dia del barbiere, e anche il barbiere Rocco lo faceva girare
in questo modo prima e dopo avergli tagliato i capelli. For-
tunatamente, quando Mr Blank si calma la sedia è circa nel-
la stessa posizione dell'istante in cui aveva cominciato a gi-
rare in tondo, quindi si trova a guardare di nuovo la tendi-
na della finestra; e ancora Mr Blank, dopo questo piacevole
intermezzo, si domanda se non farebbe meglio ad accostarsi
alla finestra stessa, ad alzare la tendina e a guardare fuori
per vedere dov'è. Forse non è più in America, dice fra sé,
ma in qualche altro paese, rapito a notte fonda da agenti
segreti che lavorano per una potenza straniera.
D'altra parte la triplice rivoluzione sulla sedia gli ha la-
sciato un bel capogiro, e Mr Blank è titubante a muoversi
dal suo posto, temendo il ripetersi dell'episodio che pochi
minuti prima lo ha costretto ad attraversare la stanza car-
poni. Ciò che Mr Blank adesso ancora non sa è che la se-
dia di pelle, oltre a basculare avanti e indietro e a girare in
tondo, è anche dotata di quattro rotelle che gli rendereb-
bero possibile transitare fino alla tendina della finestra sen-
za il problema di alzarsi. Ignaro di poter disporre di altri
mezzi di propulsione oltre alle gambe, Mr Blank resta lì
dov'è, seduto sulla sedia, dando la schiena alla scrivania,
gli occhi sull'ex bianca ma ora sempre più ingiallita tendi-
na della finestra, tentando di ricordare la sua conversazio-
ne pomeridiana con l'ex poliziotto James P. Flood. Esplo-
ra la sua mente in cerca di un'immagine, di qualche indi-
zio sull'aspetto dell'uomo; ma la mente, anziché evocare
qualche figura distinta, è di nuovo sopraffatta da una pa-
ralizzante sensazione di colpa. Tuttavia, prima che questa
nuova ondata di tormento e terrore possa lievitare in pa-
nico vero e proprio, Mr Blank sente che qualcuno sta tam-
burellando alla porta, e poi un rumore di chiave entrata
nella serratura. Significa che Mr Blank è prigioniero nel-
la stanza, impossibilitato a uscirne se non per grazia e ca-
rità di altri? Non necessariamente. Può anche darsi che
Mr Blank abbia chiuso la porta dall'interno, e che la per-
sona che ora cerca di entrare nella stanza debba far scat-
tare la serratura per varcare la soglia, risparmiando cosi a
Mr Blank la noia di alzarsi per aprire lui stesso.

Sia come sia, la porta ora si apre ed entra una donna pic-
cola, di età indefinibile - tra i quarantacinque e i cin-
quantanni, a occhio di Mr Blank, ma è difficile essere si-
curi. Porta i capelli grigi corti, un paio di calzoni blu e una
camicetta di cotone azzurra; e la prima cosa che fa una vol-
ta entrata nella stanza è sorridere a Mr Blank. Questo sor-
riso, che sembra unire tenerezza e affetto, scioglie le sue
paure ponendolo in uno stato di sereno equilibrio. Mr Blank
non ha idea di chi lei sia, ma è comunque contento di ve-
derla.

Ha dormito bene?, gli chiede la donna.

Non so, risponde Mr Blank. A essere sincero, non mi


ricordo se ho dormito o no.

Bene. Significa che la cura sta facendo effetto.

Anziché commentare questa frase enigmatica, Mr Blank


studia in silenzio la donna per qualche istante e poi le chie-
de: Mi scusi se le sembro sciocco, ma lei per caso si chia-
ma Anna ?

La donna gli rivolge un altro tenero e affettuoso sorri-


so. Sono contenta che l'abbia tenuto a mente, dice. Ieri
continuava a scordarselo.

All'improvviso perplesso e irrequieto, Mr Blank ruota


sulla sedia di pelle fino a trovarsi davanti alla scrivania,
poi prende il ritratto della ragazza dal mucchietto delle fo-
to in bianco e nero. Prima che possa voltarsi di nuovo a
guardare la donna il cui nome risulta essere Anna, lei è rit-
ta accanto a lui con la mano delicatamente posata sulla sua
spalla, e a sua volta osserva la foto.

Se lei si chiama Anna, dice Mr Blank con la voce tre-


mante di emozione, questa chi è ? Si chiama Anna anche
lei, non è vero ?

Si, risponde la donna scrutando il ritratto come se ricor-


dasse qualcosa con sentimenti uguali ma contrari, di ripul-
sa e nostalgia. Questa è Anna. E anch'io sono Anna. Que-
sta è una mia foto.

Ma, balbetta Mr Blank, ma... la ragazza nella fotogra-


fia è giovane. E lei... lei ha i capelli bianchi.

È il tempo, Mr Blank, dice Anna. Lei capisce il signi-


ficato del tempo, non è vero ?

Prima che Mr Blank possa rispondere, Anna ripone il


ritratto di lei stessa più giovane sul mucchio delle foto-
grafie.

La sua colazione si raffredda, gli dice, ed esce dalla stan-


za senza dire altro ma un momento dopo ritorna, spingendo
un carrello d'acciaio inossidabile con un vassoio di cibi che
ferma di fianco al letto.

Il rancio consiste in succo d'arancia, una fetta di pane


tostato e imburrato, due uova in camicia in una piccola
scodella bianca e un bricco di tè Earl Grey. A suo tempo
Anna aiuterà Mr Blank ad alzarsi dalla sedia e lo accom-
pagnerà al letto, ma prima gli porge un bicchiere d'acqua
e tre pastiglie: una verde, una bianca e una viola.

Perché questa roba?, domanda Mr Blank. Cos'ho, so-


no malato ?

No, no, risponde Anna. Le pastiglie fanno parte del


trattamento.
Ma io non mi sento male. Forse sono un po' stanco, ho
qualche capogiro, ma per il resto niente di serio. Per la mia
età, proprio niente di che.

Prenda le sue pastiglie, Mr Blank. Cosi poi potrà fare


colazione. Sono sicura che ha molta fame.

Ma io non voglio le pastiglie, si impunta Mr Blank. Vi-


sto che non sono malato, non voglio trangugiare queste
pillole maledette.

Invece di rispondere per le rime alla reazione aggressi-


va e villana di Mr Blank, Anna si china e lo bacia sulla
fronte. Caro Mr Blank, dice. Lo so come si sente... ma ha
promesso che prenderà le pastiglie ogni giorno. Era l'ac-
cordo. Se non le prende, il trattamento non sarà efficace.

L'ho promesso ?, domanda Mr Blank. Come faccio a sa-


pere che dice la verità ?

Perché sono io, Anna, e non le mentirei mai. Le voglio


troppo bene.

Le parole «le voglio bene» mitigano la caparbietà di Mr


Blank, che opta d'istinto per una retromarcia. Okay, di-
ce, prenderò le pastiglie. Ma solo se mi bacia un'altra vol-
ta. D'accordo ? Però stavolta dev'essere un bacio vero. Sul-
le labbra.

Anna sorride, poi si china di nuovo e bacia Mr Blank,


inequivocabilmente sulle labbra. Dato che il bacio dura
almeno tre secondi, si qualifica come qualcosa di più di un
semplice bacetto, e anche se non coinvolge le lingue que-
sto contatto intimo propaga nel corpo di Mr Blank un fre-
mito di eccitazione. Quando Anna si rialza, lui ha già co-
minciato a inghiottire le pastiglie.

Ora sono seduti fianco a fianco sull'orlo del letto. Il


carrello delle vivande è davanti a loro, e mentre Mr Blank
beve il succo d'arancia, mangia un morso di pane tostato e
assaggia il tè, Anna gli accarezza dolcemente la schiena con
la mano sinistra, cantando a bocca chiusa una canzone che
lui non riesce a identificare ma sa di conoscere bene, o di
averla ben conosciuta un tempo. Poi passa alle uova in ca-
micia, forando uno dei tuorli con la punta del cucchiaio e
raccogliendo nel suo cavo una modica combinazione di ros-
so e bianco; ma quando deve portare il cucchiaio alla boc-
ca, vede con sgomento che la mano gli trema. E non è so-
lo un tremito leggero, bensì un sussulto accentuato e con-
vulso, che non può controllare. Prima che il cucchiaio si
sia alzato di quindici centimetri dalla ciotola, lo spasmo è
cosi violento che gran parte della poltiglia bianca e gialla
è schizzata sul vassoio.

Permette che le tenga io il cucchiaio?, chiede Anna.

Che cos'ho?

Niente di grave, risponde lei con un buffetto tranquil-


lizzante sulla schiena. Una reazione naturale alle pastiglie.
Passerà in qualche minuto.

Bella cura che mi avete inventato, qui, borbotta Mr


Blank con voce tetra, di autocommiserazione.

E tutto a fin di bene, dice Anna. E non durerà per sem-


pre. Mi creda.

Allora Mr Blank lascia che Anna lo imbocchi, e men-


tre lei, con calma, gli somministra le uova in camicia a cuc-
chiaiate, gli accosta alle labbra la tazza di tè e gli asciuga
la bocca con un tovagliolo di carta, Mr Blank comincia a
pensare che Anna non sia tanto una donna quanto un an-
gelo o, piuttosto, un angelo in forma di donna.
Perché è tanto gentile con me?, le chiede.

Perché le voglio bene, dice Anna. E semplicissimo.

Ora che la colazione è finita è il momento delle escre-


zioni, delle abluzioni e di cambiarsi i vestiti. Anna scosta
dal letto il carrello e tende la mano a Mr Blank per aiu-
tarlo ad alzarsi in piedi. Con suo grande stupore, lui si ri-
trova ritto davanti a una porta, una porta la cui presenza
finora gli era sfuggita; e appiccicata alla superficie della
porta c'è un'altra striscia bianca con la parola bagno. Mr
Blank si domanda come abbia potuto non notarla, perché
è li, a pochi passi da lui; ma come il lettore avrà già capi-
to, i suoi pensieri sono stati quasi sempre altrove, persi
nelle nebbie di un mondo di figure fantasmatiche e me-
morie interrotte, alla ricerca di una risposta alla domanda
che lo ossessiona.

Deve andare?, chiede Anna.

Andare?, risponde lui. Andare dove?

In bagno. Deve usare la toilette?

Ah. La toilette. Si. Ora che me lo dice, credo sia meglio.

Desidera che l'aiuti, o fa da solo?


Non sono sicuro. Proviamo un po', e vediamo che co-
sa succede.

Anna gira per lui il pomolo bianco di porcellana e la


porta si apre. Quando Mr Blank ciabatta dentro il ba-
gno bianco e privo di finestre, con il pavimento a pia-
strelle bianche e nere, Anna chiude la porta alle sue spal-
le e per qualche istante Mr Blank resta semplicemente li
seduto a guardare la tazza bianca contro la parete più in
là, sentendosi d'un tratto quasi monco, smanioso di es-
sere nuovamente con Anna. Alla fine bisbiglia fra sé: Un
po' di grinta, vecchio mio. Ti stai comportando come un
bambino. E tuttavia, anche mentre si avvicina alla tazza
e comincia a calarsi i calzoni del pigiama, sente una tre-
menda voglia di piangere.

I calzoni gli ricadono sulle caviglie; lui si siede sul water;


la sua vescica e i suoi intestini si apprestano a scaricare i
liquidi e i solidi trattenuti. L'orina gli zampilla dal pene,
gli sgusciano dall'ano un primo e poi un secondo pezzo di
feci, e liberarsi cosi è una sensazione tanto piacevole che
dimentica la tristezza in cui era caduto pochi attimi pri-
ma. Chiaro che so cavarmela da solo, dice fra sé. Lo ha
sempre fatto fin dall'infanzia, e quando si tratta di pisciare
e cacare non è meno abile di chiunque altro al mondo. Non
solo: è anche un maestro nel pulirsi il sedere.

Lasciamo che Mr Blank si goda il suo piccolo momento


di onnipotenza, perché malgrado il successo nella prima fa-
se dell'operazione, la seconda non fila altrettanto liscia, pro-
prio no. Rialzarsi dal water e tirare lo sciacquone è un gio-
co da ragazzi, ma dopo averlo fatto si rende conto di avere
ancora i calzoni del pigiama arrotolati alle caviglie, e per ti-
rarli su deve o chinarsi in avanti o accovacciarsi e afferrar-
li per la vita con le mani. Né chinarsi né accovacciarsi so-
no operazioni che oggi gli riescono particolarmente agevo-
li, ma infine fra le due teme di più l'atto di chinarsi, conscio
della possibilità di perdere l'equilibrio una volta abbassata
la testa; e temendo, se in effetti perdesse l'equilibrio, di ca-
dere sul pavimento e rompersi la testa contro le piastrelle
bianche e nere. Decide quindi che il minore dei mali è ac-
covacciarsi, pur non essendo affatto sicuro che le ginocchia
reggeranno lo sforzo cui le sottoporrà. Ma non sapremo mai
se avrebbero retto. Avvisata dal rumore dello sciacquone,
Anna - sicura che Mr Blank ha finito di fare quello che do-
veva fare - apre la porta ed entra nel bagno.

Si potrebbe pensare che Mr Blank sia in imbarazzo per-


ché si trova in una posizione cosi compromettente (in pie-
di con le braghe arrotolate, il pene moscio pendulo fra le
gambe nude e scarne), e invece no. Mr Blank non è preda
di falsi pudori alla presenza di Anna. Semmai, è ben con-
tento di mostrarle quello che ha da mostrarle, e anziché rat-
trappirsi in tutta fretta per tirare su i calzoni, comincia a
sbottonarsi la giacca del pigiama per togliere anche quella.

Adesso farei il bagno, annuncia.


Un bagno vero e proprio nella vasca, chiede lei, o solo
unajavata con la spugna ?

È uguale. Decida lei.

Anna guarda l'orologio e dice: Meglio solo la spugna. Si


sta facendo tardi, e devo ancora vestirla e rifare il letto.

A questo punto, Mr Blank si è tolto sia la giacca sia i cal-


zoni del pigiama, nonché le ciabatte. Per nulla turbata dal-
la vista del corpo nudo del vecchio, Anna si avvicina alla taz-
za, abbassa il coperchio del sedile e gli dà un paio di botta-
relle con il palmo della mano, invitando Mr Blank a sedersi.
Mr Blank si siede, quindi Anna si accomoda al suo fianco
sull'orlo della vasca da bagno, apre l'acqua calda e si mette
a bagnare un guanto di spugna bianco sotto il rubinetto.

Nel momento in cui Anna comincia a toccare il corpo


di Mr Blank con la spugna calda e saponosa, lui cade in
una trance di languida passività, assaporando la sensazio-
ne delle mani delicate di lei. Anna parte dall'alto e scen-
de piano piano, lavando le orecchie e dietro le orecchie,
il collo davanti e dietro, facendolo voltare sul sedile del
water per muovere il guanto su e giù lungo la schiena, e
quindi rivoltare per ripetere la stessa operazione sul pet-
to, fermandosi ogni quindici secondi circa per bagnare il
guanto sotto il rubinetto, ora aggiungendovi altro sapone
e ora risciacquandolo, a seconda che stia lavando una spe-
cifica parte del corpo di Mr Blank o togliendo il sapone
da una zona appena pulita. Mr Blank chiude gli occhi, la
testa di botto svuotata degli esseri-ombra e dei terrori che
lo hanno ossessionato dal primissimo paragrafo di questa
cronaca. Nel momento in cui il guanto è sceso fin giù al
ventre, il suo pene ha cominciato a cambiar forma, allun-
gandosi, ingrossandosi e giungendo a una parziale erezio-
ne; e Mr Blank si sorprende che, essendo cosi avanti ne-
gli anni, il suo pene persista a comportarsi come ha sem-
pre fatto, senza mai modificare la sua condotta dalla prima
adolescenza. Da allora tante cose per lui sono cambiate,
ma non questa, non questa sola cosa; e adesso che Anna
ha posto il guanto a diretto contatto con quel pezzo del
suo corpo, se lo sente indurire fino all'estensione comple-
ta, e quando lei procede a frizionarlo e accarezzarlo con,
l'acqua calda piena di bollicine, è già tanto che si tratten-
ga dal pregarla a gran voce di completare l'opera.
Oggi è vispo, vero Mr Blank?, dice Anna.

Temo di si, sussurra Mr Blank, con gli occhi ancora


chiusi. Non posso farci nulla.

Se fossi in lei, sarei fiero di me. Non tutti gli uomini


della sua età sono ancora... ancora capaci di tanto.

Ma io non c'entro. Il coso ha vita propria.

D'un tratto il guanto si sposta sulla sua gamba destra.


Prima che Mr Blank possa prendere atto della propria de-
lusione, sente la mano nuda di Anna scivolare su e giù lun-
go la ben lubrificata erezione. La destra non ha smesso di
detergerlo con il guanto, ma la sinistra ora si presta a elar-
girgli quest'altro favore, e proprio mentre soccombe alle
esperte manipolazioni della sinistra, lui si domanda cosa
avrà mai fatto per meritare un trattamento tanto generoso.

Quando il seme sprizza fuori Mr Blank ansima, e solo


allora, ad atto compiuto, apre gli occhi e si volge verso An-
na. La quale non è più seduta sull'orlo della vasca, ma sta
inginocchiata sul pavimento davanti a lui, ad asciugargli
l'eiaculato con il guanto. E a testa bassa, quindi non può
vederle gli occhi, ma - lo stesso - allunga la mano destra
a toccarle la guancia sinistra. Qui Anna alza lo sguardo, e
appena gli occhi si incontrano gli fa un altro dei suoi te-
neri e affettuosi sorrisi.

Com'è buona con me, dice lui.

Voglio che sia felice, risponde lei. Sta attraversando un


periodo difficile, e se nel frattempo può avere almeno qual-
che attimo di godimento, sono felice di aiutarla.

Io le ho fatto qualcosa di tremendo. Non so che cosa


sia, ma qualcosa di tremendo... di indicibile, di imper-
donabile. E lei è qui che si prende cura di me come fossi
un santo.
La colpa non è stata sua. Lei ha fatto il suo dovere, e
io non voglio vendicarmi ai suoi danni.

Ma lei ha sofferto. Io l'ho fatta soffrire, vero?

Si, atrocemente. Ho rischiato di non venirne fuori.

Cosa le ho fatto?

Mi ha mandato in un luogo pericoloso, un luogo dispe-


rato, un luogo di distruzione e di morte.
Che cos'era? Una specie di missione?

Si, forse si può definire cosi.

Era giovane allora, vero? La ragazza nella foto.

Si.

Lei era bellissima, Anna. Adesso è un po' invecchiata,


ma la trovo ancora bella. Praticamente perfetta, non so se
mi spiego.

Ora non esageri, Mr Blank.

Non esagero. Se qualcuno mi dicesse che dovrò guar-


darla ventiquattro ore al giorno per tutta la vita che mi re-
sta, credo che non avrei nulla da obiettare.

Anna sorride di nuovo, e di nuovo Mr Blank le sfiora


la guancia sinistra con la mano destra.

Quanto tempo è rimasta in quel luogo?, le chiede.

Qualche anno. Molto più di quello che mi aspettavo.

Però ne è uscita.

Alla fine, si.

Mi vergogno molto.

Ma non deve. Mi creda, Mr Blank, senza di lei, io non


sarei nessuno.

Però...

Nessun pera. Lei non è come gli altri uomini. Ha sacri-


ficato la vita per una cosa più grande di lei, e tutto quello
che ha fatto o non ha fatto non è mai stato dettato dall'e-
goismo.

A lei è mai capitato di innamorarsi, Anna ?

Qualche volta.

E sposata?

Lo ero.
Era?
Mio marito è morto tre anni fa.

E come si chiamava ?

David. David Zimmer.

Come è morto ?
; Era malato di cuore.

Sono io il responsabile anche di questo, vero ?

Oh, no... solo indirettamente.

Mi spiace molto.

Ma no... Prima di tutto, senza di lei non avrei mai co-


nosciuto David. Le assicuro, Mr Blank, che non è colpa
sua. Uno fa quel che deve, e poi le cose capitano. Quelle
belle, e anche quelle brutte. La vita è cosi. A volte siamo
noi quelli a cui succede di soffrire, ma c'è un motivo per
questo, un buon motivo, e chiunque se ne lagni non capi-
sce cosa vuol dire essere vivi.

Va notato che nel pavimento del bagno sono stati na-


scosti una seconda telecamera e un secondo registratore,
rendendo possibile anche la registrazione di tutte le atti-
vità che avvengono in quello spazio; e dato che tutte è un
termine assoluto, la trascrizione del colloquio fra Anna e
Mr Blank può essere verificata nei minimi dettagli.

Il lavaggio con la spugna si prolunga ancora per qual-


che minuto, e quando Anna ha finito di lavare e sciacquare
le altre parti del corpo di Mr Blank (gambe, davanti e die-
tro; caviglie, piedi e dita dei piedi; braccia, mani e dita
delle mani; scroto, natiche e ano), prende un accappatoio
di spugna nero appeso a un gancio nella porta e aiuta Mr
Blank a indossarlo. Poi raccoglie il pigiama a righe gialle
e azzurre ed esce nell'altra stanza, badando a lasciare la
porta aperta. Mentre Mr Blank, ritto davanti al piccolo
specchio sopra il lavabo, si fa la barba con un rasoio elet-
trico a batteria (per ovvi motivi le lame e lamette tradi-
zionali sono vietate), Anna ripiega il pigiama, rifa il letto
e apre l'armadio per scegliere gli indumenti di Mr Blank
per la giornata. Si muove svelta e pratica, come se doves-
se recuperare il tempo perduto. Sbriga queste faccende co-
si in fretta che quando Mr Blank finisce di radersi e pas-
sa nell'altra stanza, vede con meraviglia i suoi vestiti già
distesi sul letto. Memore del colloquio con James P. Flood
e della menzione della parola armadio, sperava di trovare
Anna nell'atto di aprire lo sportello dell'armadio, purché
l'armadio esista, dandogli modo di scoprirne l'ubicazione.
Ora, guardando la stanza, non ne vede traccia, e un altro
mistero rimane insoluto.

Ovviamente potrebbe chiedere dov'è ad Anna, ma


quando la vede li seduta sul letto, che gli sorride, la com-
mozione di ritrovarsi in sua presenza è tale che dimentica
la domanda.

Ora sto cominciando a ricordarmi di lei, dice. Non tut-


to, ma dei piccoli flash, spizzichi e bocconi. La prima vol-
ta che l'ho vista ero molto giovane, vero?

Ventun anni, più o meno, risponde Anna.

Ma continuavo a perderla. C'era per qualche giorno, e


poi spariva. E passato un anno, poi due, poi quattro, e poi
all'improvviso è rispuntata fuori.

E perché non sapeva che farsene di me. Ci ha messo un


sacco di tempo a capirlo.

E poi l'ho inviata in quella... in quella sua missione.


Ricordo che ero atterrito per lei. Ma ai tempi era una ve-
ra combattente, giusto ?

Una ragazza tosta e piena di vita, Mr Blank.

Esatto. E fu questo che mi diede speranza. Se non fos-


se stata una persona ricca di risorse, non ce l'avrebbe mai
fatta.

Ora l'aiuto a vestirsi, dice Anna, guardando l'orologio.


Il tempo corre.

La parola corre riporta a Mr Blank i suoi capogiri e le pre-


cedenti difficoltà di deambulazione; ma ora, nel percorre-
re la breve distanza dalla porta del bagno fino al letto, si
rincuora perché il suo cervello è lucido e non si sente a ri-
schio di cadute. Senza elementi a confermare l'ipotesi, at-
tribuisce questo progresso all'angelica, benigna Anna, al
semplice fatto che negli ultimi venti o trenta minuti sia sta-
ta li in sua compagnia, irradiando l'affetto che lui deside-
ra disperatamente.

Scopre che gli abiti sono tutti bianchi; pantaloni bian-


chi di cotone, camicia bianca con bottoni al colletto, boxer
bianchi, calzini di nylon bianchi e scarpe da tennis bianche.

Che strano assortimento, osserva Mr Blank. Sembrerò


un gelataio.
Era un'espressa richiesta, risponde Anna. Di Peter
Stillman. Non il padre, il figlio, Peter Stillman Junior.

E chi è?

Non ricorda ?

Temo di no.

Un altro dei suoi subalterni. Quando lo inviò in mis-


sione, doveva essere tutto vestito di bianco.

Quante persone ho inviato ?

Centinaia, Mr Blank. Ho perso il conto.

Va bene. Andiamo avanti. Tanto, non credo faccia dif-


ferenza.

Senza altri indugi, scioglie la cintura dell'accappatoio


e lo lascia cadere sul pavimento. Ancora, si ritrova nu-
do di fronte ad Anna, senza avvertire il minimo imba-
razzo o pudore. Sbirciando in basso e indicando il suo
pene, dice: Guardi com'è piccolo. Mr Big non è più tan-
to big, eh ?

Anna sorride e picchietta con il palmo della mano sul


letto invitandolo a sedersi accanto a lei. Mentre si siede,
Mr Blank è nuovamente proiettato a ritroso verso la pri-
ma infanzia, verso i tempi di Whitey il cavallo a dondolo
e dei loro lunghi viaggi fra i deserti e le montagne del Far
West. Pensa a sua madre, ricorda che lo vestiva cosi nel-
la camera al primo piano, mentre il sole del mattino fil-
trava sghembo dalle veneziane, e d'un tratto, intuendo che
sua madre è morta, probabilmente da tanto tempo, si chie-
de se Anna non sia in un certo modo diventata per lui una
nuova madre, sia pure a questa età ormai avanzata, per-
ché altrimenti come potrebbe sentirsi tanto bene in sua
compagnia, mentre di solito il suo corpo lo rende cosi ti-
mido e impacciato di fronte agli altri ?

Anna scende dal letto e si accovaccia davanti a Mr


Blank. Comincia dai calzini, infilandone prima uno al pie-
de sinistro e poi l'altro al destro; poi passa alle mutande,
che gli fa scivolare lungo le gambe e, mentre lui si alza in
piedi per agevolarle il lavoro, su fino alla vita, occultando
cosi l'ex Mr Big, il quale senza dubbio fra non molte ore
si rialzerà di nuovo per ribadire il suo dominio su Mr Blank.

