Sei sulla pagina 1di 1

L’orientamento degli statunitensi sulle guerre e sulla posizione del loro paese nel mondo è cambiato molto

nel corso degli anni, e comunque non è mai omogeneo in un determinato momento storico. È importante
tenerlo presente, se si vogliono provare a capire le scelte prese a Washington.

L’opinione pubblica è cambiata

Le conseguenze tragiche delle guerre in Afghanistan e in Iraq, spiega un articolo uscito tempo fa su
FiveThirtyEight, hanno reso l’opinione pubblica molto meno propensa ad accettare la possibilità di mandare
soldati statunitensi all’estero. “Quando la guerra al terrorismo di George W. Bush si estese all’Iraq, nel
2003, una maggioranza schiacciante degli americani (76 per cento) sostenne l’invasione. Otto anni dopo,
nel 2011, una nuova maggioranza era contraria a colpire il regime libico durante la primavera araba. E nel
2017 solo il 50 per cento dell’opinione pubblica approvò gli attacchi lanciati da Donald Trump per punire il
dittatore siriano Bashar al Assad per l’uso delle armi chimiche”.

Anche i cambiamenti demografici aiutano a spiegare questa dinamica. Con il passare degli anni una quota
sempre più grande dell’elettorato è composta dagli adulti che sono nati e cresciuti dopo la fine della guerra
fredda o dopo gli attentati dell’11 settembre 2001. Queste generazioni (più variegate dal punto di vista
razziale) tendono meno delle precedenti a pensare che gli Stati Uniti siano minacciati, quindi si interessano
meno alla politica estera e di più ai problemi interni. Questo però non significa che gli americani si siano
ritirati completamente dal mondo o che siano irrimediabilmente su posizioni isolazioniste. Un sondaggio
del Chicago council on global affairs mostra che la maggioranza dell’opinione pubblica statunitense è
favorevole alle iniziative per difendere gli alleati minacciati.

Potrebbero piacerti anche