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DIRITTO EUROPEO DEI CONTRATTI 03/12/18

Rispetto a quello che abbiamo fatto la volta scorsa riprendiamo la sentenza: avevamo iniziato con
la figura del terzo contratto, alla luce di quelle che sono le radici normative di questa presunta
categoria ovvero la legge sulla subfornitura e soprattutto su quella che è la norma in materia di
abuso di dipendenza economica (art.9); state attenti a distinguere quella che è la subfornitura di
capacità dalla subfornitura di specializzazione: la prima, di capacità, ha una struttura congiunturale
non sistemica a differenza di quella di specializzazione in cui è proprio il subfornitore che ha
capacità conoscenze e tecniche che non ha il committente e proprio per questo si inserisce in quel
ciclo produttivo. Fermo restando che per aversi subfornitura e distinguere questa tipologia
contrattuale da altre figure contrattuali affini, in cui si verifica comunque una forma di
collaborazione fra impresa o di esternalizzazione di processi produttivi, occorre intercettare un
requisito indefettibile della fattispecie dato dalla dipendenza tecnologica cioè il subfornitore è
dipendente tecnologicamente perché comunque ci dev’essere qualcuno che gli dica cosa fare; a
livello economico questa dipendenza tecnologica si tramuta in un “effetto trappola”, nel senso che
l’attività svolta dal subfornitore non ha uno sbocco sul mercato se non attraverso l’attività del
committente, proprio alla luce di questo effetto trappola a prescindere dalla mozione di abuso di
dipendenza economica, troviamo la “tutela minimale” cioè il subfornitore viene considerato a
priori un soggetto debole e proprio perché soggetto debole ecco che qui si innesta la normativa di
protezione dell’imprenditore debole. Se vediamo quelli che sono gli elementi minimi essenziali di
questa normativa di protezione, li abbiamo individuati in primo luogo nella forma scritta del
contratto, perché la forma scritta? Perché attraverso la scrittura posso essere a conoscenza di
eventuali squilibri o clausole che sono gravemente inique o sono inique nei confronti del
subfornitore.
Altro elemento è dato da che cosa? Da una disciplina che riguarda i termini di pagamento, il
committente non può comportarsi come vuole per quanto riguarda la fissazione delle date dei
corrispettivi, siamo di fronte a un contratto a effetti immediati o a un contratto di durata? A un
contratto di durata, quindi il pagamento dei vari corrispettivi o canoni deve essere commisurato o
ripartito secondo quelli che sono i canoni di legge.
Diritto di recesso: se si verifica questo “effetto trappola” un eventuale diritto di recesso da parte
del committente può pregiudicare la situazione economica da parte del subfornitore? Se io
partecipo all’attività produttiva di un’altra impresa dal punto di vista economico cosa faccio?
Investo capitale, patrimonio, investo risorse e quindi devo poi ammortizzare l’investimento, e per
ammortizzare un investimento posto in essere ho bisogno di tempo e poiché ho bisogno di tempo
ecco che un eventuale recesso ingiustificato da parte del committente a scapito del subfornitore
può pregiudicare questo interesse dello stesso, e quindi ecco che è previsto anche un termine
minimo affinché si possa esercitare il diritto di recesso. Quindi qui abbiamo una tutela minimale,
una disciplina ex lege inderogabile in peius cioè che non può essere modificata dalle parti perché
ha carattere imperativo e qualsiasi clausola difforme, secondo quella tecnica che abbiamo visto,
dev’essere considerata nulla e automaticamente verrà inserita la previsione di legge.
Alcuni testi cercando di inquadrare giuridicamente il fenomeno della subfornitura: in essa cosa si
verifica? Il committente da un incarico al subfornitore ecco che questo affidamento questo potere
che viene attribuito al subfornitore è presente anche in altre discipline; pensate al contratto
d’appalto in cui abbiamo un committente e un appaltatore, è chiaro che il committente affiderà un
incarico che dovrà svolgere l’appaltatore.
Però se ci fate caso qual è la differenza fra subfornitura e appalto? L’appaltatore ha un’autonomia
decisionale, è vero che riceve l’incarico dal committente ma l’esecuzione dell’opera ha una certa
autonomia decisionale che verrà fatta a proprie spese, secondo un proprio progetto ecc.; cosa che
non si verifica nella subfornitura, dove il subfornitore deve eseguire dettagliatamente quelle che
sono le direttive date dal committente perché si trova in quella situazione di dipendenza
tecnologica.
Quindi se vogliamo inquadrare giuridicamente la subfornitura? Lo definirei secondo una
terminologia che abbiamo già adoperato ovvero come contratto transtipico perché partecipa
anche di altri elementi contrattuali, c’è l’affidamento dell’incarico, c’è la dipendenza tecnologica
però si possono verificare anche elementi che sussistono in altre tipologie di contratto.
