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Karl Marx e la riscossa die poveri

«Uomini come Adam Smith, David Ricardo e


Thomas Malthus foggiarono la storia della scienza
economica e la visione dell’ordine economico e sociale; Karl
Marx plasmò la storia del mondo».1

La riscoperta

La battuta «Dio è morto, Marx è morto, e anche io non mi sento molto bene», attribuita a Woody
Allen, ma appartenente a Eugène Ionesco2, probabilmente non sta parlando di Dio o di religione, forse
semplicemente vuole mettere in discussione tutto un mondo di valori assoluti, o forse camuffa il desiderio
che sentiamo ripetere in modo insistente. Perché Marx – il vero morto in questione - non è morto, è ancora
in forze e non cessa di denunciare le contraddizioni di un mondo ribaltato, sconvolto, fatto di follia e
squilibrio, deprezzamento di valori e sfruttamento. Al suo funerale, il 17 marzo 1883, c’erano solo undici
persone. Nell’orazione funebre, Friedrich Engels -sodale di Marx - così predisse: «Il suo nome vivrà nei
secoli, e così la sua opera!»3. Una previsione che sembrava improbabile e che invece si rivela esatta4. A
centoquarant’anni dalla sua morte, infatti, quasi metà della popolazione mondiale è governata da princìpi
che fanno riferimento al marxismo come modello di sviluppo.
Durante la Guerra Fredda, il nome di Marx fu per l’occidente la radice di tutti i mali a cui personaggi
come Stalin, Mao o Kim Il Sung si erano ispirati. A lui erano associati, in qualità di “complice”, i massacri e le
purghe del tempo. Certamente Marx sarebbe inorridito di fronte ai crimini commessi, e soltanto degli
sprovveduti potrebbero ritenerlo responsabile dei gulag. Sono morti – questo sì – quei modelli imperfetti
che pretendevano di rifarsi alle sue teorie e che avevano spaccato il mondo a metà portandolo sull’orlo
sella catastrofe:

«Stalin, Mao e Kim Il Sung si comportarono come moderni cristiani nei confronti del Vecchio
Testamento: ne ignorarono o scartarono buona parte del contenuto, per poi estrapolare alcuni slogan
altisonanti (“oppio dei popoli”, “dittatura del proletariato”) da utilizzare in modo stravolto [...] come
giustificazione [...] delle brutali crudeltà che [...] andavano compiendo» 5

«Del resto Rudyard Kipling aveva già condannato questi comportamenti:

«Colui che all’umanità


ha un Vangelo da annunciare
può dare tutto se stesso
- corpo, anima e mente -,
salire ogni giorno il Calvario
del suo credo a beneficio,
saranno poi suoi discepoli
a renderne vano il sacrificio»6

Quando era in vita, più volte le pretese di alcuni di professarsi suoi discepoli lo portavano alla
disperazione. Nel sentire, ad esempio, che un nuovo partito francese sosteneva di essere marxista, Marx
affermò: «Tutto quello che so è che non sono marxista»7.
Ma il fallimento del socialismo reale non intacca l’esattezza della sua analisi critica al capitalismo. Il

1
Galbraith John Kenneth, Storia dell’economia, RCS Rizzoli, 1987, pp. 144, 145.
2
“Jewish American Literature: A Norton Anthology” Book by Chametzky Jules, Chapter: “Jewish Humor”, p. 300, 2000.
3
Wheen Francis, Marx, Vita pubblica e privata, Mondadori editore, Milano, 2000, p. 3
4
Ibid.
5
Ivi, p. 4
6
Ivi, p. 4. In originale: https://www.poetryloverspage.com/poets/kipling/disciple.html
7
Ivi, p. 3
1
suo pensiero rappresenta ancora lo strumento principale per osservare e approfondire le contraddizioni
della società esistente, che noi stessi abbiamo prodotto ma che sembra capace di dominarci. E questo
“riscoprire Marx” non avviene dalla vecchia sinistra storica né tantomeno dalla sinistra cosiddetta liberal,
bensì dagli stessi vecchi, malvagi capitalisti borghesi che lo riconoscono come un genio che ha molto da
insegnarci in fatto di mercati globali, monopoli, disuguaglianze, commistione tra finanza e politica.
Il primo segnale di questa insolita rivalutazione comparve nell’ottobre del 1997 quando un numero
speciale del “The New Yorker” proclama Karl Marx “il prossimo grande pensatore”. L’autore, John Cassidy,
riporta quanto un suo amico del college, finanziere a Wall Street, dice:
«Più tempo trascorro a Wall Street, più sono convinto che Marx avesse ragione [...] il suo
approccio è il modo migliore di guardare al capitalismo [...] in molti modi, l’eredità di Marx è stata
oscurata dal fallimento del comunismo, che non era il suo interesse principale. In realtà, aveva poco
da dire su come una società socialista dovrebbe funzionare – qualcosa che Lenin e i suoi compagni
scoprirono rapidamente dopo aver preso il potere [...] Scrisse (invece) passaggi avvincenti sulla
disuguaglianza, la corruzione politica, la monopolizzazione, il progresso tecnico, il declino dell’alta
cultura e la natura snervante dell’esistenza moderna».8

Un altro segnale avviene nel 1999 da un sondaggio della BBC che ha premiato Marx:

«Marx, the millennium's 'greatest thinker' […] Although dictatorships throughout the
twentieth century have distorted his original ideas, his work as a philosopher, social scientist,
historian and a revolutionary is respected by academics today » 9.

Dopo la crisi economico-finanziaria del 2008 – tutt’ora opprimente in specie nella Zona euro – i
richiami al teorico tedesco sono aumentati. L’omonimo cardinale e arcivescovo di Monaco Freising
Reinhard Marx, nel suo libro pubblicato con il titolo “Il capitale. Una critica cristiana alle ragioni del
mercato”, dice:

«tutto quello che non va nella “deregulation” economica che sta devastando il pianeta: un
capitale sempre più globale, una borghesia che si arricchisce sempre più a spese dei lavoratori,
società multinazionali sempre più estese e produttivamente delocalizzate [...] La dottrina sociale
cattolica vede in Marx il suo più grande avversario e gli porta grande rispetto»10

Nello stesso anno il Times di Londra apre un sondaggio tra i suoi «conservatorissimi lettori»
riportato da “La Stampa” del 22/10/2008: «la domanda “ma allora Marx aveva ragione?” spacca il pubblico
del quotidiano e il “no” vince, per ora, di strettissima misura con un 52,5% contro il 47,5%»11

In questo contesto non è fuori tempo il libro del filosofo Diego Fusaro (Bentornato Marx, Bompiani
2009), specialmente considerando la citazione riportata in quarta di copertina tratta da un articolo a firma
di Bryn Rowlands sul Financial Times, secondo il quale «forse la conoscenza delle teorie economiche di Marx
avrebbe potuto permettere ai nostri economisti e politici di evitare, o perlomeno di attenuare, l’attuale crisi
del capitalismo»

8
Cassidy John, The return of Karl Marx – The next thinker, The New Yorker, 20 ottobre 1997,
https://www.newyorker.com/magazine/1997/10/20/the-return-of-karl-marx
9
BBC World News, «Marx, il “più grande pensatore” del millennio […] Sebbene le dittature nel corso del ventesimo
secolo abbiano distorto le sue idee originali, il suo lavoro di filosofo, scienziato sociale, storico rivoluzionario è oggi
rispettato dagli accademici». http://news.bbc.co.uk/2/hi/461545.stm
10
Marx F. Reinhard, Il capitale. Una critica cristiana alle ragioni del mercato, Rizzoli, 2009, introduzione.
11
https://www.lastampa.it/economia/2008/10/22/news/crisi-il-dubbio-del-times-1.37090839

2
Marx fu un filosofo, uno storico, un economista, un sociologo, un politologo e un rivoluzionario. Ma
le domande che dobbiamo porci sono: che cosa spinse il borghese Karl Marx e il figlio di industriali Friedrich
Engels ad assumere il ruolo di rivoluzionari, ad aderire alla lotta per il riconoscimento del lavoro ad opera
del proletariato? A comprendere e rovesciare le contraddizioni del mondo capitalista?

Marx non divenne rivoluzionario per reazione a miseria e privazioni subiti durante l’infanzia o
gioventù, tutt’altro. Nacque, infatti, da un’agiata famiglia borghese a Treviri, in Germania, nel Land
Renania-Palatinato (congiunta nel 1815 alla Prussia dopo settantanove anni di annessione francese:
durante quel periodo la Renania aveva ottenuto quelle riforme che la Rivoluzione e poi Napoleone avevano
introdotti in Francia) il 5 maggio 1818 e morì a Londra il 14 marzo 1883. Il padre, di origini ebraiche, era un
importante avvocato e magistrato alla corte d’appello, convertitosi al protestantesimo più che per intenti
spirituali, per la posizione da lui occupata, poiché nella Prussia di quel tempo gli ebrei – mai pienamente
emancipati - erano sottoposti a discriminazioni legali.

