ANTROPOLOGIA CULTURALE
RAZZA E STORIA, Lévi-Strauss (LS)
LS in questo saggio tenta di decostruire il concetto di razza umana e di contributi singoli delle
culture alla storia dell’umanità per smontare l’etnocentrismo occidentale. L’incipit del saggio si
rivolge alla retorica diffusa del singolo contributo delle varie culture alla storia umana: parlare del
contributo, anche positivo, di una singola cultura alla storia umana è un’emanazione del pregiudizio
razzista che LS vuole sradicare. Effettivamente è insostenibile secondo LS l’ambizione di coloro
che vorrebbero dimostrare che i gruppi etnici abbiano recato in quanto tali, isolati, autonomi,
contributi specifici al patrimonio comune. Il concetto di razza è già stato smontato da un punto di
vista scientifico (L. Cavalli Sforza); in questo saggio però si vuole anche prendere di mira il
concetto di storia attaccando l’evoluzioniosmo unilineare, affermatosi a livello antropologico,
nell’Ottocento, che però sopravvive ancora in alcune scuole americane. La visione evoluzionistica
della storia cela, secondo LS, non solo dei rischi di razzismo ed etnocentrismo, ma è anche
insostenibile dal punto di vista scientifico.
LS parte da Gobineau, padre delle teorie razziste; Gobineau era un aristocratico francese, il quale
temeva il fenomeno del meticciato. Parlava di teoria degenerazionista, per cui il meticciato, il
melting pot, rappresentererbbe una progressiva degenerazione delle razze. Parlare di contributo
delle razze umane alla civiltà, anche in senso positivo, rappresenta un esercizio retorico di tipo
razzista.
p. 367, per LS le culture umane sono molto più numerose delle razze umane (=costruzioni culturali,
credenza occidentale che esistano razze, isolati biologicamente distinguibili). Le culture possono
differire nella storia, nel tempo, geograficamente.
p. 368-9: LS richiama gli scienziati alla deontologia professionale di ammettere l’ignoranza della
scienza riguardo alle caselle bianche della storia, es. nel caso della paleontologia, se non abbiamo
dati sufficienti per ricostruire le condizioni di vita di quelle che chiamiamo società primitive,
dobbiamo avere il coraggio di dire che non abbiamo elementi sufficienti per stendere un inventario
completo. Probabilmente sono più numerose le caselle in bianco della storia dell’evoluzione degli
ominidi di quelle a noi note.
Si ricorda poi che, nelle società umane agiscono due forze opposte: le une tendenti al mantenimento
e all’accentuazione dei particolarismi, le altre agenti in senso della convergenza e dell’affinità. Tale
fenomeno è riscontrabile a livello di costumi e linguistico. In questo senso, LS difende un’idea che
verrà largamente strumentalizzata dalle destre, ossia il fatto che le società umane si definiscono per
un optimum di diversità al di là del quale non potrebbero spingersi e al di qua del quale non
possono rimanere senza pericolo. Al contrario di molti autori, come Amselle, Remotti, LS tende a
valorizzare la differenza culturale. Questa dichiarazione può essere utilizzata da movimenti di
destra che oggigiorno non affermano più teorie razziste su base biologica, superate, ma su base
culturale (differenzialismo culturalista). LS tuttavia non afferma questo a fine di radicalizzazione
o esclusione.
Solo una radicalizzazione ed una banalizzazione del pensiero di LS porta alla teorizzazione del
clash of civilizations di Samuel Huntington, o al teorizzare l’inassimilabilità di alcune culture.