Quando vi ho detto la prima applicazione è la legge della norma in materia di abuso di dipendenza
economica, vi ho fatto l’esempio di un rivenditore che doveva ricevere l’abbigliamento per la
stagione estiva, autunnale ecc. e c’era un rifiuto da parte del venditore, lì siamo di fronte ad un
contratto di somministrazione, però anche lì ecco che viene applicato l’art.9 (abuso di dipendenza
economica) e questo perché partecipa anche di alcuni elementi della subfornitura, ecco che il
rivenditore non ha sbocco sul mercato se non attraverso una decisione che può divenire arbitraria,
non ti rifornisco al pari degli altri fornitori perché a me non conviene, e quindi sulla base di
decisione arbitraria del somministrante o potremmo dire anche committente. Proprio per questo il
contratto di subfornitura può essere qualificato come una disciplina transtipica che partecipa di
altri elementi.
Detto questo, le radici normative del terzo contratto già nascono con il contratto di subfornitura
ma non esiste terzo contratto se non ammettiamo un’applicazione generalizzata dell’art.9, il quale
si colloca all’interno della legge sulla subfornitura; si tratta di una norma che ha avuto una nascita
ed un’evoluzione complessa perché inizialmente l’art. 9 non doveva essere collocato all’interno
della legge sulla subfornitura, quindi non andava collocato all’interno della legge 192 del ’98, ma il
legislatore aveva pensato di introdurlo all’interno della legge Antitrust, di introdurre un articolo 3-
bis riguardante l’abuso non di dipendenza economica ma abuso di posizione dominante, cioè si
pensava che questo articolo 9 fosse una norma regolatrice del mercato della concorrenza e non
dei rapporti privati- negoziale tra committente e subfornitore. Se io dico che l’art. 3 va collocato
all’interno della legge Antitrust e non all’interno della legge sulla subfornitura, significa che una
norma che mi deve regolare non un singolo rapporto negoziale ma la concorrenza di un dato
settore nel mercato, se l’art. 9 va collocato all’interno della legge 192 del’98 come abuso di
dipendenza economica significa che è una norma regolatrice non tanto del mercato in maniera
diretta anche se indirettamente si, una norma che ha come obiettivo principale regolare i rapporti
negoziali e privati fra due imprese; anche se poi indirettamente può conseguire un risultato di
organizzazione di tutela della concorrenza di quel dato settore di mercato. La scelta del legislatore
inizialmente è stata chiara, l’art. 9 dovrebbe andare all’ interno della legge Antitrust, tuttavia a
seguito di un parere negativo dell’AGCM, questo art.9 è finito all’interno della legge sulla
subfornitura, l’agcm (Autorità garante della concorrenza e del mercato) ha detto che cosa? Non è
un’ipotesi di abuso di posizione dominante perché non riguarda la regolazione del mercato ma è
una norma “squilibrio di diritto e obblighi” a danno dell’impresa cliente che non può compiere
scelte efficienti sul mercato a causa dell’abuso perpetrato dall’impresa più forte. Proprio sulla base
di questa definizione, contenuta nell’art.9, ecco che la decisione è stata quella di far rientrare
questa norma NON all’interno della legge Antitrust ma, per volontà dell’Agcm, all’interno della
legge 192 del ’98.
La conseguenza qual è stata? Non si parla di abuso di posizione dominante ma si parla di abuso di
dipendenza economica, dove la parola abuso sta ad indicare uno squilibrio contrattuale fra diritti e
obblighi a danno dell’impresa cliente in virtù di un maggior potere contrattuale di cui è dotato il
committente rispetto al subfornitore.
Perché poi si è avuto un’evoluzione legislativa? L’abbiamo visto, quindi abbiamo legge Antitrust
art.9 che mira a regolare i rapporti negoziali tra impresa forte e impresa debole. Però nel corso
dell’evoluzione storica e anche giurisprudenziale si è riscontrato una non applicazione concreta di
questa norma, perché questa norma non trovava applicazione? Non trovava applicazione sulla
base di un motivo che le piccole e medie imprese hanno subito denunziato: cioè è vero che questa
norma mira a riequilibrare i rapporti iniqui però è anche vero che se agisce sul piano civilistico e
quindi sul piano negoziale, e non è una norma antitrust, la contraddizione palese che si viene a
creare è che l’impresa che si trova in uno stato di dipendenza economica ( non ha una scelta
migliore efficiente sul mercato) non andrà a denunziare mai quell’abuso perpetrato dall’impresa
più forte, perché denunziare questo abuso significherebbe interrompere quel rapporto negoziale e
viene pregiudicata la chance di ottenere e recuperare gli investimenti effettuati. Quindi di fatto la
norma non soltanto non ha trovato applicazione ma non troverà applicazione in successive ipotesi.
