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LE ORIGINI
La nascita della letteratura latina si colloca tradizionalmente nel 240 a.C. (anno della
prima rappresentazione teatrale di Livio Andronico, probabilmente una tragedia).

Sicuramente la letteratura latina aveva conosciuto, prima di quella, altre esperienze


sperimentali. Per i romani, però, l’unica letteratura degna di essere chiamata tale è in
forma scritta, dotata di moduli espressivi già maturi, coerente nelle sue parti, e
programmaticamente modellata sui generi e sulle forme della letteratura greca.
La letteratura latina nasce già matura, come traduzione da quella greca, e già si occupa di
problemi quali l’imitazione, l’allusione e la caratterizzazione degli stili = cultura
consapevole che riconosce i meccanismi stessi del testo per ricostruire un nuovo sistema
linguistico.

PRIMI DOCUMENTI IN LATINO

Si tratta di forme comunicative che presuppongono l’uso della scrittura ma che non
possono essere considerate letteratura = forniscono però informazioni sul tasso di
alfabetizzazione e sulla diffusione della scrittura.

• TESTIMONIANZE EPIGRAFICHE E ARCHEOLOGICHE: iscrizioni su bronzo o pietra


che si servono della scrittura per fini pratici (come indicare informazioni su committente
e artefice dell’opera). Sicuramente ci sarà stato un repertorio di iscrizioni su materiali di
scrittura deperibili che le condizioni atmosferiche del Lazio non hanno permesso di
conservare.

- Cista Ficoroni : vaso cilindrico di bronzo;

- Fibula Praenestina : fibbia d’oro con iscrizione bustrofedica. Si è dibattuto molto


sull’autenticità del reperto, considerato la più antica testimonianza di
scrittura in lingua latina.

• SCRITTURA PER LA VITA PUBBLICA: serve ad una serie di apparati statali che
registrano nozioni importanti per le funzioni pubbliche:

- conservazione di oracoli, formule e prescrizioni religiose;

- liste di magistrati e sacerdoti;

-statuti, leggi e trattati internazionali.

FASTI: calendario ufficiale romano, scritto e divulgato ogni anno dai pontefici, che
dividevano i giorni dell’anno in fasti e nefasti e riportavano una lista dei magistrati
nominati anno per anno (fasti consulares + fasti pontificales) con i relativi trionfi
militari ottenuti (fasti triumphales).

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TABULA DEBALTA: tavola bianca che veniva esposta nel Foro e che conteneva,
oltre alla lista dei magistrati eletti, anche tutti gli avvenimenti di pubblica rilevanza.

ANNALES: raccolta delle tabulae debaltae, che iniziano a formare la


memoria collettiva dello stato romano. Hanno la massima
importanza nella costruzione delle opere storiografiche latine
(in modo indipendente dall’influsso greco), che vengono
strutturate in una narrazione anno per anno della storia.

COMMENTARII: si caratterizzano come opere non professionali che contengono


informazioni e memorie personali. Il termine può indicare appunti, memorie,
osservazioni.
I personaggi principali che scrivono adottando questo genere sono magistrati
importanti che raccoglievano i propri provvedimenti in un diario, accompagnati dai
principali eventi del suo periodo di carica -> se depositati presso i collegi
sacerdotali potevano assumere anche un carattere di documentazione ufficiale.

ORATORIA: considerata l’unica attività intellettuale veramente degna di un romano


impegnato politicamente (per questo motivo rimane una prerogativa esclusiva
dell’aristocrazia). L’eloquenza era sopra a tutto una forma di potere e una fonte di
successo, indispensabile per la vita attiva.

APPIO CLAUDIO CIECO: vive a cavallo tra il IV e il III sec. a.C., è console
per due volte, poi censore e dittatore che combatte nelle guerre sannitiche.

Discendente da una nobilissima stirpe, è considerato iniziatore dell’oratoria


a Roma da Cicerone (si dice che in occasione della guerra contro Pirro
avesse pronunciato un discorso in senato per esprimere la propria
contrarietà nei confronti di una possibile pace).

La tradizione lo ricorda anche come linguista, attribuendo a lui lo sviluppo


del rotacismo.

Circolava a suo nome una raccolta di massime (Sententiae) di carattere


moraleggiante, di cui non abbiamo che pochi frammenti.

I CARMINA
La loro tradizione stilistica è fondamentale perché raggruppa iil periodo delle origini alla
storia letteraria di Roma e, in più, il loro influsso non scompare mai del tutto nella storia
della letteratura. Pur non essendo caratterizzati in un genere particolare si oppongono ad
uno stile di scrittura casuale e vengono presi a modello anche dai poeti di età imperiale.

I romani usano questo nome in riferimento a composizioni anche molto diverse fra loro e,
di conseguenza, deduciamo che il carmen arcaico non si distinguesse tanto per il suo
contenuto, quanto per la sua forma.

Si tratta di una prosa molto ritmata, caratterizzata da uno stile solenne ed energico
dovuto al tipo di messaggio autorevole e ineludibile che intende veicolare il
componimento:

deve suggerire un certo ordine nel mondo

deve essere facilmente memorizzabile

Versi e prosa nell’antica letteratura latina si avvicinano reciprocamente, in quanto i versi


sono debolmente caratterizzati (il saturnio ha una struttura metrica molto debole e delle
regole affatto rigide) e la prosa è marcatamente ritmata.

• Il carmen viene articolato in sequenze ritmiche: per ogni verso sono presenti due
membri (cola) che spesso vengono messi in parallelo e presentano quasi lo stesso
numero di sillabe.

• Non presentano una struttura metrica quantitativa ma accentuativa = il ritmo è basato


sulla ricorrenza di accenti.

• Vengono impiegate diverse figure di suono, tra cui soprattutto:

- allitterazione con funzione espressiva (enfatica o raggruppante);

- assonanza / consonanza;

- omoteleuto: uguaglianza della parte terminale della parola in termini vicini o alla fine di
cola paralleli [hib-erno - v-erno];

- geminatio: raddoppiamento della parola;

- poliptoto: variazione sulla stessa parola, ripetuta ma in due forme diverse della
flessione.

I carmina possono essere impiegati per la stesura di diverso carattere. Tra queste
produzioni troviamo:

• TESTI RELIGIOSI, legati all’esecuzione di pubblici riti annuali, tra cui:

CARMEN SALIARE: canto del venerando collegio sacerdotale dei Salii (istituito da
Numa Pompilio), devoto al dio Marte. I sacerdoti ogni anno, nel mese di marzo,
compivano una processione rituale detta tripudium, durante la quale erano soliti
proferire delle formule sacre, incomprensibili già per i romani di età storica,
scandite da intermezzi musicali di percussioni compiute con gli scudi sacri (ancilia).

CARMEN ARVALE: inno di purificazione dei campi da parte dei dodici Fratres
Arvales (sacerdoti istituiti da Romolo), levato in onore del Dio Marte e dei Lares. È
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particolarmente scandito metricamente e insiste sul ritmo ternario (ogni verso
veniva ripetuto per tre volte).

Ne troviamo un’incisione, in forma di resoconto della cerimonia, anche sul marmo


degli Acta del 218 d.C.

• TESTI GIURIDICI, di enorme importanza storica, sociale e politica:

LEGES REGIAE: testo giuridico antichissimo, di epoca monarchica, dominato da


una rigida impostazione sacrale.

LEGGI DELLE XII TAVOLE (451-450 a.C.): considerate dai romani di età classica
come il più antico fondamento della propria identità culturale, che venivano
imparate a memoria dai ragazzini e che i dotti continuavano a commentare e
analizzare.

Vengono incise su tavole di bronzo ed esposte nel Foro, in quanto riguardano


principalmente rapporti di vita quotidiana.

Sono considerate carmen da Cicerone in quanto presentano una importante


struttura ritmica dotata di numerose figure di suono, a causa della già citata
funzione mnemonica e dell’effetto di sanzione inappellabile che creavano.

• EPITAFI, che contengono iscrizioni celebrative o elogia di uomini illustri.

Gli esempi che ci sono rimasti sono caratterizzati da una notevole fattura letteraria che

rivela l’importanza dell’influsso della poesia funeraria greca.

L’elogium più antico (240-230 a.C.) e importante è quello dedicato a Lucio Cornelio
Scipione, console per il 259 a.C., scritto in versi saturni.

• CARMINA CONVIVALIA: ipotetiche composizioni tramandate oralmente che entrano a


far parte della tradizione dei canti eroici appartenenti ad una preistoria letteraria, di cui i
principali testimoni sono Catone (riportato da Cicerone), che a sua volta ne parla per
tradizione indiretta, e Varrone.

—> Risulta difficile pensare ad una tradizione popolare perché non sono rimaste
tracce dell’esistenza di cantori professionali (aedi/bardi/cantastorie come per la
tradizione greca).

—> Se si considera l’ottica per la quale questi carmina erano eseguiti e destinati
solo all’aristocrazia, allora è facile pensare che si siano estinti in tempi brevi, in
quanto erano proprio le classi colte e alte ad essere influenzate dalla cultura
ellenica.

Gli unici due esempi di cui abbiamo notizia (e solo per un paio di versi), sono:

- Carmen Nelei: metro giambico che non può definire il componimento propriamente
epico;

- Carmen Piami: 1 saturnio conservato di materia epica, ma che risulta essere una
falsificazione di età posteriore, legato ad un gusto arcaizzante.

LA POESIA POPOLARE
Si sviluppa principalmente in forme preletterarie, soprattutto come proverbi, maledizioni,
scongiuri, lazzi tipici di feste nuziali, precetti agricoli e formule medicinali, ma anche canti
di lavoro, canzoni d’amore, ninne nanne.

Le forme di più successo furono soprattutto:

- Di motteggio e di comicità, che diedero come risultato i FESCENNINI VERSI,


etimologicamente accostati alla cittadina etrusca di fescennina e al termine fascinum,
che poteva indicare “malocchio” o “membro maschile”.

Sembrano indicare un influsso etrusco oppure una funzione apotropaica di

allontanamento del malocchio, in occasione di feste rurali. Secondo Orazio potevano

avere anche un carattere di diffamazione pubblica.

- Dotate di un carattere apotropaico quando, in occasione di trionfo, i soldati


improvvisavano dei canti mescolando scherzi e pasquinate alle lodi del vincitore =
CARMINA TRIUMPHALIA, nei quali l’esaltazione del successo veniva moterata con il
riso, per non eccedere in effetti di empia tracotanza.

IL SATURNIO NELLA POESIA ROMANA ARCAICA

È impiegato per la composizione dei due primi testi epici romani (Odusia di Livio
Andronico e Belluno Poenicum di Nevio), oltre che per gli elogia funebri di cui sopra.

L’etimologia del termine ricorda un carattere indigeno e puramente italico (com’era il dio
Saturnio), anche se è impossibile collocarlo in un’epoca priva di condizionamento greco.

L’ipotesi che più convince riguardo alla nascita di questa metrica è quella di Pasquali,
che crede sia il frutto di una sintesi romana di elementi greci: è possibile che i romani
avessero importato i cola del saturnio come elementi autonomi liberi di compiersi in
nuove associazioni secondo il “senso ritmico romano”.

N.B. questa ipotesi serve solo a circoscrivere l’origine e la natura del saturnio, che restano
ad oggi ancora un mistero.

STRUTTURA METRICA:

Essendo il saturnio caratterizzato da una struttura molto fluida e opposta alla rigidissima
struttura del verso greco, riguardo la sua struttura metrica ci sono due opzioni:

1. Considerare il saturnio come un metro dotato di un ritmo regolato sugli accenti,


anziché sulla scansione quantitativa;

2. Considerare il saturnio come un verso non fondato esclusivamente sulla quantità


sillabica, ma anche legato al ritmo verbale (= susseguirsi di gruppi di parole di misura
costante).

Si intende invece per VERSUS QUADRATUS un settenario trocaico particolarmente


stilizzato, attestato per la produzione subletteraria popolare di testi da parte di anonimi, di
cui facevano parte indovinelli, cantilene infantili, motteggi e pasquinate del popolo.

IL TEATRO ROMANO ARCAICO


Idealmente inizia a svilupparsi dal 240 a.C. con la prima rappresentazione di una tragedia
di Livio. Da questo momento in poi conosce una straordinaria fioritura che impegna alla
stesura di opere tutti i poeti del momento.

Il teatro conosce una diffusione pari all’arte figurativa e superiore alla letteratura scritta.
Sugli spettacoli nasce una vera e propria critica che sviluppa polemiche letterarie e
dichiarazioni di poetica, che presuppongono pubbliche discussioni di problemi di natura
critico-letteraria e drammaturgica.

Un aspetto che non si sviluppa però, al contrario di quanto era successo in ambito greco,
è il dialogo tra la contemporaneità della scena politica e i temi trattati all’interno delle
rappresentazioni teatrali. Quello romano non è un teatro di inchiesta: non esercita forme
di critica sociale o di costume e non sono consentiti delle forme di attacchi personali
espliciti o prese di posizione politiche.

Per le rappresentazioni gli oneri finanziari dei Ludi erano a

carico dello Stato. Curare l’organizzazione delle

rappresentazioni era compito dei magistrati in carica, (edili

o pretori urbani) che mediavano sia con gli autori che con

i domini agregis (capocomici), che dirigevano la compagnia

(famoso il caso di Lucio Ambivio Turpione, il cui lavoro fu

indispensabile alla fama di Terenzio).

Essendo i COMMITTENTI membri delle classi più alte si spiega la scelta di determinati
argomenti impiegati nelle tragedie: spesso esaltazioni eroiche di imprese o di antenati
illustri di certe casate (la praetexta quindi non faceva riferimento solo ad avvenimenti
nazionali/nazionalistici, ma anche a personaggi influenti nell’età del presente).

Per quanto riguarda la commedia, invece, l’importanza della committenza era minore di
quella del pubblico: rappresentanza composita ed eterogenea di tutto il popolo romano,
che forse non avrebbe capito certi riferimenti. Alle rappresentazioni partecipano tutti,
seduti nella cavea come nei comizi.

Gli ATTORI non erano mai degli uomini nati liberi, e il solo fatto di essere attori era
simbolo di infamia. Il riconoscimento sociale di questa categoria, inizialmente pari a nulla,
va crescendo secondo il successo di pubblico e con il consolidarsi del rapporto tra autori
e aristocrazia: si fonda il Collegium scribarum histrionumque, che seppur in maniera
limitata inizia a riconoscere ad attori e autori un prestigio maggiore.

I personaggi che interpretavano seguivano uno schema fisso molto tipizzato (vecchio,
giovane innamorato, soldato, matrona, parassita…) che veniva identificato ulteriormente
dall’uso di MASCHERE.

Questo rigido attenersi alla psicologia dei personaggi stereotipati influenza molto gli autori
che abbracciano questa modalità (Plauto) o cercano di eliminarla (Terenzio).

L’uso di maschere aiutava per una conseguenza pratica: lo stesso attore poteva
interpretare più personaggi cambiandosi solo costume, quindi era possibile mettere in
scena un’opera molto ricca e complessa con quattro o cinque interpreti in tutto.

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L’organizzazione degli spettacoli avveniva nel contesto di RICORRENZE RELIGIOSE,
come succedeva anche in ambito greco. Nella romanità, però, era presente un legame
solo esteriore tra le feste e le rappresentazioni, molto più artificiale del legame presente
nella grecità tra questi due aspetti.

Si parla di ludi scaenici per indicare le festività in onore delle quali si organizzavano
spettacoli. I principali sono:

- Ludi Romani in onore di Giove Ottimo Massimo;

- Ludi Megalenses in onore della Magna Mater;

- Ludi Apollinares;

- Ludi plebei ancora in onore di Giove Ottimo Massimo.

Insieme agli spettacoli teatrali si verificavano anche dei giochi di gladiatori, per l’interesse
collettivo della varietà del pubblico.

GLI EDIFICI TEATRALI:

Il teatro a Roma sorgeva sempre in spazi esterni, di fronte a due o tre case, collocate su
una strada che portava da una parte al centro della città e dall’altra all’esterno dello
spazio urbano. Dal momento che il teatro non aveva a che fare con la vita politica della
città, i teatri sono privi di collegamento ai centri politici.

La struttura del teatro non era fissa e non si serviva della pendenza del territorio (come
accadeva invece per quello greco), ma di legno, provvisoria, e potenzialmente edificabile
in qualsiasi luogo attraverso un sistema di sostruzioni.

Il primo teatro in pietra si deve a Gneo Pompeo nel 55 a.C., e riscontra il problema
dell’acustica (che non aveva mai conosciuto grazie all’acustica perfetta che avevano le
strutture in legno): per risolverlo si mettono dei vasi in terracotta sotto le sedute. Viene
costruito con il sistema della cavea sostruzionata, i cui gradini permettevano di arrivare al
tempio di Venere Vincitrice. Attorno al teatro vengono poste anche 14 statue
rappresentanti le nazioni vinte da Pompeo.

Al contrario di quello greco, che presentava uno spazio intermedio tra cavea e scaena
dedicato all’orchestra, il teatro latino permette la scomparsa dell’orchestra: il coro era
ormai ridotto a un semplice intermezzo musicale privo di collegamento con l’azione.

Inizialmente il teatro si compone della scaena e di tre porte nella parte anteriore, che
sostengono lo scenario (scaenae front): un fondale fisso e rigido dietro il quale vi erano i
camerini. Al tempo di Plauto non c’erano sipari o scenari mobili, se non per un altare o
due.

Con il tempo iniziano a diffondersi i primi sipari (aulaea), allestiti con tessuti riccamente
ricamati e appartenenti al tesoro di Attalo, che poi con il tempo si impoveriscono e
diventano semplici tende (siparia). Anche le scenografie si arricchiscono
progressivamente fino a coprire in modo parziale lo scenario, attraverso la pittura di
paesaggi in trompe-l’oeil.

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LE FORME SCENICHE

Il teatro romano innegabilmente nasce sulla forma di quello greco, dal quale prende le
forme tipiche della commedia e della tragedia. Non solo queste sono ambientate in
Grecia, ma presentano anche una serie di richiami precisi alle rappresentazioni degli
autori greci di VI-III secolo per la tradizione comica e di V secolo per la tradizione tragica
(comprensibili per un pubblico di colti).

Innegabile anche una mediazione etrusca dei modelli greci (dal momento che tutti i
termini tecnici della drammaturgia sono sono di origine greca o etrusca), che non è
ravvisabile in modo specifico, ma solamente in termini generali [di dubbia l’interpretazione
di Livio che vede un’importazione tutta di origine etrusca degli spettacoli].

Non è possibile, inoltre, individuare un elemento specificatamente italico/romano


all’interno delle rappresentazioni (ma si suppone che ci sia stato).

Dal teatro greco vengono importati sicuramente i principati generi teatrali romani:

PALLIATA (dal pallio: tipico indumento dei greci) è il principale genere comico.

È il genere teatrale meglio conosciuto, in quanto possediamo delle opere giunte intere. Le
caratteristiche principali del genere sono il fatto che:

Non sono divise in atti;

Prevedono delle parti cantate e delle parti recitate, divise secondo la tipologia di metro
utilizzata:

- Senari giambici (= trimetri giambici greci) per le parti recitate senza


accompagnamento musicale;

- Settenari trocaici (= tetrametro trocaico) per le parti recitative con


accompagnamento musicale;

- Metro vario per le parti cantate.

Pur essendoci una corrispondenza evidente con le tipologie metriche greche, la il


teatro latino rielabora e riadatta la commedia secondo il suo gusto. L’impressione
generale è quella di ricchezza e musicalità, dovuto all’alternanza tra i registi —> si
condizionano profondamente anche la trama e la drammaturgia generale dei testi.

La riscrittura dei testi ateniesi permette il passaggio a codici espressivi romani, dal
momento che oltre alla banale opera di traduzione si condizionano anche la struttura del
discorso e il modo di concepire anche temi e personaggi —> impulso a creare situazioni
nuove.

Con questi presupposti viene creata una rigenerazione romana del modello greco,
chiamato TOGATA (dalla toga) = stesso canone drammaturgico e stesse scene
tipiche riproposti in ambito romano (spesso richiamano la storia di Roma).

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COTHURNATA (dai cothurni: tipici calzari dei greci) è il principale genere tragico.

Siamo in possesso di un numero limitato di informazioni sul genere perché ci sono giunte
solamente frammenti in merito, da cui possiamo solo farci un’impressione generale.

L’elemento fondamentale di differenza rispetto al modello greco è la SOPPRESSIONE


DEL CORO, che porta con sé una serie di cambiamenti fondamentali, come:

- Il fatto che fosse necessario riassorbire in altri momenti scenici anche parti corali;

- Il fatto che, priva di elementi altissimi e decisamente patetici quali gli intermezzi del
coro, si venisse a creare un vuoto di stile e di immagini, a cui i romani ovviarono
attraverso:

A. Un’elevatezza generale e uniforme dello stile, che si contrappone decisamente alla


medietà di quello greco (caratterizzato dalla presenza di un linguaggio quotidiano e
accessibile)—> creazione di neologismi, inserzioni a caso di grecismi, prestiti dalla lingua
poetica, giuridica, religiosa e del diritto.

B. Come conseguenza di A, l’impiego di una varietà metrica caratterizzata da forti


temperature stilistiche e sentimentali (come recitativi in settenario trocaico e i vari tipi
di cantica che si sostituiscono al più comune senario giambico).