Infanzia e giovinezza

Dell’infanzia di Karl si conosce poco, la figlia più giovane, Eleanor, così commentava nel raccontare
uno dei pochi aneddoti sul padre:
«era un cantastorie eccezionale e insuperabile [...] Le zie mi hanno spesso raccontato che da
adolescente il “Moro” (così era soprannominato per la sua carnagione scura) era stato un “tiranno” tremendo
per le sorelle [...] aveva l’abitudine di costringerle a mangiare le (immonde) focacce da lui preparate. Esse
però acconsentivano a tutto senza protestare perché Karl raccontava loro in compenso storie tanto
meravigliose»12.

A dodici anni venne iscritto al liceo di Treviri ottenendo la licenza nel 1835. Con il padre, Heinrich,
che esercitò una forte influenza sulla formazione intellettuale su di lui, Karl sarebbe stato profondamente
legato da un vincolo di affetto e stima. Non così avvenne con la madre Henriette, ritenuta da alcuni biografi
una donna arida o forse molto semplice, i cui interessi si limitavano alla famiglia a che avrebbe sempre
rimproverato Karl di non essersi fatto una posizione adeguata al suo rango sociale e alle sue capacità
intellettuali13. L’altro mentore intellettuale del ragazzo fu un amico del padre, il barone Ludwig von
Westphalen:
«un funzionario governativo colto e liberale che fece conoscere a Karl la poesia e la musica – e sua figlia
Jenny von Westphalen, la futura signora Marx -; durante le lunghe passeggiate che facevano assieme, il
barone era solito recitare brano di Omero e Shakespeare, che il giovane compagno imparava a memoria e che
in seguito si servì per condire i propri scritti. Da adulto, Marx rivisse quei tempi felici con Westphalen
declamando Shakespeare, Dante e Goethe mentre conduceva a propria famiglia in gita domenicale».14

La sete di conoscenze e cultura era enorme:


«iniziò ad imparare l’inglese e l’italiano, tradusse Tacito e Aristotele e “dedicai molto tempo a Reimarus
(Hermann Samuel Reimarus, filosofo illuminista tedesco 1694 – 1768), impegnando la mia mente nella lettura
del suo libro sull’istinto artistico degli animali”»15

A diciassette anni – nel 1835 -, su consiglio del padre, si iscrive alla facoltà di legge dell’università di
Bonn, ma agli studi di diritto Karl antepone l’interesse per la filosofia e gli studi letterari. Si iscrive ad un
circolo, il Club dei poeti, il cui nome innocente in realtà era un paravento per discorsi ben più rivoluzionari
che discussioni su poesia e retorica. Partecipa attivamente alla vita goliardica e bohemienne e non era

12
Wheen Francis, Marx, cit. p. 10
13
https://it.wikipedia.org/wiki/Karl_Marx#Giovinezza
14
Wheen Francis, Il capitale, Una biografia, Newton Compton Editori, Roma, 2007, p. 16
15
Ivi, p. 18
3
estraneo neppure alle birrerie e alle numerose risse tra bande di studenti, tanto da accettare una sfida a
duello che gli procurò, fortunatamente, solo una ferita sopra l’occhio sinistro. Dopo un anno di «selvagge
scorrerie a Bonn, il padre fu lieto di permettere che il figlio si trasferisse all’università di Berlino, dove ci
sarebbero state meno tentazioni extracurricolari»16 per proseguire gli studi di giurisprudenza.

In gioventù Marx frequentava l’élite sociale di Trevi e, nell’estate del 1836 si fidanza con la bella
baronessa Jenny von Westphalen, di quattro anni più vecchia, figlia del barone Ludwig al quale, Karl e Jenny
nascosero il loro fidanzamento per molto tempo. Forse entrambi temevano che l’anziano genitore avrebbe
cercato di dissuadere
«l’adorata figlia dal proposito di compromettere il proprio futuro legandosi ad un anticonformista
brillante ma volubile. La vita accanto a Karl Marx non sarebbe mai stata monotona, ma non sembrava
promettere granché in fatto di stabilità o prosperità»17

Può sorprendere che una nobildonna di ventidue anni, appartenente alla classe dirigente
prussiana, si sia innamorata di un giovane borghese ed ebreo di quattro anni più giovane, ma Jenny era una
donna intelligente che amava ragionare con la propria testa e che trovava irresistibile la forza e la
spavalderia intellettuale di Marx.18 Jenny era effettivamente una “preda” molto ambita e Marx – molti anni
dopo – le scrisse con affetto:
«Non passa giorno senza che da destra a sinistra non mi si chiedano notizie della [...] “fanciulla più
bella di Treviri” e della “regina del ballo”. Per un marito è una cosa maledettamente gradevole che sua moglie
continui a vivere nella fantasia di una città intera come una “principessa incantata”» 19

Università di Berlino e incontro con la filosofia hegeliana

Nell’università di Berlino dove, fino a cinque anni prima aveva insegnato Georg Wilhelm Friedrich
Hegel, Marx trova nella dialettica hegeliana, per la quale tutta la realtà, anche sociale e politica, è un
continuo divenire, il punto di partenza della sua lotta politica. E Marx rimase sempre grato al filosofo.
Anche molto tempo dopo aver ripudiato l’hegelismo, affermando la propria indipendenza intellettuale, egli
continuò a parlare con affetto di Hegel, tanto che nel 1873, a cinquantacinque anni, scriveva:
«Ho criticato il lato mistificatore della dialettica hegeliana quasi trent’anni fa, quando era ancora la
moda del giorno. Ma proprio mentre elaboravo il “Capitale” [...] i mediocri epigoni che ora dominano nella
Germania colta si compiacevano di trattare Hegel [...] come un “cane morto”. Perciò mi sono professato
apertamente scolaro di quel grande pensatore [...] Hegel è stato il primo ad esporre ampiamente e
consapevolmente le forme generali [...] della dialettica stessa»20

Marx si distacca dalla filosofia hegeliana, però ne mantiene il metodo dialettico di Tesi (l’Idea: come
momento intellettuale o astratto) e Antitesi (intesa come fase dialettica di confronto, opposta),
disconoscendo21 il concetto di Sintesi, inteso come momento che unifica le opposizioni precedenti:

«Hegel, per esempio, era partito dal presupposto che l’”Idea dello Stato” fosse il soggetto, con la
società come antitesi, mentre la storia aveva dimostrato il contrario. Non c’era nulla che non funzionasse in

16
Wheen Francis, Marx, cit. p. 18
17
Ivi, p. 21
18
Ivi, p. 19
19
Ivi, p. 18
20
Ivi, p. 22
21
Marx Karl, Il Capitale – Critica dell’economia politica, Newton Compton editori, Roma, 2018, introduzione, p. 14
4
Hegel, bastava capovolgerlo: La religione non fa l’uomo, ma è l’uomo a fare la religione; la costituzione non
crea il popolo, ma è il popolo a creare la costituzione [...]» 22.

Quello che interessava a Marx non era l’astratto individuo, ma l’individuo come elemento della
società, non la speculazione sterile, ma lo studio volto alla risoluzione dei concreti problemi economici.
Marx riprende la figura del servo-padrone da cui, dal continuo scontro, ci sarà un vinto e un vincitore tra chi
produce i beni di sostentamento e chi espropria questi beni facendoli suoi senza produrli.
La liberazione avverrà attraverso la lotta di classe poiché non esiste una Sintesi. Marx critica l’Idea
“misticheggiante” di Hegel dello Stato, da cui tutto dipende e in cui trovano piena realizzazione la società,
la famiglia. Per Marx, nella realtà storica, la priorità spetta alla società civile, non allo Stato. È il popolo che
crea la costituzione non il contrario, come – secondo Marx – è l’uomo che crea la religione, non la religione
che crea l’uomo.
Quella di Hegel è una visione idealista della dialettica; la storia è costituita concretamente
dall’evoluzione delle forme filosofiche, religiose, artistiche, politiche delle società. Questa evoluzione è
espressa dall’Idea.
Quella di Marx è una visione materialista, perché attribuisce agli elementi materiali ed economici
una sostanziale priorità rispetto a quelli politico-giuridici o ancora più immateriali, di carattere spirituale: il
soggetto della storia non è l'Idea o lo "Spirito del mondo" di cui parla Hegel, ma l'uomo.
Durante gli anni trascorsi a Berlino, Marx frequenta raramente le aule universitarie e comunica al
padre la decisione di abbandonare gli studi giuridici per dedicarsi a quelli filosofici. Si laurea così in filosofia
nel le 1841 nell'Università di Jena. Dopo il dottorato pensava di diventare professore di filosofia ma scartò
l’dea perché la vicinanza quotidiana di altri docenti sarebbe stata intollerabile:

