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POLITECNICO DI MILANO - DIPARTIMENTO DI SCIENZE E TECNOLOGIE AEROSPAZIALI

IMPIANTI E SISTEMI AEROSPAZIALI – Dispense del corso, versione 2019


Capitolo 8 – Organi d’atterraggio

Capitolo 8

Organi d’atterraggio

Queste dispense possono essere liberamente scaricate dal sito internet del Politecnico di Milano. La vendita è vietata.
8.1
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Capitolo 8 – Organi d’atterraggio

8.1 Introduzione

Il carrello di atterraggio costituisce una delle parti sostanziali di un velivolo; dal punto di
vista del peso può rappresentare una quota dal 3% al 7% di quello massimo al decollo e dal
15% al 20% di quello a vuoto, a seconda della categoria di velivolo; anche dal punto di vista
economico l'incidenza del costo degli organi di atterraggio costituisce una percentuale rile-
vante.
Il carrello è costituito da una serie di componenti principali:
 organi e cinematismi di estrazione/retrazione;
 ammortizzatore;
 freno;
 ruota;
 pneumatico.
Il carrello rappresenta un tipico esempio di sistema di bordo che ha pesanti interferenze
con la struttura, l'aerodinamica, gli impianti e la meccanica del volo. Il progetto del sistema
carrello per un determinato velivolo richiede sia lo sviluppo di componenti ad hoc, che l'im-
piego di componenti standardizzati, con maggiore o minore importanza dei due a seconda del
tipo di velivolo e della sua diffusione.
Il progetto concettuale e preliminare viene di norma sviluppato contemporaneamente a
quello dell'intero velivolo, mentre il progetto di dettaglio e dei componenti viene spesso dele-
gato a ditte specializzate.
I compiti del carrello sono diversi, esso deve infatti consentire:
1. stazionamento del velivolo a terra e sua movimentazione;
2. spostamenti del velivolo a terra;
3. corsa di decollo;
4. atterraggio.
Dall'esame delle varie funzioni sopra elencate derivano alcuni condizionamenti ed indica-
zioni sullo sviluppo del progetto.
Per soddisfare la condizione 1 occorre avere un minimo di tre punti di contatti col terreno e
risulta necessaria la presenza di ruote di cui alcune orientabili.
La condizione 2 richiede capacità autonoma di movimento e di manovra e quindi rende in-
dispensabile la presenza di ruote, di sterzo e freni. Il carrello dovrà essere tale da assicurare un
appoggio stabile col terreno sia in condizioni statiche, sia durante il movimento del velivolo;
in queste condizioni il carrello deve essere in grado di assorbire le asperità del terreno senza
trasmettere forze troppo grandi sia per limitare i carichi strutturali, sia per migliorare il com-
fort dei passeggeri.
La condizione 3 richiede la capacità di controllo del velivolo a terra fino a velocità corri-
spondenti a quella di decollo e la capacità di variare l'angolo di incidenza del velivolo fino al
raggiungimento dei valori di portanza necessari al decollo; quest'ultima specifica condiziona
la configurazione geometrica in modo da poter raggiungere l'angolo di assetto voluto senza
interferenza del velivolo col terreno.
La condizione 4 richiede infine la capacità da parte degli organi di atterraggio di assorbire
l'energia cinetica posseduta dal velivolo al momento del contatto del velivolo col suolo. Que-
sto avviene praticamente in due fasi: in una prima fase viene assorbita e dissipata l'energia
cinetica corrispondente alla componente verticale della velocità di atterraggio e la traiettoria
del velivolo viene modificata rendendola parallela alla pista di atterraggio. Per adempiere a
questo scopo il carrello necessita di organi in grado di compiere del lavoro dissipativo e di

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assorbire quantità notevoli di energia con corse sufficientemente limitate; saranno comunque
necessarie in genere forze e quindi rigidezze elevate sotto carico dinamico. Successivamente
viene assorbita la restante parte dell'energia cinetica fino all'arresto del velivolo.
Le specifiche introdotte dalla capacità del carrello di consentire l'atterraggio sono normal-
mente le più gravose e risultano le condizioni dimensionanti per il carrello e per la parte di
struttura al quale questo è collegato.
Le dimensioni che devono assumere i carrelli per poter sopportare i carichi dell'atterraggio
sono tali da renderli spesso ingombranti; questo comporta un notevole aumento del coeffi-
ciente di resistenza del velivolo per cui diventa necessaria una retrazione del carrello nell'in-
terno del velivolo durante il volo.
La retrazione del carrello comporta delle notevoli complicazioni costruttive ed un certo in-
cremento del peso, ma i vantaggi aerodinamici che si ottengono sono tali da richiederne l'ado-
zione nella stragrande maggioranza dei casi.

8.2 Configurazioni generale del carrello


Per quel che concerne la configurazione genera-
le del carrello, la configurazione a triciclo (fig.
8.1) è la più comune, anche se non mancano alter-
native.
Per ognuna delle gambe possono esserci una o
più ruote, su uno o più assi, in funzione
dell’esigenza di aumentare l’area di appoggio e
diminuire la pressione sul terreno.
La preferenza al carrello triciclo è dovuta al fat-
to che i tre punti costituiscono il minimo per assi-
curare a velivolo fermo un appoggio stabile sul
terreno svolto esclusivamente dal carrello (sono
impiegati carrelli con meno di tre punti di appog-
gio solo per velivoli particolari, come ad esempio
gli alianti i quali riescono a rimanere in equilibrio Fig. 8.1 – Configurazione a trici-
anche con velocità molto basse e da fermi possono clo anteriore e posteriore
appoggiare al terreno l’estremità alare e di coda
con carichi estremamente bassi); inoltre, in generale, il peso del carrello è minimizzato quan-
do il numero delle possibili combinazioni di impatto col terreno è minimizzato.

Fig. 8.2 – Layout tipici

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Le soluzioni con più di tre gambe vengono quindi adottate per particolari configurazioni
generali del velivolo o in casi nei quali conviene aumentare il numero delle gambe per ripar-
tirne il carico o per non avere troppe ruote sulla stessa gamba (fig. 8.2).
Nella configurazione a triciclo due gambe, dette principali, sono poste nella stessa posizio-
ne longitudinale e questa è scelta il più possibile vicino al baricentro; la terza gamba, detta
secondaria, è posta il più lontano possibile dal baricentro, ossia in coda o, più frequentemen-
te, sotto al muso. Normalmente il carrello principale sostiene una percentuale del peso del
velivolo fermo attorno al 90%, mentre il rimanente è nel carrello secondario.
La configurazione con ruotino posteriore, ormai utilizzata solo in velivoli leggeri ed eco-
nomici, ha l’unico vantaggio di essere molto semplice, al punto che in alcuni casi di velivoli
molto leggeri il ruotino è sostituito da un pattino; gli svantaggi sono tuttavia notevoli:

 a terra il velivolo ha assetto cabrato, con problemi di visibilità durante il rullaggio, elevata
resistenza aerodinamica e piano di carico inclinato;
 al decollo il velivolo deve innanzi tutto portarsi ad un assetto neutro per poter poi accelera-
re fino alla velocità di decollo, velocità alla quale deve aumentare l’incidenza; questo com-
porta normalmente anche la necessità di surdimensionare i piani di coda;
 durante la frenata la forza frenante sulle ruote e la forza d’inerzia orizzontale nel baricentro
del velivolo generano una coppia che tende a fare ribaltare in avanti il velivolo, obbligando
a mantenere l’asse del carrello principale più distante dal baricentro;
 durante l’atterraggio la reazione del terreno e la forza d’inerzia verticale nel baricentro ge-
nerano una coppia che tende ad aumentare l’incidenza del velivolo; esso tende perciò a ri-
prendere il volo e il risultato può essere un atterraggio a salti;
 il velivolo soffre di instabilità laterale, infatti una traiettoria curvilinea viene accentuata se
si tiene presente che il ruotino secondario, essendo poco caricato dal peso, contribuisce po-
co a contrastare la coppia che in tali condizioni tende ad incrementare la curvatura della
traiettoria (fig. 8.3).

