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Introduzione

La sentenza che dichiara l’incostituzionalità della legge è


definitiva, non essendo ammessa contro di essa alcuna
impugnazione, questo è quanto si evince dalla lettura dell’art.137,
ultimo comma, Cost., a tale definitività “formale” consegue la
definitività “sostanziale” attinente agli effetti tipici di queste
sentenze come definiti dall’art. 136, primo comma, Cost., infatti
nessun altro soggetto o organo può metterla in discussione.
Sotto questi profili, si parla di “giudicato” costituzionale, concetto
controverso e dai confini poco chiari: da una parte si discute
infatti intorno alla possibilità di introdurre nel processo
costituzionale un concetto giuridico caratterizzante altre
esperienze processuali, (in particolare quella civile) dall’altra
parte si discute circa la sua ampiezza e cioè la sua efficacia quale
vincolo nei confronti degli operatori giuridici in particolar modo il
legislatore ordinario.
Motivi questi che hanno portato parte della dottrina a guardare al
concetto di giudicato costituzionale con evidente sospetto, e anche
molti di coloro che ne hanno ammesso l’esistenza comunque
dubitano che esso possa essere invocato nei confronti del
legislatore.
Il presente elaborato – limitato alle sole pronunce che definiscono
i giudizi di costituzionalità delle leggi – ha lo scopo di
ripercorrere le ragioni dell’evocato atteggiamento di sospetto da
parte della dottrina e il loro possibile superamento (Capitolo 1),
successivamente verrà posta l’attenzione sui soggetti destinatari
del vincolo del giudicato (Capitolo 2), soffermandosi con maggior

1
attenzione sull’ipotesi che più ha fatto discutere la dottrina, la
violazione del giudicato da parte del legislatore analizzando tutte
le questioni controverse del vizio in esame (Capitolo 3).
In ultimo (Capitolo 4) verrà analizzata la giurisprudenza della
Corte costituzionale, che se pur con un numero limitato di
decisioni, ha sin da subito attribuito a tale istituto una chiara
consistenza giuridica e una precisa efficacia anche quale limite
alla funzione legislativa.

2
Capitolo Primo

Il giudicato costituzionale: natura e caratteri del


vincolo
Sommario: 1. Il giudicato in generale e la sua funzione. – 2. Il giudicato
costituzionale nell’evoluzione della dottrina. – 2.1 La teoria unitaria del giudicato di
Liebman. – 3. Referenti normativi del termine “giudicato costituzionale”. – 4. La
stabilità del giudicato costituzionale. – 5. Provvedimenti della Corte idonei a formare
il giudicato costituzionale. – 6. Il giudicato costituzionale e le decisioni di
accoglimento additive di principio. – 7. L’oggetto del giudicato costituzionale.

1. Il giudicato in generale e la sua funzione

Il giudicato, istituto di derivazione romanistica, è adoperato in


generale, per designare la sentenza o altro provvedimento
giudiziale non più suscettibile di impugnazione: e quindi
immutabile, irretrattabile o intangibile1.
Il processo nasce per concludersi, pervenendo ad una decisione
che superi l’incertezza iniziale, ed è appunto questa la ragione che
giustifica l’istituto del giudicato ovvero quella di porre fine alle
liti, garantendo così la certezza dei diritti, nonché, dare stabilità
all’ordinamento, in ciò trova espressione il principio del ne bis in
idem (dal latino “non due volte nello stesso”) fortemente correlato

1
Per un inquadramento generale dell’istituto, anche con riferimento alle sue origini
storiche, cfr.G.Pugliese, voce Giudicato civile (storia), in Enc.dir.,XVIII, Milano,
1969, 727 ss. ID., voce Giudicato civile (dir.vig.), cit., 824 ss. Tra gli autori classici
che in Italia si sono occupati di tale tema, volendosi limitare ai processual-civilisti,
occorre almeno citare G. Chiovenda, Principii, cit., 906 ss., ID., Istituzioni di diritto
processuale civile, Napoli, 1935, rist. 1960, 319 ss., E. T. Liebman, Efficacia ed
autorità della sentenza, cit., 3 ss.

3
al giudicato in quanto come è stato autorevolmente osservato
“l’ordinamento giuridico vuole che l’attività giurisdizionale si
spieghi un’unica volta”2
Pare del tutto corretto individuare nella garanzia della certezza del
diritto anche la ratio del giudicato costituzionale, quindi del
carattere di irretrattabilità delle pronunce rese dal Giudice delle
leggi3.

2. Il “giudicato costituzionale” nell’ evoluzione della


dottrina

Il “giudicato costituzionale” rappresenta un concetto controverso


e dai confini poco chiari, e ciò indipendentemente dalla questione
relativa alla “natura” giurisdizionale della Corte Costituzionale in
quanto è certo che essa opera secondo le regole proprie di una
giurisdizione.4

2
G. Chiovenda, principii, cit. 911.
3
In senso analogo, anche se con esplicito riferimento alle sole pronunce di rigetto, già
F. Pierandrei, voce Corte costituzionale, in Enc.dir., X, Milano, 1962, 979, del quale
si riporta il seguente passaggio: “a giustificazione dell’efficacia della sentenza o
dell’ordinanza costituzionale di rigetto valgono le stesse ragioni che stanno a
fondamento dell’efficacia-autorità di cosa giudicata delle pronunce definitive degli
organi giurisdizionali: ragioni non attinenti ad una presunzione di verità, ma
riguardanti le esigenze della certezza giuridica… “ (c. vi nostri).
4
Mentre in giurisprudenza riguardo alla questione della sua qualificabilità come
organo giurisdizionale la Corte ha sempre mostrato una certa ambiguità cfr sent. n. 15
del 1969 (in giur. Cost., 1969, 90 ss.) ove si autodefinisce un altissimo organo di
garanzia dell’ordinamento repubblicano “cui spetta far concretamente valere
l’imperio della Costituzione nei confronti di tutti di operatori costituzionali” posizione
poi contraddetta in occasione di quelle pronunce con le quali il giudice delle leggi a
partire dalla sent. n. 22 del 1960 autoqualificandosi giudice, ha sollevato di fronte a se
stessa questioni di legittimità costituzionale. In merito invece al problema dell’utilizzo
di un metodo processuale la stessa ha tenuto una posizione assai più netta nel
riconoscimento di tale metodo cfr sent. n. 13 del 1960, nella quale la Corte, pur
riconoscendo di non rientrare nella categoria degli organi giurisdizionali dichiara
altresì di esercitare la propria funzione “secondo modalità e garanzie processuali”.

4
L’art. 2909 c.c. stabilisce che “l’accertamento contenuto nella
sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti, i
loro eredi e aventi causa”.
Si tratta della c.d. “cosa giudicata sostanziale” che rende appunto
immutabili gli effetti della sentenza, mentre l’art. 324 c.p.c. si
riferisce alla c.d. “cosa giudicata formale” vale a dire la non
impugnabilità della sentenza, in quanto non sono più esperibili gli
ordinari mezzi di impugnazione.
Ora, alla luce di tale distinzione, si è osservato che, mentre tutte le
sentenze (sia di merito che di rito) passano in cosa giudicata
formale il concetto stesso di “giudicato sostanziale” riguarderebbe
- secondo l’impostazione metodologica del Chiovenda e alla quale
pare in buona parte ispirata l’impostazione seguita dal c.c.5 - , le
decisioni che, accertando definitivamente la volontà della legge
nel caso concreto attribuiscono oppure negano “un bene della
vita” a una delle parti, queste decisioni dovrebbero godere del
massimo grado di stabilità: si è infatti osservato come “un
giudicato che attribuisce il bene della vita non può essere travolto
da una successiva decisione di accoglimento che faccia venir
meno la norma sulla quale è fondato”6.
Per cui, con riguardo alla Corte Costituzionale, la conclusione
diviene quasi obbligata: “la stabilità della decisione che definisce
il giudizio (sia essa di inammissibilità, di rigetto o di
accoglimento) non ha effetto di giudicato in senso pieno”7, in
quanto le decisioni della Corte – riguardanti norme giuridiche –
non raggiungerebbero quel grado di stabilità massima tipica del
giudicato.

5
Cfr. S. Menchini, voce Regiudicata civile, cit., 406.
6
Così A. Cerri, Appunti sul c.d. “giudicato costituzionale”, cit, 2832.
7
Così A. Cerri, Appunti sul c.d. “giudicato costituzionale”, cit, 2832.

5
2.1 La teoria unitaria del giudicato di Liebman

Il ragionamento svolto fin ora risulta senz’altro ineccepibile fin


quando si rimane appunto all’interno della “trama chiovendana, e
si aderisce all’idea secondo la quale l’art. 2909 cc deve essere
accreditato quale regola di carattere universale, patrimonio di
diritto processuale generale”8.
Ma, muovendo da ricostruzioni alternative a quelle proposte da
Chiovenda, e partendo appunto dalla constatazione per cui l’idea
chiovendana difficilmente possa essere applicata così come al
processo costituzionale, anche a quelli penale ed amministrativo,
(sebbene nessuno dubiti che le decisioni rese in tali contesti siano
suscettibili di passare in giudicato) sia individuato una nozione
unitaria di giudicato in grado adeguarsi non solo al processo
civile, ma anche alle altre tipologie processuali9.
Tale diversa ricostruzione prende spunto dalle idee di Liebman
per il quale la cosa giudicata si sostanzia non in un effetto
specifico della decisione giurisdizionale ma in una particolare
“qualità” riferibile a tutti i possibili effetti della stessa, siano essi
di accertamento oppure costitutivi, liberamente dal tipo di
decisione e a prescindere dall’attribuzione di un bene della vita.
L’accertamento contenuto nella decisione in merito al bene della
vita controverso sarebbe uno degli effetti riconducibili alla

8
Cfr. F. Dal Canto, La violazione del giudicato costituzionale da parte del legislatore
per immediata e reiterata riproduzione normativa, in giur. It. 2011, 5, 1017.
9
Cfr. E. T. Liebman, Efficacia ed autorità della sentenza (ed altri scritti sulla cosa
giudicata) in Riv., Dir. Proc., 1936, I, 237 e segg.

6
decisione medesima, “si distingue nettamente tra effetti della
pronuncia e giudicato e si abbandona l’idea in forza della quale
quest’ultimo trova il suo esclusivo riferimento
nell’accertamento”10, con la conseguenza che anche le ragioni di
distinzione tra giudicato formale e sostanziale si fanno meno
pregnanti, rappresentando esse due aspetti della medesima realtà.
Tagliato quindi ogni legame esclusivo tra l’accertamento e il
giudicato quest’ultimo ben potrebbe riguardare anche altri effetti
comunque riconducibili alla decisione.
In questa visione, anche le pronunce della Corte Costituzionale
potrebbero raggiungere la stabilità propria del giudicato.

3. Referenti normativi del termine “Giudicato


costituzionale”

Parte della dottrina ha osservato come il sintagma “Giudicato


costituzionale” non trova riscontro in dati testuali11, infatti
l’art.136 Cost., che la Corte sovente richiama nelle sue decisioni
come parametro, non è in grado di esprimere un concetto di
“Giudicato” simile a quello elaborato dalle diverse branche del
diritto processuale (quindi l’aspetto formale e sostanziale del
giudicato).
L’art. 136 Cost., infatti si limita a stabilire che “la norma cessa di
avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione”; e quindi
anche volendo ricavare da tale disposizione il carattere di stabilità
degli effetti delle pronunce costituzionali, esso dovrebbe

10
Così F. Dal Canto, Il giudicato costituzionale nel giudizio sulle leggi, cit.,46.
11
Così, A. Cerri, Appunti sul c.d. “Giudicato costituzionale”.

7
riguardare esclusivamente il momento dell’applicazione e non
quello della produzione delle norme, con una sfera di operatività
limitata al solo livello degli organi amministrativi e
giurisdizionali.
Detta disposizione – riguardando la cessazione dell’efficacia
delle norme dichiarate illegittime – sembrerebbe, infatti, rivolta ai
soggetti che devono dare applicazione alle norme (giudici e
pubblica amministrazione) e non anche al soggetto, il legislatore
appunto, cui spetta la loro produzione: “non sembra, infatti, che
dall’art. 136 Cost., il quale attiene al momento dell’applicazione
(cfr. art. 30 L. 11 Marzo 1953 n. 87) e non a quello della
produzione delle norme, sia possibile trarre una disposizione che
vieti al legislatore di riprodurre una norma già dichiarata
incostituzionale o di convalidare atti amministrativi divenuti
illegittimi e che si ponga, quindi, a fondamento di un vizio di
violazione di legge costituzionale”.12
Inoltre limitandosi a sancire la cessazione dell’efficacia delle
norme dichiarate illegittime, sembra legittimare un “giudicato”
limitato alla perdita di efficacia della norma dichiarata illegittima
( dunque all’effetto “cassatorio” della dichiarazione medesima) e
non anche all’accertamento di incostituzionalità contenuto nella
pronuncia ( cioè l’effetto “dichiarativo”13).
Tale effetto caducatorio non ha infatti impedito che “gli esiti di
precedenti sentenze di accoglimento venissero validamente
superati da nuove leggi, che, senza riprodurre il vizio di

12
Così A. Barbera, Giudicato costituzionale e poteri del legislatore, in giur. Cost.,
1963, 612. In precedenza cfr. C. Esposito, “inesistenza” o “illegittima esistenza” di
uffici ed atti amministrativi per effetto della dichiarazione di illegittimità
costituzionale di norme organizzatorie? In giur. Cost. 1960, 331.
13
Cfr. F. Dal Canto, La violazione del giudicato costituzionale da parte del
legislatore per immediata e reiterata riproduzione normativa, in giur. It. 2011, 5.

8
costituzionalità censurato, disciplinassero diversamente la
materia”.14
Quanto poi all’art. 137, ultimo comma, Cost., richiamando tutte le
decisioni della Corte – e quindi anche alle ordinanze che, per loro
natura, non contengono accertamenti “definitivi” – si riferirebbe
alla sola declinazione formale di “giudicato” e non a quella
sostanziale.
In questa visuale, l’unico significato accettabile della disposizione
sarebbe quello che “esclude la sindacabilità degli atti della Corte
da parte di altro giudice” 15.
Ma, si è osservato come il fondamento positivo del “giudicato
costituzionale” possa rintracciarsi nel combinato disposto
dell’art.136 e del 137 Cost.: “l’art.137 deve insomma leggersi
insieme all’art.136: il primo stabilisce l’inimpugnabilità delle
decisioni in quanto atti, il secondo stabilisce gli effetti di tali atti,
quando il loro contenuto è la dichiarazione di incostituzionalità
della norma contenuta nella legge (la cessazione di efficacia) (…)
perciò non si potrebbe escludere la violazione della forza tipica
del giudicato costituzionale anche quando il legislatore operasse
intendendo ripristinare la stessa legge nell’avvenire, qualora,
nell’ambito della stessa vicenda politico – legislativa, la nuova
legge si presentasse fornita di un significato antagonistico rispetto
alla pronuncia di incostituzionalità”16.
Tale divieto è esteso ad ogni soggetto dell’ordinamento, compresi
la stessa Corte e il Parlamento, e proprio con riferimento a

14
Così, A. Cerri, Appunti sul c.d. “Giudicato costituzionale”, cit.,2831.
15
Così, A. Cerri, Appunti sul c.d. “Giudicato costituzionale”, cit.,2831.
16
Così, G. Zagrebelsky, V. Marcenò, Giustizia costituzionale, cit., 417. In precedenza
cfr. G. Zagrebelsky, la Giustizia costituzionale, Bologna, 1988, 329; F. Dal Canto,
voce “giudicato costituzionale”, in Enc. Dir., V app. agg., Milano, 1999, 440 e seg.

9
quest’ultimo gli effetti destinati a rimanere immutabili sono
proprio quelli di cui all’art.136 Cost.
La ratio della previsione sembra essere, dunque, duplice: garantire
la particolare natura della Corte costituzionale, quale organo di
controllo nei confronti del legislatore, tutelando la sua
indipendenza e preservare il carattere peculiare delle sue
pronunce, facendo di esse “il punto di non ritorno”
dell’ordinamento.17
Da questo punto di vista, “è lo stesso principio di separazione dei
poteri dello Stato ad imporre di prendere sul serio il vincolo del
giudicato costituzionale”18.

4. La stabilità del giudicato costituzionale

Il problema della stabilità del giudicato si scontra (ma non solo)


con le possibilità positivamente stabilite della revocazione.
L’esigenza, il valore della “verità”, della “giustizia” sostanziale,
non può indiscriminatamente imporsi sulla realistica necessità di
decidere in tempi ragionevoli (ed economici) su chi ha ragione e
chi ha torto, sul valore insomma della “certezza” (e della rapidità)
della decisione, ma non può (e non deve) neppure accadere
l’inverso: il valore della “certezza” non può nullificare il
perseguimento della verità e della giustizia.
Fa parte del giusto processo, dunque, che la decisione sia resa in
tempi ragionevoli e inoltre che sia giusta.

17
Cfr. F. Dal Canto, La violazione del giudicato costituzionale da parte del
legislatore per immediata e reiterata riproduzione normativa, in giur. It. 2011, 5.
18
A. Lollo – A. Morelli, Vincolo del giudicato costituzionale e ruolo della Corte, in
www.rivistaaic.it, 2/2011,6.

10
Il bilanciamento tra i due interessi in gioco non è sempre così
facile, ciò può portare ad errori giudiziari che, per quanto riguarda
il giudicato costituzionale hanno portato la dottrina ad interrogarsi
sul grado di stabilità delle decisioni della Corte e se quindi essa
abbia il potere di revocare le proprie pronunce.
In dottrina vi sono stati da una parte coloro che hanno ritenuto
incompatibili con il processo costituzionale tutti i motivi
revocatori previsti dall’art. 395 c.p.c.19 e dall’altra parte chi ha
ritenuto ammissibile il rimedio di cui al punto 4 del sopraindicato
articolo, riguardante l’errore di fatto20.
“E del resto (…) che vi sia un’esigenza effettiva di ammettere
questa particolare forma di revocazione delle pronunce
costituzionali sembra piuttosto evidente, se solo si considera il
pregiudizio che può essere arrecato da pronunce rese per errore
allo stesso interesse della legalità costituzionale, tenuto conto
della particolare efficacia di esse, in particolare quelle di
accoglimento.”21
Per quanto riguarda la giurisprudenza della Corte costituzionale, il
rimedio della revocazione è stato proposto, con riferimento ai
motivi di cui al punto 3 del suddetto articolo (documenti decisivi
a suo tempo non prodotti per causa di forza maggiore) oltre che di
quelli cui al punto 4 (errore di fatto), delle parti costituite nel

19
Cfr. E. Cheli, Sulla correzione degli errori materiali e sull’ammissibilità della
revocazione per le sentenze della Corte costituzionale, in giur. Cost., 1959, cit., 303.
Sul punto, cfr. anche A. Ruggeri, La Corte Costituzionale: un “potere dello Stato”…
solo a metà, cit., 670.
20
Cfr. G. Zagrebelsky, Errore di fatto, cit., spec. 1524 ss., R. Romboli, Carattere
preclusivo, cit., 1146 e P. Costanzo, Nonostante la “sordina”, cit., 298 ss. Per quanto
riguarda le ipotesi di cui ai punti 1, 2 e 3 dell’art. 395 c.p.c., esse devono essere
escluse in quanto facente riferimento alle “parti” intense in senso sostanziale; analoga
soluzione per l’ipotesi di cui al punto 6, che si riferisce al dolo del giudice, se non
altro perché i giudici costituzionali non sono perseguibili per i voti dati nell’esercizio
delle loro funzioni, ex art. 5 legge cost. n. 1 del 1953.
21
Cfr. F. Dal Canto, Il giudicato costituzionale nel giudizio delle leggi,

11
giudizio a quo contro la sentenza n. 226 del 199322, dove la Corte
ribadendo l’irrevocabilità delle proprie decisioni ex art. 137
ultimo comma Cost., ha osservato che “anche quando (…) la
revocazione fosse ammissibile per le decisioni della Corte
costituzionale, le ragioni della specie addotte a fondamento
dell’originario ricorso per revocazione non sarebbero
riconducibili agli schemi legali dei vizi revocatori allegati”
mantenendo quindi un atteggiamento ambiguo e prudente volto a
non compromettere sviluppi futuri.
Infatti, leggendo il dettato costituzionale, notiamo che all’art. 137,
ultimo comma, Cost., è stabilito che “contro le decisione della
Corte costituzionale non è ammessa alcuna impugnazione” e tale
ricostruzione è in linea con l’indirizzo giurisprudenziale seguito
dalla Corte costituzionale che, ad esempio nella sent. n. 29/1998,
ha affermato esplicitamente che “la Costituzione nello stabilire
che contro le decisioni della Corte costituzionale non è ammessa
alcuna impugnazione, preclude in modo assoluto ogni tipo di
gravame diretto a contrastare, annullare, riformare, in tutto o in
parte, le decisioni della Corte”, e che “l’espressa esclusione di
qualsiasi impugnazione, in coerenza con la natura della Corte
costituzionale e con il carattere delle sue pronunce, pone una
regola generale, priva di eccezioni, che non si limita ad interdire
gravami devoluti ad altri giudici, giacchè non è configurabile un
giudizio superiore rispetto a quello dell’unico organo di
giurisdizione costituzionale, ma impedisce anche al riscorso della
stessa Corte contro le decisioni che ha emesso”.
Da ciò possiamo dedurre che se è vero che in questo modo la
Corte abbia voluto assicurare un grado di stabilità massimo al

22
Corte costituzionale 7 Maggio 1993, n. 226, in Giur. Cost., 1993, 1670 ss.

12
giudicato derivante dalle proprie decisioni prevedendone la non
impugnabilità nei confronti di altra autorità23, è altrettanto vero
che, l’art. 24, ultimo comma, Cost., dispone che “la legge
determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori
giudiziari”, e in ciò si trova la ratio dell’istituto della revocazione
di cui all’art. 395 c.p.c., ovvero nell’esigenza di evitare
l’ingiustizia di pronunce giurisdizionali non più appellabili, e
appare dotata di una propria peculiare portata espansiva che ha
indotto al “progressivo ampliamento dei provvedimenti
impugnabili, fino a prospettare la assoggettibilità a revocazione,
quanto meno per alcun dei suoi motivi, di ogni provvedimento
decisorio”24.
Sembra perciò che la inammissibilità d’impugnazione delle
decisioni della Corte significhi altro, vale a dire che queste non
possono essere impugnate davanti ad altri giudici e che
un’eventuale ricorso (straordinario) per revocazione (per errore di
fatto) potrebbe essere proposto soltanto presso la Corte stessa.
Posizione, quest’ultima, giustificabile per altro anche sul piano
del diritto positivo in forza del rinvio contenuto nell’art. 22, l. n.
87 del 1953 alle norme del regolamento di procedura innanzi al

23
Sulla possibilità di estendere l’impugnabilità delle sentenze della Corte
costituzionale a tribunali di natura sovranazionale in particolar modo la C. E. D. U.,
cfr. F. Dal Canto, Il giudicato costituzionale nel giudizio sulle leggi, Torino 2002,
108, per il quale il contenuto minimo della nozione di impugnazione “è che vi sia una
doglianza contro un provvedimento avanzata sul presupposto dell’annullabilità o
modificabilità di esso (…) tale carattere non si riscontra con riferimento alla Corte di
Strasburgo, le cui pronunce hanno, un valore esclusivamente assertorio, dichiarativo,
non producendo esse alcuna diretta conseguenza sul regime giuridico dell’atto
eventualmente ritenuto non convenzionale”.
24
In termini si veda F. Rota, voce Revocazione nel diritto processuale civile, in dig.
disc. priv., Torino, 1998, XVII, 474, che, in tal senso, richiama l’opinione espressa da
C. Consolo, Convalida di sfratto-cassazione-e revocazione dall’errore di fatto al dolo
(come era nelle previsioni), in giurisprudenza costituzionale, 1995, I, 459 e ss. Inoltre,
per A. Attardi, La revocazione, cit., 226, l’esigenza sottostante alla revocazione “ha
senza dubbio carattere di generalità, e può dirsi inerisca alla funzione stessa della
giustizia”.

13
Consiglio di Stato (e segnatamente, all’art. 81 del R.D. n. 642 del
1907, come modificato dal R.D. n. 1054 del 1924)25.
Riguardo invece all’ipotesi sulla possibilità di ammettere un
conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato che vedono la Corte
quale soggetto passivo, è sempre stata respinta dalla
giurisprudenza costituzionale26, in quanto il conflitto avrebbe il
carattere di una vera e propria critica alle argomentazioni
utilizzate dalla Corte per giungere alla decisione, “sostenere
infatti che la Corte, nell’adottare la pronuncia, ha fatto un cattivo
uso del proprio potere, ovvero ha addirittura travalicato i limiti ad
essa assegnati dalla Costituzione, significa almeno nella sostanza,
mettere in discussione il cuore del suo giudizio, sollecitarla a
compiere ex novo una valutazione del ricorso, ciò che parrebbe
decisamente lesivo del giudicato costituzionale”27, mentre altra
parte della dottrina ha auspicato l’utilizzo di tale strumento
almeno nell’ipotesi in cui si voglia denunciare che la Corte ha
superato i limiti costituzionali previsti in ordine all’utilizzo delle
proprie funzioni28.
C’è da dire che comunque l’instaurarsi di un giudizio si fatto
creerebbe un paradosso di non facile soluzione in quanto la Corte
si troverebbe a ricoprire la posizione sia di giudice che di parte nel
conflitto.