Quello che dice LS è che le differenze culturali non possono essere ignorate, ma neanche esagerate
per farne la base teorica dell’esclusione. La sua concezione della differenza dell’identità culturale
non è essenzializzante, fissista, ipostatizzante (p. 370). Lévi-Strauss è il padre dello strutturalismo
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prende la parte per il tutto, se si conclude che, in base ad alcune similitudini individuate tra i due
gruppi di cultura, si fa una conclusione affrettata e logicamente insostenibile (procedimento
metonimico, cherry-picking). Ad esempio: fino ad un’epoca relativamente recente, i tasmaniani
contemporanei fabbricavano strumenti intagliati, ma lo studio di tali strumenti ci aiuta pochissimo
nello studio di simili utensili nell’età paleolitica. D’altro canto, di molti manufatti paleolitici
ignoriamo tuttora lo scopo (es. bastoni di comando in osso di renna, traingoli levalloisiani):
pertanto, sebbene somiglianze esistano tra culture arcaiche e primitive, sono troppe le lacune della
nostra conoscenza riguardo a questi aspetti. Le lacune sono ancora più evidenti quando si tenta di
trattare temi culturali o sociologici. Altro esempio: una delle interpretazioni più popolari fu quella
delle pitture rupestri come pitture magiche collegati a riti di caccia. Il ragionamento è il seguente: le
culture primitive hanno dei riti di caccia che sembrano non avere alcun valore pragmatico. Le
pitture rupestri preictoriche sembrano anch’esse non avere valore pragmatico, pertanto potrebbero
riferirsi a riti di caccia. Questa è una comparazione pseudo-scientifica: le arti primitive
contemporanee sono tanto lontane dall’arte magdaleniana e aurignaciana tanto quanto lo è l’arte
europea contemporanea. Le arti primitive attuali sono caratterizzate da estrema stilizzazione, mentre
l’arte preistorica è estremamente realistica: presupporre un’analogia tra queste due arti è
insostenibile. È inoltre inesatto presentare il realismo preistorico come origine del realismo dell’arte
europea, anche perché nello stesso luogo si sono succedute popolazioni diverse con credenze e stili
opposte, totalmente ignoranti dei caratteri dell’arte dei loro predecessori. Ricostruire la storia
dell’umanità è un’impresa che lascia più caselle vuote di quante riusciremo mai a riempire, pertanto
tentatre paragoni tra attualità e preistoria è assolutamente da evitare. Altri esempi: l’America
precolombiana evoca il periodo neolitico europeo, ma questa analogia non regge, in quanto
agricoltura e allevamento nel neolitico europeo andarono di pari passo, mentre questo non accadde
in ugual misura nell’America precolombiana; inoltre, in America l’attrezzatura litica si oprolunga
nell’economia agricola, che invece in Europa è associata agli inizi della metallurgia. La storia è
molto più complessa. L’evoluzionismo sociale è fallace, inoltre, perché per considerare alcune
società come tappe dello sviluppo di altre, bisognerebbe ammettere che, quando per queste ultime
succedeva qualcosa, per le altre non succedeva niente (es. storie su binari separati). Si è iniziato a
parlare anche di popoli senza storia (anche in senso positivo: Rousseau, Le bon sauvage), ma in
realtà siamo semplicemente ignoranti della storia di tali popoli. P. 378: per centinaia di millenni
anche laggiù ci sono stati uomini che hanno amato, sofferto, etc… non esistono popoli bambini, ma
solo popoli adulti (ci si riferisce anche ai popoli senza scrittura, ritenuti meno avanzati degli altri).
LS sembra arrivare ad una prima conclusione, che verrà ribaltata nei paragrafi successivi: potremmo
dire che le società umane hanno utilizzato in modo disuguale un tempo passato, distinguendo due
specie di storia: 1) una storia progressiva, acquisitiva, che accumula ritrovati ed invenzioni; 2)
una storia che non accumula, sebbene forse altrettanto attiva, cui manca il dono sintetico della
prima. Ogni innovazione si dissolve in una specie di flusso ondulante che non riesce a discostarsi
dallo stadio primitivo.