Quindi il legislatore è tornato indietro e perché? Fermo restando che la norma rimane a
disciplinare l’abuso di dipendenza economica, ecco che viene introdotta la norma che attribuisce a
un soggetto terzo, l’antitrust, il potere e il dovere di accertare che in un rapporto negoziale tra due
imprese e che ha risvolti importanti anche nel mercato, allorché questo squilibrio tra diritti e
obblighi è rilevante per il mercato, esempio Vodafone e Next Mind è un settore rilevante perché
se la Vodafone perpetra continuamente comportamenti abusivi ecco che il mercato ne subisce
conseguenze sul piano di una corretta concorrenza. Laddove questo squilibrio può rilevare anche
per il mercato, ecco che l’Agcm ha il potere di dover intervenire e sanzionare condotte abusive
dell’impresa più forte rispetto all’impresa più debole. Quindi fermo restando che una distinzione
chiara rimane tra abuso di posizione dominante e abuso di dipendenza economica, rimane perché
l’abuso di posizione dominante presuppone un’indagine di settore sul mercato e l’accertamento
che in quel settore c’è un’impresa che ha il predominio assoluto sul mercato e quindi vi è lesione
della concorrenza. Indagini, invece, che per quanto riguarda l’abuso di dipendenza economica non
deve essere fatta, l’abuso rileva a prescindere dall’indagine sul mercato e dall’accertamento di una
situazione anticoncorrenziale. Quindi si può intervenire per sopprimere l’abuso di dipendenza
economica anche laddove non c’è abuso di posizione dominante; però si deve trattare comunque
di una situazione (deve intervenire un soggetto terzo, non è su denunzia di parti) che può avere
risvolti negativi sul mercato perché altrimenti l’Agcm non può intervenire.
L’abuso del piccolo bottegaio nei confronti del piccolo rivenditore non legittima l’intervento
dell’Agcm, perché quell’abuso non sarà rilevante per il mercato, fermo restando che non bisogna
accertare la posizione di monopolio di un’impresa.
Quindi è una normativa che non è più di esclusiva competenza dei rapporti privatistici, anche se
diretta a riequilibrare posizioni inique, perché la competenza è stata affidata anche all’Antitrust
però questo meccanismo di intervento dell’antitrust non può prescindere dalla valutazione di
mercato.

Riprende la sentenza della volta scorsa (“Contratti squilibrati tra imprese e abuso di dipendenza
economica: il cd terzo contratto”) ci fermiamo alla prima parte del fatto:
- con il contratto stipulato il 26 novembre 2012, Vodafone aveva concesso a Next Mind, nella
qualità di rivenditore, il diritto di far parte della propria rete di franchising per la
commercializzazione, presso un punto vendita sito in Pisa, di prodotti a marchio Vodafone e di
servizi di raccolta presso i clienti delle proposte di abbonamento e di servizi di assistenza
commerciale, pre-vendita e post-vendita.
- Tale contratto costituiva una forma di franchising particolarmente leggera, prevedendo un
contributo iniziale dell’affiliato assai modesto (2.500,00) e nessuna royalty, oltre ad insegna e
attrezzature in comodato gratuito. Era a tempo indeterminato, con facoltà per ciascuna parte di
recedere in qualsiasi momento, con preavviso di tre mesi (art.13).
Cosa lamentava l’attore? Che gli obiettivi indicati da Vodafone per ottenere queste royalty, si erano
rivelati infattibili in particolare per il mutamento delle condizioni imposte da Vodafone all’affiliato,
la quale proponeva obiettivi sempre più difficilmente raggiungibili. Quindi qua si tende a
dimostrare che cosa? Una condotta abusiva di Vodafone nei confronti di questa piccola società che
agiva per Vodafone.
Cosa sostiene la società attrice? Vodafone, abusando della propria posizione dominante sul
mercato (qualificazione fatta dalla società attrice Next Mind che richiede il risarcimento danni nei
confronti della Vodafone) ed ingenerando false aspettative, aveva dolosamente violato i
fondamentali principi e obblighi che disciplinavano la corretta esecuzione del contratto.
Qua c’è un po' di confusione, perché io cito la norma sull’abuso di posizione dominante e poi cito
una formula che riguarda i rapporti privati, ovvero la corretta esecuzione del contratto che
ricadrebbe sulla forma proprio del diritto privato e quindi abuso della dipendenza economica,
squilibrio fra diritti e obblighi, comportamenti scorretti che riscontro nell’art.9 in materia di abuso
di dipendenza economica.