25
Sul punto, cfr. R. Romboli, Carattere preclusivo, cit., 1136. Vero è d’altra parte,
che sarebbe comunque opportuna l’introduzione di una normativa ad hoc (cfr. A.
Pizzorusso, Garanzie, cit., 700 ss.) soprattutto per provvedere alla disciplina delle
modalità con le quali dovrebbe essere possibile investire la Corte.
26
Sent. n. 29 del 1998 in quanto i ricorsi presentati erano “diretti a censurare il modo
in cui si è completamente esplicata la giurisdizione della Corte”.
27
Cfr. F. Dal Canto, Il giudicato costituzionale nel giudizio sulle leggi, Torino, 2002,
119.
28
Cfr. A. Pisaneschi, I conflitti di attribuzione fra i poteri dello Stato. Presupposti e
processo, Milano, 1992, 224 e R. Romboli, E’ ammissibile un conflitto, cit., 1365.

14
5. Provvedimenti della Corte idonei a formare il
giudicato costituzionale

Nel processo costituzionale, riguardo alle decisioni processuali,


bisogna chiarire in che senso la certezza del diritto viene garantita
tramite il giudicato costituzionale da esse, distinguendo tra
pronunce di rigetto e pronunce di accoglimento.
Per quanto riguarda le prime, la dottrina in particolare ha avanzato
varie possibili soluzioni29, ma per quella oggi assolutamente
prevalente tali pronunce determinano un effetto di preclusione
rispetto alla possibilità di riprodurre la medesima questione
nell’ambito dello stesso giudizio30, data appunto dalla natura
incidentale del processo costituzionale, quindi pregiudiziale alla
definizione di quel giudizio che rimette la questione alla decisione
della Corte.
Diverso il discorso per ciò che riguarda le sentenze di
accoglimento, in quanto all’effetto di accertamento si aggiunge
quello di annullamento (c.d. demolitorio) in base al quale “la
norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla
pubblicazione della decisione”.
Quando la Corte fa valere la forza di un giudicato di
accoglimento, essa talvolta richiama soltanto l’art. 137, ultimo

29
Su tali problemi cfr. da ultimo E. Lamarque, Gli effetti della pronuncia
interpretativa di rigetto, cit., spec. 713 ss.
30
Cfr. F. Dal Canto, Il giudicato costituzionale nel giudizio sulle leggi, Torino, 2002.
Tra gli altri, C. Lavagna, Problemi di giustizia costituzionale sotto il profilo della
manifesta infondatezza, Milano, 1957, 20 ss., G. Pugliese, voce Giudicato civile (dir.
vig.), cit., 852, R. Romboli, Il giudizio di costituzionalità delle leggi in via
incidentale, in AA. VV., Aggiornamenti in tema di processo costituzionale (1987-
1989), cit., 119 ss.

15
comma, Cost., a volte soltanto l’art. 136, primo comma, Cost.,
mentre in altri casi essa fa riferimento ad ambedue le disposizioni.
La soluzione migliore sembra essere senz’altro quella del
richiamo ad entrambe le disposizioni costituzionali, nel senso che
l’art. 137 (che è di fatto la vera unica norma sul giudicato) rende
incontestabili (ovvero garantisce) gli effetti stabiliti dall’art. 136
Cost.31: “le altre soluzioni, e in particolare il richiamo alla sola
norma in tema di cessazione di efficacia, possono forse
comprendersi con ragione di ordine pratico, ed essere intese come
una sorta di implicito riferimento al “combinato” delle due
previsioni”32.

6. Il giudicato costituzionale e le decisioni di


accoglimento additive di principio

Le sentenze additive presuppongono l’esistenza di un’unica


soluzione idonea a rendere la norma incostituzionale compatibile
con la Carta fondamentale.
Tuttavia, si danno ipotesi in cui l’accertamento
dell’incostituzionalità si scontra con la necessità di rispettare la
discrezionalità del legislatore nell’individuazione di una tra le
possibili soluzioni idonee a rendere la norma compatibile con la
Costituzione.

31
Cfr. F. Dal Canto, Il giudicato costituzionale nel giudizio sulle leggi, Torino, 2002.
In questo senso ancora G. Zagrebelesky, la giustizia, cit., 329.
32
Cfr. F. Dal Canto, Il giudicato costituzionale nel giudizio sulle leggi, Torino, 2002.

16
In tali ipotesi la Corte, a partire dalla seconda metà degli anni 80’
ha iniziato a fare ricorso alle c.d. addittive di principio33,
attraverso le quali la Consulta, dichiarata l’illegitimità
costituzionale della disposizione oggetto del giudizio (nella parte
in cui non) non procede ad individuare il frammento normativo
mancante, ma indica il principio generale cui rifarsi nel riempire
di contenuti la lacuna riscontrata.
Con la sentenza additiva di principio, la Corte instaura dunque, un
dialogo, non solo con il legislatore chiamato a colmare il difetto
di normazione, ma anche con i giudici, sui quali ricade, nelle
more dell’intervento legislativo, il compito di dar seguito nella
concretezza dei rapporti giuridici, al principio enunciato nella
decisione di illegittimità costituzionale.
Ed è proprio con riferimento a questa “tipologia” di decisione di
accoglimento che si è posta in dottrina la questione problematica
dell’esistenza di un vincolo di giudicato costituzionale.
Infatti con riferimento all’additiva di principio alcuni hanno
sostenuto che sembra difficile poter ragionare in termini di
giudicato perché essa “esplicitamente evoca un’ulteriore
discrezionalità legislativa”34: ma, altra parte della dottrina ha
ritenuto che, se oggetto di essa è una norma inespressa,
indeterminata e generica, allora il legislatore violerà il giudicato
qualora abroghi il principio individuato dalla Corte o disciplini la
materia oggetto della decisione in modo tale da riprodurre una o
più norme specifiche attuative della norma generica

33
Su tale tipologia di decisione cfr., tra gli altri, A. Anzon, Nuove tecniche decisorie
della Corte costituzionale, in giur. cost., 1992, 3399 ss., ID., Un’additiva di principio
con termine al legislatore, ivi, 1993, 1785 ss., R. Romboli, Dichiarazione di
incostituzionalità con delega al Parlamento in foro it., 1993, I, 1732 ss., G.
Zagrebelsky, Problemi in ordine e costi delle sentenze costituzionali, in AA. VV., G.
Parodi, La sentenza additiva a dispositivo generico, Torino, 1996, uno ss.
34
Così Cerri, Appunti sul c.d. “giudicato costituzionale”, cit, 2831.

17
precedentemente eliminata e ha concluso che “in questo senso
può quindi affermarsi che il principio enucleato dalla Corte è
vincolante per il legislatore”35.
Manca invece nel sistema italiano di giustizia costituzionale, uno
specifico rimedio contro l’omissione del legislatore intesa come
“inattività”36.
Nonostante questa carenza, ben possono darsi casi nei quali il
sindacato di costituzionalità si risolve, nei fatti in una valutazione
concernente l’inerzia mostrate dal legislatore nel porre in essere
norme da ritenersi costituzionalmente necessarie.
A riguardo, vengono in rilievo i casi nei quali la Corte, pur senza
addivenire a censure incostituzionalità pronuncia un “monito”37 al

35
Cfr. F. Dal Canto, Il giudicato costituzionale nel giudizio sulle leggi, Torino, 2002,
167, analogamente, cfr. R. Romboli, Dichiarazione di incostituzionalità, cit., 1732 ss.,
G. Zagrebelsky, Problemi in ordine ai costi delle sentenze costituzionali, cit., 99 ss.
36
Per un tentativo di classificazione delle diverse tipologie di silenzi del legislatore,
cfr. C. Mortati, Appunti per uno studio sui rimedi giurisdizionali contro
comportamenti omissivi del legislatore, in problemi di diritto pubblico nell’attuale
esperienze costituzionale repubblicana. Raccolta di scritti, III, Milano, 1972, 923 ss.
37
Tra i moniti inseriti in decisioni di rigetto nel merito, particolarmente forte nei toni,
tanto da poter essere annoverato tra i casi di incostituzionalità accertata, ma non
dichiarata, è il monito contenuto nella sentenza n. 212 del 1986, concernente la
pubblicità delle udienze nelle commissioni tributarie. La Corte ha rilevato che,
«risultando definitivamente consolidati l’opinione dottrinale e l’orientamento della
giurisprudenza sulla natura giurisdizionale delle predette commissioni, non potrebbe
ritenersi consentita un’ulteriore protrazione della disciplina attuale: per contro, è
assolutamente indispensabile, al fine di evitare gravi conseguenze, che il legislatore
prontamente intervenga onde adeguare il processo tributario all’art. 101 Cost.,
correttamente interpretato». Di rilievo, anche per la tematica affrontata, è la sentenza
n. 155 del 2004, con la quale la Corte, tornando ad occuparsi delle norme che
prevedono la sospensione – e la proroga della sospensione – della procedura esecutiva
per il rilascio degli immobili, ha ribadito, insieme con l’infondatezza, il monito al
legislatore già espresso nella sentenza n. 310 del 2003, rilevando, in particolare, che
ove le scelte legislative «dovessero ulteriormente seguire la logica fin qui adottata non
potrebbero sottrarsi alle proposte censure d’illegittimità costituzionale [...], anche in
considerazione del vulnus che il protrarsi delle proroghe arreca al principio della
ragionevole durata del processo e alla coerenza dell’ordinamento». relativamente ai
moniti inscritti in decisioni di accoglimento, direttamente dai principi costituzionali è
derivato il monito concernente taluni punti, non secondari, della disciplina legislativa
riguardante l’Imposta sul reddito delle persone fisiche (Irpef): nella sentenza n. 179
del 1976, ai fini della declaratoria di incostituzionalità del cumulo dei redditi dei

18
legislatore invitandolo ad intervenire a disciplinare la materia o
fattispecie, onde rimuovere situazioni di problematica
compatibilità della legislazione con il dettato costituzionale.
Il monito può essere considerato “l’avvisaglia” di una futura
declatoria di incostituzionalità, ma può anche essere un modo per
sollecitare il legislatore affinchè ponga rimedio ad una situazione
alla quale la Corte per i poteri che le sono conferiti non può
rispondere in maniera adeguata.
Da ciò si evince il solo carattere negativo del vincolo del
giudicato costituzionale in quanto obbliga legislatore e giudici a
non riprodurre l’identico assetto su cui la Corte abbia già svolto il
proprio accertamento e nel caso delle additive di principio di non
abrogarne il principio da esse individuato né ad approvarne norme
in contrasto con esso; mentre “non pare invece che il giudicato sia
di per sé idoneo a determinare vincoli di natura positiva” 38, in
quanto manca nel diritto positivo la possibilità di dare attuazione
alla sentenza additiva di principio.

coniugi, si è evidenziata, in linea generale, l’esigenza che i principi della personalità e


della progressività dell’imposta fossero esattamente applicati, che la soggettività
passiva dell’imposta fosse riconosciuta ad ogni persona fisica con riguardo alla sua
capacità contributiva, che al concreto atteggiarsi di questa si ponesse mentre in sede
di accertamento ed in funzione del debito e della responsabilità d’imposta, e, infine,
che la materia trovasse adeguata disciplina in norme per le quali il possesso dei redditi
si sostanziasse nella libera disponibilità di essi.
38
Cfr. F. Dal Canto, Il giudicato costituzionale nel giudizio sulle leggi, Torino, 2002.

19
7. L’oggetto del giudicato costituzionale

Questione connessa alla pronuncia della Consulta è quella se la


vincolatività del giudicato debba essere ricavata soltanto dal
dispositivo o anche dalla motivazione di essa.
Secondo l’impostazione tradizionale “l’efficacia normativa delle
sentenze costituzionali, come ogni altro tipo di effetto di
giudicato, assiste esclusivamente il dispositivo della sentenza e
non anche la sua motivazione”39.
In altri termini “al pari di quanto si ritiene ad esempio con
riferimento al processo civile, la motivazione non è suscettibile di
passare a giudicato se non limitatamente a quelle parti di essa
necessarie a circoscrivere con maggiore precisione l’oggetto della
pronuncia e, di conseguenza, i suoi effetti”40.
Per quanto riguarda il giudicato costituzionale, ci risulta soltanto
un caso, per altro assai risalente, nel quale la Corte ha inserito nel
dispositivo di una sentenza di accoglimento anche l’indicazione
del parametro; ci riferiamo alla sentenza n. 73 del 1963 della
Corte Costituzionale, in conseguenza di ciò appare un’operazione
obbligata, per definire gli esatti confini coperti dal giudicato,
anche la lettura della motivazione, in quanto consente di
individuare i profili di incostituzionalità accolti, ciò a maggior
ragione per le pronunce additive in quanto la motivazione si pone
quale elemento di integrazione al dispositivo.
Se non che la Corte con una perentoria presa di posizione in tema
di giudicato costituzionale ha ritenuto con la pronuncia n. 29 del

39
Così A. Pizzorusso, Fonti del diritto, in Commentario del Codice civile, a cura di A.
Scialoja e G. Branca
40
Cfr. F. Dal Canto, Il giudicato costituzionale nel giudizio sulle leggi, Torino, 2002.
In questo senso, tra gli altri, cfr. E. T. Liebman, voce giudicato, cit., 13.

20
1998 che, in forza dell’art. 137, ultimo comma, Cost., “rimane
inibita ogni domanda diretta ad incidere su di una sentenza
pronunciata dalla Corte e proposta per ottenere l’annullamento o
la riforma, anche solo nella motivazione, ovvero a eliderne gli
effetti”.
È quindi possibile affermare che generalmente l’oggetto non può
che essere definito anche con riguardo alla motivazione: “le
conseguenze di ciò sono quelle per cui, ad esempio, un’eventuale
successiva riproduzione da parte del legislatore del testo caducato
non confliggerà, di per sé, con il giudicato costituzionale, ma
soltanto nei limiti in cui sia da esso ancora rilevabile quella stessa
norma che la Corte aveva ritenuto illegittima”.41
Alcuni autori sempre nel tentativo di delimitare l’oggetto del
giudicato, lo hanno individuato nella “situazione normativa”42 da
intendersi come “la sintesi di significati desunti in forza di
interconnessioni tra norma e sistema giuridico complessivo” in
definitiva quindi l’insieme di “effetti giuridici prodotti o implicati
dall’atto sottoposto a giudizio di costituzionalità in relazione al
sistema positivo nella sua interezza”43.
Secondo questa teoria per la definizione dell’oggetto del giudizio
non sarebbe sufficiente l’integrazione della norma impugnata con
il profilo di incostituzionalità, ma sarebbe necessaria anche una
serie di altri elementi, normativi e fattuali, sull’assunto che ogni
norma costituisce sempre l’esito finale di un processo in costante
movimento.

41
Cfr. F. Dal Canto, Il giudicato costituzionale nel giudizio sulle leggi, Torino, 2002.
42
In questo senso cfr. A. Ruggeri, Le attività “conseguenziali” nei rapporti fra Corte
costituzionale e il legislatore (Premesse metodico – dogmatiche ad una teoria
giuridica) 1988, 55 ss.
43
A. Ruggeri, Le attività “conseguenziali”, cit., 57, in nota 22.

21
Questi elementi sono individuati nei “fatti” e nel “sistema
giuridico complessivo”, quindi l’intero contesto dove in un dato
momento vive la norma impugnata, con la conseguenza che
l’oggetto del giudicato costituzionale subisce un’evidente
relativizzazione in quanto molteplici sono i fattori che lo
definiscono con il rischio che ogni modifica della “situazione
normativa” comporti la modifica dell’oggetto del processo
portandolo con estrema facilità al di fuori del vincolo del
giudicato il quale ne risulterebbe eccessivamente ristretto.
Sembra dunque preferibile la posizione di chi attribuisce ai fatti
un notevole rilievo nel contribuire alla corretta definizione della
questione, ad illuminarla44 ma tali fatti rimangono fuori
dall’oggetto del processo, perché “le eventuali modifiche
normative e fattuali incidenti sul contesto su cui tale oggetto si
colloca non necessariamente sono idonee a modificarlo e quindi
non incidono automaticamente sull’ambito operativo del
giudicato”45.
L’oggetto del processo va dunque individuato in quegli elementi
essenziali alla sua determinazione, al mutare dei quali esso muta
necessariamente ovvero nella combinazione di petitum e di causa
petendi.
Con particolare riguardo proprio al petitum, uno dei problemi che
ha particolarmente interessato la dottrina è stato quello
concernente la scelta tra disposizione e norma quale oggetto del
giudizio di costituzionalità46.

44
Cfr., in particolare A. Ruggeri, Fatti e norme nei giudizi sulle leggi e le
“metamorfosi” dei criteri ordinatori delle fonti, 1994, spec. 34 ss.
45
Cfr. F. Dal Canto, Il giudicato costituzionale nel giudizio sulle leggi, Torino, 2002,
128.
46
Sulla distinzione tra disposizione e norma cfr., per tutti, V. Crisafulli, voce
Disposizione (e norma) in enc. dir., XIII, 1964, 195 ss. Sul problema del cosiddetto

22
“È ormai generalmente condivisa la constatazione per cui la
Corte, all’atto di operare il raffronto tra la disposizione impugnata
e il parametro di costituzionalità, compie necessariamente
un’opera di individuazione della norma, sulla quale quindi verte il
momento valutativo del giudizio”47; su questo punto la Corte ha
esplicitamente osservato che “il giudizio della Corte si svolge
sulla norma quale oggetto del raffronto con il contenuto precettivo
del parametro costituzionale, costituendo la disposizione soltanto
il veicolo d’accesso al giudizio di costituzionalità”.48

oggetto del giudizio cfr. nel senso di identificare quest’ultimo con la disposizione, L.
Montesano, L’oggetto del giudizio costituzionale e l’interpretazione giudiziaria delle
leggi, in foro it., 1966, V, 49 s.; nel senso invece di identificare l’oggetto con la
norma, M. S. Giannini, La Corte Costituzionale fra Magistratura e Parlamento, in
AA. VV..
47
Cfr. F. Dal Canto, Il giudicato costituzionale nel giudizio sulle leggi, Torino, 2002.
In questo senso già C. Lavagna, Osservazione alla sentenza n. 11 del 19 Febbraio
1965 della Corte Costituzionale, in giur. It., 1965, 546.
48
Così Corte Costituzionale 23 Dicembre 1997, n. 430, al punto 4 del considerato in
diritto, in giur. Cost., 1997, 3850. In argomento da ultimo, A. Spadaro, La “norma”
o piuttosto la “situazione normativa” quale oggetto del giudizio costituzionale?, cit.,
781 ss.

23
Capitolo Secondo

I destinatari del vincolo del giudicato costituzionale


Sommario: 1. Premessa. – 2. Il giudicato costituzionale e i giudici comuni. – 2.1
Questioni di legittimità costituzionale già decise con sentenza di accoglimento. – 2.2
Questioni di legittimità costituzionale già rigettate. – 2.3 La disapplicazione
giudiziaria della legge. – 2.4 La questione sul c.d. “giudicato implicito” delle
pronunce costituzionali. – 3. Il giudicato costituzionale e la Corte stessa. – 4. Il
giudicato costituzionale e il Presidente della Repubblica. – 5. Il giudicato
costituzionale e il legislatore

1. Premessa

L’analisi del vincolo costituito dalle decisioni costituzionali, che


si identifica nella regola del ne bis in idem, quindi nel divieto di
giudicare una lite già decisa va analizzato adesso dalla prospettiva
del destinatario verso il quale il divieto si rivolge, per cui si
procederà ad analizzare singolarmente tali soggetti, soffermandoci
in particolare sull’ipotesi che ha più interessato la dottrina, ovvero
la violazione del giudicato costituzionale da parte del legislatore.

24
2. Il giudicato costituzionale e i giudici comuni

In questa prospettiva sembra utile domandarsi quale tipo di


vincolo può discendere dal giudicato costituzionale nei confronti
dei giudici comuni.
La soluzione per quanto riguarda le sentenze di accoglimento
della Corte appare quasi ovvia (cioè la non riproponibilità di
questioni già accolte), mentre per i casi decisi con sentenze di
rigetto mancando indicazioni determinanti nel diritto positivo,
lasciano spazio a diverse soluzioni.

2.1. Questioni di legittimità costituzionale già decise


con sentenze di accoglimento

Ma andiamo con ordine, riguardo ai casi di riproposizione di


questioni già accolte, qui il vincolo è gravante su tutti i giudici
“esso consiste innanzitutto nell’impossibilità di sollevare una
questione identica già accolta”.49
Infatti, per ciò che riguarda le sentenze di accoglimento gli effetti
del giudicato costituzionale consistono nella cessazione
d’efficacia della norma dichiarata illegittima e nel connesso
obbligo di generale disapplicazione.
Ciò si evince espressamente dall’art. 136, primo comma Cost., e
dall’art. 30 della legge 87 del 1953, ai quali va aggiunto l’art. 137,
ultimo comma Cost., che ne esclude l’impugnazione.

49
Cfr. F. Dal Canto, Il giudicato costituzionale nel giudizio sulle leggi, Torino, 2002.

25
La conseguente inammissibilità della riproposizione di questioni
già in precedenza accolte è ovvia se riferito alle sentenze di
accoglimento c.d. “semplice”, ma riguardo alle decisioni c.d.
“manipolative” alcuni giudici hanno contestato il merito
dell’operazione compiuto con la sentenza, cioè il risultato
normativo riproponendo l’eccezione, che la Corte ha prontamente
(e in modo piuttosto sbrigativo) respinto affermando la non
impugnabilità delle pronunce costituzionali, “ma dando sovente
l’impressione di essere sensibile più che all’esigenza di garantire
la stabilità delle pronunce costituzionali a quella di conservare il
proprio prestigio; aspetto quest’ultimo certamente importante, ma
che, dovrebbe assumere invece, tenuto conto della ratio del
giudicato costituzionale, un rilievo secondario”.50
L’impugnabilità delle sentenze della Corte ha dato luogo in
passato a una sorta di “ribellione dei giudici” in casi in cui si
discostano dall’accoglimento puro e semplice, evidenziando un
punto debole del regime delle pronunce costituzionali, ci
riferiamo al noto caso dei giudici militari51, che hanno negato
efficacia vincolante alla parte costruttiva della sentenza
(sostitutiva) n. 409 del 1989,52 nella quale la Corte aveva fissato
direttamente una nuova pena (per il reato di rifiuto del servizio
militare per motivi di coscienza) dopo aver dichiarato
l’incostituzionalità di quella prevista dalla disposizione
impugnata.

50
Cfr. F. Dal Canto, Il giudicato costituzionale nel giudizio sulle leggi, Torino, 2002.
51
Per una ricostruzione di tale vicenda, cfr. R. Romboli, Il giudizio di costituzionalità
delle leggi in via incidentali (1987-1989), cit., 137 ss., R. D’Alessio, Una sentenza-
legge in maniera penale? L’inoppugnabilità della sentenza della Corte e la
“ribellione dei giudici”, in giur. Cost., 1990, 79 ss. Altri casi di ribellione sono per
altro segnalati da A. Pugiotto, Dottrina del diritto vivente, cit., 3694s.
52
Corte Costituzionale 18 Luglio 1989 n. 409, in giur. Cost., 1989, 1906 ss.

26
Numerosi giudici militari sollevarono una serie di questioni di
costituzionalità aventi ad oggetto la normativa risultante dalla
citata pronuncia, ma la Corte respinse le eccezioni per manifesta
inammissibilità con la nota ordinanza n. 27 del 1990: “le censure
formulate nelle ordinanze di rimessione sono, all’evidenza, solo
formalmente indirizzate alle norme sue indicate ma, nella
sostanza, sono rivolte a sindacare le statuizioni adottate dalla
Corte con la menzionata sentenza n. 409 del 1989; (…) pertanto,
il meccanismo del giudizio incidentale di illegittimità
costituzionale, risulta, nella specie, arbitrariamente attivato per
esercitare, in forma surrettizia, un sindacato del merito di una
decisione costituzionale di accoglimento; (…) si fatto sindacato è
assolutamente precluso dal sistema risultante dai artt. 136 comma
1 e 137 comma 3 Cost. e 30 comma 3 L. 11 Marzo 1953 n. 87, i
quali pongono il principio della non impugnabilità delle decisioni
della Corte Cost., (…) il fine cui mira la proposta impugnativa è
soltanto quello d’una sostanziale elusione della forza cogente (ex.
art. 136 Cost.) della pronuncia declatoria di illegitimità
costituzionale; (…) di conseguenza tutte le sollevate questioni
vanno dichiarate manifestamente inammissibili”.
Come è stato osservato53 “con la sentenza n. 409 del 1989, la
Corte rideterminando la misura della pena edittale essa è andata
probabilmente oltre il margine di manovra consentito dalla teoria
delle rime obbligate”.
Nel 1992 la Corte affronta un nuovo caso in cui nell’ordinanza di
rimessione si dubita della legittimità costituzionale di un articolo
di legge come risultante dopo un intervento additivo della Corte 54;

53
Cfr. F. Dal Canto, Il giudicato costituzionale nel giudizio sulle leggi, Torino, 2002.
54
Si trattava dell’art. 47 ord. giud. , in seguito alla sentenza n. 386/1989.