p. 380: Messa in discussione di una certa idea di progresso. Il progresso non va concepito in
maniera semplicistica. La proposta di LS è che l’idea di progresso è servita per gerarchizzare
società lontane nello spazio e nel tempo. A questo scopo è sicuramente stata utile: è comunque
difficile smentire che ci sia stato progresso nella storia, in quanto le scoperte dell’umanità sono
manifeste e palesi. Tuttavia, tali successi sono difficili da ordinare in modo temporale e regolare:
quindi si mette in crisi l’idea di progresso come regolare. Esempio: anche la divisione della
preistoria in “ere” (di fine ottocento) è fallace, in realtà le ere sono accavallate fra loro. Ad esempio
la ceramica, associata alla pietra levigata, in talune civiltà del nord Europa è coeva della pietra
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tagliata, in un gioco continuo di imitazione tra tecniche più antiche e più recenti. Le diverse ere
(Paleolitico inferiore, medio e superiore) sono quindi coesistite fra loro, sono aspetti di una realtà
non statica ma sottoposta a variazioni molto complesse. Altro esempio: il levalloisiano (270k –
250k a.C) possiede una raffinatezza nel taglio della pietra che non è stato più eguagliato neanche
nel Neolitico (e che non sapremmo eguagliare oggi). Tutto ciò che vale per le ere vale anche per le
razze: l’Uomo di Neanderthal non è necessariamente il predecessore di Homo sapiens sapiens, ma
potrebbe essere stato suo coevo. La tendenza a disporre in una linea temporale gli avvenimenti della
storia è del tutto artificiale. Il progresso non è né necessario né continuo, esso procede per
mutazioni (p.381, termine mutuato nella biologia), salti che consistono nell’andare sempre più
avanti nella stessa direzione. Questo accumulo continuativo, quindi, non è appannaggio di una sola
civiltà o di un periodo della storia, e questo ce lo dimostra l’America precolombiana, che, col
passaggio degli ominidi attraverso lo Stretto di Bering dimostra un esempio di storia accumulativa
eccellente (agricoltura, sviluppo dell’artigianato, della medicina…). Ricordiamo inoltre il contributo
dell’America precolombiana all’Europa: la patata, il tabacco, la coca, il cacao… Il calendario
precolombiano era, a parità di tempo, più avanzato di quello europeo, così come il sistema politico
Inca. Si pensi inoltre ai farmaci derivati dalle scoperte precolombiane (curaro). Qui LS ribalta
l’ipotesi dell’esistenza di una storia stazionaria e una cumulativa: se l’America precolombiana
(p.383) è cumulativa, non è che la definiamo come tale solo per il contributo che ha dato alla nostra
cultura e per il grado di somiglianza alla nostra propria cultura? La distinzione tra le due forme di
storia dipende dalla natura intrinseca delle culture cui è applicata o dipende dalla prospettiva
etnocentrica che adottiamo nel valutare una cultura diversa? LS propende per la seconda ipotesi.
Storia stazionaria e storia cumulativa non esistono: sono un riflesso del nostro proprio punto di
vista. Considereremmo cumulativa la storia di una cultura che si sviluppa in modo analogo alla
nostra e cui noi diamo significato; le culture la cui storia definiamo come stazionaria, in realtà, sono
culture che hanno uno sviluppo che non riusciamo a comprendere pienamente.
p.384. LS afferma che la contrapposizione tra culture progressive e inerti dipende da una diversità
di focalizzazione (immagine presa in prestito dal mondo della fisica: esempio del movimento,
relativo al sistema inerziale di riferimento). Il fattore velocità, nel mondo antropologico, è solo
metaforico. Per quanto riguarda la relazione tra culture quello che interessa è la quantità di
informazione suscettibile di passare fra due gruppi di cultura diversa. Quanto più le culture vanno in
senso diverso dal nostro, meno informazione passerà. L’immobilismo apperente di una cultura
potrebbe essere frutto della nostra ignoranza degli effettivi interessi della cultura in oggetto e dei
relativi criteri. Due culture che hanno visioni del mondo non coincidenti sono prive di interesse
l’uno per l’altra. Questa incomprensione di fondo porta al razzismo e alla gerarchizzazione di
società come arretrata rispetto alla nostra ( etnocentrismo occidentale). La civiltà occidentale si è
interamente orientata negli ultimi tre secoli nel rendere disponibile all’umanità mezzi meccanici
sempre più potenti. Con questo criterio la quantità di energia pro-capite potrà essere adottata a
metro del grado di sviluppo di una civiltà: la classifica vedrà quindi primeggiare la società
nordamericana, poi quella europea, le asiatiche… Se invece il criterio adottato fosse l’adattamento
all’ambiente, i primi nella gerarchia sarebbero gli Eschimesi, etc. Se prendiamo i contributi delle
singole culture, spezzettiamo il mondo, la città mondiale diventa un po’ come l’abito di Arlecchino.
