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Il desiderio mimetico triangolare: “mediazione esterna”,

“mediazione interna” e gli idoli del desiderio da


Cervantes a Dostoevskij
La mediazione esterna

In Cervantes l’imitazione del proprio idolo si esprime senza infingimenti, usando la


terminologia di Girard, l’eroe si fa “discepolo” serenamente del proprio “modello”
che splende in tutta la sua luce come una divinità olimpica rasserenante.
Nel romanzo Don Chisciotte è la vittima esemplare del “desiderio secondo l’altro”; il
farsi “discepolo”, lungi dall’umiliarlo, libera ed organizza la sua fantasia e dà al suo
animo un impeto che altrimenti gli resterebbe sconosciuto se la luce del “modello”
non illuminasse di senso, per noi folle, la sua esistenza.
Da pusillanime perditempo signorotto di campagna, il suo animo attinge da Amadigi
di Gaule, divinità luminosa e irrangiungibile, un ardore che lo trasforma nel più
temerario dei cavalieri.
Don Chisciotte non pensa mai di poter rivaleggiare con il suo idolo o anche solo di
eguagliarlo in grandezza dato che ai suoi occhi egli troneggia in un cielo
inaccessibile; il “mediatore” rimane all’esterno dell’universo dell’eroe il quale
proclama a piena voce la vera natura mimetica del proprio desiderio, “venera
apertamente il modello e se ne dichiara discepolo”. Il triangolo della “mediazione
esterna” ha il suo vertice ad una altezza vertiginosa, irrangiungibile; la sua luce è
diffusa e serena, il fascio luminoso che emana sul campo esistenziale del “discepolo”
è ancora abbastanza grande da illuminare un vasto universo di oggetti possibili ed
intercambiabili.
Vedremo che man mano che il mediatore si avvicina al discepolo, il suo fascio di luce
si va restringendo fino ad illuminare un unico oggetto che, come una “reliquia”,
racchiuderà in se tutta la “pienezza d’essere” del modello. L’imitazione si fa allora

4
ossessiva e la brama per l’oggetto dolorosa fino a sconvolgere lo spirito del
discepolo.

La mediazione interna

Seguiamo l’itinerario girardiano all’interno della letteratura moderna, da quella che


definisce romantica in cui la vera natura del desiderio è solo “riflessa”, a quella
romanzesca, in cui i personaggi finalmente la “rivelano”.
L’eroe romantico, per Girard, “riflette” il desiderio secondo l’altro ma non lo rivela;
la sua continua ricerca di originalità e l’avversione per tutto quello che è imitazione
riflettono una sua mancanza d’essere che lo spingono a vedere la quintessenza
spirituale nei personaggi e nelle cose che la buona società borghese assume a simbolo
di una romantica natura superiore. Di fatto (ecco la “menzogna romantica” per
Girard) egli vive invece imitando i possessori di questa aureola, ma pretendendosi
uno spirito libero e originale, animato da un desiderio totalmente spontaneo.
Il rapporto discepolo-modello è profondamente mutato, la loro distanza (sociale,
geografica ma soprattutto, dice Girard, “spirituale”) enormemente accorciata.
Siamo già oltre la “mediazione esterna”; l’imitazione serena e spassionata di Don
Chisciotte o i sogni provinciali di Emma Bovary, (in cui però già la frustrazione si
accompagna al desiderio) lasciano il posto al risentimento del vanitoso stendhaliano,
prima figura romanzesca della “mediazione interna”, il quale pare sempre sul punto
di afferrare l’uccello del paradiso, che invece, a questo punto della “mediazione”,
resta sulle spalle del “modello”, questi assume ormai un valore ambivalente:
segretamente venerato come un idolo, apertamente esecrato perché pare sbarrare la
strada al nostro desiderio, ritenuto spontaneo ed autonomo, in realtà suggeritoci
unicamente da questi.