27
il giudice a quo lamentava l’errata ricognizione del diritto vivente
compiuta in tale occasione il Giudice delle leggi si limitò a
dichiarare la questione inammissibile riguardo al principio di non
impugnabilità ex. art. 137 ultimo comma Cost., in quanto “le
censure (…) sono all’evidenza sostanzialmente invece rivolte a
sindacare proprio la suddetta statuzione della Corte”55.
Nel 1998 la Corte con ordinanza n. 438 riafferma la costante
posizione riguardo a un possibile particolare aspetto del riesame
di questione: l’interpretazione autentica di precedenti decisioni.
Nel caso in questione si trattava di due decisioni additive:
“considerato (…) che – in base a quanto affermato in altre
occasioni (sent. n. 295 del 1991 e ord. n. 524 del 1990) – non è
consentito a questa Corte fornire l’interpretazione autentica o
l’eventuale correzione delle proprie precedenti decisioni (…) le
questioni sollevate, riguardando norme inesistenti o comunque
irrilevanti, debbono ritenersi manifestamente inammissibili”.
Osservazioni diverse possono essere fatte invece riguardo a un
caso deciso dalla Corte con ordinanza n. 461 del 1999 su una
questione di illegittimità del tribunale di Locri avente oggetto
l’art. 21, comma 1 della legge fallimentare56.
La Corte risolve la questione con una declatoria di manifesta
inammissibilità in quanto si era cercato di “riportare la
disposizione censurata all’assetto preesistente alla sent. n. 46 del
1975 con la quale questa Corte dichiarò l’illegittimità dell’art. 21
comma 3, legge fallimentare, nella parte in cui poneva le spese di
procedura e il compenso al curatore a carico di chi l’avesse subita,

55
Sentenza n. 17/1992
56
Nella parte in cui essa non prevedeva che, qualora il fallimento fosse stato revocato
con sentenza passata in giudicato e qualora non fosse stato individuato il soggetto che
aveva causato lo stesso, le spese processuali dovessero essere poste a carico
dell’attivo acquisto alla procedura.

28
senza che ne ricorressero i presupposti e sentenza che gli avesse
dato causa con il suo comportamento”; e quindi “tale richiesta
costituiva una sorta di sindacato nel merito della predetta
decisione, precluso dal sistema risultante dagli artt. 136, comma 1
e 137, ultimo comma, Cost. e 30 comma 3, legge 11 Marzo 1953,
n. 87, i quali pongono il principio della non impugnabilità delle
decisioni della Corte”.
Come è stato osservato, dalla particolare prospettiva del giudicato,
la risposta della Corte è solo parzialmente condivisibile: “se è
vero infatti che l’ordinanza mirava a ricostituire la medesima
situazione sulla quale già il giudice costituzionale si era espresso,
è pure vero che tale precedente risaliva a circa 25 anni prima, e
doveva essere quanto meno verificata la persistenza delle originali
censure in assenza delle quali si ribadisce il giudicato non
opera”57.
Recentemente, il tema del mantenimento del vincolo
matrimoniale tra i coniugi quando l’unione in conseguenza della
rettificazione di sesso di alcuno dei due coniugi, acquisisce una
natura omosessuale, è stata (e lo è tutt’ora) fonte di contrasti tra la
Corte costituzionale e la Cassazione.
Quest’ultima infatti con sent. n. 8097 del 2015, intervenendo ad
un intervallo relativamente breve dalla decisione della Corte
costituzionale (sent. n. 170 del 2014), sembra porsi in palese
discontinuità con l’indirizzo del giudice costituzionale che
investito della questione dalla Cassazione quale giudice a quo,
aveva (pur riconoscendo la fondatezza della questione) censurato
di illegittimità, per contrasto con l’art. 2 Cost., degli artt. 2 e 4, l.
n. 164 del 1982, nella parte in cui non era fatta previsione “che la

57
Cfr. F. Dal Canto, Il giudicato costituzionale nel giudizio sulle leggi, Torino, 2002.

29
sentenza di rettificazione dell’attribuzione di sesso di uno dei due
coniugi, che comporta lo scioglimento del matrimonio” dovesse
consentire, ove entrambi i coniugi l’avessero richiesto, di
mantenere in vita “un rapporto di coppia giuridicamente regolato
con altra forma di convivenza registrata, che tuteli adeguatamente
i diritti ed obblighi della coppia medesima, la cui disciplina
rimane demandata alla discrezionalità del legislatore”.
La Corte sottolineò come il riconoscimento dell’incostituzionalità
della normativa impugnata non potesse portare ad una decisione
di tipo manipolativo, auspicando la necessità di tale intervento da
parte del legislatore costituzionale al fine di tutelare quelle coppie
che in seguito alla rettificazione di sesso di uno dei due coniugi
avevano perso lo stato coniugale e le garanzie ivi connesse.
La Cassazione con la sopracitata sent. n. 8097 del 2015, si pone in
aperto conflitto con il giudicato costituzionale, in quanto per il
giudice della nomofilachia, stante la carenza di un intervento
legislativo, compete al giudice di merito “individuare sul piano
ermeneutico la regola per il caso concreto che inveri il principio
imperativo stabilito con la sentenza di accoglimento”, tale
principio per la Cassazione in quanto “costituzionalmente
inderogabile” impone “la rimozione degli effetti della
caducazione automatica del vincolo matrimoniale sul regime
giuridico di protezione dell’unione” almeno fino a quando “il
legislatore non intervenga a riempire il vuoto normativo (…) tale
opzione ermeneutica è costituzionalmente obbligata”.
Si può, forse, notare che nel momento in cui il giudice a quo,
adotta quella che definisce “la via da percorrere” tracciata dalla
Corte in attesa dell’intervento legislativo, di fatto contraddice
quanto lo stesso Giudice delle leggi ha voluto evitare, ponendosi

30
in contrasto con il precedente giudicato costituzionale di una
Corte forse più attenta alla difesa dell’art. 29 Cost. che alla realtà
sociale, comportando probabilmente un ritorno al giudice
costituzionale di quelle unioni omo affettive che non
precedentemente unite in matrimonio reclamano adesso una parità
di garanzia e di posizioni giuridiche.

2.2. Questioni di legittimità costituzionale già rigettate

Secondo l’opinione prevalente, il giudicato di rigetto, esaurisce i


propri effetti, all’interno del processo a quo58, rendendo
inammissibile la riproposizione della questione nel corso di essa,
in quanto, la limitazione dell’operatività del giudicato di rigetto al
solo giudizio a quo è conseguenza del fatto che “oggetto del
processo e della decisione costituzionale è soltanto la questione
sollevata in quel giudizio: per cui identica questione sollevata in
un altro giudizio, rappresentando strumento di un diverso iter
logico e giuridico, non sarebbe quella ma un’altra questione”59.
La giurisprudenza della Corte ricollega alle pronunce di rigetto
effetti preclusivi della medesima questione nel medesimo
processo; la preclusione non sussiste quando la questione
successivamente sollevata si presenti come “nuova” rispetto alla
precedente.

58
Tra gli autori che nel passato hanno riconosciuto la qualità del giudicato alle
pronunce di rigetto, A. Ruggeri, Storia di un “falso”. L’efficacia inter partes delle
sentenze di rigetto della Corte Costituzionale, Giuffrè, Milano, 1990.
59
Così, A. M. Sandulli, Natura funzione ed effetti, cit., 37.

31
In dottrina si discute tutt’ora se tale limite valga per il processo a
quo in ogni suo stato e grado oppure per la sola fase che ha dato
luogo all’ordinanza di rimessione.
Dal momento che, l’art. 24, comma 2, della legge 87/1953
prevede la riproponibilità della questione in ogni grado ulteriore
del processo con riferimento al solo caso che non sia stata
ammessa dal primo giudice, si può ritenere al contrario la non
riproponibilità nei gradi successivi dello stesso giudizio in caso di
precedente rigetto da parte della Corte (chiaro che il quesito sia
presentato negli stessi termini, senza presentare elementi di
“novità”).
Nel 1998, la Corte con sentenza n. 12, ha dichiarato inammissibile
la questione riproposta riferendosi esplicitamente al fatto che si
trattava dello stesso grado di giudizio: “La questione è
inammissibile. E’ infatti ius receptum che il giudice a quo non
può rimettere una seconda volta alla Corte costituzionale la
medesima questione nel corso dello stesso grado del giudizio
pendente fra le stesse parti (nel caso in cui la Corte abbia emesso
una pronuncia di carattere decisorio fondata su motivi non
rimuovibili del giudice a quo: cfr. ord. n. 536 del 1988 e sent. n.
433 del 1995), salvo che essa non venga riformulata in termini
nuovi, con riferimento cioè ad un quadro normativo ed
argomentativo sostanzialmente diverso (cfr. sentt. nn. 350 del
1987 e 257 del 1991); e ciò per evitare un ne bis in idem che si
risolverebbe nella impugnazione della precedente decisione della
Corte (cfr. ordd. nn. 197 del 1983 e 536 del 1988) ”.
In caso di decisione interpretativa l’efficacia limitata al caso
deciso propria delle pronunce di rigetto fa si che l’interpretazione
indicata dalla Corte esplichi al di fuori del giudizio principale

32
soltanto un effetto di precedente: Ove tale indicazione
interpretativa venisse successivamente disattesa dai giudici
comuni, la questione verrebbe
–prima o poi- nuovamente riproposta, potendo portare ad una
decisione di segno inverso qualora risultasse che l’interpretazione
corrente è proprio quella incompatibile con la Costituzione.
Per quanto riguarda i giudici del processo principale che ha
sollevato la questione, il vincolo interpretativo graverebbe su
quanto riguarda l’aspetto negativo del giudicato, ovvero nel senso
di interpretare la norma nel senso disatteso dalla Corte in quanto
incompatibile con la Costituzione.
In questo caso il mancato rispetto del vincolo interpretativo
potrebbe essere contestato all’interno del processo principale, con
l’appello e il ricorso per Cassazione.

2.3. La disapplicazione giudiziaria della legge

La questione sulla disapplicazione giudiziaria della legge nasce


dalla constatazione per la quale non sembra esistere nel nostro
ordinamento alcuna previsione relativa ad una qualche forma di
esecuzione del giudicato costituzionale.
A riguardo la dottrina si è interrogata sulla possibilità di
riconoscere ai giudici il potere di disapplicare una norma
riproduttiva lesiva del giudicato costituzionale anziché rimetterla
nuovamente alla Corte.

33
E’ stato osservato come la disapplicazione giudiziaria, non sia
certo un fenomeno sconosciuto al nostro ordinamento, infatti è
noto come tale potere compete ai giudici ordinari riguardo agli atti
della pubblica amministrazione e ai regolamenti del Governo
qualora essi siano ritenuti incostituzionali60, ed anche quando la
legge sia in contrasto con la normativa comunitaria di immediata
applicazione61.
E’ possibile anche richiamare la VII disposizione transitoria della
Costituzione in forza della quale nel periodo (otto anni) tra
l’entrata in vigore della Carta e l’effettivo esercizio delle funzioni
da parte della Corte, ciascun giudice poteva esercitare
direttamente il sindacato di legittimità sulle leggi62.
La dottrina che si è occupata della questione ha comunque
respinto tale eventualità, in quanto la competenza ad accertare
qualsiasi forma di incostituzionalità della legge è esclusivamente
della Corte63, ciò anche in forza della previsione contenuta
nell’art. 101, secondo comma, Cost., ove si stabilisce che “i
giudici sono soggetti soltanto alla legge”.
Ma sul punto sembra meritevole di considerazione la tesi proposta
da autorevole dottrina che nel tentativo di estendere anche ai

60
In argomento cfr., per tutti, AA. VV., Impugnazione e “disapplicazione” dei
regolamenti, Torino, 1998, 1 ss. sulla possibilità di disapplicare gli atti amministrativi
proprio a causa della loro “incositituzionalità”, cfr., A. Ruggeri – A. Spadaro,
Lineamenti, cit, 299, nonché la stessa Corte costituzionale, nella sentenza n. 283 del
1987, in giur. Cost., 1987, 2209 ss.
61
Il riferimento è ormai alla nota ordinanza 11 Aprile 2002 della Corte di Appello di
Roma, che ha ritenuto disapplicabile una norma di legge italiana per contrasto sia con
l’art. 6 della C.E.D.U. sia con l’art. 47 della Carta di Nizza. Su tale decisione
criticamente, cfr. R. Calvano, La Corte di Appello di Roma applica la Carta dei diritti
UE. Diritto pretorio o Jus commune europeo?, sul sito
www.associazionedeicostituzionalisti.it .
62
In argomento, cfr., per tutti, P. Costanzo, sub disp. VII, in AA. VV., Disposizioni
transitorie e finali, I – XIII, in commentario della Costituzione, cit., 143 ss.
63
Cfr. V. Crisafulli, La Corte costituzionale tra Magistratura e Parlamento, cit., 284.
Hanno dichiarato la propria “preferenza” per tale soluzione anche A. Ruggeri, Le
attività “conseguenziali”, cit., 45 e R. Romboli – E. Rossi, voce Giudizio di
legittimità costituzionale, cit., 516.

34
giudici comuni il potere di disapplicare la legge, distingue tra il
caso della riproduzione pro praeteritio e quella pro futuro della
legge dichiarata illegittima, dal momento che “nel primo dei due
casi, l’accertamento della violazione del giudicato sembra non
avere bisogno di ulteriori verifiche da parte della Corte”, infatti la
prima presentando il carattere dell’evidenza del vizio porta a
ritenere che “le leggi riproduttive soltanto per il passato siano da
considerare inesistenti e perciò disapplicabili, mentre quelle
riproduttive per il futuro siano invece soltanto annullabili nelle
forme consuete del sindacato di costituzionalità” 64.
Queste considerazioni potrebbero forse essere estese anche alle
leggi confermative e cioè a quelle leggi che confermano norme in
precedenza dichiarate incostituzionali, senza recepirle, ma
limitandosi soltanto a richiamarle65.
La posizione della Corte costituzionale sulla possibilità della
disapplicazione giudiziaria della legge è – almeno in via generale
- decisamente esclusa, significativa a riguardo la sent. 285 del
199066, a seguito di un conflitto intersoggettivo ove la Corte di
Cassazione aveva disapplicato la legge della regione Emilia-
Romagna, la Corte osserva come nell’occasione la Corte di
Cassazione avesse esercitato “un potere del tutto abnorme, non

64
Cfr. F.Dal Canto, Il giudicato costituzionale nel giudizio sulle leggi, Torino, 2002,
cit. 326, per ulteriori osservazioni sulla possibilità per i giudici di disapplicare
disposizioni legislative nel nostro ordinamento ritenute incostituzionali, cfr., R.
Manfrellotti, Giustizia della funzione normativa e sindacato diffuso di legittimità,
Napoli 2008, 325 – 26.
65
Cfr. A. Giardino Carli, Giudici e Corte costituzionale nel sindacato sulle leggi, cit.,
39, la quale conclude osservando che, sul punto “se il giudice ordinario possa
disapplicare, ritenendole implicitamente invalidate, norme fondate sull'identica ratio o
sostitutive di altre espressamente caducate, sembra da approvarsi – salvo forse con
l'eccezione delle leggi confermative – l'atteggiamento di regola negativo assunto dagli
organi giurisdizionali” (p.42).
66
Cfr., in particolare, Corte costituzionale 14 Giugno 1990, n. 285, in giur. cost.,
1990, 1780 ss., commentata da M. D’Amico, Alcune riflessioni in tema di conflitti di
attribuzione fra Stato e regioni su atti giurisdizionali, ivi, 1789 ss.

35
previsto dal nostro ordinamento costituzionale” in violazione
“oltre che degli artt. 101 e 117, anche dell’art. 134 Cost.”67

2.4. La questione sul c.d. “giudicato implicito” delle


pronunce costituzionali

Un’ulteriore problematica connessa alla disapplicazione


giudiziaria della legge, quale risposta alle forme più evidenti di
violazione del giudicato costituzionale è quella sul c.d. giudicato
implicito, infatti con tale termine si fa riferimento alle eventualità
in cui a seguito dell’annullamento di una certa norma legislativa,
ne sia contemporaneamente vigente un’altra identica contenuta in
un testo normativo distinto.
Di fronte a tale eventualità la dottrina si è interrogata se il giudice
sia legittimato a disapplicare la norma non espressamente
dichiarata incostituzionale, in quanto da ritenersi appunto
implicitamente caducata in forza della pronuncia della Corte.
Parte della dottrina si è dimostrata favorevole a riguardo sulla
base dell’argomentazione per la quale, qualora tale possibilità
fosse negata “si perverrebbe alla conclusione aberrante che la
pronuncia che dichiari l’illegittimità costituzionale di una
solamente delle due disposizioni in cui sia espressa la norma
ripetuta sarebbe inutiliter data”68, mentre all’opposto altri hanno

67
Punti 4.1 e 4.2 del cons. in. dir.
68
Così F. Fenucci, Giudicato implicito ed impliciti effetti della dichiarazione di
illegittimità costituzionale delle leggi sugli atti amministrativi, in Giur. Cost. 1981, I,
1994; in senso conforme anche (il “primo”, dal momento che in seguito l'illustre
Autore sembra aver mutato opinione: cfr. V. Crisafulli, «Riproduzione» o
«conferma», cit., 1111) V. Crisafulli, In tema di questioni conseguenziali alla
pronuncia di illegittimità costituzionale di un principio generale, in Giur. Cost. 1961,

36
osservato che l’attribuzione di tale facoltà ai giudici comuni
contrasterebbe con l’attribuzione esclusiva che ha la Corte
costituzionale sul dichiarare incostituzionali le leggi69.
La Corte, anche in questo caso si è dimostrata contraria a
concedere la propria esclusiva, facendo valere oltre al dato
positivo fornito dall’art. 27 l.n. 87 del 1953, nella parte in cui
stabilisce che la Corte estenda espressamente la pronuncia di
incostituzionalità a norme non direttamente impugnate70, sia
facendo leva sull’argomento dell’autonomia dei testi legislativi71.
Questa impostazione della Corte è stata contestata in dottrina,
infatti quanto al primo argomento, fondato sull’interpretazione
dell’art. 27 l. n. 87 del 1953 non regge all’obiezione che
l’illegittimità conseguenziale è utilizzata dalla Corte in un ampio
ventaglio di ipotesi quindi “l’eventualità di accedere a soluzioni
diverse nel caso – limite dell’identità di norme (recitus: della
presenza di una stessa norma in più testo) (…) dove (…)
l’illegittimità non consegue propriamente alla sent. ma preesiste

1978-79, secondo il quale, qualora una norma identica sia contenuta in più testi, la
pronuncia di annullamento della Corte di una di essa comporta la caducazione
dell'altra (o delle altre) “dovunque formulata ed a prescindere da espressa e specifica
statuizione in sentenza”.
69
In tal senso cfr. L. Montesano, «Solve et repete» tributario e accertamento della
incostituzionalità derivata, in giur. Cost. 1961, 1193; E. Rossi-R. Tarchi, Le
dichiarazioni di illegittimità costituzionale conseguenziale nella più recente
giurisprudenza della Corte costituzionale, in Foro It. 1987, I, 350; a giudizio, invece,
di G. Abbamonte, Il processo costituzionale italiano, II, Napoli 1962, 303, ai fini
dell'operatività del giudicato implicito si dovrebbe verificare se la disposizione
contemporaneamente vigente nell'ordinamento dipende, o meno, “per completezza
...[o] per la validità logica o giuridica” dalla precedente disposizione annullata
70
Cfr. le sentt. n. 21 del 1961, in Giur. Cost. 1961, 138 ss.; n. 79 del 1961, in Giur.
Cost. 1961, 1372 ss.; n. 436 del 1992, in Giur. Cost. 1992, 4048 ss.; n. 181 del 1997,
in Giur. Cost. 1997, 1796-7.
71
Cfr. le sentt. n. 79 del 1961 e n. 516 del 2000.

37
ad essa, non sembrerebbe assolutamente preclusa”72, mentre
all’argomento che fa leva sull’autonomia dei testi normativi che
contengono norme identiche vi è stata opposta l’evoluzione della
stessa giurisprudenza costituzionale che ha posto la norma al
centro del giudizio73.
Anche in questo caso sembrerebbe che la tesi che prende in
considerazione soltanto l’ipotesi della riproduzione pro
praeteritio, possa considerarsi legittima in quanto “l’accertamento
sia dell’identità tra le due norme e della persistenza degli originari
vizi non può aver bisogno di ulteriori verifiche”74

3. Il giudicato costituzionale e la Corte stessa

Come i giudici comuni, anche la Corte deve rispettare il vincolo


derivante dalle proprie decisioni.
E’ risaputo che la giurisprudenza della Corte è da sempre costante
nel rigettare questioni di costituzionalità già decise nel senso
dell’accoglimento in quanto per l’evidente ragione che “essendo
stata la disposizione espunta dall’ordinamento, come auspicato
dal giudice rimettente, la questione è da reputare manifestamente
inammissibile”75, in quanto mancante sia dell’oggetto della

72
Così F. Dal Canto, Il giudicato costituzionale nel giudizio sulle leggi, Torino, 2002,
cit. 340, in senso analogo già V. Crisafulli, in tema di questioni conseguenziali, cit.,
1378.
73
Cfr. A. Spadaro, La “norma” – o piuttosto la “situazione normativa” – quale
oggetto del giudizio costituzionale?, cit., 778 ss.
74
Così F. Dal Canto, Il giudicato costituzionale nel giudizio sulle leggi, Torino, 2002,
cit. 341.
75
Corte costituzionale 23 Maggio 1997, n. 149.

38
questione76, sia per l’operatività del giudicato77, quindi del ne bis
in idem.
Un caso particolare è stata la pronuncia n. 76 del 1995, in cui la
Corte ha dichiarato l’incostituzionalità di una norma già
precedentemente decisa con sentenza di accoglimento n. 457 del
1994 che accertava l’illegittimità, per violazione dello stesso
parametro, della medesima norma, portando la dottrina a criticare
tale decisione in quanto in tal modo si sarebbe “ucciso un uomo
morto”78, comportando il rischio di una violazione del giudicato
precedentemente formatosi, cosa che poi non avvenne in quanto la
Corte decise conformemente alla prima sentenza.
Riguardo invece alle decisioni di tipo manipolativo, è noto
l’atteggiamento della Corte nel far rientrare nell’ “addizione”, il
vincolo del giudicato e quindi nel respingere la richiesta di
accertamento quando sia prospettata la stessa soluzione additiva.
Come stato osservato in questo caso il vincolo derivante dal
giudicato emergerebbe in modo significato rispetto alla mancanza
dell’oggetto, in quanto “parrebbe comunque un po’ forzato
motivare esclusivamente l’inammissibilità adducendo che essa è
stata espunta dall’ordinamento, mentre sembra più soddisfacente
la soluzione per cui si prende atto che la questione è stata risolta79.

76
Cfr. A. Anzon, Autorità di precedente ed efficacia di “giudicato”, spec. 281 s.
77
Cfr., in questo senso, A. Pizzorusso, Effetto di “giudicato” ed effetto di
“precedente”.
78
Così R. Romboli, La Corte costituzionale “uccide un uomo morto” ossia la
dichiarazione di incostituzionalità di una disposizione già dichiarata illegittima, in
foro.it, 1995, I, 1412 ss.
79
Cfr. F. Dal Canto, Il giudicato costituzionale nel giudizio sulle leggi, Torino, 2002,
cit. 187.

39
La giurisprudenza della Corte, vede quest’ultima oscillare tra le
due motivazioni sopra proposte in ordine alla riproposizione di
identica questione già decisa80.

4. Il giudicato costituzionale e il Presidente della


Repubblica

La forma più immediata di rilievo delle sentenze ai fini dello


svolgimento delle funzioni costituzionali della Presidenza della
Repubblica è l’incidenza sul potere di rinvio della legge per una
nuova deliberazione, ex. art. 74 Cost.,81 e il potere di inviare
messaggi alle Camere ex. art. 87, secondo comma, Cost.
Nell’esercizio di siffatti poteri, infatti, il Presidente può trarre
spunto dalle pronunce della Corte costituzionale per rinviare alle

80
Per quanto riguarda la mancanza di oggetto, cfr., a titolo di esempio, Corte
costituzionale 23 Maggio 1997, n. 149, in giur. cost., 1997, 1619 ss., 16 Aprile 1998,
n. 123, ivi, 1998, 1002 ss., 3 Giugno 1998, n. 209, ivi, 1627 ss., 27 Settembre 2001, n.
331, ivi, 2001, 2819 ss., 6 Febbraio 2002, n. 23, ivi, 2002, 166 ss. Mentre per
l’operatività del giudicato cfr. sempre a titolo di esempio, Corte costituzionale 22
Ottobre 1997, n. 314, in giur. cost., 1997, 2937 ss. (“la questione, nei termini in cui è
stata prospettata, è già stata accolta”), 21 Novembre 1997, n. 358, ivi, 3497 ss.
(“identica questione è già stata decisa…”), 30 Aprile 1998, n. 154, ivi, 1998, 1151 ss.
(“… La norma de qua è già stata depurata dai vizi denunciati nel senso auspicato dal
giudice remittente”), 22 Luglio 1998, n. 317, ivi, 2326 ss. (“questione nuovamente
sollevata”), 28 Dicembre 2001, n. 440, ivi, 2001, 3520 ss. (“norme denunciate già
dichiarate incostituzionali nei termini prospettati”), 6 Febbraio 2002, n. 19, ivi, 2002,
154 ss. (“questione posta esattamente negli stessi termini”).
81
Sui poteri presidenziali concernenti il rinvio delle leggi la bibliografia è molto
ampia; limitandosi ai contributi più rilevanti, cfr., tra gli altri, C. Rossano, voce
Presidente della Repubblica. Diritto costituzionale, in enc. giur., Roma, 1991, XXIV,
1 ss., A. Ruggeri, Rinvio presidenziale delle leggi e autorizzazione alla presentazione
dei disegni di legge fra aperture del modello e delusioni della prassi, in AA.VV., Il
Presidente della Repubblica, a cura di M. Luciani e M. Volpi, Bologna, 1997, 171 ss.,
G. Caporali, Il Presidente della Repubblica e l’emanazione degli atti con forza di
legge, Torino, 2000, 1 ss.