Il risultato è una crescita del pathos a spese di quel ragionamento razionale e di


quell’analisi psicologica che erano la base del dialogo tragico greco e ne permettevano la
comprensione anche a membri dei ceti minori.

Per staccarsi dal realismo del linguaggio comico la tragedia greca aveva la possibilità di attingere
a una riserva infinita di lingua epica e lirica, cosa impossibile per la giovane poesia romana, che
non aveva affatto un passato di quel calibro —> in ambito romano si continua a sperimentare un
corrispondente in questo senso fino all’età augustea.

Da qui la versione romana della tragedia, chiamata PRAETEXTA


(dall’abbigliamento dei magistrati romani), che aveva come tema, spesso, le gesta
romane sulla narrazione della fondazione.

ATELLANA (da Atella, paese nella Campania osca) è invece un sottogenere del teatro
regolare, probabilmente di discendenza italica, legato ad un patrimonio latino
preletterario.

Si tratta di spettacoli rudimentali che non prevedevano una vera e propria struttura
professionale e che si basavano su dei canovacci rudimentali, con annesse delle
maschere fisse e ricorrenti.

È di notevole importanza per la comprensione degli spettacoli di Plauto e di Cecilio


Stazio, che si discostavano notevolmente dai modelli letterari greci. 

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L’EPICA ARCAICA
È segnata dalla presenza di due grandi personalità, che però non riescono a svolgere il
ruolo decisivo all’interno della letteratura latina. Sono entrambi fondatori di un genere,
nelle loro diversità, ma il loro ruolo, per esempio, non è paragonabile a quello che aveva
svolto Omero per la letteratura greca.

Rimangono due esempi del genere epico senza riuscire a imporsi come modelli
irrinunciabili, e vengono criticati sia da Cicerone e Orazio, che ritenevano il loro stile di
scrittura primitivo, sia da semi-contemporanei come Ennio.

LIVIO ANDRONICO
La fortuna di Livio è indubbia: gli antichi reputano che l’inizio della letteratura vada fatto
risalire alla prima rappresentazione di una sua tragedia (importante x genere teatrale) e a
lui si deve la stesura di un primo testo epico in lingua latina.

Originario di Taranto (Magna Grecia), arriva a Roma alla fine della guerra contro Pirro (272
a.C. circa, sono presenti alcune controversie al riguardo, ancora di dibattito per gli
studiosi) al seguito del nobile romano Salinatore, di cui è liberto e di cui prende il
praenomen.

Esercita a Roma il ruolo di grammaticus e contemporaneamente di poeta.

Riceve i pubblici onori e viene inserito nel collegium scribarum histriuonumque tenuto nel
tempio di Minerva sull’Aventino (dopo che aveva scritto un partendo in onore di Giunone
da pronunciare all’interno delle cerimonie religiose).

FONTI. Per le opere sono rimasti una sessantina di frammenti tramandati di


citazioni di autori di età repubblicana o da grammatici. Per la vita dell’autore i nostri
interventi chiave sono di Cicerone e di Tito Livio.

Produzione epica:

ODUSIA
Si tratta della traduzione in lingua latina dell’Odissea di Omero, di cui sono giunti 36
frammenti per un totale di poco più di 40 versi.

PORTATA CULTURALE: la pratica della traduzione non è nuova nel panorama antico, ma
Livio è un precursore perché nessuno prima di lui, nemmeno in Grecia, aveva pensato alla
traduzione di un’opera integralmente, e sopratutto di un’opera così importante.

Le finalità dell’opera di Livio sono duplici: divulgare la cultura greca e far progredire la
cultura latina. È possibile comprenderne il senso se si pensa alla TRADUZIONE COME
OPERA ARTISTICA = è necessario, per Livio, costruire un testo ricollegabile
all’originale ma fruibile come opera autonoma, che conservasse sia i nudi contenuti che
la qualità artistica del modello.

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La traduzione, secondo la personale concezione di Livio presenta la volontà di adesione
all’originale (per una necessità di chiarezza) e allo stesso tempo un adattamento del
modello sufficiente per trasmettere dei contenuti ritenuti troppo lontani per i latini , al fine
di renderli condivisibili a livello di mentalità, di cultura e di tramiti linguistici.

LINGUA
Livio si occupa di creare una lingua poetica latina adatta a recepire lo stile dell’epica
omerica e capace di attribuirne la meritata solennità ed elevatezza. Per questo motivo
ricorre spesso al lessico religioso e a formule che dovevano suonare arcaiche già per il
latino del suo tempo.

STILE
In alcuni casi l’impressione è quella di una intenzionale modifica linguistica per motivi
specificamente artistici, secondo un gusto puramente alessandrino dovuto all’influsso
dei suoi contemporanei.

Si occupa anche di un chiaro innalzamento del tono patetico: aumenta la forza


espressiva del contenuto operando una sorta di drammatizzazione del testo omerico.

Produzione teatrale:

Livio nei confronti del teatro mostra una notevole consapevolezza artistica e opera con
libertà la rielaborazione dei modelli greci.

TRAGEDIE: importante è ancora la ricerca del patetico, ravvisabile in modo concreto in


un confronto diretto con il precedente greco.

Ci sono rimasti pochi titoli di opere (quasi tutti legati al ciclo troiano) e pochissimi
frammenti. Tra questi troviamo i nomi di: Achilles, Aegisthus, Aiax mastigophorus,
Equos troianus, Hermiona, Andromeda, Danae, Tereus.

COMMEDIE: Livio è il primo autore di palliate, ma non riscuote molti elogi da parte dei
posteri. Ci sono rimasti sei frammenti di un verso appartenente alla commedia del
Gloriosus (forse precursore del Miles Gloriosus plautino).

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NEVIO
Originario della regione campana e probabilmente nato plebeo (dettaglio che sarebbe
possibile confermare attraverso le invettive antinobiliari da parte di Nevio contro la
famiglia dei Metelli). Non abbiamo notizie che Nevio si appoggiasse a delle famiglie di
Aristocratici e probabilmente fu anche incarcerato per il suo comportamento.

È un profondo conoscitore della cultura e della poesia greca.

Combatte nella Prima Guerra Punica (264-241 a.C.).

Muore a Utica, forse in esilio, in una data incerta (a cavallo tra III e II secolo a.C.).

Può essere considerato un uomo letterario largamente partecipe alla vita pubblica e
impegnato nella vita politica di Roma.

FONTI: soprattutto Cicerone e san Girolamo, ma forse anche un passaggio del

Miles Gloriosus dove si allude ad un poeta incarcerato.

Produzione epica:

BELLUM POENICUM
Composto negli anni della guerra annibalica (dopo il 218 a.C.), quindi di grande attualità
per l pubblico romano, in quanto narra la storia della Prima Guerra Punica -che l’autore
aveva vissuto in prima persona-, e della minaccia cartaginese, -che era ancora un tema
ricorrente e spaventoso per l’esercito, che stava combattendo nella Seconda-.

Il componimento doveva estendersi per più di 4000 versi, di cui ne restano solo una
sessantina. La divisione in libri si deve al grammatico Lampadione, contemporaneo di
Accio.

CONTENUTO. L’autore non si limita a narrare la guerra punica, ma indaga anche le


origini leggendarie di Roma attraverso la storia di Enea nel Lazio (e forse arrivando a
comprendere anche l’incontro tra Enea e Didone, ricercando l’origine eziologica dello
scontro tra Roma e Cartagine), nella prima parte dell’opera. Probabilmente i due
racconti non erano inseriti in una narrazione cronologicamente continua ma in due
blocchi distinti e giustapposti.

È possibile riscontrare, nella poetica dell’autore, un’attenzione particolare all’intervento


divino: l’apparato mitico e religioso si fonde in modo inscindibile con la missione storica e
inserisce l’ascesa di Roma in una visuale cosmica nutrita di cultura greca.

Il LEGAME CON OMERO è innegabile e anzi, i poemi greci si presentano come


ispirazione generale per narrare un contenuto storico-celebrativo, intrecciando una storia
di guerra (Iliade) con una storia di viaggi (Odissea).

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Produzione teatrale:

La produzione teatrale di Nevio doveva essere cospicua, secondo i racconti tradizionali


degli antichi, che lo annoverano tra i maggiori esponenti.

TRAGEDIE:

Nevio si inserisce nel panorama teatrale come il primo autore di praetextae, tragedie di
ambito latino di cui ci restano i titoli (il Romulus sulla fondazione di Roma e il Clastidium
sulla vittoria di Casteggio del 222 a.C. contro i Galli) e due brevissimi frammenti.

Delle tragedie di ambito greco abbiamo sette titoli (tra cui Equos Troianus e Danae, che
sono presenti anche in Livio, Hector Proficiscens, Iphigenia e Lycurgus) e una
cinquantina di frammenti. L’interesse principale dell’autore è rivolto specialmente alle
vicende del ciclo troiano.

COMMEDIE:

Sembrano la parte più importante della produzione teatrale di Nevio, che si concentra
soprattutto sulle palliate, modellate sulle commedie greche (notizia che sembra venire dal
prologo di una commedia di Terenzio, che riporta il fatto che Nevio fosse il primo autore capace di
contaminare i modelli).

Possediamo circa 28 titoli e un centinaio di versi.

Titoli latini: Corollaria.


Titoli greci: Colax, Guminasticus, Tarentilla.

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PLAUTO
Non è romano e, al contrario dei poeti suoi contemporanei, non proviene da un contesto
già grecizzato: è originario di Sarsina, dove nasce tra il 255 e il 250 a.C. come cittadino
libero. Collochiamo la sua massima fioritura letteraria attorno al 200 a.C.

Conoscendo con certezza la data della sua morte, fissata al 184 a.C., possiamo risalire
alla cronologia precedente attraverso una notizia di Cicerone: Plauto scrive lo Pseudolus,
rappresentato nel 191, quando è già senex.

Il nome di Plauto è stato oggetto di studio da parte della critica:

- Alcuni codici lo citano come M.(arcus) Accius Plautus, riportando lo schema dei tria
nomina, usato solo per denominare i cittadini romani. Il problema è che non sappiamo
se all’autore venne mai concesso questo diritto.

- Il Palinsesto Ambrosiano (antichissimo codice plautino) dà notizia di lui come Titus


Maccius Plautus. È probabile che, per un errore nella divisione delle lettere da parte di
un filologo, si fossero confuse le iniziali puntate.

In questo caso non si tratterebbe dello schema dei tria nomina, in quanto il termine
Maccius deriva con tutta probabilità dal nome di un personaggio tipico dell’Atellana:
Maccus. La denominazione dell’autore potrebbe di conseguenza definire il legame
tra la personalità e l’attività di Plauto.

Fortuna:

Plauto è senza dubbio l’autore di Palliate che riscuote più successo tra il grande pubblico
dei suoi contemporanei.

È stato molto prolifico nella produzione delle commedie: a noi sono giunte 21 opere
complete, mentre si parla di circa 130 testi circolanti nel II secolo a.C. (anche se con
buona probabilità una parte di questi testi erano già apocrifi o rimaneggiati da altri).

Le 21 commedie tramandate fanno parte della selezione attuata da Varrone (erudito di età
repubblicana) nel De Comoediis Plautinis. Il consenso generale le riconosceva come
autentiche.

Nasce il primo interesse filologico di stampo alessandrino per le commedie:


vengono tramandate dotate di didascalie, sigle dei personaggi…

Continuano ad essere ricopiate come autentiche per tutto il corso del Medioevo,
nonostante la lettura di esse sia ritenuta come un evento eccezionale. Dante e i suoi
contemporanei ignorano Plauto a favore del moraleggiante Terenzio.

A partire dalla generazione di Petrarca le prime 8 commedie iniziano a conoscere una


buona diffusione. Dal 1429 in poi, invece, vengono messe in circolazione tutte e 21.

Inizia sia un nuovo lavoro filologico sulle commedie, che cerca di restituire un testo
sempre più attendibile e corretto, sia una riscoperta del gusto di metterle in scena
(in latino o sempre più spesso tradotte in volgare.

Nel 1500 il teatro italiano si fa continuatore della tradizione della palliata plautina, anche
con i tentativi di Ariosto e Machiavelli.

15
Dopo queste esperienze, fino a Goldoni, la riscoperta di Plauto si intreccia con il teatro
comico europeo, grazie alle esperienze di Shakespeare, Calderòn, Corneille, Moliére,
Ruzante, Da Ponte.

Per molto tempo, però, nonostante l’interesse per l’autore non sia mai calato
dall’Umanesimo alla contemporaneità, Plauto non è stato inserito nei programmi
scolastici. Ci sono due motivazioni principali:

- La lingua e lo stile di Plauto non si prestano all’apprendimento scolastico: è troppo


difficile;

- I termini e i contenuti della sua commedia non erano ritenuti adatti alla lettura nelle
scuole, per via della loro licenziosità.

Elementi di critica:

Spesso si cerca di ricostruire un’opera a partire dal confronto con i modelli ellenici, anche
se spesso risulta fuorviante in quanto non abbiamo un quadro d’insieme abbastanza
generale.

Non si può considerare ogni elemento “originale” perché non abbiamo abbastanza fonti
delle altre opere contemporanee. Qualcuno ha generalizzato tutte le novità (spesso
apparenti) inserendole nel filone della comicità italica (Italum acetum).

16

TITOLI & TRAME


Dal momento che le commedie sono riportate da Varrone in ordine alfabetico, è per noi
molto difficile farci un’idea della cronologia delle opere. Una linea indicativa può essere
tracciata a partire dallo sviluppo che hanno gli intrecci, e dalla differenziazione di questi
che viene operata a partire dal classico modello (= più la trama è articolata e inusuale più
la commedia è recente).

Hanno tutte una lunghezza che va dai 1400 ai 7000 versi, per un totale di 21000 versi.

3. AMPHITRUO = unica commedia a soggetto mitologico.

Giove arriva a Tebe per conquistare Alcmena, sposa di Anfitrione, padrone della ci8à che è par<to
per la guerra. Giove impersona il Anfitrione e Mercurio impersona Sosia, il suo servo. Scambio di
persona + serie di equivoci quando Anfitrione torna a Tebe, che si risolve in un lieto fine quando
questo si placa.

4. ASINARIA = rivalità amorosa tra padre e figlio.

5. AULULARIA = giovane innamorato che si sposa a discapito di un avaro.

6. BÀCCHIDES = sorelle gemelle che devono essere sposate (doppia situa di conquista).

7. CAPTIVI = commedia del riconoscimento (assenza di intrighi erotici).

8. CÀSINA = rivalità amorosa tra padre e figlio.

Padre e figlio desiderano una trovatella che hanno in casa: a8raverso un inganno ordito dal servo
del giovane, il vecchio si ritrova nel le8o un uomo, invece che Càsina. Si scopre che la ragazza è di
origine libera e viene sposata dal ragazzo.

9. CISTELLARIA = commedia della tyche di ambito amoroso.

10. CURCULIO = commedia del servo.

11. EPÌDICUS = commedia del servo + del riconoscimento, con fine amoroso.

12. MENAECHMI = PROTOTIPO DI TUTTE LE COMMEDIE DEGLI EQUIVOCI.

Menecni ha un fratello gemello, uguale a lui e che si chiama come lui. I due sono sta< separa< alla
nascita e non si conoscono, quindi quando uno si reca nella ci8à dell’altro scoppia una gran
confusione = con<nui scambi di persona.

13. MERCATOR = rivalità amorosa tra padre e figlio.

14. MILES GLORIOSUS = solito schema ma numerose brillanti variazioni.

Il giovane Pirgopolinice (soldato fanfarone) si affida all’arguto servo Palestrione per rapire una
ragazza già occupata.

15. MOSTELLARIA = commedia degli equivoci.

Un servo diabolico fa credere a un vecchio di avere una casa infestata per me8ere fine gli amorazzi
del giovane padrone. L’inganno si conclude con l’intercessione di un amico e il perdono generale.

16. PERSA = beffa a un lenone da parte di un servo innamorato aiutato da un altro servo.

17. POENULUS = commedia del riconoscimento ai danni del lenone + lieto fine amoroso.

17
18. PSÈUDOLUS = commedia esemplare del servo.

Psèudolus fa una beffa ai danni del lenone Ballione al fine di so8rargli una ragazza amata dal suo
padrone e riesce a estorcere anche il doppio del compenso previsto.

19. RUDENS = commedia degli equivoci e del riconoscimento.

Una ragazza e il suo lenone naufragano su un’isola dove per caso finiscono anche l’amato e il padre
della fanciulla rapita. Risoluzione dell’intreccio ai danni del lenone con il riconoscimento avvenuto
grazie ad una gomena.

20. STICHUS = debole tensione narrativa, commedia d’amore.

21. TRINUMMUS = intreccio particolare, quasi di umanità terenziana.

22. TRUCULENTUS = esperimento narrativo di Plauto, commedia dell’inganno.

Per una volta la cor<giana non corrisponde all’elemento passivo: è colei che ordisce gli inganni a
scapito dei suoi tre aman<. È ipercara8erizzata come personaggio nega<vo, molto più dei soli<
caTvi di Plauto.
18

STRUTTURA DELLE COMMEDIE:

Ci sono delle linee guida per interpretare le commedie plautine che si piegano a qualsiasi
inflessione della trama. Plato ricerca proprio la ripetizione: non pone interrogativi sul
carattere dei personaggi, sulla loro psicologia o sulla loro morale: tutto quello che gli
interessa è la forza comica delle singole situazioni e la loro creatività verbale.

Prima dello sviluppo dialogico della storia è sempre presente un PROLOGO, spesso
narrato per fornire informazioni essenziali allo sviluppo della trama e che elimina
totalmente qualsiasi colpo di scena.

TIPIZZAZIONE DEI PERSONAGGI:

Plauto realizza un numero limitato di “tipi umani” comici, che riservano poche sorprese e
che sono caratteristici della sua precisa comicità. Non è un’invenzione di Plauto.

Questi tipi sono: adulescens spesso innamorato, servus, senex, leno, meretrix, matrona,
miles, parasitus.

PREVEDIBILITÀ DEGLI INTRECCI:


È una novità plautina, secondo cui tutte le commedie possono ridurmi allo stesso

schema:

- Lotta fra due antagonisti per il possesso di un bene o di una donna (a volte di
entrambi);

- Fase critica di sovversione con peripezie tra le due parti, spesso ordite da un servo,
con equivoci e scambi di persona, in cui si mette in discussione tutto quello che il
pubblico accetta come normale e naturale;

- Vincita di una parte a discapito dell’altra e ritorno all’ordine con lo scioglimento.

È normale che la parte vincente sia quella del giovane innamorato.

La parte perdente è spesso quella di un personaggio catalogato come un antagonista

per definizione: vecchio, di un uomo sposato, di un lenone…

Lo scioglimento della vicenda non rivela niente di nuovo al pubblico, trova solo piena
corrispondenza nei codici culturali che il pubblico possiede già, ricalcandone le
aspettative. Come concezione si avvicina molto alle convenzioni attuate già dalla
Commedia Néa.

Pubblico:

Plauto non si pone con un atteggiamento di superiorità, non intende spiegare loro dei
modelli di vita, che invece spesso vengono sovvertiti. Il pubblico accetta le convenzioni
del genere in funzione di un grado di comicità elevato dato dalle singole situazioni.

Nel complesso la commedia parla di ambienti popolari o borghesi, con qualche eccezione
nella narrazione della quotidianità dei personaggi (ci sono eventi straordinari ma sempre
nell’ambito della possibile realizzazione). Allo stesso tempo vengono trattati, sempre con
leggerezza, alcuni reali problemi della società, come la disponibilità di donne e il denaro
della famiglia.

Il pubblico trae piacere sia dalla comicità che dal percorso dal disordine all’ordine che
viene presentato nell’intreccio.

19
Lo schema basilare dell’intreccio si può adattare a sua volta ad altre situazioni tipiche che
si vengono a creare, dove una componente dell’intreccio spesso prevale sulle altre:

COMMEDIA DEL SERVO: l’azione di conquista del bene viene delegata dal
1 giovane innamorato al suo servo ingegnoso e tutta la commedia gira intorno al

rapporto giovane desiderante | servo raggirante.


A volte ovviamente il raggiratore può essere anche un parassita e il servo può essere anche lo
stesso innamorato. Gli inganni possono essere anche più di uno.

Se all’inizio il personaggio del servo è funzionale come espediente narrativo di comicità e


di complicità nella beffa, progressivamente acquista maggior rilievo fino a diventare
protagonisti dell’opera: l’inganno è messo in pratica da loro e perfino da loro teorizzato.

In questa sorta di maturità narrativa di Plauto il servo è rappresentato come demiurgo,


artista della frode, POETA che sceneggia la vicenda.

Proprio questo aspetto viene messo in rilievo da Psèudolo: in un monologo dove teorizza
l’intreccio, usa la metafora del “farsi poeta”, riconoscendo la propria superiorità
intellettuale tra gli altri personaggi della storia.

Il servo finisce per diventare un Doppelgänger (alter ego) dell’autore: ordisce la trama
escogitando dei piani dall’interno, manipolando i personaggi e a volte fornendo al
pubblico delle specifiche chiavi di lettura = METATEATRO.