Altro condotta abusiva secondo l’attrice: Vodafone non pagava i servizi di assistenza tecnica
devices in garanzia, offerti dall’attrice Next Mind ai clienti, in base alla classe A nella quale l’attrice
era posizionata; in data 31 marzo del 2014 l’attrice era receduta dal contratto mediante
comunicazione inviata nei termini contrattuali.
A seguito del recesso, Vodafone, oltre a paralizzare il pagamento dei compensi già maturati nei
mesi precedenti, obbligando così l’attore ad agire in via monitoria (cioè procedimento inibitorio), a
partire dal mese di aprile 2014 aveva arbitrariamente apposto un blocco amministrativo al Sistema
informatico, impedendo all’attore di erogare servizi sia sul mondo ricaricabile che abbonamenti
durante l’ultima fase del rapporto.
Di fatto cos’era successo? Vuoi esercitare il diritto di recesso? entro tre mesi prima dalla
conclusione del contratto, in questi tre mesi “io Vodafone” non solo non ti ho pagato ma ti ho
impedito di erogare servizi in nome e per conto mio e sulla base di quel contratto in franchising
che avevamo stipulato.
Cosa risponde il tribunale? Nel caso in esame la fattispecie in concreto sottoposta al vaglio del
Tribunale, per come è emersa successivamente all’integrazione dell’atto introduttivo ex art. 164
c.p.c, è da qualificare non “antitrust” per abuso di posizione dominante (come diceva la società
attrice), ma responsabilità per violazione del contratto di franchising, stipulato dalle parti in data
26 novembre 2017 e per abuso di dipendenza economica; cioè la Vodafone non soltanto non aveva
rispettato gli obblighi contrattuali assunti con contratto di franchising ma aveva altresì posto in
essere condotte abusive sul piano della dipendenza economica.
E la corte ci spiega il perché: com’è noto, mentre l’abuso di posizione dominante, rilevante per
integrare la fattispecie antitrust, comporta la necessità di individuare anzitutto il mercato
rilevante, l’abuso di dipendenza economica attribuisce rilievo non alla posizione dominante di
un’impresa sul mercato, ma all’abuso e allo squilibrio delle imprese nell’ambito di un rapporto
negoziale. Ed invero, si considera “dipendenza economica la situazione in cui un’impresa sia in
grado di determinare nei rapporti commerciali con un’altra impresa un eccessivo squilibrio di diritti
e obblighi”. Non è decisivo, invece, che l’abuso di dipendenza economica sia prevista dal legislatore
espressamente con riguardo solo alla fattispecie della subfornitura nelle attività produttive, poiché,
per giurisprudenza costante, esso rappresenta un principio generale. Qui il tribunale cosa accerta?
Di quale tipologia di abuso stiamo parlando? Non è un abuso di posizione dominante, quindi
escludiamo la legge Antitrust; qua in luce c’è un altro presupposto:
La corte mi va ad accertare l’abuso di dipendenza economica e cos’è che invece non mi va ad
accertare? (cosa che in passato altri tribunali hanno fatto, vedi tribunale di Catania) La dipendenza
tecnologica;
Sentenza emanata dal tribunale di Catania (quest’anno non la fa fare) per quanto riguarda il
rapporto negoziale fra la Diesel e l’impresa manifatturiera di Bronte:
il giudice catanese in prima battuta, nemmeno in seconda, non va ad accertare né l’abuso di
posizione dominante ne l’abuso di dipendenza economica, ma per applicare o meno l’art.9 accerta
la dipendenza tecnologica e nel caso di specie la dipendenza tecnologica era stata ravvisata nel
fatto che l’impresa manifatturiera di Bronte non poteva avere sbocchi sul mercato perché
quell’attività svolta e con gli investimenti fatti erano esclusivi per la ditta Diesel e non potevano
che avere sbocco attraverso la ditta Diesel;
il recesso da parte della ditta Diesel comportava un pregiudizio economico a carico dell’impresa
manifatturiera di Bronte perché innanzitutto c’era una dipendenza tecnologica, l’impresa
manifatturiera di Bronte si trovava in una situazione di effetto trappola, non aveva sbocchi sul
mercato.
Accertata la dipendenza tecnologica possiamo procedere a vedere se c’è abuso di dipendenza
economica e cioè se effettivamente su quel presupposto, si è creato uno squilibrio fra diritti e
obblighi. Il recesso ingiustificato veniva considerato come legittimo e infatti l’impresa poi è fallita.
Se io, invece, leggo questa sentenza il procedimento è lo stesso oppure no? Qua non siamo di
fronte ad un contratto di subfornitura ma di franchising, quindi in prima battuta il giudice va
direttamente ad accertare la dipendenza economica, come se fosse una norma che sta lì
all’interno della subfornitura ma che ha una vocazione generale ed una funzione transtipica, cioè
può essere applicato a qualsiasi rapporto squilibrato fra imprese.