40
Camere con richiesta di esame una legge che contrasti
apertamente con gli indirizzi giurisprudenziali ovvero per
sollecitare l’adozione di provvedimenti che l’organo di giustizia
costituzionale abbia già evidenziato come necessari.
Ma soffermandoci sull’art. 74 Cost., si evince dal secondo comma
che se le Camere approvano nuovamente la legge, questa debba
essere promulgata, salvo la remota ipotesi che la promulgazione
costituisca attentato alla Costituzione, cioè una delle due
fattispecie di reato per le quali il Presidente della Repubblica può
essere incriminato ex. art. 90 Cost..
L’interrogativo che possiamo dunque porci è se tra queste
“eccezionali” ipotesi possa rientrarvi l’evidente violazione del
giudicato costituzionale da parte del legislatore.
Poiché l’ipotesi prevista dall’art. 90 Cost. manca di qualsivoglia
esperienza applicativa e di una giurisprudenza costituzionale che
abbia portato chiarezza, si è a riguardo prospettato che dovrebbe
essere rifiutata la promulgazione di una legge che riproduce
un’altra legge dichiarata incostituzionale approvata dopo la
dichiarazione di incostituzionalità.82
Almeno a livello teorico, un simile atto, implica, a prescindere dal
contenuto della legge, un nucleo eversivo per l’ordinamento
costituzionale in quanto vanifica la rigidità della Costituzione
garantita dalla Corte.
Presupposto per una simile affermazione di responsabilità del
Presidente della Repubblica ex. art. 90 Cost. è che vi sia una
violazione del giudicato costituzionale.

82
In questo senso cfr. G. D’Orazio, Riproduzione di legge dichiarata incostituzionale
e poteri presidenziali in sede di promulgazione (spunti critici e ricostruttivi), Roma,
1968, spec. 17 ss.

41
Ciò vale per quanto riguarda soltanto i casi di riproduzione pro
praeteritio della legge, in quanto il controllo del Presidente a
differenza di quello della Corte può necessariamente sindacare le
disposizioni e non le norme, che richiedono appunto un
accertamento più approfondito.83

5. Il giudicato costituzionale e il legislatore

L’aspetto maggiormente dibattuto in dottrina riguardante


l’estensione del giudicato è sicuramente la sua efficacia nei
confronti del legislatore ordinario.
In particolare si è discusso (e si continua ancora a discutere) il
tipo di vizio che colpirebbe la legge che pretendesse di vanificare
gli effetti di una precedente sentenza di accoglimento
(reintroducendo le norme dichiarate illegittime), ciò anche alla
luce del complicato rapporto tra i due organi costituzionali
nell’esercizio delle rispettive funzioni, in quanto fondato
essenzialmente su regole non scritte, il giudicato costituzionale
può essere considerato un tentativo di riconoscere uno dei pochi
punti fermi.
In passato si è anche sostenuto che la possibile riproduzione da
parte del legislatore della norma dichiarata incostituzionale poteva
essere addirittura considerata auspicabile, in quanto volta ad
evitare la “cristallizzazione della giurisprudenza”, una sorta di

83
Cfr. F. Dal Canto, Il giudicato costituzionale nel giudizio sulle leggi, Torino, 2002.

42
“atto di collaborazione tra Corte e Parlamento”84, infatti l’unico
obbligo che deriva al legislatore dall’art. 136 Cost. “può porsi
solo come dovere di ritenere illegittima una norma che sia stata
oggetto di una sentenza di accoglimento, quindi, ad esempio, non
prevedere sanzioni a favore di una norma caducata”, ma ciò “non
impedisce però al legislatore di rivestire di nuova validità formale,
attraverso una novazione della fonte, una norma caducata…”85.
Di recente alcuni autori hanno osservato che “la riproduzione di
una legge genera una nuova efficacia normativa, come nuova è la
legge oggetto della riproduzione e questa nuova efficacia
normativa può essere rimossa soltanto da una nuova pronuncia
caducatoria della Corte”86, di conseguenza il legislatore non
sarebbe in nessun caso impedito, attraverso una novazione della
fonte, di riprodurre la normativa caducata.
E anche dalla lettura dell’art. 136, secondo comma, Cost. ove
dispone che “la decisione della Corte è pubblicata e comunicata
alle Camere ed ai Consigli regionali interessati, affinchè, ove lo
ritengano necessario, provvedano nelle forme costituzionali” vi è
chi ha ricavato indicazioni utili al fine di respingere l’idea
dell’opponibilità del giudicato costituzionale al legislatore,
interpretando l’inciso “ove lo ritengano necessario” come la
possibilità per il legislatore di eludere il decisum della Corte.

84
Cfr. C. Esposito, “Inesistenza” o “illegittima esistenza” di uffici ed atti
amministrativi per effetto della dichiarazione di illegittimità costituzionale di norme
organizzatorie? In giur. Cost. 1960, 331, in nota 3.
85
Così A. Barbera, Giudicato costituzionale e potere del legislatore, in Giur. cost.,
1963, 612 ss., a tale impostazione aderisce anche S. Mangiameli, Indenizzio e serio
ristoro, ovvero: dall’impossibilità di dare un seguito legislativo ad una sentenza –
indirizzo della Corte costituzionale, in Giur.cost., 1983, 1353.
86
P. Falzea, Aspetti problematici del seguito legislativo alle sentenze della Corte
Costituzionale, In AA.VV., Corte Costituzionale e Parlamento. Profili problematici
e ricostruttivi, a cura di A. Ruggeri e G. Silvestri, Milano, 2000, 169.

43
Addirittura muovendo da ricostruzioni più radicali, alcuni autori
hanno avanzato dubbi riguardo la possibilità stessa che il
“giudicato costituzionale”, così come interpretabile dall’ar. 136
Cost., possa “opporsi” anche al legislatore (vedi capitolo 1.3).
Ma veniamo ora alle ragioni che portano a sostenere l’operatività
del giudicato costituzionale sul legislatore come del resto sostiene
la dottrina maggioritaria.87
Detti rilievi non sembrano insuperabili, quanto all’oggetto del
giudizio di costituzionalità, pare sufficiente ribadire il dato per il
quale il giudicato si forma sulla norma e non sulla disposizione,
che “costituisce soltanto il veicolo d’accesso al giudizio di
costituzionalità”.88
Quanto all’esegesi dell’art. 136 Cost. proposta dalla dottrina è
stato osservato come “appare un poco forzata la luce della genesi
di tale disposizione la cui formulazione fu proposta e discussa in
sede di Assemblea costituente ha il preciso scopo di non
consentire al legislatore la riproduzione della normativa annullata
se non attraverso il procedimento di revisione costituzionale;
rilievo, quest’ultimo, che -anche tenendo conto del fatto che tale
diversa interpretazione è divenuta anch’essa impraticabile (dal
momento che com’è noto, in sede di coordinamento finale del

87
Sostengono apertamente, o sembrano presupporre, l’esistenza di un vincolo
giuridico in capo al legislatore nascente dall’art. 136 Cost., pur differenziandosi circa
l’ampiezza dello stesso tra gli altri: C. Esposito, il controllo giurisdizionale , cit., 269,
G. Abbamonte, Il processo costituzionale italiano, cit., 244 ss., V. Crisafulli,
“Riproduzione” o “conferma”, cit., 1106 ss., A. Pizzorusso, Garanzie, cit., 192, ID
Effetto di “giudicato” ed effetto di “precedente”, cit., 1991, G. Zagrebelsky, La
giustizia, cit., 327 ss., F. Modugno, Corte costituzionale e potere legislativo, cit., 50,
A. Anzon, Autorità di precedente ed efficacia di “giudicato”, cit., 284, A. Ruggeri,
Le attività “conseguenziali”, cit., spec. 37 ss., R. Romboli – E. Rossi, voce Giudizio
di legittimità costituzionale, cit., 515, s, significativa sebbene non decisiva la scelta
operata dall’allora Presidente della Corte costituzionale, Gustavo Zagrebelsky di
inserire nella Relazione annuale sulla giustizia costituzionale nel 2003, un paragrafo
(1.16) appositamente dedicato al “giudicato costituzionale”.
88
Corte Cost. sent. n. 430/1997

44
testo la previsione originaria fu, sotto questo profilo
inconsapevolmente estesa ai consigli regionali)- non appare
tuttavia meno pertinente”.89
Può anche essere utile richiamare l’art. 15 della legge n.
400/1988 ove si stabilisce il divieto per il Governo di reintrodurre
con decreto legge una disciplina dichiarata incostituzionale dalla
Corte per vizi non attinenti al procedimento,90 “disposizione che a
prescindere qui da ogni valutazione circa il rango della fonte che
la contiene sembra trovare la sua ragione d’essere l’esprimere non
tanto un vincolo rivolto specialmente al Governo, bensì una
regola generale opponibile alla funzione normativa primaria”.91
L’obbligo del legislatore al rispetto del giudicato costituzionale
sembra però, potersi soprattutto fondare sulla ratio del sistema di
controllo di costituzionalità delle leggi, dovendosi intendere come
una conseguenza sottesa alla logica degli ordinamenti a
Costituzione rigida “se infatti il principio di rigidità
costituzionale, di cui le attività della Corte sono espressione, trova
il suo significato originario nell’individuazione di un insieme di
valori da sottrarre all’arbitrio delle maggioranze parlamentari,
ovvero se tale organo vede la sua ragion d’essere nel garantire la
superiorità della Costituzione sulla legge, il principio del divieto

89
Cfr. F. Dal Canto La violazione del giudicato costituzionale da parte del legislatore
per immediata e reiterata riproduzione normativa. In giur. it. 1019.
90
E’ attualmente in fase di approvazione alla Camera il ddl. n. 1429 che prevede
l’aggiunta in questo senso all’art. 77 della Costituzione, segno quest’ultimo da parte
del legislatore di avere recepito la natura del vincolo derivante dal giudicato
costituzionale almeno per quanto riguarda gli atti aventi forza di legge.
91
Cfr. F. Dal Canto La violazione del giudicato costituzionale da parte del legislatore
per immediata e reiterata riproduzione normativa. In giur. it. 1019, in senso analogo
A. Ruggeri, Le attività “conseguenziali”, per il quale la previsione del divieto posto
in capo al Governo debba essere letto in “una più ampia portata, quale limite generale
di validità degli atti – fonte di rango primario, direttamente ricavabile, come è
evidente dal sistema costituzionale e qui solo esplicitato con riferimento alla fonte che
(…) costituisce accanto alla legge, strumento ordinario per l’esercizio dell’attività
normativa conseguenziale”.

45
di riproduzione della norma dichiarata incostituzionale appare
pienamente conforme alla logica del sindacato di
costituzionalità”.92
Quindi in un ordinamento siffatto non può che considerarsi
contrario a Costituzione l’elusione del giudicato da parte del
legislatore di una questione già decisa dalla Corte.

92
Cfr. F. Dal Canto La violazione del giudicato costituzionale da parte del legislatore
per immediata e reiterata riproduzione normativa. In giur. it. 1019.

46
Capitolo Terzo

La violazione del giudicato costituzionale da parte


del legislatore

Sommario: 1. Premessa. – 2. Questione e problematica dell’identità della


disposizione riproduttiva rispetto a quella annullata dalla Corte. – 2.1 La posizione
della dottrina. – 2.2 Analisi di un caso: la legge 124 del 2008 c.d. “lodo Alfano”. –
2.3 La posizione della Corte. – 3. La violazione del giudicato costituzionale tra
riproduzione “pro praeteritio” e quella “pro futuro”. – 4. Questione sulla “priorità
logica” del vizio di violazione del giudicato costituzionale. – 5. La riproduzione in
forma provvisoria da parte del legislatore. – 6. La riproduzione della norma
annullata tramite legge costituzionale. – 6.1 La sentenza n. 361 del 1988: il diritto
all’ “ultima parola”. – 7. La riproduzione della norma annullata dopo la sanatoria
del vizio formale o di incompetenza.

1. Premessa

Il tema della violazione del giudicato costituzionale presenta –


nella sua natura di vincolo al legislatore quale limite la sua
funzione legislativa – tutt’ora confini non precisamente delineati,
dovuti anche alla difficoltà di trasferire sul piano del processo
costituzionale le elaborazioni della dottrina processuale-civilistica
e amministrativistica.
Analizzeremo adesso questi aspetti controversi relativi al
giudicato costituzionale, esaminando le posizioni dottrinali e
giurisprudenziali sul punto.

47
2. Questione e problematica dell’identità della
disposizione riproduttiva rispetto a quella annullata
dalla Corte.

La dottrina che ha affrontato il problema della reintroduzione da


parte del legislatore della norma dichiarata incostituzionale, con
conseguente eventuale violazione del giudicato si è interrogata sul
carattere dell’identità della disposizione riprodotta.
Tale questione soprattutto nei tempi più recenti, sembra aver
assunto un’importanza decisiva essendosi presentata in casi assai
delicati, tanto che essa sembra ancora lontana dal ricevere una
soluzione definitiva non solo da parte della dottrina ma anche e
soprattutto da parte della Corte.

2.1. La posizione della dottrina

Una prima tesi in argomento, che potremmo definire “formalista”


afferma: “perché possa parlarsi di efficacia di giudicato occorre
che ci troviamo di fronte a questioni sotto ogni aspetto identiche
rispetto a quelle precedentemente decise(…), mentre fuori di tali
ipotesi qualsiasi decisione può dispiegare effetto di precedente
ogni qual volta la sua ratio decidendi risulti logicamente operante
anche rispetto al nuovo caso”93.
La tesi in questione sostiene che, il vizio relativo alla violazione
del giudicato non può ritenersi fondato se la legge riapprovata

93
A. Pizzorusso, Effetto di “giudicato” ed effetto di “precedente” delle sentenze
della Corte costituzionale, in giur. cost. 1966, 1991-1992.

48
presenti novità normative rispetto alla prima legge, in quanto si
basa sul presupposto che “mentre l’effetto di giudicato(…) si
esplica verso le successive questioni identiche, l’autorità di
precedente(…) agisce nei confronti di future questioni
analoghe”94.
Una prima opposizione mossa contro questa tesi, sta nell’ipotesi
in cui la legge approvata dal legislatore presenti soltanto limitate
differenze lessicali rispetto a quella precedentemente dichiarata
illegittima, in quanto appare difficile sostenere che tali differenze
siano in grado di escludere che la seconda sia una riproduzione
della prima95, è stato sul punto osservato che “solo un legislatore
totalmente sprovveduto e malaccorto sarebbe capace di
commettere l’errore capitale di riprodurre un testo legislativo
identico a quello già dichiarato incostituzionale”96.
Dunque, stando così le cose, il legislatore tenterà di “aggirare”
una precedente sentenza di annullamento della Corte
introducendo nel “nuovo” testo normativo alcune novità
sostanziali, la cui presenza non deve però portare
automaticamente ad escludere che vi possa essere violazione del
giudicato costituzionale.
Inoltre, anche ad ammettere che l’identità della legge riproduttiva
rispetto a quella riprodotta sia una condizione necessaria ai fini
dell’accertamento della violazione del giudicato, tale condizione
non sarebbe comunque sufficiente allo scopo poiché “in
conseguenza di eventuali innovazioni apportate alla normativa a
contorno o di mutamenti nella situazione di fatto e di quant’altro

94
A. Anzon, Autorità di precedente ed efficacia di “giudicato” delle sentenze di
accoglimento nei giudizi sulle leggi, in strumenti e tecniche di giudizio della Corte
Costituzionale, Milano 1988, 279.
95
E in fatti la Corte lo ha negato con sentenza n. 350 del 2010.
96
A. Pugiotto, La seconda volta, in cass. pen. 2010, 64.

49
insomma concorre a comportare la questione nella sua oggettiva
significazione, il senso delle formule potrebbe non essere, ad ogni
modo, lo stesso”97.
Sotto questo profilo è stato sostenuto, che la riproduzione di una
disposizione in tutto e per tutto identica a quella annullata, non
determina di per sé la violazione dell’art. 136, Cost. secondo la
Consulta “si deve infatti rilevare, in contrario che lo scrutinio di
detta violazione deve tener conto del complesso delle norme che
si succedono nel tempo, senza che abbia rilevanza l’eventuale
incidenza di singole previsioni normative”98, l’argomento
utilizzato per escludere detta violazione – e cioè il mutamento del
contesto normativo – non è del tutto nuovo alla Corte99.
In questo senso, è stato da parte della dottrina conferito un peso
decisivo al “fattore tempo”, il quale incide sul contesto normativo:
in altre parole si è sostenuto che la violazione dell’art. 136 Cost. è
sicuramente riscontrabile in merito alla disposizione c.d.
confermativa di quella dichiarata illegittima, cioè a quella che
conferma la precedente disposizione incostituzionale senza
recepirla ma limitandosi a richiamarla “con il dichiararla od anche
semplicemente con il presupporla tutt’ora vigente”100, mentre con
riferimento alla disposizione c.d. riproduttiva di quella dichiarata
in precedenza incostituzionale, la violazione del giudicato si
realizza solo quando il legislatore abbia riprodotto, illico ac
immediate, in assenza di significative modifiche del contesto

97
Così A. Ruggeri, I giudizi di costituzionalità tra riforma delle Norme Integrative e
autoriforma della giurisprudenza (ripensando a regole e regolarità in tema di
processo costituzionale ed alle loro possibili innovazioni) in A. Pizzorusso - R.
Romboli, Le norme Integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale dopo
quasi mezzo secolo di applicazione, Torino 2002, 444 nota 125.
98
Punto 5 del cons. in dir., sentenza n. 262/2009 Corte costituzionale.
99
Cfr. sent n. 922/1988 - n. 144/1966.
100
V. Crisafulli, “Riproduzione” o “conferma”, cit. 1112.

50
normativo, una legge dichiarata incostituzionale poiché “al
legislatore non è precluso disattendere, a tempi lunghi, la portata
di qualsiasi sentenza di annullamento”101.
Osservazione quest’ultima senz’altro condivisibile, non vi è
dubbio infatti che la probabilità che siano verificate tali
circostanze sarà tanto più alta quanto più tempo sarà trascorso
dalla prima pronuncia; ma che non tiene conto del fatto che la
minore o maggiore rapidità della riproduzione non incide sul tipo
di scrutinio che è chiamata a svolgere la Corte per accertare
l’eventuale violazione del giudicato, “sarà infatti solo
quest’ultima a poter valutare, al momento del nuovo giudizio di
costituzionalità, se il trascorrere del tempo abbia o meno operato
una modifica rispetto all’assetto su cui essa si era in precedenza
pronunciata, e in particolare, se sia ora maggiormente conforme
alla Costituzione una diversa interpretazione della norma
riproduttiva, o se siano intercorse modifiche incidenti sul
parametro di costituzionalità”102.
In dottrina vi è anche chi ha ritenuto, in maniera opposta alla tesi
“formalista” la non rilevanza dell’identità fra disposizione
riprodotta e quella riproduttiva, in quanto il giudicato è violato
quando la legge riproduttiva ha la “portata precettiva identica”103
e più nello specifico l’identità di scopi e di obiettivi fra le due
disposizioni, e non la loro identità.

101
Così F. Modugno, Corte costituzionale e legislatore, cit., 50. Conferisce un peso
decisivo al fattore tempo, da ultimo, G. Silvestri, La Corte costituzionale italiana e la
portata di una dichiarazione di illegittimità costituzionale, in
www.cortecostituzionale.it 2013.
102
Così F. Dal Canto, Il giudicato costituzionale nel giudizio sulle leggi, cit.,240.
103
F. Dal Canto, Sulla violazione del giudicato costituzionale la Corte fa la voce
grossa, cit., 3725.

51
2.2. Analisi di un caso: la legge n. 124 del 2008 (cd.
“lodo Alfano”)

Questo caso ha richiamato l’attenzione della dottrina in tema di


identità tra legge riproduttiva e quella riprodotta a seguito della
decisione della Corte costituzionale, ma ricostruiamone
brevemente i passaggi.
Con la L. n. 140 del 2003 (il c.d. “lodo Maccanico”), il
Parlamento aveva introdotto la sospensione dei procedimenti
penali in corso nei confronti del Presidente della Repubblica, del
Presidente della Camera dei deputati, del Presidente del Senato,
del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Presidente della
Corte costituzionale, in ogni fase, stato o grado, per qualsiasi
reato, anche riguardante fatti antecedenti l’assunzione della carica
o della funzione, e fino alla cessazione delle medesime.
Alcuni giudici avevano sollevato questioni di costituzionalità
dinanzi alla Corte, asserendo la contrarietà dell’art. 1, comma 2, l.
n. 140/2003, in riferimento agli artt. 3, 68, 90, 96 e 112 Cost.. La
Corte accolse la questione104, accertando un contrasto con gli artt.
3 e 24 Cost..
Innanzitutto – si legge nella decisione – ad essere violato era il
diritto di difesa dell’imputato e della parte civile: il primo, infatti,
stante “l’automatismo generalizzato” del meccanismo di
sospensione si trovava dinanzi alla “alternativa tra continuare a
svolgere l’alto incarico sotto il peso di un’imputazione che in
ipotesi, poteva concernere anche reati gravi e particolarmente
infamanti, oppure dimettersi dalla carica ricoperta al fine di
ottenere, con la continuazione del processo, l’accertamento che
104
Sent. n. 24 del 2004 Corte costituzionale.

52
egli poteva ritenere a se favorevole, rinunciando al godimento di
un diritto costituzionalmente garantito (art. 51 Cost.)”105.
Quanto invece alla parte civile, la lesione al diritto di difesa
derivava dal fatto che questa doveva “soggiacere alla sospensione
prevista dal comma 3 dell’art. 75 del c.p.c.”106.
La Corte aveva riscontrato, inoltre, una violazione del principio di
uguaglianza, dal momento che la norma censurata “accomuna in
un’unica disciplina, cariche diverse non soltanto per le fonti di
investitura, ma anche per la natura delle funzioni e distingue, per
la prima volta sotto il profilo della parità riguardo ai principi
fondamentali della giurisdizione, i Presidenti delle Camere, del
Consiglio dei ministri e della Corte costituzionale rispetto agli
altri componenti degli organi da loro presieduti”107.
La risposta del Parlamento non si fece attendere, e con l. n.
124/2008 introdusse nuovamente la sospensione dei processi
penali per alcune delle alte cariche dello Stato.
Tuttavia, la nuova disciplina non era perfettamente sovrapponibile
a quella annullata in quanto prevedeva alcune significative novità
normative: fra queste, in primo luogo, l’esclusione del Presidente
della Corte costituzionale dalle cariche beneficiarie della
sospensione; secondariamente, la facoltà per l’imputato di
rinunciare in ogni momento alla sospensione del processo; infine
il diritto per la parte civile di agire direttamente a tutela del danno
subito in sede civile nei confronti dell’imputato ancor che a
processo penale sospeso.
Ma dal punto di vista sostanziale, prevedeva però una sospensione
processuale completamente uniforme a quella a suo tempo cassata

105
Punto 6 del Cons. in. Dir.
106
Ibidem.
107
Punto 8 del cons. in. dir.

53
dalla Consulta, e dunque si poteva porre l’interrogativo su una
possibile violazione dell’art. 136 Cost., cosa che in effetti
avvenne.
Come noto, con la sent. n. 262/2009108, la Corte dichiara
costituzionalmente illegittimo l’art.1 della l. n. 124/2008, ma
tuttavia esclude che sia violato il giudicato costituzionale sulla
base dell’argomentazione secondo cui “il legislatore ha introdotto
una legislazione che non riproduce un’altra disposizione
dichiarata incostituzionale, ne fa a quest’ultimo rinvio. La
disposizione presenta, invece, significative novità normative,
quali, ad esempio, la rinunciabilità e la non reiterabilità della
sospensione dei processi penali (…), non che una specifica
disciplina a tutela della sospensione della parte civile, così
mostrando di prendere in considerazione, sia pure parzialmente, la
sentenza n. 24/2004 (…) ne può sostenersi che, nel caso di specie,
la violazione del giudicato costituzionale derivi dal fatto che
alcune disposizioni (…) riproducono le disposizioni già dichiarate
incostituzionali. Si deve infatti rilevare, incontrario che lo
scrutinio di detta violazione debba tenere conto del complesso
delle norme che si succedono nel tempo, senza che abbia

108
Cfr. i commenti alla decisione, fra gli altri, di A. Pace, Le ragioni della Corte
costituzionale, in www.eius.it; P. Carnevale, “A futura memoria”: dalla Corte segnali
“per il dopo”, in Consulta OnLine; C. Chiola, Lamentatio sulla pietra tombale del
Lodo Alfano, in www.forumcostituzionale.it e, ivi, A. Morrone, La Corte
costituzionale sul “lodo Alfano”: una risposta tardiva?; T.F. Giupponi, La
sentenza sul “lodo Alfano”: le possibili prospettive di riforma; F. Sgro, Dalla
sentenza n. 24/2004 alla sentenza n. 262/2009: un’opera in due atti; A. Pugiotto, La
seconda volta e R. Orlandi, Illegittimi privilegi; A. Ruggeri, Il “lodo” Alfano al bivio
tra teoria delle fonti e teoria della giustizia costituzionale (a margine di Corte cost. n.
262 del 2009), in www.associazionedeicostituzionalisti.it e, ivi, G. Giostra, Repetita
non iuvant; G. Pellagatti, “Giudicato implicito” e assorbimento di profili di
illegittimità costituzionale. Nota a margine di Corte cost. n. 262 del 2009, in
www.forumcostituzionale.it.