«A chi piacerebbe dover parlare sempre con dei farabutti intellettuali, con persone che studiano al
solo scopo di trovare nuovi vicoli ciechi in ogni angolo del mondo?» 23

Marx denuncia il carattere speculativo della filosofia contrapponendo il proprio punto di vista
"reale", che successivamente sarà lo definirà “materialistico”:

«Poiché ogni vera filosofia è la quintessenza intellettuale del suo tempo», scrisse nel 1842, «dovrà
venire il momento in cui la filosofia, non solo al suo interno, ma anche all’esterno attraverso la forma, entrerà
in contatto e interazione con il mondo reale della sua epoca».24

La figura e la personalità di Marx


In quegli anni della giovinezza, la figura e la personalità di Marx si svelano nei ricordi di coloro che lo
conobbero di persona: Moses Hess25, corrispondente del quotidiano di Colonia “Rheinische Zeitung”
(Gazzetta renana) per il quale lavorava anche Karl Marx, ebbe nei confronti di quest’ultimo un
atteggiamento di grande reverenza. Scrisse infatti all’amico Berthold Auerbach:
«La comparsa di questa persona (Karl Marx) ha avuto su di me [...] un effetto straordinario [...] Il
dottor Marx, così si chiama il mio idolo, è giovanissimo (avrà al massimo ventiquattr’anni), ma darà il colpo di
grazia alla religione e alla politica medievali. Egli unisce alla più profonda serietà filosofica l’arguzia più

22
Wheen Francis, Marx, cit. p. 49
23
Wheen Francis, Il capitale, cit. p. 18
24
Ivi, p. 19
25
Filosofo, politico e attivista tedesco (1812 - 1875), fu uno dei primi sostenitori del socialismo e precursore del
movimento sionista. https://en.wikipedia.org/wiki/Moses_Hess
5
tagliente. Immagina Rousseau, Voltaire, Holbach, Lessing, Heine e Hegel uniti in una persona (e dico uniti, non
messi insieme alla rinfusa), e avrai Karl Marx».26

In quel periodo giovanile Marx faceva lo stesso effetto su quasi tutte le persone che incontrava.
Quando Friedrich Engels arrivo a Berlino per il servizio militare, pochi mesi dopo la partenza di Marx, scoprì
che il giovane Karl era già una leggenda vivente.27 Il poeta Georg Herwegh, che collaborò alla ““Rheinische
Zeitung” - allora diretta da Marx -, lo storico e critico letterario russo Pavel Annenkov, il finanziatore della
stessa Gazzetta, Gustav von Mevissen , in tutti costoro emerge continuamente l’accenno a quella magnifica
criniera, nera, foltissima che suscitava tanta soggezione; agli occhi scuri lampeggianti, a quell’aspetto di chi
ha il diritto e la forza di imporre, di essere un capo.28 Il politico e cofondatore della socialdemocrazia
tedesca Wilhelm Liebknecht (1826 -1900) «nel 1896, tremava ancora di paura al ricordo del momento in
cui, mezzo secolo prima, aveva sostenuto per la prima volta lo sguardo di quella “testa leonina dalla criniera
nerissima”»29. Nel ricordo di Friedrich Lessner – che partecipò al secondo congresso della Lega dei
comunisti, tenutosi a Londra nell’aprile del 1847, dove si sarebbe discusso del progetto politico della Lega,
poi pubblicato l’anno dopo nel “Manifesto del Partito Comunista” – così descrisse della presenza dominante
di Marx nello storico incontro che, per intensità di dibattito, durò dieci giorni:
«Marx era nato per essere un capo. I suoi discorsi brevi, concisi e di una logica stringente. Non
pronunciava parole superflue; ogni frase era un’idea un anello necessario della catena della sua
dimostrazione. Marx non aveva nulla del sognatore. Quanto più mi appariva chiara la differenza fra il
comunismo di Weitling30 e quello del Manifesto dei Comunisti, tanto più mi diventava chiaro che Marx
rappresentava l’età adulta del pensiero socialista»31.

Due anni dopo la laurea in filosofia ebbe termine il lungo fidanzamento; il filosofo Karl Marx e la
sua paziente Jenny von Westphalen - «la cui adorazione per il suo “orsacchiotto selvatico” (Karl) era intensa
come non mai, nonostante le prolungate assenze»32- si sposano. In quello stesso anno sono costretti a
rifugiarsi in esilio a Parigi per motivi politici a seguito dell’aggravarsi della repressione governativa sulla vita
politica e culturale. Marx in una lettera all’amico Arnold Ruge:

«io sarò a Parigi alla fine di questo mese (settembre 1843) perché l’aria di qui rende servi, e in
Germania non vedo alcuno spazio per una libera attività»33

Le rivoluzioni del 1789 e quella successiva del 1830 – in cu fu rovesciato Carlo X, ultimo sovrano
della dinastia dei Borbone, e sostituito con Luigi Filippo, il re della monarchia di luglio - avevano fatto di
Parigi la capitale del mondo nuovo:

«un punto di raccolta naturale [...] di cospiratori, poeti e libellisti, sette, salotti e società segrete, la
città in cui “convergono tutte le fibre nervose della storia europea, da cui s’irradiavano, a intervalli regolari,
scosse elettriche che facevano fremere il mondo intero”»34

L’esperienza giornalistica aveva convinto Marx

26
Wheen Francis, Marx, cit. p. 35
27
Ivi.
28
Ivi, p. 36
29
Ivi.
30
Wilhelm Weitling, è stato un rivoluzionario tedesco (1808 – 1871). Teorico del pensiero socialista-utopico, per la cui
prima teorizzazione si ispirò alla Bibbia. https://en.wikipedia.org/wiki/Wilhelm_Weitling
31
Wheen Francis, Marx, cit. p. 101
32
Ivi, p. 32
33
Ivi, p. 55
34
Ibid.
6
«che i filosofi non dovevano trascorrere la loro vita in cima a qualche colonna come gli antichi stiliti
(asceti): loro compito era viceversa quello di scendere a terra e di impegnarsi nel qui e ora»35

L’approccio agli studi di economia e la critica agli economisti classici


A ventisei anni, Marx aveva una formazione pienamente classica, come dimostrano le frequenti
citazioni di autori greci e latini, e una conoscenza approfondita della filosofia tedesca e del socialismo
francese e, a Parigi, inizia a intraprendere lo studio dell’economia politica; studio che continuerà a lungo,
soprattutto dopo il suo esilio a Londra nel 1850. E nel 1844 si dedicò alla lettura sistematica degli
economisti classici, Adam Smith e David Ricardo verso i quali nutriva grande rispetto anche se non esente
da critiche. Marx non mise affatto in discussione le conquiste produttive del sistema economico che la
nuova classe dominante aveva creato, ne aveva anzi riconosciuto i meriti storici:
«La borghesia ha prodotto, nel corso del suo nemmeno centenario dominio di classe, forze
produttive più massicce e colossali di tutte le altre generazioni messe insieme. Controllo delle forze della
natura, macchine, impiego della chimica nell'industria e nell'agricoltura, navigazione a vapore, ferrovie,
telegrafi elettrici, dissodamento di interi continenti, navigabilità dei fiumi [...]: quale secolo passato
sospettava che tali forze produttive giacessero nel grembo del lavoro sociale?»36

Come realizzazione secondarie ha creato città enormi, la popolazione urbana è cresciuta


enormemente rispetto a quella rurale, e «i prezzi bassi delle sue merci sono l’artiglieria pesante con la
quale spiana tutte le muraglie cinesi»37.
«La borghesia costringe tutte le nazioni a far proprio il modo di produzione borghese, se non
vogliono affondare; la borghesia le costringe a introdurre esse stesse la cosiddetta civiltà, cioè a diventare
borghesi. In una parola, la borghesia si costruisce un mondo a sua immagine e somiglianza»38

E come supera le crisi la borghesia?

«Da una parte con l'annientamento coatto di una massa di forze produttive; dall'altra conquistando
nuovi mercati e sfruttando più a fondo quelli vecchi. In che modo, insomma? Provocando crisi più
generalizzate e più violente e riducendo i mezzi necessari a prevenirle».

Non si può dire che ciò non abbia riscontri precisi nella realtà attuale. Riguardo al mondo costruito a sua
immagine e somiglianza, è sufficiente visitare la capitale dello stato cinese – che si autodefinisce comunista
– e si scoprirà che i quartieri centrali hanno esattamente le stesse cose che si trovano in una qualsiasi città
degli Usa: McDonald, Starbucks Coffee e filiali della Bank of America: il paese economicamente più
sviluppato non fa che mostrare al meno sviluppato l’immagine del suo avvenire.