La configurazione con ruotino anteriore ha quindi i seguenti vantaggi:

 a terra il velivolo può avere un assetto orizzontale con vantaggi di visibilità durante il rul-
laggio, bassa resistenza aerodinamica e piano di carico orizzontale;
 durante la frenata il ruotino
anteriore impedisce il ribaltamen-
to in avanti del velivolo;
 all'atterraggio la configurazio-
ne con baricentro anteriore al
punto longitudinale di contatto
col terreno provoca un momento
picchiante e quindi una riduzione
dell'incidenza con conseguente
calo della portanza alare;
 il velivolo è stabile lateral-
mente poiché tende a rettificare le
curve (fig. 8.3).
Fig. 8.3 - Stabilità laterale delle due
configurazioni a triciclo

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La posizione dei punti di appoggio al suolo deve essere scelta in modo da rispettare in tutte
le condizioni la stabilità dell'equilibrio del velivolo.
Questo presuppone che la risultante delle forze d’inerzia, per tutta la possibile escursione
del baricentro e in presenza di accelerazioni laterali e longitudinali, cada nel poligono delimi-
tato dalle zone di appoggio al suolo.

Fig. 8.4 - Posizioni di baricentro e carrello principale all’atterraggio

In caso di triciclo anteriore, la posizione del carrello principale deve tenere anche conto
dell’assetto del velivolo al momento del contatto a terra, evitando che il baricentro cada dietro
alla verticale sul punto di appoggio con l’assetto di atterraggio (fig. 8.4).

Fig. 8.5 – Stabilità durante il rullaggio

Durante il moto del velivolo a terra occorre inoltre tenere conto del fatto che traiettorie non
rettilinee possono indurre forze di inerzia laterali e quindi è necessario che anche in queste
condizioni non si verifichino condizioni di ribaltamento (fig. 8.5); da questo punto di vista è
allora vantaggioso allargare la carreggiata del carrello principale il più possibile. Questo porta
anche al vantaggio che, se all’atterraggio il velivolo si presenta con un certo angolo di rollio,
il contatto sulla prima gamba provoca un momento raddrizzante maggiore.

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Durante l'atterraggio, se il sistema di appoggio al terreno ha più di un punto di contatto, è


ben difficile che il carico venga applicato contemporaneamente su tutti i punti di appoggio;
questo comporta la convenienza a minimizzare i punti di appoggio possibili e a portarli il più
vicino possibile alla verticale sotto la posizione del baricentro. Il risultato sarà un compromes-
so tra queste esigenze, strettamente influenzato dal fatto che la zona di vincolo al velivolo
dovrà essere adatta alla trasmissione dei carichi previsti.
Normalmente i velivoli ad ala alta hanno il carrello princi-
pale in fusoliera, quelli ad ala bassa nell’ala stessa. In alcuni
velivoli il carrello è vincolato alla gondola motore.
Per quel che concerne infine la geometria della gamba
carrello, sono due le configurazioni più utilizzate: gamba
telescopica e gamba articolata (fig. 8.6). Nel primo caso si
ottiene una struttura più leggera, ma che richiede maggiore
corsa e quindi maggiore ingombro verticale; la seconda
versione è quindi preferibile per installazioni su piccoli ve- Fig. 8.6 – Gamba telescopica
livoli o elicotteri. ed articolata

8.3 Pneumatici
I pneumatici impiegati nei carrelli hanno una costruzione simile a quella dei pneumatici
automobilistici radiali tubeless; ne differiscono principalmente per i livelli di pressione adotta-
ta, una molto maggiore rigidezza del tallone di tenuta, una più semplice scolpitura del batti-
strada ed un suo maggiore spessore.
In fig. 8.7 si mostra una sezione che mette in evidenza i dettagli principali. La carcassa

TREAD SIDEWALL

CORD BODY

CORD LAYERS

BEAD TOE
BEAD WIRES

Fig. 8.7 – Sezione di un pneumatico aeronautico


(cord body) è un multistrato di fibre di nylon, distese lungo diverse direzioni, annegate nella
gomma. I talloni, per l’accoppiamento con la ruota, contengono anelli metallici di ritenuta
(bead wire) attorno cui si ancorano le fibre della carcassa.
La loro designazione segue una delle due regole seguenti: AxB, oppure AxB-C, dove le
lettere rappresentano rispettivamente il diametro esterno massimo, la larghezza trasversale (o
corda) e il diametro del tallone.
I pneumatici aeronautici devono essere in grado di sopportare carichi dinamici molto ele-
vati; il loro effetto è importante al momento dell'atterraggio dove la deformazione del pneu-
matico interviene in serie con quella dell'ammortizzatore e durante il rullaggio dove spesso

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l'ammortizzatore ha un comportamento talmente rigido da affidare al solo pneumatico la fun-


zione di assorbimento delle asperità del terreno.
I pneumatici aeronautici, anche se durante la loro vita operativa non devono percorrere
molti chiometri, sono ovviamente sottoposti ad ogni atterraggio ad un’usura elevata, in parte
dovuta allo spin-up durante il contatto a terra ed in parte dovuta alle frenate.
La forza normale NM che si genera al contatto tra pneumatico e suolo è data dal prodotto
della pressione del gas nel pneumatico per l’area di contatto, area e pressione che variano con
lo schiacciamento del pneumatico.