Infatti il giudice dice questo: non è decisivo che l’abuso di dipendenza economica sia prevista dal
legislatore espressamente con riguardo solo alla fattispecie della subfornitura nelle attività
produttive, poiché, per giurisprudenza costante, esso rappresenta un principio generale. In altre
parole, mentre “le norme antitrust sono disposizione generali dirette a tutelare il processo
concorrenziale in relazione all’assetto di mercato”, la norma relativa alla dipendenza economica,
prevista nella disciplina della subfornitura nelle attività produttive, costituisce una regola inerente
alla disciplina dei rapporti contrattuali fra le parti, con finalità che possono prescindere dalla loro
incidenza sui meccanismi concorrenziali.
Ora accerta se la condotta, l’interruzione arbitraria, blocco amministrativo dà luogo a una
situazione di abuso oppure no e dice: tra le numerose e-mail prodotte dall’attrice, si vedano in
particolare quelle dell’otto aprile, dell’undici aprile 2014 e del 23 aprile 2014, ove l’attrice si
lamentava del persistente blocco “senza capirne il motivo”, dell’impossibilità di erogare i servizi e
di evadere gli ordini e della mancata corresponsione dei compensi ad essa dovuti. In data 8 aprile
2014 l’attrice testualmente dichiarava: “riscriviamo per sollecitare una soluzione del problema in
oggetto che, a questo punto, ci pare paradossale. Non solo non abbiamo avuto i compensi che ci
sono dovuti come da documenti già allegati, ma siamo anche finanziariamente bloccati e la
situazione diventa ogni giorno più pesante poiché ci avviciniamo alla metà del mese senza potere
ordinare i telefoni che spingono gli abbonamenti, le key-wifi e tablet per gli abbonamenti dati,
senza potere attivare le promo contestualmente alle sim”, l’attività di quell’impresa si era
praticamente bloccata, anche se non c’era una dipendenza tecnologica, nel caso di specie c’è una
forma di collaborazione tra imprese ma quella situazione di abuso aveva determinato la paralisi
dell’attività della società.
Quindi su questa sentenza ci fermiamo qui, per quanto riguarda poi la soluzione: il giudice
effettivamente condanna la Vodafone al risarcimento del danno nei confronti di quest’impresa e
dicendo che, in realtà, il mancato pagamento rileva sul piano di inadempimento al contratto di
franchising. Ciò che invece permette l’applicazione dell’art.9, in materia di abuso di dipendenza
economica, è proprio la condotta posta in essere da Vodafone e che sia realizzato nel blocco
amministrativo, questo blocco amministrativo è stato possibile perché Vodafone è un’impresa
forte sul mercato, non mi interessa accertare che sia un’impresa dominante sul mercato, se questa
condotta venisse reiterata anche nei confronti delle altre imprese si avrebbe una violazione di
concorrenza con rilevanza esterna anche per il mercato. È una condotta contraria a ogni buona
fede nella corretta esecuzione del contratto.
Perché ci interessa questa sentenza?
È una sentenza, in quel lapalissiano che è l’art.9, esce dai binari della legge della subfornitura, della
dipendenza tecnologica, acquisisce un valore autonomo quale dipendenza economica e non
tecnologica e soprattutto quale abuso è un comportamento contrario a buona fede.
Quindi se vogliamo riassumere: questa condotta era prevista in contratto oppure no? Cioè
quest’abuso come si può realizzare? Andiamo a leggere la norma, quest’ultima parla di squilibri fra
diritti e obblighi, ovvero ho un contratto ben preciso, lo leggo e dal testo contrattuale rileva che
tutti i vantaggi sono a favore dell’impresa forte e gli svantaggi sono tutti a favore dell’impresa più
debole. Quindi siamo sul piano del contenuto del contratto, direi quasi nella fase precontrattuale;
ma l’abuso si ferma qui? Cos’è che poi viene valutato? Ogni condotta volta a eseguire quel
regolamento contrattuale, se io vado a prendere il testo contrattuale che riguarda questo
contratto di franchising fra la Vodafone e Next Mind, in quest’ipotesi non c’è nessuna norma che
prevede la possibilità del blocco amministrativo, non blocco amministrativo, è un aspetto
negoziale che non veniva preso in considerazione all’interno di quel contratto; questo significa che
non c’è clausola contrattuale sul blocco amministrativo, ma lo stesso viene sanzionato non in base
al contenuto del contratto ma alla condotta in concreto posta in essere dall’ impresa forte nell’
esecuzione di quel contratto, questo ci chiarisce cosa si intende per abuso: (lasciando perdere il
testo della legge, non lo voglio a memoria) questo abuso quindi consiste, al pari del contratto fra
professionista e consumatore, nell’imporre un regolamento squilibrato (tutti i vantaggi sono i miei
tutti gli svantaggi sono i vostri), come se fosse consumatore e professionista ma riguarda anche la
corretta esecuzione del contratto, il contratto deve essere eseguito secondo art.1375 buona fede,
io devo andare a vedere se effettivamente vi è una condotta che sia contraria a buona fede
secondo quelle che sono le logiche di mercato e che questa condotta sia possibile perché
chiaramente l’impresa è di dipendenza economica rispetto all’altra, cioè ha un potere contrattuale
maggiormente elevato rispetto all’altra impresa.