È anche il vero portavoce della creatività verbale di Plauto: usa immagini, metafore, doppi
sensi, allusioni, battutacce tipiche del lessico della commedia latina e che ricostruiscono
più di tutte il senso di

COMICITÀ DEL SERVO

Con lui viene raggiunto il massimo livello di assurdità perché in lui non si riconosce
nessun elemento realistico = avviene un distacco netto tra mondo del reale e mondo del
comico.

Pur essendo il personaggio socialmente più debole, è la figura centrale sulla scena e il
punto di attrazione sia per il pubblico che per gli altri personaggi. Lo spazio dedicato a lui
viene ampliato e il suo personaggio viene assimilato agli altri, che a loro volta spesso
sono attratti nella sfera di comicità del servo, nonostante godano di una certa
rispettabilità nella vita reale.

SERVO NEL SISTEMA DI VALORI:

Il servo non è assolutamente compatibile con il sistema di valori canonici: la commedia


non cerca di insegnare qualcosa di morale. Non è particolarmente sviluppato dal punto di
vista psicologico, non ha un punto di vista che viene messo in risalto se non quello che
concerne lo sviluppo degli eventi.

Allo stesso tempo però, il servo non cerca di convertire i dogmi della vita sociale e non
denuncia la sua condizione di schiavo in modo sovversivo.

È impossibile parlare di un teatro conformista o anticonformiste, in quanto il servo


PERSEGUE UN RISULTATO LEGITTIMO MA CON MEZZI ILLEGITTIMI.
20

COMMEDIA DELLA THYCHE: la forza onnipresente era un elemento portante


2 anche per la commedia greca. Nel teatro romano si chiama Fortuna e ha un

fondamentale valore stabilizzante per tutto l’intreccio.

È necessario per contrapporsi all’intento del servo: si pone nei suoi confronti come un
antagonista, provocando uno scatto irrazionale dal quoziente imprevedibile.

COMMEDIA DEL RICONOSCIMENTO: ruota attorno ad un riconoscimento di


3
un’entità nascosta, mentita o casualmente perduta che poi viene rivelata e
permette alla storia di compirsi in un lieto fine.

Variazioni: se si passa da una fase di errori e di confusioni di persona si tratta di una


COMMEDIA DEGLI EQUIVOCI, ma anche qui il riconoscimento finale permette di sciogliere
tutte le difficoltà.

I riconoscimenti e/o gli scambi si intrecciano sempre con le azioni di un servo, che
possono essere in apparenza anche immorali ma svolte sempre per fini accettabili in
previsione di un successo generale.

STILE
La lingua di Plauto è una dei pochi elementi che abbiamo per la ricostruzione della lingua
d’uso latina, parlata dal ceto colto medio.

Essendo il dialogo la forma principale in cui viene impiegata la lingua d’uso, nelle
commedie Plauto privilegia la funzione emotiva e quella conativa: sono presenti infatti i
cosiddetti STILEMI AFFETTIVI, come:

- L’uso di ripetizioni e ridondanze, che imprimono il messaggio nella mente


dell’interlocutore, rendendolo più incisivo;

- L’impiego di interiezioni e di diminutivi affettivi che coinvolgono il pubblico.

La struttura generale dell’opera può essere considerata semplice ed essenziale:

La paratassi prevale sull’ipotassi;

La frase è scarnificata mediante delle ellissi;

Vengono usati dei verbi molto comuni e dal significato generico.

21

LINGUA
GRECISMI

Per il loro frequente impiego la lingua di Plauto viene definita ubertas sermoni Plautini. I
termini utilizzati si rifanno al repertorio della lingua d’uso greca impiegata anche a Roma,
tra questi riscontriamo:

• Termini della marineria, del commercio, della finanza, della tecnologia,


dell’urbanistica;

• Nomi di animali, di recipienti per il vino e di utensili domestici;

• Lessico dello sport, del teatro, dei prodotti di lusso per indicare la vita dissoluta.

ARCAISMI

I. LIVELLO FONETICO:

• Vocalismo in o in vor (*vorto > verto);


• Vocalismo in u della sillaba mediana non accentata o nei superlativi (*existumo > existimo |
*amoenissumus > amoenissimus);

• Mancata chiusura di o in u nella sillaba finale (nominativi in -os e accusativi in -om);

• Ablativo dei pronomi personali ego e tu pronunciati nelle forme *med e *ted.

II. LIVELLO MORFOLOGICO

- NOMINALE:

• Vocativo *puere sull’analogia di dominus;

• Genitivo singolare della IV dec. in *-i per analogia con quello della seconda;

• Assenza di distinzione tra ablativo singolare in -e per i participi e -i per gli aggettivi;

• *ipsus > ipse


• *illisce > ille | *hisce > hic;

• Ablativo singolare *qui e *aliqui (con i lunga)

- VERBALE:

• Forme di futuro sigmatico in *-so, modellato su quello greco (*faxo, *capso);

• Forme collegate di ottativo come *faxim, *dixim, *induxim;

• Infinito presente passivo con desinenza arcaica *-ier (*adducier > adduci);

• Seconda persona singolare con desinenza in *-re;

• Congiuntivo presente del verbo essere con le forme arcaiche di *siem, *sies, *siet > sim,
sis, sit;

• Imperativi *face, *dice;

• Perfetto con raddoppiamento per il verso fero —> *tetuli > tuli.

22

RAPPORTI CON LA COMMEDIA GRECA

L’atteggiamento con il quale Plauto si pone nei confronti dei modelli non è passivo ma di
continua rielaborazione. È comunque difficile farsi un’idea specifica delle differenze
operate nei confronti dei modelli in quanto non spesso abbiamo il corrispettivo
tramandato.

Pur essendo la sua commedia di chiara discendenza greca, Plauto non comunica né i
nomi né la paternità delle commedie da cui ha preso spunto, in quanto il suo teatro non
presuppone un pubblico completamente ellenizzato.

Non riscontriamo nessuna preferenza in quanto commediografi greci.

L’operazione di ASSIMILAZIONE DEL CODICE FORMATIVO dei modelli greci si attua


specialmente in un senso: Plauto riprende in modo diretto le convenzioni, i modi di
pensare, i personaggi tipici e la loro espressività, oltre che lo schema generale
dell’intreccio.

Ci sono alcuni particolari esotici che rendono un complessivo REALISMO e provocano nel
lettore un giustificato senso di STRANIAMENTO:

• Nomi di persone e di luoghi greci;

• Sfumature legali e istituzioni politiche tipiche del mondo greco;

• Allusioni storiche che rimandano ad un tempo lontano.

DIFFERENZE METRICHE:

Riscrittura in cantica polimerici dei brani recitati (trimetri giambici) o recitativi

(tetrametri trocaici), detti “numeri innumeri” plautini.

Notevole predilezione di Plauto per le parti cantate

DIFFERENZE FORMALI:

• Completa revisione del SISTEMA ONOMASTICO: nomi greci diversi dai modelli,
mai attestati prima in scena e sempre nuovi, di commedia in commedia (diversi
anche da quelli fissi caratteristici delle maschere della farsa italica).

• Rinnovamento dei titoli delle commedie, che non sono traduzioni dirette di quelli
greci, ma spesso riprendono il nome di un personaggio (spesso anche di un
servo).

• Cancellazione della divisione in atti.

DIFFERENZE CONTENUTISTICHE:

- Eliminazione della coerenza drammatica;

- Nessuno sviluppo psicologico;

- Motivazione, caratterizzazione e serietà di analisi.

DIFFERENZE STILISTICHE:

I tratti costanti e dominanti dello stile plautino non hanno nulla a che vedere con lo
stile ellenistico, perché prevedono principalmente un forte realismo linguistico.

Tutto il resto cambia notevolmente da commedia a commedia, il che non permette


un eccessivo condizionamento universale da parte di un certo modello.

23

ENNIO
È considerato come il maggiore poeta arcaico, che si configura come simbolo dell’epoca
di scontro politico e militare tra Roma e il mondo greco. Rimane un modello per tutti i
successivi poeti epici e teatrali.

Nato a Rudiae nel 239 a.C. (odierna Lecce, nella regione che oggi corrisponde alla Puglia
ma che i Romani chiamavano Calabria). Passa probabilmente gli anni della formazione a
Taranto = cresce in un ambiente decisamente grecizzato.

Arriva a Roma nel 204 a.C. grazie a CATONE: si incontrano in Sardegna, dove Ennio era
soldato, quando Catone torna dai suoi mandati per la questura (in Sicilia e in Africa).

A Roma sono gli anni dell’ellenizzazione della società romana: si configura il dominio romano
sulla Grecia e si intensificano i contatti culturali e politici delle due potenze.

Si viene a creare una polarizzazione:

- PARTITO ANTIELLENICO guidato da Catone Il Censore: vede nel mondo greco un


nemico del mos maiorum che prevedeva di considerare la res publica come un corpo
collettivo al servizio del quale si metteva la comunità. Questa fazione è fortemente contraria
anche alle filosofie scettiche e materialiste, pericolose per il sistema etico e politico di Roma.

- PARTITO FILELLENICO guidato dal CIRCOLO DEGLI SCIPIONI, in particolare da


Scipione Emiliano, il quale accoglie l’élite più aperta all’accettazione della cultura greca e
stringe rapporti di amicizia con greci importanti come Polibio e Panezio.

N.B. = probabilmente definire circolo la cerchia di persone riunite attorno alla famiglia

degli Scipioni è eccessivo: non presentano un programma politico e culturale totalmente

comune e non si occupano di attivismo impegnato. Il filellenismo, inoltre, non era un


requisito necessario per far parte del circolo e nemmeno la prerogativa esclusiva del
circolo.

Probabilmente Ennio all’inizio aveva aderito al partito di Catone, mentre successivamente


era entrato nel Circolo degli Scipioni, ottenendo protezione da loro e dai Nobiliore e
riscontrando l’ostilità dell’iniziale scopritore.

A Roma svolge la professione di insegnante prima di diventare un poeta a tempo pieno


con la produzione teatrale.

Compie un viaggio in Grecia nel 189-187 a.C. in occasione della campagna contro la
coalizione di popoli greci della Lega etilica insieme al generale Marco Fulvio Nobiliore.
Dopo la vittoria romana compone la tragedia dell’Ambracia (dal nome della battaglia) e si
conquista la cittadinanza romana.

Nell’ultima parte della sua vita si dedica alla composizione degli Annales e muore a Roma
nel 169 a.C.
24

Opere minori:

Ad Ennio ne sono attribuite una grande varietà, probabilmente di gusto ellenico e quasi
sicuramente destinate a circolazione privata, limitata alla cerchia dei suoi protettori
aristocratici.

HEDYPHAGÈTICA (11 vv)

METRO: esametri (è la prima opera in esametri a noi attestata).

CONTENUTO: opera didascalica dedicata alla gastronomia, ispirata al poemetto del greco

Archestrato di Gela. Viene ripreso anche nell’Apologia di Apuleio.

SATURAE (18 frammenti x 18 vv)

METRO: vario.

CONTENUTO: episodi autobiografici e grande varietà di temi.

SOTA
METRO: versi sotadei che venivano impiegati per la narrazione di opere parodiche e oscene

condite di forti attacchi alle autorità.

CONTENUTO: sconosciuto ma immaginabile.

EUHÈMERUS (pochi frammenti da Lattanzio)

METRO: forse scritto in prosa.

CONTENUTO: operetta filosofica che ricostruisce il pensiero di Evemero da Messina (= la

credenza negli dei deriva dalla mitizzazione delle gesta di uomini potenti e molto

antichi).

STORIA DELL’OPERA: ha un ruolo fondamentale nelle ricerche erudite di Varrone e viene presa

come fondamento dagli scrittori cristiani antichi nella critica del

paganesimo.

EPICHARMUS
METRO: settenari trocaici.

CONTENUTO: riflessioni filosofiche a partire da quelle di Epicarmo, poeta comico greco con la

fama di pensatore.

PROTRÈPTICUS

CONTENUTO: raccolta di insegnamenti morali.

EPIGRAMMI
METRO: distici elegiaci.

CONTENUTO: due in onore di Scipione l’Africano e uno dove Ennio stesso proclama l’immortalità

della sua opera con orgoglio.

SCIPIO
CONTENUTO: poemetto celebrativo in onore del vincitore di Zama.

25

Produzione teatrale:

È tramandata solo per tradizione indiretta, quindi la cronologia delle opere è molto difficile
da affermare con sicurezza. Certo è che la produzione teatrale (soprattutto tragica) si
estese per tutto il corso della sua vita.

Ennio è un autore molto fecondo di teatro: non bisogna lasciarsi influenzare dalla
percezione che ne avevano gli antichi, che lo ritraevano come un vecchio che guardava al
passato perché in certi elementi della sua poetica sapeva essere anche molto moderno.

TRAGEDIE

COTURNATE (20 frammenti x 400 versi, tramandate da Cicerone).

Caratteristica di Ennio è la permanenza del coro all’interno della struttura della commedia,
che permetteva al pubblico di immedesimarsi in esso, come nei panni di cittadini virtuali
che intervenivano attivamente all’interno dell’atto tragico teatrale.

Possiamo provare questo rapporto con la parodia dell’Achilles enniano che si trova nella

commedia del Poenulus di Plauto: c’è una concreta allusione alla performance eseguita
dall’attore del prologo nella tragedia (araldo di Agamennone).

I rapporti con la tradizione greca non sono da interpretare solo nel senso dell’aemulatio:
Ennio è molto attento alla continuazione di una tradizione artistica greca. Non si
preoccupa solo di rievocare scene, personaggi e situazioni patetiche ma:

- cerca il confronto con gli stessi autori da cui prende ispirazione (stesso atteggiamento
di Livio Andronico);

- amplia la tradizione ricorrendo all’intensificazione patetica, alla libera contaminazione di


modelli diversi e all’inserzione di parti nuove e inedite.

La pratica dei TESTI APERTI era comune anche in ambito greco: quando si
mettevano in scena delle tragedie considerate “classici” non si trattava di
fedele riproduzioni di modelli ma di ampliamenti e cambiamenti attuati dal
cosiddetto diskeuastès:

Il pubblico riconosceva il linguaggio codificato della tragedia in questa


ipercaratterizzazione con cui riusciva ad entrare in empatia.

Il modello greco preferito da Ennio è Euripide, di cui riprende soprattutto le tragedie del
ciclo troiano: Alexander, Andromacha aechmalotis, Hecuba, Iphigenia.

Invece da Eschilo riprende Eumenides ed Ectoris lutra.

Infine da Sofocle deriva l’Aiace.

Probabilmente Ennio non si fermò all’imitazione della grande triade di tragediografi greci
del V secolo ma spaziò anche tra gli altri autori minori.

26

STILE
Evidente ricerca di effetti spettacolari e importante intensificazione patetica come
influsso della letteratura latina arcaica e della tradizione ellenistica.

Molto spesso Ennio ricerca una retorica della commozione grandiosa che fa risalire alla
langue greca = ricostruzione di un vocabolario della teatralità greca.

Ennio si mostra anche molto attento alle critiche e in alcuni casi rielabora delle scene in
base ai giudizi degli antichi sulle commedie greche che lui traduce (vedi il caso del
prologo della Medea euripidea).

PRAETEXTAE (2 titoli):

• Ambracia di argomento contemporaneo, in onore della vittoria di Fulvio Nobiliore


contro gli Etòli, che consacra la figura dell’autore come “poeta al seguito” (figura già
popolare anche in età ellenistica: il poeta epico Cherilo di Iaso aveva accompagnato
Alessandro magno nelle sue imprese e aveva dedicato a lui degli omaggi poetici).

È in questa occasione che Catone protesta vivacemente contro questa iniziativa, vista

da lui come manifesto eccessivo di propaganda personale di un personaggio pubblico.

• Sabinae sulla fondazione mitica di Roma (ratto delle Sabine da parte di Romolo).

COMMEDIE
La produzione di commedie di Ennio era ritenuta minore già dai suoi contemporanei.
Volcacio Sedìgito lo inserisce alla fine del suo canone solo per la sua antichità e
rispettabilità in termini di fama. Non possiamo confermare o ribaltare il giudizio perché ci
sono arrivati solo due titoli: Caupunculae e Pancratiastes.

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Produzione epica:

ANNALES
L’opera è la summa dell’interesse di Ennio per la poesia celebrativa: rappresenta una
componente notevole per tutta la poetica dell’autore, dai tempi degli epigrammi in onore
di Scipione l’Africano (Scipio) e della tragedia Ambracia.

SI INSTAURA UN VINCOLO SEMPRE PIÙ STRETTO TRA LETTERATURA E POTERE

L’interesse di Ennio è quello di creare una poesia di contenuto celebrativo che


comprendesse l’intero corso della storia di Roma: dalla caduta di Troia ai suoi giorni.

Il poema, pur essendo un racconto lineare e cronologico, non conferisce a tutti gli
avvenimenti la stessa importanza: alcuni vengono trascurati a favore di quelli, secondo
Ennio, più rilevanti.

È molto più selettivo di uno storico nel concentrarsi quasi esclusivamente sugli eventi
bellici, tralasciando quelli di politica interna.

FONTI E MODELLI
• OMERO = necessità di paragonarsi a lui e diventare il padre fondatore della letteratura

latina.

• EPICA ELLENISTICA* = il poema è di argomento storico e celebrativo insieme.

• ANNALES MAXIMI = precedente importante per la letteratura latina, che si rifaceva alle

raccolte storiche redatte dai Pontefici Massimi, che passavano in

rassegna gli eventi accaduti anno per anno, secondo un ordine

cronologico progressivo.

• NEVIO = Ennio è molto vicino per ampiezza e struttura al Bellum Poenicum, anche se le

differenze sono sostanziali:

- la sequenza degli eventi è narrata in ordine cronologico e non si concentra


su un episodio particolare, sviscerandolo, come aveva fatto invece Nevio
con la Prima Guerra Punica;

- per non doversi confrontare con il modello diretto del maestro, Ennio
tralascia abbastanza gli eventi già narrati da Nevio;

- Importanza delle grande personalità a discapito della gloria anonima ma


collettiva del popolo romano;

- Ennio divide il poema in libri secondo l’usanza dei poemi ellenistici*,


usanza che diventerà poi fondamentale anche per i successivi poeti latini:
riunire gli argomenti in unità narrative autonome permetteva agli autori di
costruire un’architettura omogenea ma ordinata e di riprendere la tradizione
dei poemi greci recenti più importanti.

• FONTI STORIOGRAFICHE che sono per lo più sconosciute. Possiamo riconoscere tra

queste soprattutto l’opera storica di Fabio Pittore.



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DIVISIONE IN LIBRI:

I-III
- proemio

- venuta di Enea in Italia

- storia della fondazione di Roma (Romolo e Remo)

- età monarchica

IV-VI
- guerre contro gli Italici

- guerre contro Pirro

VII-X
- proemio al mezzo
- guerre puniche (di cui la prima trascurata e la seconda approfondita)

X-XVI
- campagne in Grecia e in Siria, dopo la battaglia di Annibale

- trionfo di Marco Fulvio Nobiliore sugli Etòli

XVI-XVIII
- campagne militari recenti, vicine alla data di morte del poeta (169 a.C.)

Inizialmente Ennio aveva previsto una suddivisione in soli 15 libri che si sarebbero
conclusi con il trionfo di Fulvio Nobilio, ma in seguito, forse volendo aggiornare il poema
con le più recenti imprese romane, l’autore aggiunse 3 libri.

Le idee di poetica e la giustificazione di esse si devono ai 2 PROEMI, in cui il poeta


prendeva direttamente la parola per rivelare le sue ragioni di fare poesia:

PROEMIO 1: INVESTITURA POETICA DELL’AUTORE


Dopo l’invocazione alle Muse, il poeta racconta di aver sognato l’ombra di Omero, che gli
aveva rivelato di essersi reincarnato proprio in Ennio, secondo la credenza pitagorica
della metempsicosi. Ennio diventa il sostituto vivente del più grande poeta di tutti i tempi.

Questo può essere considerato il simbolo della modalità con cui i latini iniziarono ad
appropriarsi dei modelli greci.

Modelli: Callimaco degli Aitia (il poeta sogna di essere portato sul monte Elicona dove

riceve l’investitura poetica direttamente dalle Muse) + Esiodo (investitura dalle

Muse mentre pascola le pecore ai piedi del loro monte sacro.

PROEMIO 2: INVOCAZIONE ALLE MUSE


Ennio sottolinea l’importanza delle Muse: non sono quelle arcaiche che avevano invocato
i suoi predecessori Livio ed Ennio (considerati molto arretrati per aver poetato in saturni,
versi adatti solo alle divinità campestri del passato precivilizzato, ovvero “Fauni e vati”).

L’autore si configura come il primo DICTI STUDIOSUS, ovvero un cultore della parola,
formata su un preciso calco greco (sottolineato anche nella scelta dell’esametro dattilico)
che riprendeva una tradizione la tradizione più autorevole di tutte.

Ennio parla della sua poesia qualificandola al livello di quella alessandrina: curatissima,
raffinata, erudita, che gli permetteva di definirsi come poeta e come critico insieme. 

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EPICA COME “POESIA CIVILE”
Il fine di Ennio come autore epico non è solo quello di raccontare le gesta storiche ma
anche quello di fissare dei valori, degli esempi di comportamento e dei modelli culturali:
anche per questo l’opera di Omero è un modello così fondamentale, dal momento che
univa agli episodi della storia mitica anche tutto il patrimonio della cultura popolare.