NM  p  A

La forza tangente al terreno è funzione della coppia applicata alla ruota (con verso dipen-
dente dall’avere una ruota motrice o frenante); essa è comunque limitata dall’aderenza col
suolo. Se ora definiamo come coefficiente d’attrito il rapporto tra la forza tangenziale e quella
normale di una ruota trascinata e frenata, si dimostra che tale coefficiente dipende da una serie
di fattori: materiale e condizioni dello pneumatico, materiale e condizioni della pista, scivo-
lamento longitudinale e velocità. Si definisce coefficiente di scivolamento (slip) k il rapporto
tra la velocità di scivolamento vsl e quella del velivolo v:

v SL v    R R
k 
v v

Al numeratore  è la velo-
cità angolare della ruota mentre
RR è il raggio di rotolamento,
distanza del centro ruota dal
terreno. Il coefficiente d’attrito
pneumatico - strada è funzione
del coefficiente di scivolamento
come mostra il diagramma in
fig. 8.8.
Chiaramente la forza tangen-
ziale è nulla quando non si ha
strisciamento, ovvero quando la
ruota è completamente libera.
All’aumentare dell’azione fre- Fig. 8.8 – Coefficiente d’attrito in funzione dello sci-
nante, cresce lo strisciamento e volamento
con esso il rapporto tra la forza
tangenziale e quella normale; questo rapporto trova un massimo per un valore del coefficiente
di strisciamento attorno al 10%, dopodiché la perdita di aderenza porta ad una riduzione del
rapporto. Anche al crescere della velocità si riduce il rapporto tra le due forze. La frenata ot-
timale è quindi ottenuta permettendo allo pneumatico di strisciare leggermente sull’asfalto.
Se la rotazione è impedita (k=1) le condizioni di attrito sono quelle di normale attrito ra-
dente, resta però un calo del coefficiente d’attrito con la velocità di strisciamento.

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Con opportuni cambiamenti di se-


gno, identiche considerazioni si possono
fare per ruote motrici.
Il coefficiente d’attrito massimo per
un pneumatico in buone condizioni su
pista di cemento asciutto può arrivare
tra 0.8 e 1, scendendo tra 0.6 e 0.8 sul
bagnato e tra 0.1 e 0.2 su ghiaccio (fig,
8.9).
Il coefficiente d’attrito volvente, do-
vuto all’isteresi del materiale del pneu-
matico, è del tutto trascurabile, aggiran-
dosi tra 0.008 e 0.02.
Quando il piano di simmetria del
pneumatico possiede un certo angolo 
rispetto alla direzione di avanzamento Fig 8.9 Coefficiente d’attrito massimo
(fig. 8.10a), detto angolo di deriva, si
genera una forza laterale, chiamata forza di deriva, diretta come l’asse della ruota e data da:

FD  N M  

dove NM è sempre il carico verticale sulla ruota e  è il coefficiente di forza di deriva;


quest’ultimo dipende dall’angolo di deriva stesso, come mostrato nel diagramma di fig. 8.10b.

1 .0

0 .5

0 .0
0 10 20 30 40

a b
Fig. 8.10 – Forza di deriva del pneumatico
Grazie alla forza di deriva si ha una risultante sul terreno con inclinazione maggiore
dell’angolo di deriva e questo consente la sterzata del velivolo ed è fondamentale per la stabi-
lità laterale del moto. Il coefficiente di deriva per angoli β attorno ai 15-20 gradi ha infatti lo
stesso ordine di grandezza del coefficiente di attrito longitudinale con scivolamento, questo
significa avere in queste condizioni una risultante inclinata attorno ai 45 gradi.
Perché la forza di deriva si sviluppi è però necessario che la ruota sia in rotazione altrimen-
ti la risultante delle forze di attrito sul terreno è diretta in senso contrario alla direzione del
moto.

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8.4 Ruote
Il disegno della ruota del velivolo è dettato
dalla necessità di contenere il freno e di montare
il pneumatico, col minore peso possibile. A cau-
sa delle dimensioni e della rigidezza degli anelli
di metallo di ritenuta e della necessità di spalle
elevate per assicurare la tenuta della pressione a
fronte delle elevate deformazioni dei pneumatici
all’atterraggio, la ruota è normalmente fatta da
due metà imbullonate assieme, generalmente in
lega d’alluminio.
Talvolta sono presenti delle spine termosen-
sibili che saltano nel caso in cui la temperatura
locale raggiunga un valore troppo alto, provo-
cando la riduzione della pressione del pneuma-
tico. Fig. 8.11 Ruota
Inoltre sono previsti dei rivestimenti termici
per evitare che il calore dei freni si propaghi ai
pneumatici.

8.5 Freni
I freni utilizzati sui velivoli devono soddisfare a diverse esigenze:
 rallentare il velivolo dalla velocità di atterraggio fino all'arresto o comunque alla velocità
di rullaggio;
 controllare il moto del velivolo, sia per quanto riguarda la direzione che la velocità, durante
il rullaggio;
 tenere fermo il velivolo in condizioni di stazionamento anche durante la prova dei motori.

Delle varie esigenze la più gravosa è quella della frenata all'atterraggio, dove i freni devo-
no creare la forza necessaria all’arresto del velivolo, in queste condizioni l'energia cinetica da
disperdere è considerevole: per attrito i freni assorbono l'energia trasformandola in calore e
sono quindi soggetti ad un notevole riscaldamento; la temperatura deve rimanere entro certo
limiti oltre che per evidenti motivi strutturali, dovuti al degrado di comportamento dei mate-
riali e alle dilatazioni termiche, anche per un calo delle caratteristiche di attrito. Nei freni ae-
ronautici è possibile accumulare il calore, anziché disperderlo immediatamente, dato che fra
le diverse frenate trascorre sempre un tempo notevole. Occorre però tenere conto
dell’esigenza di aver sufficientemente raffreddato i freni alla ripartenza del velivolo, l’arresto
in caso di decollo abortito, con freni non tornati alla temperatura ambiente, può essere la con-
dizione di impiego più critica.
Normalmente i freni sono montati solo sulle ruote del carrello principale ed il comando per
la frenata è realizzato con due sistemi indipendenti per la gamba destra e sinistra, comandati
dai due pedali della pedaliera. Questo consente una frenata differenziale utilizzata per il con-
trollo della direzione del moto del velivolo sul terreno.
I freni impiegati in aeronautica sono tutti a disco, che rispetto a quelli a ganasce richiedono
una lavorazione più economica, disperdono meglio il calore e consentono un miglior sfrutta-
mento della superficie di attrito. Sebbene il dimensionamento del freno venga effettuato dalla

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casa produttrice del freno stesso, è opportuno che in sede di progetto del velivolo venga svolta
una stima approssimativa delle dimensioni.