54
rilevanza l’eventuale coincidenza di singole previsioni
normative”109.
Come stato giustamente osservato, non sarebbe stata affatto
“indifferente la scelta tra l’incostituzionalità per violazione
dell’art. 136 Cost., e l’annullamento sotto altri profili”110, con
riferimento alla l. n. 124/2008, in quanto se la Corte avesse
dichiarato l’incostituzionalità di tale legge con riferimento alla
violazione dell’art. 136 Cost., essa avrebbe “punito” il legislatore
che riproponeva “sotto mentite spoglie” una disciplina già
dichiarata incostituzionale, mentre, rilevando che la nuova
disciplina reiterava i vizi presentati dalle disposizioni riprodotte o
presentando vizi diversi ulteriori, apriva “e con decisiva chiarezza
la questione (sollevate nelle ordinanze di rimessione) del mancato
rispetto della procedura di revisione costituzionale per la
disciplina di garanzie e immunità prevista per le alte cariche
istituzionali”111.
Il seguito della sent. 262/2009 è stato l’ennesimo provvedimento
del Parlamento in materia di processi112, che la Corte annulla
nuovamente con sentenza n. 23/2011.

2.3. La posizione della Corte

La Corte nelle sue pronunce oscilla tra la tesi “sostanzialista” e


quella “formalista”.

109
Punto 5 del Cons. in. dir.
110
M. Ruotolo, Legge Alfano e vizio da riproduzione di norme dichiarate
incostituzionali, cit., 786.
111
F. Modugno, Introduzione alla legge Alfano sotto la lente del costituzionalista, in
giur. it. 2009, 772.
112
L. 51/2010 che prevede l’istituto processuale del legittimo impedimento per la
sospensione dei processi penali.

55
Quanto alla prima essa viene in effetti confermata dalla sent. n.
245 del 2012, la questione di legittimità costituzionale, nel caso di
specie, fu stata sollevata in via principale dal Presidente del
Consiglio dei Ministri.
L’oggetto della questione è “l’art.1 della legge della regione
Puglia 2 Novembre 2011, n. 28 (misure urgenti per assicurare la
funzionalità dell’amministrazione regionale)”113.
Nei parametri della questione risulta anche l’art. 136 Cost., in
quanto “la disposizione censurata, nell’adibire dipendenti della
regione interessati dagli effetti della sentenza di questa Corte n.
354 del 2010 alle mansioni proprie della categoria in cui erano
inquadrati alla data di pubblicazione di tale pronuncia, violerebbe
l’art. 136 Cost., in quanto ‘sostanzialmente ottiene il risultato di
annullare gli effetti’ del giudicato costituzionale”114.
Detto questo la Corte osserva, che “il giudicato costituzionale è
violato non solo quando il legislatore emana una norma che
costituisce una mera riproduzione di quella già ritenuta lesiva
dalla Costituzione, ma anche la dove la disciplina miri a
perseguire e raggiungere, anche se indirettamente esiti
corrispondenti”115, la censura relativa all’art. 136 Cost., è fondata
poiché “l’art. 1 della legge della regione Puglia n. 28 del 2011,
prevedendo che i dipendenti regionali continuino ad esercitare le

113
Corte cost., sent. n. 245 del 2012: «La disposizione censurata prevede che “Fermo
restando quanto previsto dall’articolo 9 (Contenimento delle spese in materia di
impiego pubblico) del decreto-legge 31 Maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in
materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito dalla
legge 30 Luglio 2010, n. 122, in via eccezionale e all’esclusivo fine di garantire la
continuità dell’attività amministrativa e la funzionalità degli uffici regionali, nelle
more dell’esperimento delle procedure concorsuali per la copertura dei posti resisi
vacanti per effetto della sentenza della Corte costituzionale 15 Dicembre 2010, n. 354,
i dipendenti della Regione Puglia interessati dagli effetti di tale sentenza sono adibiti
alle mansioni proprie della categoria in cui erano inquadrati alla data di pubblicazione
della stessa sulla Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana”».
114
Punto 1 del Cons. in. dir.
115
Punto 4.1 del Cons. in. dir.

56
mansioni superiori, prolunga nel tempo gli effetti delle
disposizioni già dichiarate incostituzionali con le sent. 354 del
2010 e 373 del 2002, con conseguente lesione dell’art. 136 Cost.”.
Possiamo dedurre da questo caso giurisprudenziale, che la
disposizione pur non essendo identica a quelle in precedenza
caducate, per la Corte è finalizzata tuttavia a raggiungere “esiti
corrispondenti”, vale a dire disciplina in modo analogo la materia
regolata dalle discipline dichiarate precedentemente
incostituzionali.
E’ questo un orientamento, che possiamo ritrovare anche in
sentenze meno recenti come ad esempio la decisione n. 88 del
1966, dove la Corte, accoglie la questione aderendo ad una
nozione sostanziale di giudicato: più nel dettaglio, si legge nella
pronuncia che così come “l’art. 136 Cost. sarebbe violato ove
espressamente si disponesse che una norma dichiarata illegittima
conservi la sua efficacia, del pari contrastante col precetto
costituzionale deve ritenersi una legge la quale, per il modo in cui
provvede a regolare le fattispecie verificatesi prima della sua
entrata in vigore, persegue e raggiunge, anche se indirettamente,
lo stesso risultato”116.
Come è stato osservato da autorevole dottrina il giudicato
“sarebbe infatti violato non soltanto da una norma testualmente
riproduttiva di altra già dichiarata incostituzionale, bensì anche da
un precetto che, pur diverso, miri altresì allo stesso risultato,
sebbene, per adesso limitatamente alle fattispecie pregresse”117.
Questa interpretazione, cosiddetta degli “esiti corrispondenti” o
“sostanzialista” è tutt’altro che chiara, viene in effetti contraddetta

116
Punto 2 del Cons. in. dir.
117
Così F. Dal Canto, Il giudicato costituzionale nel giudizio sulle leggi, cit.,255.

57
in altre decisioni dove la Corte sembra aderire alla tesi c.d.
“formalista” o “dell’identità in senso stretto”.
Ad esempio, nella sent. n. 194 del 2002 dove la Corte accoglie la
questione ad eccezione dell’art. 136 Cost. si legge infatti nella
pronuncia che le modifiche apportate118 escludono “per il loro
contenuto innovatore e anche per l’intento dichiarato nel corso dei
lavori preparatori della legge di recepire i principi stabiliti dalla
(…) sent. n. 1 del 1999, che la disciplina censurata possa essere
considerata confermativa delle precedenti disposizioni dichiarate
illegittime”119, e ancor più chiaramente in questa linea la Corte lo
è stata come visto precedentemente sulla sentenza n. 262 del
2009.
Come è stato osservato con detta sentenza “si minimizza la
corrispondenza testuale (parziale) tra vecchio e nuovo lodo
affermando che si deve tener conto del complesso delle norme che
si succedono nel tempo senza che abbia rilevanza l’eventuale
coincidenze delle singole previsioni normative”120 e viceversa si
valorizzano al massimo le “significative novità normative”, da ciò
se ne trae un atteggiamento meno severo da parte della Corte nei
confronti del legislatore sul rispetto dell’art. 136 Cost., con
conseguente indebolimento dei vincoli prodotti dal giudicato
costituzionale.

118
Ci riferiamo ai commi 205, 206 e 207 dell’art. 3 della legge n. 549 del 1995, nella
parte in cui prevedevano la sostituzione del concorso pubblico con procedure selettive
interne in assenza di esigenze di rilevanza costituzionale che consentissero una deroga
alla regola del concorso pubblico dichiarati illegittimi dalla Corte con sent. 1 del 1999
e modificate dal legislatore con l’art. 22 della legge n. 133 del 1999.
119
Punto 3 del Cons. in. dir.
120
A. Pugiotto, La seconda volta, in cass. pen. 2010.

58
3. La violazione del giudicato costituzionale tra
riproduzione “pro prateritio” e quella “pro futuro”

La problematica riguarda la “latitudine” temporale del vincolo del


giudicato costituzionale, e cioè se il divieto di reintroduzione della
norma annullata riguardi soltanto l’ipotesi della riproduzione pro
prateritio (quindi solo i rapporti pregressi o pendenti al momento
della pubblicazione della sentenza) o copra anche l’ipotesi
dell’efficacia della nuova norma esplichi pro futuro.
Secondo l’opinione maggiormente diffusa in dottrina121, una legge
riproduttiva di un’altra dichiarata incostituzionale, la cui efficacia
sia rivolta soltanto verso il futuro, non vìola il giudicato
costituzionale, bensì soltanto un precedente.
In senso analogo si è espresso anche il Presidente della Corte
costituzionale, durante la Conferenza annuale, osservando che il
“divieto di riproduzione, per il passato, della norma dichiarata
illegittima (…) non va confuso con la possibilità da parte del
legislatore di riprodurre per il futuro norma di analogo contenuto
precettivo che, in ipotesi, sarà inficiata nel merito dagli stessi vizi
da cui era affetta la norma precedente, ma che tuttavia non lede
l’art. 136 della Costituzione”122, quindi la violazione del giudicato
si avrebbe solo qualora la legge riproduttiva coinvolgesse
“rapporti pregressi o pendenti al tempo degli anteriori
annullamenti”123.

121
Cfr., tra gli altri, A. Pizzorusso, Garanzie., cit., 192, id., Fonti del diritto, cit., 218,
A. Pomodoro, Nota senza titolo, in riv.trim.dir.proc.civ., 1968, spec. 1155, in nota 48,
V. Crisafulli, Giustizia costituzionale e potere legislativo, cit., 67, A. Anzon, Autorità
di precedente ed efficacia di “giudicato”, cit., 248, id., il valore del precedente, cit.,
128.
122
R. Granata, La giustizia costituzionale nel 1997, cit., 2922.
123
A. Anzon, Autorità di precedente ed efficacia di “giudicato”, cit., 285.

59
Ma tale soluzione non pare superare alcune osservazioni, in
particolare il motivo per il quale essa assimila, concettualmente,
riguardo questo specifico aspetto il giudicato costituzionale e
quello civile.
Come giustamente rilevato in dottrina124, la distinzione teorica tra
leggi retroattive e leggi non retroattive, può avere senso se in
riferimento al giudicato civile, posto che quest’ultimo ha ad
oggetto una situazione di fatto dedotta in giudizio e decisa sulla
base di norme giuridiche allora vigenti, mentre “tale assunto pare
difficilmente applicabile ad un processo nel quale non si giudica
un fatto bensì una norma, la quale, di per sé, è idonea a
disciplinare le stessa fattispecie concrete cui può riferirsi anche la
normativa eventualmente sopravvenuta”125.
Quindi la riproduzione pro futuro, ovvero pro prateritio cagiona
un danno alla Carta costituzionale, in quanto la norma
illegittimamente riproduttiva pare rappresentare il tentativo del
legislatore di liberarsi dai limiti della funzione legislativa imposti
dall’esistenza di una Costituzione rigida.
A questo punto sembra ragionevole sostenere, che il giudicato
costituzionale “copra, da un punto di vista temporale, ogni suo
effetto allo stesso modo”, con l’unica differenza che “se la
riproduzione è rivolta al futuro, occorrerà verificare
concretamente se persiste il medesimo rapporto tra la norma sub
iudice e l’originario parametro di costituzionalità; mentre, se essa
ha efficacia anche retroattiva e ancora di più se il suo ambito
temporale coincide perfettamente con quello della norma

124
Cfr. A. Ruggeri, Le attività “conseguenziali” nei rapporti fra la Corte
costituzionale e il legislatore, cit., 42.
125
Così F. Dal Canto, Il giudicato costituzionale nel giudizio sulle leggi, cit.,224.

60
caducata, la suddetta verifica appare un’operazione, in definitiva,
dagli esiti scontati”126
Al riguardo è stato osservato in dottrina come la Corte a partire
dalla sent. n.223 del 1983 abbia esteso tale divieto anche alle
leggi ad effetto futuro infatti come si legge nella sent. “e (…)
questo il vizio nel quale incorre specialmente per ciò che riguarda
i rapporti pregressi di cui si controverte nei giudizi a quibus”127
dove viene sottolineato l’utilizzo dell’avverbio specialmente in
quanto “l’uso di detto avverbio consente implicitamente di
estendere la nozione di giudicato sostanziale anche alle leggi ad
effetti pro futuro e non più solo per quelle retroattive come era
accaduto fino a quel momento. Allo stesso tempo, per altro, pare
potersi riconoscere una superiore carica disvalutativa nei
confronti delle leggi retroattive”128.

4. Questione sulla “priorità logica” del vizio di


violazione del giudicato costituzionale

Non è agevole, ricostruire i criteri che la Corte impiega per la


definizione dell’ordine delle questioni ad essa contestualmente
sottoposte e per l’applicazione dell’art. 136 Cost.
In passato la Corte con sent. 153 del 1977 ha utilizzato l’art. 136
Cost. come “argomento a fortiori”. Oggetto della questione erano
diverse norme della legge n. 814 del 1973, mediante la quale il
Parlamento aveva disciplinato ex novo il sistema di

126
Così F. Dal Canto, Il giudicato costituzionale nel giudizio sulle leggi, cit., 234.
127
Punto 5 del cons in dir.
128
A. Lollo, Il giudicato costituzionale nella giurisprudenza della Corte. I giudizi
sulle leggi in via incidentale. In, www.rivistaaic.it, 2 /2011, 7.

61
determinazione, adeguamento e corresponsione dei canoni di
affitto dei fondi rustici, dato che il precedente sistema - regolato
dalla legge n. 11 del 1971 – era stato dichiarato
costituzionalmente illegittimo con sent. n. 155 del 1972.
I giudici a quibus sollevarono questione di legittimità
costituzionale per contrasto con gli artt. 3, 41, 42, 44, 47 e 136
Cost.
La Corte accolse la questione essenzialmente per contrasto con
l’art. 3 Cost., mentre la violazione del giudicato costituzionale
non si evidenziò in modo decisivo nell’economia della decisione
dal momento che la norma venne dichiarata incostituzionale “per
le stesse ragioni già indicate e in riferimento ai medesimi
parametri costituzionali”129 oggetto del giudizio.
In effetti, queste norme, ipotizzavano per l’applicazione dei
conguagli, l’applicazione ai canoni previsti dalla l. n. 814 del
1973 che la Corte aveva dichiarato precedentemente
incostituzionale.
Il Giudice delle leggi ritiene ad ogni modo aggiungere che
“quanto al terzo comma dell’art. 4 è inoltre palese il contrasto con
l’art. 136 Cost., (…), essendo stata confermata una misura dei
canoni già dichiarata incostituzionale dalla sentenza n. 155 del
1972 da questa Corte”130.
Dall’interpretazione della sent. pare che la Corte dia, alla
trattazione della violazione del giudicato costituzionale una
qualifica di vizio di secondo grado, che va appunto a sommarsi

129
Punto 6 del cons. in. dir.
130
Ibidem

62
agli altri vizi di cui la legge è affetta “determinando una
situazione di doppia incostituzionalità”131.
Inoltre in riferimento all’ordine di trattazione delle questioni di
costituzionalità, nel momento in cui tra i vizi lamentati vi sia
anche la violazione dell’art. 136 Cost., si può individuare una
sorta di paradosso logico, in quanto se è vero che la violazione del
giudicato è un vizio la cui verifica non può che precedere
logicamente quella di tutte le altre trasgressioni lamentate in
quanto attiene all’esercizio del potere legislativo, è altrettanto
vero che l’accertamento di tale vizio richiede oltre il preliminare
riscontro dell’identità della norma impugnata con quella già
precedentemente dichiarata illegittima dalla Corte, anche
l’accertamento della perdurante incostituzionalità dei vizi
originari132.
Sempre in senso analogo con questa impostazione la Corte lo è
stata a seguito di un giudizio promosso in via principale deciso
con sent. 545 del 1990 dove anche in questo caso il parametro
dell’art. 136 Cost. rileva solo successivamente all’altro vizio
richiamato (si trattava dell’art. 54, n. 6 dello Statuto speciale
Trentino Aldo Adige).
Se non che nella recente giurisprudenza possiamo osservare come
la Corte sembra aver cambiato impostazione sull’ordine delle
questioni ad essa contestualmente sottoposte per l’applicazione
dell’art. 136 Cost..

131
Cfr. A. Lollo, A. Morelli, Il giudicato costituzionale nella giurisprudenza della
Corte. I giudizi sulle leggi in via principale. In www.rivistaaic.it, cit. 5.
132
In questo senso riguarda la sent. n. 223 del 1983 Corte costituzionale. Cfr. S.
Mangiameli, Indenizzo e serio ristoro, cit., 1341, che considera il richiamo fatta dalla
Consulta all’art. 136 Cost. come volto semplicemente a rafforzare la linea
argomentativa basata sulla violazione degli altri parametri (nel caso di specie si
trattava dell’art. 42 Cost.). Cfr. A. Cerri, Corso, cit.,279, afferma che l’accertamento
della violazione dell’art. 136 Cost. ha un rilievo unicamente simbolico,
rappresentando una duplicazione delle censure originali.

63
Infatti nella sent. n. 350 del 2010 possiamo osservare come la
Corte nel dichiarare l’illegittimità costituzionale della legge n. 11
del 2009 della provincia autonoma di Bolzano accogliendo in
buona sostanza i motivi del ricorso proposti dall’avvocatura dello
Stato annulla la norma impugnata per contrasto con l’art. 136
Cost. e ritenendo assorbite tutte le ulteriori censure.
Ritiene la Corte che “nel caso di specie, la questione relativa alla
violazione del giudicato costituzionale riveste carattere di priorità
logica rispetto alle altre, poiché essa attiene all’esercizio stesso
del potere legislativo, che sarebbe inibito dal precetto
costituzionale di cui si assume la violazione”133.
Quindi, nel confermare l’indirizzo per il quale il giudicato
costituzionale determina un vincolo per il legislatore, la Corte
riconosce a tale vizio, come già successo in una precedente
occasione134, una posizione di “priorità logica” in ordine agli altri
vizi sindacabili.
Dottrina più attenta, ha però sottolineato come nella decisione in
commento la questione inerente al giudicato costituzionale riveste
si carattere di “priorità logica” ma “nel caso di specie”: “ciò che
potrebbe invero far pensare che non sempre l’accertamento
riguardante la supposta lesione del giudicato debba precedere
quello di ogni altro profilo della questione. Ove così fosse se ne
avrebbe un’ulteriore testimonianza del modo complessivamente
libero con cui la Corte intende e pratica la teoria
dell’assorbimento dei vizi”135.

133
Punto 3 del cons.in.dir.
134
Cfr. sent. n. 347 del 1999.
135
Cfr. A. Ruggeri, Il processo costituzionale come processo, dal punto di vista della
teoria della Costituzione e nella prospettiva delle relazioni interordinamentali, in
www.gruppodipisa.it, 16, nt. 56. Sull’assorbimento dei vizi cfr., per tutti, L.
D’Andrea, Prime note in tema di assorbimento nei giudizi di costituzionalità, in
AA.VV., Corte costituzionale e Parlamento. Profili problematici e ricostruttivi, a

64
In questo senso la scelta da parte della Corte di utilizzare il
parametro della violazione del giudicato o quella relativa alla
persistenza dei vizi originari può dipendere anche da circostanze
“esterne” al giudizio, e come stato osservato sanzionare il
legislatore con una sorta di “doppia incostituzionalità” può
acquistare un significato simbolico136, se non istituzionale in
quanto opera una “sottolineatura della gravità del vizio, che ha a
che vedere non solo con la costituzionalità della legge ma con
l’inammissibilità di un atto di ostilità nei confronti della Corte
stessa”137.
Tale doppio richiamo è stato osservato come valga a rimarcare la
gravità del vizio attribuendo alla violazione del giudicato un ruolo
di primarietà assiologica138.
Ad ogni modo la Corte nella recente sent. n. 245 del 2012 ha
ribadito la “priorità logica” della censura relativa al giudicato
costituzionale in quanto “attiene all’esercizio stesso del potere
legislativo, che sarebbe inibito dal precetto costituzionale di cui si
assume la violazione”139 richiamando in questo modo la
precedente sent. n. 350 del 2010.
Un’ulteriore conferma di tale atteggiamento si può ritrovare anche
nelle successive sentt. n. 72 del 2013 e n. 169 del 2015 dove
riguardo la prima la norma impugnata era stata censurata con
riferimento a diversi parametri di costituzionalità, ma per la Corte
“assume carattere pregiudiziale ed assorbente (…) il profilo della
lamentata violazione dell’art. 136 della Costituzione”140, e

cura di A. Ruggeri e G. Silvestri, Milano 2000, 79 ss. e G. Pelegatti, Giudizio di


costituzionalità e assorbimento dei motivi, Napoli 2004.
136
A. Cerri, corso, cit.,279.
137
G. Zagrebelsky, La Giustizia Costituzionale, Bologna, 1988, 329.
138
Cfr. A. Lollo – A. Morelli, Il giudicato, cit., 5.
139
Punto 4.1 del cons.in.dir.
140
Punto 6 del cons.in.dir.

65
analogamente ad essa, nella seconda pronuncia la Corte ritiene
che la norma impugnata “debba essere dichiarata
costituzionalmente illegittima per violazione dell’art. 136 Cost.,
restando assorbiti – in quanto totalmente dipendenti – i profili di
illegittimità relativi agli altri parametri invocati”141.
Sembra dunque che la Corte disponga di una certa libertà nella
definizione della questione ricorrendo poi eventualmente alla
tecnica dell’assorbimento dei vizi.

5. La riproduzione in forma provvisoria da parte del


legislatore

E’ questo un aspetto controverso sulla questione del giudicato


costituzionale nell’ambito del fattore temporale.
Infatti, il tempo viene in rilievo nel momento in cui il legislatore
operi la reintroduzione della norma soltanto in forma provvisoria,
ci si è chiesti se il diverso “titolo formale”, che assume la
disciplina riprodotta dal legislatore in forza della sua annunciata
provvisorietà abbia un qualche rilievo nella fase di accertamento
del vizio della lesione del giudicato.
Una parte della dottrina, ha autorevolmente osservato che: “la
disciplina provvisoria e temporanea (…) può reggere, per la sua
eccezionalità, entro certi limiti, al vaglio di costituzionalità”,
precisando che ciò sia “una riprova che la conformità – difformità
della legislazione della Costituzione non è un dato assoluto,
oggettivamente rilevabile, ma un valore che suppone una

141
Punto 4 del cons.in.dir.

66
complessità di riferimenti, e si esprime in definitiva in una
gradualità di possibilità…”142, mentre in netto contrasto con
questa visione parte della dottrina ha osservato come dovesse
essere considerato inammissibile il rimedio del “soluzioni
transitorie, con le quali, riproducendo la norma incostituzionale, si
tende a perpetrare provvisoriamente l’esistenza, novandone la
fonte e, quasi contrarius actus, sospendendo ad tempus l’efficacia
del precetto costituzionale (…) con la conferma della disposizione
caducata”143 ma, se è vero che la Corte, nell’ambito di un
bilanciamento tra i valori costituzionali può giustificare una
disciplina “provvisoria”, pare corretto ritenere che “il carattere
della provvisorietà della riproduzione (…) non ha alcuna diretta
incidenza sulla questione della violazione del giudicato
costituzionale”144.
Sulla questione la Corte sembra essere ancora incerta, in passato
essa ha ammesso, in talune circostanze, che una disciplina
confermativa riproduttiva realmente provvisoria possa superare lo
scrutinio di legittimità: un’indicazione in tal senso, sembrerebbe
rinvenibile nella sent. n. 223 del 1983 riguardante la vicenda in
tema di espropriazione, dove la Corte osservò come “d’altra parte,
a tutto questo si aggiunge la mancata previsione di un qualsiasi
effetto conseguente all’inutile scadenza del termine indicato per
l’emanazione dell’apposita legge sostitutiva delle norme
dichiarate illegittime dalla Corte costituzionale: poiché non è

142
Così F. Modugno, Corte costituzionale e potere legislativo, cit., 90.
143
Così G. Lombardi, Riproduzione transitoria di norme illegittime e delusione del
giudicato, in giur. cost., 1342. In senso analogo anche V. Onida, Commento alla
legge 29 Luglio 1980, n. 385, in Le nuove leggi civili commentate, 1981, 260 ss., il
quale osserva, con riferimento ad una nota legge “tampone” (la l. n. 385 del 1980, in
materia di indennità di esproprio), che “l’effetto pratico della legge in esame è lo
stesso che si sarebbe avuto differendo nel tempo fino all’entrata in vigore della nuova,
futura disciplina in momento iniziale di efficacia della sent. di incostituzionalità”.
144
Così F. Dal Canto, Il giudicato costituzionale nel giudizio sulle leggi, cit.,239.