Soprattutto i primi poeti latini, tra cui ovviamente Ennio, sentono l’esigenza di formare una
cultura morale comune a tutti quei popoli che si riunivano sotto il nome di “romani”, e per
questo hanno bisogno di una POESIA FORMATIVA che deve portare incivilimento.

Nel caso degli Ennio questo patrimonio culturale si mostra come il trionfo dell’ideologia
aristocratica filellenica di quel periodo, seguendo gli ideali e gli interessi dell’autore:

GLI ANNALES CELEBRANO LA STORIA DI ROMA COME SOMMA DI IMPRESE


EROICHE DETTATE DALLA VIRTUS DI UOMINI ECCELLENTI
La storia non è più il frutto delle gesta collettive, ma il prodotto di grandi uomini illustri e
portatori di valori esemplari: è il caso di Fabio Massimo, dipinto come eroe per aver
saputo isolare le critiche riguardo alla sua strategia di attesa nei confronti di Annibale.

Il cambiamento di mentalità avvenuto con Ennio è evidente: ancora Catone,


contemporaneo all’autore, parla della storia tacendo i nomi dei singoli magistrati e
condottieri, affidando il merito alla comunità, non alle personalità di spicco = ancora una
volta è evidente la loro distanza intellettuale.

Tutti questi elementi fanno pensare alla generazione successiva (di Terenzio): tentativo di
unire le tradizionali virtù aristocratiche con la tradizione ellenistica.

In questa ottica la caratteristica principale di un personaggio storico è la

VIRTUS

È considerata, almeno in origine, come il carattere del vir (eroe | guerriero). In seguito arriva a
comprendere non solo le virtù guerriere ma anche e soprattutto quelle di pace: saggezza,
moderazione, saper pensare e saper parlare.

Può essere considerata anche come la caratteristica tipica della stirpe romana, che viene lodata
attraverso la GLORIA: riconoscimento di superiorità da parte della comunità.

Per essere tale, la virtus non deve essere fine a se stessa ma al servizio della salus communis.

Questa concezione viene ribaltata solo nel I secolo a.C., con la decostruzione degli ideali
repubblicani messi in crisi da anni di guerre civili: le grandi personalitàche si affermano sono
motivate da un senso di grandezza personale fine a se stesso o indirizzato esclusivamente al
riconoscimento della gloria.

Altri tratti caratteristici della virtus sono ereditarietà e aristocraticità: evidenti soprattutto nella
famiglia degli Scipioni.

Anche questi elementi vengono sovvertiti nel corso del I secolo a.C., quando non basta più
appartenere ad una classe nobiliare per essere dotati di virtus, ed entra in gioco la figura
dell’homo novus. La figura di Cicerone e quella di Mario saranno decisive per il consolidamento
di questo cambiamento ideologico.
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Epica dopo Ennio:

Gli Annales rimangono il poema nazionale romano fino all’arrivo di Virgilio, anche se altri
autori nel frattempo tentano di riproporre dei componimenti con titolo storico-celebrativo.

Sicuramente la fama di Ennio fu immediata ma anche prolungata: subito dopo la


pubblicazione degli Annales il saturnio viene ufficialmente dimenticato e anche l’Odusia
viene riconvertita in esametri.

Lista dei componimenti epici | celebrativi da Ennio in poi:

- Annales di Accio;
Epica storica che celebrava
- Annales di Aulo Furio Anziate;
eventi militari temporalmente
più esigui rispetto a quelli
- Annales di Volusio;
narrati da Ennio.

Più la poetica latina continua a progredire più si rinnova anche il genere epico:

- Poema sulle imprese di Cesare in Gallia del neoterico Furio Bibaculo;

- Bellum Sequanicium (sempre sulle campagne in Gallia) del neoterico Varrone Atacino,
che porta all’epica latina numerose innovazione modellate sulla nuova poetica
alessandrina (maggiore attenzione al gusto e alla cura formale dell’opera);

- De consulatu suo di Cicerone, cove esso tesse le proprie gesta politiche in prima
persona.

A parte dei tentativi più arditi, il filone dell’epos viene visto sempre come il modo migliore
per conciliare letteratura e potere: perfetto strumento di propaganda da parte dei potenti.

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ORATORIA E STORIOGRAFIA A ROMA


Si tratta di due generi molto diffusi a Roma, che iniziano a diffondersi nella prima età
repubblicana e sono attività intellettuali proprie dell’aristocrazia romana: il ceto dirigente
attraverso oratoria e storiografia esprime la propria interpretazione della storia e
dell’attualità, con le conseguenti esigenze politiche ed etiche.

Cicerone ci informa dei primi oratori:

- Marco Cornelio Cetego (console nel 204 a.C.) sembra essere il primo oratore
protagonista di un’attività accertata con sicurezza;

- Scipione l’Africano;

- Quinto Fabio Massimo Cunctator;

- Lucio Emilio Paolo;

- Catone e il suo avversario Servio Sulpicio Galba sono considerati i maggiori


esponenti di questa disciplina.

Per quanto riguarda la storiografia, sicuramente le prime opere di carattere storico sono
stati gli annales pontificum, per quanto irrimediabilmente corrotti da interpolazioni (e
quindi per niente oggettivi o imparziali).

I primi storiografi scelgono di scrivere in GRECO: durante le campagne imperialiste Roma


ha bisogno di difendere le proprie conquiste e dibattere con opere storiche ellenistiche
apertamente favorevoli alla potenza di Cartagine.

Protagonisti di questa scelta sono tutti storiografi che scrivono opere di stampo
annalistico, come:

- Fabio Pittore, aristocratico romano che aveva ottenuto ruoli importanti nella Seconda
Guerra Punica. Sono attribuiti a lui degli Annales in latino, anche se probabilmente
sono frutto di traduzione o di interventi successivi.

Si possono riscontrare nella sua opera soprattutto degli interessi antropologici:

vicende leggendarie della storia di Roma, dettagli antiquari (riti, tradizioni religiose,

istituzioni giuridiche o sociali). Gli intenti sono di conservare un passato

tradizionale. I suoi testi si occupano soprattutto delle origini di Roma e sulla storia

contemporanea a lui, nei confronti della quale si espone come apertamente

filoromano nel conflitto punico.

- Lucio Cincio Alimento, senatore e magistrato plebeo che combatte nella Seconda
Guerra Punica e viene fatto prigioniero da Annibale. Viene apprezzato per l’obiettività
delle sue opere (in greco) da storici successivi come Dionigi di Alicarnasso e Polibio.

- Gaio Acilio, senatore che fa da interprete all’ambasciata dei tre filosofi del 155 a.C. e
scrive intorno alle origini di Roma (in greco) con un particolare interesse eziologico.

- Aulo Postumo Albino, sceglie di scrivere della storia di Roma in greco ma viene
deriso da Catone perché si scusa di non padroneggiare bene la lingua.

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MARCO PORCIO CATONE


Nato nel 234 a.C. a Tusculum, da una famiglia benestante ma non nobile, combatte nella
Seconda Guerra Punica facendo parte degli alti gradi della gerarchia militare e in seguito,
a Roma, percorre tutte le tappe del cursus honorum:

- Viene eletto console nel 195 a.C. e si oppone contro l’abrogazione della lex Oppia;

- Dal 190 a.C. è principalmente accusatore aristocratico e conservatore nei processi


contro il partito scipionico;

- Diventa censore nel 184 a.C. e si batte contro la degenerazione dei costumi e la
tendenza individualistica dei massimi personaggi politici del tempo. Per questo si crea
molte inimicizie: è al centro di molti processi come accusatore o difensore.

È in queste occasioni che nascono tutte le orazioni di cui ci parla Cicerone: lui ne

conosceva oltre 150, mentre oggi conosciamo titoli e occasioni di un’ottantina di

esse con allegati alcuni frammenti.

- Quando nel 155 arriva a Roma l’ambasceria dei filosofi di Atene si batte per la loro
espulsione e la ottiene: temeva che il loro influsso (in particolare quello di Carneade)
potesse danneggiare i valori etici romani.

- Combatte intensamente a favore della distruzione di Cartagine, che effettivamente


avverrà nel 146 a.C., ma muore prima di poterne vedere il risultato nel 149 a.C.

Fonti e Fortuna:

La figura di Catone viene presto interpretata come il simbolo del conservatorismo della
prima età repubblicana: l’appellativo “Censore” conferisce alla sua figura rigidezza.

È considerato dalla tradizione come il portavoce di un intransigente mos maiorum, che


comprendeva: austerità, parsimonia, attaccamento al lavoro e rigore morale.

Le fonti che ce lo tramandano sono:

• Plutarco nella Vita di Catone;

• Cornelio Nepote nella Vita di Catone;

• Ritratto di Catone contenuto nell’anonimo De Viris Illustribus;

• Cicerone, che lo idealizza nel De re publica e poi nel dialogo Cato maior de senectute:
ne mitiga il carattere e le asprezze nei confronti della grecità nel tentativo di ricomporre i
contrasti ideologici del passato;

• Tito Livio in Ab urbe condita, in cui l’autore critica l’intransigenza di Catone ma ne


ammira le doti;

• Letterati arcaizzanti del II secolo d.C. (Gellio, Frontone, imperatore Adriano) che lo
ammirano come oratore persino superiore a Cicerone;

Dopo il IV secolo scompare la conoscenza diretta delle sue opere, in quanto l’interesse
filologico viene indirizzato ad altro. Rimangono sotto il suo nome due componimenti che
vengono insegnati nelle scuole come raccolte di massime morali in versi: Disticha / Dicta
Catonis (solo il De agri cultura viene tramandato integralmente in virtù della sua funzione
utilitaristica). 

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VALORI ETICO MORALI


Catone è conosciuto per il suo estremo conservatorismo e per la sua adesione ad un
partito anti ellenico, il cui obiettivo era restaurare i costumi degli antichi secondo il

MOS MAIORUM
Si può riassumere il suo impegno politico, che traspare da ogni sua opera, ricordando:

La preoccupazione di Catone per la DILAGANTE CORRUZIONE, motivo per cui si era


esposto a favore delle Leggi suntuarie, che limitavano le manifestazioni di sfarzo e
ostentazione da parte di singoli gruppi familiari: avrebbero potuto portare a eccessive
diseguaglianze economiche all’interno della classe dirigente, che sarebbe stata divisa
al suo interno e avrebbe perso la sua stabilità.

La sua contrarietà riguardo l’AFFERMAZIONE DI PERSONAGGI EMERGENTI che


avrebbe potuto portare alla conseguente nascita del culto delle personalità secondo un
modello tutto orientale. La concezione di Catone, al contrario, si concentrava su una
lenta formazione dello Stato e delle sue istituzioni, intesi come opera collettiva del
populus Romanus, stretto intorno a una classe dirigente senatoria.

VIR BONUS, COLENDI PERITUS (dall’opera morale Praecepta ad filium)


Esemplifica la concezione di Catone che riguarda il primato dell’agricoltura sul
commercio e su altre forme di arricchimento considerate poco sicure: è compito di un
saggio pater familias affidarsi ad occupazioni stabili e sicure, non temporanee ed
incerte. Il tipo di attività da evitare sono quelle che prevedono l’affidare la propria
possibilità di guadagno alla sorte.

VIR BONUS, DICENDI PERITUS (dall’opera morale Praecepta ad filium)


Rende bene la concezione della lingua e dello stile catoniano, privo di orpelli,
essenziale e scarno: le orazioni devono avere un contenuto valido, ogni elemento che
possa distrarre il lettore / l’ascoltatore è considerato superfluo e frivolo, perché REM
TENE, VERBA SEQUENTUR.

I rapporti di polemica con la cultura greca, considerati tanto significativi per la figura di
Catone, sono in realtà più di facciata che sostanziali.

Pur non accogliendo in modo palese i precetti delle scuole di retorica ellenistiche, Catone
studia su quei modelli rielaborandoli e dissimulandoli in modo che l’elaborazione stilistica
risultasse frutto dell’immediatezza vivace.

Catone è nutrito di cultura greca e in realtà non la disprezza: ciò che respinge sono i suoi
aspetti illuministici, lascito delle scuole sofistiche, che avrebbero potuto mettere in crisi
tutto l’apparato di valori tradizionali.

Il frutto della polemica di questi anni (partito filellenico | partito anti ellenico) si traduce poi
in una sintesi culturale: gli apporti greci vengono accettati, anche se non in rapporto di
estrema e aperta propaganda, e fusi con il mos maiorum.
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ORIGINES
Si tratta di un’opera storica di ampio respiro che, oltre a contenere dei fatti, raccoglieva
anche il programma politico dell’autore, intessuto ai valori etici tradizionali: per rendere la
prosa ancor più di effetto, Catone aveva aggiunto anche dei pezzi delle proprie orazioni, il
che rende l’opera IDEOLOGICAMENTE E POLITICAMENTE ORIENTATA in modo palese.

È soprattutto per questo motivo che Catone privilegia gli eventi a lui prossimi,
tralasciando fondazioni mitiche e passati gloriosi (sebbene il titolo orienti i lettori nel senso
opposto). Questa è una probabile DIVISIONE IN LIBRI:

I —> Fondazione di Roma

II-III —> Origini delle città italiche

IV-V —> Guerre Puniche

VI-VII —> Eventi fino alla pretura di Servio Sulpicio Galba, avvenuta nel 152 a.C.

Nella narrazione l’autore evita di menzionare per nome i personaggi influenti che si erano
resi protagonisti degli eventi narrati: per opposizione alle tendenze contemporanee
sceglie di chiamare per nome solo delle personalità oscure ai più (che Ennio, per esempio,
non avrebbe mai citato), lasciando nell’ombra tutti gli altri (Annibale compreso, che viene
chiamato solo dittatore Carthaginiensum.

Distaccandosi ancora dai suoi contemporanei Catone concentra la sua attenzione anche
ai popoli italici e alla loro storia: a loro è dedicato un intero libro su 7 e da questo prende
il nome anche l’opera nel suo insieme.

È molto attento anche alle minoranze: nelle Origines vengono narrati usi e costumi delle
popolazioni africane e spagnole, che aveva avuto modo di conoscere durante la sua
carriera militare.

LINGUA e STILE
La lingua delle Origines è molto diversa da quella delle orazioni: il latino non è fluido per
via della preferenza della paratassi sintattica e la specificità della prosa comporta
numerosi arcaismi lessicali e morfologici.

È evidente che la prosa latina non ha ancora raggiunto il paradigma “classico” rivelando
la sua -apparente- trascuratezza linguistica attraverso anacoluti, asimmetrie, ripetizioni e
densità di pronomi personali (come is e ille) non giustificati da esigenze stilistiche.
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DE AGRI CULTURA
È il testo di prosa più antico mai che si è conservato per intero per via della sua funzione
utilitaristica.

Si tratta di un’opera precettistica in cui i fatti vengono esposti in modo asciutto e


schematico composto da una prefazione e da 170 brevi capitoli divisi per argomento.

Il fine è quello di ritrarre il comportamento ideale del proprietario terriero, tradizionalmente


incarnato nel pater familias: l’agricoltura al tempo di Catone viene considerata, dai
conservatori come lui, l’attività più sicura e onesta a discapito del commercio.

Il tipo di attività agricola, però, era cambiato recentemente: non si trattava più di aziende
governate da un potere familiare con l’ausilio di servi, ma di vere e proprie VILLE
SCHIAVILI: Catone descrive nel dettaglio gli obblighi del pater familias nei loro confronti, e
dal suo racconto traspare la brutalità con cui veniva trattata la forza lavoro.

Anche in questo caso l’autore coglie l’occasione di identificare i tratti salienti dell’etica del
mos maiorum: la virtù dell’ottimo pater familias si declina nell’attività agricola come
parsimonia, durititia e industria.

Inoltre l’agricoltura è un’ottima metafora per rappresentare le esigenze pragmatiche della


classe dirigente: arricchirsi e accrescere la produttività del lavoro con ogni mezzo a
disposizione.

STILE
È molto scarno, non lascia spazio a ornamenti letterari né a riflessioni filosofiche. Viene
colorito a volte solo da espressioni di saggezza popolare e campagnola espresse
mediante formulazioni proverbiali.

Operette morali:

PRAECEPTA AD FILIUM
Ne rimangono alcuni frammenti in cui vengono formulati gli elementi del mos maiorum.

È la prima enciclopedia latina dei saperi: medicina, retorica, arte militare.

CARMEN DE MORIBUS
Precetti di argomento morale legati al mos maiorum.

APOPHTHEGMATA
Raccolta di detti memorabili e aneddoti di cui non ci è rimasto nulla se non citazioni da
autori come Plutarco e Cicerone.

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CECILIO STAZIO
I motivi per cui non è conosciuto come il precedente Plauto e il successivo Terenzio sono
solo casuali: di Cecilio non sono rimasti che 40 titoli e alcuni frammenti (300 vv circa).
I suoi contemporanei e i critici latini di ogni età lo elogiano e lo annoverano tra i migliori
commediografi del suo tempo: Orazio elogia la serietà dei sentimenti, Varrone gli intrecci;
solo Cicerone ne critica la lingua, definendola malus auctor Latinitatis. Nel canone dei
comici più apprezzati Volcacio Sedìcito lo pone al primo posto.

Liberto di origine straniera, era probabilmente un Gallo Insubre, arrivato a Roma come
schiavo dopo la Battaglia di Clastidium del 222 a.C. e forse successivamente
manomesso dai Metelli.

La data di nascita è collocabile tra il 230 e il 220, in quanto la massima fioritura artistica
risale agli anni ’80 del II secolo e la morte avvenne nel 168 a.C.

Il quadro cronologico pone Cecilio contemporaneo sia di Plauto che di Ennio.

Mentre non abbiamo notizie di contatti tra i due commediografi, sappiamo che Cecilo ed
Ennio erano grandi amici.

La notizia che invece Cecilio conoscesse Terenzio e avesse ascoltato per primo la lettura
di una delle sue commedie è un falso perché la datazione non coincide (i due sono legati
solamente tramite lo stesso impresario teatrale: Ambivio Turpione).

Oltre alla collocazione temporale tra i due grandi commediografi a noi noti, possiamo
ipotizzare che Cecilio si collocasse a metà tra di loro anche per quanto riguarda scelte
stilistiche e tematiche:

- DA PLAUTO: ricchezza di metri, vivacità comica, gusto per la farsa.

- VERSO TERENZIO: maggiore rispetto per i modelli greci, predilezione per il modello di

Menandro, riflessione sulla condizione umana (con sententiae).

I TITOLI delle opere a noi note sono:

• Traslitterazioni dal greco: Plocium, Ex hautoù hestòs, Gàmos, Epìcleros,


Synaristòsae, Synephebi;
• Latini: Pugil, Epistula,
• Doppi: Obolostàtes | Faenerator.

Possiamo comprendere il concetto di VERTERE impiegato da Cecilio a partire da un


frammento tramandato nelle Noctes Atticae di Gellio, in cui l’autore propone un
confronto tra il Plocium e il Plòkium menandreo (che per molto tempo è stato l’unico testo
affidabile di confronto tra una commedia greca e il suo rifacimento latino)

Menandro è per Cecilio Stazio un semplice canovaccio: l’autore latino amplia il monologo
di un marito rendendolo un canticum dall’aria farsesca: è presente una massima in
apertura e si approfondisce il rapporto di schiavitù che lega il coniuge alla moglie.

CECILIO REINVENTA LE STORIE DEI MODELLI SECONDO UNA NUOVA E


AUTOREVOLE POETICA TEATRALE

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TERENZIO
La sua biografia presenta alcune informazioni controverse: le fonti antiche ritengono fosse
nato a Cartagine (Terentius Afer = l’Africano) tra il 185 e il 184 a.C., ma sono anche gli
anni attestati per la morte di Plauto, quindi la critica classica avrebbe potuto sincronizzarli
in rapporto di diretta successione.

Arriva a Roma subito dopo la Seconda Guerra Punica come schiavo del senatore Terenzio
Lucano che lo manomette ob ingenium et formam, trasmettendogli il gentilizio. I suoi
protettori sono Scipione Emiliano e Lelio, che menziona indirettamente anche nelle sue
commedie.

Il suo debutto come autore teatrale avviene negli anni ’70, due anni dopo la vittoria di
Roma nella battaglia di Pidna: piena affermazione romana in oriente e penetrazione totale
della cultura greca a Roma = nuovo indirizzo culturale di cui Terenzio si fa portavoce.

Muore attorno al 159 a.C., prima della Terza Guerra Punica, in occasione di un viaggio
culturale in Grecia (la pratica diventerà popolarissima successivamente tra i romani colti).
In teoria muore per annegamento, anche se è poco credibile e forse solo un tentativo di
assimilarlo a Menandro, anch’esso morto così.

Fonti e Fortuna:
Dobbiamo il poco che sappiamo sulla vita di Terenzio alla biografia Vita Terenti contenuta
nel De viris illustribus di Svetonio, anche se la qualità delle informazioni è dubbia. Solo il
commento di Donato ci permette di capire meglio la cronologia della vita.

Le sue peculiarità espressive e tematiche non permisero a Terenzio di accogliere molta


fortuna nel corso della vita: il pubblico, abituato alla farsa plautina, ricercava lazzi e
battutacce e non era pronto all’impegno che comportava un approfondimento emotivo.

Anche lettori successivi non lo mettono in buona luce: nella classifica di Volcacio
Sedìgito si trova al sesto posto dopo Plauto, Cecilio Stazio e diversi autori minori.