Nel modello economico classico viene, inoltre ignorato, come il potere viene distribuito e il
carattere fortemente ineguale della distribuzione del reddito. Al centro dell’analisi di Marx c’è la teoria del
valore-lavoro, già in parte elaborata da Smith e da Ricardo, secondo la quale il lavoro è la fonte della
ricchezza e il "valore" delle merci è dato dal tempo di lavoro necessario speso nella produzione di esse.
Per Marx il rapporto fondamentale nella società capitalistica è il rapporto tra capitale e forza-
lavoro. Il capitale, cioè la proprietà privata dei mezzi di produzione, è l’appropriazione di lavoro umano non
pagato. E questa appropriazione viene spiegata col fatto che, mentre il capitalista compra la forza-lavoro
del salariato, pagandola come ogni altra merce, in base alla quantità di lavoro che si richiede per produrla,
cioè in base a quanto occorre per il sostentamento dell'operaio e della sua famiglia, la forza-lavoro dal

35
Ivi. p. 49
36
Marx Karl e Friedrich Engels, Il Manifesto del Partito Comunista, p. 4
37
Ivi.
38
Ivi. p. 6.
7
canto suo produce più valore di quanto essa non costi. La differenza, il "plusvalore", è ciò che costituisce il
capitale, che rimane nelle mani del datore di lavoro.

La dottrina economica classica, inoltre, presupponeva un equilibrio: la relazione immutabile tra


imprenditore e operaio, tra terra, capitale e lavoro. C’erano sì delle variazioni nell’offerta di lavoro o nel
capitale, ma queste portavano ad un nuovo equilibrio. Lo studio di tale equilibrio costituiva lo studio della
scienza economica. Marx, invece, vede nel modello economico una continua trasformazione alla quale le
idee economiche e gli economisti devono adattarsi, non c’è quindi una struttura fissa e immutabile: le
società, i sindacati, le politiche dello Stato, il conflitto di classe, sono tutte in movimento. Credere
nell’equilibrio – cioè studiare, come scienza economica, un oggetto fisso e definito una volta per tutte,
come nella fisica, significa condannarsi a una inevitabile obsolescenza. E questa idea di movimento, di
trasformazione, include anche il mutamento rivoluzionario.
Nell’economia classica, infine, manca un’analisi sulla vulnerabilità del ciclo economico e della
conseguente disoccupazione, come manca l’analisi sugli effetti del monopolio.

Esilio a Parigi e primo incontro con Engels


A Parigi, Marx lavora anche per diversi giornali radicali e incontra importanti amici e sostenitori, tra
cui Friedrich Engels che si trova provvisoriamente nella capitale francese – e che ne diviene da questo
momento l’amico di tutta la vita. -, con cui pubblicò a Londra nel 1848 il “Manifesto del Partito Comunista”.
Di questo primo incontro tra Marx ed Engels, e delle loro epiche conversazioni in quei dieci giorni
insieme a Parigi, rimane solo una frase scritta da Engels più di quarant’anni dopo: «Quando andai a trovare
Marx a Parigi nell’estate del 1844, ci rendemmo conto di essere del tutto d’accordo in tutti i campi teorici, e
la nostra opera comune risale a quel periodo». 39
E nella loro opera, “Il Manifesto”, nella prefazione Engels scrive:
«Sebbene il Manifesto sia un nostro comune prodotto, ci tengo a dichiarare che l’idea fondamentale,
che forma il suo nucleo, appartiene a Marx. L’idea è che in ogni epoca storica il modo prevalente di
produzione e scambio economici, e l’organizzazione sociale che necessariamente ne scaturisce, forma la base
su cui viene edificata, e da cui soltanto può essere spiegata, la storia politica e intellettuale di quell’epoca».40

E aggiunge, a proposito del titolo: «[...] non avremmo potuto chiamarlo un “Manifesto
socialista”» perché, all’epoca, da un lato i seguaci dei vari sistemi “socialisti” utopici erano ridotti al rango di
mere sette; dall’altro c’erano i ciarlatani sociali che si accontentavano di accomodare l’ingiustizia sociale.
Entrambi contavano sull’appoggio delle classi “colte” ed erano estranei al movimento dei lavoratori, l’unico
convinto della necessità di un cambiamento sociale totale, e che si dichiarava “comunista”, quindi «non ci
poteva essere alcun dubbio su quale dei due nomi dovevamo assumere»41

Nel febbraio del 1848 Parigi insorge, il re Luigi Filippo è costretto a fuggire a Londra e viene
proclamata la Repubblica. La rivoluzione si estende in tutta Europa cancellando l’assetto politico creato dal
Congresso di Vienna del 1814:
«Si può dire che la pubblicazione del Manifesto del Partito Comunista coincise esattamente con il 18
marzo 1848, con le rivoluzioni di Milano e Berlino [...] due nazioni fino a quel momento indebolite dalla
frammentazione territoriale [...] e assoggettate al dominio straniero [...] l’Italia era soggetta all’imperatore
d’Austria, la Germania [...] al giogo dello zar di tutte le Russie. Il risultato del 18 marzo fu di liberare Italia e
Germania da tale oltraggio»42

39
Wheen Francis, Il capitale, Una biografia, Newton Compton Editori, 2007, p. 23
40
Engels Friedrich, Il Manifesto del Partito Comunista, prefazione all’edizione inglese del 1888, Londra 30 gennaio
1888. http://www.ousia.it/content/Sezioni/Testi/MarxManifestoPartitoComunista.pdf, p. 5.
41
Ivi.
42
Engels Friedrich, Il Manifesto del Partito Comunista, prefazione Al lettore italiano, Londra 1° febbraio 1893
8
Per le sue idee politiche e per il supporto ai moti del 1848 – 1849, il governo francese impone a
Marx di lasciare la Francia. Marx, dopo un breve periodo a Bruxelles, sceglie di trasferirsi a Londra con la
moglie Jenny von Westphalen e i figli. Qui continuò a lavorare come giornalista e a costruire la sua teoria
socioeconomica, pubblicando nel 1867 il primo volume del “Il Capitale, critica dell’economia politica”.

Esilio a Londra
A Londra, tuttavia, i Marx vissero un periodo finanziariamente difficile, dopo aver venduto
l’argenteria di famiglia per sopravvivere arrivarono fino al punto di vendere la biancheria e oggetti
personali. Marx trovava infatti serie difficoltà a riavviare la propria carriera come giornalista.
«Jenny non riusciva a liberarsi dagli antichi presentimenti: “Cuore mio, mi tormento spesso per il
nostro futuro...Se puoi tranquillizzarmi in proposito. Tutti mi parlano fin troppo di un reddito stabile”. Una
necessità, quest’ultima, che peraltro a Marx sarebbe sempre sfuggita» 43.

La sala di lettura del British Museum fu per molti anni il rifugio di Marx e il suo luogo di lavoro e per
mantenere la famiglia scriveva per un quotidiano repubblicano, il “New York Tribune”; l’aiuto economico
profuso in questi periodi dall’amico Engels fu essenziale per la sopravvivenza dei Marx.

Friedrich Engels fu per Marx «fu una specie di vicemadre: gli inviava denaro, si preoccupava della
sua salute e gli rammentava continuamente di non trascurare gli studi»44. Engels ebbe un’importanza
fondamentale nella vita di Marx – come giustamente hanno messo in evidenza tutti i loro biografi - tra loro
c’era un’amicizia e una dedizione assoluta che durò ininterrotta fino alla morte di Marx. La continua
corrispondenza che i due tennero fino al 1870 conferma che tra loro c’era una grande collaborazione
intellettuale e una perfetta coincidenza di idee e obiettivi. Engels non si stancava di esaltare la genialità di
Marx che gli faceva subito intuire l’aspetto essenziale di un problema, e riconosceva di esserne a lui
debitore per la propria formazione intellettuale. Per questo, anche per la sua sincera devozione, oltre che
per il rapporto di amicizia, Engels non rifiutò mai di alleviare le misere condizioni in cui versava Marx nel
tardo periodo della sua vita.