5
Vanità e gelosia

“Perché un vanitoso desideri un oggetto, basta convincerlo che tale oggetto è già
desiderato da un terzo al quale si annetta un certo prestigio.” 1
In Stendhal il mediatore è sceso in terra; non può fare la parte del modello senza
contemporaneamente fare, o sembrare di fare, la parte di ostacolo; Girard definisce “
mediazione interna” questa nuova relazione tra discepolo e modello in cui la distanza
è abbastanza ridotta perchè le due sfere esistenziali si compenetrino più o meno
profondamente.
“In amore, il nostro fortunato rivale, vale a dire il nostro nemico, è un benefattore. A
un essere che stimolava in noi solo un’insignificante desiderio fisico egli attribuisce
un valore immenso ma che noi confondiamo con lui. Se non avessimo rivali, se non
credessimo di averne… Poiché non è necessario che esistano realmente.” 2

Snobismo e risentimento

Per Girard la concezione triangolare del desiderio ci introduce nel punto di


intersezione tra l’amore-gelosia e lo snobismo, uno dei luoghi proustiani per
eccellenza. Nella gelosia il “modello” ci contende un’oggetto particolare, la sua
mediazione resta nascosta, egli ci si presenta nei termini di un rivale. Nello snob
l’oggetto è relegato in secondo piano, lo snobismo non riguarda una categoria
particolare di oggetti; si è snob nel piacere estetico, nella vita intellettuale, nel modo
di vestire o di mangiare. Proust afferma che nel soggetto vi è tutto e nell’oggetto non
vi è nulla.
“Ero incapace di cogliere quello di cui una qualche letteratura non mi avesse
risvegliato il desiderio… Quante volte, e lo sapevo anche se quelle pagine dei
Goncourt non me lo avesse insegnato, non sono stato mai capace di prestare
attenzione a cose o a persone per le quali poi, una volta che la loro immagine mi
1
R. GIRARD, Menzogna romantica e verità romanzesca, Milano 1965, p. 11
2
STENDHAL, Le rouge et le noir, cit. da Girard, ibid, p. 24
6
fosse stata presentata nella solitudine da un artista, avrei fatto miglia e miglia e
rischiato le morte, pur di ritrovarle.” 3
L’imitazione nello snob di ogni tendenza nobilitante è per Jules de Gaultier
“l’insieme dei mezzi impiegati da un essere per opporsi all’apparizione del suo vero
essere, per farvi incessantemente figurare un personaggio più bello nel quale
riconoscersi.”
La vanità del desiderio, l’insignificanza dell’oggetto, la trasfigurazione soggettiva e
quell’inganno che ha nome godimento, se da una parte sembrano lusingare l’illusione
romantica dell’autonomia dell’uomo moderno, dall’altra parte l’autore ci mostra che
sono alla testa del sinistro corteo della “mediazione interna”, l’invidia, la gelosia e
l’odio impotente; quali i sentimenti tipici della modernità, ripete Girard con Stendhal.
La nascita della passione si confonde con la nascita dell’odio.
Per Girard Proust ci mostra sempre l’odio nel desiderio e il desiderio nell’odio; ma lo
stadio della suprema mediazione interna lo riserva a Dostoevskij, “cronologicamente
anteriore a Proust ma che gli succede nella storia del desiderio triangolare”.

La suprema mediazione interna in Dostoevskij

“In Dostoevskij l’odio, troppo intenso, finisce col “divampare”, rivelando la doppia
natura o, meglio, la duplice parte di modello e di ostacolo sostenuta dal mediatore.
Questo odio che adora, questo venerazione che trascina nel fango e perfino nel
sangue, è la forma parossistica generata dalla mediazione interna… I suoi sentimenti
sono così violenti che l’eroe non è più in grado di dominarli.” 4
Dostoevskij, per Girard, con una geniale intuizione, pone in primo piano il
“mediatore” e respinge l’oggetto sullo sfondo.
Per Girard all’origine del bovarismo come della frenesia dostoevskijana vi è la
mancata attuazione di un proposito di autodivinizzazione più o meno cosciente; la

3
PROUST, cit. da Girard, ibid, p. 30
4
R. GIRARD, Menzogna romantica e verità romanzesca, p. 39
7
fede a questa promessa fallace di autonomia metafisica trascina l’uomo nell’inferno
dei posseduti in cui ognuno si crede “solo all’inferno”.
“ A mano a mano che il mediatore si avvicina, l’unità si frantuma in molteplicità. Si
passa gradatamente dal mediatore solitario, atemporale e favoloso di Don Chisciotte
alle folle dostoevskijane. I cinque o sei “modelli” spartiti, a detta di Stendhal, dalla
buona società del suo tempo e i molteplici Io proustiani sono le tappe di questo
cammino in discesa. Il demone dei posseduti è legione e si rifugia in un branco di
porci. L’atomizzazione della personalità è il termine della mediazione interna… E’
appunto nella mediazione interna che si trova la verità profonda del moderno.” 5