ROTOR STATOR BRAKE


DISC DISC WH STA
EEL ASSEMBLY
TOR
A
XLE

WHEEL
KEY

BACK
PLATE
KEY SLOTS TO
AXLE
LINING RO CYLIND
KEY SLOTS TO BLOCKS TOR ERS
WHEEL PRESSURE
PLATE

Fig. 8.12 - Freno a dischi multipli

I freni sono costituiti da uno o più dischi che vengono fatti ruotare assieme alla ruota; i di-
schi presentano al contorno delle cave (key in fig.8,12) che si accoppiano con linguette monta-
te sul cerchione (drive block in fig. 8.11); questo obbliga i dischi a ruotare con la ruota, ma
lascia un grado di libertà nel senso dell’asse del perno su cui è montata la ruota. L’insieme dei
dischi costituisce il rotore.
Alternati ai dischi del rotore si trovano altri dischi, questa volta vincolati per la rotazione al
perno e anch’essi liberi di muoversi assialmente. Questi dischi, che costituiscono uno statore,
servono di supporto alle pastiglie di attrito che normalmente nei freni aeronautici sono dispo-
ste su tutta la circonferenza.
Premendo assialmente il pacco di dischi, le pastiglie per
attrito generano la coppia frenante. L’attrito sviluppa calore
che penetra nel disco a partire alla superficie a contato con
le pastiglie; il disco ha un aumento di temperatura inizial-
mente sulla superficie e tende poi a portarsi per conduzione
a temperatura uniforme. Prima di raggiungere un equilibrio
termico si possono avere forti differenze di temperatura
lungo lo spessore del disco, con conseguenti diverse dilata-
zioni termiche e rischi di rottura: è quindi opportuno che lo
spessore del disco non sia elevato. Siccome il calore intro-
dotto, per limitare la temperatura raggiunta, richiede una
certa massa nei dischi, ne segue l’esigenza di avere più di-
schi, singolarmente di spessore minore. Fig. 8.13 Freno
I due dischi di estremità, facenti parte dello statore, sono una piastra di pressione ed una
contropiastra. Tranne la contropiastra, tutto il complesso ha la possibilità di scorrere lungo
l’asse. L’azione frenante avviene serrando il pacco dei dischi contro la contropiastra, median-
te l’azione di pistoncini idraulici che agiscono sulla piastra di pressione.
Inizialmente i dischi erano in acciaio, dopo alcune versioni in berillio, si è iniziato ad im-
piegare carbonio, che presenta notevoli vantaggi in termini di peso, calore specifico, conduci-
bilità termica, coefficiente di dilatazione termica e resistenza meccanica alle alte temperature;

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si deve infatti considerare che le temperature di utilizzo arrivano tranquillamente a 500C in


una frenata normale, potendo superare i 1000C in caso di decollo abortito.
Le pastiglie sono invece in materiali sacrificali composti da metalli e ceramica, che vengo-
no sostituiti in base all’usura. Il materiale è fragile e per questo motivo è necessario limitarne
le dimensioni utilizzando più pastiglie ognuna delle quali copre un arco limitato.
Per il dimensionamento meccanico dei freni si de-
ve valutare la coppia frenante generata dall’insieme di
pastiglie che premono sui dischi del rotore. Una sin-
gola pastiglia fornisce la coppia (fig. 8,14):
 re 3 3
re
re  ri
C f   rpdA    pr drd  p
2

A 0 ri
3 θ
 = Coefficiente di attrito disco - pastiglia; ri
p = pressione su pastiglia; Fig. 8.14 Area attrito
θ = angolo apertura pastiglia;
ri = raggio interno;
re = raggio esterno.

Noto il numero di pastiglie per disco e il numero di dischi per ruota si può calcolare la
coppia frenante CF su ogni ruota; dall’equilibrio alla rotazione della ruota

J  TM RR  CF  Ca

trascurando la coppia d’inerzia e la coppia d’attrito Ca dei cuscinetti della ruota, piccole du-
rante la frenata rispetto alle altre coppie in gioco, si ricava la forza frenante esercitata dalla
singola ruota:
C
TM  F
RR

dove RR è il raggio di rotolamento; sommando la forza frenante esercitata da tutte le ruote si


ha infine la forza frenante il velivolo.

R
B

RR
TM
NN
NM
TM
NM
Fig. 8.15 - Coppia e Forza frenante
Naturalmente bisogna verificare che la coppia frenante di ogni ruota generi una forza tangen-
ziale a terra inferiore a quella di attrito, altrimenti si avrebbe scivolamento della ruota. La va-
lutazione deve essere compiuta indipendentemente per ogni singola ruota, comunque la forza
frenante massima sarà data da una relazione del tipo:
TMMAX  G  N M

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dove G è il coefficiente d’attrito limite tra pneumatico e suolo. In condizioni statiche, per un
velivolo classico con configurazione carrello a triciclo anteriore, la forza normale NM sul car-
rello principale è attorno al 90% del peso del velivolo; nelle condizioni dinamiche di frenata,
le forze d’inerzia portano il carrello principale a scaricarsi parzialmente e quello di prua a
caricarsi. E’ quindi necessario il calcolo dell’effettiva reazione NM per stimare l’intensità di
frenata.
Da questo tipo di calcolo, nota anche la resistenza aerodinamica, è possibile legare tra loro
differenti parametri, quali forza frenante, corsa di atterraggio, pressione dell’impianto, area di
attrito necessaria, numero di pastiglie e di dischi, usura delle pastiglie e così via, rendendo
possibile il dimensionamento meccanico dell’impianto.
Per il dimensionamento termico dei freni, che normalmente condiziona il numero di dischi
per freno, si utilizza un approccio energetico. L’energia da dissipare attraverso i freni sarà una
certa frazione dell’energia cinetica del velivolo:
1
EC  Mv 2
2
dove M è la massa del velivolo e v la velocità al momento dell’inizio della frenata; si può
ragionevolmente ipotizzare che una certa percentuale dell’energia venga assorbita dai freni e
la restante dissipata dalla resistenza aerodinamica e dall’eventuale uso di invertitori di spinta.
Ammettendo da un punto di vista prudenziale che tutta questa energia sia trasformata in ener-
gia termica assorbita dai dischi, senza dissipazioni, noto l’incremento di temperatura T mas-
simo ammissibile si può calcolare la massa totale di dischi necessaria supponendo che solo
essi assorbano tutta l’energia e da questa, dividendo per il numero di ruote e tenendo conto di
uno spessore ammissibile per i dischi calcolarne il numero per ogni freno.
cv mT  EC
dove cV il calore specifico, m è la massa totale dei dischi e η la percentuale di energia assorbi-
ta dai dischi. Da questa relazione è evidente che per limitare la temperatura si deve aumentare
la massa m del gruppo frenante o utilizzare materiali con elevato calore specifico, come il
carbonio. Comunque lo spessore dei dischi deve essere contenuto per evitare che forti diffe-
renze di temperatura fra le facce da cui il calore viene intodotto ed il centro dello spessore
siano troppo forti provocando dilatazioni termiche troppo differenti e conseguenti rotture.
Alcuni velivoli utilizzano sistemi di ventilazione forzata per limitare l’incremento termico,
potendo così aumentare la coppia frenante e quindi abbreviare la corsa di frenata.