In realtà, LS che è uno strutturalista, gli elementi singoli sono meno importanti del modo in cui una
cultura li assimila, li combina e dà loro un significato. Ad esempio il modo in cui la TV viene
utilizzata in Occidente è molto diverso dal modo in cui è utilizzata in Africa. L’originalità di ogni
cultura consiste nella capacità di risolvere i problemi e della scala di valori che si danno: tratti
comuni a tutte le culture esistono, ma è il modo in cui sono dosati che varia a secondo delle culture
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e l’etnologiamoderna si dedica a capire le ragioni profonde di tali scelte, piuttosto che classificare le
varie culture.
Posto della civiltà occidentale (p.388): perché tale civiltà viene riconosciuta come quella
superiore, perché il mondo intero ne adotta i tratti? I paesi insufficientemente sviluppati nei forum
internazionali rimproverano agli altri non l’occidentalizzazione, bensì la lentezza con cui essa
procede. LS quindi pone la tesi (che poi smentirà): non posso non occidentalizzare il boscimano se
egli me lo chiede. Serge Latouche in “L’occidentalizzazione del mondo” spiega la problematica
dell’universalizzazione della cultura dell’occidente. Come si concluderà questo movimento? Varie
ipotesi. Quello su cui si può discorrere è ciò che rileviamo: l’adesione generalizzata al modello
occidentale. Tuttavia, questa non dipende tanto da una libera scelta, quanto da una mancanza di
ulteriori scelte, in quanto l’Occidente ha imposto il proprio modello di vita e interferito nei modelli
altri tanto da renderli non più sostenibili (es. Africa) disuguaglianza nel rapporto di forze.
Tuttavia, molte società non si danno per vinte (esempio: tribù Brasile che aveva adottato etnografo,
il quale destava la loro pietà ogniqualvolta tornava in seno alla tribù dopo i suoi viaggi in
Occidente). Se non è il consenso a fondare la superiorità occidentale, cos’è? La maggior energia
dell’Occidente. I valori più praticati, secondo Leslie White sono: 1) l’accrescimento dell’energia
pro capite; 2) il prolungamento della vita umana (conseguenza della 1). Di fatto la civiltà
occidentale si è dedicata più di tutte le altre a questi scopi; tutte le civiltà agiscono in questo modo e
le civiltà più arcaiche sono quelle che compiono i progressi più decisivi (si pensi alla rivoluzione
neolitica, arti della civiltà che noi da un po’ di tempo ci votiamo semplicemente a perfezionare).
Pensare che l’intelligenza e lo sforzo siano appannaggio esclusivo dell’occidente e della
contemporaneità è un’aberrazione.
Caso e civiltà (p.392): ciò che LS cerca di decostruire nel rapporto tra culture lontane nello spazio
cerca anche di farlo diacronicamente per culture lontane nel tempo. In alcuni trattati di etnologia si
rinnova una certa immagine mitologica dell’uomo secondo cui la conoscenza del fuoco, o la
scoperta della ceramica sia dovuta al caso e che solo all’uomo moderno sarebbe riservata
l’illuminazione del genio, quasi che l’uomo fosse vissuto in un’età dell’oro tecnologica in cui le
invenzioni si coglievano come frutta. LS sostiene che questa teoria derivi da una totale ignoranza
delle tecniche in oggetto, in quanto le tecniche più elementari sono in realtà molto complesse. Ce ne
siamo accorti al momento in cui i paleontologi hanno provato a ricostruito gli utensili dell’epoca, la
cui fabbricazione necessitava in realtà di procedimenti ed attrezzi molto complicati. Ne “Il crudo e
il cotto”, LS applica le teorie strutturaliste: gli incendi naturali possono abbrustolire o arrostire, ma
le cotture come bollitura o al vapore implicano una certa ricerca da parte dell’uomo. Anche la
lavorazione del vasellame necessità di competenze specifiche: es. trovare l’argilla più adatta,
elaborare le corrette mescolanze, le tecniche del tornio e della modellazione… Quindi: il caso
esiste, ma non è all’origine di tutte le invenzioni dell’umanità, originate invece da genio e sforzo
intuitivo. Per lungo tempo il mondo occidentale ha conosciuto l’elettricità, ma tale conoscenza è
stata sterile finché non vi si sono applicati Ampère e Faraday. Bisogna inoltre distinguere la
trasmissione di una tecnica da una geenrazione all’altra dal miglioramento di quella stessa tecnica.