Solo quella parte del pubblico elitaria, colta, sensibile, apprezzarono la purezza della
lingua e lo stile raffinato:

Cicerone definisce: lecto sermone, come loquens (urbanità) e omnia dulcia dicens.

Cesare: puri sermonis amator, nonostante lo considerasse anche un dimidiatus


Menander a causa della scarsità di vis.

Varrone: lo ritiene inferiore agli altri commediografi per costruzione dell’intreccio ma lo


ammira per la rappresentazione coerente del carattere dei personaggi.

I cristiani (come sant’Agostino): lo apprezzano per la messa in scena di valori etici e per
la purezza di lingua, che resero Terenzio un modello di stile.

Medioevo: Dante cita dei suoi passi.

Rinascimento: rinnova l’interesse per Terenzio proponendo adattamenti (Andria di


Machiavelli, opere di Ariosto).

Dal 1600 ad oggi: molte traduzioni delle sue commedie. Tutti lo considerano un modello
squisitamente scolastico, è bene non limitarsi a sottolineare troppo il suo impegno etico-
morale per non perderne la poetica d’insieme.

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TITOLI & TRAME DELLE SEI COMMEDIE


Di Terenzio rimangono 6 commedie tramandate integralmente, per un totale di 6000 versi
(min. 880 max. 1094). La cronologia di esse è piuttosto sicura in quanto le opere
tramandate avevano la data della prima rappresentazione, all’interno delle didascalie nei
manoscritti medievali: vanno dal 166 al 160.

Sono tutte PALLIATE: i modelli greci preferiti da Terenzio sono Menandro (che offriva,
oltre ad un modello culturale, anche un modello letterario per il suo stile raffinato e la sua
curata tecnica drammatica), Difilo e Apollodoro di Caristo (esponenti importanti della
Commedia Nèa).

23. ANDRIA (166 a.C., medio successo)


MODELLO: Andria + Perinthia di Menandro.

CONTENUTO: Glicerio è stata abbandonata nella fanciullezza e ora sta con Andrio, ma di lei si
innamora Panfilo, già promesso sposo a Filùmena, figlia di Cremete. Cremete si
arrabbia venendo a conoscenza della situazione, in più il servo di Panfilo, Davo,
complica le cose con i suoi tranelli. La situazione si risolve con il classico
riconoscimento finale: anche Glicerio è figlia di Cremete, quindi può sposarsi con
Panfilo.

24. HÈCYRA (165 a.C., insuccesso: il pubblico preferisce i funamboli); (160 a.C. insuccesso: tutti

se ne vanno per i gladiatori); (160 a.C. medio successo, lo spettacolo prosegue

fino alla fine)


MODELLO: Hècyra di Apollodoro di Caristo + Epitrepontes di Menandro.

CONTENUTO: Si creano incomprensioni tra una coppia di sposi, Panfilo e Filùmena, quando si
scopre che la ragazza è stata messa incinta prima di del matrimonio da uno
sconosciuto ad una festa no8urna. Lui si arrabbia e vuole lasciarla per la cor<giana
Bacchide, ma sua madre Sòstrata gioca un ruolo fondamentale, aiutando i due a
superare le incomprensioni: si viene a sapere che l’uomo che ha messo incinta
Filùmena era Panfilo e i due tornano insieme.

25. HEAUTONTIMORÙMENOS (163 a.C., buon esito)


MODELLO: Heautontimorùmenos di Menandro.

CONTENUTO: Il vecchio Menedèmo si autocondanna a lavori pesan< per aver obbligato il figlio,
Clinia, ad arruolarsi nell’esercito e par<re per l’Asia per non fargli sposare una
ragazza di umili origini. Quando il figlio torna il padre lo accoglie con affe8o e
perme8e il matrimonio dopo aver scoperto che la ragazza è in realtà figlia del suo
amico benestante, Cremete.

26. EUNUNCHUS (161 a.C., massimo successo di Terenzio)

MODELLO: Eununchus + Kolax di Menandro.

CONTENUTO: Taide è concubina del soldato Trasone ma è innamorata del giovane Fedria. Grazie a
Trasone, Taide incontra Panfila, ragazza con cui era cresciuta come una sorella ma
che in seguito era stata venduta. Cherea (fratello di Fedria) si traveste da Eununco
per avere Panfila, di cui si era innamorato. Succedono inganni e so8erfugi: Cherea
viene smascherato ma riesce a sposare Panfila perché si rivela essere ci8adina
ateniese, mentre Taide rimane con Trasone e si fa amico Fedria.

27. PHORMIO (161 a.C., successo)

MODELLO: Epidikazòmenos di Apollodoro di Caristo.

CONTENUTO: Il parassita Formione aiuta i cugini Fedria e An<fone a sposare le ragazze che
amano. Si scopre che la ragazza di An<fone è figlia illegiTma di Cremete (padre di Fedria e zio di
An<fone).
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28. ADELPHOE (160 a.C.)

MODELLO: Adelphoe di Menandro + Synapothnèskontes di Difilo.

CONTENUTO: Confronto tra due modelli di educazione. Demea ha due figli: uno lo alleva lei stessa
con grande rigore e serietà (Ctesifone), l’altro (Eschino) lo dà in adozione a suo
fratello Milione, che invece lo educa alla libertà. Si scopre che Eschino aveva
compiuto un rapimento (per conto del fratello Ctesifone!): viene sgridato dalla
madre, che crede l’altro figlio irreprensibile. Finale di difficile interpretazione:
Demea formula con dispe8o il proposito di ado8are dei metodi permissivi e
accondiscenden<.

LINGUA e STILE
Aspetto molto trascurato dalla critica di Terenzio perché non molto espressivo: l’autore
stesso sceglie di non metterlo in primo piano, infatti leggendo si ha l’impressione di una
piatta uniformità del testo (soprattutto se paragonato a Plauto).

Spesso si ha l’impressione che il linguaggio di Terenzio sia censurato: si parla poco di


corpi, di lussuria e golosità nel mangiare e nel sesso, in quanto i personaggi non usano
questi argomenti per insultarsi. Acquista valore invece tutto il campo semantico delle
parole astratte, usate per esprimere i sentimenti e gli stati d’animo = serve a garantire il
predominio di certi contenuti su altri, sempre attinenti alla verosimiglianza tematica.

Pur preoccupandosi della verosimiglianza, però, i personaggi bassi non utilizzano il loro
linguaggio quotidiano, non sono dotati di una specifica carica linguistica. Questo perché
Terenzio usa una lingua accuratamente selezionata e in qualche modo realistica in
un’ottica molto settoriale, parlata dalle classi urbane di buona educazione e cultura.

EFFETTO IDEALIZZATO RISPETTO AI GUSTI DEL PUBBLICO ROMANO

Terenzio viene definito, per i motivi elencati sopra, puri sermonis amator (Cesare).

METRO
Significamente ridotto a livello di varietà: scarsità di parti propriamente liriche con
diminuzione dei cantica in rapporto con i deverbia.

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STRUTTURA DELLE COMMEDIE:

È in questo aspetto che si misura l’immensa distanza presa dalle commedie di Plauto,
amatissime dal grande pubblico e basate su meccanismi simili a quelli della farsa italica.

Terenzio accetta l’inquadramento e la ripetitività delle trame (ci sono frequenti


riconoscimenti, peripezie, scambi di persona) senza produrre elementi originali,
scegliendo di concentrarsi di più sull’APPROFONDIMENTO PSICOLOGICO dei
personaggi: attraverso loro, l’autore cerca di comunicare la nuova sensibilità e i nuovi
interessi maturati all’interno dell’élite sociale e culturale.

TENSIONE INNOVATIVA
che non lo rende interessante agli occhi del grande pubblico

La scelta di Terenzio è completamente consapevole: sacrifica la vis comica e


l’esuberanza comico fantastica, come notato da Giulio Cesare, in favore di altri ideali più
orientali e umanistici.

I personaggi continuano ad essere inseriti nello schema della TIPIZZAZIONE, ma


appaiono molto diversi da quelli della Commedia Nèa o di Plauto. Non sono dotati di un
forte carattere individuale e possono smentire facilmente i pregiudizi con sorprendenti
colpi di scena.

Le personalità più popolari sono: adulescens innamorato, puella teneramente innamorata


a sua volta, pater familias preoccupato per il figlio (non cerca di portargli via le amanti ma
tiene alla sua felicità), etèra che spesso e volentieri ha dei comportamenti che dimostrano
alti valori morali, matrona che non impedisce i fidanzamenti ma li agevola, risolvendo liti e
capricci del figlio.

Sicuramente, rispetto alla commedia plautina, uno spazio decisamente minore è riservato
al servo: non è più usato come espediente comico perché Terenzio elimina le beffe.

Tecnica drammaturgica:

Terenzio è uno dei letterati latini più professionale, è consapevole degli aspetti tecnici del
suo lavoro e si impegna per trovare gli espedienti giusti per mettere in scena un certo tipo
di commedie.

Uno dei principi cardine della poetica di Menandro era la verosimiglianza, termine che
assume valore anche nella poetica di Terenzio, attento alla COERENZA e
all’IMPERMEABILITÀ DELL’ILLUSIONE SCENICA:

vengono eliminate le battute non fondamentali allo sviluppo della vicenda, che i
personaggi pronunciavano direttamente al pubblico

NO META TEATRALITÀ

Il teatro di Terenzio si oppone come statario (statico) rispetto a quello motorio


(movimentato) di Plauto: rifiuta le scene caratterizzate da inseguimenti e litigi,
rappresentate da personaggi caricaturali, in favore di un’arte riflessiva, realistica e attenta
alle sfumature. Terenzio basa le sue commedie sul dialogo, non sul movimento scenico.

41
Nella struttura comica messa a punto da Terenzio non c’è alcuno spazio per
l’autocoscienza. Per questo motivo l’autore decide di riqualificare una parte essenziale
della commedia: il PROLOGO.

Tradizionalmente, sia la Commedia


È una vera è propria istituzione letteraria concepita Nèa che Plauto, lo usavano come
da Terenzio: il prologo non è più informativo ma ha spazio espositivo in cui comunicare
il compito di chiarire le personali prese di informazioni preliminari necessarie
alla comprensione della trama e
posizioni dell’autore, che all’interno del prologo
dell’intreccio = permettevano al
ha la possibilità di spiegare il rapporto della pubblico di capire gli eventi prima e
commedia in scena con il modello, rispondere alle in seguito, durante il loro
critiche, interrogarsi sulle questioni di poetica, svolgimento, di concentrarsi sugli
giustificare il suo rapporto con gli intellettuali del espedienti comici delle battute e
Circolo Scipionico.

Questo evidenzia il cambiamento di pubblico (più ristretto e selezionato): adesso gli


spettatori sono pronti a confrontarsi con l’autore delle commedie, sono più attenti ai
problemi di tecnica e hanno un gusto personale.

Questa scelta avvicina notevolmente Terenzio ad altri autori suoi contemporanei e


all’ideale di poeta-filologo che aveva proposto la realtà alessandrina: distacco notevole
dalla vecchia generazione letteraria.

RAPPORTI CON LA COMMEDIA GRECA

Terenzio all’inizio delle sue commedie propone alcune affermazioni programmatiche


sull’uso dei modelli greci, anche se per noi sono di difficile interpretazione in quanto non
sono pervenuti che alcuni frammenti degli originali.

Possiamo sicuramente affermare che Terenzio in linea di massima si attiene piuttosto


fedelmente agli intrecci menandrei, ma approfondisce i caratteri e i problemi della società
borghese rappresentata.

Nel Prologo dell’Andria Terenzio si giustifica dall’accusa del

CONTAMINARE AD FABULAM:

Intrecciare nella stessa commedia parti di commedie diverse secondo una pratica che era
in realtà già utilizzata da Nevio, Plauto ed Ennio.

La contaminatio non è un processo meccanico ma frutto di un’accurata selezione da


parte dell’autore, che si serve a sua volta di altri poeti per seguire la sua vocazione
artistica.

42

L’HUMANITAS

NEL SISTEMA DEI VALORI ROMANO

Può essere considerata uno dei fondamenti del sistema di valori romano: il concetto che c’è
dietro ha ovviamente una sua storia, cambia molti significati nel corso dei secoli, ma nasce
proprio a ridosso del II secolo a.C., con le conquiste romane in oriente e soprattutto in Grecia.
Come concetto in sé rimane la sintesi di più filoni di pensiero greci, ma nell’applicazione al
mondo latino si traduce con una notevole vena pragmatica.

Dopo la battagli di Pidna, con l’importazione a Roma della cultura greca nel suo insieme, arriva
il concetto fondamentale della PHILANTROPÌA:

RICONOSCERE E SAPER RISPETTARE L’UOMO IN OGNI UOMO


(homo sum: humani nihil a me alienum puto)

(Terenzio, Heautontimorùmenos)

In ogni caso a partire da questo concetto, gli intellettuali romani, specie se legati al circolo degli
Scipioni, sviluppano quello di humanitas, concepita come il senso di civiltà che di manifesta
nella comprensione verso gli altri e nella benevolenza, ma anche nella cultura, nel buon gusto e
nell’eleganza.

La commedia nell’esposizione di questo concetto risulta perfetta: è una sintesi di tutti gli
individui, caratterizzati da pregi e da debolezze: sono capaci di intrecciare le proprie relazioni al
di fuori di una prospettiva trascendente.

PLAUTO —> anche se il termine humanitas non è ancora stato coniato traspare l’idea del

carattere e del comportamento che deve avere in modo generico non solo il

soldato ma anche il privato: rientra tutto nel sistema dei valori prettamente

familiare e civile.

TERENZIO —> l’humanitas è la virtù che regola i rapporti interpersonali a partire da un piano di

reciproca fides: le sue commedie rispecchiano questi valori basandosi in modo

specifico sulle dinamiche famigliari.

CIRCOLO SCIPIONICO —> l’humanitas inizia ad essere sempre più elitaria e aristocratica,

infatti si basa sull’affinamento della comune natura umana

attraverso un’educazione superiore (è tutto il frutto della nascita di

una nuova nobilitas e della nuova importanza concessa

all’individualità).

CICERONE —> inquadramento dell’humanitas in un sistema di valori cortesi basati su

correttezza ed eleganza -anche formali- che comprendeva: facilitas,


mansuetudo, clementia, suavitas, moderatio.

ETÀ IMPERIALE —> netta contrapposizione tra l’accezione aristocratica e intellettuale (paideia)

dell’educazione ricercata e la linea popolare, che sarà vincente:

l’humanitas ricomincerà ad indicare in generale affabilità, gentilezza e

buon carattere, che sono propri di tutti gli uomini (di nuovo philantropìa).

SENECA: humanitas come sentimento istintivo di solidarietà verso gli

uomini, verso gli schiavi e verso i sottoposti.

PETRONIO: idea di essere “uomo tra gli uomini”, affrancato dalla

condizione servile (me hominem inter hominem voluit esse |

hominem inter homines feci | et servi homines sunt).

43

LA NASCITA DELLA SATIRA


Le origini del genere sono incerte già per i grammatici latini: i Romani la chiamano
SATURA e non conosciamo l’etimologia di questo termine ambiguo.

Sicuramente la teoria che lo fa derivare dalla parola greca sàtyros è falsa, in quanto il genere non
ha nulla a che fare né con la figura dei satiri né con il dramma satiresco greco (era
sostanzialmente un coro di satiri che accompagnavano l’azione teatrale alternando recitazione e
danza).

Il significato più probabile del termine è quello di MESCOLANZA E VARIETÀ, a partire da


due terminologie di due campi semantici differenti ma unificabili:

- derivazione da satura lanx, che nella Roma arcaica indicava un piatto misto da offrire
agli dei (poi diventato specialità gastronomica romana);

- derivazione da lex per saturam, che indicava un procedimento giuridico che riuniva vari
argomenti in un singolo provvedimento legislativo.

L’impulso originario per la creazione del genere è romano: satura tota nostra est (Quint.).

Gli unici pseudo modelli potevano essere la commedia di Aristofane o i Giambi di

Callimaco, ma le invettive qui presenti non formavano comunque un genere a

parte come incede accade a Roma.

Le esigenze dei primi poeti che la sperimentano sono:

• trovare un nuovo genere che potesse prevedere l’espressione della voce personale del
poeta mentre si misurava con se stesso o con la realtà contemporanea: fino a quel
momento la comicità non aveva uno spazio personale esclusivo e diretto;

• La varietà tematica e stilistica dei contenuti: questo canone estetico riassume


benissimo anche la nuova esigenza dei poeti alessandrini, desiderosi di superare i
generi tradizionali e opporsi ad essi, come aveva fatto Callimaco;

• L’impulso al realismo come aggancio ad una realtà contemporanea troppo poco


esplorata: le opere annalistiche che ricercavano le origini della storia, mentre tragedia e
commedia che riprendevano pari passo opere greche modellate su dinamiche greche in
contesti della grecità.

ENNIO aveva scritto forse 4/6 Libri di Satire, che però sono giunte solo mediante pochi
frammenti.

Da questi ricostruiamo la più disparata varietà tematica: dialoghi, dibattito Vita | Morte,
favolette, ritratti caricaturali, interventi del poeta in prima persona (che ci forniscono molte
notizie sulla biografia del poeta stesso) = tutto è segno dello sviluppo della
consapevolezza personale del poeta.

Non sono attestati, invece, gli attacchi diretti rivolti a personaggi contemporanei.

È più probabile che nella dimensione aggressiva del satirico NEVIO fosse molto più attivo
(ricordiamo le sue dispute con la famiglia dei Metelli), anche se non è certo che abbia
composto satire.

44

LUCILIO
È il primo poeta in ambito romano a dedicarsi esclusivamente alla satira (al contrario di
Ennio), scelta come mezzo espressivo ideale per trasmettere poesia varia e personale.

Questo motivo ci induce a rintracciare un nuovo pubblico: la poesia scritta è concepita


per una lettura personale, mentre i contenuti contemporanei fanno pensare ad un
rinnovato interesse per questioni politiche o coinvolgimento civile.

Lucilio naque a Suessa Aurunca (Campania) da una famiglia di condizione agiata: è il


primo letterato di alto ceto sociale a scegliere di dedicare la vita alle lettere, appartata
dalla politica e dalle cariche pubbliche.

La sua posizione sociale è fondamentale per comprendere il personaggio e la sua scelta


di intraprendere il genere della satira: al contrario dei poeti precedenti, tutti nati senza
cittadinanza romana e protetti per tutta la vita dai potenti, l’indipendenza dovuta al rango
equestre permetteva a Lucilio di compiere scelte ardite e di esporsi attraverso temi anche
molto delicati.

La cronologia è incerta. Morì sicuramente nel 102 a.C. e da san Girolamo sappiamo che aveva
46 anni, quindi sarebbe dovuto nascere nel 148 a.C., anche se in realtà ci sono dati in disaccordo:
non avrebbe potuto partecipare all’assedio di Numanzia con Scipione Emiliano nel 133, a soli 15
anni, e avrebbe avuto una carriera letteraria troppo precoce per accordarsi con l’appellativo senex
proposto da Orazio. Probabilmente san Girolamo fu fuorviato dall’omonimia dei consoli del 148 e
del 180 (altro possibile anno di nascita che lo renderebbe coetaneo di Terenzio). Oggi si opta per
una data intermedia, il 168|167 a.C., e si pensa che il refuso sia dovuto alla corruttela numerale di
LXVI con XLVI nella tradizione manoscritta.

Fonti e Fortuna:
Lucilio è considerato il fondatore del genere satirico, profondamente devoto alla causa: ex
praecordis ecfero versum.

Rimane per tutti i poeti satirici successivi un modello da seguire: Orazio lo critica per la
vena torrenziale e per la scarsa finitura formale ma lo consacra come inventor del genere,
anche se tra loro c’è una notevole distanza.

Alcune caratteristiche del suo stile e alcuni suoi contenuti, come la vivace polemica
personale e politica, sono impossibili da replicare in tempi diversi: le condizioni sociali del
poeta ma anche il contesto politico repubblicano in cui opera gli permettono la massima
libertà espressiva, proibita nell’età della Roma imperiale.

Conosciamo Lucilio attraverso numerose citazioni di grammatici, studiosi di metrica e


commentatori tardi, che riportano i suoi versi soprattutto a causa delle particolarità della
sua lingua. Nominiamo in merito l’opera De compendiosa doctrina di Nonio Marcello e
alcune allusioni che troviamo nelle Satire di Orazio.

45

SATURAE
Si tratta di un’opera articolata in 30 libri, di cui abbiamo frammenti molto brevi (1300 vv.).

Il titolo dell’opera non è con certezza attribuibile a Lucilio: viene chiamato così in seguito
da Orazio, ma l’autore definisce la composizione in termini di poemata o di sermones.
Probabilmente un titolo provvisorio fu Schèdia (=improvvisazioni).

La circolazione dell’opera nel I secolo a.C. era attribuita al poeta Valerio Catone e ordinata
attraverso un criterio metrico, non corrispondente a quello cronologico, che era il
seguente:

I-XXI —> esametri dattilici;


XXII-XXV —> distici elegiaci;
XXVI-XXX —> metri giambici e trocaici e poi di nuovo in esametri (scelta provocatoria

che mostra l’ironia estrema dell’autore: il verso tipico dell’epica eroica e

celebrativa veniva impiegato per narrare di eventi quotidiani e con uno

stile colloquiale; dopo l’esperienza di Lucilio l’esametro diventerà il metro

canonico del satirico).