Democrazia e desiderio

“La democrazia è una vasta corte borghese i cui cortigiani sono dovunque e il
monarca in nessun luogo”dice Girard, commentando l’analisi stendhaliana del noir,
tipico laboratorio della nascente modernità borghese in Occidente, e ponendo un
parallelo con Stendhal gli avvertimenti e le inquietudini di Tocqueville circa i rischi
della nascente democrazia. Nel noir stendhaliano la concorrenza con il borghese più
agiato è imitazione e l’imitazione si fa subito concorrenza.
“Quando tutte le prerogative di nascita e di ricchezza sono distrutte, quando tutte le
professioni sono aperte a tutti, e si può giungere da soli all’apice di ciascuna di esse,
una carriera immensa e facile sembra aprirsi davanti all’ambizione degli uomini, ed
essi si immaginano di essere chiamati a compiere grandi cose. Ma l’esperienza
quotidiana si incarica di correggere questo modo erroneo di giudicare. La stessa
uguaglianza che permette a ogni cittadino di concepire grandi speranze, rende tutti i
cittadini deboli individualmente… Hanno distrutto gli irritanti privilegi di alcuni dei
loro simili; incontrano la concorrenza di tutti. Il limite ha cambiato forma anziché
posto…. La costante opposizione che regna fra gli istinti che l’uguaglianza genera e
i mezzi che essa fornisce per soddisfarli, tormenta e affatica gli animi….” 6
5
Ibid, p.80
6
TOCQUEVILLE, cit. da Girard, Ibid, p. 107
8
Questa inquietudine, questo dinamismo della società democratica moderna porta le
coscienze in lotta le une contro le altre. La forza, ormai qualcosa di volgare e
testimone dell’impotenza dell’individuo, se predominava nell’ambito del rouge, nel
noir lascia il posto, all’ipocrisia e all’indifferenza quale strumenti di padronanza.
Manifestare il proprio desiderio, o fare uso della violenza, la quale nasce sempre da
un desiderio insoddisfatto, non rivelano che la propria debolezza di schiavi. Solo chi
è capace di dissimulare il proprio desiderio potrà occupare la posizione
strategicamente più forte; ora è “l’ascesi” del desiderio, dice Girard, la via più sicura
per la sua soddisfazione.
“La vanità stendhaliana, lo snobismo proustiano e il sottosuolo dostoevskijano sono
la forma nuova che assume la lotta delle coscienze in un universo di non violenza
fisica e, magari, di non violenza economica. La forza è soltanto l’arma più volgare
delle coscienze poste le une contro le altre e corrose dal loro nulla… L’eroe della
mediazione interna è una coscienza infelice che rivive la lotta primordiale fuori di
ogni minaccia fisica e che gioca la sua libertà nel più piccolo dei desideri. La
dialettica hegeliana si fondava sul coraggio fisico: colui che non ha paura sarà il
padrone, colui che ha paura sarà lo schiavo. La dialettica romanzesca si fonda
sull’ipocrisia; la violenza, lungi dal servire gli interessi di colui che la esercita,
rivela l’intensità del suo desiderio; è dunque un segno di schiavitù.” 7

Il desiderio metafisico

Quanto più una differenza sociale è piccola, tanto più grande è l’affettazione che
genera; “ Essendo il gran mondo il regno del nulla, tra i meriti delle diverse dame
del gran mondo vi sono soltanto differenze insignificanti, che solo i rancori o
l’immaginazione di M. di Charlus possono esagerare in modo folle.”
Così Proust definisce le rivalità nello snobismo dell’alta borghesia.