Friedrich Engels

Engels nacque a Barmen in Renania il 28 novembre 1820 e morì a Londra il 5 agosto 1895, figlio di
un ricco industriale tessile, a sua volta imprenditore. I suoi studi seguirono un percorso analogo a quello di
Marx, fu un filosofo, economista, sociologo e giornalista.
Fondatore assieme al sodale Karl del “socialismo scientifico” (distinto dall’allora “socialismo
utopistico” e da quello” libertario” – basato, quindi, su conoscenze ottenute attraverso ricerche e seguendo
una metodologia sperimentale e approcci logici), e con una concezione “materialistica della storia” che –
nel pensiero marxiano – comprende i concetti di “sovrastruttura” (intesa come ideologia) e “struttura”
(vale a dire i rapporti economici, la sola reale sostanza dei rapporti umani). All’età di ventidue anni, di
ritorno a Barmen, terminato il servizio militare, passando per Colonia, incontra Marx per la prima volta
nella redazione della “Gazzetta renana”. Nell’autunno dello stesso anno, 1842, riceve dal padre l’incarico di
occuparsi della fabbrica tessile di Manchester. L’esperienza diretta col mondo della produzione
nell’Inghilterra della rivoluzione industriale del XIX secolo e la miserrima condizione del proletariato,
convinse Engels a seguire la via per la soluzione dei problemi sociali, così come Marx ci arrivò dalla critica
alle dottrine filosofiche e politiche contemporanee. «Della febbre democratica che aveva colto il figlio (i
genitori) non avevano alcun sentore ed egli fece del suo meglio per tenerli all’oscuro per molti anni

43
Wheen Francis, Marx, cit. p. 57
44
Ivi, p. 75
9
ancora».45
Engel, durante il giorno, era un uomo d’affari che operava alla Borsa del Cotone, la Cotton
Exchange, ma dopo l’orario di lavoro si spostava sul fronte opposto e, assieme alla sua compagna, l’operaia
irlandese dai capelli rossi Mary Burns, esplorava le vie e i quartieri degradati dove viveva il proletariato,
allo scopo di raccogliere fatti per il suo primo capolavoro, “La situazione della classe operaia in Inghilterra”
(1845). Si avventurava in squallidi quartieri che uomini della sua classe sociali non avevano mai visto. Di
seguito una breve descrizione di “Little Ireland”, a sudovest di Manchester:
«Masse di immondizie, rifiuti e melma nauseabonda sono sparse dappertutto, in mezzo a
pozzanghere permanenti; l’atmosfera è ammorbata dalle loro esalazioni e oscurata e appesantita da una
dozzina di miniere; orde di donne e bambini laceri si aggirano nei pressi, sudici come maiali sguazzanti tra
mucchi di immondizia e nelle pozzanghere; [...] La razza umana che vive in questi cottages cadenti, dietro le
finestre rotte e rappezzate con tela oleata, dietro le porte sconnesse e gli infissi fradici, o addirittura nelle
buie e umide cantine, in mezzo a questa sporcizia senza limite e a questo puzzo, in un’atmosfera che pare di
proposito asfissiante, questa razza deve realmente aver raggiunto il gradino più basso dell’umanità; questa è
l’impressione e la conclusione a cui si è costretti già solo dall’aspetto esteriore del quartiere. Ma che diremo,
quando apprenderemo che in ciascuna di queste casette, che contengono al massimo due stanze e la soffitta,
e tutt’al più anche una cantina, abitano in media venti persone?»46

L’esperienza lavorativa di Engels nell’industria tessile gli dava la possibilità di aggiungere, alle
proprie osservazioni dirette, le informazioni provenienti dalle commissioni parlamentari, dagli ufficiali
sanitari, dagli atti del governo britannico – che poco o nulla faceva per migliorare le condizioni dalla massa
dei lavoratoti -, dai resoconti dei giornali, soprattutto quelli relativi alla cronaca nera e dagli atti giudiziari. E
il tutto, scritto con una trama accorta e argomentata, attribuiva forza e profondità al libro. Scrive ancora
Engels:
«Lunedì 15 gennaio 1844 due ragazzi furono condotti davanti al tribunale correzionale di Worship
Street, perché per la fame avevano rubato da un negozio un piede di vacca semicotto e l’avevano subito
divorato. Il giudice si sentì in dovere di far svolgere ulteriori indagini, e ricevette dai poliziotti questo
rapporto: la madre dei ragazzi era la vedova di un ex soldato [...] e, dopo la morte del marito, si era trovata
assai male...Quando il poliziotto andò da lei, la trovò con sei dei suoi figli letteralmente stipati in un angusto
retrostanza privo di mobili, eccettuate due vecchie sedie di vimini senza fondo e un tavolino con due gambe
rotte, su cui erano una tazza sbocconcellata e un piccolo piatto. Nel focolare a malapena una scintilla di
fuoco, e in un angolo un mucchietto di stracci [...] che servivano da letto per tutta la famiglia». 47

Engels rimase profondamente colpito quando scoprì che tali organi ufficiali della borghesia inglese
fornivano prove così schiaccianti dei propri misfatti, e dopo aver citato diversi casi orripilanti di morti per
fame e malattie, prendendoli dal quotidiano “Manchester Guardian”, «scrisse con esultanza: “Mi
compiaccio delle testimonianze dei miei oppositori”»48. Erano chiare “autoaccuse” – le loro - di una politica

di puro, estremo, sfruttamento. Marx trovò di massimo interesse e preziosissima la conoscenza di


prima mano di Engels – che lui stesso non possedeva -, sui meccanismi del capitalismo e se ne giovò molto
nei suoi scritti.

Marx ed Engels si completavano a vicenda: «Marx con la sua ricchezza di conoscenza, Engels con la
sua conoscenza della ricchezza».49 Tuttavia il completo accordo che avevano in tutti i campi della teoria non
si allargava alle abitudini e stili di vita. Anzi, diremmo che sembravano quasi opposti: i manoscritti di Marx
erano quasi illeggibili e pieni di modifiche e cancellature, «quasi a testimonianza dello sforzo che gli

45
Ivi, p. 70
46
Ivi. p. 72
47
Ivi, p. 73
48
Ivi.
49
Wheen Francis, Il capitale, cit. p. 23
10
costavano; la scrittura di Engels era invece ordinata, professionale, elegante»50. Marx era di corporatura
robusta, non di alta statura, «e di carnagione scura; un ebreo tormentato dall’odio contro se stesso; Engels
era alto e biondo, con più di un tratto caratteristico della spavalderia ariana. Marx viveva nel caos e nella
miseria; Engels era un lavoratore attivo ed efficiente con un impiego a tempo pieno nell’industria di
famiglia: contemporaneamente produceva una quantità formidabile di libri, lettere, articoli per i giornali
[...] In ogni caso trovò sempre il tempo per godere i piaceri della vita alto-borghese»51. «Tuttavia,
malgrado l’evidente disparità di condizioni che giocavano a suo favore, Engels sapeva che non sarebbe mai
stato il partner dominante; fin dall’inizio si inchinò davanti alla superiorità intellettuale di Marx, accettando
come proprio dovere [...] il fatto di sostenere e finanziare il grande saggio in miseria senza rimostranze o
gelosia»52 per renderne possibile la sua opera.
«Non riesco assolutamente a comprendere come si possa essere invidiosi del genio; è una cosa
talmente speciale che noi che ne siamo sprovvisti sappiamo fin dal principio che non potremo mai averla; ma
per essere invidiosi bisogna avere una mentalità terribilmente ristretta».53

Engels fungeva anche da imprescindibile stimolo, senza il quale probabilmente l’enorme mole di
lavoro di Marx su politica ed economia non si sarebbe trasformato in un’opera. Sarebbero occorsi, in
effetti, molti anni per dare alle stampe, finalmente, il primo libro del Capitale che, anche se è considerato
un’opera di economia, Karl Marx si dedicò agli studi economici dopo molti anni di lavoro propedeutico di
filosofia e letteratura. E sono queste le basi intellettuali che sorreggono l’opera.

La gestazione del ”Il Capitale” e tragedie famigliari


La gestazione dell’opera costò a Marx molti anni di studio di giorno e di notte:
«Ha lavorato sin quasi a star male, senza andare a letto per tre o quattro notti di fila»54[...] «Talvolta
mentre osservava il gioco dei bambini, provava l’ardente desiderio di mettersi a fare una capriola o la ruota
per sgombrare la mente di tutto il fango e la miseria che si erano accumulati. Il grattacapo principale era
rappresentato da quella che Marx stesso chiamava “la merda economica”» 55.