Mr Blank per la seconda volta si siede sul letto, e l'o-


perazione viene ripetuta con i calzoni. Quando si siede per
la terza volta, Anna gli mette ai piedi le scarpe sportive,
prima la sinistra e poi la destra, e subito comincia ad an-
nodare i lacci, prima alla destra e poi alla sinistra. Dopo-
diché, si rialza e si siede sul letto accanto a Mr Blank, per
aiutarlo a mettere la camicia: prima gli guida il braccio si-
nistro nella manica sinistra, poi il braccio destro nella ma-
nica destra, e infine l'abbottona dal basso verso l'alto; e
durante la lenta e laboriosa operazione, i pensieri di Mr
Blank sono altrove, sono tornati nella sua cameretta con
Whitey e la mamma, al ricordo che lei gli faceva le stesse
cose con la stessa amorevole pazienza, tanti e tanti anni
prima, nei lontani inizi della sua vita.

Ora Anna se n'è andata. Il carrello d'acciaio inossida-


bile non c'è più, la porta è stata chiusa, e Mr Blank è di
nuovo solo nella stanza. Tutte le domande che aveva in-
tenzione di farle - sull'armadio, sul dattiloscritto che par-
la della cosiddetta Confederazione, sul dubbio se la por-
ta sia chiusa dall'esterno o no - sono rimaste inespresse,
quindi Mr Blank non è meno ignorante riguardo a cosa ci
faccia qui di quanto fosse prima dell'arrivo di Anna. Per
intanto è seduto sull'orlo del lettino, i palmi delle mani
aperti sulle ginocchia, la testa bassa, lo sguardo al pavi-
mento; ma presto, appena avrà la forza di volontà per far-
lo, si alzerà dal letto e si riavvicinerà alla scrivania per
spulciare il mucchietto di foto (purché trovi il coraggio di
rimettersi davanti a quelle immagini) e proseguirà nella
lettura del dattiloscritto sull'uomo prigioniero nella stan-
za a Ultima. Ma per ora non fa nient'altro che sedere sul
letto e struggersi per Anna, che vorrebbe ancora li insie-
me a lui, per abbracciarla e tenerla stretta.

Adesso si è rialzato in piedi. Prova a trascinarsi verso


la scrivania, ma si è dimenticato che non ha più le ciabat-
te, e la suola di gomma della scarpa da tennis sinistra gli
si incolla al parquet - in maniera talmente repentina e im-
prevista che Mr Blank perde l'equilibrio e rischia di cade-
re. Al diavolo, fa, al diavolo queste stronzate di scarpe
bianche. Vorrebbe togliere le scarpe da tennis e rimetter-
si le ciabatte, ma le ciabatte sono nere, e con queste ai pie-
di non sarebbe più tutto vestito di bianco, come invece
Anna gli ha richiesto esplicitamente - in omaggio alla pre-
tesa di un certo Peter Stillman Junior, chiunque esso sia.

Poi Mr Blank abbandona il passo strascicato che gli ve-


niva comodo con le ciabatte e va verso la scrivania a un'an-
datura più o meno normale. Non certo il passo nervoso,
tacco-e-punta, che si vede nelle persone giovani ed ener-
giche, ma un procedere lento e appesantito, per cui Mr
Blank solleva un piede da terra di tre o quattro centime-
tri, proietta avanti la gamba collegata a quel piede di una
quindicina di centimetri e quindi appoggia sul pavimento
l'intera suola della scarpa, tacco e punta insieme. Segue
una breve pausa, quindi l'operazione si ripete con l'altro
piede. Non è un bello spettacolo, però basta allo scopo, e
presto Mr Blank si trova alla scrivania.

La sedia è stata spinta sotto il tavolo, e di conseguen-


za per sedersi è costretto a tirarla in fuori. Cosi facendo,
scopre finalmente che la sedia è dotata di rotelle, perché
invece di grattare sul pavimento come lui si era aspettato,
scorre via liscia, praticamente senza richiedergli il minimo
sforzo. Mr Blank si siede, al colmo dello stupore per non
avere mai colto questo particolare della sedia nelle sue pre-
cedenti visite alla scrivania. Appoggia i piedi contro il pa-
vimento, dà una leggera spinta ed eccolo arretrare per una
distanza di tre o quattro passi. Gli sembra una scoperta
importante, perché certo, dondolarsi avanti e indietro e
girare in tondo è bello, ma questa facoltà della sedia di
muoversi per la stanza ha un notevole potenziale terapeu-
tico - per esempio, nel caso in cui sentisse le gambe par-
ticolarmente affaticate, o fosse colto da un altro dei suoi
capogiri. In quelle situazioni, anziché dover alzarsi in pie-
di e camminare, avrà modo di usare la sedia per spostarsi
da un punto all'altro in posizione comoda, mantenendo le
forze per questioni più urgenti. Questo pensiero lo rasse-
rena, eppure, mentre torna piano sulla sua sedia verso la
scrivania, lo schiacciante senso di colpa che durante la vi-
sita di Anna era scomparso quasi del tutto all'improvviso
si ripresenta, e quando si trova alla scrivania capisce che
è la stessa scrivania la responsabile di quei pensieri oppri-
menti - o forse non la scrivania in quanto tale, ma le foto
e i fogli accatastati sulla sua superficie, che senz'altro con-
tengono la risposta alla domanda che lo ossessiona. Sono
quelli la fonte della sua angoscia, e anche se sarebbe faci-
le tornare a letto e ignorarle, si sente in dovere di perse-
verare nelle indagini, siano pure contorte e dolorose.

Abbassa gli occhi e nota un taccuino e una penna a sfe-


ra - oggetti che non ricorda di aver visto li nella sua ulti-
ma visita alla scrivania. Non fa niente, dice fra sé, e sen-
za altri pensieri prende la penna con la mano destra e con
la sinistra apre il taccuino alla prima pagina. Per non di-
menticare quel che è successo oggi fino ad ora - perché
Mr Blank è un terribile smemorato - scrive il seguente
elenco di nomi:
James P. Flood
Anna
David Zimmer
Peter Stillman, Jr
Peter Stillman, Sr
Sbrigato questo piccolo lavoro richiude il taccuino, po-
sa la penna e mette entrambi da parte. Poi, quando prende
le prime pagine della risma più a sinistra, scopre che sono
unite insieme con una graffetta: saranno venti pagine o ven-
ticinque al massimo, e quando depone il fascicolo davanti a
sé si rende conto che è il dattiloscritto che stava leggendo
prima dell'arrivo di Anna. Decide che è stata lei a graffet-
tare le pagine - per agevolargli il compito - e poi, resosi con-
to che il fascicolo non è tanto lungo, pensa che forse avrà
tempo di finirlo prima che James P. Flood bussi alla porta.

Cerca il quarto paragrafo della seconda pagina e co-


mincia a leggere:

Negli ultimi quaranta giorni non mi hanno più picchiato,


e non si sono fatti vivi né il Colonnello né gli uomini del suo
stato maggiore. L'unico essere umano che abbia visto è il ser-
gente che mi porta da mangiare e sostituisce il bugliolo. Ho
cercato di trattarlo civilmente, buttando sempre li qualche
frasetta quando entra, ma evidentemente lui ha la consegna
del silenzio, e non sono mai riuscito a spremere una parola
da questo gigante in divisa bruna. Poi, neanche un'ora fa, è
successa una cosa straordinaria. Il sergente ha aperto la por-
ta e sono entrati due giovani soldati, con un tavolino di le-
gno e una sedia. Li hanno posati al centro della stanza, quin-
di è entrato anche il sergente che ha appoggiato sul tavolo
una risma di carta bianca, un calamaio e una penna.

- Ha il permesso di scrivere, - ha detto.

- E il suo modo di far conversazione, - gli ho chiesto,


- o sta cercando di darmi un ordine ?

- Il Colonnello dice che ha il permesso di scrivere. Lo


può intendere come preferisce.
- E se preferissi non scrivere ?

- E libero di fare come crede, ma per il Colonnello non


è plausibile che un uomo nella sua posizione rinunci al-
l'occasione di difendersi scrivendo.

- Presumo abbia intenzione di leggere quello che scri-


verò.

- Si... è logico presumerlo.

- E poi lo inoltrerà alla capitale ?

- Non ha parlato delle sue intenzioni. Ha solo detto


che poteva scrivere.

- Quanto tempo mi concedete ?


- L'argomento non è stato discusso.

- E se finissi la carta ?

- Le verrano dati tutto l'inchiostro e la carta necessa-


ri. Il Colonnello voleva che glielo dicessi.

- Ringrazi a nome mio il Colonnello e gli dica che capi-


sco quello che sta facendo. Mi sta dando un'occasione di
mentire sull'accaduto per salvarmi la pelle. Molto sportivo
da parte sua. Può riferirgli che apprezzo il gesto, per favore ?

- Riferirò il messaggio al Colonnello.

- Bene. Ora, lasciatemi in pace. Se lui vuole che scri-


va lo farò, ma devo essere solo per riuscirci.

Ovviamente, tiravo a indovinare. La verità è che non


ho la minima idea del perché il Colonnello abbia fatto
quello che ha fatto. Mi piacerebbe credere che cominci ad
avere pietà di me, ma dubito che le cose siano tanto sem-
plici. Il Colonnello De Vega è tutto fuorché misericor-
dioso, e se di punto in bianco vuole rendermi la vita me-
no penosa, fornirmi una penna è certo uno strano modo
per farlo. Gli tornerebbe utile un bel manoscritto di men-
zogne, ma non può pensare che io accetti di cambiare la
mia cronaca cosi tardi. Ha già provato a farmi ritrattare,
e se non ho ceduto quando mi hanno quasi massacrato di
botte, perché dovrei farlo adesso ? Secondo me per lui è
soltanto una questione di prudenza, un modo per tutelar-
si da qualsiasi evenienza. Troppa gente sa che sono qui per
farmi giustiziare senza processo. D'altra parte, un proces-
so è da evitare a ogni costo, perché se il caso finisse da-
vanti a un giudice, la mia storia diventerebbe di dominio
pubblico. Dandomi il permesso di esporla nero su bianco
sta raccogliendo prove, prove irrefutabili a sostegno di
qualunque azione decida di intraprendere contro di me.
Per esempio: supponiamo che vada fino in fondo, facen-
domi fucilare senza processo. Quando il comando milita-
re della capitale venisse a sapere che sono morto, sareb-
bero costretti per legge ad aprire un'inchiesta ufficiale,
ma allora il Colonnello non dovrebbe fare altro che con-
segnare loro le pagine da me scritte per essere scagionato.
Anzi, sicuramente gli darebbero una medaglia per avere
risolto l'enigma con tanta decisione. E può darsi che ab-
bia già scritto loro qualcosa al mio riguardo, e adesso io
tenga in mano questa penna perché loro gli hanno sugge-
rito di darmela. In circostanze normali, una lettera da Ul-
tima impiega circa tre settimane per raggiungere la capi-
tale. Se sono qui da un mese e mezzo, la loro risposta po-
trebbe essergli arrivata proprio oggi. Probabilmente con
queste istruzioni: fai scrivere al traditore la sua storia, poi
saremo liberi di sbarazzarci di lui a piacimento.

Questa è una possibilità. Ma può anche darsi che mi


stia attribuendo un'importanza eccessiva, e il Colonnel-
lo stia semplicemente giocando con me. Che abbia deci-
so di divertirsi con lo spettacolo della mia sofferenza ? In
una città come Ultima le distrazioni sono poche, e un uo-
mo non abbastanza intraprendente da inventarsele da sé
rischia sul serio di impazzire di noia. Me lo immagino, il
Colonnello, mentre legge le mie parole a voce alta alla sua
amante, seduti entrambi a letto a sera tarda, ridendo del-
le mie povere espressioni patetiche. Sarebbe divertente,
no ? Che gradito diversivo, che bella ilarità maligna. Ma-
gari se saprò appassionarlo abbastanza, mi permetterà di
scrivere per sempre, e passo dopo passo diventerò il suo
clown personale, lo scrivano-buffone che rotola per terra
versando l'inchiostro dappertutto. E anche se si stancas-
se dei miei racconti e mi facesse uccidere, il manoscritto
resterà, giusto ? Sarà il suo trofeo... un altro teschio da ag-
giungere alla sua collezione.

Eppure mi è difficile reprimere la gioia che provo ades-


so. Quali che siano stati i moventi del Colonnello De Ve-
ga, qualunque trappola o umiliazione possa avere in ser-
bo per me, devo onestamente dire che questo è il mo-
mento più felice dai tempi dell'arresto. Sono seduto al
tavolo, e sento scricchiolare la penna sulla superficie del-
la carta. Mi arresto. Intingo la penna nel calamaio, poi
guardo le forme nere che vengono a tracciarsi mentre
muovo la mano lentamente da sinistra a destra. Arrivo al
margine e poi torno dall'altro lato; e quando le forme co-
minciano a sbiadire, mi fermo nuovamente e intingo la
penna nel calamaio. Questo succede mentre avanzo ver-
so il fondo della pagina, e ogni grappolo di segni è una pa-
rola, e ogni parola è un suono nella mente, e ogni volta
che ne scrivo un'altra sento il suono della mia voce anche
se le labbra tacciono.

Appena il sergente ha richiuso la porta ho alzato il ta-


volo e l'ho avvicinato al muro occidentale, ponendolo pro-
prio sotto la finestra. Quindi sono tornato a prendere la
sedia, l'ho messa sopra il tavolo e mi sono arrampicato -
prima sul tavolo, e poi sulla sedia. Volevo vedere se riu-
scivo a stringere le dita attorno alle sbarre della finestra,
nella speranza di issarmi e rimanere appeso abbastanza a
lungo per scorgere qualcosa del difuori. Ma con tutti i miei
sforzi, le punte delle dita non hanno raggiunto la loro me-
ta. Non volendo rinunciare al tentativo mi sono tolto la
camicia e ho cercato di lanciarla verso le sbarre, pensando
che, se fossi riuscito a infilarla fra l'una e l'altra, dopo avrei
afferrato le maniche penzolanti e avrei potuto tirarmi su.
Ma neanche la camicia era abbastanza lunga, e non aven-
do attrezzi per guidare la stoffa attorno ai montanti me-
tallici (un bastone, un manico di scopa, anche un ramo)
non ho potuto fare altro che sventolare la camicia avanti
e indietro come una bandiera bianca.

Infine, forse è meglio accantonare questi sogni. Se non


posso trascorrere i miei giorni guardando fuori dalla fine-
stra, mi dovrò concentrare sul compito immediato. L'es-
senziale è smetterla di preoccuparmi del Colonnello, sgom-
brare il cervello da tutti i pensieri e descrivere i fatti co-
me li conosco. Quello che lui sceglierà di fare di questa
cronaca è soltanto affar suo, io non ho alcun potere di in-
fluire sulle sue decisioni. L'unica cosa che posso fare è rac-
contare la storia. E con la storia che ho da raccontare, sarà
già abbastanza difficile.

Mr Blank si interrompe un attimo per riposare gli oc-


chi, passarsi le dita fra i capelli e riflettere sul senso delle
parole che ha appena letto. Quando pensa al tentativo fal-
lito del narratore di issarsi a guardar fuori dalla finestra,
all'improvviso ricorda la sua, di finestra, o più precisa-
mente la tendina che la copre, e ora che ha un mezzo per
avvicinarsi senza dover alzarsi in piedi, decide che è il mo-
mento di sollevare la tendina e dare un'occhiata fuori. Se
riesce a immagazzinare i suoi dintorni, forse gli tornerà
qualche ricordo che lo aiuti a spiegare perché è rinchiuso
in questa stanza; forse la semplice vista di un albero o del
cornicione di una casa o di una macchia qualsiasi di cielo
basterà ad accendergli la lampadina. Quindi abbandona la
lettura del dattiloscritto per andare alla parete dove si apre
la finestra. Giunto alla meta allunga la mano destra, afferra
l'orlo inferiore della tendina e gli dà un rapido strattone,
sperando di azionare la molla che farà schizzare l'avvolgi-
bile verso l'alto. Si tratta tuttavia di una tendina vecchia,
che non reagisce quasi più; e invece di scattare in su, mo-
strando la finestra sottostante, cede, scendendo di alcuni
centimetri al di sotto del davanzale. Esasperato per il fal-
limento, Mr Blank dà un secondo strattone, più violento
e più lungo; ed ecco, la tendina decide di comportarsi co-
me un vero avvolgibile e si arrotola fino alla sommità del-
la finestra.

Immaginate la delusione di Mr Blank quando guar-


dando la finestra scopre che le imposte sono state chiuse
impedendogli ogni possibilità di vedere fuori e capire do-
ve si trova. E non si tratta delle classiche imposte di legno
ad assicelle mobili, che lasciano filtrare un po' di luce: que-
sti sono pannelli di metallo a uso industriale, senza aper-
ture, verniciati di un grigio tetro da cui emergono zone ar-
rugginite che hanno cominciato a corrodere la superficie.
Quando si riprende dal trauma, Mr Blank capisce che il
diavolo non è poi cosi brutto come se l'era dipinto. Le im-
poste si chiudono dall'interno, e per mettere le dita sulla
serratura non deve fare altro che alzare al massimo il pan-
nello della finestra. Quindi, sganciato il fermo, con una
spinta riuscirà ad aprire le imposte e guarderà fuori, il mon-
do attorno a lui. Sa che per avere la leva necessaria all'o-
perazione dovrà alzarsi in piedi sulla sedia, ma è uno scot-
to modesto da pagare: quindi solleva il suo corpo da dove
sta seduto, controlla bene che la finestra non sia chiusa a
chiave (non lo è), appoggia saldamente le basi delle mani
sotto la sbarra superiore del telaio, fa una breve pausa di
preparazione alla fatica che lo attende e poi spinge con tut-
te le sue forze. Inaspettatamente, la finestra non si muo-
ve. Mr Blank si interrompe per prendere fiato e poi ritenta
- sempre con esito negativo. Sospetta che la finestra si sia
incollata - o per la troppa umidità o per una bava di ver-
nice che ha appiccicato insieme le metà sopra e sotto sen-
za che nessuno se ne accorgesse - ma poi, esaminando da
vicino la barra superiore del telaio, scopre qualcosa che
non aveva notato. Nella barra sono piantati due grossi
chiodi da carpentiere: quasi invisibili, perché le teste so-
no state verniciate. Un grosso chiodo a sinistra, un gros-
so chiodo a destra; e poiché Mr Blank sa di non poter
estrarre quei chiodi dal legno, la finestra non può venire
aperta - né ora, è chiaro, né dopo; né mai, in nessuna cir-
costanza.

Finalmente è stata data la prova. Qualcuno, forse più


d'uno, ha o hanno chiuso Mr Blank in questa stanza e ora
lo tiene o tengono prigioniero contro la sua volontà. Al-
meno questo è quanto lui deduce dall'evidenza dei due chio-
di piantati nel telaio della finestra; ma benché l'evidenza
sia schiacciante, permane la questione della porta, e fino a
quando Mr Blank non stabilirà se quella è chiusa a chiave,
la conclusione che ha tratto potrebbe essere falsa. Se fosse
lucido, il suo passo seguente sarebbe andare a piedi o sulla
sedia fino alla porta e indagare subito. Ma Mr Blank non
si muove dal suo posto vicino alla finestra per il semplice
motivo che ha paura, una paura tale di quello che potreb-
be scoprire dalla porta che non se la sente di rischiare un
faccia a faccia con la verità. No, invece si rimette seduto
sulla sedia e decide di rompere la finestra. Perché, sia que-
sta chiusa a chiave o no, per prima cosa vuole disperata-
mente scoprire dove si trova. Pensa all'uomo nel dattilo-
scritto che ha letto e si chiede se, infine, anche lui non verrà
portato fuori e fucilato. O, una fantasia ancora più sinistra,
non verrà assassinato proprio qui nella stanza, strangolato
dalle mani erculee di qualche criminale.
Nei pressi non ci sono oggetti contundenti. Nessun
martello, per esempio, né manici di scope o badili, né pic-
cozze, né arieti, perciò ancor prima di iniziare Mr Blank
sa che i suoi sforzi sono condannati al fallimento. Però ten-
ta ugualmente, perché non è soltanto impaurito, ma rab-
bioso, e nella rabbia si sfila la scarpa da tennis destra, la
tiene saldamente per la punta nella mano destra e comin-
cia a battere il tacco contro il vetro. Forse una finestra nor-
male si romperebbe sotto questi colpi, ma qui abbiamo un
doppio vetro termico di qualità robustissima, e quando il
vecchio lo picchia con la sua misera arma di gomma e tela
non trema nemmeno. Dopo ventun colpi consecutivi Mr
Blank rinuncia, lasciando cadere la scarpa sul pavimento.
Poi, tra la collera e la frustrazione, sferra qualche pugno con-
tro il vetro non volendo lasciare che la finestra abbia l'ulti-
ma parola, ma carne e ossa non sono in grado di incrinare il
vetro più di quanto lo sia stata la scarpa. A Mr Blank viene
l'impulso di provarci prendendo la finestra a capocciate, ma
anche se non c'è completamente con la testa, rimane abba-
stanza lucido da capire l'assurdità di infliggersi dei gravi
danni fisici per una causa senz'altro perduta. E allora, tri-
stemente, si riaccascia sulla sedia e chiude gli occhi - non
solo impaurito, non solo inviperito, ma anche esausto.

Nel momento in cui chiude gli occhi, vede gli esseri-


ombra sfilare a parata nella sua mente. Sono un lungo e
fosco corteo composto da decine, forse anche centinaia di
figure, tra cui uomini e donne, bambini e vecchi; e se al-
cuni sono bassi, altri sono alti, e mentre certi sono tondi,
certi altri sono smilzi, e allungandosi per ascoltarli Mr
Blank sente non solo il rumore dei loro passi, ma qualco-
sa che potrebbe assomigliare a un rantolo, un comune ran-
tolo quasi impercettibile che sale da loro. Dove si trovino
e dove stiano andando non sa dirlo, ma sembrano vagare
per qualche pascolo dimenticato, ed essendo cosi buio, e
avanzando ogni figura con la testa bassa, Mr Blank non
distingue nessun volto. Tutto quello che sa è che la sola
vista di questi simulacri lo atterrisce, e di nuovo è vinto
da un implacabile senso di colpa. Presume che queste per-
sone siano quelle che lui ha inviato nelle varie missioni du-
rante gli anni e che, come per Anna, forse per alcuni di
loro, o per molti, o per tutti, non sia stata una gita di pia-
cere, che forse siano state inferte loro sofferenze intolle-
rabili, e/o la morte.

Mr Blank non può essere certo di nulla, ma gli sem-


bra sensato che ci sia un legame tra questi esseri-ombra
e le foto sulla scrivania. E se le immagini rappresentas-
sero le stesse persone i cui volti non sa identificare nella
scena che si sta svolgendo nella sua mente ? In tal caso, i
fantasmi che sta osservando non sarebbero tanto finzioni
quanto ricordi, ricordi di persone reali - perché quando
è stata l'ultima volta che qualcuno ha fotografato una per-
sona che non esiste ? Mr Blank sa di non avere niente a
sostegno della sua teoria, che è solo la più ardita delle sue
ardite congetture, ma ci deve essere qualche ragione, di-
ce fra sé, qualche causa, qualche principio, per spiegare
cosa gli sta succedendo, per dar conto del fatto che si tro-
va in questa stanza con queste foto e queste quattro ri-
sme di manoscritti; e allora perché non indagare un po'
più a fondo per verificare se esiste qualche verità in que-
sto suo tirare a casaccio ?

Dimenticando i due chiodi piantati nella finestra, di-


menticando la porta e il dubbio se sia chiusa dall'esterno
oppure no, Mr Blank si spinge sulla sedia fino alla scriva-
nia, prende le foto e poi le dispone direttamente davanti
a sé. Naturalmente quella di Anna è la prima, e lui passa
ancora qualche attimo a guardarla, scrutando il viso gio-
vane, infelice ma bellissimo, e studiando a fondo l'espres-
sione degli occhi scuri e ardenti. No, dice fra sé, non sia-
mo mai stati sposati. Suo marito era un uomo di nome Da-
vid Zimmer, e ora Zimmer è morto.

Mette da parte la foto di Anna e guarda la successiva.


E un'altra donna, sui venticinque anni, con i capelli ca-
stano chiaro e due occhi fermi, vigili. La metà inferiore
del suo corpo è oscurata, dato che è in piedi sulla soglia
di quello che sembra un appartamento di New York con
la porta socchiusa, proprio come se lei l'avesse appena
aperta a metà per accogliere un visitatore, e malgrado l'e-
spressione guardinga nei suoi occhi, gli angoli della boc-
ca sono increspati da un accenno di sorriso. Mr Blank ha
un fugace sussulto di agnizione, ma quando si sforza di ri-
cordare il suo nome non gli viene in mente nulla - né do-
po venti secondi, né dopo quaranta, né dopo un minuto.
Essendo risalito cosi in fretta al nome di Anna, pensava
che sarebbe riuscito a fare lo stesso anche con gli altri. Ma
sembra proprio che non sia cosi.
Guarda altre dieci foto con lo stesso esito deludente. Un
vecchio su una sedia a rotelle, gracile e delicato come un
passerotto, con un paio di occhiali scuri da cieco. Una don-
na che ride, con un bicchiere in una mano e una sigaretta
nell'altra, l'abito da maschietta anni Venti e il cappello a
cloche. Un uomo spaventosamente obeso con un enorme
testone pelato e un sigaro che gli spunta dalla bocca. Un'al-
tra ragazza, cinese questa, in calzamaglia da ballerina. Un
uomo con i capelli scuri, i baffi impomatati, il frac e il ci-
lindro. Un giovane addormentato sull'erba di quello che
sembrerebbe un parco pubblico. Un uomo di mezza età,
sui cinquantacinque anni, steso su un divano con le gambe
appoggiate a un mucchio di cuscini. Un vagabondo con la
barba e dall'aria strapazzata seduto su un marciapiede,
mentre cinge tra le braccia un cagnone bastardo. Un ses-
santenne nero grassottelle che tiene in mano un elenco te-
lefonico di Varsavia del 1937/38. Un giovanotto snello se-
duto a un tavolo con cinque carte in mano e una torretta
di fiche da poker davanti.

A ogni insuccesso, Mr Blank è sempre più scoraggiato,


e un po' meno fiducioso nelle sue possibilità con la foto
successiva - finché, borbottando qualcosa a voce cosi bas-
sa che il registratore non riesce a riprodurre le sue parole,
rinuncia al tentativo e accantona le foto.