67
certo ed anzi parrebbe smentito dalle parole introduttive dell’art.
1, primo comma, che alle norme provvisorie debbano in tal caso
subentrare altre norme vigenti, come quelle dettate dalla legge n.
2359 del 1983. E, nel mentre il problema dell’identità definitiva
resta aperto, il termine è stato più volte prorogato (…)”.
Anche se recentemente si è potuta esprimere nel senso che “ne è
rilevante la circostanza che la disposizione impugnata avrebbe
dovuto avere applicazione in via eccezionale e nelle more
dell’esperimento delle procedure concorsuali per la copertura dei
posti resisi vacanti. Infatti non è previsto alcun termine per lo
svolgimento di dette procedure (…), tal che la norma censurata
assume solo nominalmente carattere provvisorio”145, lasciando
così intendere che, “se non è rilevante il carattere transitorio della
disposizione in mancanza della previsione di un termine certo,
allora il giudizio sarebbe stato diverso in presenza di un termine
certo”146, che porti la Corte ad ammettere una “legittimità
costituzionale provvisoria”.
Ipotesi quest’ultima che sembrerebbe essere smentita, da una
recente sent. della Corte, la n. 169 del 2015 dove oggetto del
dubbio era l’art. 1 della l. n. 80 del 2014, nella parte in cui aveva
introdotto, in sede di conversione l’art. 5 comma 1 – ter, con
riferimento agli artt. 3, 42, secondo comma e 136 della
Costituzione.
Tale norma, introducendo un termine certo, faceva “salvi, fino
alla data del 31 Dicembre 2015, gli effetti prodotti e i rapporti
sorti sulla base dei contratti di locazione registrati ai sensi dell’art.
3, comma 8 e 9, del decreto legislativo 14 Marzo 2011 n. 23”,

145
Così la sent. n. 245 del 2012.
146
F. Dal Canto, Sulla violazione del giudicato costituzionale la Corte fa la voce
grossa, cit., 3726.

68
norma quest’ultima già dichiarata costituzionalmente illegittima
per eccesso di delega dalla Corte costituzionale con sent. n. 50 del
2014.
La Corte ravvisando nel caso in esame il contrasto con il
giudicato costituzionale di cui all’art. 136 Cost. ha osservato che
nonostante “le intenzioni dichiarate nel preambolo di
provvedimento d’urgenza (volte), a fronteggiare la grave
emergenza abitativa in atto e adottare misure volte a rilanciare in
modo efficace il mercato delle costruzioni e nel contesto di un
articolo (il 5°) dedicato, secondo l’originaria rubrica, alla << lotta
all’occupazione abusiva di immobili>>”147 appare “del tutto
evidente che il legislatore si è proposto (…) d’impedire, sia pure
temporaneamente, che la declatoria di illegittimità costituzionale
producesse le previste conseguenze, vale a dire la cessazione di
efficacia delle disposizioni dichiarate illegittime dal giorno
successivo alla pubblicazione della decisione”, inoltre ha modo di
osservare che “né il carattere temporaneo della disposizione
sembra risolvere il problema e nemmeno attuarne la portata” 148.
Se ne deduce quindi, nonostante delle caute aperture di principio,
che la Corte sembra diffidente ad accogliere quando si tratti di
farne applicazione la disciplina provvisoria e temporanea, in quei
casi in cui l’illegittimità risulti essere stata precedentemente
accertata da una propria decisione, dimostrandosi così osservante
di principi enunciati nella sent. n. 63 del 1963 ove imponendo il
rispetto del giudicato costituzionale affermava che esso “non

147
Punto 3 del cons. in. dir.
148
Ibidem.

69
consente compressioni od incrinature nella sua rigida
applicazione”149.

6. La riproduzione della norma annullata tramite legge


costituzionale

I ragionamenti fin qui svolti, in merito al seguito legislativo degli


effetti delle sentenze di accoglimento della Corte costituzionale,
hanno fatto esclusivo riferimento all’ipotesi di riproduzione di
una norma dichiarata incostituzionale tramite legge ordinaria,
ponendo il Parlamento in una posizione nettamente svantaggiata
nei rapporti fra i due organi.
A questo proposito, come si è già avuto modo di notare (cap. 2.4)
attraverso l’interpretazione dell’art. 136 Cost., sembra possa
ricavarsi l’ipotesi secondo la quale in sede di Assemblea
costituente si abbia inteso il disposto “affinchè, ove lo ritengano
necessario provvedano nelle forme costituzionali”, come la
facoltà per il legislatore di riprodurre la normativa caducata,
tramite il procedimento di revisione costituzionale senza per
questo incidere sul giudicato costituzionale.150

149
In questo senso G. Zagrebelsky e V. Marcenò, Giustizia costituzionale, Torino,
2012, 347, per i quali <<nessuno spazio l’art.136 della Costituzione sembra
riconoscere alle esigenze di continuità e di completezza dell’ordinamento, neanche
attraverso la modulazione nel tempo degli effetti delle sentenze di accoglimento>>.
150
In senso analogo cfr., con particolare riferimento alle vicende relative all’art. 513
c.p.p., N. Zanon, La Corte, il legislatore ordinario e quello di revisione, ovvero del

70
Questa possibilità “di risposta” da parte del legislatore nei
confronti della Corte non è però esente da eccezioni: in primo
luogo, anche le leggi di revisione costituzionale possono essere
sindacate dalla Corte, e se in contrasto con i principi supremi della
Costituzione, essere dichiarate illegittime e ciò vale sia per i vizi
formali, consistenti nella violazione del procedimento di cui
all’art. 138 Cost., ma anche per i vizi sostanziali151.
Inoltre vi è la possibilità che il Parlamento utilizzi il procedimento
di revisione costituzionale al solo scopo di superare il decisum
della Corte, portando ad una situazione di contrasto con la stessa.

6.1. La sentenza n. 361 del 1998: il diritto all’ “ultima


parola”

La presenza di leggi di revisione costituzionale concordate contro


decisioni contrarie sull’indirizzo politico–legislativo portato
avanti dal legislatore, rappresentano uno dei principali indicatori
del grado di tensione nei rapporti tra Corte e il legislatore.

diritto all’ “ultima parola” al cospetto delle decisioni di incostituzionalità, in giur.


Cost., 1998, spec. 3179 ss., il quale ritiene anzi che la possibilità che il Parlamento
rivesta della forma costituzionale il contenuto di disposizioni legislative già dichiarate
illegittime sia da ritenere la “condizione essenziale che consente a pieno titolo
l’innesto degli istituti della giustizia costituzionale nella democrazia contemporanea”.
In argomento cfr. anche A. Ruggeri, La Costituzione allo specchio: linguaggio e
“materia” costituzionale nella prospettiva della riforma, Torino, 1999, 64, in nota 55,
e L. Favoreu, L’affirmation d’un statut protecteu des étrangers, in le figaro del 16
Agosto del 1993, il quale osserva che “quando (…) il giudice costituzionale corregge
le decisioni del legislatore in nome della Costituzione, ciò non significa che la volontà
della maggioranza non possa esprimersi; significa semplicemente che la strada da
intraprendere per adottare certe misure è la via costituzionale (…). Quando un giudice
costituzionale censura il legislatore, può allora essere approvata una legge
costituzionale”, secondo H. Kelsen “una legge il cui contenuto è contrario alla
Costituzione non sarebbe più incostituzionale qualora fosse votata come legge
costituzionale” in, La garanzia giurisdizionale della Costituzione, cit., 154.
151
Corte costituzionale 29 Dicembre 1988, n. 1146.

71
Ciò è avvenuto nella nota vicenda riguardante l’art. 513 c.p.p.,
che offre l’esempio di un “botta e risposta” fra Corte e Parlamento
in merito al dibattito sull’impostazione accusatoria o inquisitoria
del processo penale e della conseguente riforma dell’art. 111
Cost., dove, come osservato, è stato evidente lo scopo del
Parlamento di “rendere la pariglia alla Corte”152.
La sent. n. 361 del 1998 segna il momento di massima tensione
tra Parlamento e Corte che ha origine intorno ai primi anni
Novanta, quando quest’ultimo inaugura un indirizzo
giurisprudenziale che finisce per modificare sostanzialmente il
modello “accusatorio” del processo penale basato sulla
formazione delle prove nel dibattimento con il diretto contributo
delle parti: la Corte infatti, interviene sul testo del codice di
procedura penale del 1988 ampliando progressivamente la
possibilità di utilizzare i c.d. elementi di prova raccolti nelle fasi
predibattimentali in nome di un principio di “non dispersione
della prova”, che sarebbe funzionale a quella “ricerca della verità”
che è “fine primario ed inerudibile del processo penale”153.
Al fine di recuperare, il ruolo centrale del dibattimento e quindi
del contradditorio nel momento di formazione della prova, il
legislatore interviene – con la l. n. 267 del 1997 – a modificare
l’art. 513 c.p.p., limitando l’utilizzabilità delle dichiarazioni rese
dai coimputati durante le indagini preliminari154.

152
Così G. Fiandaca, Il legislatore non deve ridursi al livello della Consulta, in Italia
oggi del 22 Dicembre 1998.
153
Le tappe fondamentali di questa giurisprudenza sono rinvenibili nelle seguenti
pronunce: C. Cost. 31 Gennaio 1992, n. 24, in giur. Cost., 1992, 114.,C. Cost. 3
Giugno 1992, n. 254, ivi, 1932., C. Cost. 3 Giugno 1992, n. 255, ivi, 1961., C. Cost.
24 Febbraio 1995 n. 60, ivi, 1995, 508., C. Cost., 25 Luglio 1995, n. 381, ivi, 2778. In
dottrina V., per tutti le posizioni critiche di Ferrua, Studi sul processo penale, II.
Anamorfosi del processo accusatorio, Torino, 1992, 157 ss.
154
Secondo la nuova formazione dell’articolo, le dichiarazioni accusatorie del
coimputato giudicato nello stesso procedimento, in caso di assenza, con tumacia o

72
La risposta della Corte non tarda ad arrivare, e con sent. 361 del
1998, essa dichiara nuovamente l’incostituzionalità dell’art. 513
c.p.p., come modificata nel 1997 – utilizzando il modello delle
c.d. pronunce “integrative” (additive e sostitutive) – nella parte in
cui esso non prevede che “qualora il dichiarante rifiuti o
comunque ometta in tutto o in parte di rispondere su fatti
concernenti la responsabilità di altri già oggetto delle sue
precedenti dichiarazioni, in mancanza dell’accordo delle parti alla
lettura si applichi l’art. 500, commi 2 bis e 4 del Codice di
procedura penale”, quindi, la disciplina più rigorosa riguardo ai
testimoni.
A riguardo va osservato come l’argomento della presunta
violazione del giudicato costituzionale, non espressamente
avanzato dai giudici remittenti, assume un certo peso, dal
momento che con la legge impugnata, si fosse “quindi ritornati
(…) ad una disciplina analoga a quella vigente prima della sent.
254 del 1992”155.
A ciò consegue la l. Cost. 23 Novembre 1999 n. 2 ove ridefinendo
complessivamente le regole del giusto processo “riproduceva di
fatto le norme dichiarate incostituzionali”156.
Ora, aldilà del merito specifico della vicenda, resta a questo punto
da valutare una questione che non ha mancato di esercitare
qualche riflessione proprio con riferimento alla vicenda
ripercorsa.

rifiuto di rispondere, sono inutilizzabili nei confronti degli accusati senza il loro
consenso (comma 1), mentre le dichiarazioni accusatorie del coimputato giudicato in
altro procedimento sono acquisibili solo con l’accordo delle parti (comma 2). Tale
previsione fu assai criticata in dottrina, sancendo essa di fatto la pratica inutilizzabilità
di tali dichiarazioni: cfr. in questo senso, F. Cordero, Procedura penale, cit., 693.
155
Punto 4.1 del cons. in. dir.
156
Così F. Dal Canto, Il giudicato costituzionale nel giudizio sulle leggi, cit.,304.

73
Si è posto infatti il problema della legittimità dell’esercizio del
potere di revisione costituzionale in qualche modo “degradato” a
strumento di “lotta istituzionale” del Parlamento contro la Corte,
che si trasformi in una sorta di “revisione – sanzione” sul quale
potrebbe innestarsi un processo di delegittimazione reciproca tra i
due organi costituzionali.157
La posizione della maggior parte della dottrina costituzionalistica
è nel senso della legittimità, come è stato correttamente osservato
“è aspetto essenziale della dialettica nel nostro sistema dei
rapporti tra i poteri dello Stato il fatto che il potere di revisione,
come quello che ha il massimo livello di legittimazione
democratica e che rappresenta la massima espressione della
sovranità popolare possa opporsi agli indirizzi della Corte ad
essere veramente soggetta alla legge costituzionale e non, invece,
arbitra di essa”158.
In questo senso, il potere di revisione costituzionale di superare le
pronunce di incostituzionalità (e sempre, bene inteso, con il limite
dei principi supremi) assume il significato di una garanzia per la
stessa legittimazione della Corte nell’ordinamento democratico159,
purchè ovviamente un simile potere di revisione rimanga nei
limiti dell’eccezionalità, senza divenire l’abituale alternativa alla
legislazione ordinaria.

157
Sono i pericoli evidenziati dal Fiandaca, Il legislatore non deve ridursi al livello
della Consulta, in Italia oggi, 22 Dicembre 1998, 59. Alcuni pericoli sono adombrati
anche da Ferrara, che pur dando poi una risposta in senso negativo pone il problema
di una possibile “elusione di una incostituzionalità accertata dalla Corte (…) con
l’aggravante della intimidazione e della compressione della potestà decisoria
dell’organo di giustizia costituzionale”.
158
Così S. Fois, Il modello costituzionale del <<giusto processo>> in rass. Parl.
2000.
159
Un’ alternativa a questo meccanismo è stata autorevolmente teorizzata dalla
dottrina statunitense, cfr. J.Waldron, The core of the case against judicial review, in.
Yale law journal, 2006.

74
Se ciò è corretto, bisogna in ultimo osservare che nella vicenda in
esame, la sent. n. 361 del 1998 aveva accolto la questione in
forza, da una parte per principio di ragionevolezza e dall’altra
nell’esigenza di tutela del diritto di difesa, principi su cui nessuno
può dubitare del fatto che siano considerati come fondamentali
nell’ordinamento, quindi come stato giustamente osservato “non è
affatto scontato che il nuovo art. 111 Cost. (…) debba essere
considerato a priori, conforme al giudicato costituzionale”160.

7. La riproduzione della norma annullata dopo la


sanatoria del vizio formale o di incompetenza

Merita infine analizzare l’ipotesi in cui il legislatore, a seguito di


una pronuncia costituzionale di accoglimento fondata su vizi
formali161, ne operi la reintroduzione della stessa norma
affrancandosi dai predetti vizi.
In dottrina si è correttamente sostenuto che “quando la Corte
dichiara l’incostituzionalità dell’atto perché emanato da autorità
incompetente o con procedimento viziato, (…) è ammissibile che
l’autorità competente (…) con procedimento conforme a diritto,
riproduca la precedente disciplina caducatasi per effetto della
sentenza della Corte costituzionale”162, in senso analogo anche chi
abbia prospettato come “nell’ipotesi in cui questo secondo atto
fosse sotto ogni aspetto esattamente identico al primo (…) si

160
Così F. Dal Canto, Il giudicato costituzionale nel giudizio sulle leggi, cit.,305.
161
Sul tema, un vasto sforzo ricostruttivo, probabilmente quello più approfondito
prodotto dalla dottrina italiana, è quello di F. Modugno, L’invalidità della legge, II,
tra gli altri cfr. anche P. Passaglia, L’invalidità procedurale dell’atto legislativo.
162
Così, G. U. Rescigno, Sanatoria “ope legis”, cit., 1252 ss.

75
tratterebbe di due distinte in osservanze della stessa norma e che
mai la seconda potrebbe essere vista come una violazione del
giudicato relativo all’accertamento della prima di esse”163.
In definitiva, se ne deduce che se il legislatore nel reintrodurre la
stessa legge mediante una procedura legittima, il fatto in sé della
riproduzione non viola il giudicato costituzionale.
In linea con questo pensiero, sono state criticate dalla dottrina le
prime decisioni164 di accoglimento per violazione del giudicato
costituzionale da parte della Corte, in quanto quest’ultima pur
mostrando di aderire alla tesi per la quale la violazione del
giudicato necessita anche della reiterazione del medesimo vizio,
non sembra accorgersi di come tale elemento fosse nelle due
occasioni assente, in quanto in entrambi le due vicende degli anni
60’ il mancato rispetto della riserva di legge ex. art. 23 Cost. era
indiscutibilmente stato superato “dal momento che il legislatore si
era premurato di riprodurre nella forma corretta l’identica norma
già caducata, difficilmente questa si sarebbe potuta censurare per
quello stesso motivo”165.
Recentemente anche nella sent. 169 del 2015 la Corte
costituzionale sembra discostarsi dai principi enucleati dalla
dottrina, in quanto nonostante le osservazioni dell’Avvocatura
dello Stato su come la declatoria di incostituzionalità fosse stata
pronunciata per ragioni formali (eccesso di delega ex. 76 Cost.) in
quanto la nuova norma sarebbe del tutto diversa dalla precedente
per differenza della fonte166 e pertanto non esposta al medesimo
vizio di eccesso di delega.

163
Così A. Pizzorusso, Effetto di “giudicato” ed effetto di “precedente”, cit., 1991.
164
Sentt. 73 del 1963 e 88 del 1966 Corte costituzionale.
165
Così F. Dal Canto, Il giudicato costituzionale nel giudizio sulle leggi.
166
Infatti, malgrado ci si trovi di fronte ad una norma riproduttiva identica ad altra
precedentemente dichiarata incostituzionale, non sembra si possa propriamente

76
Ma la Corte ha modo di osservare che nonostante il Parlamento
poteva riprodurre “ per quanto discutibilmente con un nuovo
provvedimento, anche la stessa volontà normativa censurata dalla
Corte” è “pacifico che una sentenza caducatoria produca i suoi
previsti effetti quale che sia il parametro costituzionale in
riferimento al quale il giudizio sia stato pronunciato, senza, per
ciò che sia possibile differenziarne o quasi graduarne
l’efficacia167.
Con tale ultima decisione si può osservare come la Corte, sembri
allontanarsi dagli indirizzi dottrinali che cercano di definire l’area
coperta dal giudicato, utilizzando tale strumento in modo forse
troppo flessibile se non in alcuni casi mirato.

parlare di violazione del giudicato in quanto il precedente vizio di eccesso di delega


sia stato superato dal fatto che il nuovo atto sia stato approvato con legge ordinaria del
Parlamento.
167
Punto 3 del Cons. in. dir.

77
Capitolo Quarto

Il giudicato costituzionale nella giurisprudenza


della Corte

Sommario: 1. Premessa. – 2. Sentenza n. 73/1963: la prima violazione accertata


dalla Corte. – 3. Sentenza n. 88/1966: in tema di leggi di convalida di atti
amministrativi. – 4. Sentenza n. 153/1977: il giudicato costituzionale quale
“argomento a fortiori ratione”. – 5. Sentenza n. 139/1984: il giudicato costituzionale
come “tertium comparationis”. – 6. Sentenza n. 223/1983: la violazione del giudicato
costituzionale come raggiungimento di esiti corrispondenti. – 7. Sentenza n.
922/1988: il giudicato costituzionale sulle pronunce additive. – 8. Sentenza n.
545/1990: la prima lesione accertata nel giudizio sulle leggi in via principale. – 9.
Sentenza n. 350/2010: la priorità logica del vizio di violazione del giudicato
costituzionale. – 10 Sentenza n. 245/2012: la reiterata della violazione del giudicato
costituzionale quale condizione per l’esecuzione delle sentenze costituzionali. – 11.
Sentenza n. 72/2013: il rispetto del giudicato costituzionale non ammette espedienti..
– 12. Sentenza n. 169/2015: l’obbligo del rispetto del giudicato costituzionale.

1. Premessa

In questo capitolo verranno esaminati i casi in cui la Corte


costituzionale dal 1956 ad oggi ha accolto la questione accertando
espressamente la violazione del giudicato sia per quanto riguarda i
giudizi proposti in via incidentale che per quelli in via principale,
soffermandoci sugli aspetti più specifici del vizio in esame non
ancora presi in considerazione.

78
2. Sentenza n. 73/1963: la prima violazione accertata
dalla Corte

La sentenza n. 36 del 1959 aveva accertato incostituzionalità


dell’art. 2 del decreto legge n. 1417 del 1947 nella parte in cui
attribuiva un’eccessiva discrezionalità ai comuni nella
determinazione delle tariffe relative alle forme di pubblicità dei
privati.
Successivamente, il legislatore con legge n. 641 del 1961, va a
colmare il vuoto normativo prodotto dalla sentenza del 1959,
indicando una serie di criteri idonei a delimitare per il futuro il
potere dei comuni nella fissazione dei tributi in materia,
prevedendo all’art. 30 comma 2, una norma transitoria finalizzata
regolare il periodo intercorrente (circa due anni) tra la data di
pubblicazione della decisione e l’entrata in vigore della nuova
legge.
Ed è proprio dalla norma transitoria, che discendeva per i giudici
a quibus168, la violazione dell’art. 136 Cost., in quanto consentiva
ai comuni di ottenere gli arretrati secondo le tariffe vigenti sulla
base di un decreto legge dichiarato incostituzionale.
La norma viene dichiarata incostituzionale dalla Corte in quanto
dimostra “la volontà del legislatore di non accettare l’immediata
cessazione dell’efficacia giuridica della norma illegittima, ma di
prolungarne la vita sino all’entrata in vigore della nuova legge”.
E’ questo quindi il primo caso di una norma dichiarata
incostituzionale dalla Corte per violazione dell’art. 136 Cost., che
168
La questione di legittimità costituzionale veniva sollevata, in riferimento alla
violazione dell’art. 136 Cost. da un’ordinanza di una Corte di Appello di Bologna (v.
la in giur. Cost., 1962, 282 ss.)

79
oltre a ritenere assorbiti tutti gli altri profili di illegittimità
(l’ordinanza di rimessione aveva infatti censurato l’art. 30 della l.
641 anche in riferimento agli artt. 3, 5 e 23 Cost.), introduce
espressamente nel dispositivo della decisione l’indicazione del
parametro dell’art. 136; ciò che non si ripeterà più in seguito.
Possiamo osservare quindi come dalla decisione emerge a chiare
lettere che l’art. 136 Cost. rappresenta un limite invalicabile per il
legislatore ordinario, e che la nozione di giudicato costituzionale
va intesa in modo abbastanza ampio, in quanto applicabile anche
agli effetti amministrativi prodotti dalla norma precedentemente
annullata, si è infatti osservato che “l’amministrazione non può
affermare come legittimo quanto, con una decisione relativa alla
medesima vicenda e vincolante nei confronti
dell’amministrazione stessa, è già stato qualificato come
illegittimo”169.
Meritevole di attenzione l’osservazione proposta da autorevole
dottrina, che nota come nel caso di specie la Corte non ha adottato
una soluzione corretta invocando la violazione dell’art. 136 Cost.
in quanto “la violazione dell’art. 23, la cui persistenza doveva ora
essere accertata per far valere il vizio concernente la lesione del
giudicato non era nell’occasione riscontrabile (…) dal momento
che il legislatore si era premurato di riprodurre nella forma
corretta l’identica norma già caducata” ciò nonostante la decisione
appare coerente con la successiva giurisprudenza della Corte in
tema di giudicato, in quanto per la violazione dello stesso “non è
sufficiente il semplice dato della riproduzione, bensì occorre

169
A. Travi, L’esecuzione della sentenza, cit., 3516.

80
anche che la norma possa essere censurata per gli stessi motivi per
i quali era stata in precedenza caducata”170.

3. Sentenza n. 88/1966: in tema di leggi di convalida di


atti amministrativi

La questione, si presenta sotto certi aspetti analoga a quella decisa


con sent. n. 73 del 1963, in quanto in linea con tale giudizio, che
vede la Corte annullare le norme impugnate, che vanno a sanare
gli effetti amministrativi di un’altra legge in precedenza annullata.
Nel caso di specie, la Corte aveva dichiarato illegittimo con sent.
n. 2 del 1962, per violazione dell’art. 23 Cost., l’art. 195 del T.U.
sulla finanza locale171, relativo alla definizione delle tariffe di
occupazione di aree pubbliche da applicarsi da parte di province e
comuni, tal che il legislatore con la legge n. 208 del 1962 aveva
successivamente riformato la materia in modo ritenuto conforme a
Costituzione172.
Il giudice a quo impugnò detta legge per contrasto con gli artt. 23
e con minore convinzione il 136 Cost.173.