Anche le loro disagiate condizioni familiari contribuirono a far sì che la gestazione dell’opera fu
lunga e travagliata. Dal loro arrivo a Londra i Marx vennero afflitti da una continua crisi familiare; all’epoca
avevano già quattro figli piccoli e nel maggio del 1850 vennero sfrattati dal loro appartamento perché non
avevano i soldi per l’affitto. Furono aiutati a trovare rifugio da un ebreo nel quartiere di Soho dove
trascorsero l’estate in miseria, prima di trasferirsi in un alloggio meno provvisorio con l’aiuto di Engels.
Continue tragedie familiari colpirono i Marx in quel periodo. Nel novembre del 1850 persero il figlio più
piccolo, Guido, per un’improvvisa crisi convulsiva. Due anni dopo fu la volta della loro figlia Franziska di un
anno, deceduta a Pasqua del 1852 a causa di un grave attacco di bronchite. Un altro figlio, Edgar,
amatissimo dal padre, morì di consunzione nel marzo del 1855. «Fuori di sé dal dolore, mentre la bara
veniva calata nella fossa, Marx si fece avanti convincendo quasi tutti i partecipanti al funerale che
intendeva farsi seppellire insieme al figlio. Uno dei presenti allungò una mano per trattenerlo, nel caso
volesse provarci sul serio»56. È certo che l’indigenza dominava la vita della coppia, con gravi carenze anche
di cibo. Rivelò ad Engels: «negli ultimi otto o dieci giorni ho nutrito la famiglia esclusivamente a pane e
patate, ma non so se oggi riuscirò a procurarmene»57. In quel periodo lavorava per due articoli alla
settimana per un quotidiano americano il “New York Daily Tribune” pagati due sterline l’uno, ma

50
Wheen Francis, Marx, cit. p. 73.
51
Ivi. pp. 73, 74.
52
Ivi. p. 74
53
Wheen Francis, Il capitale, cit. p. 24
54
Wheen Francis, Marx, cit. p. 56
55
Ivi, p. 197
56
Ivi, p. 31
57
Ivi.
11
nonostante ci fosse anche l’aiuto di Engels, il denaro non bastava: «Una settimana fa sono arrivato al
piacevole punto di non poter uscire di casa per la mancanza del soprabito che ho portato al monte dei
pegni» scrisse nel febbraio del 1852. Tutto questo gli impediva di concentrarsi sul suo lavoro.
Ciò che riportò la sua concentrazione sugli studi di economia fu lo scoppio di un cataclisma
finanziario nell’autunno del 1857. Iniziato con un tracollo bancario a New York, la crisi si diffuse in
Germania, Austria, Inghilterra e Francia: fallimenti quotidiani, prezzi in picchiata e panico generale. Lunghe
giornate al British Museum e lunghe notti trascorse alla scrivania portarono dieci anni dopo alla nascita del
primo volume della sua opera fondamentale, “Il Capitale, critica dell’economia politica”, pubblicato da
Marx nel 1867. Il primo libro fu l’unico che riuscì a completare prima della sua morte. Il secondo e il terzo
libro furono pubblicati postumi a cura di Friedrich Engels, mentre il quarto libro, con il titolo “Teorie del
plusvalore”, venne pubblicato all’inizio del Novecento a cura del filosofo ed economista tedesco Karl
Kautsky.

Marx e la crisi
Ora, la crisi economico-finanziaria esplosa del 2007-2008 , considerata la peggiore dalla Grande
Depressione del 1929, ha letteralmente frantumato i princìpi su cui si fonda l’economica liberista,58 e cioè il
“sano egoismo individuale che genera ricchezza per tutti”59 e “la capacità del mercato di autoregolarsi”.
I fatti, da soli, smentiscono questi assiomi. Nel rapporto sulla ricchezza e la povertà del mondo,
pubblicato da Oxfam60 in occasione del World Economic Forum di Davos 2020, si legge: «La ricchezza
globale resta concentrata al vertice della piramide distributiva: l’1% più ricco, sotto il profilo patrimoniale,
deteneva a metà 2019 più del doppio della ricchezza netta posseduta da 6,9 miliardi di persone».61
Pensiamo che solo 2153 individui hanno più ricchezza di 4,6 miliardi di persone.62 Un’enorme quota della
crescita del reddito globale si accumula costantemente verso la cima della piramide: dal 1980, l’1% più ricco
ha ricevuto – per ogni dollaro di crescita – ben 27 centesimi, vale a dire più del doppio della quota che
andava al 50% più povero, che si assicurava solo 12 centesimi di dollaro63. Il risultato è che quasi metà degli
abitanti della Terra cerca di sopravvivere con meno di 5,5 dollari al giorno.64 Non è difficile comprendere
che il sistema sta collassando e che è non ha senso parlare di efficienza del mercato quando è stata
distrutta ricchezza per migliaia di miliardi e in cui, nel giro di pochi mesi, i disoccupati nel mondo sono
aumentati di 230 milioni. Secondo le stime della Banca Asiatica di Sviluppo, la perdita di ricchezza, già a
inizio del 2009, ammontava a 50.000 miliardi di dollari: che rappresenta l’intero Pil mondiale di un anno65
A questi disastri, leggendo ciò che Marx ha scritto sulle ciclicità delle crisi economiche e sulle loro
cause, «si trova di più e meglio di quanto scrivono e dicono legioni di economisti mainstream dei giorni
nostri».66 Non a caso alcuni analisti finanziari «trovano che l’interpretazione marxista della crisi è
evidentemente corretta»67. Non manca neanche qualche personaggio politico di primo piano: il ministro

58
Sistema economico imperniato sulla libertà del mercato, in cui lo Stato garantisce con la legge la libertà economica e
a provvedere soltanto a bisogni collettivi essenziali, quali la difesa. http://www.treccani.it/enciclopedia/liberismo/
59
La cosiddetta teoria del trickle-down (gocciolamento), indica l’economia sviluppatasi negli Stati Uniti con la
presidenza Reagan dove i benefici economici elargiti ai ceti abbienti, favoriscono – di fatto – l’intera società, compresa
la classe media e le fasce di popolazione marginali e disagiate. https://it.wikipedia.org/wiki/Trickle-down#Economia
60
Una delle maggiori organizzazioni mondiali non profit dedicata alla riduzione della povertà globale
61
https://oxfamilibrary.openrepository.com/bitstream/handle/10546/620928/bp-time-to-care-inequality-200120-
en.pdf
62
Ivi.
63
Ivi.
64
Ivi.
65
https://www.adb.org/news/global-financial-market-losses-reach-50-trillion-says-study

66
GIACCHÈ Vladimiro, Il ritorno del rimosso: Marx, la caduta del saggio di profitto e la crisi, Università di Bergamo, 23
aprile 2010, Reazione al convegno “Marx e la crisi”, p. 1
67
Ivi, p. 1, il «Flash Economics», 6 gennaio 2010, n. 2, pubblicato da Natixis: P. Artus, A Marxist interpretation of the
crisis.
12
delle finanze tedesco (2005 – 2009) Peer Steinbrück, in un’intervista a “Der Spiegel” del 29 settembre 2009,
ha dichiarato – bontà sua – che «ci sono parti della teoria di Marx che non sono poi così sbagliate»68.
Anche sull’assoluta assoluta incapacità – allora come oggi – da parte di banchieri e uomini d’affari
di prevedere le crisi non mancano le osservazioni di Marx: egli ricorda come essi (i banchieri e gli uomini
d’affari) nel 1857 «si congratulassero reciprocamente per l’andamento fiorente e sano degli affari un mese
prima dello scoppio della crisi»69

La sovrapproduzione
Secondo Marx, alla base delle ricorrenti crisi si trova la sovrapproduzione di capitale e di merci. Da
un lato c’è la tendenza a sviluppare al massimo le forze produttive (e secondo Marx, questo è anche il
merito principale del sistema capitalistico). Dall’altro, la produzione finalizzata al profitto anziché al
soddisfacimento dei bisogni umani e sociali, inceppa periodicamente lo sviluppo delle stesse forze
produttive. Si crea, cioè, un accumulo70 di capitale che non riesce a trovare una valorizzazione adeguata e
un accumulo di merci che non riescono ad essere vendute ad un prezzo sufficiente a remunerare il capitale
impiegato a produrle. Viene a mancare, quindi, quella quota di capitale che va reinvestito in mezzi di
produzione, oltre nel rinnovo di quelli esistenti, e talvolta nell’acquisto di altra forza lavoro. Viene a
mancare la quota da suddividere agli azionisti, ai bonus ai manager, ai fondi di riserva, ecc.

Una testimonianza sulla sovrapproduzione arriva da Sergio Marchionne all’incontro della Fiat con il
governo e sindacati del 18 giugno 2009: «La capacità produttiva, a livello mondiale, è di oltre 90 milioni di
vetture l’anno, almeno 30 milioni in più rispetto a quanto il mercato sia in grado di assorbire in condizioni
normali»71. E come fanno le aziende automobilistiche a tirare avanti in presenza di una sovrapproduzione di
questa portata? Spingendo sul credito al consumo per l’acquisto di autovetture: lo stesso Marchionne ha
confermato che «le autovetture finanziate sono tre su quattro»72. Poi, le aziende, usufruendo di prestiti a
tassi vantaggiosissimi, ricomprano i propri debiti non ancora estinti. In terzo luogo si finanziano emettendo
azioni che vengono acquisite da fondi pensione. Infine fanno profitti con operazioni finanziarie. Tutto si
sposta dal settore produttivo, manifatturiero, al settore finanziario. Gli impianti lavorano al 70 – 80
percento, si ricorre alla cassa integrazione (in Italia) ecc. ecc. Comunque enormi quantità di merci invadono
il mercato, i consumatori non sono più ricchi di prima, di conseguenza c’è una quantità enorme di prodotti
invenduti, si interrompe così il processo di riproduzione del capitale. Se questa interruzione si verifica su
larga scala, abbiamo la crisi. Crisi che distrugge capitale e forze produttive, e che Marx descrive così:
«Il macchinario che non viene usato, non è capitale. Il lavoro che non viene sfruttato equivale a
produzione perduta. Materia prima che giace inutilizzata non è capitale. Costruzioni che restano inutilizzate
[...] o restano incompiute, merci che marciscono nel magazzino, tutto ciò è distruzione di capitale»73