Dondola avanti e indietro nella sedia per quasi un mi-


nuto, facendo il possibile per ritrovare il suo equilibrio
mentale e lasciarsi alle spalle la sconfitta. Poi non ci pen-
sa più, prende il dattiloscritto e ricomincia a leggere:

Il mio nome è Sigmund Graf. Sono nato quarantuno


anni fa nella città di Luz, un centro tessile nel Nordovest
della provincia di Faux-Lieu, e fino al mio arresto per or-
dine del Colonnello De Vega ho lavorato nella sezione de-
mografica dell'Ufficio affari interni. Da giovane mi sono
laureato in letteratura classica presso la Ali Souls Univer-
sity, prestando poi servizio come ufficiale nell'intelligence
dell'esercito durante le Guerre del confine di sudest e
partecipando alla battaglia che portò all'unificazione dei
principati di Petit-Lieu e Merveil. Sono stato congedato
con onore, con il grado di capitano, e ho ricevuto la me-
daglia al valore per l'opera svolta nell'intercettazione e de-
cifrazione dei messaggi nemici. Dopo il congedo ho fatto
ritorno nella capitale e sono entrato nell'Ufficio in qualità
di coordinatore e ricercatore sul campo. All'epoca della
mia partenza per i Territori alieni, appartenevo all'Uffi-
cio da dodici anni. Il mio ultimo titolo ufficiale è stato
quello di Vice Sostituto Direttore.

Come ogni cittadino della Confederazione ho avuto


la mia parte di sofferenze, vivendo lunghe fasi di violen-
ze e disordini, e la mia anima reca i segni della perdita.
Non avevo ancora quattordici anni quando i tumulti del-
la Sanctus Academy di Beauchamp sfociarono nello scop-
pio delle Guerre linguistiche di Faux-Lieu, e due mesi
dopo l'invasione vidi mia madre e mio fratello minore
bruciare vivi durante il Sacco di Luz. Mio padre e io fum-
mo tra i settemila costretti all'esodo nella provincia li-
mitrofa di Neu Welt. Il viaggio era lungo seicento miglia,
e impiegammo oltre due mesi per compierlo; e quando
fummo a destinazione, il nostro numero si era ridotto di
un terzo. Nelle ultime cento miglia mio padre era tal-
mente debilitato dalla malattia che dovetti portarlo sul-
la schiena, barcollando pressoché alla cieca nel fango e
nelle piogge dell'inverno fino a giungere alla periferia di
Nachtburg. Per sei mesi chiedemmo l'elemosina nelle
strade di quella città grigia per rimanere vivi, e stavamo
per morire di fame quando finalmente fummo salvati da
un prestito dei nostri parenti del Nord. In seguito la no-
stra vita fu meno dura, ma per quanto mio padre negli
anni successivi abbia fatto fortuna, non si ristabilf mai
del tutto da quei mesi di privazioni. Quando mori, dieci
estati più tardi, all'età di cinquantasei anni, il prezzo del-
le sue vicissitudini lo aveva invecchiato al punto da sem-
brare un uomo di settanta.
E vi sono stati anche altri dispiaceri. Un anno e mez-
zo fa, l'Ufficio mi inviò in spedizione nelle Comunità in-
dipendenti della provincia di Tierra Bianca. Meno di un
mese dopo la mia partenza, la capitale fu colpita dall'epi-
demia di colera. Ora molti chiamano quel flagello la Pe-
ste della Storia, e pensando che si scatenò proprio alla vi-
gilia delle cerimonie cosi lungamente elaborate e proget-
tate dell'Unificazione, si capisce che possa essere stata
letta come un cattivo segno, una vera e propria sentenza
sulla natura e finalità della Confederazione stessa. Perso-
nalmente non sono di questa idea, ma nondimeno la mia
vita fu stravolta dall'epidemia in modo definitivo. Esclu-
so da tutte le notizie della città, nei quattro mesi e mezzo
seguenti continuai il mio lavoro, gli andirivieni tra le re-
mote comunità montanare del Sud, perseguendo le inda-
gini sulle varie sette religiose che si erano radicate nella
zona. In agosto, al mio ritorno, la crisi era passata; ma non
senza che mia moglie e la mia figlia quindicenne fossero
scomparse. La maggioranza dei nostri vicini del distretto
di Closterham era fuggita dalla città e si era a sua volta ar-
resa al morbo, ma non c'era nessuno fra i rimasti che ri-
cordasse di averle viste. La casa era intatta, e non vi tro-
vai alcuna traccia tale da suggerire che la malattia si fosse
infiltrata tra i suoi muri. Eseguii accurate ricerche in ogni
stanza, ma non venni a capo di nessun segreto sul come o
il quando avessero potuto abbandonare il luogo. Non man-
cavano né vestiti né gioielli, e sul pavimento non giaceva-
no oggetti abbandonati nella fretta. La casa era identica a
come l'avevo lasciata cinque mesi prima, salvo che mia mo-
glie e mia figlia non c'erano più.

Per settimane setacciai la città in cerca di un indizio


su dove si trovassero, sempre più disperato dopo ogni va-
no tentativo di avere informazioni che mi mettessero sul-
le loro tracce. Incominciai a parlare con amici e colleghi,
e una volta esaurita la cerchia dei conoscenti (ove com-
prendo le amiche di mia moglie e i genitori dei compagni
di scuola di mia figlia, oltre ai bottegai e agli esercenti del
nostro quartiere), iniziai a rivolgermi agli sconosciuti. Ar-
mato di ritratti di mia moglie e mia figlia, sondai innu-
merevoli medici, infermieri e volontari che avevano lavo-
rato negli ospedali di fortuna e nelle aule scolastiche dove
i malati e i morenti erano stati curati; ma fra le centinaia
di persone che scrutavano quelle miniature, nessuna rico-
nobbe i volti che tenevo nella mia mano. Infine potei trar-
re un'unica conclusione. Le mie amate erano state gher-
mite dal morbo. Insieme a migliaia di altre vittime, giace-
vano in una delle fosse comuni di Viaticum Bluff, il grande
cimitero dei morti senza nome.

Non parlo di questi argomenti con l'intento di suscita-


re pietà. Nessuno è tenuto a compiangermi, e nessuno a
scusare gli errori che ho commesso nel seguito dei fatti. Io
sono un uomo, non un angelo, e se il dolore che mi so-
praffaceva può avermi ottenebrato sospingendomi a certe
cadute nella condotta, ciò non deve gettare ombre di dub-
bio sulla veridicità del mio racconto. Prima che qualcuno
cerchi di screditarmi additando le macchie nella mia re-
putazione, mi faccio avanti di spontanea volontà e mi di-
chiaro al mondo apertamente colpevole. Sono tempi di in-
sidia, questi, e non ignoro con che facilità le concezioni
possano venir distorte da una sola parola detta all'orecchio
sbagliato. Infamate il carattere di un uomo, e tutte le azio-
ni di quell'uomo sono fatte per apparire losche, sospette,
dense di secondi fini. Nel mio caso, le mancanze in og-
getto scaturivano dal dolore, non dalla malizia; da confu-
sione, non da doppiezza. Smarrii la strada, e per alcuni
mesi cercai conforto nelle capacità obnubilanti dell'alcol.
Quasi tutte le notti bevevo da solo, seduto al buio della
mia casa deserta, ma alcune notti erano peggio delle altre.
Quando mi ritrovavo in uno di quei cattivi frangenti, i
pensieri cominciavano a essermi nemici, e in breve soffo-
cavo nel mio stesso fiato. La testa mi si affollava di im-
magini di mia moglie e mia figlia, e più volte vidi i loro
corpi lordi di fango calati nel terreno, più volte vidi le lo-
ro nude membra intrecciate a quelle di altri cadaveri nel-
la buca, e tutt'a un tratto il buio della casa diventava in-
tollerabile. Mi avventuravo fuori, nei locali pubblici, spe-
rando di interrompere la maledizione di quelle immagini
con il baccano e il tumulto della folla. Bazzicai taverne e
birrerie, e fu in una di quelle bettole che arrecai il più gra-
ve nocumento a me stesso e al mio nome. L'episodio in-
crescioso avvenne un venerdì sera di novembre, quando
un uomo di nome Giles McNaughton attaccò lite con me
all'Auberge des Vents. McNaughton protestava che lo
avessi aggredito io per primo, ma undici testimoni in tri-
bunale dissero il contrario, e fui prosciolto da ogni accu-
sa. Fu soltanto un'effimera vittoria, però, poiché restava
il fatto che gli avevo spezzato un braccio e spappolato il
naso; e che non avrei reagito con tanta veemenza se non
mi fossi trovato nell'inferno in cui l'alcol mi aveva sprofon-
dato. La giuria dichiarò la mia innocenza considerando che
avessi agito per legittima difesa, ma questo non lavò la
macchia del processo - né lo scandalo che esplose quando
si venne a sapere che un funzionario dell'Ufficio affari in-
terni era stato coinvolto in una sanguinosa rissa fra avvi-
nazzati. Poche ore dopo il verdetto, cominciò a correr vo-
ce che alti esponenti dell'Ufficio avessero corrotto dei giu-
rati per farli votare a mio favore. A me non consta di aver
goduto di alcuna illecita manipolazione, e vorrei derubri-
care queste accuse a volgari pettegolezzi. Quello che so per
certo è che non avevo mai visto McNaughton prima di
quella sera. Lui, d'altro canto, ne sapeva abbastanza di me
da chiamarmi per nome, e quando si avvicinò al tavolo e
cominciò a parlare di mia moglie insinuando di possedere
informazioni utili a risolvere il mistero della sua scompar-
sa, gli intimai di andarsene. L'uomo cercava soldi, e uno
sguardo al suo volto maculato e malsano mi convinse che
fosse un impostore, uno sciacallo che avendo udito della
mia tragedia intendeva trarne profitto. Evidentemente a
McNaughton non piacque di essere liquidato cosi su due
piedi. Invece di eclissarsi, si sedette sulla sedia accanto a
me e mi agguantò irosamente per il panciotto. Poi, traen-
domi a sé finché le nostre facce si toccarono quasi, si pro-
tese e mi disse: Che succede, cittadino? Temi la verità?
Aveva gli occhi colmi di rabbia e di disprezzo, e poiché
eravamo cosi vicini, quegli occhi erano gli unici oggetti
nel mio campo visivo. Sentivo l'ostilità bollirgli in corpo,
e dopo un attimo la sentii trascorrere direttamente nel
mio. Fu allora che lo colpii. Si, mi aveva toccato lui per
primo, ma nel momento esatto in cui reagii volevo fargli
male, più male che potevo.

Tale fu il mio delitto. Prendetelo per come è stato, ma


non lasciatelo interferire nella lettura di questa cronaca.
I drammi colpiscono tutti gli uomini, e ogni uomo fa pa-
ce con il mondo a modo suo. Se la forza che usai contro
McNaughton quella sera era ingiustificata, il torto più gra-
ve risiede nel gusto che provai usando quella forza. Non
mi assolvo, ma viste le mie condizioni d'animo durante quel
periodo, è già un miracolo che l'episodio dell'Auberge des
Vents sia stato il solo in cui feci del male a un'altra per-
sona. Fuori di quello, i danni furono sempre fatti a me
stesso, e finché non imparai a frenare la mia smania di be-
re (che era in realtà una smania di morte), corsi il rischio
della completa distruzione. Con il tempo tornai padrone
di me, però confesso di non essere più l'uomo che ero. Se
ho continuato a vivere è soprattuto perché ilvmio lavoro
all'Ufficio mi ha dato una ragione per vivere. E questa l'i-
ronia della mia disgrazia. Sono accusato di essere un ne-
mico della Confederazione quando negli ultimi dicianno-
ve anni la Confederazione non ha avuto un servo più fe-
dele di me. Lo mostra il mio stato di servizio, e sono fiero
di essere vissuto in un'epoca che mi ha permesso di par-
tecipare a un'impresa umana di cosi ampio respiro. Il la-
voro sul campo mi ha insegnato ad amare la verità sopra
ogni cosa, e perciò ho dissipato la nebbia riguardo ai miei
peccati e alle mie mancanze, ma non per questo posso far-
mi carico di un crimine che non ho mai commesso. Io cre-
do in ciò che la Confederazione rappresenta, e l'ho fer-
ventemente difesa con le mie parole, le mie opere e il mio
sangue. Se la Confederazione si è volta contro di me, que-
sto può solo significare che la Confederazione si è volta
contro se stessa. Non posso più sperare nella vita, ma se
le pagine che sto scrivendo dovessero cadere nelle mani di
qualcuno abbastanza forte di cuore da leggerle nello spiri-
to in cui sono state scritte, forse allora il mio assassinio
non sarà stato completamente vano.

Remoto, da lontano, da fuori della stanza, fuori dall'e-


dificio che contiene la stanza, Mr Blank sente ancora il de-
bole richiamo di un uccello. Distratto dal rumore, alza gli
occhi dalla pagina che ha davanti abbandonando per il
momento le dolorose confessioni di Sigmund Graf. Un
improvviso senso di pressione gli si insedia nel ventre, e
prima che Mr Blank abbia deciso se chiamarlo dolore o
semplicemente fastidio, il suo tubo intestinale strombet-
ta una gagliarda, stentorea scoreggia. Oho, fa lui ad alta
voce, grugnendo dal piacere. Il vecchio cowboy cavalca
ancora ! Poi si rovescia indietro sulla sedia, chiude gli oc-
chi e comincia a dondolarsi, scivolando ben presto in una
di quelle zone opache, come di trance, dove la mente si
svuota di tutti i pensieri, di tutte le emozioni, di ogni nes-
so con l'io interiore. Cosi intrappolato nel suo stupore da
rettile, Mr Blank è, diciamo, assente, o comunque al mo-
mento isolato da ciò che lo circonda; sicché non sente nep-
pure la mano che ha cominciato a bussare alla porta. Peg-
gio: non sente la porta aprirsi e quindi, anche se qualcuno
è entrato nella stanza, non sa ancora se la porta sia chiusa
dall'esterno oppure no. O meglio, non lo saprà ancora fra
poco, quando sarà riemerso dalla trance.

Qualcuno gli dà un buffetto sulla spalla, ma prima che


Mr Blank possa aprire gli occhi e ruotare con la sedia per
vedere chi è, quel qualcuno ha già cominciato, a parlare.
Dal timbro e dalla tonalità Mr Blank capisce subito che la
voce appartiene a un uomo, ma è sconcertato perché par-
la con un accento che gli suona di Londra.

Mi spiace, Mr Blank, gli dice l'uomo. Ho bussato e ri-


bussato, e visto che non apriva ho pensato di entrare per
vedere se qualcosa non andava.

Adesso Mr Blank ruota con la sedia e guarda bene il


suo visitatore. L'uomo dimostra una cinquantina d'anni,
ha i capelli pettinati e due baffetti castani con qualche fi-
lo grigio. Statura media, dice fra sé Mr Blank, ma più bas-
so che alto; e dalla posa dritta, quasi impalata, con cui sta
in piedi, si direbbe forse un militare, o un funzionario pub-
blico di non alto livello.

Lei chi è ?, gli domanda Mr Blank.

Flood, signore. Primo nome, James. Secondo nome, Pa-


trick. James P. Flood. Non si ricorda di me?

Vagamente, soltanto vagamente.

L'ex poliziotto.

Ah. Flood l'ex poliziotto. Doveva farmi visita, se non


sbaglio.

Sissignore. Esatto, signore. Per questo sono qui. Le sto


facendo visita proprio ora.

Mr Blank guarda la stanza in cerca di una sedia, per in-


vitare Flood ad accomodarsi; ma a quanto pare l'unica pre-
sente è quella su cui ora è seduto lui stesso.

Ci sono dei problemi?, chiede Flood.

No, no, risponde Mr Blank. Stavo solo cercando un'al-


tra sedia.

Mi posso sempre sedere sul letto, risponde Flood, in-


dicando il letto. Oppure, se se la sente, potremmo andare
al parco oltre la via. Li hanno panchine a iosa.

Mr Blank indica il suo piede destro e dice: Ho perso


una scarpa. Non posso uscire con una scarpa sola.

Flood si volta e vede subito la scarpa da tennis bianca,


sul pavimento sotto la finestra. Ecco l'altra, signore. Può
rimettersela in un balzo di gatto.

Cosa? Che c'entrano i gatti?

È solo un modo di dire, Mr Blank. Con rispetto par-


lando. Per un attimo Flood tace, poi riguarda la scarpa
sul pavimento e dice: Beh, che facciamo ? Ce la mettia-
mo o no ?
Mr Blank fa un lungo, stanco sospiro. No, risponde, la
voce venata di sarcasmo; non me la voglio mettere. Sono
stufo di queste scarpe del cavolo. Anzi, preferirei toglier-
mi anche l'altra.

Nel momento in cui gli escono di bocca queste parole,


Mr Blank constata con sollievo che un simile atto rientra
nel possibile, che in questo caso ridicolo può prendere la
situazione nelle sue mani. Quindi, senza esitare, si china
e sfila la scarpa dal piede sinistro.

Ah, cosf va meglio, commenta, sollevando le gambe e


agitando le dita in libertà. Molto meglio. E sono ancora
tutto vestito di bianco, giusto ?

Certamente, dice Flood. Ma che importanza ha ?

Non importa, risponde Mr Blank, trattando quella di


Flood come una domanda futile. Lei deve solo sedersi sul
letto e spiegarmi cosa vuole, Mr Flood.

L'ex ispettore di Scotland Yard si abbassa verso il fon-


do del materasso, ponendo il proprio corpo nel quadrante
sinistro per allineare il volto a quello del vecchio, seduto
a un paio di metri da lui sulla sedia, la schiena alla scriva-
nia. Flood si schiarisce la voce e poi - in una tremula, ap-
prensiva sordina - risponde: È per il sogno, signore.

Il sogno?, chiede Mr Blank, confuso dalle parole di


Flood. Quale sogno ?

Il mio sogno, Mr Blank. Quello di cui ha parlato nel


suo rapporto su Fanshawe.

Chi è Fanshawe ?

Non ricorda ?

No, dichiara Mr Blank con voce alta, irritata. No, non


ricordo Fanshawe. Non ricordo pressoché nulla. Mi stan-
no rimpinzando di pastiglie, e ormai è tutto svanito. Qua-
si non so più chi sono. E se non ricordo me stesso, come
pensa che possa ricordare questo... questo...

Fanshawe.

Fanshawe... E chi sarebbe, di grazia?

Uno dei suoi operativi, signore.


Intende uno che ho mandato in missione ?

Una missione estremamente pericolosa.

E sopravvissuto?

Nessuno lo sa per certo. Ma l'opinione prevalente è che


non sia più fra noi.

Gemendo sommessamente fra sé, Mr Blank si copre la


faccia con le mani e sospira: Un altro dei dannati.

Mi perdoni, interviene Flood, ma non ho capito che co-


sa ha detto.

Niente, risponde Mr Blank a voce più alta. Non ho det-


to niente.

A questo punto la conversazione si blocca per qualche


secondo. Regna il silenzio, e in quel silenzio Mr Blank
immagina di sentire il rumore del vento, un vento forte
che soffia in un boschetto di alberi li vicino, molto vici-
no; ma non sa dire se il vento sia vero oppure no. Nel frat-
tempo gli occhi di Flood restano fissi sulla faccia del vec-
chio. Quando il silenzio diventa intollerabile, azzarda fi-
nalmente un timido tentativo di riprendere il dialogo. E
allora?, dice.

Allora cosa?, ribatte Mr Blank.

Il sogno. Possiamo parlare del sogno, adesso?

Come posso parlare del sogno di un altro se non so


com'è?

E proprio questo il problema, Mr Blank. Non me lo ri-


cordo nemmeno io.

Quindi non posso fare niente per lei, giusto ? Se né lei


né io sappiamo cosa succedeva nel suo sogno, non c'è nul-
la di cui parlare.
È una faccenda più complessa.

Non direi, Mr Flood. È semplicissima.

Solo perché non ricorda di avere scritto il rapporto. Se


ora si concentrasse... cioè, focalizzasse la mente su quel-
lo, magari la memoria le tornerebbe.

Ho i miei dubbi.
Ascolti. Nella relazione da lei scritta su Fanshawe, af-
ferma che è stato l'autore di alcuni libri mai pubblicati.
Uno di questi aveva il titolo di Terra disabitata. Purtrop-
po, invece di concludere che certe situazioni narrate nel
libro si ispiravano a fatti analoghi della vita di Fanshawe,
lei non dice niente del tema, niente della trama, niente del
libro in assoluto. Solo un breve inciso - posso aggiungere,
scritto fra parentesi - che suona come segue. Cito a me-
moria: (Casa di Montag nel cap. sette; sogno di Flood nel cap.
trenta). Ora, Mr Blank, dato che lei deve aver letto Terra
disabitata, e che è fra le poche persone al mondo, anzi l'u-
nica, ad averlo letto, io le sarei profondamente grato, le
sarei grato dal fondo del mio cuore infelice, se si sforzas-
se di ricordare il contenuto di quel sogno.

Da come ne parla, Terra disabitata dev'essere un ro-


manzo.

Sissignore. Un'opera d'invenzione.

E Fanshawe l'ha usata come personaggio ?

Cosi sembra. Non c'è niente di strano in questo. Da


quello che capisco, gli scrittori lo fanno di continuo.

Può darsi, ma non capisco tanta eccitazione. Il sogno


non è mai esistito veramente. Non sono che parole su una
pagina: pura invenzione. Lo dimentichi, Mr Flood. Non
è importante.

È importante per me, Mr Blank. Tutta la mia vita di-


pende da questo. Senza quel sogno, io non sono nulla. Let-
teralmente nulla.

La foga con cui l'abitualmente riservato ex poliziot-


to fa quest'ultima dichiarazione - una foga stimolata da
autentica, bruciante disperazione - a Mr Blank sembra
addirittura comica, e per la prima volta dalle parole con
cui ha avuto inizio questa cronaca, scoppia a ridere. Flood,
come prevedibile, si offende, perché non piace a nessuno
vedere i propri sentimenti calpestati in un modo cosi ci-
nico, men che meno a uno fragile come Flood è in questo
momento.

Lei mi fa male, Mr Blank, gli dice. Non ha il diritto di


ridere di me.

Forse no, dice Mr Blank quando lo spasmo nel suo pet-


to è cessato, ma non potevo resistere. Perbacco, Flood, lei
si prende talmente sul serio. E questo che la rende ridicolo.
Sarò anche ridicolo, dice Flood con la rabbia che gli
monta nella voce, ma lei, Mr Blank... lei è crudele. Cru-
dele e indifferente ai dolori degli altri. Lei gioca con la vi-
ta della gente senza assumersi alcuna responsabilità per ciò
che ha fatto. Io non voglio star qui ad assillarla con i miei
problemi, ma accuso lei di quello che mi è successo. La ac-
cuso in tutta sincerità, e per questo la disprezzo.

Problemi?, chiede Mr Blank con un tono d'improvvi-


so più dolce, facendo del suo meglio per mostrarsi com-
prensivo. Che genere di problemi?

Tanto per dirne uno, il mal di testa. Secondo, il pen-


sionamento forzato. Se non bastassero questi, la rovina
economica. E poi c'è la questione di mia moglie, o meglio
della mia ex moglie, per non parlare dei miei figli che non
vogliono più saperne di me. La mia vita è un disastro, Mr
Blank. Giro per il mondo come un fantasma, e a volte mi
domando se esisto veramente. Anzi, se sono mai esistito.

E lei pensa che conoscere quel sogno risolverà tutto


questo ? Mi creda, ho seri dubbi.

Il sogno è la mia unica occasione. E come una parte di


me mancante, e finché non la trovo non sarò più vera-
mente me stesso.

Io non ricordo nulla di Fanshawe. Non ricordo di aver


letto il suo romanzo. Non ricordo di aver scritto la rela-
zione. Vorrei poterla aiutare, Flood, ma la cura che mi
stanno somministrando ha trasformato il mio cervello in
un ferrovecchio.

Cerchi di ricordare. Non le chiedo altro. Ci provi.

Guardando negli occhi lo sfortunato ex poliziotto, Mr


Blank nota che comincia ad avere le guance rigate di lacri-
me. Poveraccio, dice Mr Blank fra sé. Per un paio di se-
condi è tentato di chiedere a Flood di aiutarlo a trovare l'ar-
madio, perché ora ricorda che era stato Flood a nominar-
lo, al telefono quella mattina, ma infine, soppesati i prò e i
contro di una simile richiesta, decide di no. Invece dice: Le
domando scusa, Mr Flood. Mi spiace di aver riso di lei.

Ora Flood se n'è andato, e Mr Blank è nuovamente so-


lo nella stanza. Nel seguito del loro perturbante incontro il
vecchio si sente nervoso e contrariato, ferito dalle ingiuste
e bellicose accuse che gli sono state mosse. Tuttavia, non
volendo sprecare un'occasione per saperne di più delle cir-
costanze attuali, si spinge sulla sedia fino alla scrivania e
pone mano al taccuino e alla penna. A questo punto ne ha
capito abbastanza per sapere che, se non lo trascrive subi-
to, il nome gli scapperà dal cervello, e non vuole rischiare
di dimenticarlo. Perciò apre il taccuino alla prima pagina,
prende la penna e aggiunge un altro elemento alla sua lista:

James P. Flood.
Anna.
David Zimmer.
Peter Stillman, Jr.
Peter Stillman, Sr.
Fanshawe.
Mentre scrive il nome di Fanshawe, ricorda che du-
rante la visita di Flood è stato menzionato anche un se-
condo nome, un nome che ha sentito nell'ambito del ri-
ferimento al sogno di Flood nel trentesimo capitolo del li-
bro: ma per quanto si arrovelli, la risposta non gli arriva.