Le Satire nel complesso affrontano uno spettro di argomenti molto ampio, per esempio:

LIBRO I = CONCILIUM DEORUM: parodia dei concili divini (scena tipica dell’epica) in

cui gli dei decidevano di far morire Lentulo Lupo,

ostile agli Scipione, per indigestione.

Il motivo della comicità in questo caso è offerta dal paragone implicito del

concilio con il senato romano: critica della società contemporanea

impegnata a discutere del nulla.

Lucilio in questa occasione polemizza a spese di testi letterati molto noti:

implicazioni critico-letterarie dell’autore che si scaglia contro la letteratura

convenzionale, piena di stilemi ripetitivi e stereotipati.

N.B. altrove, un altro tema ricorrente è la critica ad altri generi poetici

elevati, soprattutto alla tragedia, di cui Lucilio deride il gusto enfatico e

declamatorio = la tendenza lo avvicina molto sia a Callimaco che ai neoterici.

LIBRO III = VIAGGIO in Sicilia.

Il motivo del viaggio torna sia in Orazio (Sat. 1, 5) che nel Satyricon di Petronio

LIBRI XX | XXX = FILONE GASTRONOMICO

Nel primo caso Lucilio narra di un banchetto organizzato da Granio,

antenato letterario di Nasidieno (Hor. Sat. 2, 8) e Trimalcione (Satyricon),

scrivendo in merito: fingere praetera adferri quod quisque volebant.

Nel secondo caso viene descritto un sordido banchetto e vengono

accennate polemiche sul lusso a tavola.

Precedente di questo topos narrativo satirico è Ennio con il suo poemetto

“sul mangiar bene”: Hedyphagetica.

LIBRO XVI = DONNA AMATA

Il tema anticipa la poesia personale d’amore che sarà centrale in Catullo e negli

Elegiaci latini di età augustea.

46
Possiamo definire la personalità di Lucilio come motivata da un forte anticonformismo,
nonostante non sappiamo quanto le satire fossero collegate tra di loro da un motivo
unitario o quanto sia stato costante l’impegno politico dell’autore.

Ciò che sappiamo è però che fanno parte di un programma letterario innovativo e
organico, sostenuto da una personalità polemica e attiva,

motivata da un impegno educativo legato alla critica sociale.

Nelle satire si poteva avvertire un forte spirito moralistico, mosso attraverso polemiche
contro i costumi contemporanei, contro gli eccessi del luxus e le manie grecizzanti.
Attraverso l’umorismo Lucilio intacca ogni pratica del quotidiano, che traspare attraverso
una concretezza fisica e linguistica ed è rivisto alla luce di ideali filosofici contrastanti con
la realtà.

LINGUA e STILE
La poesia di Lucilio non si sviluppa in un unico indirizzo stilistico, ma si apre in tutte le
direzioni attraverso:

- Linguaggio elevato dell’epica visto in una chiave parodica;

- Linguaggi specialistici fino a quel momento esclusi dalla poesia latina (tecnicismi di
medicina, retorica, scienza, medicina, sesso, gastronomia, diritto e politica);

- Lingua del quotidiano presa da diversi strati sociali;

- Grecismi.

La DISARMONIA che si viene a creare è fortemente meditata dall’autore, che la propone


all’interno del suo preciso programma espressivo, simulando l’improvvisazione,
fondendo insieme vita e arte e avvicinandosi quanto più al realismo moderno.
47

L’URBANITAS
NEL SISTEMA DEI VALORI ROMANO

È considerata eleganza senza eccessi: indica il buon gusto e la predisposizione d’animo


naturali, che caratterizzano sia il comportamento che l’eloquio dell’uomo elegante.

Il termine inizia ad assumere una connotazione precisa attorno al II secolo a.C., quando il
territorio extraurbano di Roma inizia a crescere a dismisura e i cittadini si relazionano con italici
e con stranieri. In particolare il modello greco assume una nuova importanza e deve fondersi
con il mos maiorum:

IATO TRA LE TENDENZE ORIENTALI E IL MODELLO DI VITA ARCAICO E CONTADINO

PLAUTO —> il termine urbanus è attribuito spesso allo scurra: personaggio negativo ed

eminentemente cittadino che rappresenta lo sbruffone, lo scroccone e l’adulatore.

TERENZIO —> connotazione positiva: ampio spazio delle commedie dedicato all’opposizione

campagna-città (l’antagonista della vicenda viene sempre descritto come

agrestis, saevos, tristis, truculentus, parcus, tenax).

LUCILIO—> urbanitas non è più messa in relazione solo con la rusticitas ma con l’ostentazione

generale nei confronti della raffinatezza e del lusso: la satira di Lucilio condanna la

ricerca affannata e disperata della moda, dei costumi particolari e orientali,

opponendo a questa il gusto più naturale per la raffinatezza e la moderazione.

Dopo che in definitiva il modello dell’homo urbanus ha avuto la meglio su quello catoniano del
contadino-soldato, il termine si lega anche alla capacità dell’individuo di comportarsi con
naturalezza e di adeguarsi senza sforzo alle diverse circostanze.

CICERONE —> conferisce al termine una nuova interpretazione, portando il significato del

termine su due binari paralleli: elemento formale (eloquio forbito ed elegante,

umorismo salace ma mai volgare) unito all’elemento intellettuale (buon gusto

nel parlare, conoscenza dei momenti adatti alla trattazione di argomenti

diversi…) = si definiscono a vicenda e l’uno non esiste senza l’altro, perché

sono legati alle relazioni sociali, permettono lo scambio di pensieri e l’eleganza


consente di influenzare e persuadere senza arroganza l’uditorio/l’interlocutore.

ETÀ IMPERIALE —> l’urbanitas si mantiene in varie forme sia sotto Augusto che dopo:

QUINTILIANO: riporta la definizione già utilizzata da Valerio Catone:


“l’homo urbanus è colui che nei discorsi […] sa suscitare il riso in modo
gradevole e conveniente”.

MARZIALE: definisce urbanus lo scherzoso e salace dei suoi epigrammi.

PLINIO IL GIOVANE e STAZIO definiscono rispettivamente il proprio

epistolario e le Silvae come attinenti all’ideale di vita urbanus, ma

l’urbanitas ormai è diventata un principio artificiale e cristallizzato in forme

non comunicanti: l’orizzonte culturale dipende da delicati meccanismi di

potere e buone maniere che devono essere rispettare in modo ferreo.

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LA LETTERATURA FRA I GRACCHI E SILLA


ORATORIA
Con la crisi politica di Roma e la divisione tra fazioni acquistano importanza i generi
letterari che permettono di esprimere il proprio pensiero politico: primo di tutti l’oratoria
(con cui ci si poteva esprimere nei comizi e in Senato) a cui consegue la nascita delle
scuole di retorica, e in seguito la trattatistica.

Sappiamo che l’oratoria è un’arma politica potente dalla chiusura (da parte di L. Crasso e

D. Enobarbo) della scuola di Plozio Gallo: può formare degli avversari popolari.

Gli insegnamenti di questa scuola di riflettono nella Rhetorica ad Herennium: manuale di un autore
ignoto dove traspaiono tendenze mariane e graccane, partendo da un’impostazione scolastica di
tipo greco + caratteristiche tipiche dell’oratoria romana.

Non abbiamo molti frammenti dell’oratoria romana degli inizi, ma conosciamo molti nomi
perché vengono analizzati da Cicerone nel Brutus: storia dell’eloquenza romana.

A Roma è di due tipi:

ASIANESIMO ATTICISMO
Nasce nelle scuole di Pergamo, in Asia Minore, Nasce a Roma come reazione contro
tra il IV e il III secolo a.C.
l’Asianesimo, è chiamato così perché si prende
a modello lo stile dell’oratore attico Lisia.

Si caratterizza per:

- Pathos
Si caratterizza per:

- Musicalità
- Stile nitido e conciso

- Stile ricco e ridondante


- Sanctitas (austera purezza)

- Actio teatrale
- Molto controllo del pathos

Cicerone ne distingue due tipi:


ESPONENTI:

1) Molte frasi sofisticate con metafore e Marco Bruto;

giochi di parole + schemi ritmici artificiosi:


Gaio Licinio Calvo (amico di Catullo e
avversario pericoloso per Cicerone).
2) Stile pomposo e sovrabbondante con
parole colorite.

ESPONENTI:

Gaio Gracco;

Publio Sulpicio Rufo;

Quinto Ortensio Ortalo (prima avversario e poi


amico di Cicerone, anche suo maestro);

Cicerone.

DIBATTITO SULLA LINGUA

Polemica già proposta dalle correnti dell’oratoria nel mondo ellenistico:

scuola di Pergamo | scuola di Alessandria

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ANOMALISTI ANALOGISTI
Considerano il linguaggio come libera Si appella all’autorità dei classici per scegliere
creazione dell’uso (consuetudo).
una lingua basata sulla ratio e sull’analogia.

Ammette deviazioni e neologismi, ovvero le Rispetto dei modelli conosciuti: tendenza


“anomalie” previste nel sermo cotidianus.
purista e conservatrice, con uso regolare dei
costrutti sintattici e rifiuto dei neologismi.

ESPONENTI:
ESPONENTE:

Alessandro Poliìstore. Tirannione il Vecchio;

Giulio Cesare.

ESPONENTI DELLA CONCILIAZIONE:

Elio Stilone;

Varrone.

FILOLOGIA
Per un periodo il lavoro filologico rimane molto legato alla prospettiva alessandrina, che
vedeva un legame stretto tra questa disciplina e il fare poesia (Accio, Lucilio).

In seguito si acquisisce una maggior consapevolezza:

maturità culturale + coscienza critica -> filologia come disciplina specializzata

Sono protagonisti di questo cambiamento:

• L. E. Stilone Preconino: lavoro critico di pubblicazione e commento dei testi letterari

dopo aver assistito alle lezioni di Dioniso Trace. Si occupa

delle commedie plautine.

• Varrone: adotta il metodo di indagine linguistica del suo predecessore, basandosi sulla

ricerca delle etimologie delle parole. Commenta il Carmen Saliare e le Leggi

delle XII Tavole.

• Ottavio Lampadione: cura l’edizione di Nevio.

• Vettio Filocomo: cura l’edizione di Lucilio.

In questo momento si iniziano anche a compilare le prime OPERE ENCLICLOPEDICHE


per rispondere al bisogno di informazione erudita. 

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STORIOGRAFIA
È un mezzo di analisi politica ma non viene condotta da personaggi importanti. Ci sono
diverse tendenze che provano a distaccarsi dalla tradizione annalistica precedente:

S. ASELLIONE
Prende come modello Polibio e il suo metodo razionalistico, mantenendo le distanze
dalla tradizione precedente, che descriveva la storia partendo dalla semplice cronologia
politico militare:

“Osservo che a noi sta bene non solo riferire i fatti ma anche esporre le intenzioni e i
momenti delle imprese”

(demonstrare quo consilio quaque ratione gesta sint)

La tendenza è tipica di tutta la tradizione greca in generale, e prevede di riportare solo gli
eventi a cui l’autore ha assistito personalmente, con l’intento di analizzarne cause e
intenzioni (Her. > Tuc. > Pol.).

C. ANTÌPATRO
Mira ad ammaestrare e a dilettare il pubblico, distaccandosi dalla fredda analisi
annalistica mediante l’introduzione di elementi fantastici e miracolosi, del pathos e di
discorsi fittizi che dovevano compiacere il lettore = storiografia tragica.

C. SISENNA
La sua opera tratta solo di vicende contemporanee: è attento agli eventi politici ma tratta
la storia come genere artistico, dove i fatti sono immersi in un’atmosfera romanzesca e
favolosa = storiografia tragica secondo il modello di Clitarco + oratoria asiana.

AUTOBIOGRAFIA
Nasce come genere importante per i personaggi politici importanti, che parlano della loro
vita e del loro operato politico con nessuna particolare cura stilistica.

Spesso contiene elementi di autoapologia politica, con elementi carismatici atti a spiegare
la propria investitura in termini anche propagandistici

Trovano spazio gli atti miracolosi: sogni premonitori, imprese straordinarie).

AUTORI: soprattutto consoli (E. Scauro, R. Rufo, L. Catulo, Silla).

STUDI ANTIQUARI
Scienze che indagano le origini di una civiltà: usi, costumi, istituzioni giuridiche e sociali.

Sono collegati con la storiografia ma si avvalgono anche di altre scienze, come la ricerca
filologico-linguistica e l’archeologia.

L’interesse per la storia si affievolisce progressivamente in favore dell’analisi di causa/


effetto, mediante una più accurata elaborazione stilistica. 

51

COMMEDIA
Si verifica la decadenza delle forme teatrali tradizionali: il teatro non parla più all’insieme
dei suoi destinatari, a causa di una divaricazione nei gusti del pubblico.

- Élite colta che trova la commedia troppo elementare, che richiede un’elaborazione e
una raffinatezza maggiore di temi e di stile;

- Massa urbana cresciuta a dismisura che cerca una rappresentazione più flessibile e
“vera” della propria quotidianità: necessità di un teatro che possa riprodurre in modo
semplice le loro emozioni primitive, liberandosi dalle convenzioni della commedia
tradizionale.

Per un certo periodo, per rispondere ai bisogni della classe popolare, viene ripresa la
COMMEDIA TOGATA: trame e personaggi ambientati in realtà italiche o romane, molto
vicini a Terenzio.

Risponde in parte al bisogno di realismo: rappresentazione di un mondo di personaggi


umili meno tipizzati rispetto a quelli plautini, più vicini alle realtà borghesi di Menandro
(Néa).

I toni comici vengono smorzati per non mettere troppo in ridicolo il concreto ordine
sociale romano, e per questo motivo non trova grande seguito.

Contemporaneamente nascono nuove forme di teatro popolare: grande popolarità della


COMMEDIA ATELLANA come forma di farsa popolare e sub-letteraria.

Poteva prevedere, tra i temi trattati, anche parodie della tragedia o del mito, oltre che il
vasto repertorio di situazioni comiche tipizzate (personaggi come Arlecchino, Pantalone e
Pulcinella che vengono rappresentati attraverso delle maschere).

Nascita del genere del MIMO: in realtà è una ripresa di un modello greco, che però si
riferiva semplicemente all’imitazione della realtà, attraverso delle situazioni umili di vita
semplice. Non possiamo far riferimento a questo modello per capire cosa venisse
rappresentato sulle scene romane.

Probabilmente si trattava di numeri slegati che comprendevano danze, intermezzi


musicali, gag salaci:

- Poteva essere muto (pantomimo);

- Poteva essere molto crudo e andare incontro alla richiesta di verismo delle masse
popolari;

- Dal momento che abbiamo attestati anche alcuni nomi di autori, probabilmente in
alcune varianti il mimo era anche articolato in una narrazione più completa e
comprendeva un innalzamento di tono (Pubilio Siro).

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CICERONE
È uno dei massimi protagonisti delle vicende politiche e culturali della Roma del I secolo
a.C.: vastissima produzione letteraria grazie alla sua attiva partecipazione a tutte le
vicende pubbliche dell’epoca e ai suoi vasti interessi.

Conosciamo la sua vita attraverso:

- Le sue opere (epistolario, Brutus, proemi di Dialoghi o trattati, orazioni);

- Biografia scritta da Plutarco;

- Commento storico alle sue opere redatto dal grammatico A. Pediano.

• Nel 106 a.C. nasce ad Arpino da una famiglia agiata ma di rango equestre, che gli
permette di studiare retorica e filosofia a Roma. Conosce personalità importanti come
L. L. Crasso e gli Scevola; stringe una forte amicizia con T. P. Attico.

• 89 a.C.: servizio militare presso Pompeo Strabone, nella guerra sociale.

• 81 a.C.: inizio della carriera come avvocato (difesa di Sesto Roscio -> conflitto con
sillani).

• 79-77 a.C.: viaggio in Grecia e in Asia, approfondimento di filosofia e retorica).

• Matrimonio con Terenzia, nascita dei figli Tullia e Marco.

INIZIO DEL CURSUS HONORUM:

La sua famiglia non aveva ancora avuto un esponente della scena politica, lui sarà il primo a
raggiungere il consolato partendo da una posizione equestre e quindi svantaggiata.

• 75 a.C.: questore in Sicilia -> causa contro Verre: diventa “orator princeps”;

• 69 a.C.: edile;

• 66 a.C.: pretore (appoggia il mandato speciale di Pompeo per la Guerra Mitridatica);

• 63 a.C.: CONSOLE (repressione della congiura di Catilina).

• Con il primo triumvirato (60 a.C.) la sua fama inizia a decadere.

• 58 a.C.: esiliato con l’accusa di aver messo a morte senza processo i sostenitori di
Catilina. Torna trionfalmente l’anno dopo grazie al sostegno di Pompeo e di Milone.

• 57-51 a.C.: tentativo di una collaborazione con i triumviri.

• 51 a.C.: governatorato di Cilicia.

• Quando scoppia la guerra civile (49 a.C.) prende le parti di Pompeo. Quando questo
viene sconfitto (48 a.C.) ottiene il perdono di Cesare.

• Negli ultimi anni si ritira a vita privata, in parte perché il dominio di Cesare lo allontana
dalla vita politica, in parte a causa della morte della figlia Tullia (45 a.C.). Composizione
di opere filosofiche e della maggior parte dell’epistolario.

• Dopo l’uccisione di Cesare (44 a.C.) prende le parti di Ottaviano contro Antonio
(composizione delle Filippiche).

• Il secondo triumvirato lo inserisce nelle liste di proscrizione. Cicerone muore nel 43


a.C., ucciso dai sicari di Antonio.

53
POSIZIONE POLITICA: CONCORDIA ORDINUM

Alla base del pensiero ciceroniano dobbiamo presupporre una grandissima capacità oratoria.
La parola al servizio della politica è per Cicerone l’arma più grande: attraverso l’uso di tecniche
di comunicazione efficaci, riesce a mettere in pratica un’ars dicendi funzionale al dominio
dell’uditorio e delle sue passioni.

ORATORIA COME BASE DELL’ESPRESSIONE LETTERARIA

La sua visione politica è molto di parte, schierato con l’egemonia della classe sociale
dominante, mantenendo una posizione intermedia:

COMPROMESSO TRA MOS MAIORUM E INNOVAZIONE

Importanza delle tradizioni;

Piacere per l’otium: importanza di arti e letteratura come svago dalla politica;

Stile di vita dedito all’humanitas: coscienza culturale come frutto di incivilimento -> capacità di
apprezzare ciò che è giusto, bello e conveniente.

Se all’inizio Cicerone si occupa di mettere in pratica i suoi ideali politici e civili, con il passare
del tempo sente l’esigenza di teorizzarli: nascono così molte opere filosofiche e politiche.

LA FORTUNA DI CICERONE
Il giudizio sulla figura di Cicerone comprende la sua opera politica e la sua figura umana:

ROMANITÀ: già i suoi contemporanei si dividono in estimatori e in detrattori (oratori atticisti,

Asinio Pollione e Sallustio.

Con il modello senecano molti li contrappongono sul piano stilistico (Quintiliano

propone come modello Cicerone, di contro allo “stile corruttore di Seneca). Gli

arcaizzanti del II secolo (Gellio, Frontone) continuano a riconoscere in lui un

grande modello, ma indirizzano i loro gusti verso autori con uno stile più asciutto.

CRISTIANESIMO E MEDIOEVO: la popolarità di Cicerone rimane indiscussa, è uno dei

massimi mediatori di idee e valori della civiltà antica, come

maestro di filosofia e di retorica.

Dante lo ricorda per le opere filosofiche.

PRIMO UMANESIMO: ammirazione assoluta dopo la scoperta dei manoscritti: alimenta le

osservazioni degli umanisti sul binomio vita attiva | vita contemplativa.

Petrarca scopre l’Epistolario, Boccaccio e Poggio Bracciolini alcune

orazioni e le opere retoriche.

RINASCIMENTO: polemica tra ciceroniani, che vedevano in Cicerone l’unico modello di prosa

latina (Bracciolini, Pietro Bembo) e anticiceroniani, che riconoscevano oltre

a lui una pluralità di modelli (Lorenzo Valla, Poliziano, Erasmo).

In seguito, al fanatismo dei primi si sostituisce una generale ammirazione di

Cicerone come modello per l’eloquenza e per la retorica.

ETÀ MODERNA: Cicerone contribuisce come modello di moderatismo politico: odio per la

tirannia e disprezzo per il volgo = culto della libertà ma al rifiuto

dell’uguaglianza e disprezzo per la democrazia. Ricerca dell’equilibrio,

conciliazione dell’impegno politico e della libertà interiore.

CONTEMPORANEITÀ: svalutazione generale della cultura latina a vantaggio di quella greca

(Mommsen: Cicerone come modello di stile, ma povertà di pensiero). 



54

LE ORAZIONI
Sono dei documenti fondamentali per comprendere le vicende politiche di Roma: aldilà
delle vicende in sé i personaggi della scena politica sono sempre riscontrabili.

Nonostante diverse oscillazioni politiche, le orazioni seguono sempre un certo filo


tematico: conservazione della Repubblica e disprezzo per ogni forma di governo
totalitario. L’homo novus viene integrato nella politica di Roma a partire dal progressivo
avvicinamento tra Senato ed Equites.