170
Così F. Dal Canto, Il giudicato costituzionale nel giudizio sulle leggi, cit., 252 -
253.
171
R. D. n. 1175 del 1931.
172
Prevedendo all’art. 7 che “per l’ipotesi in cui non sia stata pagata alcuna tassa per
l’occupazione effettuate prima o dopo il 4 Febbraio 1962, i comuni e le province
avranno diritto di chiedere gli arretrati in base alle tariffe vigenti alla data del 3
Febbraio 1962”.
173
In quanto il giudice a quo mostra di seguire la tesi per la quale l’art. 136 non
determina alcun vincolo per il Parlamento, e di conseguenza il profilo inerente alla
violazione del giudicato costituzionale viene posto in modo molto dubitativo come si
può ben leggere nell’ordinanza di rimessione “il contrasto con la Costituzione debba
essere visto in riferimento all’art. 23, e ciò sia perché la norma impugnata non può
essere considerata come fonte di riviviscenza della precedente norma dichiarata
illegittima, sia perché il precetto contenuto nell’art. 136 sembra rivolto agli organi che
devono applicare la legge, non al legislatore”.

81
La Corte accoglie la questione aderendo ad una nozione
sostanziale di giudicato in quanto “l’art. 136 sarebbe violato ove
espressamente si disponesse che una norma dichiarata illegittima
conservi la sua efficacia, del pari contrastante col precetto
costituzionale deve ritenersi una legge la quale, per il modo in cui
provvede a regolare le fattispecie verificatesi prima della sua
entrata in vigore, persegue e raggiunge, anche se indirettamente lo
stesso risultato”174, inoltre la Corte chiarisce i dubbi del giudice a
quo affermando che “l’opinione sostanzialmente condivisa dal
giudice a quo secondo la quale l’art. 136 (…) avrebbe per
destinatario solo chi è chiamato ad applicare la legge e non anche
il legislatore appare priva di fondamento”.
Alla luce di questa decisione, possiamo notare come a differenza
di quanto avvenuto con la sent. n. 73 del 1963 la Corte oltre a non
far entrare nel dispositivo il parametro dell’art. 136 Cost. non
ricorre alla tecnica dell’assorbimento dei vizi in quanto
quest’ultimo viene utilizzato in combinato disposto con l’art. 23
Cost..
Come è stato osservato anche questa decisione non appare
condivisibile per gli stessi motivi già evidenziati a commento
della sent. 73 del 1963 infatti “il vizio riscontrato dalla Corte in
occasione della prima pronuncia è di natura procedurale
(violazione della riserva di legge di cui all’art. 23 Cost.), così che
affermare la sua sussistenza anche in occasione del secondo
giudizio significa che per la Corte la nuova legge non assume le
caratteristiche di nuova fonte di essi, né realizza una vera e
propria novazione della fonte”175.

174
Punto 2 del cons. in. dir.
175
Così F. Dal Canto, Il giudicato costituzionale nel giudizio sulle leggi, cit., 256.

82
4. Sentenza n. 153/1977: il giudicato costituzionale
quale “argomento a fortiori ratione”

Nell’ambito di un giudizio sui principi costituzionali in materia di


proprietà privata oggetto della questione, erano diverse norme
della legge n. 814 del 1973 con la quale era stato reintrodotto (in
modo definitivo) il sistema di determinazione, adeguamento e
corresponsione dei canoni d’affitto dei fondi rustici regolato dalla
precedente legge n. 11 del 1971 e dichiarato incostituzionale dalla
Corte con sent. n. 155 del 1972.
I giudici a quibus sollevarono undici ordinanze per contrasto con
gli artt. 3, 41, 42, 44 e 136 Cost..
La questione sulla violazione del giudicato costituzionale non
rilevò in modo decisivo nell’economia della questione, infatti la
Corte accolse la questione essenzialmente per contrasto con l’art.
3 Cost. ma ad ogni modo il giudice delle leggi ritenne opportuno
aggiungere che “quanto al terzo comma dell’art. 4 è inoltre palese
il contrasto con l’art. 136 Cost., (…) essendo stata confermata una
misura dei canoni già dichiarata incostituzionale dalla sent. n. 155
del 1972 da questa Corte”176.
Se ne deduce come in questo caso la Corte utilizzi il parametro
dell’art. 136 Cost., quale “argomento a fortiori”, quale vizio di
secondo grado che si va a sommare agli altri vizi di cui la legge è
affetta.

176
Punto 6 del cons. in. dir.

83
5. Sentenza n. 139/1984: il giudicato costituzionale
come “tertium comparationis”

Anche in questo caso, analogamente e a distanza di cinque anni


dalla sent. n. 153 del 1977, il Parlamento aveva approvato
l’ennesima legge in materia di contratti agrari: la n. 203 del 1982,
dove all’art. 15 nel riordinare la complessiva materia dei contratti
agrari, stabiliva che fossero “definitivi i pagamenti dei canoni
effettuati, senza contestazione del locatore, prima del 29
Dicembre del 1977” in tal modo escludendoli dal previsto
conguaglio il legislatore era riuscito ad eludere gli effetti
retroattivi della pronuncia n. 153 del 1977.
La legge del 1982 viene così fatta oggetto di numerose ordinanze
di rimessione, dove vengono contestati la violazione degli artt. 3,
42 e 44 Cost. ma non del 136 Cost..
La decisione della Corte costituisce un’importante precedente per
fronteggiare le carenze di parametri invocati nelle ordinanze di
rimessione, in quanto la questione viene accolta proprio in forza
dell’art. 136 Cost. che non era appunto stato invocato, utilizzato
come tertium comparationis, in relazione alla violazione dell’art.
3 Cost..
Si legge infatti nella pronuncia che “non è consentita al legislatore
ordinario limitare la portata dell’art. 136 Cost., sia pur ricorrendo
(…) all’espediente di introdurre un nuovo onere, non previsto al
momento dell’avvenuto pagamento parziale, e di escludere perciò
l’acquisto del diritto successivamente riconosciuto dalla legge che
ha sostituito quella dichiarata invalida” e “i principi di
uguaglianza (…) risulta certamente violato dalla disposizione

84
denunciata, la quale arbitrariamente esclude nei confronti di
alcuni soggetti, titolari, come gli altri di rapporti esauriti,
l’applicazione dell’art. 136”177.
Bisogna sottolineare però come la Corte nelle future decisioni non
utilizzerà più tale espediente.

6. Sentenza n. 223/1983: la violazione del giudicato


costituzionale come raggiungimento di esiti
corrispondenti

Con la sent. n. 5 del 1980 la Corte costituzionale aveva dichiarato


incostituzionale una serie di disposizioni con le quali il legislatore
aveva disciplinato (l. n. 865 del 1971) il calcolo dell’indennizzo in
materia di esproprio, per il fatto che legavano il predetto
indennizzo al valore agricolo del bene, anziché a quello reale,
secondo invece da quanto previsto dalla precedente disciplina,
tale criterio era stato ritenuto non conforme all’art. 42 comma 3
Cost..
Per fronteggiare il vuoto normativo prodotto dalla sentenza, il
Parlamento approva la legge n. 385 del 1980 con la quale cerca di
confermare in via transitoria le norme caducate dalla Corte con
alcune varianti (in primo luogo, la trasformazione dell’originale
indennizzo in un acconto, da conguagliarsi al momento
dell’entrata in vigore di un’apposita legge sostitutiva delle norme
dichiarate illegittime dalla Corte costituzionale con sent. n. 5 del
1980).

177
Punto 15 del cons. in. dir.

85
In questo modo la legge neutralizzava gli effetti retroattivi della
decisione della Corte, incidendo sui rapporti pendenti alla data di
pubblicazione della stessa, e riguardo a quelli futuri, era
direttamente la legge n. 385 del 1980 a provvedere in senso
analogo riproducendo sostanzialmente (con varianti minime e in
modo provvisorio) il contenuto di una norma incostituzionale.
Contro la nuova legge furono sollevate 26 ordinanze di
rimessione, sulle quali la Corte accetta il contrasto con l’art. 42
comma 3, Cost., ed in pari tempo con l’art. 136 Cost.178
Come è stato osservato in dottrina, mostra particolare attenzione
la locuzione “in pari tempo” utilizzata nella motivazione, “al fine
di evidenziare come con essa la Corte mostri di non ritenere tra
loro autonome le due violazioni riscontrate, bensì la prima (art. 42
Cost.) strumentale alla seconda (art. 136 Cost.)”179.
Anche in questo caso si può notare come la Corte adotti un
approccio sostanzialistico alla questione del giudicato in quanto
richiama ai fini della decisione la precedente sent. n. 88 del 1966
in cui si legge che al legislatore è “precluso non solo che la norma
dichiarata incostituzionale conservi la propria efficacia, bensì il
perseguire e raggiungere anche se indirettamente esiti
corrispondenti a quelli già ritenuti lesivi dalla Costituzione”180.

178
Punto 4 del Cons. in dir. La decisione della Corte è stata criticata da S.
Mangiameli, Indennizzo e serio ristoro, ovvero: dell’impossibilità di dare un seguito
legislativo ad una sentenza-indirizzo della Corte costituzionale, in Giur. Cost., 1983,
1353 ss. Ad avviso di A. Pizzorusso, L’attività della Corte costituzionale nella
sessione 1982/1983, in Foro it., 1983, V, 186, nota 24, il giudice del processo
principale avrebbe dovuto ricavare direttamente la norma da applicare al caso
concreto, evitando di sollevare questione di legittimità costituzionale, dal momento
che la sentenza n.5/1980 era di per sé autoapplicativa.
179
Così F. Dal Canto, Il giudicato costituzionale nel giudizio sulle leggi, cit., 268.
180
Punto 3 del Cons. in. dir.

86
Può notarsi in definitiva come appare rilevante per accertare il
contrasto con il giudicato, oltre la riproduzione della norma anche
la persistenza del vizio originario.
Nella decisione in esame viene richiamata anche la precedente
sent. n. 73 del 1963, la quale statuisce in modo chiaro che al
legislatore è precluso prolungare la vita di norme dichiarate
illegittime sino all’entrata in vigore di una nuova disciplina del
settore, segno quest’ultimo che esclude la possibilità di ammettere
l’espediente delle soluzioni transitorie181.

7. Sentenza n. 922/1988: il giudicato sulle pronunce


additive

Suscita particolare interesse in quanto la Corte costituzionale si è


trovata a dover sindacare la violazione del giudicato
costituzionale utilizzando come parametro una norma da essa
stessa creata in via interpretativa in un precedente giudizio.
Oggetto della censura è l’art. 399, primo comma, c.p.p., come
sostituito dall’art. 11 della l. n. 400 del 1984 “nella parte in cui
esclude il diritto dell’imputato di proporre appello, ai fini e nei
limiti dell’art. 152, comma 2, dello stesso codice, contro la
sentenza istruttoria del pretore che l’abbia prosciolto per
amnistia”.
Secondo i giudici a quibus la norma impugnata si sarebbe posta in
contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., ma in particolare avrebbe

181
È stato osservato da G. Lombardi, Riproduzione transitoria di norme illegittime ed
elusione del giudicato, in Giur. cost., 1982, 1342,
che la sentenza ha posto fine all’espediente, inammissibile nel nostro ordinamento,
delle soluzione transitorie.

87
violato l’art. 136 Cost., in riferimento alla sentenza additiva della
Corte n. 224 del 1983.
La Corte nell’accogliere la questione per la violazione dell’art.
136 Cost., ritiene assorbiti di altri vizi e soprattutto per la prima
volta, ripristinò il decisum di una sentenza additiva, confermando
che, nella prospettiva del giudicato, le decisioni di tipo additivo si
pongono sullo stesso piano di quelle di accoglimento semplice
quindi vincolanti per il legislatore.
E’ poi interessante notare come l’argomento del mutato contesto
normativo nel quale si era inserita la sent. n. 224 del 1983 poteva
costituire un valido motivo per escludere la violazione del
giudicato costituzionale, viene presa in considerazione dalla Corte
e superata nella parte in cui “non è consentito ridare nuova
efficacia giuridica a una norma che ha perduto efficacia in
conseguenza della sentenza di illegittimità, a meno che, tenuto
conto di tutte le circostanze, il quadro normativo in cui si è
inserito l’articolo subentrante risulti mutato rispetto a quello in cui
si colloca la pronuncia della Corte”.182
Anche in questo caso si può quindi notare come la Corte abbia
mantenuto un approccio sostanzialistico in materia di giudicato.

182
Punto 4 del Cons. in. dir.

88
8. Sentenza n. 545/1990: la prima lesione accertata nel
giudizio sulle leggi in via principale

La decisione desta interesse perché rappresenta il primo caso in


cui la Corte accerta la violazione del giudicato costituzionale
nell’ambito di un giudizio in via principale.
La pronuncia sembra perfettamente in armonia con la
giurisprudenza formatasi in tema di giudicato sui giudizi in via
incidentale.
Con la sent. n. 167 del 1987 la Corte aveva dichiarato illegittima,
perché contraria all’art. 54, n. 6, dello Stato speciale del Trentino
Alto Adige, l’art. 3, comma 7, della legge n. 298 del 1976 nella
parte in cui non disponeva che i rappresentanti provinciali membri
del comitato misto paritetico, venissero nominati dalla Giunta
provinciale anziché dal presidente della Giunta regionale previa
designazione del Consiglio.
Tale norma era stata successivamente riprodotta dall’art. 1,
comma 6, della l. n. 104 del 1990, trasferendo ancora una volta il
potere di nomina al solo presidente della Giunta. La legge viene
quindi impugnata dalla sola provincia di Trento, per violazione
oltre dell’art. 54 dello Statuto, anche del 136 Cost..
La Corte con sent. 545 del 1990 dichiara costituzionalmente
illegittimo l’art. 1, comma 6, della legge n. 104 del 1990 nella
parte in cui non prevede che i rappresentanti delle due province
autonome di Trento e Bolzano183, in seno al comitato misto
paretetico, sia nominati dalla Giunta rispettiva.

183
Malgrado il nuovo ricorso fosse stato presentato dalla sola provincia di Trento, la
Corte estende espressamente il dispositivo anche a quella di Bolzano, avendo
quest’ultima in comune lo stesso Statuto.

89
Giova in questo caso evidenziare come il parametro di cui all’art.
136 Cost., viene richiamato “a fortiori”, e solo successivamente
all’art. 54, n. 6 dello Stato speciale.

9. Sentenza n. 350/2010: la priorità logica del vizio di


violazione del giudicato costituzionale

Anche in questo caso trattasi di una sentenza di accoglimento per


violazione del giudicato costituzionale su un giudizio in via
principale, ricostruiamone la complessiva vicenda.
Con la sentenza n. 62 del 2008, la Corte aveva sindacato l’art. 20,
secondo comma, della legge n. 4 del 2006 della provincia
autonoma di Bolzano, in base alla quale la Giunta provinciale
poteva, riguardo all’obbligo e alle modalità di iscrizione all’albo
nazionale di gestori ambientali “emanare (…) norme in deroga,
onde consentire l’iscrizione con procedure semplificate per
determinate attività ossia l’esenzione dall’obbligo di iscrizione”.
Secondo la Corte tale norma deve considerarsi costituzionalmente
illegittima perché contraria all’art. 9, numero 10, dello Statuto
speciale del Trentino Alto Adige, secondo il quale le province
autonome di Trento e Bolzano emanano norme legislative, nel
rispetto dei principi giuridici dell’ordinamento della Repubblica,
in materia di “igiene e sanità”. La norma impugnata era in
contrasto con l’art. 112 del d.l. n. 152 del 2006 secondo cui
l’iscrizione all’albo nazionale gestori ambientali è requisito per lo
svolgimento delle attività di raccolta e trasporto di rifiuti e di altre
attività connesse.

90
Secondo la Corte “l’adozione di norme e condizioni per l’esonero
dall’iscrizione ovvero per l’applicazione in proposito di procedure
semplificate attiene necessariamente la competenza statale
nell’osservanza della pertinente normativa comunitaria”.
La disciplina dei rifiuti rientra infatti, nell’ambito della “tutela
dell’ambiente e dell’ecosistema”, di competenza esclusiva dello
Stato, in base all’art. 117, secondo comma, lett. s.), Cost. si deve
comunque ritenere che allo Stato “sia riservato il potere di fissare
standard di tutela uniformi sul territorio nazionale, restando ferma
la competenza delle regioni alla cura di interessi funzionalmente
collegati con quelli propriamente ambientali”184.
Successivamente, la norma annullata dalla Corte, veniva
sostanzialmente riprodotta dal legislatore provinciale, infatti l’art.
16, comma 6, della legge della provincia autonoma di Bolzano n.
4 del 2008, aggiungendo un comma 3 all’art. 20 della legge n. 4
del 2006 disponeva che “con riguardo all’obbligo ed alle modalità
di iscrizione all’albo nazionale, la Giunta provinciale può
emanare disposizione per regolamentare le procedure e l’obbligo
di iscrizione”. Da qui il ricorso del Presidente del Consiglio
avverso la norma de qua, per contrasto con l’art. 212 del decreto
legislativo n. 152 del 2006, sulla base di quanto già osservato
dalla Corte con la sent. n 62 del 2008.
La consulta, con la sent. n. 315 del 2009 accoglie la questione
dichiarando l’incostituzionalità della norma, in riferimento agli
artt. 8 e 9 dello Statuto, nonché dell’art. 117, comma 1 – essendo
il decreto legislativo n. 152 del 2006 adottato in attuazione della
normativa europea – e comma 2, lett. s.), Cost., ritenendo che “la
norma provinciale impugnata, attribuendo la Giunta la

184
Cfr. sent. n. 62 del 2008, punto 7 del Cons. in. dir.

91
determinazione delle condizioni per l’iscrizione all’albo, in ogni
caso finisce per sostituire alla normativa nazionale l’atto della
Giunta, in violazione della competenza statale esclusiva esercitata
con l’art. 212 del decreto legislativo n. 152 del 2006, che ha
disciplinato in maniera inderogabile procedure e termini
d’iscrizione all’albo nazionale dei gestori ambientali, peraltro in
adempimento degli obblighi comunitari contenuti nella citata
direttiva 5 Aprile del 2006, n. 2006/18/CE”185.
A distanza di meno di un mese dalla sent. n. 315 del 2009, la
provincia di Bolzano riproduceva sostanzialmente la norma
annullata con l’art. 18, comma 2, della legge n. 2 del 2009 in
materia di bilancio di previsione, secondo cui “la Giunta
provinciale può disciplinare le procedure e l’obbligo d’iscrizione
all’albo nazionale gestori ambientali di cui all’art. 20”.
Il Presidente del Consiglio impugna nuovamente la disciplina per
violazione degli artt. 117, comma 1 e comma 2, lett. s.) e 136
Cost., nonché degli artt. 4, 5, 8 e 9 dello Statuto del Trentino Alto
Adige.
Ad avviso del ricorrente la normativa impugnata, nel modificare
la l. prov. n. 4 del 2006 in materia di gestione dei rifiuti e tutela
del suolo, aveva inserito un nuovo comma, in tema di albo di
gestori ambientali, che il vigente quadro costituzionale affidava
allo Stato e riproducendo lo stesso articolo contenuto nella l. prov.
n. 4 del 2008 già dichiarato illegittimo dalla Corte con sent. n. 62
del 2008, in violazione del giudicato costituzionale.
La Corte con sent. 350 del 2010 accoglie i motivi del ricorso per
violazione dell’art. 136 Cost., ritenendo assorbite le ulteriori
censure.

185
Cfr. sent. n. 315 del 2009, punto 8.1 del Cons. in. dir.

92
Nella sentenza in commento possiamo anzitutto osservare come
la Corte decide che “nel caso di specie, la questione relativa alla
violazione del giudicato costituzionale riveste carattere di priorità
logica rispetto alle altre, poiché essa attiene all’esercizio stesso
del potere legislativo, che sarebbe inibito dal precetto
costituzionale di cui si assume la violazione”186, inoltre viene
ribadito come l’art. 136 Cost., impone al legislatore di “accettare
l’immediata cessazione dell’efficacia giuridica della norma
illegittima, anziché prolungarne la vita sino all’entrata in vigore di
una nuova disciplina di settore” quindi “le decisioni di
accoglimento hanno per destinatario il legislatore stesso, al quale
è quindi precluso non solo il disporre che la norma dichiarata
incostituzionale conservi la propria efficacia bensì il perseguire e
raggiungere, anche se indirettamente, esiti corrispondenti a quelli
ritenuti lesivi dalla Costituzione”187.

10. Sentenza n. 245/2012: la reiterata violazione del


giudicato costituzionale quale condizione per
l’esecuzione delle sentenze costituzionali

Decisione di particolare interesse, soprattutto per il monito con il


quale quest’ultima si chiude dai “toni tanto forti quanto
inusuali”188.

186
Punto 3 del Cons. in. dir.
187
Punto 5 del Cons. in. dir., nella specie la Corte richiama quali precedenti, le sentt.
nn. 922 del 1988; 78 del 1992 e 262 del 2009.
188
F. Dal Canto – E. Rossi, Aggiornamenti in tema di processo costituzionale (2011-
2013), 251.

93
Nel caso di specie era stato impugnato in via principale dal
Presidente del Consiglio, l’art. 1 della legge della regione Puglia
n. 28 del 2011189, con la quale si era cercato di porre fine ad una
complicata situazione risalente al 1997 – 1998.
In quegli anni la regione Puglia aveva bandito alcuni concorsi
pubblici riservandone la partecipazione ai soli impiegati regionali
inquadrati nella qualifica immediatamente inferiore a quella per
cui era stata avviata la selezione.
Tale riserva era divenuta oggetto di un contenzioso che attraverso
il giudice amministrativo era arrivato alla Corte costituzionale, la
quale, con sent. n. 373 del 2002 ne aveva dichiarato l’illegittimità
costituzionale per violazione dell’art. 97, comma 3, Cost., in
quanto riservava integralmente i posti messi a concorso al
personale interno mentre dovevano essere soggetti alle regole del
pubblico concorso.
Gli esiti di tali procedure furono fatti salvi dalla sanatoria prevista
dall’art. 59, comma 3 della l. n. 14 del 2004190 della regione
Puglia, la quale inoltre indiceva un nuovo concorso, questa volta
non riservato agli interni, per la copertura di un limitato numero di
posti191 (60 degli originari 863 posti).
Ed è proprio il ridotto numero di posti banditi a divenire oggetto
di un nuovo contenzioso amministrativo e di un successivo nuovo
giudizio di costituzionalità, promosso dal Consiglio di Stato, e
deciso con sent. n. 354 del 2010, per violazione di principi di
imparzialità e buon andamento dell’amministrazione oltre che per

189
Misure urgenti per assicurare la funzionalità dell’amministrazione regionale.
190
Assestamento e prima variazione al bilancio di previsione per l’esercizio
finanziario del 2004.
191
Dato che il fabbisogno di personale era quasi interamente soddisfatto grazie alla
sanatoria.

94
essere una “legge provvedimento che incide sugli effetti di un
giudicato e quindi con l’esercizio della funzione giurisdizionale”.
A seguito di questa nuova pronuncia costituzionale la regione
Puglia approva la l. reg. n. 28 del 2011 dove si stabiliva che i
dipendenti interessati dagli effetti della sent. n. 354 del 2010
fossero adibiti alle mansioni proprie delle categorie in cui erano
inquadrati alla data di pubblicazione della pronuncia “in via
eccezionale e ad esclusivo fine di garantire la continuità
dell’attività amministrativa e la funzionalità della uffici regionali,
nelle more dell’esperimento” di nuove procedure concorsuali per
la copertura dei posti resisi vacanti in conseguenza della sent. del
2010.
Il Presidente del Consiglio dei ministri promosse quindi la
questione di costituzionalità, in quanto ad avviso dell’Avvocatura
dello Stato, la regione oltre a perseverare nella violazione dei
principi di imparzialità e buon andamento della P. A., già
precedentemente violati, ha nuovamente eluso gli effetti del
giudicato costituzionale ex. 136 Cost..
La difesa della regione affermò come il carattere transitorio ed
eccezionale della previsione censurata ne avrebbe attestato la
legittimità costituzionale, rendendola “addirittura
costituzionalmente necessaria” perché diretta ad evitare
l’interruzione dell’attività amministrativa.
La Corte accoglie con sent. 245 del 2012 la questione per
violazione dell’art. 136 Cost., in quanto la regione aveva
“prolungato nel tempo” gli effetti delle disposizioni dichiarate
illegittime, senza accertarne, l’immediata cessazione.