Quindi fase precontrattuale, contenuto del contratto squilibrio fra diritti e obblighi, corretta
esecuzione del contratto rilevano tutti i comportamenti volti ad eseguire quel patto negoziale fra
imprese e quindi la condotta abusiva mi abbraccia tutto l’arco temporale della vicenda negoziale.
Conseguenze: in via equitativa il giudice liquida 52.000€ ma perché in via equitativa? Il problema
dell’abuso di dipendenza economica si ripercuote anche per quanto riguarda i rimedi, la legge cosa
mi dice? È nullo il patto attraverso cui si realizza un abuso di dipendenza economica; ma
innanzitutto siamo di fronte a che cosa a una nullità normale o a una nullità di protezione? è
nullità di protezione, viene meno quel patto e quel patto dev’essere sostituito da un’altra
pattuizione che non sia una pattuizione abusiva.
Come faccio a stabilire nei rapporti fra imprese quale patto sia o meno abusivo? L’unica soluzione
è andare a vedere, qui mi rivolgo un’altra volta al mercato, quelle imprese che sono in posizione
dominante o meno come si comportano in un mercato quasi irreale in cui comunque non c’è
lesione della concorrenza, oppure quell’impresa dominante come si sia comportata con altre
imprese sempre in quel determinato settore. È proprio qui il problema di abuso della dipendenza
economica, si attribuisce ampio potere discrezionale all’autorità giudiziaria che di fatto può
riscrivere il contratto.
In termini di rimedi, oltre alla nullità, abbiamo il diritto al risarcimento del danno e poi può
scattare quella tutela di carattere, non più privatistica, ma pubblicistico dato dall’intervento
dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, che possa sanzionare condotte abusive
(bollettino Antitrust, selezionando voce: abuso di dipendenza economica, abuso di posizione
dominante) quindi vi è una sanzione amministrativa.
Perché si parla di terzo contratto? Se l’unica normativa da cui prende quest’idea di terzo contratto
è quella in materia di abuso di dipendenza economica, io non parlerei di terzo contratto ma di
abuso di dipendenza economica nei rapporti contrattuali fra imprese; invece non stanno così le
cose, io posso parlare di terzo contratto, quindi di una presunta categoria dei rapporti fra
un’impresa forte e un’impresa debole, perché poi alla legge sulla subfornitura sono successe che
cosa? Altre normative che presentano un filone comune.
In realtà il franchising in Italia viene disciplinato dalla Legge sull’affiliazione commerciale, in realtà
ci sarebbero delle piccole differenze fra franchising e affiliazione commerciale, franchising di
matrice Common law, a me non interessa sottolineare queste differenze ma interessa andare
avanti in quest’idea di terzo contratto.
Leggiamo l’art.1 (rif. Materiale prof.), cos’è il contratto di franchising?
Siamo sempre nell’ambito della collaborazione fra imprese, a livello sistemico il franchising dà
luogo a una collaborazione di tipo orizzontale fra imprese; e ci dice cosa? L’affiliazione
commerciale è il contratto comunque dominato fra due soggetti giuridici economicamente e
giuridicamente indipendenti, in base al quale una parte concede la disponibilità all’altro,
attraverso corrispettivo, di un insieme di diritti di proprietà industriale, intellettuale…
C’è una trasmissione di conoscenze, di brevetti dall’affiliante all’affiliato, l’affiliante in base a
questo contratto di franchising permette all’affiliato di entrare nella propria catena, non tanto
produttiva, ma distributiva di beni o di servizi; l’affiliato attraverso il marchio dei brevetti svolge,
con le stesse modalità, la stessa attività dell’affiliante.
Chi è la parte forte e chi è la parte debole? E quali sono le condotte abusive che possono venire in
luogo?
Facciamo un esempio: franchising di catene alimentari, abbiamo un affiliante e un affiliato.