C'entra qualcosa con il settimo capitolo, dice fra sé, c'en-


tra con una casa, ma il resto, nella mente di Mr Blank, è
spazio bianco. Seccato per la propria inettitudine, decide
di metter giù qualcosa comunque, sperando che in futuro,
prima o poi, il nome ritorni. Ora l'elenco recita cosi:

James P. Flood.
Anna.
David Zimmer.
Peter Stillman, Jr.
Peter Stillman, Sr.
Fanshawe.
Uomo con casa.
Nel momento in cui Mr Blank posa la penna, comincia
a risuonargli in testa una parola e poi, per qualche istan-
te, mentre la parola continua a echeggiare dentro di lui,
capisce di essere al limite di un decisivo passo avanti, una
svolta cruciale che servirà a chiarire qualcosa di quello che
il futuro gli riserva. La parola è parco. Ricorda che, poco
dopo essere entrato nella stanza, Flood ha proposto di an-
dare a parlare nel parco oltre la via. Ciò sembra se non al-
tro contraddire la precedente persuasione di Mr Blank di
essere tenuto prigioniero, confinato nello spazio entro cui
lo circondano queste quattro pareti, inibito per sempre a
salpare per il vasto mondo. Il pensiero è abbastanza inco-
raggiante, ma sa anche che, quando pure gli sia permesso
di visitare il parco, ciò non dimostra necessariamente che
è libero. Forse simili visite sono possibili soltanto sotto
stretta sorveglianza, e dopo aver sorbito una gradita dose
di sole e aria pura, Mr Blank verrà prontamente ricondotto
nella stanza: di conseguenza, è ancora tenuto prigioniero
contro la sua volontà. Rimpiange di non avere avuto la pre-
senza di spirito di informarsi con Flood riguardo al parco:
per stabilire, ad esempio, se si tratta di un parco pubblico
o invece solo di una pertinenza alberata o erbosa dell'edi-
ficio o dell'istituto o del reclusorio nel quale adesso vive.
E, cosa più importante, capisce per la forse centesima vol-
ta quel giorno che, alla fine, tutto si riduce alla natura del-
la porta, e al fatto che sia chiusa o meno dall'esterno. Ser-
ra gli occhi e si sforza di richiamare i rumori che ha senti-
to dopo che Flood è uscito dalla stanza. Era il rumore di
un catenaccio tirato, il rumore di una chiave che gira nel
cilindro, o il semplice clic di un lucchetto? Mr Blank non
ricorda. Alla fine del colloquio con Flood era troppo tur-
bato e distratto da quell'omiciattolo sgradevole e dalle sue
lagnose rimostranze, per soffermarsi su aspetti banali qua-
li le serrature, i chiavistelli e le porte.

Mr Blank si domanda se non sia scoccato finalmente il


momento di indagare da solo sulla questione. Per quanto
abbia paura, non sarebbe meglio conoscere la verità una
volta per tutte, anziché vivere in uno stato di perenne in-
certezza? Forse, dice fra sé. E ancora: forse no. Prima che
Mr Blank possa decidere se finalmente ha trovato il co-
raggio di compiere il viaggio fino alla porta, d'un tratto si
annuncia un problema nuovo e più urgente - quella che più
precisamente si potrebbe definire un'urgente urgenza. La
pressione dentro il corpo di Mr Blank ha ricominciato a
salire. A differenza del precedente episodio, che si situa-
va genericamente nella zona del ventre, questo sembra in
un punto parecchi centimetri più in basso, nel profondo
sud dell'addome di Mr Blank. Da una lunga esperienza
con siffatte faccende, il vecchio capisce di dover fare pipi.
Valuta la possibilità di recarsi fino al bagno sulla sedia, ma
sapendo che quest'ultima non passerebbe dalla porta, e sa-
pendo anche di non poter effettuare la minzione dalla se-
dia - dunque inevitabilmente verrà il momento in cui do-
vrà alzarsi (anche solo per sedersi di nuovo sul water nel
caso fosse colpito da un nuovo capogiro) -, decide di fare
il viaggio a piedi. Quindi si alza dalla sedia, notando con
soddisfazione che il suo equilibrio è stabile, senza il mini-
mo segno del capogiro che lo ha colto in precedenza. Quel-
lo che tuttavia Mr Blank ha scordato, è che non calza più
le ciabatte nere, e ai suoi piedi non resta nient'altro che
i calzini bianchi di nylon. Poiché il tessuto dei suddetti cal-
zini è sottilissimo, e il parquet è molto liscio, dopo il pri-
mo passo Mr Blank scopre che è possibile procedere sdruc-
cioloni - non con lo strascichio raschiante delle ciabatte,
ma come se pattinasse sul ghiaccio.

Dunque ora ha a disposizione una nuova forma di pia-


cere, e dopo due o tre scivolate sperimentali fra la scrivania
e il letto, stabilisce che è altrettanto gratificante che don-
dolarsi avanti e indietro e girare in tondo sulla sedia: forse
lo è anche di più. La pressione nella vescica aumenta, ma
Mr Blank rinvia il suo viaggio al bagno per prolungare di
qualche secondo il suo giro sul ghiaccio immaginario, e men-
tre pattina per la stanza, sollevando ora un piede ora l'al-
tro, ovvero sdrucciolando con tutti e due sul pavimento, ri-
torna un'altra volta al lontano passato, non cosi indietro co-
me all'epoca di Whitey il cavallo a dondolo, o alle mattine
in cui si sedeva in grembo a sua madre mentre lei lo vesti-
va sul letto, ma comunque a tanto tempo fa: Mr Blank nel
penultimo periodo dell'infanzia, sui dieci anni, forse undi-
ci, sicuramente meno di dodici. E un freddo sabato pome-
riggio di gennaio o febbraio. Lo stagno della cittadina do-
ve è cresciuto è coperto di ghiaccio, e il giovane Mr Blank,
che allora era chiamato Mastro Blank, pattina mano nella
mano al suo primo amore, una bambina con gli occhi ver-
di e i capelli castano-rossicci, lunghi capelli castano-rossic-
ci scompigliati dal vento, le guance rosse per il freddo; il
suo nome ora l'ha dimenticato ma è sicuro, dice fra sé Mr
Blank, che iniziasse con la lettera S: forse Susie, pensa, o
Samantha o Sally o Serena, ma no, non è nessuno di que-
sti e comunque non importa, dato che era la prima volta in
vita sua che teneva per mano una ragazza, e ora il suo ri-
cordo più struggente è la sensazione di essere entrato in un
nuovo mondo, un mondo in cui tenere per mano una fan-
ciulla era un bene da desiderarsi sopra ogni altra cosa, e il
suo trasporto verso questa giovane creatura dal nome che
iniziava per S era tale che quando, finito di pattinare, si
erano seduti sul ceppo di un albero vicino allo stagno, Ma-
stro Blank era stato cosi ardito da protendersi a baciarla
sulle labbra. Per motivi che allora lo confusero e insieme lo
ferirono, Miss S. scoppiò a ridere, scostò il capo e lo re-
darguì con una frase che da allora è sempre rimasta con luir
- anche ora che si trova negli impicci, che non tutto fun-
ziona a dovere nella sua testa, sicché tante altre cose sono'
sparite: Non fare lo sciocco. Infatti l'oggetto dei suoi sen-
timenti non capiva un'acca di quelle cose, avendo appena
dieci o undici anni e non essendo ancora abbastanza ma-
tura per trovare un qualsiasi significato nelle avance eroti-
che di un esponente dell'altro sesso. Cosi, anziché rispon-
dere con un bacio al bacio di Mastro Blank, aveva riso.

L'ammonimento riecheggiò per giorni, facendo soffri-


re la sua anima al punto che un mattino, accortasi della cu-
pezza di suo figlio, la mamma gli domandò cosa avesse. Mr
Blank era ancora abbastanza giovane per confidarsi con
sua madre senza remore, e le raccontò la sua storia. Alla
fine lei rispose: Non preoccuparti, ci sono altri sassi sulla
riva. Era la prima volta che Mr Blank sentiva quel detto,
e gli sembrò strano che le ragazze potessero venire para-
gonate a dei sassi, dato che lui non vedeva fra loro alcun
nesso, almeno stando alla sua esperienza. Comunque non,
gli sfuggi la metafora, ma pur comprendendo quello che
sua madre stava cercando di dirgli dissentiva, perché la'
passione è e sarà sempre cieca nei confronti di tutto tran-
ne una cosa, e in quanto a Mr Blank sulla riva c'era un uni-
co sasso che contava, e se non fosse riuscito ad avere quel-
lo, non gli importava di nessuno degli altri. Naturalmente ,
il tempo modificò questa posizione, e lui capi con gli anni
che le parole di sua madre erano sagge. Ora, mentre con-
tinua a pattinare per la stanza con i calzini di nylon bian-
chi, Mr Blank si chiede quanti sassi ci sono stati da allora.
Non ne è sicuro perché la sua memoria è quanto mai caren-
te, ma sa che sono stati decine, molte decine - più sassi nel
suo passato di quanti sappia contarne, fino ad Anna e com-
presa Anna, la ragazza perduta tanti anni fa e riscoperta
proprio oggi sulla riva infinita dell'amore.

Questi pensieri volano nella mente di Mr Blank nel gi-


ro di pochi secondi, forse dieci, forse venti, e intanto, men-
tre il passato sgorga dentro di lui, lotta per rimanere con-
centrato e non perdere l'equilibrio pattinando per la stan-
za. Tuttavia, per quanto brevi siano quei secondi, viene il
momento in cui i giorni andati hanno la meglio sul pre-
sente, e invece di pensare e muoversi in contemporanea,
Mr Blank dimentica che si sta muovendo per concentrar-
si unicamente sui suoi pensieri, cosi in breve - dopo nean-
che un secondo, forse, o due secondi al massimo - gli sci-
volano i piedi e cade a terra.

Per fortuna non cade sulla testa, ma per ogni altro ver-
so la caduta si caratterizza come un brutto capitombolo.
Pencolando all'indietro nel vuoto mentre i piedi calzati si
arrabattano per far presa sulle scivolose tavole di legno,
tende le mani in fuori alle sue spalle nella vana speranza
di attutire la botta, ma picchia forte il coccige contro il
pavimento, e il colpo gli scatena una cascata di fuoco vul-
canico per le gambe e il tronco; ed essendo comprese nel-
l'impatto le mani, anche polsi e gomiti sono in fiamme in
un attimo. Mr Blank si dibatte sul pavimento, troppo
stordito anche per compatirsi, e mentre stringe i denti per
incassare il dolore che lo ha inghiottito, dimentica di con-
trarre i muscoli del pene e quelli nei paraggi come aveva
fatto appena prima, mentre pattinava nel suo passato.
Perché la vescica di Mr Blank è piena da scoppiare e, sen-
za uno sforzo cosciente per trattenersi, diciamo pure che
un incidente vergognoso e imbarazzante è alle porte. Ma
avverte troppo dolore. Ha espulso dalla mente tutti gli
altri pensieri, e appena comincia a rilassare i muscoli di
cui sopra, sente l'uretra cedere all'ineluttabile, e un atti-
mo dopo si sta pisciando addosso. Sono ridotto peggio di
un bebé, riflette, mentre l'orina calda zampilla da lui e
scorre lungo la gamba. Poi aggiunge: Che frigna e vomita
in braccio alla balia. E poi, quando il diluvio è cessato, gri-
da con quanta voce ha nei polmoni: Idiota! Vecchio idio-
ta! Che diavolo ti succede ?

Adesso Mr Blank è in bagno e si sta levando pantalo-


ni, mutande e calzini, tutti inzuppati e ingialliti per la
sua involontaria perdita di controllo. Ancora scosso per
il guaio che ha combinato, le ossa dolenti per l'urto con-
tro il parquet, scaglia rabbiosamente tutti i vestiti nella va-
sca, poi prende il guanto di spugna bianco prima usato da
Anna per lavarlo e si deterge gambe e inguine con l'acqua
calda. Cosi facendo, il pene che era molle comincia a irri-
gidirsi, alzandosi dalla perpendicolare a un angolo di qua-
rantacinque gradi. A dispetto dei numerosi affronti che ha
subito negli ultimi minuti, Mr Blank non può fare a me-
no di provare conforto per questa novità, come se in un
certo modo dimostrasse che il suo onore è ancora integro.
Dopo qualche altra tirata, il vecchio compagno si proietta
dal suo corpo svettando a novanta gradi pieni, e cosi, pre-
ceduto dalla seconda erezione del mattino, Mr Blank esce
dal bagno, si avvicina al letto e mette i calzoni del pigia-
ma che Anna aveva lasciato sotto il cuscino. Mr Big ha già
iniziato a rimpicciolirsi nel momento in cui il vecchio in-
fila i piedi nelle ciabatte di pelle, ma che cos'altro ci si può
attendere in mancanza di ulteriore attrito o di qualunque
stimolo mentale? Mr Blank è più comodo con i calzoni
del pigiama e le ciabatte di quando aveva i pantaloni bian-
chi e le scarpe da tennis, ma del resto non può non sen-
tirsi in colpa per queste modifiche di sartoria, in quanto
indubbiamente non ha mantenuto la promessa fatta ad
Anna - secondo la richiesta di Peter Stillman Jr - e ciò lo
addolora profondamente, ancor di più del dolore fisico
che continua a riverberargli nel corpo. Ciabattando fino
alla scrivania per riprendere la lettura del dattiloscritto,
decide che la prossima volta che la vedrà le confesserà tut-
to, sperando che l'affetto di lei basti a perdonarlo.

Pochi secondi dopo è di nuovo seduto sulla sedia, con


il coccige che pulsa mentre dimena il posteriore fino a tro-
vare una posizione più accettabile. Poi inizia a leggere:

Ho sentito parlare per la prima volta della crisi nei Ter-


ritori alieni sei mesi fa. Era un tardo pomeriggio di mez-
za estate, e sedevo da solo nel mio ufficio, al lavoro sulle
ultime pagine del rapporto semestrale. Eravamo ben ad-
dentro la stagione dei panni di cotone bianco, ma quel gior-
no l'aria era stata particolarmente torrida, pesava cosi gre-
ve e soffocante che l'indumento più sottile sembrava già
troppo. Alle dieci avevo dato il permesso agli uomini del
mio dipartimento di togliersi le giacche e le cravatte, ma
dato che anche questo sembrava poco produttivo, a mez-
zogiorno li misi in libertà. Considerato che per tutta la
mattina il personale non aveva fatto altro che sventagliar-
si sul volto e asciugarsi il sudore dalla fronte, sembrava
inutile continuare a tenerli in ostaggio.

Ricordo che pranzai alla Bruder Hof, un ristorantino ap-


pena svoltato l'angolo dal Ministero degli Esteri. Poi feci
una passeggiata in Santa Victoria Boulevard, arrivando fi-
no al fiume per vedere se mi riusciva di convincere un po'
di brezza a soffiarmi sul viso. Vidi i bambini mettere in ac-
qua le loro barchette, le donne camminare a gruppi di tre o
quattro con i parasole e i sorrisi ritrosi, i giovanotti in ozio
sull'erba. Ho sempre amato la capitale d'estate. In quel pe-
riodo dell'anno vi è un'immobilità che avvolge tutto, un'at-
mosfera di trance che sembra scolorare la differenza fra le
cose animate e quelle inanimate, e le genti sono molto più
rare e silenziose lungo i viali: tutto questo fa apparire qua-
si inverosimile la frenesia delle altre stagioni. Forse sarà
perché il Protettore e la sua famiglia allora non si trovano
in città, e quando il palazzo si staglia deserto, con imposte
azzurre a ricoprire quelle finestre familiari, la realtà della
Confederazione incomincia a sembrare meno concreta.
Ci si rende conto delle grandi distanze, dell'infinità di ter-
ritori e abitanti, della babele e del clamore delle vite vis-
sute - ma tutto, per cosi dire, con distacco, come se la Con-
federazione fosse diventata una cosa interiore, un sogno
che ogni individuo ha portato dentro di sé.

Rientrai in ufficio e lavorai senza interruzione fino al-


le quattro. Avevo appena posato la penna per preparare
mentalmente gli ultimi paragrafi quando fui interrotto
dall'arrivo del segretario del Ministro - un giovane di no-
me Jensen, o Johnson, non ricordo. Mi consegnò un bi-
glietto, e distolse con discrezione gli occhi mentre lo leg-
gevo, aspettando una risposta da portare al Ministro. Era
un messaggio brevissimo. Potrebbe gentilmente passare da
casa mia, stasera? Le chiedo scusa per l'invito senza preav-
viso, ma ho una questione di estrema importanza da discute-
re con lei. Joubert.

Scrissi la risposta sulla carta intestata del dipartimen-


to, ringraziando il Ministro dell'invito e rispondendo che
poteva aspettarmi per le otto. Il segretario dai capelli ros-
si usci con la mia lettera e io rimasi alla scrivania per qual-
che minuto a interrogarmi su quanto appena successo.
Joubert si era insediato come Ministro tre mesi prima, e
da allora lo avevo visto una sola volta - a un banchetto
formale tenuto dall'Ufficio per festeggiare la sua nomina.
In circostanze normali, un uomo nella mia posizione ave-
va pochi contatti con il Ministro, e quell'invito a casa sua
mi sembrò strano, a maggior ragione con cosi poco anti-
cipo. Da quello che sinora avevo sentito di lui, il Mini-
stro non era né impulsivo né esibizionista nell'esercizio
delle sue funzioni, e non ostentava il potere in maniera
arbitraria o irragionevole. Non pensavo mi avesse convo-
cato a un incontro privato con l'intento di censurare il
mio lavoro, ma nel contempo, a giudicare dall'urgenza del
messaggio, era chiaro che si sarebbe trattato di qualcosa
di più che una visita di circostanza.

Per essere un uomo giunto a una posizione cosi elevata,


Joubert non faceva una grande impressione. Prossimo al
sessantesimo compleanno, era un uomo basso e tarchiato,
con la vista corta e il naso bitorzoluto; durante tutta la no-
stra conversazione non fece che sistemarsi e risistemarsi
di continuo il pince-nez. Un domestico mi accompagnò lun-
go il corridoio centrale al pianoterra della residenza del Mi-
nistro fino a una piccola biblioteca; e quando Joubert si
alzò per ricevermi, con indosso una redingote marrone fuo-
ri moda e un cache-col bianco stazzonato, mi sembrò di
stringere la mano a un aiuto-procuratore legale, anziché a
uno dei personaggi più importanti della Confederazione.
Ma quando cominciammo a parlare, quell'illusione si dis-
solse in un attimo. L'uomo aveva una mente lucida e at-
tenta, e ogni sua frase era formulata con autorevolezza e
convinzione. Dopo essersi scusato per avermi convocato a
casa sua in un momento poco opportuno, accennò alla pol-
trona di pelle dal telaio dorato davanti alla sua scrivania,
e mi misi a sedere.

- Credo che abbia saputo di Ernesto Land, - mi disse,


senza perdere tempo in inutili formalità.

- Era uno dei miei migliori amici, - risposi. - Abbiamo


combattuto insieme nelle Guerre del confine di sudest, e
in seguito lavorato nella stessa sezione dell'intelligence.
Dopo il Trattato di rinsaldamento del 4 marzo mi pre-
sentò alla donna che poi avrei sposato... la mia povera mo-
glie, Beatrice. Un uomo eccezionale per coraggio e peri-
zia. La sua morte nell'epidemia di colera è stata una gra-
ve perdita per me.

- Questa è la versione ufficiale. Un certificato di mor-


te è depositato nell'Archivio anagrafico municipale... ma
recentemente il nome di Land è rispuntato in più di un'oc-
casione. Se i rapporti fossero veritieri, si dovrebbe con-
cludere che sia ancora vivo.

- E una magnifica notizia, signore. Mi rallegra molto.

- Negli ultimi mesi ci sono giunte voci dalla guarnigio-


ne di Ultima. Non abbiamo nessuna conferma, ma stando
a quei resoconti Land avrebbe sconfinato nei Territori alie-
ni qualche tempo dopo la fine del colera. Dalla capitale a
Ultima il viaggio dura tre settimane. Ciò significa che Land
parti subito dopo l'inizio dell'epidemia. Quindi non mor-
to... soltanto disperso.

- I Territori alieni sono proibiti. Tutti lo sanno. I De-


creti di Non-Ingresso sono in vigore ormai da dieci anni.

- Eppure, Land è là. Se i rapporti dell'intelligence so-


no esatti, viaggiava con una forza di cento uomini armati.

- Non capisco.

- Riteniamo che stia istigando il malcontento fra i Pri-


mitivi, e si accinga a guidarli in un'insurrezione contro le
province occidentali.

- Non è possibile.

- Niente è impossibile, Graf. E se c'è un uomo che do?


vrebbe saperlo, è proprio lei.

- Nessuno più di lui crede con tutta l'anima nei prin»!


cipì della Confederazione. Ernesto Land è un patriota.

- A volte gli uomini cambiano idea.

- Deve esserci uno sbaglio. La rivolta è impossibile.


Un'azione militare presupporrebbe l'unità fra i Primitivi,
che non vi è mai stata e non vi sarà mai. Sono molteplici
e divisi quanto noi. Tradizioni sociali, lingue e fedi reli-
giose li hanno mantenuti ostili fra loro per secoli. I Tacka-
men dell'Est seppelliscono i loro morti come noi. I Gangi
dell'Ovest li depongono su piattaforme sopraelevate e la-
sciano i cadaveri a putrefarsi al sole. Il Popolo Crow del
Sud brucia i suoi morti. I Vahntoo cuociono i cadaveri e
se ne cibano. Noi definiamo questo un insulto contro Dio,
ma per loro è un rito sacro. Ogni nazione è divisa in tribù,
divise a loro volta in piccoli clan, e non soltanto tutte le
nazioni in diversi momenti del passato hanno combattuto
l'una contro l'altra, ma anche le tribù entro quelle nazio-
ni si sono fatte la guerra. Non riesco proprio a immagina-
re una loro alleanza, signore. Fossero capaci di un'azione'
unitaria, prima di tutto non le avremmo mai sconfitte.
- Deduco che lei conosca bene i Territori.

- Quando ero da poco nell'Ufficio trascorsi un anno fra


i Primitivi. Naturalmente, accadde prima dei Decreti di
Non-Ingresso. Mi spostai da un clan all'altro studiando i
meccanismi di ciascuna società e indagando su tutto, dal-
le leggi alimentari ai riti di accoppiamento. Fu un'espe-
rienza memorabile. In seguito il mio lavoro mi ha sempre
appassionato, ma ricordo quell'incarico come il più sti-
molante e difficile della mia carriera.

- Prima, tutto era in loro possesso. Poi giunsero le na-


vi, portando i coloni dall'Iberia e dalla Gallia, da Albio-
ne, dalla Germania e dai reami tartari; e a poco a poco i
Primitivi furono scacciati dalle loro terre. Li sterminam-
mo e li riducemmo in schiavitù, per confinarli infine tut-
ti quanti nei territori aridi e brulli al di là delle province
occidentali. Deve avere incontrato molta amarezza e mol-
to rancore nei suoi viaggi.

- Meno di quello che può pensare. Dopo quattro seco-


li di conflitti, gran parte delle nazioni erano ben contente
di essere in pace.

- Questo accadeva più di dieci anni fa. Forse a questo


punto hanno rivisto la loro posizione. Nei loro panni, sa-
rei oltremodo tentato di riacquistare le province occiden-
tali. Laggiù la terra è fertile. Le foreste pullulano di sel-
vaggina. La vita per loro sarebbe migliore, più facile.

- Dimentica che tutte le nazioni dei Primitivi sotto-


scrissero i Decreti di Non-Ingresso. Ora che sono cessate
le violenze preferiscono vivere nel loro mondo separato,
senza interferenze della Confederazione.

- Spero che lei abbia ragione, Graf, ma è mio dovere


salvaguardare il benessere della Confederazione. Forse i
rapporti su Land si dimostreranno infondati, ma un'inda-
gine è doverosa. Orbene, lei conosce l'uomo, ha trascorso
un periodo nei Territori, e fra tutti i membri dell'Ufficio
non mi sovviene nessuno più qualificato di lei per svolge-
re il lavoro. Badi, non le sto ordinando di andare; ma le
sarei profondamente grato se accettasse. Da questo può
dipendere il futuro della Confederazione.

- La sua fiducia mi onora, signore. Ma... se non mi per-


mettessero di passare il confine ?

- Lei porterà una mia lettera personale al Colonnello


De Vega, l'ufficiale comandante della guarnigione. Sarà
contrariato, tuttavia non avrà scelta. A un ordine del go-
verno centrale si deve obbedire.

- Ma se quello che dice è vero, e Land si trova nei Ter-


ritori alieni con cento uomini, non sorge una domanda
sconcertante ?

- Una domanda ?
- Come ha potuto arrivare fin là ? A quanto mi risulta,
ci sono truppe schierate lungo tutta la frontiera. Posso an-
che immaginare che un uomo solo trovi un varco fra loro,
ma non cento. Se Land ci è riuscito, deve averlo fatto con
la connivenza del Colonnello De Vega.

- Forse. O forse no. E uno dei misteri che lei dovrà


chiarire.

- Quando vuole che parta ?

- Appena possibile. Avrà a disposizione una vettura del


Ministero. Sarà fornito delle provviste e faremo tutti i pre-
parativi necessari. Le sole cose che dovrà portare con sé
sono la lettera e gli abiti che ha indosso.

- Allora, domattina. Ho appena finito di redigere il mio


rapporto semestrale, e la scrivania è vuota.

- Per la lettera, passi alle nove al Ministero. L'aspet-


terò nel mio ufficio.

- Benissimo, signore. Domattina alle nove.

Nel momento in cui Mr Blank arriva alla fine del col-


loquio fra Graf e Joubert, squilla il telefono ed è di nuo-
vo costretto a interrompere la lettura del dattiloscritto.
Imprecando sottovoce si districa dalla sedia, quindi at-traversa la stanza piano, zoppicante, verso il
comodino,
fatica a camminare per via delle recenti contusioni, ar-
rancando cosi stentatamente che non riesce a prendere la
cornetta prima del settimo squillo, mentre alla preceden-
te chiamata di Flood era stato abbastanza lesto da rispon-
dere al quarto.

Cosa vuole ?, domanda bruscamente Mr Blank seden-


dosi sul letto, sentendo sfarfallare improvvisamente den-
tro di sé il vecchio capogiro.

Voglio sapere se ha finito il racconto, risponde calma


una voce maschile.

Racconto ? Quale racconto ?

Quello che stava leggendo. Il racconto sulla Confede-


razione.

Non sapevo che fosse un racconto. Sembra più un rap-


porto, qualcosa che è successo veramente.
È finto, Mr Blank. Una storia inventata.

Ah. Ecco perché non avevo mai sentito parlare di quel


posto. So che oggi il mio cervello non funziona troppo be-
ne, ma credevo che il manoscritto di Graf fosse stato ri-
trovato da qualcuno dopo anni che lo aveva redatto, e poi
copiato da una dattilografa.

Uno sbaglio in buona fede.

Uno sbaglio cretino.

Non se la prenda. L'unica cosa che devo sapere è se lo


ha terminato o no.

Quasi. Mi resta ancora qualche pagina. Se non mi aves-


se interrotto con questa maledetta telefonata, probabil-
mente sarei alla fine.

Bene. Arrivo fra un quarto d'ora, venti minuti, cosi


possiamo iniziare il consulto.

Consulto ? Di che cosa sta parlando ?

Io sono il suo medico, Mr Blank. Vengo a visitarla tut-


ti i giorni.