8.6 Sistemi anti-bloccaggio delle ruote e sistema autofrenante


Per avere la massima efficacia nella frenata è necessario evitare il bloccaggio delle ruote,
mantenendo il contatto tra battistrada e suolo nel campo d’attrito statico; questo in carrelli con
molte ruote è difficilmente controllabile da parte del pilota in caso di frenata intensa.
Il bloccaggio delle ruote porta ad una forza frenante corrispondente al coefficiente d’attrito
di strisciamento che, nei pneumatici, diminuisce al crescere della velocità di strisciamento; si
avrebbe quindi una diminuzione della forza frenante, ma inoltre una perdita della capacità di
esercitare forze laterali di deriva e quindi possibile perdita della stabilità del moto.
Il problema viene risolto con dispositivi anti-skid in grado di controllare il livello di pres-
sione esercitato sui singoli freni. Inizialmente questi dispositivi si basavano sulla velocità an-
golare della ruota ricavata da una dinamo o un generatore di impulsi calettato sulla ruota. Se
veniva rilevato l’arresto della rotazione di una ruota veniva rilasciata la pressione esercitata
sul freno; naturalmente in questi casi viene fatto un confronto fra il comportamento delle varie

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ruote per non rilasciare la frenata quando il velivolo è fermo. I sistemi più moderni utilizzano
anche l’accelerazione angolare della ruota per prevedere il bloccaggio della ruota e agire gra-
dualmente e non in modo impulsivo come avviene controllando la sola velocità.
Mentre i sistemi anti-skid inizialmente erano analogici, quelli attuali sono digitali, con un
controllo molto fine del segnale di bloccaggio e fluttuazioni di pressione più contenute con-
sentono corse di atterraggio più brevi. I sistemi attuali riescono a tenere la ruota ad un certo
livello di scivolamento ottimale. Essi confrontano il segnale di velocità angolare campionato
con un segnale di velocità calcolata del velivolo, potendo così valutare lo slittamento; quando
questo supera un certo livello, viene rilassata la pressione nell’impianto in modo proporziona-
le all’intensità dello slittamento, fino a recuperare l’intensità desiderata.
Il sistema autofrenante (auto-braking) è in genere associato all’anti-bloccaggio. Quando il
controllo del rullaggio è impostato su auto-braking, il pilota non deve premere sui pedali per
frenare perché la manovra viene effettuata automaticamente. Con il sistema armato in modali-
tà d’atterraggio, i freni vengono attivati alcuni secondi dopo il segnale di ammortizzatore
schiacciato, oppure dopo l’estensione degli aerofreni, generando un’intensità di frenata co-
stante pre-impostata dal pilota. Con il sistema armato in modalità di decollo, se il pilota effet-
tua un’operazione tipica del decollo abortito (estensione aerofreni, riduzione al minimo dei
motori, inserimento inversori di spinta), l’auto-braking si attiva alla massima intensità.
In tutti i casi il pilota può disattivare l’auto-braking premendo i pedali oltre un’escursione
definita. Il sistema anti-bloccaggio è ovviamente attivo durante l’auto-braking.

8.7 Ammortizzatore: tipologie e principio di funzionamento


Gli ammortizzatori costituiscono il componente principale del carrello ed hanno la funzio-
ne di assorbire energia durante la loro deformazione, restituendone solo una parte e dissipan-
do il resto.
E' possibile sviluppare ammortizzatori con diversi sistemi: molle metalliche elastiche as-
siali o flessionali, molle e organi d'attrito, molle liquide, tamponi in gomma, sistemi pneuma-
tici, ecc.; ma il sistema che ha la maggior diffusione, dato il miglior rendimento ottenibile a
parità di peso, è costituito dall'ammortizzatore oleopneumatico. Solo a bordo di piccoli veli-
voli si può evitare l’impiego di questo tipo di ammortizzatori; per esempio nello schema di
fig. 8.16a la gamba è inclinata e, durante l’appoggio a terra, funziona da molla flessionale,
mentre l’energia è dissipata per l’attrito che si genera nel movimento trasversale del pneuma-
tico sul terreno. In altri casi si possono introdurre dei tamponi di gomma tra la gamba e la
fusoliera, che hanno funzione sia elastica che dissipativa.

a b
Fig. 8.16 – Ammortizzatore a molla e oleopneumatico

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In un ammortizzatore oleopneumatico coesistono una camera nella quale viene compresso


del gas e due camere separate da orifizi attraverso i quali viene trafilato dell'olio. La fig. 8.16b
mostra alcuni schemi possibili di realizzazione.
L’elemento gassoso dell'ammortizzatore ac-
cumula energia ed è in grado di restituirne la
maggior parte (tutta quella che non viene di-
spersa in calore); le forze legate alla compres-
sione del gas dipendono dalle variazioni di lun-
ghezza dell'accumulatore.
L’elemento oleodinamico dell'ammortizzato-
re crea invece forze dissipative legate alla velo-
cità di deformazione dell'accumulatore.
Da un punto di vista puramente schematico si
può considerare l’ammortizzatore come un mar-
tinetto con pistone mobile (fig. 8.17), sul cui
stelo si trova la ruota; nel cilindro si trova il
liquido che, in condizioni statiche, è in equili-
brio di pressione con un accumulatore a gas;
durante il movimento del pistone il liquido scor-
re attraverso una strozzatura e la pressione sul
pistone è somma di quella dell’accumulatore e
quella dovuta alla perdita di carico.
La forza necessaria per lo spostamento del Fig.8.17 - Rappresentazione
pistone è funzione dello schiacciamento e della schematica dell’ammortizzatore
 
velocità di schiacciamento R  R  ,  , infatti:

 
  V  d  
2
 V0  d 
2

R  A( p  p)  A p0  0
  K  A    Ap0    A3 K  
  V0  A   dt    V0  A   dt 

dove:

A = Area del cilindro


p = Perdita di carico concentrata nella strozzatura (p=KQ2, dove Q = portata)
p0 = Pressione del gas a martinetto esteso
V0 = Volume gas a martinetto esteso
 = Spostamento pistone
K = Coefficiente di perdita di carico concentrata nella strozzatura

La relazione è valida per lo schema ideale; per un ammortizzatore reale occorre individua-
re le varie camere con pressioni diverse e le superfici su cui queste pressioni agiscono, in mo-
do da scrivere la relazione di equilibrio propria di quella tipologia di ammortizzatore. Le pres-
sioni nelle varie camere saranno funzione dello schiacciamento, che provoca variazioni del
volume disponibile per il gas, e della velocità di schiacciamento, che provoca variazione di
pressione fra le varie camere per effetto delle perdite di carico.

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Tipo A Tipo B
Fig. 8.18 Esempi di ammortizzatori

Uno spostamento relativo  fra cilindro e pistone provoca nell’ammortizzatore di tipo A il


passaggio dalla camera superiore a quella inferiore di un volume d’olio pari a:
V  Ac
dove Ac è l’area interna del cilindro; corrispondentemente si ha attraverso il foro nella testa
del pistone una portata pari a:
Q  Ac
Per l’equilibrio, trascurando le forze d’inerzia, si ha:

  V  
R  p3 Ac   p2  p Ac   p1  KQ Q Ac  p0 
 0
  KAc2   Ac
  V0  Ac  
 

Per l’ammortizzatore di tipo B lo spostamento relativo 𝛿 provoca il passaggio dalla came-


ra 3 alla 2 di un volume:
V32  ( Ac  As )
dove Ac è l’area del cilindro e As l’area della spina, ed il passaggio dalla camera 2 alla 1 di
un volume:
V21  V32  V2   Ac  As   Ap  As   Ac  Ap 
dove Ap è l’area interna del pistone.
Per l’equilibrio si ha:
R  p1 Ap  p2 Ap  As   p3  Ac  As 
si ha:
p2  p1  p21
p3  p2  p32
Sostituendo e semplificando risulta:
R  p1 Ac  p21Ac  Ap   p32  Ac  As 