L’affiliato è il titolare del negozio che svolge l’attività per conto dell’affiliante, in questo rapporto le
condotte abusive quali potrebbero essere? Dal punto di vista giuridico la condotta abusiva non
può che pervenirmi dall’affiliante, in quanto l’affiliato ha interesse a guadagnare quanto più
possibile ed ha inoltre interesse affinché il marchio dell’affiliante non venga pregiudicato,
altrimenti ci perde anche lui.
Altro esempio: contratto di franchising ad esempio riparazione di automobili o veicoli; l’affiliante è
un noto produttore del settore quindi ha un proprio marchio (non ci può essere affiliazione
commerciale di norma se l’affiliante non è dotato di una forte capacità soprattutto a livello di
marchio ecc.) mentre per quanto riguarda i prodotti di riparazione e sostituzione l’affiliato si trova
in luoghi strategici. Ad esempio l’affiliato si trova in autostrada, se io mi trovo in autostrada
significa che svolgerò quel servizio in maniera peculiare, riparo automobile però in un luogo
peculiare (pensate Carglass). Dal punto di vista giuridico, anche qui al pari dell’esempio fatto
prima, l’abuso avviene dall’affiliante all’affiliato, per definizione soggetto debole. Ma in realtà cosa
può succedere in questa situazione? Il mio punto vendita si trova in autostrada, la mia condotta
commerciale è la stessa nei confronti dei clienti rispetto al negoziante distributore che si trova in
centro città? Siamo di fronte sempre a un contratto di franchising, a un’impresa forte ma la mia
condotta da affiliato è la stessa? Dal punto di vista economico o strategico cosa cambia? Nel caso
di punti strategici ottimali per l’affiliato (centro città) l’interesse di quest’ultimo sarà ottenere
quanta più clientela possibile, se, invece, ho un punto vendita in autostrada quante sono le
possibilità che un cliente torni in quel negozio? Molto molto basse, dal punto di vista economico
quest’agente vuole guadagnare il più possibile nel minor tempo possibile; quindi qui, dal punto di
vista economico, non è vero che l’abuso sarà sempre da parte dell’affiliante nei confronti
dell’affiliato, anzi viceversa le condotte maggiormente abusive saranno quelle dell’affiliato nei
confronti dell’affiliante. In quest’ipotesi per tutelarmi, io affiliante pur essendo la parte forte
inserisco nel contratto clausole che prevedono un’indagine, un’ispezione a sorpresa proprio per
accertarmi ed evitare condotte pregiudizievoli dal punto di vista economico dell’affiliato rispetto
all’affiliante.
Di questo aspetto economico, in realtà, il legislatore non si è occupato e anche qui, per definizione,
ha dato quale parte debole del rapporto contrattuale l’affiliato e non l’affiliante.
Se così è, e c’è un collegamento fra la normativa in materia di subfornitura e la normativa in
materia di franchising, cosa mi aspetto da questa legge? Per definizione il subfornitore è parte
debole rispetto al committente, sulla base di questo presupposto il legislatore ha introdotto una
disciplina essenziale minima di tutela del subfornitore, se il presupposto della legge sul franchising
è lo stesso e, cioè l’affiliato è parte debole rispetto all’affiliante, io cosa mi aspetto dall’art.2, art.3?
Leggiamo Art.3, questo contratto come dev’essere fatto? Qua mi ritrovo una durata minima,
qualora il contratto sia a tempo determinato, l’affiliante dovrà comunque garantire all’affiliato una
durata minima (legge del 2004) sufficiente all’ammortamento dell’investimento e comunque non
inferiore a tre anni e fatta salva l’ipotesi di risoluzione anticipata per inadempienza di una delle
parti.
Cosa deve indicare espressamente il contratto? Questo è un contenuto minimo essenziale che per
legge, qualsiasi contratto di franchising o di affiliazione in Italia deve contenere.
Obblighi precontrattuali di comportamento: l’affiliante deve tenere, in qualsiasi momento, nei
confronti dell’aspirante affiliato, un comportamento ispirato a lealtà, correttezza e buona fede e
deve tempestivamente fornire all’aspirante affiliato le necessarie informazioni che lo stesso
ritenga utile ai fini della stipulazione del contratto di affiliazione commerciale, a meno che non si
tratti di informazioni oggettivamente riservate; (rif. materiale prof).
Non parla dell’esecuzione secondo buona fede del contratto, ma qui è lapalissiano:
eventuali comportamenti abusivi dell’affiliante nei confronti dell’affiliato, nella corretta esecuzione
del contratto, potranno rilevare già attraverso quella disposizione generale data dall’art.9, cioè in
materia di abuso di dipendenza economica.
Per proseguire la base normativa sul cosiddetto terzo contratto dovremmo anche affrontare quella
che è la nuova disciplina sui ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali (non la tratto).