Useremo il caso per spiegare un altro fenomeno, ossia per capire perché alcuni mutamenti
avvengono solo in alcuni periodi e solo in alcuni luoghi, che cos’è che fa emergere una
scoperta.Innanzitutto dobbiamo presupporre che una certa dose d’immaginazione e genio rimanga
costante durante la storia dell’umanità, ma che questi elementi non determinano mutazioni
significative di per sé, sempre. E qui ci approssimiamo per cui LS fa menzione della nozione di
probabilità. Per giungere al risultato dell’emergenza di una scoperta non bastano i fattori
psicologici, ma anche di fattori storici, economici, sociologici. I fattori che bisogna invocare per
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spiegare le differenze nel corso delle civiltà e i loro differenti percorsi sono molteplici e complessi,
discontinui, tanto che sono inconoscibili, sia per ragioni pratiche (per la loro complessità), che
teoriche, epistemologiche, in quanto nelle tecniche di osservazione delle scienza umane e sociali
sappiamo che lo sguardo dell’osservatore può condizionare il risultato dell’osservazione, per questo
è stato introdotto anche nelle scienze umane il concetto di probabilità (così come in fisica). Si pensi
agli exit poll, ai sondaggi, che sono orientati dal tipo di domande poste etc etc. La statistica, come
dimostrato in Dal Lago (“Non persone”), ad esempio, può aiutare a dimostrare questa o la teoria
opposta (es. “Invasione degli immigrati”). La maggior frequenza di scoperte non dipende da una
maggiore incidenza del genio in un determinato tempo: in realtà i 9/10 della nostra ricchezza li
dobbiamo alle scoperte dei nostri predecessori. Per questo, il genio è più probabilmente
riconducibie all’inizio della civiltà piuttosto che alla modernità.
Potrebbe però sembrarci vero che, quanto alle invenzioni tecniche, la civiltà occidentale si è rivelata
più cumulativa delle altre, che dopo aver disposto dello stesso capitale neolitico delle altre civiltà,
ha ad esso applicato notevoli miglioramenti (anche se una parte di questo capitale è stato comunque
dissipato) e dopo una stagnazione di 2500 anni, è diventato il fulcro della rivoluzione industriale.
Due volte nella sua storia (rivoluzione neolitica e rivoluzione industriale), l’umanità ha saputo
accumulare una grande serie di invenzioni. Appena dichiarato che l’Occidente sembra una civiltà
più cumulativa delle altre, LS smentisce subito. Infatti, secondo LS, non dobbiamo dimenticare che
altre rivoluzione, dotate degli stessi caratteri cumulativi, hanno potuto svolgersi altrove, in altri
momenti, ma in altri campi. La nostra rivoluzione industriale, derivante dalla preoccupazione di
aumentare l’energia pro-capite, ci pare l’unica importante perché in linea con il nostro sistema di
valori. Le altre rivoluzioni ci paiono frammentarie, deformate in un certo senso, potrebbero anche
non essere esistite per l’uomo occidentale moderno. Vediamo due rivoluzioni, la neolitica e la
industriale, come le più importanti per motivi prospettici.