Non ricordo di avere nessun medico.

Chiaro. È perché la cura comincia a fare effetto.

E il mio medico ha un nome ?


Farr. Samuel Farr.

Farr... mmm... si, Samuel Farr. Conosce per caso una


donna che si chiama Anna ?

Ne parleremo dopo. Per ora, l'unica cosa che deve fa-


re è finire il racconto.

E va bene, lo finirò. Ma quando verrà nella mia stan-


za, come farò a sapere che è proprio lei ? E se fosse un al-
tro, uno che finge ?

Sulla scrivania c'è una mia foto. La dodicesima del muc-


chio. La osservi bene e quando arriverò mi riconoscerà fa-
cilmente.

Adesso Mr Blank è di nuovo seduto sulla sedia, ingob-


bito sopra la scrivania. Anziché cercare il ritratto di Samuel
Farr nel mucchio delle foto come gli è stato detto, prende
taccuino e penna e aggiunge alla sua lista un altro nome:

James P. Flood.
Anna.
David Zimmer.
Peter Stillman, Jr.
Peter Stillman, Sr.
Fanshawe.
Uomo con casa.
Samuel Farr.
Mette da parte il taccuino e la penna e riprende subito
il dattiloscritto della storia, completamente immemore del
suo intento di cercare la foto di Samuel Farr, cosi come da
un pezzo si è scordato di cercare l'armadio che dovrebbe
trovarsi nella stanza. Il testo delle pagine finali è il se-
guente:

Il lungo viaggio fino a Ultima mi diede tutto il tempo


di riflettere sulla natura della mia missione. Una serie di
conducenti si avvicendarono alle redini a turni di duecen-
to miglia, e non avendo nient' altro da fare che starmene
seduto in carrozza a guardare il panorama, man mano che
mi avvicinavo a destinazione scivolavo sempre più nel-
l'avvilimento. Ernesto Land era stato il mio compagno
d'armi e il mio intimo amico, ed ero profondamente re-
stio ad accettare quel verdetto di Joubert secondo cui si
era trasformato nel traditore di una causa da lui difesa
per tutta la vita. Dopo i Rinsaldamenti dell'Anno 31 era
rimasto nell'esercito, continuando il suo lavoro di uffi-
ciale dei servizi segreti sotto l'egida del Ministero della
Guerra, e ogniqualvolta aveva cenato con noi a casa no-
stra, o ci eravamo incontrati per fare uno spuntino po-
meridiano in una delle taverne presso la Spianata del Mi-
nistero, aveva parlato con euforia dell'immancabile vit-
toria della Confederazione, sicuro che alla fine si sarebbe
avverato quello che tutti noi avevamo sognato e per cui
avevamo combattuto fin dai nostri anni verdi. Ora, stan-
do agli agenti di Joubert a Ultima, non solo Land era sfug-
gito alla morte nell'epidemia di colera; no, addirittura ave-
va finto di morire per dileguarsi nelle solitudini con un
piccolo esercito di anti-Confederali per aizzare i Primiti-
vi alla rivolta. Per tutto quello che sapevo di lui sembra-
va un'accusa inverosimile, grottesca.

Land era cresciuto nella regione agricola di nordovest


della provincia di Tierra Vieja, la stessa parte del mondo
dove era nata mia moglie Beatrice. Da bambini erano sta-
ti compagni di giochi, e per molti anni le loro famiglie ave-
vano dato per certo che alla fine si sarebbero sposati. Una
volta Beatrice mi confessò che Ernesto era stato il suo pri-
mo amore, e che quando l'aveva lasciata per fidanzarsi con
Hortense Chatterton, rampolla di una facoltosa famiglia
di armatori di Mont Sublime, si era sentita morire. Ma
Beatrice era una ragazza forte, troppo orgogliosa per con-
dividere con altri il suo dolore, e con una straordinaria mo-
stra di coraggio e dignità accompagnò i suoi genitori e due
suoi fratelli al fastoso ricevimento di nozze nella tenuta dei
Chatterton. Fu là che mi venne presentata. Persi la testa
per lei già quella prima sera, ma Beatrice accettò la mia
proposta di matrimonio solo dopo diciotto lunghi mesi di
corteggiamento. Sapevo che non mi considerava all'altez-
za di Land. Non ero né bello né brillante come lui, e servi
tempo prima che capisse che la fermezza del mio caratte-
re e la mia assidua devozione a lei erano doti altrettanto
importanti per costruire un'unione tale da durare per tut-
ta la vita. Da parte mia, per quanto ammirassi Land, ero
pur consapevole dei suoi difetti. In lui era sempre corsa
una vena di selvaggia impetuosità, una caparbia sicume-
ra nella sua preminenza sugli altri; e a dispetto del fasci-
no e della forza di persuasione, dell'innata virtù di attrarre
l'attenzione ovunque si trovasse, si coglieva in lui anche
un'inguaribile vanità, celata appena sotto le apparenze. Il
suo matrimonio con Hortense Chatterton si rivelò infeli-
ce. Land la tradì quasi fin dal principio; e quando, quat-
tro anni dopo, lei mori di parto, si riebbe dalla perdita in
un nonnulla. Certo, espletò tutti i rituali del lutto e della
pubblica afflizione, ma sotto sotto sentivo che provava
più sollievo che tormento. In seguito lo vedemmo spesso,
molto più spesso che nei primi anni del nostro matrimo-
nio. Va detto a suo merito che si affezionò profondamente
alla nostra figlioletta Marta, cui in ogni visita portava re-
gali, colmandola di un tale affetto che lei fini per creder-
lo un eroe, il più grand'uomo che calcasse la terra. Ogni
volta che era con noi si comportava con assoluto decoro;
eppure, chi può biasimarmi se a volte mi chiedevo se i fuo-
chi che un tempo erano arsi per lui nel cuore di mia mo-
glie fossero spenti del tutto ? Non accadde mai nulla di in-
crescioso - non una parola o uno sguardo fra loro, tali da
suscitare la mia gelosia - ma in quei giorni successivi al-
l'epidemia di colera in cui teoricamente erano periti en-
trambi, cosa dovevo pensare delle voci secondo cui Land
era vivo, e del fatto che, malgrado i miei strenui tentativi
di scoprire qualcosa sulla sorte di Beatrice, non trovai nem-
meno un testimone che l'avesse vista nella capitale mentre
imperversava il morbo ? Se non fosse stato per quel fune-
sto litigio con Giles McNaughton seminato da malvagie
insinuazioni sul conto di mia moglie, non credo che du-
rante il viaggio verso Ultima sarei stato straziato da si cu-
pi sospetti. E se Beatrice e Marta fossero fuggite con Land
mentre io attraversavo le Comunità indipendenti della pro-
vincia di Tierra Bianca ? Sembrava impossibile; tuttavia,
come mi aveva detto Joubert la sera prima della mia par-
tenza, niente era impossibile, e se c'era un uomo al mon-
do che avrebbe dovuto saperlo, ero proprio io.

Le ruote della carrozza cambiarono direzione, e quan-


do mi trovai nei sobborghi di Wallingham, il luogo a metà
del viaggio, capii che mi stavo avvicinando a un orrore con
due volti. Se Land aveva tradito la Confederazione, le istru-
zioni datemi dal Ministro erano di arrestarlo e riportarlo
prigioniero nella capitale. Questa idea era già abbastanza
deplorevole, ma se il mio amico mi aveva davvero tradito,
portandomi via moglie e figlia, allora l'avrei ucciso. Su que-
sto non avevo dubbi, quali che fossero le conseguenze. Mi
maledica Iddio per averlo pensato, ma per il bene di Erne-
sto e di me stesso pregai che Beatrice fosse già morta.

Mr Blank getta il dattiloscritto sulla scrivania, sbuf-


fando di scontento e di indignazione, furioso per essere
stato costretto a leggere una storia senza finale, un'ope-
ra incompleta che è appena iniziata, un misero frammento
del cavolo. Che porcata, commenta ad alta voce; e poi,
ruotando la sedia di centottanta gradi, si spinge fino alla
porta del bagno. Ha sete. Senza bibite a disposizione, l'u-
nica è riempirsi un bicchiere d'acqua del rubinetto. Co-
si si alza dalla sedia, apre la porta e ciabatta in avanti,
sempre mugugnando per avere sprecato tanto tempo con
quel papocchio di un surrogato di racconto. Beve un bic-
chier d'acqua e poi un altro, appoggiando la mano sini-
stra sul lavabo per tenersi in equilibrio mentre guarda con
disperazione i panni sporchi nella vasca. Ora che è in ba-
gno, Mr Blank si chiede se non gli converrebbe riprovare
a far pipì, a scanso di rischi. Temendo di stramazzare di
nuovo qualora restasse in piedi troppo a lungo, si lascia ca-
dere i calzoni del pigiama sulle caviglie e si siede sul wa-
ter. Come una donna, dice fra sé, improvvisamente di-
vertito all'idea di come sarebbe stata diversa la sua vita se
non fosse nato uomo. Dopo la recente disavventura, la sua
vescica non ha granché da dire, ma infine lui riesce a spre-
mere qualche magro spruzzetto. Si rialza in piedi tirando
su i calzoni del pigiama, aziona lo scarico, si risciacqua le
mani nel lavabo, le asciuga con un asciugamano, quindi si
volta, apre la porta... e vede un uomo in piedi nella stan-
za. Un'altra occasione mancata, dice fra sé Mr Blank, pen-
sando che il rumore dello sciacquone abbia coperto l'arri-
vo dello sconosciuto, lasciando insoluta la questione se la
porta sia chiusa dall'esterno o no.

Mr Blank si siede sulla sedia ed effettua un'improvvi-


sa semigiravolta per guardare il nuovo arrivato, un tren-
tacinquenne alto, in jeans e camicia con il colletto button-
down aperto. Capelli scuri, occhi scuri, e un viso magro
che sembra non sorridere da anni. Tuttavia appena Mr
Blank fa questa considerazione, l'uomo gli sorride e dice:
Salve, Mr Blank. Come sta oggi?

La conosco ?, gli chiede Mr Blank.

Non ha guardato la foto?, ribatte l'uomo.

Che foto?

Quella sulla sua scrivania. La dodicesima del mucchio.


Ricorda ?

Ah, quella. Si. Mi pare. Avrei dovuto guardarla, eh?

Dunque ?

Me ne sono scordato. Ero troppo impegnato a leggere


quella baggianata di racconto.

Non importa, dice l'uomo, voltandosi e andando ver-


so la scrivania, dove prende il mucchio delle foto e cerca
fino a quando arriva all'immagine che gli interessa. Poi
rimette le altre foto sulla scrivania, si avvicina a Mr Blank
e gli consegna il ritratto. Lo vede, Mr Blank?, dice l'uo-
mo. Sono io.

Allora dev'essere il dottore, fa Mr Blank. Samuel... Sa-


muel qualcosa.

Farr.

Giusto. Samuel Farr. Ora ricordo. Lei ha a che fare con


Anna, vero ?

Una volta. Ma tanto tempo fa.

Tenendo saldamente la foto con due mani, Mr Blank


la solleva fino ad averla proprio davanti alla faccia, quin-
di la osserva per venti secondi buoni. Farr, quasi identi-
co a com'è ora, siede in un giardino in camice da medico,
con una sigaretta accesa fra l'indice e il pollice della ma-
no sinistra.

Non capisco, dice Mr Blank, colpito da un nuovo, im-


provviso attacco d'ansia che gli brucia nel petto come un
tizzone ardente e gli contrae lo stomaco come un pugno.

Cosa c'è che non va?, gli chiede Farr. La somiglianza


è reale, non le sembra?

Somiglianza perfetta. Forse adesso avrà un anno o due


in più, ma l'uomo nella foto è lei, senza dubbio.

Ed è un problema ?

No, è soltanto che lei è cosi giovane, risponde Mr Blank


con la voce tremante, facendo quello che può per ricaccia-
re le lacrime che si stanno formando nei suoi occhi. Anche
Anna è giovane, nella sua foto. Ma lei mi ha detto che è sta-
ta scattata più di trent'anni fa. Ora non è più una ragazzi-
na. Ha i capelli grigi, suo marito è morto, e il tempo la sta
trasformando in una vecchia. Ma lei no, Farr. Lei era in-
sieme ad Anna. In quel terribile paese dove l'ho mandata...
però è successo oltre trent'anni fa, e lei non è cambiato.

Farr esita, palesemente incerto su come rispondere a


Mr Blank. Il vecchio si siede sull'orlo del letto, appoggia
i palmi delle mani sulle ginocchia e guarda a terra, siste-
mandosi senza saperlo nella medesima posizione in cui era
stato trovato all'inizio di questa cronaca. Segue un lungo
silenzio. Infine, sottovoce, dice: Non mi è permesso di par-
larne.

Mr Blank lo guarda con orrore. Mi sta dicendo che lei


è morto, esclama. E cosi, vero? Non ce l'ha fatta. Anna è
sopravvissuta, ma lei no.

Farr alza la testa e sorride. Le sembro morto, Mr


Blank?, gli chiede. Tutti passiamo dei momenti duri, cer-
to, ma mi creda, non sono meno vivo di lei.

Bah, e chi può dire se io sono morto oppure no ?, re-


plica Mr Blank con uno sguardo sinistro verso Farr. For-
se anch'io sono morto. Da come mi sono andate le cose
questa mattina, non mi stupirei affatto. A proposito del
trattamento. Probabilmente è solo un sinonimo di morte.

Lei ora non ricorda, dice Farr, alzandosi dal letto e


prendendo la foto dalle mani di Mr Blank, ma tutta la fac-
cenda è stata una sua idea. Noi facciamo solo quello che
lei ci ha chiesto.

Balle. Voglio vedere un avvocato. Mi tirerà fuori di qui.


Ho i miei diritti, sa.

Questo si può anche fare, risponde Farr riportando la


foto alla scrivania e rimettendola nel mucchio. Se deside-
ra, farò passare qualcuno a vederla oggi pomeriggio.

Bene, borbotta Mr Blank, un po' spiazzato dalla soler-


zia compiacente di Farr. Cosi va meglio.
Farr guarda l'orologio, si stacca dalla scrivania e torna a
sedersi sul letto di fronte a Mr Blank, il quale è ancora sul-
la sua sedia vicino alla porta della stanza. Si sta facendo tar-
di, dice il giovanotto. Dobbiamo iniziare il nostro colloquiai
Colloquio ? Quale colloquio ?

Il consulto.

Capisco la parola, ma non ho idea di cosa lei intenda.

Dobbiamo discutere del racconto.

E perché mai? E solo un inizio di racconto, e a casa


mia i racconti devono avere un inizio, una parte centrale
e una fine.
Sono completamente d'accordo.

Fra l'altro, chi è il bastardo che ha scritto quella fesse-


ria? Bisognerebbe prenderlo e metterlo al muro.

Un uomo di nome John Trause. Mai sentito nominare ?

Trause... mmmh... forse. Scriveva romanzi, giusto?


Adesso ho il cervello un po' annebbiato, ma credo che po-
trei averne letto qualcuno.

E cosi. Stia tranquillo che li ha letti.

E allora perché non mi dà quelli, da leggere... anziché


un racconto stupido, incompiuto e senza titolo?

No, in realtà Trause lo ha finito. Il manoscritto è lun-


go centodieci pagine: lo aveva scritto nei primi anni Cin-
quanta, ai suoi esordi come romanziere. Magari a lei non
sembrerà granché, ma non è affatto malvagio per un ra-
gazzo di ventitre o ventiquattro anni.

Non capisco. Perché non mi ha fatto leggere il seguito ?

Perché fa parte del trattamento, Mr Blank. Non ab-


biamo lasciato tutte queste carte sulla scrivania solo per
farla divertire. La loro presenza ha uno scopo.

E quale?

Saggiare i suoi riflessi, per esempio.

I miei riflessi? E cosa c'entrano?

I riflessi mentali. I riflessi emotivi.


Quindi ?

Quello che desidero è che mi dica lei il resto della sto-


ria. A cominciare dal punto dove ha smesso di leggere, mi
deve dire quello che secondo lei dovrebbe succedere ades-
so, fino all'ultimo paragrafo, all'ultima parola. L'inizio ce
l'ha già. Ora voglio che mi dia la parte centrale e la fine.

E questo che cos'è, una specie di gioco di società?

Se vuole. Io preferisco considerarlo un esercizio di ra-


gionamento immaginativo.

Bella parola, dottore. Ragionamento immaginativo. Da


quando in qua l'immaginazione è parente della ragione ?

Da ora, Mr Blank. Dal momento in cui lei comincia a


raccontarmi il resto della storia.
Ottimo. D'altronde non mi sembra di avere di meglio
da fare, no ?

Cosi mi piace.

Mr Blank chiude gli occhi per concentrarsi sul compi-


to da svolgere, ma escludere la stanza e i suoi immediati
paraggi provoca l'effetto perturbante di richiamare il cor-
teo di esseri fittizi che sfilavano nel suo cervello in pas-
sati momenti del racconto. Mr Blank rabbrividisce alla
paurosa visione, e dopo un attimo riapre gli occhi per far-
la svanire. i
Che le succede?, chiede Farr, con la faccia perplessa
Quei maledetti spettri, risponde Mr Blank. Sono tor-
nati.

Spettri ?

Le mie vittime. Tutte le persone che ho fatto soffrire


negli anni. Ora mi stanno addosso per vendicarsi.

Basta che tenga gli occhi aperti, Mr Blank, e vedrà che


non ci saranno più. Dobbiamo continuare con la storia.

Bene, d'accordo, dice Mr Blank, compiangendosi con


un lungo sospiro. Mi lasci un minuto.

Perché non mi dice un po' cosa pensa della Confede-


razione ? Potrebbe aiutarla a cominciare.

La Confederazione... la Con-fe-de-ra-zio-ne... E tut-


to semplicissimo, no ? E l'America sotto un altro nome.
Cioè, non gli Stati Uniti come noi li conosciamo, ma un
paese che si è evoluto altrimenti, che ha una storia diver-
sa. Però tutti gli alberi, tutte le montagne e tutte le pra-
terie occupano esattamente gli stessi posti dei nostri. I fiu-
mi e gli oceani sono identici. Gli uomini camminano con
due gambe, vedono con due occhi e toccano con due ma-
ni. Pensano pensieri doppi, e parlano contemporanea-
mente dai due lati della bocca.

Bene. E ora che succede a Graf quando arriva a Ul-


tima?

Lui va dal Colonnello con la lettera di Joubert, ma De


Vega si comporta come se gli fosse stato consegnato il
biglietto di un bambino, dato che in realtà è complice nel
complotto di Land. Graf gli ricorda che gli ordini di un
esponente del governo centrale vanno eseguiti, ma il Co-
lonnello ribatte che lui lavora per il Ministero della Guer-
ra, il quale gli ha tassativamente ordinato di far rispetta-
re i Decreti di Non-Ingresso. Graf accenna alle voci che
riguardano Land e i cento soldati che sarebbero entrati nei
Territori alieni, ma De Vega dice che non ne sa nulla. Al-
lora Graf dice che sarà costretto a scrivere al Ministro del-
la Guerra per richiedergli una dispensa dai Decreti di Non-
Ingresso. Bene, dice De Vega, ma occorrono sei settima-
ne perché una lettera compia il viaggio di andata e ritorno
dalla capitale, e nel frattempo lei cosa farà? Conoscerò le
attrattive di Ultima, risponde Graf, e aspetta una reazio-
ne - sapendo benissimo che il Colonnello non permetterà
mai alla sua lettera di arrivare, che non appena tenterà di
spedirla sarà subito intercettata.

Perché De Vega partecipa al complotto ? Da quello che


ho capito, sembrerebbe un ufficiale fedele.

Ma lo è, fedele. E lo è anche Ernesto Land con i suoi


cento nei Territori alieni.

Non la seguo.

La Confederazione è uno stato fragile, giovane, com-


posto da colonie e principati prima indipendenti; e al fine
di rafforzare questa gracile unità, cosa c'è di meglio, per
unire il popolo, che inventare un nemico comune e scate-
nare una guerra? In questo caso hanno scelto i Primitivi.
Land è un doppio agente, inviato nei Territori a suscitare
la rivolta fra le tribù locali. Una cosa non molto diversa da
quello che facemmo noi agli indiani dopo la Guerra civi-
le. Aizzare i nativi e poi massacrarli.

Ma Graf, come può sapere che anche De Vega è im-


plicato ?
Perché non gli ha fatto abbastanza domande. Come mi-
nimo avrebbe dovuto simulare un po' di curiosità. E poi c'è
il fatto che sia lui sia Land lavorano per il Ministero della
Guerra. Ovviamente Joubert e i suoi collaboratori del-
l'Ufficio affari interni sono all'oscuro del complotto, ma
non c'è niente di strano. Serbarsi gelosamente segreti fra
un'agenzia governativa e l'altra è all'ordine del giorno.

E dopo ?

Joubert ha dato a Graf i nomi di tre uomini, spie che


lavorano per l'Ufficio a Ultima. Nessuno dei tre sa dell'e-
sistenza degli altri, ma nel complesso sono stati la fonte
delle informazioni di Joubert su Land. Dopo il colloquio
con il Colonnello, Graf va a cercarli. Ma scopre che a uno
a uno tutti e tre sono stati, come suol dirsi, assegnati ad
altra sede. Dunque, ora troviamogli dei nomi. Un perso-
naggio è sempre più interessante quando ha un nome. Il
capitano... uhm... il maggiore Jacques Dupin è stato tra-
sferito due mesi prima in un presidio nel cuore dei monti
centrali. Il dottor Carlos... Woburn... è partito dalla città
in giugno per prestare servizio volontario nel Nord, dove
c'era un'epidemia di vaiolo. E Declan Bray, il barbiere più
rinomato di Ultima, è morto ai primi di agosto per un'in-
tossicazione alimentare. Se per fato o per dolo, è impossi-
bile saperlo, ma insomma il povero Graf si ritrova com-
pletamente isolato dall'Ufficio, senza nemmeno un allea-
to o un confidente, solo soletto in quest'angolo di terra
brulla dimenticata da Dio.

Molto bene. Bel tocco i nomi, Mr Blank.

Ho il cervello che corre ai cento all'ora. In tutta la gior-


nata non mi ero mai sentito cosi su di giri.

Insomma, il lupo perde il pelo.

E questo che vuol dire ?

Niente. Solo che lei è in forma, sta prendendo il ritmo.


E poi che succede ?

Graf resta a Ultima più di un mese cercando di escogi-


tare un modo per attraversare il confine ed entrare nei Ter-
ritori. In fin dei conti, non può andarci a piedi. Gli ser-
vono un cavallo, un fucile, provviste, probabilmente an-
che un asinelio. Frattanto, non avendo altro per riempireJj
le giornate, viene attirato nella società di Ultima - si fa
per dire, dato che ci troviamo in un fetido borgo di guar-
nigione lontano da tutto. Ed è proprio quell'ipocrita di De
Vega che sembra voler fare amicizia a ogni costo. Invita
Graf a una serie di cene - prolisse e noiose, con partecipa-
zione di ufficiali dell'esercito, autorità locali e mercanti,
insieme alle loro mogli, alle loro amichette e cosi via -, lo
accompagna nei bordelli pili esclusivi, e un paio di volte va
addirittura a caccia insieme a lui. E poi c'è l'amante del
Colonnello... Carlotta... Carlotta Hauptmann... una sen-
sualista debosciata, la proverbiale vedova in calore, i cui
principali svaghi nella vita sono fottere e giocare a carte.
Il Colonnello, naturalmente, è sposato, sposato con due
bambini, e può andare a trovare Carlotta solo un paio di
volte alla settimana, quindi lei è disponibile anche a fare
bisboccia con altri uomini. In breve Graf comincia una
relazione con lei. Una notte, mentre sono a letto, le fa del-
le domande riguardo a Land, e Carlotta conferma le di-
cerie. Si, gli spiega, Land e i suoi uomini hanno sconfi-
nato nei Territori da poco più di un anno. Perché glielo
dice? I suoi intenti non sono chiarissimi. Forse ha preso
una cotta per Graf e vuole aiutarlo, o forse l'ha istigata il
Colonnello per motivi segreti. Questa parte va svolta con
accortezza. Il lettore non deve mai sapere con certezza se
Carlotta sta attirando Graf in una trappola o se è sempli-
cemente una chiacchierona. Non dimentichiamo che qui
siamo a Ultima, il più cupo avamposto della Confedera-
zione, e sesso, gioco d'azzardo e pettegolezzi sono gli uni-
ci svaghi a disposizione.

Come fa Graf per passare il confine ?

Non lo so con esattezza. Probabilmente corrompe qual-


cuno. Non è molto importante. L'importante è che una
notte sconfina, e qui inizia la seconda parte del racconto.
Ora siamo nel deserto. Attorno il nulla, sopra la testa un
implacabile cielo azzurro, la luce martellante e poi, al ca-
lare del sole, un freddo da gelare le ossa. Graf cavalca per
giorni verso ovest in sella a un sauro di nome Whitey, co-
si chiamato per una chiazza bianca in mezzo agli occhi; e
ricordando bene il territorio dopo il soggiorno di dodici
anni prima, punta verso i Gangi, la tribù con cui nei viag-
gi precedenti aveva stretto più amicizia, e che gli era sem-
brata la meno bellicosa fra tutte le nazioni dei Primitivi.
Finalmente, in un tardo mattino, avvista un accampa-
mento gangi: un piccolo villaggio di quindici o venti ho-
gan che fa pensare a una popolazione fra le settanta e le
cento anime. Quando è a una trentina di metri dal limita-
re del campo, grida un saluto in dialetto gangi locale per
segnalare il suo arrivo agli abitanti - ma nessuno rispon-
de. Allarmato, Graf sprona il cavallo ed entra al trotto nel
cuore del villaggio, dove non c'è alcun segno di vita uma-
na. Smonta, si avvicina a uno degli hogan e scosta la pelle
di bisonte che fa da porta alla piccola casa. Appena entra
è accolto da un tanfo irrespirabile di morte, l'odore nau-
seabondo dei corpi putrefatti, e li, alla fioca luce dell'ho-
gan, vede una dozzina di uomini, donne e bambini gangi
massacrati... tutti a colpi d'arma da fuoco, e a sangue fred-
do. Prima barcolla indietro verso l'aria pura, coprendosi
il naso con un fazzoletto, e poi esamina uno a uno gli altri
hogan del villaggio. Sono tutti morti, tutti fino all'ultimo,
e Graf riconosce fra loro diverse persone con cui dodici
anni prima aveva fatto amicizia. Le bambine che da allo-
ra erano diventate giovani donne, i bambini che erano di-
ventati giovani uomini, i genitori che erano diventati non-
ni, e non uno di loro respira più, non uno invecchierà più
di un solo giorno per il resto del tempo.