Perché le imprese falliscono? Io mi aggiudico l’appalto ma se poi il pagamento non mi arriva
puntuale, io di fatto arrivo al fallimento e proprio nei rapporti fra imprese questa disciplina prende
in considerazione i rapporti squilibrati, perché l’impresa committente può permettersi di non
pagare in maniera puntuale l’impresa che esegue quel servizio o quell’opera.
Queste tre discipline: subfornitura, franchising, affiliazione commerciale e ritardo nei pagamenti
in transazioni commerciali, è il corpus normativo di base del cosiddetto terzo contratto, cioè quel
contenuto minimo essenziale e in più quella norma trasversale costituita dall’art.9 che si applica
a tutti i rapporti fra imprese.
Un’altra forma di collaborazione non espressamente disciplinata fra imprese, su cui aleggia
sempre eventuale abuso, eventuale applicazione dell’art.9, è dato dal cosiddetto contratto di
merchandising; anche qui dobbiamo andare a vedere quali sono le radici normative di questo
contratto. Definizione di marchio: segno distintivo, valenza economica che mi indica nella sua
formulazione originaria la provenienza del prodotto; nel codice civile del ’42 marchio e azienda
vanno a braccetto, cioè io non posso trasferire il marchio se non trasferisco anche l’azienda o il
ramo della stessa, cioè nel codice civile del ’42 c’è una visione statica del marchio. Il consumatore
viene ingannato allorché quel marchio viene apposto su beni che non sono prodotti dal titolare del
marchio.
Tuttavia nel corso dell’evoluzione storia le cose sono cambiate, soprattutto interessi economici
hanno fatto sì che questa sorta di indissolubilità tra marchio e azienda venga meno, cioè per
determinate categorie di marchi si è permesso al titolare dello stesso di poterlo concedere in
utilizzo, con esclusiva o non, a soggetti terzi. Questo comporta che quel marchio verrà apposto su
beni che di fatto non sono più prodotti da quel soggetto, ovvero può avvenire che il marchio venga
apposto su beni che in realtà sono diversi da quelli su cui originariamente il marchio veniva
apposto. Quindi si può avere una dissociazione non soltanto di produttori ma anche il marchio
stesso può essere apposto su beni diversi. Si passa da una visione statica a quella che possiamo
dire che è una visione dinamica del marchio, esso diventa un bene e come altri beni costituisce
oggetto di circolazione anche dietro corrispettivi ingenti.
Quali sono le operazioni attraverso cui si realizza questa commercializzazione del marchio?
Il marchio telefonino apposto su un telefonino è un marchio forte o debole? Debole, stessa cosa
per il marchio detersivo apposto su un detersivo è debole perché è un marchio del tutto
descrittivo, cioè inizialmente può partire bene perché mi indica le caratteristiche del prodotto; se
io appongo il marchio “Levissima” ad una borsa nasce con l’intento di diventare un marchio forte
perché non è descrittivo ed ha un nome del tutto diverso rispetto a quelle che sono le
caratteristiche strutturali e funzionali del prodotto. Soltanto allorché quel prodotto avrà assunto
notorietà, io saprò che “Levissima” è il marchio di una borsa. (Gucci, Prada, Coca cola sono tutti
marchi forti non soltanto perché sono noti ma perché nascono da marchi non descrittivi, mi
indicano un qualcosa di diverso rispetto al bene su cui sono apposti, la notorietà poi comporta che
automaticamente la Coca-cola mi rimandi alla bevanda).
Se io parlo di merchandising e voglio impedire un’attività confusoria a danno del consumatore,
queste operazioni di merchandising possono essere fatte soltanto su marchi forti, ipotizziamo
scritta della Coca-cola su un cappellino, saprò benissimo che questo cappellino sarà stato fatto da
un’altra azienda. (ritorno alla pratica commerciale scorretta)
Se sono di fronte ad un marchio debole significa che io il produttore non lo conosco bene, non si è
affermato così tanto sul mercato, quindi se questo stesso marchio mi viene apposto su un bene
diverso nasce l’attività confusoria perché io non so chi ha prodotto che cosa.
È logico che quella visione dinamica del marchio comunque rimane ad un limite dato dalla
notorietà del marchio affermatosi sul mercato, quindi il fatto che venga apposto su un bene
diverso non crea quell’attività confusoria/ingannatoria per il consumatore;
laddove siamo in presenza di un marchio debole ecco che questo meccanismo non può più
scattare, non posso concedere a terzi l’utilizzo di quel marchio perché creerei un’attività
confusoria o ingannatoria nei confronti del consumatore.
L’operazione commerciale attraverso cui viene ceduto il marchio è proprio il contratto di
merchandising.

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