7
RENE’ GIRARD. Menzogna romantica e verità romanzesca, p. 97
9
“Le forme estreme della mediazione interna devono dunque definirsi come una
differenza nulla che genera un’affettazione massima.” 8
Per Girard il desiderio, nel suo moto di progressivo allontanamento dall’oggetto, nel
rapporto sempre più ossessivo con il modello, acquista un potenziale
indiffferenziante, il suo contagio desertifica lo spazio esistenziale. Gli altri diventano
dei nostri “doppi” da cui ci divide un nulla di differenza: un nulla che diviene il tutto
di un desiderio “metafisico” anelante ad una “pienezza d’essere” che non ha più
niente di oggettuale ma neanche di umano; cerca un’alterità che può essere solo un
riflesso del sacro.
Man mano che il desiderio diviene sempre più “metafisico” la sua capacità di
contagio si accresce, la vicinanza del mediatore e del discepolo lasciano circolare il
desiderio come un virus influenzale.
“La mediazione interna esiste allorchè si “prende” un desiderio come si prenderebbe
la peste o il colera, per semplice contatto con il soggetto infetto… Il contagio è così
generale, nell’universo della mediazione interna, che ogni individuo può diventare il
mediatore del suo prossimo senza essere consapevole della funzione che va
svolgendo… Ognuno sa che qualunque desiderio raddoppia d’intensità vedendosi
condiviso.” 9
Il desiderio porta la relazione discepolo modello su un piano di simmetricità; ma non
per questo la fascinazione esercitata dal modello sul discepolo viene sminuita,
tutt’altro; la mediazione si fa doppia o reciproca.
“La doppia mediazione è una figura chiusa in se stessa; il desiderio vi circola e si
nutre della propria sostanza. La doppia mediazione è dunque una vera ‘generatrice’
di desiderio, la più semplice possibile.” 10
Il modello vede l’oggetto del suo desiderio a sua volta desiderato dal discepolo che
imita il desiderio del modello; l’oggetto ai suoi occhi acquista un fascino ulteriore e il
suo desiderio si intensifica; il modello stesso si fa discepolo del suo discepolo

8
Ibid, p. 75
9
Ibid, p. 87
10
Ibid, p. 151
10
creando una forma simmetrica in cui ognuno è discepolo dell’altro, come in un
giuoco di specchi in cui il desiderio ad ogni rifrazione aumenta di intensità.
“Abbiamo un modello-discepolo e un discepolo-modello. Ciascuno imita l’altro pur
continuando ad affermare la priorità e la precedenza del proprio desiderio. Ciascuno
scorge nell’altro un persecutore atrocemente crudele. Tutti i rapporti sono
simmetrici; i due compagni si credono separati da un abisso insondabile, ma non si
può dire dell’uno qualcosa che non valga anche per l’altro.” 11
Il desiderio ha già raggiunto un elevato grado di consapevolezza sulle sue strategie,
che ormai gli impedisce di manifestarsi, preferendo battere la strada più sicura
dell’orgoglio, del dandismo, snobismo o semplicemente dell’indifferenza; l’altro è
tanto più seducente quanto meno è accessibile; è tanto meno accessibile quanto più
tende all’automatismo dell’istinto.
“La sessualità è lo specchio dell’intera esistenza umana; l’attrazione è ovunque ma
non è mai confessata; cerca di farsi passare per “distacco”… Paralizzato dallo
sguardo del mediatore, l’eroe vuole sottrarsi a questo sguardo…Il dandy è
caratterizzato dalla ostentazione di indifferente freddezza. Ma tale freddezza non è
quella dello stoico, è una freddezza calcolata per infiammare il desiderio, una
freddezza che non cessa mai di ripetere agli altri: “Io basto a me stesso”. Il dandy
vuole che gli altri ricopino il desiderio che egli vuol far credere di provare per se
stesso.” 12
Il desiderio secondo l’altro, per quanto ci appaia inoffensivo all’inizio, trascina a
poco a poco la sua vittima verso le regioni infernali dove l’oggetto scompare del
tutto, e proseguendo nell’escalation, il criterio della scelta del mediatore si fa
negativo.
“In Proust come in Dostoevskij, la negazione dell’invito, il rifiuto brutale dell’altro,
scatenano il desiderio ossessivo.” 13

11
Ibid, p. 88
12
Ibid, p. 142
13
Ibid, p. 62
11
Dall’indifferenza al masochismo

Il desiderio metafisico conduce alla schiavitù, all’insuccesso e alla vergogna; il