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con:
 
 V0   V0 
p1  p0    p0  
 V  A  A  
 V0  V21   0 c p 
p21  p21Q21 Q21  K 21 Ac  Ap   
2  

p32  K 32Q32 Q32  K 32  Ac  As   


2

L’espressione delle forza esercitata dall’ammortizzatore comprende comunque termini le-


gati allo schiacciamento e termini legati alla velocità di schiacciamento.
La componente statica, legata allo schiacciamento, segue un’adiabatica ed è una curva
esponenziale a concavità verso l’alto come nel diagramma di fig. 8.19, in funzione di , con
asintoto per  = V0/A. La componente viscosa ha un andamento legato a quello della derivata
prima d/dt, che approssima-
tivamente è una curva a cam-
pana con valori nulli per
schiacciamenti nullo e mas-
simo. La sovrapposizione dei
due effetti risulta nella curva
della reazione risultante.
Raggiunto lo schiaccia-
mento massimo, inizia il ri-
torno verso la posizione di
equilibrio statico, cui giunge
dopo un certo numero di
oscillazioni.
Occorre tenere conto del
fatto che durante il ritorno la
perdita di carico cambia di
Fig. 8.19 – Reazione in funzione dello schiacciamento
segno e quindi è opportuno
esprimerla con la forma p  k Q Q anziché p  kQ2 .
La componente viscosa, come si può notare, è elevata e contribuisce in modo sostanziale
non solo a smorzare il moto oscillatorio del velivolo dovuto alla reazione elastica del gas, ma
anche a ridurre la corsa. Si può considerare infatti che in condizioni statiche l’ammor-
tizzatore si trova compresso per il 60-70% della corsa totale, fatto che indica l’importanza
della componente viscosa durante lo schiacciamento dinamico dell’ammortizzatore.
Come principio l'ammortizzatore è un macchina relativamente semplice; può però essere
reso notevolmente complicato, per esempio per ottenere comportamenti variabili in funzione
del verso di deformazione, ossia valori di forza viscosa diversi a seconda che il carrello sia in
fase di compressione o di estensione; oppure comportamenti variabili in funzione del valore di
deformazione, per ottenere valori di forza viscosa durante lo schiacciamento all’atterraggio
diversi da quelli durante la corsa di rullaggio; oppure ancora comportamenti variabili con la
pressione nelle camere di olio e gas, ottenuti con l’apertura di orifizi aggiuntivi in caso la
pressione raggiunga valori elevati.

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8.8 Ammortizzatore: stima della corsa


Come già detto, le condizioni di carico più gravose per il carrello sono all'atterraggio; in
questa fase il carrello deve compiere un lavoro in grado di assorbire l'energia cinetica corri-
spondente alla componente verticale della velocità al momento del contatto col terreno e deve
in massima parte disperderla.
Il lavoro L compiuto dagli organi del carrello può essere espresso da:

L   R  d
0

dove R è la reazione al terreno,  l’abbassamento del baricentro e  il suo massimo (forza e


deformazione degli ammortizzatori sono legati a R e  da relazioni cinematiche dipendenti
dalla configurazione del carrello).
Tale legge ha validità generale e la forza avrà un andamento che dipende dall'elemento im-
piegato nel carrello per assorbire l'energia: con un elemento perfettamente elastico non preca-
ricato si avrebbe R = k, se precaricato R = R0 + k, con un elemento perfettamente rigido-
plastico R = cost. Con un elemento oleopneumatico l’andamento della reazione R in funzione
di  è rappresentato qualitativamente nella fig. 8.19.
In ogni caso si può esprimere il lavoro L anche con un'espressione del tipo:

L = RMAX,

dove RMAX è la reazione massima raggiunta e  = L/(RMAX) rappresenta il rendimento


dell’ammortizzatore: questo è pari a 0.5 per un elemento elastico, è inferiore a 0.5 per elemen-
ti pneumatici, è superiore a 0.5 per elementi in gomma e per elementi elastici precaricati; può
arrivare a valori di 0.9 ÷ 0.95 con ammortizzatori oleopneumatici. Il nome di rendimento è
giustificato dal fatto che tale coefficiente esprime il rapporto tra il lavoro effettivamente as-
sorbito dal sistema e quello massimo che si può assorbire con forza RMAX e corsa :

 R  d
 0

R MAX  
Un bilancio energetico al momento dell'atterraggio ci porta a scrivere l'equazione:

 
1
mv 2Z  mg   R  d   L  d
2 0 0
dove:
m = massa del velivolo;
vz = componente verticale della velocità;
g = accelerazione di gravità;
R = reazione del terreno;
L = portanza;
 = abbassamento del baricentro;
 = massimo abbassamento del baricentro.

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Al momento dell’inizio del contatto la portanza ed il peso del velivolo si equilibrano, ma,
nella fase di schiacciamento in esame, la traiettoria del velivolo viene modificata (viene infatti
annullata la componente verticale della velocità); anche se questa fase è troppo rapida perché
il velivolo possa avere una rotazione
di beccheggio sensibile, la variazio-
ne di traiettoria porta ad una varia-
zione di portanza della quale occor-
re tenere conto.
La variazione della portanza in
funzione di  dipende dall'effettiva
dinamica del velivolo; in prima ap-
prossimazione, tenendo conto
dell'ordine di grandezza dell'inci-
denza all'atterraggio e dell'inclina-
zione della traiettoria, mancando di
ulteriori informazioni, è ragionevole
supporre che la portanza si riduca ad Fig. 8.20 - Andamento ipotizzato della portanza
un terzo del valore iniziale e che
questa variazione avvenga con legge
lineare (fig. 8.20).
Si può quindi scrivere:

2
0 L  d  3 mg

La reazione massima può essere ricavata fissando un valore massimo per il coefficiente di
contingenza che per l'atterraggio è:
 L  R L  R MAX mg  R MAX
n   MAX 
 mg  MAX mg mg

R MAX  ( n  1)  mg

avendo assunto sia per la reazione R che per la portanza L i valori massimi nell'intervallo con-
siderato. Si osservi che il coefficiente di contingenza è legato alla categoria di velivolo, an-
dando dal valore di 1.5 per velivoli da trasporto al valore di 5 e oltre per velivoli militari.
Sostituendo i valori degli integrali così calcolati nell’espressione dell’equilibrio energetico
si ricava:
v 2Z

 1
  ( n  1)  3   2g

Si è così ricavato l’abbassamento massimo del baricentro che può essere correlato allo
schiacciamento massimo degli organi di atterraggio.
Il procedimento sopra tracciato consente di avere fino dalle prime fasi del progetto valori,
sia pure approssimati, dei due parametri più importanti per la definizione del carrello: la forza
massima trasmessa e la corsa necessaria.