C’è anche un secondo appunto da fare: l’esempio della rivoluzione industriale dovrebbe ispirare un
po’ di modestia all’uomo occidentale, in quanto essa si è diffusa in tutto il mondo. Le questioni di
priorità assumono quindi un peso limitato; a maggior ragione si può parlare di rivoluzione neolitica
ubiquitaria, in quanto vari focolai sono scoppiati in modo indipendente. Il problema della priorità,
quindi, non ha importanza; l’ubiquitarietà degli sconvolgimenti tecnologici ci fa capire che essa non
sia dipesa dal genio occidentali, am da altri fattori da collocarsi al di fuori dalla coscienza degli
uomini strutturalismo. Le strutture immaginarie, incoscienti e universali del genere umano
costituiscono le condizioni di emergenza di tali rivoluzione; se la rivoluzione industriale non si
fosse manifestata in Occidente l’avrebbe fatto altrove. Lo storico dei millenni futuri giudicherà
futile il problema della priorità.
Perché è insostenibile distinguere storia cumulativa e stazionaria, che già abbiamo detto essere
limitata ai nostri interessi? Per quanto riguarda la tecnologia, nessun periodo può dirsi
completamente stazionario, in quanto la sopravvivenza della specie è sempre un problema
priporitario dell’uomo e necessità di soluzioni continue. Ogni storia quindi è cumulativa, con
diverso gradi. Si pensi alla civiltà cinese, che ha inventato la polvere da sparo, ma non ne ha fatto
l’uso che ne ha fatto l’Occidente. Il problema della relativa scarsità di grado di cumulatività si
riduce al nodo delle probabilità. Ai nostri occhi sembra che esistano pochissime culture più
cumulativa, come la nostra, e molte poco cumulative, come quelle che chiamiamo primitive. LS
adotta la metafora della roulette: è più frequente avere due numeri consecutivi anziché quattro, o
sei, o otto, etc. Se la nostra attenzione è fissata solo su serie lunghe, le serie corte diventano
insignificanti. La nostra scarsa attenzione per serie che variano dalle nostre solo per il valore di una
frazione è anch’essa una questione di prospettiva, perché considerate sotto un’altra angolatura
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presentano altra regolarità. L’umanità non evolve su un senso unico, se da un piano appare
stazionaria, può evolvere in altro campo.
Molte persone si pongono il problema del perché poche donne sono belle, ma se tutte le donne
fossero belle non avrebbe più senso il concetto di bellezza. Per questo anche il concetto di progresso
ci appare apprezzabile solo quando esso è “estremo” (si veda il concetto di “lunghe serie
probabilistiche”), per noi il progresso è solo “il progresso massimo”. Infine, il problema va
considerato anche secondo un altro aspetto: la collaborazione tra culture.
Collaborazione tra culture: le forme di storia più cumulative non sono mai state prodotte da
culture isolate, ma da culture che realizzavano coalizioni (migrazioni, commerci, etc). Quindi è
assolutamente insensato dichiarare una cultura superiore all’altra, proprio perché i balzi in avanti
massimi del progresso sono il risultato della cooperazione tra culture, così come il giocatore isolato
potrebbe ottenere solo piccole serie di pochi elementi. Nessuna cultura è sola: ogni cultura è datat in
coalizione con altre culture e le probabilità di ottenre lunghe serie aumenta con la durata e la qualità
di tale coalizione.
Ci siamo chiesti perché l’umanità sia stata stazionaria per i 9/10 della sua storia. Le condizioni di
vita dell’uomo si modificano radicalmente solo nel corso degli ultimi 10000 anni. Una
combinazione di grado n ha impiegato un tempo t per uscire: poteva uscire prima o dopo, il fatto
non ha alcun significato, l’uomo paleolitico era dotato quanto l’uomo attuale. Le grandi
semplificazioni sono dovute solo alla nostra ignoranza di tutti gli aspetti delle società preistoriche.
LS cerca di salvare, nella storia e nella propsettiva diacronica, che non è questione di genio il fatto
che il Neolitico sia apparso nel luogo e nel tempo che conosciamo, bensì alla nostra ignoranza di ciò
che è accaduto prima, e a fattori probabilistici.