La distruzione di tutto questo comporta: aumento della disoccupazione, quindi abbassamento dei
salari; fallimenti e quindi concentrazioni di imprese; deprezzamento dei beni capitali: macchinari e materie
prime Distruggendo tutto questo, si torna a una situazione in cui si ripristina il profitto e l’accumulazione di

68
https://www.spiegel.de/spiegel/print/d-60666803.html

69
Giacchè Vladimiro, Il ritorno del rimosso: Marx, la caduta del saggio di profitto e la crisi, cit. p. 2
70
L’accumulazione del capitale è il mezzo con cui l’economia capitalistica persegue il suo scopo, la realizzazione del
massimo profitto. In condizioni normali, ogni ciclo produttivo di un’impresa si conclude creando un valore eccedente
(plusvalore) rispetto a quello investito in mezzi di produzione e forza lavoro. Questo plusvalore (una volta venduta la
merce), si trasforma in profitto. E così via con il ciclo successivo.
71
Giacchè Vladimiro, Il ritorno del rimosso: Marx, la caduta del saggio di profitto e la crisi, cit. p. 17
72
Ivi, p. 18
73
Ivi, p. 21
13
capitale in modo che il ciclo riprenda: Chi, quindi, li rimette in opera, ottiene margini di profitto e
accumulazione di capitale.

Anche il denaro, che nella normalità funziona come misura dei valori e mezzo di pagamento, in una
situazione di crisi, viene tesaurizzato anziché essere scambiato con merci. Si aggiunge, in questo modo, alle
crisi di produzione, la crisi monetaria: circola meno denaro e questo impedisce ancora di più l’acquisto delle
merci.

I salari non sono sufficienti a coprire l’offerta di merci

Ma cosa innesca effettivamente la crisi? Perché c’è questa sovrapproduzione di merci che non trova
acquirenti? Secondo Marx un fattore essenziale è rappresentato dalla capacità di consumo dei lavoratori.
«La legislazione sul lavoro salariato – “Statute of labourers Edwards III” - ha una storia antica, fu inaugurata
in Inghilterra nel 1349, e sin dall’inizio è volta allo sfruttamento dell’operaio e, nel corso della sua
evoluzione, gli è sempre stata nemica74 [...] Era fatto divieto (in quella legge del 1349), sotto pena di
reclusione, di pagare un salario più alto di quello indicato nello statuto, ma veniva punito più duramente chi
riceveva tale salario maggiorato piuttosto che la persona che lo pagava».75
Ora le cose sono migliorare. Non c’è più la reclusione, ma dal 1960 al 2000, negli Stati Uniti, per
esempio, l’indice del livello di produttività è passato da 14,8 a oltre 100, cioè è aumentato del 576%,
mentre il salario orario è passato da 12,5 dollari/ora a 14,15 dollari/ora: è cresciuto, in quarant’anni, solo
del 13%76. E questo è successo – con le dovute proporzioni - in tutto il mondo occidentale. Da un lato
abbiamo la povertà delle masse (chi compra le merci?) dall’altro c’è la tendenza capitalistica a produrre
sempre di più, come se la capacità di consumo fosse “illimitata”. «L’economia capitalistica corre di continuo
il rischio di entrare in un periodo si sovrapproduzione, poiché la sua capacità di produrre beni e servizi
finisce per superare la sua possibilità di venderli»77. La conseguenza di ciò è che il tasso di accumulazione
del capitale tende a diminuire se non a cessare, dando così origine a periodi ricorrenti più o meno lunghi di
stagnazione economica, o crescita molto lenta.78

Tuttavia, nel contesto dei rapporti di produzione capitalistici, secondo Marx, ogni redistribuzione
dei guadagni tra salari e profitti, incontra prima o poi dei limiti insormontabili. La redistribuzione può essere
attuata fintantoché non intacca la profittabilità del capitale. E queste condizioni di profittabilità del capitale,
«solo momentaneamente consentono una relativa prosperità della classe operaia»79.

La diminuzione del saggio di profitto

Quindi, oltre al problema della sovrapproduzione e dei salari non sufficienti ad assorbire l’offerta di
merci, secondo Marx la società capitalistica è caratterizzata comunque – in maniera indipendente dai salari
- da una tendenza alla diminuzione di questa profittabilità, ossia della caduta del “saggio di profitto”. Con lo

74
«Ogni qualvolta il legislatore cerca di codificare i rapporti tra imprenditori e operai, i suoi consiglieri sono sempre gli
imprenditori», dice Adam Smith. Marx, Il Capitale, Libro Primo, nota 222, p. 531
75
Marx Karl, Il Capitale, cit. pp. 531, 532
76
Pollin Robert, Contours Of Descent, U.S. Economic fractures and the Landscape of Global Austerity, First
publishing by Verso, London, 2003, pp. 43, 44.
https://books.google.it/books?id=ro8ebd53RX4C&pg=PA43&lpg=PA43&dq=productivity+level+%2B+dollars
+/+hour+1960+-+2000&source=bl&ots=QDs3jQN6EM&sig=ACfU3U0fEXra0qxT-MUzHiIy-
VaHdykXbQ&hl=it&sa=X&ved=2ahUKEwiZnJDWzPTnAhXx0qYKHds1AKgQ6AEwEnoECAkQAQ#v=onepage&q
=productivity%20level%20%2B%20dollars%20%2F%20hour%201960%20-%202000&f=false

77
Gallino Luciano, Il colpo di Stato di banche e governi, Einaudi, 2013, p. 25
78
https://commons.wikimedia.org/wiki/Category:Economic_crises?uselang=it
79
Giacchè Vladimiro, Il ritorno del rimosso: Marx, la caduta del saggio di profitto e la crisi, cit. p. 7.
14
sviluppo del processo produttivo aumenta il capitale investito in macchinari e materie prime rispetto a
quello investito in forza-lavoro, perché più materie prime e ausiliarie vengono trasformate in beni con
meno lavoro. Con le macchine aumenta la produttività, cioè la quantità di merci prodotte è maggiore con
minore lavoro. Il che porta a ridurre la quantità di capitale investita in forza-lavoro in quanto c’è meno
bisogno di lavoratori. In questo modo si «riduce [...] proprio quella parte di capitale che genera
plusvalore»80, che è il lavoro umano.

La prova della diminuzione tendenziale del saggio di profitto, si riscontra anche negli Stati Uniti.
Negli ultimi decenni, se si considerano i profitti medi, prima delle tasse, delle imprese americane, si assiste,
infatti, ad una costante diminuzione:
«dal 1941 al 1956 il saggio di profitto era del 28%; dal 1957 al 1980 è stato del 20%, per scendere ancora al
14% nel periodo 1981 – 2004. Nell’ultimo di questi periodi il livello di utilizzo degli impianti industriali negli
Stati Uniti è sempre stato inferiore all’82%, ed è sceso al 78% nel 2005 – cioè due anni prima dello scoppio
della crisi»81

E questa tendenza di riduzione degli utili, si riscontra – esaminando i dati economici – in tutti i paesi
più industrializzati. Per rallentare la diminuzione del profitto le imprese mettono in atto riduzioni di salario,
aumento del numero di ore di lavoro, diminuzione del numero dei lavoratori, diminuzione del prezzo delle
macchine, maggiore spinta al commercio estero che allarga le possibilità di sblocco delle industrie. «Ma
queste “controtendenze” non sono misure tali, (per Marx), da eliminare la tendenza di lungo periodo alla
diminuzione del profitto che l’imprenditore può ricavare dal capitale investito. E con il declino del profitto
viene meno la stessa ragion d’essere del sistema economico capitalistico»82

Alla ricerca di aree di maggior profitto: dalla manifattura alla finanza

Dagli anni Settanta del secolo scorso cessa il grande periodo di crescita economica postbellica,
l’accumulazione di capitale nell’industria manifatturiera e dei servizi andava riducendosi, con sempre più
scarse occasioni di investimenti redditizi, pertanto
«Al fine di accumulare capitale come motore primo del sistema (capitalistico) i centri finanziari delle due
sponde dell’Atlantico, d’accordo con i rispettivi governi, scelsero allora la strada [...] della finanziarizzazione
dell’economia [...] Sotto forma della trasformazione del futuro in merce, (l’economia) conobbe un’espansione
senza uguali nella produzione e commercializzazione di “titoli” di ogni genere» 83

Le azioni, le obbligazioni, i derivati84 – questi prodotti finanziari - costituivano nel 2010 un valore
stimato in 20 volte il Pil dell’intero pianeta Terra che arrivava, quell’anno, a malapena 60 mila miliardi di
dollari.85« Questa massa di denaro è denaro fittizio, in quanto non è appoggiato ad alcun bene reale. Il che

80
http://www.treccani.it/enciclopedia/marxismo_%28Enciclopedia-delle-scienze-sociali%29/, 3 -L’analisi dello
sviluppo capitalistico.