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Il procedimento contiene molte approssimazioni che è opportuno evidenziare:

 in condizioni di progetto è evidente che il rendimento dell'ammortizzatore non è noto e si


può quindi solo adottare un valore stimato per analogia con altri progetti;
 spesso la reazione del terreno è confusa con la forza esercitata sull’ammortizzatore, lo
schiacciamento dell’ammortizzatore con
l’abbassamento del baricentro; x
M
 nelle formule si è tenuto conto di uno schiaccia-
mento complessivo e di un solo organo in grado
di assorbire l'energia; in realtà questa funzione è F1 F2
svolta da due organi che lavorano contempora-
neamente, l'ammortizzatore ed il pneumatico,
sebbene questo abbia un contributo modesto; y
m
 la legge di variazione della portanza è stimata e
non può essere ricavata che da una conoscenza FT1 FT2
delle effettive caratteristiche aerodinamiche del
velivolo nelle condizioni di atterraggio;
 sono stati trascurati tutti gli effetti, peraltro sen-
Fig. 8.21 – Schema a corpi rigidi
sibili, dovuti allo spin-up della ruota e alla de-
formazione della struttura del velivolo.

Una approssimazione migliore viene ottenuta con un’analisi dinamica del sistema a 2 gradi
di libertà velivolo + carrello, ipotizzando che il velivolo sia connesso al carrello da un ele-
mento deformabile che rappresenta l’ammortizzatore e che il carrello scambi una forza col
terreno attraverso un elemento deformabile che rappresenta il pneumatico. Facendo riferimen-
to alla fig. 8.21, si può scrivere un sistema di due equazioni differenziali non lineari del tipo:
Mx   Mg  FA x  y, x  y   Lx 
my  mg  FA x  y, x  y   FR  y, y 
dove:
M = massa velivolo meno quella del carrello;
m = massa carrello;
g = gravità;
FA x  y, x  y  = forza dell’ammortizzatore;
FR  y, y  = forza del pneumatico;
Lx  = portanza.
Per quel che concerne quest’ultima, essa viene descritta come:
1 C
L  v 2 S L 
2 
dove:
 = densità aria;
v = velocità velivolo;
S = superficie di riferimento velivolo;
CL = coefficiente di portanza;
 = angolo d’incidenza

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Tutti i termini della funzione portanza sono costanti durante lo schiacciamento


dell’ammortizzatore, eccetto l’angolo di incidenza (e la velocità, ma in misura molto minore),
che diminuisce a causa del cambiamento di traiettoria del velivolo, come in precedenza men-
zionato e schematizzato in fig. 8.22. L’angolo di incidenza  è dato dalla somma dell’angolo
A, che rappresenta l’orientamento del velivolo rispetto all’orizzonte, e l’angolo T, che rap-
presenta l’angolo di traiettoria rispetto ancora all’orizzonte, quest’ultimo funzione della velo-
cità verticale e di quella di volo; per angoli piccoli, si po’ scrivere:

x
   A  T   A 
v

In questo modo è possibile scrivere la funzione della portanza come funzione delle variabi-
li delle equazioni differenziali sopra descritte, da risolversi numericamente. Con tali equazioni
è possibile svolgere un’analisi parametrica dell’influenza di grandezze quali le caratteristiche
geometriche e meccaniche dell’ammortizzatore sul fattore di carico, la corsa, etc.

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8.9 Retrazione ed estrazione


Le gambe dei carrelli non potranno mai avere dimensioni, ed in particolare lunghezze,
molto limitate; questo implica durante il volo la presenza di forti effetti di resistenza. Salvo
casi di velivoli per velocità moderate
e di costo modesto, si ricorre sempre
all'espediente di retrarre il carrello
nell'interno del velivolo quando que-
sto è staccato dal terreno.
La retrazione/estensione del car-
rello comporta lo sviluppo di un
meccanismo e la ricerca di un volu-
me disponibile nella fusoliera o nelle
ali per lo stivaggio del carrello retrat-
to.
La movimentazione del carrello
richiede un cinematismo che sia in
grado di portarsi in una configura-
zione dove possa essere bloccato
senza essere in presenza di momenti
flettenti consistenti.
Uno dei metodi più semplici con-
siste di due soli elementi: la gamba e
l’attuatore, che agisce anche da con-
trovento laterale.
Nella storia dell'aeronautica sono
stati studiati e sviluppati moltissimi
tipi di cinematismi, piani o spaziali;
salvo casi dove la configurazione
richiede movimentazioni particolari
per assicurare la scomparsa nell'in-
terno del velivolo del carrello, la so-
luzione più diffusa al giorno d'oggi è
la più semplice, cioè quella dove due
aste di un quadrilatero articolato si
allineano realizzando così un arco a
Fig. 8.23 – Schemi per la movimentazio- tre cerniere con un'asta principale
ne del carrello sensibilmente verticale che assorbe la
maggior parte del carico sul carrello
e un'asta diagonale con funzione di controvento, come nelle figure 8.23A, B e C. Nel caso D
invece il punto di vincolo tra la gamba e la struttura del vano carrello è in grado di scorrere
lungo una guida. Infine, nel caso E, si osserva uno schema cinematico utilizzato per installa-
zioni su velivoli da trasporto, con pianale di carico abbassato, o su elicotteri, con stivaggio del
carrello sul fianco inferiore della fusoliera.

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Capitolo 8 – Organi d’atterraggio

Lo studio del cinematismo comporta quindi: una ricerca delle posizioni ottimali delle varie
cerniere necessarie, uno studio della posizione del martinetto di attuazione, delle forze eserci-
tate sul martinetto e dei problemi di interferenza fra i vari componenti reali del carrello duran-
te tutta la corsa.
Quando possibile, il cinematismo
viene realizzato di modo che durante
l’estrazione si abbia un movimento
all’indietro del carrello, affinché
forza peso e forze aerodinamiche si
sommino a favorire l’operazione;
tradotto graficamente significa an-
che che la curva che lega il carico
sul pistone in funzione della sua
corsa non cambia segno, come in
fig. 8.24; l’area sottesa dalla curva è
Fig. 8.24 – Diagramma di estrazione il lavoro necessario all’operazione;
quando questo valore viene diviso
per l’area del rettangolo definito dalla forza massima e spostamento massimo, si ottiene
l’efficienza del cinematismo, che è di solito dell’ordine del 70-80%.
La movimentazione del carrello avviene nella maggioranza dei casi attraverso martinetti
idraulici, anche se in alcuni casi, ed in particolare per piccoli velivoli dove non esistano altre
necessità di energia idraulica, vengono impiegati martinetti elettrici. Quando possibile, si pre-
ferisce evitare il movimento in sequenza del portello e del carrello, attuando entrambi con lo
stesso martinetto, con evidente risparmio di peso e di affidabilità. Per l'attuazione di dispositi-
vi di blocco del carrello, sia in posizione estratta che retratta, si usano pure martinetti. Il car-
rello quindi finisce per richiedere un impianto idraulico ed un impianto elettrico di una certa
rilevanza.
Comunque è previsto sempre un sistema di estrazione di emergenza indipendente da quello
principale, da utilizzare in caso di guasto all’impianto idraulico o elettrico.
Il comando di retrazione
inoltre deve ricevere consenso
da un sensore di carico o di
schiacciamento sulla gamba del
carrello, onde evitare la chiusu-
ra con velivolo a terra.
Lo studio dell'interferenza
fra i vari componenti del carrel-
lo e la determinazione del vano
necessario a contenerlo hanno
sempre costituito un notevole
problema, risolto in prima ap-
prossimazione attraverso un
certo numero di disegni e suc-
cessivamente completato attra-
verso modelli. Questo è neces-
sario specialmente per carrelli Fig. 8.25 Problemi della retrazione carrello

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Capitolo 8 – Organi d’atterraggio

che abbiano movimento non piano o articolazioni particolari che rendono molto complesso lo
sviluppo manuale dei disegni; al giorno d'oggi il problema è affrontabile attraverso i sistemi
CAD in modo praticamente completo.