masochista precipita il corso del proprio destino. Il nostro percorso all’interno del
desiderio mimetico ci ha condotti al punto in cui era l’imitazione a produrre
l’ostacolo, nel masochista sarà l’ostacolo a produrre l’imitazione.
“L’ostilità del mediatore appare sempre abbastanza legittima, giacchè ci si giudica
inferiore per definizione a colui di cui si copia il desiderio. Ostacoli e disprezzo non
fanno che accrescere il desiderio poiché confermano la superiorità del mediatore.
Da qui a scegliere il mediatore in virtù non delle qualità positive che ci pare
possedere, ma dell’ostacolo che ci oppone, vi è solo un passo; questo passo è
compiuto tanto più facilmente quanto più il soggetto si disprezza.” 14
Masochista è colui che sceglie il proprio mediatore non in vista del suo fascino, ma
del disgusto che suscitiamo in lui.
Non si comprende il masochismo se non si coglie la natura triangolare del suo
desiderio, se si fa della sofferenza l’oggetto stesso di questo desiderio.
“E’ certo meglio non sapere che il masochista desidera esattamente ciò che noi stessi
desideriamo; desidera l’autonomia e la padronanza divina, la propria stima e quella
degli altri ma, per un’intuizione del desiderio metafisico più profonda di quella di
tutti i suoi medici, per quanto ancora incompleta, egli spera ormai di scoprire questi
doni inestimabili solo accanto a un padrone del quale sarà lo schiavo umiliato.” 15
L’affermazione di sé prende la strada della negazione di sé, tutte le forme di desiderio
richiamate ed altre sono, per Girard, in un modo o nell’altro, dinamiche dell’orgoglio;
una promessa romantica di divinizzazione della soggettività pone l’individuo sulla
strada del suo scacco. Il sogno vissuto (nel Don Chisciotte di Cervantes) alla luce
serena di quella che sembrava una divinità olimpica si trasforma in incubo popolato
di demoni persecutori. L’inesorabile dinamica che Girard descrive da una imitazione
del desiderio apparentemente innocua e serena, passando per tutti i gradi della
14
Ibid, p. 156
15
Ibid, p. 161
12
frustrazione, dalla vanità, dallo snobismo risentito, fino alle regioni infernali del
sottosuolo dostoevskijano dove l’odio e il dolore devastano la personalità, costituisce
un percorso coerente ed unitario.

Psicologia “interdividuale”

L’odio e il dolore, legandosi al desiderabile, divenendone il “significante”, aprono la


strada a tutte le forme del patologico che trovano il loro denominatore comune in un
desiderio che riproduce morbosamente il proprio scacco ricostituendo le dinamiche
che portano l’individuo verso il dolore: una tendenza nefasta che spesso ricorre nelle
psicopatologie, e che appare così inspiegabile da costringere Sigmund Freud a
chiamare in causa “l’istinto di morte”.
Nelle dinamiche della mediazione interna, l’ambivalenza emotiva sul rapporto
discepolo-modello, questo doppio legame che Girard definisce “double-bind
mimetico”, (di esso ci riserviamo di dare una più dettagliata spiegazione oltre nel
capitolo dedicato al complesso di Edipo a p. 37), permettono di ricondurre la
“coazione a ripetere” delle dinamiche patologiche ai principi stessi della loro genesi
senza necessità di introdurre essenze o basilari istinti psicologici, come invece fa
Freud.
La “psicologia interdividuale” trova le sue motivazioni nelle dinamiche stesse del
desiderio. Il termine girardiano “interdividuale” sottolinea la particolarità di un
legame con l’altro che paradossalmente, più ci lega, più ci separa, lacerando la
personalità stessa dell’individuo. “Interdividuale” vuol sottolineare per un verso il
processo di spersonalizzazione, di indifferenziazione massificante che è un esito della
“mediazione interna”; per un altro verso vuol marcare una svolta rispetto alla
psicoanalisi freudiana in cui l’individuo è preso come una “monade” contenente tutti
i principi della sua evoluzione. Con Girard il soggetto è immerso in un “con essere”
(Mitsein si potrebbe dire heideggerianamente) con l’altro non semplicemente come
condizione accidentale della sua natura di “animale sociale”; tale elemento assume un

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valore “ontologico”, costitutivo della soggettività del singolo. Tenendo fede a questo
assunto la psicologia non può che essere “interdividuale”; cioè assumere la
particolarità della soggettività nell’ottica di una scienza dell’anima che ora scopre il
suo oggetto più adatto a fondare una teoria “di campo” che una meccanica delle
pulsioni. E’ interessante notare l’affinità di questa conclusioni con la ricerca sulla
genesi della schizofrenia condotta a Palo Alto da una equìpe guidata da Gregory
Bateson con cui Girard entra in contatto e da cui sembra aver mutuato il concetto di
double-bind poi divenuto centrale nel suo discorso tra gli anni ’70 e ‘80. Girard fa di
un fenomeno eminentemente patologico, che può condurre alla schizofrenia per
Bateson, l’elemento costitutivo della “mediazione interna”: un principio di
trasformazione sempre uguale, sempre diverso che in un percorso senza soluzione di
continuità porta dal semplice “disagio esistenziale” fino alle forme patologiche della
personalità. Stadi diversi dell’evoluzione di una stessa dinamica rendono conto di
tutta una serie di tendenze fino ad ora ipostatizzate (come nel caso di Freud) in
categorie distinte.

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