81
Giacché Vladimiro, Il ritorno del rimosso: Marx, la caduta del saggio di profitto e la crisi, cit. p. 8.
82
http://www.treccani.it/enciclopedia/marxismo_%28Enciclopedia-delle-scienze-sociali%29/

83
Gallino Luciano, Il denaro, il debito e la doppia crisi, Einaudi, Torino, 2015, pp. 36, 38.
84
I derivati sono titoli il cui valore dipende dall’andamento di un’entità sottostante che può essere il prezzo del
petrolio quanto un evento sportivo o il fallimento di una certa industria o di un Paese, o di qualsiasi altra cosa: è una
pura scommessa speculativa.
85
Gallino Luciano, Il denaro..., cit. p. 39
15
significa che così come è stato creato velocemente senza avere nulla alle spalle, altrettanto velocemente
può scomparire»86

Però, spostare gli investimenti dal settore manifatturiero al settore finanziario significava diminuire
gli investimenti produttivi; dagli anni Ottanta si è gradatamente assistito al fenomeno della cosiddetta
finanziarizzazione dell’economia, favorita oltremodo da leggi che liberalizzavano tali investimenti e
dall’eliminazione di norme e vincoli di controllo. Il ciclo economico: denaro, che investito in stabilimenti,
macchinari, lavoro umano, crea merce e che, venduta, consente un ricavo superiore a quello investito che,
a sua volta consente di investire in nuovi macchinari e altro lavoro e così via, viene poco alla volta sostituito
dal ciclo Denaro-crea-Denaro. Viene esclusa la fase della creazione della merce.

La finanziarizzazione dell’economia ha consentito il superamento della stagnazione economica


dell’economia reale. Si sono costruite, per esempio, milioni di case acquistate a debito, e questa enorme
domanda ha consentito alle imprese che operavano nei settori edili e arredamento un notevole
espansione. Ma alla lunga ha recato anche gravi danni poiché, anche queste imprese – come tante altre -,
alla fine, anziché investire nel rinnovamento della produzione per attendersi, magari, un rendimento del 5-
6%, investivano lo stesso capitale in intitoli finanziari,
«per anni, ad esempio, la Deutsche Bank, la maggiore banca tedesca, ad esempio, ha promesso
pubblicamente ai suoi potenziali investitori europei che i suoi titoli toccavano un rendimento del 25%».87

Certo che il rischio è molto maggiore, ma tra i due investimenti c’è una differenza di rendimento
tale da indurre molti manager di accettarlo. Poi è sopraggiunta la crisi dei subprime e il crollo.

Sul Debito Pubblico e sulle Banche Centrali

Anche su questi punti Marx ha scritto qualcosa di importante su cui riflettere: certamente aveva
capito molto bene il meccanismo del debito pubblico e come esso fosse alimentato dal sistema del prestito
allo Stato di denaro, a debito e con interessi, dalla stessa banca centrale:
«V’è forse qualcosa di più assurdo dell’esempio fornitoci dalla Banca d’Inghilterra? Mentre le sue banconote
hanno credito solo in quanto garantite dallo Stato, essa si fa pagare dallo Stato, e quindi dal pubblico
(attraverso le tasse) nella forma di interessi sui prestiti, grazie alla possibilità conferitale dallo Stato di
convertire questi stessi biglietti di carta in denaro e di concederli poi in prestito allo Stato».88

La formazione dei debiti dello Stato, le cui origini possono essere rintracciate sin nel Medioevo a
Genova e Venezia, si estese nel periodo della produzione manifatturiera in tutta Europa, e trovò nel sistema
coloniale, col suo commercio, e con le guerre commerciali, la propria serra calda.89 Ma il debito pubblico
era considerato da Marx vera ricchezza nazionale dei popoli. È la sua formazione a debito da parte delle
banche e del sistema finanziario che contesta:
«L’unica parte della cosiddetta ricchezza nazionale che entri realmente nel possesso collettivo dei popoli
moderni è – il loro debito pubblico. Donde, assolutamente consequenziaria, la moderna dottrina che un
popolo diviene tanto più ricco quanto più si riempie di debiti»90

E ancora:
«Perciò l’accrescersi del debito pubblico trova una misura estremamente precisa nel progressivo salire delle
azioni di queste banche, il cui pieno sviluppo data dalla fondazione della Banca d’Inghilterra (1694). La Banca

86
Ivi, p. 35
87
Ivi, p. 39.
88
Marx Karl, Il Capitale, cit. Libro Terzo, p. 1281
89
Ivi, Libro Primo, p. 542.
90
Ivi.
16
d’Inghilterra cominciò a prestare il suo denaro al governo al tasso dell’8%; allo stesso tempo aveva avuto dal
parlamento l’autorizzazione ad emettere moneta con questo stesso capitale, prestandolo nuovamente al
pubblico sotto forma di banconote. Con queste essa poteva scontare gli effetti, fare anticipi su merci e
acquistare metalli pregiati [...] Essa non solo dava con una mano per ricevere di più con l’altra, ma, proprio
mentre riceveva, rimaneva creditrice perpetua della nazione fino all’ultimo centesimo sborsato»91

Gli scritti di quel tempo – prosegue Marx – fanno vedere quali conseguenze ebbero sui
contemporanei l’improvvisa nascita di quella schiatta di bancocrati, finanzieri, intermediari, agenti di
cambio e lupi di Borsa, che vivono di rendita che viene generata in questa maniera.92 È chiara, in Marx,
l’appropriazione di ricchezza dai popoli al sistema bancario e finanziario. Aveva ben capito il meccanismo.
Non così, a quanto pare, i rappresentanti della sua stessa parte politica che siedono in Parlamento, nelle
università, nelle fondazioni bancarie, che non lo hanno voluto capire – né allora né adesso; e quelli che
l’hanno capito, non lo hanno mai voluto insegnare.

Le contraddizioni endogene del sistema capitalistico

Secondo Marx, queste contraddizioni sono insite proprio al modello di produzione capitalistico, e,
dal punto di vista storico, esso è solo l’ultimo venuto nella successione dei diversi sistemi sociali e, come
quelli che l’hanno preceduto, anch’esso è destinato a lasciare il posto ad un nuovo:
«il modo di produzione capitalistico si imbatte, nello sviluppo delle forze produttive, in un limite che ha ben
poco a vedere con la produzione della ricchezza in quanto tale; e questo specifico limite testimonia del
carattere ristretto, meramente storico, transitorio, del modo di produzione capitalistico; attesta che esso non
costituisce affatto l’unico modo di produzione in grado di generare ricchezza, ma, al contrario, arrivato ad un
certo punto entra in conflitto con il suo stesso ulteriore sviluppo»93

E questo nuovo modello economico di sviluppo non può essere né questa economia di mercato
generatrice di disuguaglianze sociali crescenti, che privatizza i guadagni e socializza le perdite, né
l’economia pianificata del cosiddetto socialismo reale. Il nuovo modello di sviluppo economico sociale
dovrebbe sottoporre al controllo della comunità l’area economica. Per la ragione che è la sfera economica
che crea i mezzi per soddisfare la gran parte dei bisogni primari e vitali dell’uomo, senza realizzare i quali,
quelli spirituali e culturali sarebbero menomati. Del resto sono concetti chiaramente presenti nella nostra
Costituzione, dove l’attività economica è vincolata alla libertà e dignità umana e indirizzata a fini sociali.
«Art. 41: L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo
da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana».

«Art. 42, 2° comma: La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di
acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti».

«Art. 43: Ai fini di utilità generale la legge può riservare [...] o trasferire [...] allo Stato [...] determinate
imprese [...] che si riferiscono a servizi pubblici essenziali, o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed
abbiano carattere di preminente interesse generale».

«Art. 47, 1° comma: La repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e
controlla l’esercizio del credito».

«Queste norme costruiscono, in sostanza, lo “Stato sociale”, realizzando un tipo di economia


solidale che, ricalcando le tesi di Keynes, per un verso salva l’iniziativa economica privata, sottoponendola,
però, all’obbligo di non essere “in contrasto con l’utilità sociale”, e per altro verso pone come finalità

91
Ivi, p. 543
92
Ivi.
93
Marx Karl, Il Capitale, cit. Libro Terzo, p. 1077
17
principale il perseguimento, attraverso equi rapporti sociali, della piena occupazione e del razionale
sfruttamento delle risorse disponibili».94

94
Maddalena Paolo, ex Vice Presidente Emerito della Corte Costituzionale, Gli inganni della finanza, Donzelli editore,
Roma, 2016, pp. 174, 174.
18

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