95
Successivamente prima di dichiarare assorbite le ulteriori censure,
ribadisce il contrasto della disposizione impugnata con gli artt. 3 e
97 Cost., rinviando le precedenti decisioni del 2002 e del 2010.
Si può leggere dal testo della sentenza come “la Corte rileva con
preoccupazione che la regione Puglia continua ad approvare
disposizioni legislative contrastanti con gli artt. 3 e 97 Cost.,
senza ottemperare a ben due giudicati costituzionali.
Come sottolineato da lungo tempo dalla giurisprudenza di questa
Corte sull’art. 136 Cost., poggia il contenuto pratico di tutto il
sistema di garanzie costituzionali”192.
La decisione in commento non presenta profili di novità in tema
di giudicato, anzi riassume alcune posizioni che la Corte ha
assunto nell’arco di circa 40 anni riguardo al vizio in esame.
Ciò che si può rilevare invece in modo particolare dalla
decisione, è il durissimo monito richiamato sopra che “fa velo
all’intrinseca debolezza del giudicato costituzionale e alla
difficoltà oggettiva di preservarne l’integrità. Del resto, nel
processo costituzionale, per ragioni ovvie non è prevista alcuna
esecuzione del giudicato ne alcun giudice dell’ottemperanza e
sebbene delle peculiari conseguenze giuridiche possano essere
prospettate, tuttavia non vi è niente che possa assomigliare alle
forme di tutela dalle quali tale istituto è assistito negli altri

192
Punto 5 del Cons. in. dir. la singolarità dell’affermazione è stata sottolineata da vari
commentatori: cfr. A. Celotto, Razionalità vs. ragionevolezza nel controllo di
costituzionalità (a margine di un concorso dichiarato incostituzionale per la terza
volta), in giur. Cost. 2012, 3716, F. Dal Canto, Sulla violazione del giudicato
costituzionale la Corte fa la voce grossa, ivi, 3720 discorre di uno sfogo “dai toni
tanto forti quanto inusuali”, con cui si è manifestato “lo stato di vera e propria
irritazione, anzi di sostanziale frustrazione, dinanzi al ripetuto, irriverente attacco
perpetrato dal legislatore regionale alla regola che rappresenta la garanzia ultima della
rigidità costituzionale”. A riguardo D. Nocilla, Reiterazione d’ illegittima conferma
degli effetti di disposizione dichiarata incostituzionale e violazione del giudicato, in
giur. it. 2013, 1762 si domanda però “se la Corte, di fronte ad analoghi
comportamente il legislatore statale, li avrebbe censurati (…) con altrettanta
lentezza”.

96
processi giurisdizionali. Il vincolo del giudicato costituzionale si
rivela un obbligo giuridico non sorretto da alcuna sanzione se non
quella di una nuova pronuncia di incostituzionalità con il rischio
di una spirale potenzialmente senza fine”193.
Questa preoccupazione, circa la debolezza del giudicato
costituzionale sembrerebbe essere confermata già l’anno
successivo, in quanto con sent. 73 del 2013194 la Corte ha
espressamente richiamato il proprio monito, si legge infatti nella
motivazione l’ennesimo sfogo “la Corte ha già notato con
preoccupazione che la regione Puglia continua ad approvare
disposizioni legislative contrastanti con gli artt. 3 e 97 Cost.,
senza ottemperare ai giudicati costituzionali (sent. n. 845 del
2012). Questo ricorso ormai relativamente frequente da parte
della regione a procedure dichiarate costituzionalmente illegittime
rappresenta, tra l’altro, una violazione del giudicato costituzionale
ex art. 136 Cost. infatti, il giudicato costituzionale è violato non
solo quando il legislatore emana la norma che costituisce una
mera riproduzione di quella già ritenuta lesiva dalla Costituzione
ma anche là dove la nuova disciplina miri a perseguire e
raggiungere anche se indirettamente esiti corrispondenti (…),
come avviene il caso in esame, in cui la legislazione regionale,
pur non riproducendo formalmente la procedura di stabilizzazione

193
Così F. Dal Canto, Sulla violazione del giudicato costituzionale la Corte fa la
voce grossa, cit., 3327.
194
Riguardante sempre un ricorso promosso dallo Stato avverso una legge della
regione Puglia con la quale si era previsto che gli enti del servizio sanitario nazionale
nell’intervallo di tempo per la copertura dei posti vacanti, avrebbero potuto avvalersi
del personale selezionato in base alle procedure previste da una legge dichiarata
incostituzionale con una precedente decisione (sent. n. 42 del 2011) ovvero senza
pubblico concorso, solo che in questo caso il ricorrente non aveva espressamente
lamentato la violazione dell’art. 136 Cost. quindi alla Corte non resta che dichiarare la
norma riproduttiva incostituzionale per violazione degli stessi parametri a suo tempo
non rispettati.

97
già dichiarata illegittima, ne utilizza gli esiti in spregio ai principi
enunciati da questa Corte”.
Alla luce di tali considerazioni, relativi alla vicenda in commento
parte della dottrina si è chiesta se fosse rinvenibile nel nostro
ordinamento, una qualche forma di esecuzione del giudicato
almeno nel caso in cui la reiterata violazione del giudicato
costituzionale venga perpetrata dal legislatore regionale, come nel
caso di specie.
Si allude alla possibilità di attivare rimedi, più gravi rispetto alla
semplice declatoria di illegittimità, che l’ordinamento predispone
per il caso di compimento di atti contrari alla Costituzione,
previsti dall’art. 126, primo comma, della Carta: lo scioglimento
del Consiglio regionale e la rimozione del Presidente della Giunta.
Si tratta di uno strumento di risoluzione di gravissime frizioni tra
Stato e regioni ad oggi per altro mai attivato, che si basa sui
presupposti fattuali piuttosto elastici se non generici, sui quali la
dottrina ha assunto posizioni differenziate195, ma accumunate dal
carattere di extrema ratio che dovrebbe assumere il ricorso a tale
strumento.
Parte della dottrina si è quindi chiesta se, la reiterata violazione
del giudicato costituzionale, costituendo sintomo della volontà di
sottrarsi alle decisioni della Corte e dunque mettendo in
discussione il primato della Costituzione, possa inserirsi a pieno
titolo nella nozione di cui all’art. 126, primo comma, Cost., quindi
come violazione dei principi fondanti del sistema.

195
Di “situazioni di non facile definizione” e di “equivocità dei presupposti” per F.
Cuocolo, Lo scioglimento dei Consigli regionali dopo la riforma del titolo V, cit., 673
s. Contra, A. Bardusco, Scioglimento del Consiglio regionale, in enc. dir., agg. II,
Milano 1998, 960, secondo cui solo le ragioni di sicurezza nazionale non
costituirebbero una fattispecie sufficientemente puntuale.

98
Alcuni autori hanno ritenuto che se sul rispetto dell’art. 136 Cost.,
“poggia il contenuto pratico di tutto il sistema delle garanzie
costituzionali”196 allora “sembra dunque ragionevolmente
ipotizzabile, anche sulla confortante scorta di talune opinioni
dottrinali, che – superato un certo segno – un atteggiamento di
sistematica approvazione di leggi incostituzionali, aggravano
(recitus, reso palese) dalla violazione di precedenti decisioni della
Corte, rispetto alle quali, il legislatore regionale operasse
tamquam non essent, possa integrare la fattispecie prevista
dall’art. 126”197.
Tale impostazione nel tentativo di far rientrare la ripetuta
violazione del giudicato costituzionale nella nozione di “atti
contrari alla Costituzione” ex art. 126, Cost., cerca di risolvere il
suo mancato rispetto, spostando però la facoltà di applicare la
sanzione ad organi politici, la quale imparzialità potrebbe
risultarne viziata.
Sembrerebbe forse preferibile la soluzione prospettata da altra
parte della dottrina per l’esecuzione delle sentenze della Corte
costituzionale in caso di mancato adeguamento da parte della
regione: ossia lo strumento del potere sostitutivo, come
disciplinato dall’art. 120, secondo comma, Cost., in quanto
costituirebbe “l’unica ipotesi prevista dall’ordinamento di rimedio

196
Cfr. le sentt. nn. 73 del 1963 e 245 del 2012.
197
Così A. Turturro, La reiterata violazione del giudicato costituzionale come “atto
contrario alla Costituzione” ex. art. 126 della Carta: spunti di riflessione, in le
regioni, 3/2014, 539. L’autore precisa, come non ritiene applicabile lo strumento
previsto dall’art. 126, primo comma Cost., ai casi decisi con le sentt. nn. 245/2012 e
73/2013. Cfr. E. Gizzi, Lo scioglimento dei consigli, cit., 67, il quale precisa il
bisogno di accertare la pretesa del Consiglio “di voler superare o obliterare i limiti
posti alla potestà normativa regionale” e T. Martines, Il Consiglio regionale, cit., 789
secondo cui “la persistente emanazione di legge ed atti amministrativi
costituzionalmente illegittimi si risolve (…) nel compimento di atti contrari alla
Costituzione”, un’apertura in questo senso in C. De Fiores, sub. art. 126, in
Commentario alla Costituzione, a cura di R. Bifulco, A. Celotto e M. Olivetti, 2006,
126.

99
giuridico contro la violazione o elusione del giudicato
costituzionale, ovvero l’unica ipotesi di ottemperanza legale ad
una pronuncia del giudice delle leggi”198, in quanto in assenza di
una leale collaborazione inter istituzionale l’intangibilità del
giudicato viene meno.

11. Sentenza n. 72/2013: il rispetto del giudicato


costituzionale non ammette espedienti.

Trattasi di un giudizio in via principale, in cui il Presidente del


Consiglio aveva impugnato gli artt. 19 e 32 della l. reg. Basilicata
n. 26 del 2011199, il ricorrente riguardo l’art. 19 della citata legge
aveva rammentato come lo stesso preveda il rinvio alle finalità di
cui all’art. 14, comma 1, della legge regionale n. 31 del 2008 –
che detta la disciplina sostanziale della disposizione finanziaria
oggetto di impugnativa – più volte sostituita da varie leggi
novellatrici. Nell’ordine la l. reg. 27 del 2009 a sua volta sostituita
all’art. 33, comma 2 da prima dall’art. 19, comma 1, della l. reg.
n. 42 del 2009 e poi dall’art. 1 reg. n. 10 del 2010.
Ebbene tali ultime disposizioni sostitutive sono state dichiarate
costituzionalmente illegittime con la sent. n. 67 del 2011, per
violazione dell’art. 97 Cost. sul rilievo che esse prevedessero la
promozione della stabilizzazione dei soggetti contemplati senza
anche prevedere che questi dovessero superare un pubblico
concorso.

198
F. Dal Canto – E. Rossi, Aggiornamenti in tema di processo costituzionale (2011-
2013), 259.
199
Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della regione
Basilicata – legge finanziaria del 2012.

100
Ad avviso del ricorrente la disposizione ora censurata,
procedendo a finanziare nuovamente, per l’anno 2012, le
procedure per la stabilizzazione del medesimo personale,
contrasterebbe, con gli artt. 3 e 97, nonché con l’art. 136 Cost. per
le sue connotazioni di carattere provvedimentale, essa andrebbe
assoggettata ad un rigoroso scrutinio di non arbitrarietà e di
rispetto del principio di legalità dell’azione amministrativa; e
d’altra parte, mirando a reintrodurre la disciplina già dichiarata
costituzionalmente illegittima, presenterebbe gli stessi vizi di
quella espunta dall’ordinamento.
La Corte accoglie la questione, e dichiara come “assume carattere
pregiudiziale ed assorbente (…) il profilo della lamentata
violazione dell’art. 136 Cost.”200.
In particolare, la regione resistente aveva sostenuto che tale
specifica censura dovesse essere respinta, atteso che la
disposizione impugnata, facendo riferimento testuale ad una
modifica intervenuta su una legge del 2008, ricava una previsione
antecedente alle disposizioni già dichiarate costituzionalmente
illegittime, restando perciò estranea all’influenza del giudicato
costituzionale.
Ma, per la Corte, la circostanza che la regione abbia operato un
richiamo meramente formale ad una disciplina previgente “finisce
per costituire, quindi, un semplice espediente, che non può
impedire di cogliere la sostanza della volontà legislativa di
mantenere in piedi o di ripristinare, sia pure indirettamente, in
contrasto col sistema dell’efficacia delle decisioni caducatorie, gli

200
Punto 6 del Cons. in. dir.

101
effetti di quella struttura normativa che aveva formato oggetto
della richiamata pronuncia di illegittimità costituzionale”201.
Possiamo osservare come per la Corte il vizio di violazione del
giudicato assuma priorità logica rispetto agli altri parametri che
rimangono assorbiti inoltre la Corte accoglie una lettura
sostanziale del giudicato costituzionale.

12. Sentenza n. 169/2015: l’obbligo del rispetto del


giudicato costituzionale

Con questa decisione la Corte costituzionale ha chiuso


definitivamente la nota vicenda sugli “affitti in nero”, dichiarando
l’incostituzionalità della normativa che aveva permesso la
registrazione dei “contratti in nero”, imponendo un contratto di
locazione di impero (4+4 anni) con canone pari al triplo della
rendita catastale dell’immobile (praticamente un canone mensile
pari – il più delle volte – a poche decine di euro e raramente
superiore ai cento euro), ma ricostruiamone brevemente i passaggi
oggetto della sentenza in commento.
Con l’art. 3 del D.lgs. 23 del 2011 ai commi 8 e 9 il legislatore
emanava una serie di norme volte a favorire l’emersione degli
affitti in nero.
Tale disciplina ha portato sei tribunali a sollevare – in riferimento
agli artt. 3, 23, 41, 42, 53, 55, 70, 76 e 97 della Cost. – questione
201
Ibidem.

102
di legittimità costituzionale che la Corte accoglie per contrasto
con l’art. 76 Cost., sotto il profilo del difetto di delega, ritenendo
assorbiti gli ulteriori profili di legittimità prospettati.
Successivamente il legislatore, nell’intento di trovare un rimedio
se pur “temporaneo” alla grave situazione creatasi202, approva la l.
80 del 2014 che nel convertire il d.l. n. 47 del 2014, introduce la
previsione secondo cui sono “salvi, fino alla data del 31 Dicembre
del 2015 gli effetti prodottisi e rapporti sorti sulla base dei
contratti di locazione registrati ai sensi dell’art. 3 commi 8 e 9 del
D.lgs. 14 Marzo 2011 n. 23”203, provocando quindi una sorta di
ultrattività della precedente disciplina dichiarata incostituzionale.
Su tale nuova legislazione, viene sollevata questione di
illegittimità da parte del tribunale di Napoli in quanto la
previsione di salvezza dei rapporti in corso risulterebbe in
contrasto con l’art. 136 Cost., essendosi nuovamente introdotta
nell’ordinamento giuridico una disposizione legislativa oggetto di
dichiarazione di incostituzionalità. La norma contestata infatti, ha
nella sostanza, prorogato l’efficacia e la validità dei contratti di
locazione e registrati sulla base delle disposizioni
successivamente dichiarate illegittime.
In questo modo, si continuerebbe ad attribuire al conduttore il
vantaggio di sottrarsi all’adempimento integrale del contratto
stipulato, consentendo il pagamento del c.d. “canone catastale”
notoriamente inferiore a quello di mercato.

202
Soggetti, quali ad esempio, i conduttori delle locazioni abitative che hanno fatto
incolpevole affidamento sulla registrazione dei c.d. “fitti in nero”, previsti dai commi
8 e 9 del D.lgs. n. 23 del 2011 si vedono ora esposti in seguito alla dichiarazione di
incostituzionalità della legge agli esiti negativi di un giudizio di sfratto per morosità e
per finita locazione.
203
Con lo scopo di concedere un lasso di tempo ai proprietari e ai conduttori per poter
prevenire la lite in via transativa e scongiurare il rischio delle relative azioni legali.

103
Di contro l’avvocatura dello Stato ha osservato come, essendo
stata la declatoria di illegittimità pronunciata per ragioni formali
(eccesso di delega), non dovrebbe intendersi preclusa una nuova
disposizione che abbia, nella sostanza, reintrodotto la disciplina
censurata, inoltre la nuova norma sarebbe del tutto diversa dalla
precedente in quanto adottata sul presupposto del mutato contesto
sociale di riferimento e della grave situazione di allarme sociale
prodottasi nei confronti dei contraenti deboli (locatari) a seguito
della invalidità dei contratti eterointegrati dalla legge.
La Corte, pur riconoscendo al legislatore il potere di disciplinare
con un nuovo atto la stessa materia, ravvisa nel caso in esame un
contrasto palese, di “portata addirittura letterale”204 con il
giudicato costituzionale di cui all’ art. 136 Cost. e ritiene preclusa
al legislatore “salvare, e cioè mantenere in vita o ripristinare gli
effetti prodotti da disposizioni che, in ragione della dichiarazione
di illegittimità costituzionale, non sono più in grado di
produrne”205 prolungando, se pur in via transitoria, l’efficacia di
norme che, ai sensi dell’art. 30 comma 3, della l. n. 87 del 1953
“non possono avere applicazione dal giorno successivo alla
pubblicazione della decisione”.
Uno degli aspetti più particolari della sentenza in commento è
come la Corte colga l’occasione per ribadire come “essa sin da
epoca ormai risalente non abbia mancato di sottolineare il
rigoroso significato della norma contenuta nell’art. 136 Cost.”
sulla quale “poggia il contenuto pratico di tutto il sistema delle
garanzie costituzionali, in quanto essa toglie immediatamente
ogni efficacia alla norma illegittima, senza possibilità di

204
Punto 3 del Cons. in. dir.
205
Ibidem.

104
compressioni o di incrinature nella su rigida applicazione”206
richiamando quasi tutte le precedenti decisioni di accoglimento
per le violazioni del giudicato quasi a scopo didattico nei
confronti di un maldestro e non appropriato intervento del
legislatore in tema di lotta all’evasione fiscale207.
La Corte quindi dichiara la norma costituzionalmente illegittima
per violazione dell’art. 136 Cost., restando assorbiti i profili di
illegittimità relativi agli altri parametri.
La vicenda in esame consente di avanzare alcune riflessioni circa
la possibilità di introdurre, nonostante l’assenza di un obbligo in
tal senso, la motivazione208 su quegli atti ove la violazione del
giudicato costituzionale si presenta sin dall’inizio, se non certa
assai probabile, ferma restando ovviamente la piena libertà del
giudice costituzionale di non ritenere “ragionevoli” tali
giustificazioni.
Con particolare riferimento alle leggi “temporanee” – come quella
del caso in esame – l’esigenza della motivazione sembra divenire
ancora più necessaria, in relazione alle finalità costituzionali da
esse perseguite, in quanto formerebbero “elemento costitutivo
della legittimità dell’atto derogante”209.

206
Ibidem.
207
Lasciando adesso irrimediabilmente molti inquilini nell’alternativa tra pagare gli
arretrati dei canoni di affitto richiesti dai locatari (pari alla differenza tra quanto
inizialmente concordato in “nero” e quanto versato con il canone minimo) o esporsi a
procedure di sfratto. Secondo Crisafulli non è configurabile una responsabilità a
carico di chi si sia conformata la legge pur se questa venga in un momento successivo
riconosciuta come illegittima, Lezioni di diritto costituzionale, II, V ed., Padova,
1984, 391, in senso contrario A. Pace, Superiorità della Costituzione e sindacato sulle
leggi, cit., 4821 ss., e M. Masaracchia, Non obbligatorietà della legge, cit., 747 ss.,
che configurano una responsabilità del cittadino a titolo di colpa.
208
Cfr. F. Dal Canto, Il giudicato, cit., 201 ss., L. Ventura, Motivazione degli atti
costituzionali, cit., 111 ss., C. Salazar, La motivazione nella più recente produzione
legislativa: niente di nuovo sotto il sole?, in ras. Parl., 1996, 417 ss., N. Lupo, Alla
ricerca della motivazione delle leggi: le relazioni ai progetti di legge in Parlamento,
in AA. VV., osservatorio sulle fonti 2000, a cura di U. De Siervo, Torino 2001, 67 ss.
209
L. Ventura, Motivazione degli atti costituzionali, cit., 111 ss.

105
Questa impostazione del tutto condivisibile potrebbe porsi come
una possibile soluzione al fine di ristabilire il giusto equilibrio, tra
i due organi costituzionali, al fine di creare una situazione di
dialogo e leale cooperazione.

106
Conclusioni

La presente trattazione ha avuto ad oggetto sia le teorie dottrinali


in tema di giudicato costituzionale, sia le ricostruzioni
giurisprudenziali della Corte sulle caratteristiche dell’istituto,
vista anche la carenza di indicazioni esaurienti provenienti dal
diritto positivo.
Si è visto come, è opinione ormai largamente condivisa in dottrina
che il Giudice delle leggi, nonostante le marcate differenze tra il
processo costituzionale e quello civile, che rendono non
praticabile la “recezione automatica e tralaticia delle regole del
processo civile e amministrativo”210, operi secondo “modalità e
garanzie processuali”211.
Impostazione che ha portato a considerare la nozione di processo
e quella di giurisdizione come non coincidenti, poiché il metodo
processuale “non è esclusivo della giustizia, sebbene è uno
schema di teoria generale, utilizzabile e utilizzato aldilà della
giurisdizione, in qualsiasi settore dell’ordinamento”212, di
conseguenza trovano applicazione di fronte alla Corte i tipici
istituti processuali, come il giudicato, che pur nei limiti di
compatibilità con la particolarità delle sue funzioni, che la fanno
avvicinare all’interno della categoria del diritto processuale
generale, salvo verificando di volta in volta aspetti comuni ed

210
Così, F. Saja, La giustizia costituzionale nel 1988, in foro.it., 1989, V, 174.
211
Cfr. Corte cost., sent. n. 13 del 1960.
212
Così E. Fazzalari, voce Procedimento e processo (teoria generale), in enc. dir.
XXXV, 1986, 821., condividono l’idea per la quale l’esistenza di un “metodo
processuale” quale indizio significativo della qualificabilità dell’organo come giudice
M. Cappelletti, Il controllo di costituzionalità delle leggi nel quadro delle funzioni
dello Stato, 402 ss. e G. A. Monteleone, Giudizio incidentale delle leggi e
giurisdizione, 69.

107
aspetti specifici, “come del resto è avvenuto in passato anche per
il processo penale ed amministrativo”213.
Analizzando l’istituto del giudicato, si è visto come esso non
possa essere definito con una nozione unitaria, valida per tutte le
tipologie processuali, ma bensì come una particolare “qualità”
della decisione giurisdizionale, da intendere come immutabilità
dei suoi effetti “questa nuova forza della sentenza e della
decisione in essa contenuta che si riscontra in tutte le specie di
funzione giurisdizionale, civile, penale e amministrativa, è
l’autorità della cosa giudicata”214, funzionale appunto alla
garanzia del medesimo valore delle differenti strutture
processuali: la certezza giuridica.
In questa prospettiva, nessun impedimento vi sarebbe a
riconoscere anche alle pronunce costituzionali la qualità di
giudicato, che trova il suo unico fondamento positivo nel
combinato disposto dell’art. 136 e 137 Cost.: “l’art. 137 deve
insomma leggersi insieme all’art. 136: il primo stabilisce
l’inimpugnabilità delle decisioni in quanto atti, il secondo
stabilisce gli effetti di tali atti, quando il loro contenuto è la
dichiarazione di incostituzionalità della norma contenuta nella
legge (la cessazione di efficacia)”215.
Attribuita quindi in questi termini, la qualità di giudicato alle
decisioni della Corte costituzionale, si è visto come esso abbia per
destinatario il legislatore, aspetto quest’ultimo che ha sollevato i
maggiori dubbi in dottrina ma che ha portato la prevalente nel
ritenere l’operatività del giudicato costituzionale nei confronti del
legislatore, supportata anche da una scarsa ma decisiva

213
Così F. Dal Canto, Il giudicato, 27.
214
E. T. Liebman, Unità del giudicato, cit., 6.
215
Così G. Zagrebelsky, V. Marcenò, Giustizia costituzionale, cit., 417.

108
giurisprudenza costituzionale che nel corso degli anni ha cercato
di delineare i caratteri dell’istituto e la sua funzione di vincolo alla
legislazione.
Dall’esame delle singole decisioni formatesi in tema, possiamo
osservare come la giurisprudenza della Corte sia abbastanza
disorganica e definire ciò che essa intenda per giudicato
costituzionale, sembrerebbe probabilmente un poco forzato.
Nei primi anni di attività si è assistito ad un atteggiamento della
Corte volto a far chiarezza in ordine al grado di vincolatività
dell’art. 136 Cost., definendone i confini e i caratteri, quasi a
scopo “didattico” nei confronti del legislatore e di una
giurisprudenza comune poco pratica se non scettica sull’utilizzo
di tale parametro.
Negli anni successivi, si è sostituito al rigore delle prime
pronunce, un utilizzo più accorto dell’istituto da parte della Corte
“le tecniche decisorie si sono sempre più raffinate, e del vizio in
esame si è fatto ricorso talvolta strategico”216, rendendo lo
strumento assai più sfumato e duttile.
Così facendo, la discrezionalità del Giudice delle leggi e la
conseguente debolezza delle sue motivazioni crescono a
dismisura rendendo l’istituto del giudicato costituzionale
estremamente evanescente, presentando tutt’ora confini non
precisamente delineati217.
Ad ogni modo tralasciando gli utilizzi “strategici” del vizio in
esame da parte della Corte assume rilievo il fatto che il rispetto
delle decisioni della Corte costituzionale si impongono oltre che

216
A. Lollo, A. Morelli, Il giudicato costituzionale nella giurisprudenza della Corte. I
giudizi sulle leggi in via incidentale. In www.rivistaaic.it
217
Il tema del giudicato costituzionale è definito “vexata quaestio” e “complessa
problematica” da P. Costanzo, il dibattito sul giudicato costituzionale nelle pagine
<<giurisprudenza cosituzionale>>, cit., 214.

109
agli organi chiamati ad applicare la legge anche allo stesso
legislatore, statale e regionale, e in questo molto chiaramente la
Corte lo è stata sin dalla prime sentenze.
La violazione del giudicato costituzionale, integra quindi gli
estremi di un vizio di grande rilevanza dal momento che è fondato
sulla ratio del sistma di controllo costituzionalità delle leggi, dove
la Corte è chiamata ad esercitare nei confronti del legislatore un
ruolo di controllore al fine di garantire il rispetto della
Costituzione, presupposto indispensabile della stessa
sopravvivenza dell’ordinamento democratico vigente.

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