Chi è il colpevole ? Forse Land e i suoi uomini ?

Un po' di pazienza, dottore. Qui non ci vuole precipi-


tazione. Stiamo parlando di violenza e morte, di una stra-
ge di innocenti, e Graf è ancora tramortito dal trauma del-
la scoperta. Non è in condizioni di digerire quanto è suc-
cesso, ma anche se lo fosse, perché pensare che ci sia di
mezzo Land ? Graf sta lavorando sul presupposto che il
suo vecchio amico cerchi di fomentare la rivolta, di for-
mare un esercito di Primitivi che invaderà le province oc-
cidentali della Confederazione. E un esercito di morti non
combatte molto bene, giusto ? L'ultima cosa a cui Graf può
pensare è che Land abbia ucciso i suoi futuri soldati.

Mi perdoni. Non la interromperò più.

Mi interrompa quando vuole. Siamo avvinti in una sto-


ria complicata, dove non tutto è come sembra. Per esempio,
prendiamo i soldati di Land. Loro non hanno idea di quale
sia la loro vera missione, non si sognano neanche di pensa-
re che Land sia un doppio agente al lavoro per il Ministero
della Guerra. Sono una banda di colti sognatori, radicali in
politica e avversi alla Confederazione, e quando Land li ha
arruolati al suo seguito per una spedizione nei Territori alie-
ni con il fine di aiutare i Primitivi ad annettere le province
occidentali, gli hanno prestato fede.

Ma alla fine, Graf trova Land ?

Per forza. Se no, non ci sarebbe nessuna storia da rac-


contare. Ma questo accade solo più tardi, dopo altre set-
timane o anche mesi di viaggio. Un paio di giorni dopo es-
sere partito dal villaggio dei Gangi massacrati, Graf in-
contra uno degli uomini di Land, un soldato che arranca
nel deserto barcollante e in delirio, senza cibo né acqua né
cavallo. Graf tenta di soccorrerlo, ma è troppo tardi, e il
giovane resiste solo per poche ore. Prima di rendere l'ani-
ma, racconta a Graf - straparlando, in un profluvio di bal-
bettii incoerenti - che sono tutti morti, che la loro sorte
era segnata fin dall'inizio, che tutta la faccenda era un in-
ganno. Graf fatica a seguirlo. Chi intende con tutti? Land
e i suoi uomini ? I Gangi ? Altre tribù fra i Primitivi ? Il ra-
gazzo non risponde, e prima del tramonto muore. Graf
seppellisce il corpo e procede finché, dopo un paio di gior-
ni, si imbatte in un altro villaggio di Gangi pieno di cada-
veri. Non sa più a cosa pensare. E se alla fine il responsa-
bile fosse Land ? Se le voci di una rivolta altro non fosse-
ro che una copertura per nascondere un'impresa ben più
sinistra: un massacro silenzioso dei Primitivi che consen-
tirebbe al governo di aprire i loro territori alla colonizza-
zione dei bianchi, espandendo l'influenza della Confede-
razione fino alle sponde dell'oceano occidentale? Ma si
può raggiungere un obiettivo simile con cosi poche trup-
pe? Cento uomini per sterminarne decine di migliaia?
Sembra impossibile, eppure, se Land non c'entra, l'unica
spiegazione è che i Gangi siano stati ammazzati da un'al-
tra tribù, che i Primitivi siano in guerra fra loro.

Mr Blank sta per proseguire, ma prima che possa trar-


re di bocca un'altra parola lui e il dottore sono interrotti
da qualcuno che bussa. Pur concentrato nell'elaborazione
del racconto, e anche compiaciuto di dipanare una sua ver-
sione di fatti remoti e immaginari, Mr Blank capisce su-
bito che questo è il momento che aveva aspettato: final-
mente il mistero della porta sta per risolversi. Appena sen-
te bussare, Farr si volta verso il rumore. Avanti, dice, e
subito la porta si apre ed entra una donna con un carrello
d'acciaio inossidabile, forse lo stesso usato prima da Anna,
o un altro uguale. Per una volta Mr Blank è stato attento,
e a quanto ne sa non ha sentito nessun suono di serratura
aperta - nulla che somigliasse al rumore di un catenaccio,
o di un paletto o di una chiave -, il che gli suggerisce an-
zitutto che la porta non fosse chiusa, che non lo sia mai sta-
ta. O cosi ad ogni modo deduce Mr Blank, cominciando
ad accarezzare l'idea di essere libero di andare e venire a
piacimento, ma un attimo dopo capisce che forse la situa-
zione non è cosi semplice. Può darsi che il dottor Farr en-
trando si sia dimenticato di chiudere a chiave. O, ancora
più probabile, che non si sia preso la briga di farlo, con-
scio che se il suo prigioniero tentasse di fuggire potrebbe
sopraffarlo senza difficoltà. Si, dice il vecchio fra sé, pro-
babilmente la risposta è questa. E lui, che indubbiamente
sulle sue prospettive future inclina al pessimismo, ancora
una volta si rassegna a vivere in uno stato di continua in-
certezza.

Ciao Sam, dice la donna. Scusa se ti interrompo, ma


per Mr Blank è ora di pranzo.
Ciao Sophie, dice Farr, abbassando gli occhi sul suo
orologio e alzandosi dal letto. Non mi ero accorto che fos-
se così tardi.

Cosa succede ?, chiede Mr Blank in tono petulante, bat-


tendo sul bracciolo della sedia. Io voglio continuare a rac-
contare la storia.

Tempo scaduto, dice Farr. Per oggi il consulto è finito.

Ma io non ho finito!, grida il vecchio. Non sono arri-


vato in fondo !

Lo so, risponde Farr, ma qui da noi seguiamo scaden-


ze rigorose, e non si scappa. Continueremo il racconto do-
mani.

Domani?, ringhia Mr Blank, incredulo e confuso. Co-


sa le salta in mente ? Domani non ricorderò una parola di
quello che ho detto oggi. E lei lo sa. Lo so perfino io, che
non so un accidente.

Farr si avvicina a Mr Blank e gli dà un buffetto sulla


spalla, il classico gesto conciliante di chi è esperto nella
sottile arte del rapporto con i pazienti. Bene, dice, ve-
drò che cosa posso fare. Prima devo avere il permesso,
ma se vuole che torni questa sera, probabilmente ci riu-
scirò. D'accordo?

D'accordo, borbotta Mr Blank, un po' ammorbidito


dalla gentilezza partecipe che coglie nella voce di Farr.

Allora posso andare, conclude il medico. A più tardi.

Senza aggiungere altro saluta con la mano Mr Blank e


la donna di nome Sophie, va alla porta, la apre, esce e la
chiude alle sue spalle. Mr Blank sente il clic del chiavi-
stello, ma nient'altro. Né sferragliare di catenacci né giri
di chiavi: gli viene da pensare che forse, semplicemente,
la porta sia uno di quei congegni che si bloccano automa-
ticamente quando chiudi.
Nel frattempo la donna di nome Sophie ha avuto il suo
daffare a spingere il carrello d'acciaio di fianco al letto e
a trasferire i piatti del pranzo di Mr Blank dal ripiano bas-
so alla superficie superiore del carrello. Mr Blank nota che
ci sono in tutto due piatti, e ciascuno è nascosto da un co-
perchio tondo di metallo con un foro nel mezzo. La vista
dei coperchi d'un tratto gli ricorda i pasti del servizio in
camera negli alberghi, il che a sua volta gli fa pensare a tut-
te le notti della sua vita che ha passato in albergo. Trop-
pe per contarle, sente una voce dire dentro di lui, una vo- fl
ce che non è la sua, e tuttavia parla in modo cosi perento-
rio e convinto da fargli ammettere che deve dire il vero.
Se è cosi, pensa, beh, allora ha proprio viaggiato tanto ai
suoi tempi, spostandosi da una località all'altra su auto-
mobili, treni e aerei; e certo, aggiunge tra sé, gli aerei lo
hanno trasportato sopra tutto il mondo, in tanti posti in
vari continenti, e senz'altro quei viaggi erano collegati al-
le missioni in cui ha inviato tutte quelle persone, quei po-
veretti che tanto hanno sofferto per causa sua; e questo è
di sicuro il motivo per cui ora è confinato nella stanza e
non gli è più permesso di spostarsi in nessun luogo, segre-
gato entro queste quattro mura a punizione dei gravi ma-
li che ha inflitto agli altri.

Questo fugace sogno a occhi aperti è interrotto a metà


dal suono della voce della donna. E pronto per pranza-
re?, gli domanda, e quando alza la testa e la guarda, Mr
Blank si rende conto di non ricordare più il suo nome. De-
ve avere una cinquantina d'anni, e anche se trova la sua
faccia delicata e attraente, il corpo troppo pieno e gras-
sottelle non la fa classificare come donna ideale. Per la cro-
naca, si noti che i suoi vestiti sono identici a quelli porta-
ti da Anna lo stesso giorno.

Dov'è la mia Anna ?, chiede Mr Blank. Credevo fosse lei


quella che si prende cura di me.
E vero, dice la donna. Ma all'ultimo momento ha avu-
to delle faccende da sbrigare e mi ha chiesto di sostituirla
È terribile, commenta Mr Blank in tono lugubre. Na-
turalmente non ho nulla contro di lei, chiunque sia, ma
aspettavo da ore di rivedere Anna. Quella donna è tutto
per me. Senza di lei non posso vivere.

Lo so, dice la donna. Tutti noi lo sappiamo. Ma... -


qui gli rivolge un sorrisino cordiale - cosa possiamo farci ?
Temo che mi dovrà sopportare.

Ahimè, sospira Mr Blank. Sono sicuro che lei abbia le


migliori intenzioni, ma non fingerò di non essere deluso.

Non deve fingere. Ha il diritto di provare quello che


prova, Mr Blank. Non è colpa sua.

Visto che, come ha detto, ci dovremo sopportare, for-


se dovrebbe dirmi chi è.

Sophie.

Ah, si. Giusto. Sophie. Bellissimo nome. E comincia


con la lettera S, vero ?
Cosi sembra.

Cerchi di ricordare, Sophie. Lei è la bambina che ba-


ciai allo stagno quando avevo dieci anni ? Avevamo appe-
na finito di pattinare sul ghiaccio e ci sedemmo sul ceppo
di un albero, e io la baciai. Purtroppo lei non ricambiò il
bacio. Invece rise.

Non posso essere stata io. Quando lei aveva dieci an-
ni, io non ero ancora nata.

Sono cosi vecchio ?

Non proprio vecchio. Ma molto più vecchio di me.

Bene, allora. Se non è quella Sophie, quale Sophie sa-


rebbe ?

Invece di rispondergli, questa Sophie che non è la bam-


bina baciata da Mr Blank quando aveva dieci anni si av-
vicina alla scrivania, prende una delle foto dal mucchio e
la solleva. Dice: Ecco, io sono questa. Com'ero venticin-
que anni fa, o giù di li.

Si avvicini, le dice Mr Blank. È troppo lontana.

Qualche secondo dopo, Mr Blank tiene in mano la fo-


tografia. Che si rivela la stessa immagine su cui si era
soffermato tanto attentamente nel corso della giornata -
quella della ragazza che ha appena aperto la porta di quel-
lo che sembra un appartamento di New York.

Qui era molto più magra, le dice.

È la mezza età, Mr Blank. Spesso fa strani effetti sul-


la figura di una ragazza.

Mi spieghi, dice Mr Blank battendo con l'indice sulla


foto. Cosa succede qui? Chi è la persona in piedi nel cor-
ridoio, e perché lei ha quest'aria?, come dire... appren-
siva, ma al tempo stesso contenta. Altrimenti non sorri-
derebbe.

Sophie si accovaccia vicino a Mr Blank, il quale è an-


cora seduto sulla sedia, e per qualche istante esamina la fo-
to in silenzio.

E il mio secondo marito, dice poi, e credo che qui fos-


se la seconda volta che è venuto a trovarmi. La prima voi-
ta me la ricordo perfettamente, quando ho aperto avevo
in braccio il mio bambino - perciò questa dev'essere la
seconda.

Perché tanto apprensiva ?

Perché non ero sicura di quello che sentiva per me.

E il sorriso ?

Sorridevo perché ero felice di vederlo.

Ha detto il suo secondo marito. E il primo? Chi era?

Uno di nome Fanshawe.

Fanshawe... Fanshawe..., mormora fra sé Mr Blank.


Mi sa che finalmente qui si arriva da qualche parte.

Con Sophie sempre accovacciata vicino, la foto in bian-


co e nero di lei giovane ancora sulle ginocchia, d'un tratto
Mr Blank comincia a oscillare nella sedia, muovendosi più
in fretta che può verso la scrivania. Quando arriva, getta
la foto di Sophie sopra il ritratto di Anna, prende il picco-
lo taccuino e lo apre alla prima pagina. Scorrendo il dito
lungo l'elenco dei nomi, giunto a Fanshawe si ferma e ro-
tea sulla sedia per mettersi dirimpetto a Sophie, che ora si
è alzata in piedi e sta avanzando lentamente verso di lui.
Aha, fa Mr Blank, picchiettando sul taccuino col dito.
Lo sapevo. Fanshawe è implicato in tutto questo, vero?

Non so di cosa parla, risponde Sophie fermandosi ai


piedi del letto e sedendosi circa nello stesso punto prece-
dentemente occupato da James P. Flood. Naturale che è
implicato. Ci siamo dentro tutti, Mr Blank. Credevo lo
sapesse.

Pur confuso dalla risposta, il vecchio si sforza di non


perdere il filo. Ha mai sentito parlare di un uomo di no-
me Flood? James P. Flood. Un inglese. Ex poliziotto. Par-
la con l'accento di Londra.

Non è meglio che mangi, adesso ?, chiede Sophie. Il ci-


bo si raffredda.

Fra un minuto, scatta Mr Blank, irritato perché lei ha


cambiato discorso. Mi dia solo un minuto. Prima che si
parli di mangiare, voglio che mi dica tutto quello che sa
di Flood.
Non so niente. Ho sentito dire che stamattina era qui,
però non l'ho mai visto.
Ma suo marito... voglio dire, il suo primo marito, quel
Fanshawe... scriveva libri, no? In uno di essi, uno che
si intitola... acci... non mi ricordo più. Terra... Terra non
so cosa...

Terra disabitata.

Esatto. Terra disabitata. In quel libro ha usato Flood co-


me personaggio, e nel capitolo... il trentesimo capitolo,
credo, o forse il settimo, Flood fa un sogno.

Non ricordo, Mr Blank.

Mi sta dicendo che non ha letto il romanzo di suo ma-


rito?

No, l'ho letto. Ma tanto tempo fa, e poi non l'ho più
aperto. Probabilmente non mi capirà, ma per la tranquil-
lità del mio spirito ho deciso consapevolmente di non pen-
sare a Fanshawe e alle sue opere.

Perché il vostro matrimonio è finito ? Lui è morto ? O


avete divorziato ?
L'ho sposato quando ero molto giovane. Abbiamo vis-
suto qualche anno insieme, io sono rimasta incinta e poi
lui è sparito.

E successo qualcosa, o l'ha lasciata per scelta sua ?

Per scelta sua.

Doveva essere matto. Piantare uno splendore di ragaz-


za come lei.

Fanshawe era un uomo molto labile. Ricco di qualità,


con dentro tante cose belle... ma in fondo in fondo vole-
va distruggersi, e alla fine ci è riuscito. Non ha voluto più
saperne né di me né del suo lavoro; poi ha mollato tutta la
sua vita ed è scomparso.

Il suo lavoro. Intende dire che non ha più scritto ?

Si. Ha rinunciato a tutto. Lui aveva un grande talento,


Mr Blank, ma a un certo punto ha disprezzato quella par-
te di sé e un giorno ha smesso e stop, ha lasciato perdere.

E stata colpa mia, vero ?

Non arriverei a tanto. Naturalmente lei una parte l'ha


avuta, ma non poteva fare altrimenti.
Lei deve odiarmi.

No, non la odio. Per un po' è stata dura, ma poi tutto


è andato abbastanza bene. Mi sono risposata, ricorda?,
ed è stato un buon matrimonio, un matrimonio lungo e
ben riuscito. Poi ci sono i miei due figli, Ben e Paul. Or-
mai sono grandi. Ben è medico, e Paul studia da antropo-
logo. Niente male davvero, se mi è lecito dirlo. Spero che
un giorno li conoscerà. Secondo me, ne sarà molto fiero.

Adesso Sophie e Mr Blank sono seduti l'una accanto


all'altro sul letto, di fronte al carrello d'acciaio con il ri-
piano ingombro dei piatti del pranzo di Mr Blank, cia-
scuno sotto un coperchio tondo di metallo con un foro nel
mezzo. A Mr Blank è venuto appetito, e non vede l'ora
di iniziare, ma prima che gli sia permesso di mordere un
boccone, Sophie gli dice che deve prendere le sue pillole
del pomeriggio. Nonostante l'intesa nata fra i due negli ul-
timi minuti, e il piacere di Mr Blank nel trovarsi cosi vi-
cino al corpo caldo e opulento di Sophie, alla richiesta lui
recalcitra e si rifiuta di mandar giù la medicina. Mentre le
pillole che ha ingerito quel mattino erano verde, viola e
bianca, quelle nuove ora in mostra sul ripiano d'acciaio so-
no rosa, rossa e arancione. Sophie spiega che effettiva-
mente si tratta di pillole diverse, create per produrre ef-
fetti differenti da quelle che ha preso in precedenza, e che
il trattamento avrà successo solo a patto che le abbini con
le altre. Mr Blank segue il ragionamento, che però non lo
convince affatto a cambiare idea, e quando Sophie pren-
de la prima pastiglia fra il pollice e il medio e cerca di far-
gliela inghiottire, lui scuote ostinatamente il capo.

Per favore, lo prega Sophie. Lo so che ha fame, ma vo-


lente o nolente queste pastiglie entreranno nel suo orga-
nismo prima che mandi giù un solo boccone.

Fanculo il pranzo, dice Mr Blank in tono astioso.

Sophie sospira esasperata. Senta, nonno..., gli dice, io


voglio solo aiutarla. Sono fra i pochi, qui dentro, che stan-
no dalla sua parte; ma se lei non collabora, conosco al-
meno una dozzina di uomini che sarebbero felici di so-
stituirmi e ficcarle in gola le pillole a forza.

D'accordo, dice Mr Blank, cominciando a calmarsi un


po'. Ma a una condizione.

Condizione ? Che cosa sta dicendo ?

Inghiottirò le pillole. Purché lei si spogli e mi lasci pas-


sare le mani sul suo corpo.
Sophie trova la proposta cosi ridicola che scoppia a ri-
dere... ignorando che questa è esattamente la stessa rea-
zione avuta da Sophie in analoghe circostanze tanti anni
prima, presso lo stagno ghiacciato dell'infanzia di Mr Blank.
E poi, per aggiungere al danno la beffa, pronuncia le paro-
le fatali: Non faccia lo sciocco.

Ah, dice Mr Blank, indietreggiando come se gli aves-


sero dato uno schiaffo. Ah, geme. Dica quello che vuole.
Ma questo no. La prego. Questo no. Dica tutto, tranne
questo.

Pochi secondi dopo Mr Blank ha gli occhi pieni di la-


crime, e prima che capisca cosa sta succedendo le lacrime
gli rigano le guance, e insomma il vecchio sta piangendo
sul serio.

Mi scusi, dice Sophie. Non volevo mortificarla.

Che male c'è se la voglio guardare ?, domanda Mr Blank,


tossendo fra i singhiozzi. Lei ha due seni bellissimi. Io vo-
glio solo vederli e toccarli. Voglio mettere le mani sulla sua
pelle, passare le dita tra i peli del suo pube. Che c'è di co-
si terribile ? Non le farò del male. Chiedo soltanto un po'
di tenerezza. Le sembra troppo dopo tutto quello che mi
hanno fatto qui dentro ?

Beh, fa Sophie pensosa, senza dubbio abbastanza im-


pietosita dalla situazione di Mr Blank, forse possiamo tro-
vare un compromesso.

Per esempio ?, domanda Mr Blank asciugandosi le la-


crime con il dorso della mano.

Per esempio... per esempio: lei prende le pastiglie, e


ogni volta che ne inghiotte una potrà toccarmi i seni.

Nudi?

No. Preferisco tenere la camicetta.

Non basta.

D'accordo. Toglierò la camicetta. Ma non il reggiseno.


Chiaro ?

Non è il paradiso, ma mi sa che dovrò accettare.

E cosi la questione è risolta. Sophie lascia cadere la


camicetta, e a questo punto Mr Blank si rincuora osser-
vando che il reggiseno che porta è un modello di pizzo,
quasi impalpabile, non uno di quei deprimenti attrezzi
indossati dalle matrone in età avanzata e da quelle che
hanno gettato la spugna sull'amore fisico. Le metà su-
periori dei seni tondi e abbondanti di Sophie sono sco-
perte, e anche sotto, il tessuto del reggiseno è cosi sotti-
le da offrirgli una nitida vista dei capezzoli tesi contro
la stoffa. Non è il paradiso, ripete Mr Blank fra sé men-
tre deglutisce la prima pillola insieme a un sorso d'ac-
qua, ma non mi posso lamentare. Poi le sue mani sono
su di loro: la sinistra sul seno destro, la destra sul seno
sinistro, e mentre lui assapora la massa e la morbidezza
delle un po' pendule ma nobili mammelle di Sophie, si
rallegra ancor di più perché vede che sta sorridendo. For-
se non di piacere, ma almeno di divertimento, a riprova
che non gli serba rancore e prende l'avventura per il ver-
so giusto.

Lei è un vecchio sporcaccione, Mr Blank, gli dice.

Lo so, risponde lui. Ma ero uno sporcaccione anche da


giovane.

Ripetono altre due volte la procedura - deglutizione di


una pillola, seguita da un altro delizioso incontro con i se-
ni - poi Sophie si rimette la camicetta, ed è arrivato il mo-
mento di pranzare.

Purtroppo le reiterate carezze alla carne di una donna


desiderabile hanno imposto un prevedibile cambiamento
nella carne del carezzatore. Il vecchio compare di Mr Blank
fa di nuovo le bizze, e poiché il nostro eroe non porta più
i pantaloni di cotone e le mutande, e sotto le braghe del
pigiama è nudo come un bruco, nessuna barriera impedi-
sce a Mr Big di balzare dal varco e far capolino alla luce
del giorno. Ciò accade nel preciso istante in cui Sophie si
protende per cominciare a togliere dai piatti i coperchi di
metallo, e quando si china per appoggiare gli stessi coper-
chi sul piano basso del carrello i suoi occhi sono a pochi
centimetri dall'impuro colpevole.

Ma guardati, dice Sophie rivolta al pene eretto di Mr


Blank. Il tuo padrone mi ha strizzato le tette due o tre vol-
te, e tu sei già pronto a passare alle vie di fatto. Scordate-
lo, fratellino. La festa è finita.

Mi scusi, dice Mr Blank, per una volta veramente im-


barazzato dalla propria condotta. E... beh, è saltato fuo-
ri per conto suo. Non me l'aspettavo.
Non si preoccupi, risponde Sophie. Basta che si rimet-
ta il coso nei calzoni, e cominciamo a lavorare.
In questo caso il lavoro è il pranzo di Mr Blank, che
consiste in una piccola ciotola di minestra di verdure or-
mai tiepida, un sandwich di pane bianco a più strati, un'in-
salata di pomodori e una ciotola di marmellata rossa. Non
faremo un rapporto dettagliato sullo svolgimento del pa-
sto, ma almeno un fatto merita di essere menzionato. Co-
me era già successo la mattina quando Mr Blank aveva
preso le pillole, nel momento in cui cerca di mangiare co-
minciano a tremargli incontrollabilmente le mani. Le pil-
lole saranno anche diverse, create per diversi scopi e ri-
coperte con diversi colori, ma per quanto riguarda il tre-
mito delle mani il loro effetto è identico. Mr Blank inizia
dalla minestra. Come si può immaginare, il viaggio inau-
gurale del cucchiaio da quando si solleva dalla ciotola ver-
so la bocca di Mr Blank è difficoltoso, e nemmeno una
goccia giunge alla destinazione voluta. Senza che lui ne
abbia nessuna colpa, tutto il contenuto del cucchiaio pio-
ve sulla camicia bianca di Mr Blank.

Dio santo, dice lui. Un'altra volta.

Prima che il pranzo possa continuare - o meglio, pri-


ma che possa avere inizio -, Mr Blank è costretto a levarsi
la camicia, cioè l'ultimo indumento bianco che ha indos-
so, e sostituirla con la casacca del pigiama, tornando cosi
alla stessa tenuta in cui era apparso all'inizio di questa cro-
naca. E un momento triste per Mr Blank, perché ora non
rimane più neanche una traccia degli affettuosi e scrupo-
losi sforzi fatti da Anna per vestirlo e prepararlo alla gior-
nata. Peggio: ormai ha completamente tradito la sua pro-
messa di vestire di bianco.

Come Anna in precedenza, ora anche Sophie si fa cari-


co di imboccare Mr Blank. Pur essendo Sophie altrettanto
gentile e paziente con lui, Mr Blank non ama Sophie come
ama Anna, e quindi guarda sopra la sua spalla sinistra, ver-
so una macchia sul muro lontano mentre lei avvicina alla
sua bocca le diverse cucchiaiate e forchettate, fingendo che
sia Anna, e non Sophie, quella che gli sta seduta accanto.

Conosce bene Anna?, le domanda.

L'ho conosciuta soltanto pochi giorni fa, risponde Sophie,


ma abbiamo già fatto tre o quattro lunghe chiacchierate.
Siamo molto diverse sotto ogni punto di vista, ma sulle co-
se che contano la vediamo allo stesso modo.

Per esempio ?

Per dirne una... su di lei, Mr Blank.


E per questo che Anna le ha chiesto di sostituirla oggi
pomeriggio ?

Credo di si.

Finora è stata una giornata orrenda, ma ritrovare An-


na mi ha fatto molto bene. Non so cosa farei senza di lei.

Anche Anna prova le stesse cose per lei.

Anna... ma Anna chi? Ho cercato di ricordare il suo


cognome per ore. Mi sembra che cominci per B, ma non
so andare oltre.

Blume. Si chiama Anna Blume.