Il fallimento generale dei tentativi di Cicerone è da riscontrare in diversi fattori:

- Non erano presenti le condizioni necessarie per la creazione di un seguito clientelare o


militare necessario per far trionfare la propria linea politica;

- Sottovaluta l’importanza degli eserciti personali;

- Troppe illusioni sui Bonii, che trovarono più conforto nella politica di Cesare che nella
sua.

I GENERI DELL’ORATORIA E LE PARTI DELL’ORAZIONE

Si possono riscontrare 3 generi:


Modello su cui strutturare l’orazione:

- GIUDIZIARIO: orazioni pronunciate nei • Exordium: apertura del discorso e


processi, in difesa o in accusa di un captatio benevolentiae;

imputato;
• Propositio: dichiarazione dello scopo e
- DELIBERATIVO: orazioni su argomenti dell’articolazione del discorso;

politici, pronunciati davanti al Senato o • Narratio: esposizione dei fatti;

al popolo;

• Argumentatio: presentazione degli


- EPIDITTICO: orazioni che hanno lo argomenti e delle prove a sostegno dei
scopo di elogiare delle persone vive o fatti;

• Peroratio: riassunto del discorso e

Nel tempo, a partire dall’esperienza greca, si costruisce un vero e proprio modello del
processo con cui nasce un’orazione:

INVENTIO: scelta degli argomenti adatti a svolgere la tesi da dimostrare;

DISPOSITIO: ricerca del modo migliore per esporre gli argomenti;

ELOCUTIO: scelta dell’espressione linguistica;

MEMORIA: apprendimento mnemonico;

ACTIO: declamazione.
55

PRO SEXTO ROSCIO AMERINO (80-81 a.C. - ESORDIO)

CONTESTO: Sesto Roscio viene accusato di parricidio dai sillani, in realtà assassini del

padre, che lo avevano inserito nelle liste di proscrizione per acquisire i suoi

possedimenti terrieri. Accusano il figlio di parricidio per poter sbarazzarsi di

tutta la progenie.

Cicerone difende Sesto Roscio, anche se è consapevole dell’enorme potenza che


esercitano i suoi avversari. In ogni caso, Cicerone non è contrario al regime di Silla a
priori: vorrebbe solo che cessassero le ingiustizie e si mettesse freno alle liste di
proscrizione. Probabilmente lascia Roma dopo la vittoria per paura di un allontanamento
forzato da parte di Silla.

LINGUA e STILE
Per quanto Cicerone padroneggi già bene la lingua, lo stile è molto legato all’asianesimo
(eccessivo pathos e concitazione, troppe metafore e neologismi).

VERRINAE (70 a.C. - QUESTURA IN SICILIA)

CONTESTO: Cicerone ha appena terminato il suo mandato di questore in Sicilia, dove si

era distinto come governatore onesto e scrupoloso. Presso i Siciliani

acquista tanta fama che chiedono di poter sostenere il processo contro l’ex

governatore Verre (rappresentato dall’oratore asiano Quinto Ortensio Ortalo):

aveva sfruttato la provincia e i suoi abitanti).

Cicerone raccoglie le prove in breve tempo per non dare modo a Ortalo di candidarsi
come console nel 69 (in questo caso il suo avversario avrebbe esercitato più potere a
prescindere).

Pronuncia la prima delle Verrine, dopodiché l’accusato fugge dall’Italia e viene


condannato per contumacia. Cicerone pubblica comunque l’Actio Secunda in Verrem,
divisa in 5 libri:

1) Abusi commessi da Verre prima di essere eletto governatore;

2) Irregolarità durante il primo mandato;

3) Speculazioni sulla raccolta del grano;

4) Furti di opere d’arte;

5) Condanne a morte incostituzionali di cittadini romani.

Si tratta di un documento fondamentale per comprendere i meccanismi di potere che


Roma esercitava nelle province: continui abusi da parte dei governatori, continue
ingiustizie.

56

LINGUA e STILE
Sono propri di un Cicerone completamente maturo, sicuramente cambiato dopo il
periodo di istruzione in Grecia e in Oriente.

La padronanza dello stile è sicuramente un punto a favore non indifferente nei confronti
del suo avversario: mentre Ortalo è ancora legato al manierismo asiano, Cicerone è più
scorrevole, armonioso (sintassi duttile, sia piana che incalzante).

Sostituisce il pieno ricorso al pathos con un’alternanza piacevole tra i registri linguistici,
aggiungendo:

- Spunti mimetici che restituiscono il realismo di un processo;

- Digressioni erudite o descrittive (oratoria epidittica);

- Tecnica del ritratto: Verre come un tiranno avido degli averi e del sangue dei suoi
sudditi, molto dissoluto.

PRO LEGE MANILIA (66 a.C. - INGRESSO IN SENATO)

CONTESTO: Durante il suo mandato di pretore si verifica l’esigenza di porre fine alla

questione degli abusi in Oriente, in particolare nella zona del Ponto, dove

regnava Mitridate. Cicerone appoggia il tribuno Manilio, che proponeva di

affidare la missione al comando speciale di Pompeo (che aveva già vinto i

pirati). L’orazione, per questo motivo, prende anche il nome di De imperio


Gnaei Pompei.

Cicerone vuole intervenire per diversi motivi:

- Assicurare per lo Stato i vectigalia provenienti dalle province orientali;

- Aiutare la classe sociale degli equites, di cui lui era originario, che avevano in appalto la
riscossione dei tributi nelle province e che in questi luoghi avevano molte lucrose
attività commerciali, ora messe in pericolo da Mitridate;

- Favorire l’ascesa di Pompeo su Lucullo: quest’ultimo aveva una politica di severa


repressione degli abusi dei cavalieri in Oriente, mentre Pompeo, che doveva assicurarsi
il loro appoggio, era molto più magnanimo.

La differenza tra la strategia politica di Pompeo e quella di Cicerone è questa: il primo


vuole assicurarsi consenso ricorrendo anche a concessioni demagogiche (come la
ridistribuzione delle terre pubbliche nelle province), il secondo va verso l’ideale di
CONCORDIA ORDINUM che diventerà prerogativa del suo programma politico, e che non
prevede soluzioni così drastiche.

57

CATILINARIAE (63 a.C. - ORAZIONE CONSOLARE)

PREMESSE: Cicerone si candida al consolato per l’anno 63 a.C., e viene appoggiato sia

da una parte della nobiltà che dal ceto equestre, pur essendo un homo
novus, a discapito di un nobile decaduto di parte sillana: Lucio Sergio
Catilina.

CONTESTO: Catilina idea una congiura per raggiungere il potere, che però viene sventata

velocemente da Cicerone, già in carica come nuovo console, attraverso 4

orazioni. La concordia ordinum viene messa in pratica attraverso questo

successo politico.

LINGUA e STILE
Spicca sul piano artistico soprattutto la PRIMA CATILINARIA: Cicerone attacca con toni
veementi e minacciosi, ricchi di pathos. È presente anche un artificio retorico che non
aveva mai utilizzato: prosopopea della Patria.

La SECONDA CATILINARIA è importante dal punto di vista stilistico perché rappresenta


benissimo la capacità di Cicerone di scrivere un ritratto sociologico di uno dei suoi
oppositori: Catilina e i suoi seguaci sono presentati come corrotti dal lusso e dai vizi.

PRO MURENA (63 a.C. - ORAZIONE CONSOLARE)


CONTESTO: Ancor prima del verdetto per le Catilinarie, Cicerone difende il console

designato per l’anno successivo, Lucio Licinio Murena, da un’accusa di

corruzione elettorale.

L’accusa viene mossa dal candidato sconfitto, Servio Sulpicio Rufo, e

sorretta dal successore del Censore, Catone il Giovane (futuro Uticense),

molto popolare a livello di prestigio politico.

Aveva assunto una posizione molto intransigente nelle

questioni che riguardavano il rapporto tra Stato e interessi

economici privati: era in conflitto con i pubblicani e con il

ceto equestre. Di conseguenza diventa un nemico naturale

della concordia ordinum ciceroniana.

In questa circostanza Cicerone è portato a elaborare un nuovo modello morale da


proporre alla società romana: rispetto del mos maiorum ma addolcimento della rigidezza
dei costumi, apertura alle gioie della vita secondo gli standard della nuova società.

LINGUA e STILE
Satira lieve e arguta, però senza scadere mai nella derisione o nella beffa volgare.
58

DE LEGE AGRARIA (63 a.C. - ORAZIONE CONSOLARE)


Con 4 orazioni Cicerone si oppone alla Legge Agraria presentata dal tribuno Rullo, forse
manovrato già da Cesare.

PRO RABIRIO (63 a.C. - ORAZIONE CONSOLARE)


Presa di posizione contro i popolari nella difesa di Gaio Rabirio: anziano cavaliere contro il
quale venivano rivangati dei fatti di 37 anni prima, relativi all’uccisione di Saturnino
(tribuno sedizioso).

PRO ARCHIA (63 a.C. - ORAZIONE CONSOLARE)


Cicerone difende il poeta Archia, giunto a Roma nel 102 a.C., da un’accusa di
usurpazione della cittadinanza romana. L’orazione spicca per i toni appassionati usati per
difendere la poesia e per rivendicare la nobiltà degli studi letterari.

Cicerone in seguito, appellandosi a questo episodio, chiederà al poeta di comporre per lui
un’opera celebrativa del suo consolato: per tutta la vita continua a esaltarne la funzione
storica e si considera pater patris, quasi come un secondo fondatore dopo Romolo.

59

LE ORAZIONI ANTICLODIANE (58-56 a.C.)

PREMESSE: Già dall’anno successivo al suo consolato, Cicerone perde autorità presso le

classi dirigenti (la nobiltà non ha più bisogno di lui per combattere Catilina) e

presso le personalità importanti (Pompeo lo abbandona per cercare l’appoggio

dei triumviri).

In questo clima la situazione si aggrava con una legge (58) che prevedeva

l’esilio di tutti i personaggi politici che avevano messo a morte dei cittadini

romani senza processo, promulgata da parte di Clodio, un tribuno di parte

popolare. Cicerone è costretto a recarsi in esilio in Tessalonica e a Durazzo.

Quando Cicerone torna dall’esilio (57) trova Roma in un clima di anarchia

totale: si fronteggiano le bande di Clodio e di Milone (amico di Cicerone).

Nell’occasione della sua orazione PRO SESTIO, in cui Cicerone difende

l’amico dalle accuse di violenza mosse da Clodio, formula anche una

NUOVA TEORIA POLITICA: CONSENSUM OMNIUM BONORUM

Dopo il fallimento della concordia ordinum Cicerone dilata il concetto alla concordia attiva di tutte
le persone agiate e possidenti, purché fossero amanti dell’ordine politico e sociale, nonché pronte
all’adempimento dei propri doveri nei confronti della patria e della famiglia.

BONI: estratti da qualsiasi classe sociale, non identificabili in uno in particolare. Sono da questo
momento i destinatari principali delle orazioni di Cicerone.

I loro obblighi, nel caso di rovesciamenti sovversivi da parte dei nemici dell’ordine, si traducono
nel fornire sostegno attivo agli uomini politici che rappresentano la loro causa.

Cicerone, pur essendo per tutta la vita un sostenitore della Repubblica, desidera in fondo che i
boni e il Senato si affidi a una delle personalità politiche emergenti, in modo da arginare proteste
in modo più agile e fornire un punto di riferimento alla popolazione.

Avvicinamento ai triumviri da parte di Cicerone, che non tradisce la nobilitas ma condiziona


l’operato di queste personalità in modo da mantenerli entro i limiti delle istituzioni repubblicane.

Grosse incertezze e oscillazioni politiche:

• Continui attacchi a Clodio e ai popolari:

- Orazione IN PISONEM, contro il suocero di Cesare, ritenuto uno dei fautori del suo
esilio;

• Appoggio della politica dei triumviri:

- Orazione DE PROVINCIIS CONSULARIBUS per appoggiare il rinnovo del comando


di Cesare in Gallia (che poi sarà oggetto di forte autocritica nell’epistolario, dov’è definita
“subturpicula palinodia” = smentita squallida di quello che ho detto finora);

- Difesa di alcuni personaggi legati a Cesare (orazione PRO BALBO, orazione PRO
RABIRIO POSTUMO).

60
PRO CAELIO (56 a.C.)

CONTESTO: Marco Celio Rufo era stato amante della sorella di Clodio, Clodia, dissoluta
matrona corrotta della Roma del I secolo a.C. Contro di lui era stata mossa l’accusa di
tentato avvelenamento della donna.

Cicerone difende Celio, suo amico, e coglie l’occasione per intrecciare rancori personali
con le questioni politiche che gli stavano a cuore, cercando di screditare l’avversario in
modo tale che mancasse di credibilità.

Clodia viene dipinta, con la tecnica del ritratto già tipica di Cicerone, come una volgare
meretrice, accusata addirittura di rapporti incestuosi con suo fratello.

LINGUA e STILE
Vengono impiegati una grande varietà di toni, da quello disincantato dell’uomo di
mondo a quello del pathos funereo: l’orazione si classifica tra quelle meglio riuscite
dell’autore.

È in questa occasione che Cicerone, per giustificare alcune delle tappe della vita di Celio,
non esattamente conformi agli ideali del mos maiorum, cerca di esporre le sue idee
riguardo a NUOVI MODELLI ETICI da adottare:

Descrivendo la vita di Celio, Cicerone propone uno spaccato di società romana contemporanea:
gli ideali non sono più quelli tradizionali, e a tratti possono scandalizzare i protagonisti troppo
severi della giuria.

Il problema è svecchiare gli ideali del mos maiorum, talmente rigidi da non poter più essere
adottati dai giovani. Cicerone sostiene che, allentando l’esigenza che si ha nei confronti delle
nuove generazioni, si possa trovare un compromesso tra sregolatezza e rigidità.

Lasciando la libertà ai giovani, questi potranno sviluppare la consapevolezza della superiorità


culturale delle tradizioni, e tornare sulla giusta strada.

IMPORTANTE RICONDURRE I NUOVI COMPORTAMENTI ALL’INTERNO DI UNA SCALA DI


VALORI SEMPRE DOMINATA DALLE VIRTÙ DELLA TRADIZIONE, SPOGLIATE DAL LORO
ECCESSO DI RIGORE E RESE FLESSIBILI ALLE ESIGENZE DI UN MONDO IN EVOLUZIONE.
61

LE ORAZIONI CESARIANE
PREMESSE: Gli scontri tra Milone e Clodio continuano fino al 52, anno in cui Clodio

rimane ucciso. Milone viene accusato del suo assassinio e Cicerone prende

le sue difese in tribunale:

PRO MILONE
Nella forma in cui ci è stata tramandata è considerata uno dei successi e dei capolavori
dell’autore, per l’equilibrio delle sue parti e l’abilità delle sue argomentazioni, basate sulla
legittima difesa e sull’esaltazione del tirannicidio.

In realtà l’opera è frutto di una rielaborazione successiva, infatti all’inizio è un clamoroso


insuccesso, che comporta l’espatrio di Milone.

Quando scoppia la guerra civile (49), Cicerone aderisce alla fazione di

Pompeo, anche se era consapevole del fatto che in ogni caso avrebbe

comportato un indebolimento del senato e di tutte le istituzioni repubblicane

in cui credeva fedelmente.

Quando Cesare risulta vincitore, concede a Cicerone il suo perdono: lui si


impegna a collaborare alle cause di alcuni pompeiani “pentiti”:

Le orazioni PRO MARCELLO, PRO LIGARIO, PRO REGE DEIOTARIO) risalgono agli
anni tra il 46 e il 45 a.C. e comprendono elogi a Cesare in grandissima misura, atte a
ingraziarsi quello che era diventato dittatore perpetuo.

FILIPPICHE
PREMESSE: Dopo la morte di Cesare, Cicerone torna ad essere un uomo politico di

primo piano, anche se tutto viene vanificato dopo qualche anno, con il

subentro dei nuovi contendenti per il suolo che aveva assunto Cesare:

Ottaviano e Antonio. Cicerone prende le parti di Ottaviano, vedendo in lui un

possibile restauratore delle istituzioni repubblicane (LOL) e pronuncia contro

Antonio delle orazioni di accusa.

Le Filippiche sono arrivate in 14 libri (ma probabilmente in origine erano 18) e alludono al
titolo dell’opera dell’oratore greco Demostene, che si era scagliato contro Filippo il
Macedone. Le fonti antiche parlano di orazioni Antonianae, anche se Cicerone le chiama
Philippicae nell’epistolario, forse con tono scherzoso.

Dopo la stesura del Secondo Triumvirato, Cicerone viene classificato come

nemico della patria e il suo nome viene inserito nelle liste di proscrizione.

Muore per mano dei sicari di Antonio. 


LINGUA e STILE
Contengono dei toni di denuncia e hanno uno stile veemente e indignato (soprattutto il II
libro): massima violenza satirica, che classifica l’avversario come un “tiranno assoluto”,
un “ladro del denaro pubblico” e addirittura un “ubriacone”.
62

LE OPERE RETORICHE
Si datano tutte a partire dal 55 a.C., dopo il ritorno di Cicerone dall’esilio. Si tratta di una
risistemazione teorica a partire da una serie di conoscenze ed esperienze che dovevano
servire come risposta culturale e politica alla crisi dei suoi tempi.

Uno dei temi principali delle opere è la FORMAZIONE DELL’ORATORE, che aveva
un’enorme responsabilità sociale: la questione era già dibattuta ai suoi tempi, alcuni
sostenevano che dovesse padroneggiare solo una serie di regole retoriche, altri
sostenevano che dovesse avere anche una larga cultura nel campo del diritto, della
filosofia e della storia.

DE INVENTIONE (opera giovanile)


Con inventio si indica il reperimento dei materiali da parte dell’oratore: Cicerone attinge
dal vasto repertorio della Rhetorica ad Herennium per elaborare un saggio che trattasse
della formazione dell’oratore.

Il proemio, in particolare, ha un’importanza fondamentale: esposizione del concetto


secondo cui era necessario il contributo di eloquentia e di sapientia (teorizzata come
cultura filosofica e necessaria per la coscienza morale dell’oratore).

La prima virtù senza la seconda è destinata a formare demagoghi e agitatori popolari, e


porterà inevitabilmente gli Stati alla rovina.

DE ORATORE (55 a.C. - primo ritiro dalla scena politica)

L’opera è ambientata nel 91 a.C. al tempo dell’adolescenza di Cicerone, quando Marco


Antonio e Licinio Crasso ricoprivano la massima importanza politica: sono loro tre i
protagonisti dell’opera, che discorrono in forma di dialogo.

- L’anno non è casuale perché precede di poco la morte di Crasso e ricorda il conflitto della
guerra sociale. Tutti i protagonisti sono segnati dal peso dell’incombente crisi dello Stato.

- L’ambiente politico incerto stride con l’ambientazione serena della residenza di campagna di
Crasso: Cicerone cerca di ricreare gli ultimi momenti di pace dell’antica repubblica, anche se i
proemi ai singoli libri ne riflettono il clima teso e tragico.

- Il modello dell’autore è quello del dialogo platonico, anche se differisce da questo per
l’ambientazione rurale e non urbana. Scarto notevole rispetto ai trattati del tempo e a quelli
ellenistici, che si limitavano a enunciare delle regole (evidente il modello di pratica forense
romana).

Il tema dell’opera rimane quello della formazione dell’oratore: a turno tutti i protagonisti ne
espongono le caratteristiche tecniche e ne esprimono il giudizio. È evidente che secondo
l’autore il talento, la tecnica e la conoscenza delle regole non sono sufficienti: devono
essere necessariamente abbinate a una formazione culturale completa.

Attenzione particolare per l’insegnamento filosofico: si riflette direttamente sull’affidabilità


etico-politica dell’oratore. La capacità tecnica di convincimento è molto pericolosa se non
viene affiancata dalle virtù di probitas e prudentia. L’oratore corrisponde all’uomo
politico non demagogico, che difende la Repubblica sostenuto dai boni.

63
LIBRO I
Crasso sostiene che la necessità di una vasta formazione culturale per gli oratori.

Antonio contrappone l’ideale di un oratore istintivo e autodidatta: oratoria fondata sulla


pratica del foro e sulla dimestichezza personale.

LIBRO II
Trattazione di questioni analitiche: Antonio espone i concetti di inventio, dispositio e
memoria.

Digressione di Cesare Strabone sulle arguzie e i motti di spirito.

LIBRO III
Crasso espone i concetti di elocutio (= esposizione delle idee ricercate con la inventio) e di
pronuntiatio: insieme formano l’actio (= “recitazione” dell’oratore) rimarcando la necessità di
una vasta cultura generale e della formazione filosofica.

ORATOR (46 a.C. - ultimi anni e vita privata)

Dopo aver ripreso il tema della formazione dell’oratore in un manualetto dedicato al figlio,
Cicerone conclude la sua speculazione attraverso quest’opera.

È un trattato più esile rispetto al De Oratore: è presente la descrizione dell’oratore ideale,


una sezione sui caratteri della prosa ritmica, e soprattutto la descrizione dei tre fini a cui
l’oratoria deve indirizzarsi:

- Probare: sostenere la tesi con temi validi;

- Delectare: piacevolezza del discorso in termini di impressione estetica;

- Flectere: muovere le emozioni dell’uditorio mediante tensione patetica.