Quello che vale per il tempo vale anche per lo spazio. La possibilità che una cultura ha di totalizzare
un complesso insieme di fattori è funzone del numero e della diversità delle culture che la
compongono e con cui essa compartecipa all’elaborazione di una comune strategia (si vedano i
cambiamenti impressi alla storia umana dalla scoperta dell’America). L’America precolombiana e
l’Europa rinascimentale erano culture molto cooperative, però l’Europa aveva una collaborazione
con culture molto più differenziate nel corso della storia, mentre le culture che componevano
l’America precolombiana erano più omogenee (popolamento dell’America più recente). Il livello
culturale di Messico o Perù non era inferiore a quello dell’Europa, semplicemente la composizione
dei loro fattori culturali era meno organica, erano meno elastici. La coalizione americana era
stabilita tra partner meno differenti fra loro di quelli che componevano la coalizione europea.
Sostanzialmente non esiste alcuna società cumulativa in sé o per sé, la cumulatività non è
prerogativa di uan razza. Essa si desume più dal comportamento. L’AC denaturalizza ciò che ci
sembra naturale e lo situa in una sfera comportamentale e culturale. La storia cumulativa è la forma
di storia caratteristica di quei superorganismi sociali che costituiscono i gruppi di culturi; la storia
stazionaria, se esistesse al grado completa, sarebbe caratteristica di una società isolata, che non è in
grado di realizzare la natura umana al 100%. Pertanto, gli sforzi di enumerare il contributo delle
singole razze al progresso umano è fallace perché: 1) l’attribuzione è spesso incerta; 2) ci sono
contributi limitati e contributi che hanno carattere di sistema. L’originalità e la natura insostituibile
di certi stili di vita o patterns sono innegabili, ma poiché rapprsentano scelte esclusive, non
possiamo pensare che una civiltà rinunci al suo pattern per un altro. In questo caso, i risultati sono
due: 1) crollo del pattern di uno dei due gruppi; 2) sintesi originale, che però sancisce la nascita di
un terzo pattern, irriducibile ai due precedenti. Il problema non è quindi capire se una società può
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trarre vantaggio dal pattern di una società vicina, ma se e in quale misura possa arrivare a
comprenderli e conoscerli.
Infine, non ci sono contributi senza beneficiario. Chi è il beneficiario della civiltà mondiale?
Quando parliamo di civiltà mondiale, usiamo un concetto astratto cui attribuiamo un valore morale
o logico. LS cerca di domstrare che il vero contributo delle culture non consiste nelle loro
invenzioni particolari, bensì nello scarto differenziale che esse presentano fra di loro. Il senso di
gratitudine che il membro di una data cultura deve provare verso le altre è fondato solo sulla
convinzione che le altre culture sono diverse dalle sue. Il concetto di civiltà mondiale è un concetto
limite: non esiste una civiltà mondiale in senso assolute perché composta di culture profondamente
divergenti paradosso della collaborazione tra culture: la civiltà mondiale può essere solo la
coalizione su scala mondiale di culture divergenti. Se è vero che ogni progresso culturale è funzione
di una coalizione, questo significa mettere insieme tutte le probabilità di progresso, ma questo
concorre anche alla omogeneizzazione delle culture (nell’ambito del gioco comune condotto dalle
sue componenti) che può indebolire la coalizione stessa fine della storia. Parrebbe pertanto che si
instaurino de dinamiche, due rimedi: 1) gioco degli scarti differenziali: tramite l’instaurazione di
gerarchie le società propongono differenze intere, per sopravvivere, es. caste indiane; 2)
(condizionato da 1) far entrare nuovi partner nella coalizione: es. imperialismo, colonialismo.
Questo processo può essere riassunto con: il progresso è subordinato alla collaborazione, ma nel
progredire di questa si rivela chiaro che l’apporto maggiore viene dato dallo scarto differenziale tra
contribuenti. Il sacro dovere dell’umanità consiste nel tenere comunque equilibrio tra i due poli di
omogeneizzazione e diversificazione.
Nell’ultimo paragrafo ci si appella alla responsabilità delle istituzioni internazionali in tal senso. I
nuovi modi non devono essere concepiti sulla base di soluzioni già date. La necessità di preservare
la diversità delle culture in un mondo minacciato dall’uniformità non è sfuggita alle istituzioni
internazionali. Anche Remotti parla di tolleranza, che LS definisce non come una posizione
contemplativa, bensì come un atteggiamento dinamico.
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