Ma certo!, grida Mr Blank battendosi la fronte con il


palmo della mano sinistra. Che diavolo mi è successo ?
Conosco quel nome da tutta la vita. Anna Blume. Anna
Blume. Anna Blume...

Ora Sophie se n'è andata. Il carrello d'acciaio non c'è


più, la camicia bianca imbrattata di minestra non c'è più,
i vestiti bagnati e sporchi nella vasca non ci sono più e an-
cora una volta, dopo aver fatto una normale, routinaria
pipi nel bagno con l'aiuto di Sophie, Mr Blank è solo, se-
duto sull'orlo del letto, i palmi aperti sulle ginocchia, la te-
sta bassa, gli occhi al pavimento. Medita sui dettagli della
recente visita di Sophie, rimproverandosi di non averla in-
terrogata sugli argomenti che gli stanno più a cuore. Per
esempio, dove si trova. Se gli è consentito camminare nel
parco senza supervisori. Dov'è l'armadio, ammesso che un
armadio ci sia, e come mai non è riuscito a trovarlo. Per
non parlare dell'eterno dilemma della porta - e se sia chiu-
sa dall'esterno oppure no. Perché ha esitato ad aprire la
sua anima con lei, si domanda, lei che è una donna piena
di comprensione, e non gli serba alcun rancore ? E solo per
paura, si chiede, oppure ha un rapporto con il trattamen-
to, questa cura malsana e debilitante che gli ha tolto via
via la forza di difendersi e combattere le sue battaglie ?

Non sapendo che cosa pensare, Mr Blank fa spallucce,


batte le mani sulle ginocchia e si alza dal letto. Qualche
secondo dopo è seduto alla scrivania con la penna nella ma-
no destra e il taccuino davanti, aperto alla prima pagina.
Scorre l'elenco in cerca del nome di Anna, lo trova sulla
seconda riga proprio sotto James P. Flood e aggiunge le
lettere B-l-u-m-e, modificando cosi la voce da Anna in An-
na Blume. Poi, visto che tutte le righe della prima pagina
sono state occupate, passa alla seconda e aggiunge all'e-
lenco altri due nomi:

John Trause.
Sophie.

Mentre chiude il taccuino, Mr Blank scopre con stupo-


re che il nome di Trause gli è tornato in mente senza nes-
suno sforzo. Dopo tante fatiche e tanti insuccessi nel ri-
chiamare nomi, volti e fatti, la considera una grandiosa vit-
toria. Dondola avanti e indietro sulla sedia per festeggiare
il trionfo, chiedendosi se non siano state le pillole pomeri-
diane a compensare in qualche modo la perdita di memo-
ria delle ore precedenti, o non sia stato solo un colpo di
fortuna, uno di quegli eventi inattesi che ci capitano sen-
za apparente motivo. Quale che sia la causa, ora decide di
continuare a pensare alla storia, prevedendo una visita se-
rale del dottore, perché Farr gli ha garantito che avrebbe
fatto il possibile per consentirgli di raccontare la storia fi-
no alla fine - non l'indomani, quando Mr Blank avrà certo
scordato gran parte di ciò che ha narrato finora, ma oggi.
Tuttavia, mentre il vecchio continua a oscillare nella se-
dia, i suoi occhi cadono sulla striscia di nastro bianco in-
collata al ripiano della scrivania. Nella giornata ha guar-
dato quel nastro non meno di cinquanta, cento volte, e
ogni volta la striscia bianca recava chiaramente la parola
scrivania. Adesso Mr Blank vede con stupore che è se-
gnata dalla parola lampada. La sua prima reazione è pen-
sare che gli occhi lo abbiano tradito, quindi smette di don-
dolarsi per osservare più da vicino. Si fa avanti, abbassa
la testa fin quasi a toccare il nastro con il naso ed esami-
na attentamente la parola. Con suo sommo sconforto, sco-
pre che c'è ancora scritto lampada.

Sempre più allarmato, Mr Blank si alza affannosa-


mente dalla sedia e comincia a ciabattare per la stanza,
fermandosi a ogni striscia bianca incollata a un oggetto
per vedere se altre parole sono state modificate. Dopo
un'approfondita indagine, scopre con orrore che non una
sola etichetta occupa il posto di prima. Adesso sul muro
c'è scritto sedia. Sulla lampada c'è scritto bagno. Sulla
sedia c'è scritto scrivania. Subito alcune possibili spie-
gazioni balenano nella mente di Mr Blank. Ha avuto un
ictus, o una lesione cerebrale; ha disimparato a leggere;
qualcuno gli ha giocato un brutto scherzo. Ma se lui è la
vittima di una beffa, si chiede, chi può esserne l'autore?
Nelle ultime ore la sua stanza è stata visitata da alcune
persone: Anna, Flood, Farr e Sophie. Gli sembra impen-
sabile che una delle due donne gli abbia fatto una cosa si-
mile. E pur vero che quando Flood è entrato la sua men-
te era altrove, ed è vero che quando è entrato Farr stava
azionando lo scarico del water; ma non sa immaginare co-
me uno dei due uomini possa aver eseguito una sostitu-
zione cosi elaborata nel breve tempo in cui non sono sta-
ti nel suo campo visivo: al più qualche secondo, pratica-
mente un'inezia. Mr Blank è conscio di non essere al
massimo della forma, che la sua mente non funziona co-
me dovrebbe, ma sa anche di non essere peggio adesso che
all'inizio della giornata, il che escluderebbe l'ipotesi del-
l'ictus; e se ha disimparato a leggere, come può aver fatto
le due ultime aggiunte all'elenco di nomi ? Si siede sull'orlo
del letto e gli viene il dubbio di essersi appisolato qualche
minuto dopo che Sophie era uscita dalla stanza. Non ri-
corda di aver dormito, ma a conti fatti è l'unica spiegazio-
ne che abbia un senso. Nella stanza è entrata una quinta
persona, qualcuno che non era Anna né Flood né Farr né
Sophie, e durante il breve e ora dimenticato tuffo di Mr
Blank nell'oblio ha sostituito le etichette.

C'è un nemico che si annida sul posto, dice fra sé Mr


Blank; forse ce n'è più d'uno o tanti che agiscono in com-
butta, con l'unica intenzione di mettergli paura, di diso-
rientarlo, di fargli credere che sta perdendo il senno, qua-
si cercassero di persuaderlo che gli esseri-ombra dentro la
sua mente si siano trasformati in fantasmi viventi, anime
senza corpo assoldate per invadere la sua stanzetta cau-
sando ogni baraonda possibile. Ma Mr Blank è un uomo
d'ordine, e la puerile monellaggine di chi lo ha catturato
lo irrita. Dopo una lunga esperienza, è giunto ad apprez-
zare l'importanza della precisione e della chiarezza in tut-
te le cose, e negli anni in cui inviava i suoi subalterni nel-
le varie missioni per il mondo si è sempre preso buona cu-
ra di redigere i rapporti sulle loro attività in un linguaggio
rispettoso della verità di quanto essi vedevano e pensava-
no e sentivano a ogni passo. Quindi non servirà chiama-
re una sedia scrivania o una scrivania lampada. Abban-
donarsi a questi capricci da bambini è gettare il mondo
nel caos, rendendo la vita insopportabile a tutti fuorché
ai pazzi. Mr Blank non è arrivato al punto da non identi-
ficare gli oggetti senza i nomi appiccicati sopra, ma in-
dubbiamente è in una fase di declino, e capisce che po-
trebbe venire il giorno, forse anche presto, forse anche
domani, in cui il suo cervello si deteriorerà ulteriormente
e per riconoscere un oggetto gli sarà indispensabile avere
sotto mano il nome. Decide quindi di invertire il danno
provocato dal nemico non visto e rimettere le etichette ri-
mescolate al loro posto.

Il lavoro richiede più tempo di quanto Mr Blank non


credesse, perché presto si avvede che le strisce di nastro
con scritte le parole sono dotate di poteri adesivi presso-
ché sovrumani, e staccarne una dalla superficie a cui è in-
collata richiede una concentrazione e una fatica senza li-
miti. Mr Blank comincia usando la forza del pollice sini-
stro per staccare la prima striscia (la parola muro, che è
finita sulla pediera di rovere del letto), ma appena infila
l'unghia sotto l'angolo in basso a destra del nastro, la pun-
ta dell'unghia si spezza. Riprova con l'unghia del medio,
che è un po' più corta e quindi meno fragile, e intacca di-
ligentemente il caparbio angolo destro finché dal letto non
si è staccato abbastanza nastro da permettergli di pren-
derne una piccola porzione tra il pollice e il medio evi-
rando delicatamente per non lacerarla, rimuovere tutta la
striscia dalla pediera di rovere. Un momento di soddisfa-
zione, certo, ma che ha richiesto due minuti buoni di la-
boriosi preliminari. Considerando che in tutto ci sono da
staccare dodici strisce, e che durante l'operazione Mr Blank
si spezza altre tre unghie (riducendo cosi a sei il numero di
dita utilizzabili), il lettore capirà come per terminare il la-
voro gli occorra oltre mezz'ora.

Dopo queste fatiche Mr Blank è sfinito, e anziché fer-


marsi a dare un'occhiata per la stanza per ammirare il suo
lavoro (che, anche se può sembrare piccolo e insignifican-
te, per lui non è niente di meno che un'iniziativa simboli-
ca tesa a ripristinare l'armonia in un universo a pezzi), cia-
batta in bagno per sciacquarsi la faccia sudata. Il vecchio
capogiro è ritornato, e afferra il lavabo con la mano sinistra
mentre con la destra si spruzza dell'acqua. Quando chiude
il rubinetto e fa per prendere l'asciugamano, d'improvviso
si sente peggio, peggio di come si sia sentito in qualsiasi mo-
mento di questa giornata. Il malessere sembra concentra-
to in un punto dello stomaco, ma prima di poter dire a se
stesso la parola stomaco, lo sente risalire la trachea accom-
pagnato da uno spiacevole formicolio alle fauci. Istintiva-
mente agguanta il lavabo con tutte e due le mani e abbas-
sa la testa, per resistere all'attacco di nausea che lo ha in-
spiegabilmente colpito. Per un paio di secondi fa resistenza,
pregando di riuscire a respingere l'esplosione imminente,
ma non c'è nulla da fare, e un attimo dopo sta vomitando
nel lavabo. Mi hanno avvelenato!, grida Mr Blank alla fi-
ne dell'attacco. Quei mostri mi hanno avvelenato!

Quando l'azione ricomincia, Mr Blank è allungato sul


letto con lo sguardo al soffitto bianco, pitturato di fresco.
Adesso che le micidiali tossine sono state espulse dal suo
organismo si sente a secco di energia, mezzo morto per il
selvaggio round di conati, rigurgiti e pianto che ha vissu-
to solo pochi minuti prima in bagno. E in ogni caso, se
questo è possibile, lui si sente anche meglio, più calmo al
centro del suo essere debilitato, più pronto ad affrontare
i cimenti che senz'altro lo attendono.

Mentre continua a osservare il soffitto, la sua bian-


chezza evoca via via un'immagine, e invece di guardare un
soffitto Mr Blank crede di guardare un foglio di carta bian-
ca. Perché poi sia cosi, non sa spiegarlo, ma forse ha a che
vedere con le dimensioni del soffitto, che non è quadrato
ma rettilineo, come dire che anche la stanza non è qua-
drata ma rettilinea, e sebbene il soffitto sia ben più gran-
de di un foglio di carta, le sue proporzioni sono simili a
quelle della classica pagina formato A4. Mentre Mr Blank
insegue questo pensiero, qualcosa dentro di lui si riscuo-
te, qualche lontano ricordo che non riesce a fissare nel cer-
vello, che continua a spezzarsi man mano che gli si avvi-
cina; ma attraverso il buio che gli vieta di vedere bene la
cosa nella sua mente, distingue i vaghi contorni di un uo-
mo, un uomo che senza dubbio è lui stesso, seduto a una
scrivania, mentre gira un foglio di carta nel rullo della sua
vecchia macchina da scrivere manuale. Probabilmente è
uno dei rapporti, dice Mr Blank, parlando con voce bassa
ma udibile; e poi si chiede quante volte avrà ripetuto quel
gesto, quante volte negli anni, comprendendo ora che non
possono essere state meno di migliaia, migliaia e migliaia
di volte, più fogli di carta di quanti un uomo possa con-
tarne in un giorno, una settimana o un mese.

Il pensiero della macchina da scrivere richiama il dat-


tiloscritto che ha letto quello stesso giorno, e adesso che
si è pressoché ripreso dalla fatica esasperante di staccare
le strisce di nastro adesivo bianco e rimetterle ai posti giu-
sti per la stanza - e adesso che la battaglia che era divam-
pata cosi violenta nel suo stomaco si è placata -, Mr Blank
ricorda che prevedeva di continuare il suo racconto, di de-
lineare la storia fino alla conclusione, cosi da prepararsi al-
la visita serale supplementare del dottore. Ancora steso a
occhi aperti sul letto, per un momento valuta se è il caso
di procedere in silenzio, cioè raccontarsi la storia mental-
mente, oppure continuare a improvvisare gli eventi ad al-
ta voce anche se nella stanza non c'è nessuno ad ascoltare
quello che sta dicendo. Visto che ora si sente particolar-
mente solo, abbastanza schiacciato dalla solitudine che gli
viene imposta, decide di far finta che il dottore sia con lui
nella stanza e andare avanti come prima, cioè raccontare
la storia con la voce anziché pensarla solo nella testa.

Allora continuiamo, d'accordo?, dice. La Confedera-


zione. Sigmund Graf. I Territori alieni. Ernesto Land. Che
anno è, in questo posto immaginario ? A occhio e croce, ver-
so il 1830. Non ci sono né treni né telegrafo. Si viaggia a
cavallo, e si può attendere l'arrivo di una lettera anche per
tre settimane. Ricorda molto l'America, ma non è uguale.
Per esempio, non ci sono schiavi neri, o almeno il testo non
ne parla. E per quel momento storico c'è una maggiore va-
rietà etnica rispetto a qui. Nomi tedeschi, nomi francesi,
nomi inglesi, nomi spagnoli. Dunque, allora: dove eravamo
rimasti ? Graf si trova nei Territori alieni in cerca di Land,
il quale forse è un doppio agente, ma forse non lo è, e po-
trebbe essersi dato alla macchia con la moglie e la figlia di
Graf, o forse no. Facciamo un piccolo passo indietro. Mi
sa che prima abbiamo corso troppo, siamo balzati a troppe
conclusioni affrettate. Secondo Joubert, Land è un tradi-
tore della Confederazione, che ha assoldato un esercito per-
sonale per guidare i Primitivi a un'invasione delle provin-
ce occidentali. Fra l'altro io detesto quella parola. Primiti-
vi. E troppo piatta, è spenta, non ha fascino. Cerchiamo
un termine più pittoresco. Mmm... non so... forse qual-
cosa come... il Popolo dello Spirito. No. Brutto. I Dolmen.
Gli Olmen. I Tolmen. Orrendi. Sono cosi in declino? I
Djiin. Ecco. Perfetto. I Djiin. Assomiglia un po' a injun,
cioè «musi rossi»... ma ha dentro un miscuglio di altre con-
notazioni. Allora, bene: i Djiin. Joubert pensa che Land sia
nei Territori alieni per guidare i Djiin all'attacco delle pro-
vince occidentali. Ma per Graf le cose sono più complica-
te. Perché? Primo, crede nella fedeltà di Land alla Con-
federazione. Secondo, come potrebbe Land avere attra-
versato il confine insieme a cento uomini all'insaputa del
Colonnello De Vega ? De Vega dice che non ne sa nulla,
ma Carlotta ha raccontato a Graf che Land è entrato nei
Territori da oltre un anno, e a meno che non menta, De
Vega fa parte del complotto. Oppure - un'ipotesi a cui pri-
ma non avevo pensato - Land ha corrotto De Vega con
un'ingente somma di denaro, e il Colonnello non è affatto
coinvolto. Ma questo non c'entra nulla con Graf, il quale
non sospetta mai l'eventualità della corruzione. Secondo la
sua teoria Land, De Vega e i vertici militari tramano per
far scoppiare una guerra fasulla con i Djiin proprio per te-
nere unita la Confederazione. Forse nel frattempo voglio-
no far fuori i Djiin, o forse no. Per adesso ci sono solo due
possibilità: l'ipotesi di Joubert e l'ipotesi di Graf. Se però
questa storia vuole venire a un dunque, dev'esserci una ter-
za spiegazione, qualcosa che nessuno si sarebbe mai aspet-
tato. Se no, perbacco, è troppo prevedibile.
E va bene, continua Mr Blank dopo una breve pausa
per chiarirsi bene le idee. Graf è arrivato nei due villaggi
dei Gangi, e tutti gli abitanti sono stati massacrati. Ha se-
polto il soldato bianco in delirio, e adesso non sa cosa pen-
sare. Per il momento, mentre lui si dirige lentamente ver-
so Land, separiamo i due punti principali che deve af-
frontare. La questione professionale e la questione privata.
Cosa ci fa Land nei Territori, e dove sono sua moglie e sua
figlia ? A essere sincero, questo filone famigliare mi dà noia.
Si può venirne a capo in un modo qualsiasi fra tanti, ma
sono tutte soluzioni imbarazzanti: troppo ritrite, troppo
banali, indegne di considerazione. Primo: Beatrice e Mar-
ta sono scappate con Land. Graf ha giurato che se li sco-
pre insieme ucciderà Land. Che ci riesca o no, a questo
punto la storia scade nel mero melodramma del cornuto
che cerca di difendere il suo onore. Secondo: Beatrice e
Marta sono scappate con Land, ma Beatrice è morta -
seguito o dell'epidemia di colera o degli stenti della vita
nei Territori. Supponiamo che Marta, ora sedicenne, sia
diventata una donna e viaggi insieme a Land, di cui è di-
ventata l'amante. A questo punto Graf che cosa fa? E an-
cora intenzionato a uccidere Land, vuole assassinare il vec-
chio amico mentre la sua unica figlia lo implora di rispar-
miare la vita dell'uomo che ama ? Oh, papà, papà, ti prego
non farlo ! O viceversa Graf decide che è acqua passata e
dimentica tutto ? Comunque la si volti, non funziona. Ter-
zo: Beatrice e Marta sono scappate con Land, ma sono
morte tutte e due. Land non parla con Graf, e questo ri-
svolto della storia diventa una falsa pista bellamente de-
funta. Mi risulta che Trause fosse giovane quando ha scrit-
to questa cosa, e non mi sorprende che non l'abbia mai
pubblicata. Con le due donne, si è ficcato in un vicolo cie-
co. Non so per quale soluzione avesse optato, ma scom-
metterei una sommetta sulla seconda - che non è meno
scadente della prima e della terza. Per quanto mi riguar-
da, Beatrice e Marta preferisco scordarmele al più presto.
Diciamo che sono morte nell'epidemia di colera, e fer-
miamoci lì. Povero Graf, certo, ma se si vuole raccontare
una buona storia bisogna essere spietati.

Bene, conclude Mr Blank schiarendosi la voce mentre


cerca di riprendere il filo del racconto; dove eravamo ri-
masti? A Graf. Graf da solo. Graf che vaga nel deserto
sul suo cavallo, il bravo stallone Whitey, alla ricerca del-
l'inafferrabile Ernesto Land...

Mr Blank si interrompe. Nella sua mente è entrata una


nuova idea, un'illuminazione demoniaca e sconvolgente
che diffonde un'onda di piacere, come un brivido, attra-
verso il suo corpo, dalle dita dei piedi fino ai neuroni del
cervello. In un solo momento tutta la vicenda gli è appar-
sa chiara, e mentre il vecchio contempla le conseguenze
distruttive di quella che ora sa essere una scelta inevitabi-
le, l'unica scelta a sua disposizione tra una marea di pos-
sibilità in conflitto, comincia a percuotersi il petto e a scal-
ciare e a scrollare le spalle, mentre caccia un urlo di sel-
vaggia, convulsa ilarità.

Aspetta, dice Mr Blank, alzando una mano all'indiriz-


zo del suo interlocutore immaginario. Cancella tutto. Ora
ci sono. Torniamo all'inizio. Voglio dire, della seconda par-
te. Torniamo all'inizio della seconda parte, quando Graf
passa di nascosto il confine ed entra nei Territori alieni.
Lascia perdere il massacro dei Gangi. Lascia perdere il se-
condo massacro dei Gangi. Graf si tiene lontano da tutti
i villaggi e gli insediamenti dei Djiin. I Decreti di Non-In-
gresso vigono da dieci anni, e sa che i Djiin non vedreb-
bero di buon occhio la sua presenza. Un bianco che viag-
gia solo nei Territori ? Impossibile. Perciò gira al largo, te-
nendosi confinato nelle vaste lande disabitate che separano
le varie nazioni, cercando Land e i suoi uomini... si, in-
contrando il soldato che delira, va bene... ma quando tro-
va ciò che stava cercando, è tutto il contrario delle sue at-
tese. Su una pianura spoglia nel Centronord dei Territori,
una distesa simile alle pianure salate dello Utah, si imbatte
in un mucchio di centoquindici cadaveri, alcuni mutilati,
alcuni interi... tutti in disfacimento: si stanno putrefa-
cendo al sole. Non corpi di Gangi, non corpi di uomini
delle nazioni djiin, ma di bianchi, bianchi in divisa mili-
tare, almeno quelli che non sono stati denudati e tagliati
a pezzi; e mentre Graf incespica tra l'ammasso marce-
scente e nauseabondo dei trucidati, scopre che una delle
vittime è il suo vecchio amico Ernesto Land - che giace
riverso con il foro di una pallottola nella fronte e uno scia-
me di mosche e vermi striscianti sul viso semidivorato.
Non ci dilungheremo sulla reazione di Graf a tanto orro-
re: il voltastomaco e il pianto, le grida animalesche, lo strac-
ciarsi i vestiti. Quello che importa è questo. Dato che il
suo incontro con il soldato in delirio è avvenuto solo due
settimane prima, Graf sa che il massacro deve essere re-
lativamente recente. Ma soprattutto: è sicuro che Land e
i suoi uomini siano stati assassinati dai Djiin.

Mr Blank si interrompe per un'altra risata, forse più


contenuta della precedente, ma comunque una risata che
riesce a esprimere nel contempo gioia e amarezza, poiché
se Mr Blank è felice di aver ritoccato la storia secondo il
suo progetto, sa che comunque è una storia macabra, e una
parte di lui è gelata di orrore per quello che gli resta da
raccontare.

Ma Graf si sbaglia, dice Mr Blank. Graf non sa nulla


del sinistro disegno in cui è stato coinvolto. Lui è 'A fall
guy, come dicono nei film, il gonzo che è stato incastrato
dal governo per mettere in moto il meccanismo. Ci sono
dentro tutti, dal primo all'ultimo: Joubert, il Ministero del-
la Guerra, De Vega. Certo, Land era stato inviato nei Ter-
ritori come doppio agente, con l'istruzione di sobillare i
Djiin a invadere le province occidentali, scatenando la guer-
ra che il governo desidera tanto. Ma Land fallisce nella mis-
sione. Trascorre un anno, e quando ancora non è succes-
so niente, gli uomini di potere concludono che Land li ha
traditi, che per un motivo o per l'altro ha prevalso in lui
la coscienza e si è riconciliato con i Djiin. Cosi ordiscono
un nuovo piano, e inviano nei Territori un secondo eserci-
to. Non da Ultima, ma da un'altra guarnigione a parecchie
centinaia di miglia più a nord, e questo contingente è mol-
to più numeroso del primo, almeno dieci volte; cosi, in
cento contro mille, Land e la sua accozzaglia di idealisti
non hanno scampo. Si, mi hai sentito bene. La Confede-
razione invia un secondo esercito per annientare il primo.
In segreto, ovviamente, e se un uomo come Graf fosse man-
dato alla ricerca di Land, trarrebbe l'ovvia conclusione che
responsabili di quell'ammasso di cadaveri mutilati e ma-
leodoranti siano i Djiin. Adesso Graf diventa la figura cen-
trale dell'operazione. Senza saperlo, è l'uomo che farà scop-
piare la guerra. Come ? Avendo modo di scrivere la sua sto-
ria in quella miserabile, piccola cella a Ultima. All'inizio De
Vega se lo lavora, gli fa subire continui pestaggi per una set-
timana intera, ma solo per riempirlo di timore di Dio con-
vincendolo che sta per essere giustiziato. E quando un uo-
mo si crede in punto di morte, se gli viene dato modo di
scrivere tenderà sempre a vuotare il sacco sulla carta. In-
somma, Graf fa quello che vogliono da lui. Svela la sua mis-
sione alla ricerca di Land, e quando arriva al massacro del-
le pianure salate da lui scoperto, non omette nulla, descri-
vendo tutto l'abominio fin nei dettagli più raccapriccianti.
Qui è il punto decisivo: una vivida testimonianza diretta di
quello che è successo, e tutta la colpa addossata ai Djiin.
Quando Graf termina il suo racconto, De Vega si impa-
dronisce del manoscritto e lo rilascia. Graf è allibito. Cre-
deva che lo avrebbero messo al muro, ed ecco che riceve
un lauto compenso per il suo lavoro e torna nella capitale
su una carrozza di prima classe gentilmente messa a dispo-
sizione. Quando arriva a casa, il manoscritto è stato abil-
mente rimaneggiato e inoltrato a tutti i giornali del paese.

SOLDATI DELLA CONFEDERAZIONE MASSACRATI DAI DJIIN. Il


rapporto di Sigmund Graf, Vice Sostituto Direttore del-
l'Ufficio affari interni. Al suo ritorno Graf trova l'intera
popolazione della capitale che accorre alle armi, preten-
dendo l'invasione dei Territori alieni. Ora capisce di esse-
re stato vittima di un inganno crudele. Una guerra su que-
sta scala potenzialmente rischia di distruggere la Confe-
derazione, e di fatto lui, e lui solo, è il cerino che ha acceso
questo fuoco mortale. Si reca da Joubert e gli chiede una
spiegazione. Ora che il piano è cosi ben riuscito, Joubert è
troppo soddisfatto per concedergliela. Offre invece a Graf
una promozione con un forte aumento di stipendio, ma
Graf gli oppone una controproposta: Io do le dimissioni,
dice, ed esce dalla stanza a grandi passi, sbattendo la por-
ta. Quella sera nel buio della sua casa deserta prende una
pistola carica e si pianta una pallottola nel cranio. Ecco tut-
to. Fine della storia. La commedia è terminata.