Fig. 8.26 Sistema di retrazione

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8.23
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8.10 Sistemi non convenzionali


Esistono condizioni particolari nelle quali non è possibile ricorrere a carrelli convenzionali,
ma è necessario utilizzare sistemi particolari quali sci o galleggianti.
Sistemi basati su sci sono utilizzati su piccoli aerei in montagna o in paesi nordici per atter-
raggio su neve per soccorso o semplicemente per raggiungere località isolate, ma anche su
aerei da trasporto ad esempio per rifornire le basi in Antartide.
Gli sci lavorano comprimendo con la punta rialzata la neve, questo ne comporta uno scio-
glimento rendendo scorrevole l’avanzamento dello sci; Lo sci deve avere una rigidezza fles-
sionale tale da ottenere una distribuzione di pressione il più possibile uniforme lungo tutta la
sua lunghezza.

Fig. 8.27 - Sci da neve

Per consentire le rotazioni necessarie al decollo e all’atterraggio lo sci deve avere la possi-
bilità di ruotare e quindi essere collegato alla gamba del velivolo con cerniera; in volo devono
esserci dei fine corsa per mantenere lo sci in una posizione corretta sia dal punto di vista aero-
dinamico che per la presentazione all’atterraggio.
Occorre tenere presente che un atterraggio con sci non consente l’impiego di freni;
l’arresto avviene solo per la resistenza all’avanzamento.
Esiste comunque la possibilità di costruire carrelli dotati sia di sci che di normali ruote.

Fig. 8.28. - Installazione sci

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Capitolo 8 – Organi d’atterraggio

Per quanto riguarda l’ammaraggio esiste


ancora l’impiego di piccoli idrovolanti per
impiego amatoriale o in zone ricche di
specchi d’acqua e difficilmente raggiungibi-
li.
Tenendo presente che la densità
dell’acqua è mille volte superiore a quella
dell’aria, anche ammettendo una velocità
all’ammaraggio 10 volte minore di quella
massima si hanno pressioni 10 volte mag-
giori; questo comporta la necessità di strut-
ture a contatto con l’acqua molto più resi-
stenti e quindi maggior peso: questo è il
motivo che ha ridotto l’impiego di idrovo- Fig. 8.29 Un moderno idrovolante
lanti un tempo molto diffusi.
Per poter stazionare in equilibrio in acqua, un natante deve avere il baricentro al di sotto
del metacentro (centro di azione della forza risultante dalle pressioni idrostatiche sulla parte
immersa), scostamenti dall’equilibrio in beccheggio e rollio sono contrastati dalla coppia che
si presenta sia per effetto della rotazione che dalla variazione del metacentro dovuta alla va-
riazione di volume immerso.

Fig. 8.30 - Stabilità equilibrio scafi

Se il baricentro è sopra al metacentro, cosa praticamente inevitabile in un idrovolante, il si-


stema non è in equilibrio stabile, perché la coppia creata dalla rotazione tende ad allontanare
ulteriormente dalla posizione di equilibrio.
La variazione dei volumi im-
mersi ha comunque effetto stabi-
lizzante: per quanto riguarda il
beccheggio per avere questo ef-
fetto è sufficiente la lunghezza
dello scafo, per il rollio è invece
necessario o avere dei galleggian-
ti verso le estremità alari che im-
pediscano il ribaltamento nel
caso che la fusioliera funga da
scafo, o utilizzare due galleggian- Fig. 8.31 - Macchi-Castoldi
ti laterali anziché un unico scafo
centrale.

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Capitolo 8 – Organi d’atterraggio

Fino a quando lo scafo è fermo agisce su di esso una pressione idrostatica, quando è in
movimento interviene anche un effetto idrodinamico; quando l’effetto idrodinamico diventa
prevalente il volume immerso diminuisce, lo scafo tende a planare sull’acqua e può raggiun-
gere velocità superiori. Il passaggio dal regime di prevalenza delle pressioni idrostatiche (re-
gime dislocante) o quello di prevalenza delle pressioni idrodinamiche (regime planante) ri-
chiede il superamento di un picco di resistenza dopo di che, a pari potenza, la velocità aumen-
ta sensibilmente.
Per poter decollare dall’acqua è necessario che gli scafi consentano di raggiungere il regi-
me planante ed abbiano una forma tale da consentire la rotazione del velivolo per raggiungere
l’incidenza di decollo.

Fig. 8.32 – Macchi Castoldi

Fig. 8.33 - Idrovolante in decollo

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8.11 Macchine prova carrello


Per la messa a punto degli ammortizzatori è indispensabile ricorrere a prove sperimentali.
Queste vengono normalmente eseguite mediante delle macchine di caduta nelle quali viene
montata una gamba del carrello e fatta cadere da un altezza e con una massa tali da riprodurre
quanto deve accadere nella realtà.
L’altezza di caduta deve essere tale da avere una velocità di impatto uguale alla velocità
verticale all’atterraggio:
v z2
h
2g
Nella prova normalmente non è simulata la portanza.
La massa deve essere tale da tenere conto della mancanza della portanza nella prova, risul-
ta quindi minore della percentuale di massa competente alla gamba.
L’energia assorbita dal carrello nella realtà deve essere:
1 1 2 1 1
Ec  Rmax   mv2  mg   Ld  mv2  mg  mg  mv2  mg
2 2 3 2 3
nella prova:
E p  m p g h   
uguagliando le due energie:
1 1
m p g h     mv2  mg
2 3
dalla relazione che fornisce l’altezza di caduta:
1  
m p g h     mgh  mg  mg h  
3  3
la massa per la prova è quindi:
h 3
mp  m
h
Dato che la prova viene fatta col solo movimento verticale del carrello, non si ha l’effetto
della componente orizzontale di velocità all’atterraggio; occorre quindi simulare l’effetto di
questa componente che sullo schiacciamento della gamba provoca la presenza di forze dovute
alla messa in rotazione della ruota. Questo effetto viene simulato con diverse tecniche, la più
efficace consiste nel mettere in rotazione la ruota in verso contrario e provocarne l’arresto al
contatto col terreno.

8.12 Bibliografia
N.S.Currey, Aircraft Landing Gear Design: Principles and Practices, AIAA Education Se-
ries, Przemieniecki Series Editor-in-Chief, 1988.
F.Vagnarelli, Impianti Aeronautici, Vol I - Impianti di Bordo - Parte III, IBN Editore,
1991.

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