Mr Blank ha parlato per quasi venti minuti di seguito e


ora è stanco, e non solo dalla fatica delle corde vocali, aven-
do avuto la gola irritata fin dall'inizio (a causa del vomito
di poco prima nel bagno), cosi pronuncia le ultime frasi del
racconto con voce decisamente raschiante. Chiude gli oc-
chi, dimentico della probabilità di richiamare in questo mo-
do il corteo di creature fittizie arrancanti nella vastità, la
ciurma di dannati, i senza volto che finiranno per circon-
darlo e dilaniare il suo corpo; ma stavolta la fortuna ri-
sparmia a Mr Blank i demoni, e quando chiude gli occhi si
ritrova nel passato, seduto su una sedia di legno di model-
lo particolare, lui crede che si chiami adirondack, su un pra-
to in una qualche località di campagna, un posto remoto e
rustico che non sa definire, circondato di erba verde e con
monti bluastri in lontananza; e il clima è mite, caldo come
d'estate, con un cielo senza nuvole e il sole che gli scende
sulla pelle, e lf c'è Mr Blank, si direbbe tanti anni fa, an-
cora ai tempi in cui era giovanotto, seduto sufl''adirondack
con una bambina piccola fra le braccia, una bimba di un
anno in maglietta bianca e pannolino bianco, e Mr Blank
la sta guardando negli occhi e le sta parlando, quali parole
non sa dire perché questa escursione nel passato avviene in
silenzio, e mentre Mr Blank parla con lei la bambina ri-
cambia il suo sguardo con un'espressione seria e concen-
trata e ora lui si domanda, adesso sdraiato sul letto e a oc-
chi chiusi, se questa personcina non sia Anna Blume all'i-
nizio della vita, la sua amata Anna Blume; e la bambina, se
non è Anna, forse potrebbe essere sua figlia, ma quale fi-
glia, si chiede, quale figlia e come si chiama, e se lui è il pa-
dre di una bambina, dov'è la madre e come si chiama, si
chiede, e poi si ripromette di far domande su questi argo-
menti la prossima volta che qualcuno entrerà nella stanza,
per scoprire se lui abbia una casa da qualche parte, con una
moglie e dei figli, o un tempo abbia avuto moglie, o un tem-
po abbia avuto una casa, o non sia questa stanza il luogo
dove è sempre vissuto, ma Mr Blank sta per dimenticarsi
di questo proposito, e quindi dimenticherà di fare le do-
mande, perché ora è stanchissimo, e l'immagine di sé sul-
Yadirondack con la bimba fra le braccia è appena svanita,
e Mr Blank si è addormentato.

Grazie alla macchina fotografica, che nel corso di tutta


questa cronaca ha continuato a scattare una foto ogni se-
condo, sappiamo di sicuro che il sonnellino di Mr Blank du-
ra esattamente ventisette minuti e dodici secondi. Lui for-
se avrebbe voluto dormire molto di più, ma adesso nella
stanza è entrato un uomo che gli sta dando buffetti sulla
spalla per svegliarlo. Quando apre gli occhi, il vecchio si
sente rigenerato dal breve soggiorno in Pisolandia, e si al-
za subito a sedere, pronto e disposto per l'incontro, la men-
te sgombra da ogni residuo di torpore.
Il visitatore sembra sulla sessantina e, come Farr prima
di lui, ha un paio di blue jeans, ma mentre Farr aveva una
camicia rossa, la camicia di quest'uomo è nera; e mentre
Farr era entrato nella stanza a mani vuote, l'uomo con la
camicia nera reca fra le braccia un voluminoso fascio di
documenti e cartelline. Il suo volto è decisamente noto a
Mr Blank, ma come per tanti altri volti che ha visto oggi,
in fotografia o dal vivo, non riesce ad attribuirgli un nome.

Lei è Fogg?, gli domanda. Marco Fogg?

Il visitatore sorride e scuote il capo. No, risponde, te-


mo di no. Come mai mi crede Fogg?

Non so, ma un attimo fa, quando mi sono svegliato, ho


improvvisamente ricordato che ieri verso quest'ora era pas-
sato Fogg. Un piccolo miracolo, in effetti, ora che ci pen-
so. Voglio dire, il fatto che mi ricordi. Ma Fogg è entra-
to. Su questo non ho dubbi. Per prendere il tè del pome-
riggio. Abbiamo giocato un po' a carte. Abbiamo parlato.
E mi ha raccontato un sacco di barzellette spassose.

Barzellette?, chiede il visitatore avvicinandosi alla scri-


vania, ruotando la sedia di centottanta gradi e sedendosi
con gli incartamenti sulle ginocchia. Nel frattempo Mr
Blank si alza, ciabatta avanti di qualche passo e va a se-
dersi sull'orlo del materasso, in fondo al letto, circa nello
stesso punto occupato da Flood qualche ora prima.

Sì, barzellette, continua Mr Blank. Non me le ricordo


tutte, ma un paio mi sono sembrate veramente buone.

Senta, le spiacerebbe raccontarmele?, chiede il visita-


tore. Io sono sempre in cerca di buone barzellette.

Posso provarci, risponde Mr Blank, poi si interrompe


qualche secondo per raccogliere le idee. Vediamo, dice.
Mmmm. Vediamo. Credo inizi cosi. Siamo a Chicago. Al-
le cinque del pomeriggio un uomo entra nel bar e ordina
tre whisky. Non uno dopo l'altro, tutti e tre in una volta.
Il barman è un po' sorpreso dall'insolita richiesta, ma non
dice niente e serve all'uomo quello che desidera - tre whi-
sky, in fila sul bancone. L'uomo li beve uno dopo l'altro,
paga ed esce. Il giorno dopo sempre alle cinque torna e or-
dina la stessa cosa. Tre whisky, tutti insieme. Lo stesso il
giorno dopo, e tutti i giorni per due settimane. Finalmen-
te il barman cede alla curiosità. Non voglio farmi gli affari
suoi, dice, ma sono due settimane che ogni giorno lei vie-
ne qui e ordina tre whisky: mi piacerebbe sapere perché.
Quasi tutti ne bevono uno alla volta. Ah, gli risponde l'uo-
mo, è semplicissimo. Io ho due fratelli. Uno vive a New
York, l'altro a San Francisco, e siamo molto legati. Cosi, in
onore della nostra amicizia, ogni pomeriggio alle cinque tut-
ti e tre entriamo in un bar, ordiniamo tre whisky e brin-
diamo in silenzio alla salute l'uno dell'altro fingendo di es-
sere tutti insieme nello stesso posto. Il barman annuisce: fi-
nalmente ha capito il motivo dello strano rituale, e non ci
pensa più. La storia va avanti cosi per altri quattro mesi.
Ogni giorno alle cinque l'uomo entra e il barman gli serve i
tre whisky. Poi succede qualcosa. Un pomeriggio l'uomo si
presenta alla solita ora, ma stavolta ordina solo due whisky.
Il barman si preoccupa, e dopo un po' prende il coraggio in
mano e dice: Non è per impicciarmi, ma negli ultimi quat-
tro mesi e mezzo lei ogni giorno è venuto qui e ha ordinato
tre whisky. Adesso ne ordina due. Lo so che non sono af-
fari miei, ma insomma, spero non sia successo niente di gra-
ve a uno dei suoi fratelli. Oh, è tutto a posto, risponde l'uo-
mo, più allegro e giulivo che mai. Ma allora cosa c'è?, chie-
de il barman. E semplicissimo. Io ho smesso di bere.

Il visitatore scoppia in un lungo accesso di risate e Mr


Blank, pur non ridendo con lui perché conosceva il fina-
le, sorride all'uomo con la camicia nera, soddisfatto di aver
raccontato cosi bene la storiella. Quando smette di ride-
re, il visitatore guarda Mr Blank e gli chiede: Lei sa chi
sono io?

Non ne sono sicuro, risponde il vecchio. Comunque, non


è Fogg. Ma di sicuro l'ho già vista... molte volte, credo.

Sono il suo avvocato.

Il mio avvocato. Bene... benissimo. Speravo proprio


che venisse oggi. Abbiamo tante cose di cui parlare.

Si, dice l'uomo con la camicia nera, dando un buffet-


to al fascio di documenti e cartelline sulle sue ginocchia.
Tante cose di cui parlare. Ma prima di cominciare, vor-
rei che mi guardasse bene e provasse a ricordare come mi
chiamo.
Mr Blank osserva il volto scarno e spigoloso dell'uomo,
scruta i grandi occhi grigi, studia la mascella, la fronte e la
bocca, ma alla fine non può fare altro che sospirare e scuo-
tere la testa, sconfitto.

Sono Quinn, Mr Blank, dice l'uomo. Daniel Quinn. Il


suo primo operativo.
Mr Blank geme. È mortificato per la vergogna, e tal-
mente in imbarazzo che una parte di lui, la più intima, vor-
rebbe strisciare in un buco e morire. La prego, mi perdo-
ni, supplica. Caro Quinn, fratello mio, mio compagno d'ar-
mi, mio leale amico. È questo schifo di pillole che ho preso.
Mi hanno fuso il cervello, e non so nemmeno più cos'ho
nelle tasche.

Lei mi ha inviato in più missioni di chiunque altro, di-


ce Quinn. Ricorda il caso Stillman ?

Vagamente, risponde Mr Blank. Peter Stillman. Junior


e Senior, se non erro. Uno dei due vestiva di bianco. Ades-
so non ricordo bene quale, ma credo il figlio.

Precisamente. Il figlio. E poi c'è stata quella strana sto-


ria con Fanshawe.

Il primo marito di Sophie. Quel matto, che è scom-


parso.

Esatto anche stavolta. Inoltre, non dobbiamo dimen-


ticare il passaporto. Una faccenda secondaria, immagino,
ma comunque un lavoraccio.

Quale passaporto ?

Il mio. Quello che ha trovato Anna Blume quando è


stata a sua volta inviata in missione.

Anna? Conosce Anna?

Naturale. Tutti conoscono Anna. Da queste parti è qua-


si una leggenda.

Se lo merita. Al mondo non esiste un'altra donna co-


me lei.

E poi, non ultima, c'era mia zia, Molly Fitzsimmons,


la donna che ha sposato Walt Rawley. L'ho aiutato a scri-
vere le sue memorie.
Walt chi?

Rawley. Uno già noto come il Bambino Prodigio.

Ah, si. E successo molto tempo fa, vero ?

Precisamente. Molto, molto tempo fa.

E allora ?

Niente. Poi mi ha mandato in congedo.

E perché l'ho fatto? Cosa avevo in testa?

Contavo tutti quegli anni di servizio, era ora che me ne


andassi. Gli operativi non durano per sempre. E la natu-
ra del lavoro.

Quando è successo ?

Nel 1993.

E adesso, in che anno siamo ?

Il 2005.

Dodici anni. E poi che ha fatto, da quando... l'ho man-


data in congedo ?

Viaggi, più che altro. Ormai devo aver visitato quasi


tutti i paesi del mondo.

E ora è tornato, ed è il mio legale. Sono contento che


sia lei, Quinn. Ho sempre pensato che di lei mi potevo fi-
dare.

Ed è vero, Mr Blank. E per questo che mi è stato dato


il lavoro. Perché ci conosciamo da tanto tempo.

Deve farmi uscire di qui. Non credo di poter resistere


ancora a lungo.

Non sarà facile. Le hanno mosso talmente tante accu-


se che sto sprofondando nelle scartoffie. Deve avere pa-
zienza. Vorrei poterle dare una risposta, ma non ho idea
del tempo che occorrerà per sistemare tutto.

Accuse ? Che genere di accuse ?

Un intero campionario, temo. Dall'indifferenza crimi-


nale alle molestie sessuali. Dalla cospirazione alla frode,
all'omicidio colposo. Dalla diffamazione fino all'omicidio
di primo grado... Devo continuare ?

Ma io sono innocente. Non ho mai commesso nessuno


di questi delitti.
Questo è opinabile. Dipende dai punti di vista.

E che cosa succede se perdiamo ?

La natura del castigo è ancora da stabilirsi. Un gruppo


invoca la clemenza, grazia plenaria per ogni addebito. Ma
altri chiedono sangue. E non si tratta solo di uno, o due.
Ce n'è un'intera banda, e fanno sempre più baccano.

Sangue. Non capisco. Con sangue intende morteì


Anziché rispondere, Quinn si fruga nella tasca della ca-
micia nera e tira fuori un foglio, che poi spiega in modo
che anche Mr Blank veda cosa c'è scritto.

Solo due ore fa si è tenuta una riunione, dice Quinn.


Non voglio spaventarla, ma qualcuno in effetti si è alza-
to e ha proposto questa soluzione. Leggo: Sarà trascinato
lungo le strade fino al luogo dell'esecuzione, per essere ivi ap-
peso e smembrato vivo, e Usuo corpo sarà aperto, estratti cuo-
re e visceri, le parti intime recise e gettate tra le fiamme da-
vanti ai suoi occhi. Poi la testa sarà recisa dal busto con un
colpo, e Usuo corpo diviso in quattro quarti, da eliminarsi a
nostra discrezione.

Che delizia, sospira Mr Blank. E quale anima pia ha in-


ventato questo piano ?

Non conta, dice Quinn. Voglio solo darle un'idea del-


la situazione con cui dobbiamo misurarci. Io lotterò con
lei fino alla fine, ma dobbiamo essere realistici. Stando co-
si le cose, probabilmente dovremo trovare qualche com-
promesso.

E stato Flood, vero?, chiede Mr Blank. Quell'odioso


omiciattolo che stamattina è venuto qui dentro e mi ha in-
sultato.

No, in verità non è stato Flood, ma questo non signi-


fica che non sia uno pericoloso. Lei è stato saggio a rifiu-
tare il suo invito ad andare al parco. Abbiamo poi scoper-
to che teneva un coltello nascosto nella giacca. Pensava di
ucciderla appena fuori dalla stanza.

Ah. Mi pareva. Quel lurido pezzo di merda, quel buo-


no a nulla.
Capisco che sia dura essere recluso qui dentro, Mr
Blank, ma le suggerirei di non uscire. Se qualcun altro la
invitasse a una passeggiata nel parco, trovi una scusa per
dire di no.

Allora c'è davvero un parco ?

Si, c'è davvero.

E gli uccelli. Sono nella mia testa, o li posso sentire ve-


ramente ?

Che specie di uccelli ?

Corvi o gabbiani, non li so distinguere.


Gabbiani.

Quindi dobbiamo essere vicini all'oceano.

E stato lei a scegliere il posto. Nonostante tutto quel-


lo che è successo qui, ci ha raccolti tutti in un luogo bel-
lissimo. Gliene sono grato.

E perché allora non mi permette di vederlo ? Non rie-


sco nemmeno ad aprire quella maledetta finestra.

Per proteggerla. Lei ha voluto stare all'ultimo piano,


ma non possiamo correre rischi, le pare ?

Non voglio suicidarmi, se è questo che vuol dire.

Lo so. Ma non tutti concordano con me.

Un altro dei suoi compromessi, vero ?

Per tutta risposta Quinn fa spallucce, abbassa gli occhi


e guarda l'orologio.

Il tempo stringe, dice. Ho portato i documenti relativi


a una causa, e credo che dovremmo occuparcene ora. Pur-
ché ovviamente non sia troppo stanco. Se preferisce, pos-
so tornare domani.

No, no, risponde Mr Blank, con un moto irritato del


braccio. Diamoci da fare.

Quinn apre la prima cartelletta e tira fuori quattro fo-


to in bianco e nero, formato 20 per 25. Spingendosi avanti
sulla sedia le consegna a Mr Blank e gli spiega: Benjamin
Sachs. Le dice qualcosa questo nome?

Mi sembra di si, risponde il vecchio, ma non sono si-


curo.
E uno dei cattivi. Fra i peggiori, in realtà, ma se mon-
tiamo una difesa solida contro questa accusa, potremmo
creare un precedente rispetto alle altre. Mi segue, Mr Blank ?

Mr Blank annuisce in silenzio, mettendosi subito a sfo-


gliare le foto. La prima mostra un quarantenne alto, al-
lampanato, seduto sulla ringhiera di una scala antincendio
in quella che si direbbe Brooklyn, a New York, con lo
sguardo fisso nella notte davanti a lui - ma poi Mr Blank
passa alla seconda immagine, ed ecco che lo stesso perso-
naggio ha perso la presa sulla ringhiera e sta cadendo nel
buio, una sagoma scomposta di membra prese a mezz'aria,
mentre precipita verso il suolo. La cosa è già abbastanza
inquietante, ma quando Mr Blank arriva alla terza foto si
sente pungere da un fremito di agnizione. L'uomo alto è
in campagna, su una strada sterrata, e sta picchiando con
una mazza da baseball di metallo un uomo con la barba rit-
to davanti a lui. L'immagine cattura l'istante preciso in cui
la mazza colpisce la testa del barbuto, e dall'espressione
sul suo volto è chiaro che il colpo lo ucciderà, che tra po-
chi secondi cadrà a terra con il cranio sfondato, mentre
dalla ferita usciranno fiotti di sangue che andranno a for-
mare un lago attorno al suo cadavere.

Mr Blank si mette le mani sul volto cercando di strap-


pare la pelle con le dita. Respira con affanno, in quanto già
conosce l'immagine della quarta fotografia, anche se non
ricorda come o perché la conosca, e prevedendo l'esplosio-
ne della bomba artigianale che dilanierà l'uomo alto semi-
nando ovunque i brandelli del suo corpo, non ha la forza
di guardarla. Lascia invece scivolare dalle mani e cadere a
terra le quattro fotografie; e poi, portandosi quelle stesse
mani al volto, si copre gli occhi e comincia a piangere.

Ora Quinn se n'è andato, e Mr Blank è ancora una vol-


ta solo nella stanza, seduto alla scrivania con la penna a
sfera nella mano destra. La crisi di pianto è cessata da più
di venti minuti, e quando apre il taccuino e si ferma alla
seconda pagina, dice fra sé: Facevo solamente il mio lavo-
ro. Anche se le cose hanno preso una brutta piega, la cro-
naca andava scritta comunque, e nessuno può condannar-
mi per aver detto la verità, giusto ? Poi, volgendosi al la-
voro del momento, aggiunge al suo elenco altri tre nomi:

John Trause.
Sophie.
Daniel Quinn.
Marco Fogg.
Benjamin Sachs.

Mr Blank posa la penna a sfera, chiude il taccuino e


mette da parte i due oggetti. Ora si rende conto di aver
sperato in una visita di Fogg, l'uomo di tutte le barzellet-
te buffe, ma benché nella stanza non ci siano orologi e lui
non ne porti nessuno al polso, vale a dire che non ha un'i-
dea, neanche approssimativa, di che ore siano, sente che
l'ora del tè e della conversazione leggera è passata. Forse
fra non molto Anna tornerà a servirgli la cena, e se per ca-
so a venire non sarà Anna, ma un'altra donna o uomo man-
dati a sostituirla, allora lui intende protestare, comportarsi
male, urlare e strepitare, piantando una tale cagnara da far
volare il tetto fino al cielo.
Non avendo attualmente di meglio da fare, Mr Blank
decide di continuare la sua lettura. Appena sotto la storia
di Trause su Sigmund Graf e la Confederazione c'è un ma-
noscritto più lungo, di circa centoquaranta pagine, che, a
differenza del testo precedente, è dotato di una copertina
con il titolo dell'opera e il nome dell'autore:

N. R. Fanshawe.

Aha, fa Mr Blank ad alta voce. Cosi mi piace di più.


Forse finalmente ne stiamo venendo a capo, se Dio vuole.
Poi va alla prima pagina e comincia a leggere:

Il vecchio è seduto sull'orlo del piccolo letto con le ma-


ni appoggiate a palmi aperti sulle ginocchia, la testa bas-
sa, gli occhi al pavimento. Non si sogna nemmeno di pen-
sare che nel soffitto proprio sopra di lui sia nascosta una
macchina fotografica. A ogni secondo l'otturatore fa uno
scatto silenzioso, producendo ottantaseimilaquattrocento
fotogrammi per ogni rivoluzione della Terra. E anche se
il vecchio sapesse che lo stanno guardando, non cambie-
rebbe nulla. La sua mente è altrove, arenata tra le imma-
gini fittizie che gli affollano il cervello mentre cerca una
risposta alla domanda che lo ossessiona.

Chi è lui ? Cosa ci fa qui ? Quando è arrivato, e fino a


quando resterà? Con un po' di fortuna, il tempo ci dirà
tutto. Per ora, nostro unico compito è studiare con la mas-
sima attenzione le immagini senza voler dedurre conclu-
sioni premature.

Nella stanza c'è un certo numero di oggetti, e sulla su-


perficie di ciascuno è incollata una striscia di nastro ade-
sivo bianco con una sola parola scritta a stampatello. Per
esempio, sul comodino c'è la parola comodino. Sulla lam-
pada c'è la parola lampada. Anche sul muro, che non sa-
rebbe a rigore un oggetto, c'è una striscia di nastro con
scritto muro. Per un attimo il vecchio alza gli occhi, vede
il muro, vede il nastro attaccato al muro e dice piano la pa-
rola muro. Quello che a questo punto non possiamo sape-
re è se stia leggendo la parola sul nastro o se si riferisca sol-
tanto al muro in sé. Può darsi che abbia disimparato a leg-
gere, ma riconosca ancora le cose per quello che sono, e
sappia chiamarle con i loro nomi; o che, invece, abbia per-
so la capacità di riconoscere le cose per quello che sono,
ma sappia ancora leggere.

Ha indosso un pigiama di cotone a righe gialle e azzur-


re e un paio di ciabatte di pelle nera. Dove sia esattamen-
te, non gli è chiaro. Nella stanza, d'accordo, ma in quale
edificio si trova la stanza? In una casa? In un ospedale?
In una prigione ? Non ricorda da quanto tempo sia qui, né
la natura delle circostanze che sono precipitate nel suo tra-
sferimento. Forse è sempre stato in questo luogo; forse ci
vive dal giorno della sua nascita. Sa soltanto di avere il
cuore gonfio per un implacabile senso di colpa. E nel con-
tempo non riesce ad allontanare l'idea di essere vittima di
una terribile ingiustizia.

Nella stanza c'è una finestra, ma ha la tendina abbas-


sata, e a quanto ricorda lui non ha ancora guardato fuori.
Lo stesso vale per la porta con il pomolo bianco di porcel-
lana. È chiuso dentro, o è libero di andare e venire come
vuole ? Su questo il vecchio deve ancora indagare - per-
ché, come già si è detto nel primo paragrafo, la sua men-
te è altrove, alla deriva nel passato, mentre lui vaga tra i
fantasmi che gli affollano il cervello, spremendosi per ri-
spondere alla domanda che lo ossessiona.

Le immagini non mentono, ma neppure raccontano la


storia per intero. Sono mere testimoni, evidenze esterio-
ri del tempo che passa. Per esempio, non è facile stabilire
l'età del vecchio dalle immagini un po' sfocate in bianco e
nero. L'unica conclusione che si può trarre con sicurezza
è che non è giovane, ma la parola vecchio è un termine fles-
sibile, che può descrivere una persona di qualsiasi età com-
presa fra i sessanta e i cent'anni. Dunque d'ora in poi smet-
teremo l'epiteto di vecchio chiamando l'individuo nella
stanza Mr Blank. Per il momento, basterà il cognome.

Infine Mr Blank si alza dal letto, si sofferma breve-


mente per trovare l'equilibrio e poi ciabatta fino alla scri-
vania all'altro capo della stanza. Si sente stanco come se
si fosse appena svegliato da una notte di sonno agitato e
insufficiente, e il rumore delle suole delle ciabatte sull'as-
sito nudo gli ricorda il raschiare della carta vetrata. Re-
moto, da lontano, da fuori della stanza, fuori dall'edificio
che contiene la stanza, sente il richiamo fioco di un uccello
- un corvo, forse, o un gabbiano, non sa dire...
A questo punto, Mr Blank ha letto tutto quanto può
sopportare, e non si è divertito per niente. In un impulso
d'ira e frustrazione repressa, getta il manoscritto sopra la
propria spalla con un violento scatto del polso, senza nean-
che girarsi a vedere dove cade. Mentre fluttua nell'aria e
scende sul pavimento dietro di lui, Mr Blank batte un pu-
gno sul tavolo e dice ad alta voce: Quando finirà questa
cosa assurda?

Non finirà mai. Perché ora Mr Blank è uno di noi e,


per quanto si consumi per capire la sua brutta situazione,
sarà perduto per sempre. Credo di parlare a nome dei suoi
subalterni se dico che sta avendo quello che si merita: né
più, né meno. Non come forma di castigo, ma come atto
di suprema giustizia e pietà. Senza di lui noi non siamo
niente, ma il paradosso è che noi, le creature inventate dal-
la mente di un altro, vivremo più a lungo della mente che
ci ha fatto, perché una volta gettate nel mondo continuia-
mo a esistere per sempre, e le nostre storie continuano a
essere raccontate anche quando siamo morte.

Negli anni, Mr Blank sarà anche stato crudele verso


alcuni subalterni, ma nessuno di noi pensa che non abbia
fatto tutto quello che era in suo potere per servirci nel
migliore dei modi. Perciò io penso di tenerlo dov'è. La
stanza ora è il suo mondo, e più a lungo durerà il tratta-
mento, più dovrà riconoscere la generosità di quanto è
stato fatto per lui. Mr Blank è vecchio e debilitato, ma
fino a quando resta nella stanza con la finestra oscurata
e la porta chiusa a chiave non potrà mai morire, mai spa-
rire, mai essere nient'altro che le parole che sto scriven-
do su questa pagina.

Fra non molto una donna entrerà nella stanza e gli darà
la cena. Non ho ancora deciso chi sarà quella donna, ma
se fra ora e allora tutto procederà bene, manderò Anna.
Ciò renderà felice Mr Blank che, alla fine, probabilmente
ha sofferto abbastanza per un giorno solo. Anna darà a Mr
Blank la sua cena, quindi lo laverà e lo metterà a letto. Per
un po' Mr Blank resterà sveglio al buio, ad ascoltare i ri-
chiami degli uccelli in lontananza, ma poi i suoi occhi si
appesantiranno e le palpebre si chiuderanno. Si addor-
menterà e al mattino, al suo risveglio, ricomincerà il trat-
tamento. Ma adesso è ancora il giorno che è sempre stato
dalla prima parola di questa cronaca, ed è il momento in
cui Anna bacia su una guancia Mr Blank e gli rimbocca le
coperte, è il momento in cui lei si rialza dal letto e comincia
a camminare verso la porta. Buon riposo, Mr Blank.
Si spengono le luci.

(2005).

FINE.

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