A questi fini corrispondono tre registri stilistici che l’oratore deve alternare:

umile | medio | patetico



64
L’altro tema trattato nelle opere retoriche è il DIBATTITO SULLO STILE.

Il principio del flectere, esposto nell’Orator, era nato per polemizzare contro la tendenza
atticista. In questa prospettiva Cicerone teorizza il suo stile pulito, ma comunque attento
all’elemento ritmico e pieno di pathos.

BRUTUS (46 a.C., o comunque immediatamente successivo all’Orator)

Il trattato è presentato in forma di dialogo: Cicerone è uno dei personaggi principale,


insieme a Marco Bruto (a cui è dedicata l’opera) e ad Attico.

I tre disegnano una storia dell’eloquenza greca e romana.

Cicerone dimostra le sue doti di storico e di critico letterario, cercando di interpretare il


contrasto tra asiani e atticisti in un’ottica nuova (sul modello di Demostene):

I due stili dell’oratoria non sono in contraddizione tra di loro, ma vanno fusi insieme e
usati a seconda degli scopi dell’orazione che si andrà ad enunciare. Le parti possono
addirittura coesistere all’interno della stessa orazione: diverse situazioni
presuppongono il ricorso a diversi registri stilistici.

Tutta l’opera ha un forte carattere autoapologetico: l’autore ripercorre le proprie tappe


della sua carriera oratoria.

DE OPTIMO GENERE ORATORUM (46 a.C., contemporaneo al Brutus)

È l’introduzione alla traduzione latina (anche non sappiamo se Cicerone le abbia poi
tradotte) di due famose orazioni greche:

- Sulla Corona (Demostene): preso come perfetto modello di oratoria perché di tendenza
atticista molto libera. Cicerone ne dimostra la superiorità assoluta;

- Contro Ctesifonte (Eschine): tendenze asiane.

TOPICA (44 a.C.)

L’opera è ispirata a quella omonima di Aristotle (tòpoi) e consiste nella raccolta di luoghi
comuni a cui può attingere l’oratore nell’elaborazione dei suoi discorsi, per la ricerca degli
argomenti da sviluppare.

In realtà il destinatario non è unicamente l’oratore, ma può essere anche lo storico, il


filosofo, il giurista e addirittura il poeta. 

65

LE OPERE POLITICHE
Cicerone è uno dei personaggi politici principali durante una grandissima crisi della
Repubblica: questa posizione gli permette di compiere una riflessione teorica sullo Stato:

DE RE PUBLICA (54-51 a.C., avvicinamento ai triumviri)

Si tratta di un dialogo sul modello platonico: anche il titolo fa riferimento alla Repubblica
di Platone. La differenza è che Cicerone, anziché elaborare un modello di stato temporale,
analizza il passato politico di Roma e identifica nel periodo scipionico la forma migliore
di Stato. I Personaggi sono Scipione Emiliano, Lelio, Scevola e Tuberone.

È giunto in modo molto frammentario: alcune parti sono state copiate dal cardinale

Angelo Mai nel XIX secolo, altre sono state tramandate da Agostino. L’unica parte

completamente integra è quella finale del Somnium Scipionis.

LIBRO I
Esposizione della dottrina aristotelica delle TRE FORME FONDAMENTALI DI GOVERNO con
le loro conseguenti DEGENERAZIONI:

Monarchia > Tirannide;

Aristocrazia > Oligarchia;

Democrazia > Olocrazia.

Cicerone appoggia la tesi di Polibio, secondo cui il governo romano dei maiores era da
considerare perfetto per il fatto di aver integrato le tre componenti (non inserite in forma
paritetica) in diverse istituzioni dello Stato Repubblicano:

monarchia = consolato | aristocrazia = Senato | democrazia = comizi

Sono quelli guardati con antipatia da Scipione Emiliano, che li

considera valvole di sicurezza per lo sfogo della passioni popolari irrazionali.

LIBRO II
Funzionamento della costituzione.

LIBRO III
Tratta del concetto di iustitia, cercando di confutare la critica all’imperialismo romano
mossa dal filosofo Carneade (aveva smontato il concetto di bellum iustum e di
conseguenza delegittimato il potere espansionistico di Roma).

LIBRO IV e V

Educazione dei cittadini e dei principi regolatori del popolo. Introduzione dei concetti di rector
et gubernator rei publicae: moltissime lacune e ricostruzione problematica.

Cicerone usa il termine princeps non per riferirsi ad un’unica personalità monarchica, ma
per indicare il “tipo” di uomo politico eminente, nel modo in cui lo era stato Scipione
Emiliano.

Nessuna previsione dei successivi risvolti augustei: bisogna mantenere il potere del
primus inter parei entro i limiti dello Stato repubblicano, il suo sostegno serve a salvare le
istituzioni facendo crescere il consenso popolare, e non deve sostituirsi ad esse.

66
LIBRO VI
Scipione Emiliano rievoca il sogno che aveva fatto, in cui l’avo Scipione Africano gli
mostrava la piccolezza e l’insignificanza di tutte le cose umane e della gloria terrena: la
vera beatitudine, per le anime dei grandi uomini di Stato, è raggiungibile solo nell’aldilà.

Questa visione è legata all’utopia del princeps come dominatore-asceta: deve


rappresentare in terra la volontà divina e mettersi al servizio dello stato attraverso la
despicientia (disprezzo) di tutte le passioni umane ed egoistiche, tra cui la brama di
denaro e di gloria terrena.

Il modello di Cicerone è ancora Platone, che alla fine della Repubblica aveva
concluso il discorso con il mito di Er (soldato morto tornato in vita per dare notizia agli
umani di quel mondo ultraterreno). Come lui, Cicerone trasfigura tutte le dottrine politiche
esposte nella metafora del Somnium Scipionis.

DE LEGIBUS (52 a.C. e pubblicato postumo | continuazione del De Republica)

È anche questo un dialogo sul modello platonico, che aveva completato la Repubblica
con le Leggi. La differenza sta nel fatto che Cicerone è molto più pratico: tratta i
fondamenti del diritto e delle leggi dello Stato facendo riferimento al concreto corpus
legislativo della tradizione romana.

È conservato in forma frammentaria: abbiamo i primi 3 libri e parti del IV e del V.

I personaggi sono lo stesso Cicerone (conservatore moderato), il fratello Quinto


(estremista ottimate) e l’amico Attico (epicureo).

L’azione è ambientata nel presente, nella villa di Cicerone ad Arpino: locus amoenus
ideale in cui discorrere di filosofia (otium).

LIBRO I = Tesi stoica sul concetto di legge, innata in tutti gli uomini e quindi data da dio;

LIBRO II = Elenco di leggi che dovrebbero essere prendenti in tutti gli stati;

LIBRO III = Leggi sui magistrati e sulle loro competenze.

LINGUA e STILE
Si avverte lo sforzo di riprodurre un tono oracolare, le movenze precise e pregnanti del
tono della legislazione reale: ci sono durezze molto insolite per la prosa piana di
Cicerone.
67

LE OPERE FILOSOFICHE
Cicerone si interessa alla filosofia per tutta la vita, a partire dalla sua educazione in Grecia
e in Oriente. Inizia a scrivere opere filosofiche solo dopo il 45 a.C., in cui si ritira a vita
privata e perde quasi totalmente l'interesse per le vicende politiche, a causa di:

- Morte della figlia Tullia (per cui scrisse una Consolatio, che non ci è pervenuta);

- Dittatura di Cesare e privazione di potere politico.

Cicerone intende la filosofia come ritiro spirituale, e invita gli altri a perseguirla (nel testo
protrettico dell’Hortensius, perduto quasi per intero ma molto influente per gli antichi).

Filosofia come etica per la classe dirigente romana: interesse moralistico atto a
riscontrare una linea guida di comportamento per i membri delle élite, incaricati di
ristabilire la propria egemonia sulla società.

I temi che sviluppa Cicerone sono estremamente originali, pur essendo frutto di
rielaborazioni della filosofia ellenistica, perché cercano di rispondere a domande nuove, a
problemi reali e contemporanei:

RICOSTRUIRE IL PENSIERO ELLENISTICO PER TRARNE UNA STRUTTURA IDEOLOGICA


OPERATIVA NELLA SOCIETÀ ROMANA

approccio eclettico

La forma dialogica di marca Si sforza di astenersi dal formulare la propria


platonica permette il confronto degli opinione precisa, esponendo diverse opinioni
interlocutori in modo pacifico e possibili e mettendole a confronto per verificarne
costruttivo.
veridicità e coerenza.

È evidente anche l’influsso del Lo stesso concetto di humanitas a cui aderisce


dialogo aristotelico, che si presenta Cicerone prevedeva un atteggiamento di aperta
nella forma di un’unica tolleranza:

argomentazione principale, - poca vis polemica;

presentata da un personaggio che - rinuncia all’asprezza contraddittoria;

poi trae conclusioni. - formule di cortesia;

- non bisogna interrompere gli altri.

La tolleranza vale per qualsiasi principio filosofico tranne che per


l’EPICUREISMO, verso il quale Cicerone mostra una chiusura
radicale. Due principali motivi:

- Porta al disinteressamento alla politica, e la politica è


prerogativa del giusto comportamento dei boni;

- Esclude la funzione provvidenziale della divinità, di


conseguenza indebolisce la religione tradizionale, che secondo
Cicerone è ancora alla base dell’etica.
68

FILOSOFIA DELLA CONOSCENZA: ACADEMICA


Sono il frutto delle convinzioni probabilistiche di un Cicerone maturo: con uno
scetticismo pragmatico non nega la possibilità di una verità oltre ai fenomeni, ma afferma
la possibilità di una conoscenza probabile = opera di CARATTERE GNOSEOLOGICO in
forma di dialogo.

L’opera è divisa in due redazioni:

1) Academica priora, 2 libri

Ci è rimasto il LIBRO II: Lucullus

Lucullo rimprovera a Cicerone di distruggere la possibilità della conoscenza, rifiutando

di ammettere l’esistenza di criteri sicuri nelle nostre percezioni.

Cicerone controbatte che non per forza il dubbio generalizzato comporta la negazione

della verità. Prende le distanze dagli estremismi del dogmatismo radicale: non afferma

l’esistenza di un’unica verità ma allo stesso tempo non la esclude, né afferma che ne

esistano di molteplici.

2) Academica posteriora, 4 libri

Ci è rimasto il LIBRO I: Varro (mancante della parte finale)

Varrone espone le sue teorie, Attico e Cicerone sono gli interlocutori.

69

FILOSOFIA MORALE: problema del sommo bene e del sommo male

DE FINIBUS BONORUM ET MALORUM (a Bruto)


È una delle opere più eleganti e armonicamente costruite, sempre in forma di dialogo: il
tema è quello del confronto tra i vari sistemi filosofici.

1° DIALOGO (LIBRI I, II): Manlio Torquato espone la teoria dell’epicureismo e viene

smontato da Cicerone.

2° DIALOGO (LIBRI III, IV): Catone Uticense mette a confronto stoicismo e filosofia
peripatetica.

Cicerone ne comprende e ammira la solida base morale,


capace di portare i cittadini verso la collettività. Allo stesso
tempo lo considera obsoleto, inadatto e anacronistico per il
suo rigore etico. Impossibile da applicare nella
contemporaneità

3° DIALOGO (LIBRO V): Antioco di Ascalona (maestro di Cicerone e Varrone) espone la

propria teoria eclettica:

Conciliazione tra il rigore e la solidità delle posizioni stoiche e l’apertura al piacere


moderato della filosofia peripatetica. Il sommo bene è quello dell’anima, identificato nella
VIRTÙ, unico elemento capace di portare felicità all’uomo.

TUSCULANAE DISPUTATIONES (a Bruto)


La forma è quella del dialogo tra Cicerone e un interlocutore anonimo (modello
espositivo aristotelico). Ambientato nella villa di Cicerone a Tuscolo.

È considerato idealmente la continuazione del De finibus, poiché si mette alla prova la


capacità della virtù di sostenere e orientare l’anima attraverso i turbamenti proposti dalla
vita = è una summa dell’etica antica, un trattato sulla felicità.

I 5 libri sono divisi per argomento:

MORTE | DOLORE | TRISTEZZA | TURBAMENTI DELL’ANIMO | VIRTÙ GARANZIA DI FELICITÀ

La trattazione è un mezzo pratico per liberare l’animo dalle sue afflizioni, e risponde al
primario bisogno dello stesso Cicerone.

L’opera ha anche un intento divulgativo: nei proemi dei libri Cicerone sottolinea la necessità
di fornire ai Romani un’ampia e adeguata cultura filosofica da utilizzare nella vita pratica.
Piccolo compendio di storia della filosofia: la cultura romana è all’altezza della filosofia greca.

LINGUA e STILE
Massima solennità e intensità lirica di tutta la prosa latina.
70

FILOSOFIA RELIGIOSA (45-44 a.C.: poco prima e poco dopo la morte di Cesare)

Cicerone propone la sua riflessione teologica in forma di trilogia, esponendo anche i


risvolti etico-politici della religione sulla vita concreta dello stato:

RELIGIONE COME COMPONENTE FONDAMENTALE DELLE ISTITUZIONI STATALI

DE NATURA DEORUM (45 a.C.: prima della morte di Cesare)

Si tratta di un dialogo in 3 libri, dedicato a Bruto, in cui i personaggi (Gaio Velleio, Lucio
Balbo, Aurelio Cotta) espongono i più importanti approcci filosofici alla religione.

LIBRO I: Velleio espone la tesi epicurea dell’indifferenza degli dei rispetto all’uomo;

LIBRO II: Balbo espone la tesi stoica del panteismo provvidenziale;

LIBRO III: Cotta critica Velleio e contrappone il suo scetticismo accademico.

Cicerone sembra essere più vicino alla tesi di Balbo, ma il passo è troppo lacunoso per
trarre delle conclusioni convincenti.

DE DIVINATIONE (45-44 a.C. iniziato forse prima della morte di Cesare, concluso dopo)

Dialogo in 2 libri, tra Cicerone e il fratello Quinto: tema dell’arte divinatoria (fonte
importante per conoscere molte pratiche religiose del mondo antico).

La posizione di Cicerone è esitante: riconosce la falsità delle pratiche della religione


tradizionale, ma anche il suo potenziale nel dominare i ceti sociali inferiori,
strumentalizzabili facilmente a causa della loro credulità.

CONSIDERAZIONI POLITICHE: Cicerone manifesta, alla fine, la sua ritrovata libertà

dopo la morte di Cesare e l’entusiasmo verso la possibilità di ritornare sulla scena

politica. Si mostra fiducioso nei confronti di un possibile rinnovamento della classe

dirigente con i giovani.

DE FATO (44 a.C.: di poco posteriore alla morte di Cesare)

Discute la dottrina stoica del fato, inteso come destino inevitabile poiché prestabilito da
un lógos di natura divina, che ordina il mondo.

Cicerone sostiene la libertà dell’uomo, capace di compiere scelte consapevoli e


completamente responsabile delle sue azioni.

CONSIDERAZIONI POLITICHE: volontà di Cicerone di stimolare una presa di

coscienza riguardo all’intervento attivo nella vita politica dello stato, esortazione al

rinnovamento della situazione. 



71
Entrambe le opere sono dedicate ad Attico:

SULLA VECCHIAIA: CATO MAIOR SIVE DE SENECTUTE (44 a.C.)

Il personaggio principale, in cui si trasfigura l’autore, è quello di Catone il Censore, e il


dialogo è ambientato nell’anno precedente alla sua morte: 150 a.C.

Cicerone esprime qui l’amarezza per la propria vecchiaia, temibile per la mancata
possibilità di intervento politico (di cui lui stesso soffriva, proprio prima della morte di
Cesare).

La figura di Catone è presentata in modo completamente anacronistico: figura di un


anziano che conserva intatti autorità e prestigio, rifugiandosi in un passato ideale ed
eludendo la propria inattività. Il censore è presentato come cultore dell’humanitas, amante
dell’estetismo a tal punto da preferire il bello all’utile: armonizzazione di otium e impegno
politico.

SULL’AMICIZIA: LAELIUS SIVE DE AMICITIA (44 a.C.)

Il dialogo segna il ritorno di Cicerone sulla scena politica dopo la morte di Cesare. È
ambientato nel 129 a.C., dopo la scomparsa di Scipione Emiliano.

In questa circostanza, l’amico Lelio rievoca la sua figura, parlando agli interlocutori del
valore dell’amicizia stessa: amicitia per i Romani era un legame personale declinabile a
scopo di sostegno politico. Tentativo di superare la logica clientelare sulla base
dell’esempio greco delle scuole di filosofia:

RICERCA DEI FONDAMENTI ETICI (probitas, virtus) DELLA SOCIETÀ NEL RAPPORTO CHE
LEGA TRA LORO LE VOLONTÀ DEGLI AMICI
Cicerone scrive principalmente per i boni, perché vuole che tra loro si cementi la coesione
in vista di amicizie politiche.

Oltre a questo strato superficiale, è riscontrabile però anche la volontà di stringere dei
legami sinceri (forse l’unico che aveva era con Attico): ideale di una vita allietata da affetti,
che potenzialmente potevano essere anche usati come sostegno politico.

72

DE OFFICIIS (44 a.C.): UNA MORALE PER LA CLASSE DIRIGENTE


Elaborazione velocissima per un progetto di ampio respiro, sotto forma di trattato
(dedicato al figlio Marco): intento pedagogico per i giovani sotto forma di divulgazione
filosofica.

Cicerone tratta di filosofia in un contesto culturale che respingeva ogni forma di

speculazione perché troppo lontana dai doveri pratici. Vuole dimostrare che la filosofia

è fondamentale all’assolvimento dei compiti civici e politici.

Lo scopo dell’opera è quello di formulare una morale della vita quotidiana per
l’aristocrazia romana, per riacquisire il controllo sulla società, ormai travolta dalla
crisi e spoglia di solidi riferimenti etici.

OFFICIUM è la traduzione latina del greco KATHÈKON:

“ciò che si conviene” | “azione adeguata nei confronti di un compito specifico”

Gli stoici usavano questo termine per definire l’azione perfetta e razionale nel contesto dei
doveri legali, dell’esercizio della virtù e delle azioni opportune da compiere.

——————————————————————————

Diviso in 3 libri: LIBRO I = honestum (moralmente giusto) di cui fanno parte le virtù

LIBRO II = utile di cui fanno parte i modi di conseguire il potere

LIBRO III = conflitto tra honestum e utile

Cicerone vuole dimostrare come tra i due non ci sia contraddizione ma identità, perché
l’utile è una diretta conseguenza dell’honestum

La base ideale per questo ragionamento è quella dello stoicismo moderato di Panezio:

- Aveva modificato la dottrina stoica rendendola esplicitamente aristocratica: i suoi


destinatari erano i ceti dirigenti (concetto vicino a quello dei boni di Cicerone);

- Era radicale nei confronti del rifiuto dell’edonismo e dell’etica del disimpegno, ma non
in modo obsoleto o fanatico come era solito nell’ottica arcaica.

- Segue un giudizio molto più positivo sugli istinti, che non devono essere repressi per
forza, ma piuttosto corretti e disciplinati. Reinterpretazione delle virtù cardinali stoiche
(giustizia, sapienza, fortezza, temperanza) come sviluppo degli istinti.

Cicerone a sua volta reinterpreta questi valori nel nuovo sistema dell’honestum: le virtù
corrispondono a tendenze naturali insite nell’uomo e, se ben guidate dalla ragione (lógos,
ratio), possono dare origine a specifici comportamenti virtuosi: ogni virtù ha come
prerogativa una categoria di doveri.

73

HONESTUM

RICERCA DELLA VERITÀ = PROTEZIONE DELLA SOCIETÀ =


sapientia iustitia
Naturale inclinazione dell’uomo a Si basa sul concetto del “dare a ognuno il
ricercare il vero, da cui si origina la suo” e quindi sulla proprietà privata:
sapienza.
fondamento stesso degli Stati e delle
Il tutto deve essere sempre finalizzato comunità cittadini.

all’azione concreta: il merito della virtù Il problema era anche molto sentito dall’autore
deve puntare sempre all’azione e alla per le rivolte graccane, le confische di Silla e
praticità, non alla semplice Cesare, e le future ridistribuzioni di ager publicus
speculazione.
da parte di Antonio.

Il sopraggiungere della iniustitia, porta



all’indebolimento generale delle basi stesse
della società. Si può manifestare:

DESIDERIO DI PRIMEGGIARE = - in modo attivo: aggressione intenzionale al


fortezza | magnitudo animi diritto mossa da avaritia;
È la prerogativa assoluta dei gruppi - in modo passivo: disinteresse e disimpegno
dirigenti: hanno un animo forte che li rispetto alla società.
porta a imporsi e a governare sugli altri.

A questo va abbinato però anche un


forte disprezzo per i beni terreni (denaro, A questo concetto si affianca quello di
gloria, onori): è necessario un energico beneficentia: capacità di donare il proprio
controllo del proprio desiderio personale collaborando attivamente per il benessere della
per non cadere nell’eccesso della collettività.

tirannide. Non deve scadere nella largitio, che potrebbe



portare alla corruzione delle masse popolari,
adescate attraverso delle proposte demagogiche.

In generale la beneficentia non può essere messa


La ragione deve controllare gli istinti e a servizio di ambizioni personali.
trasformarli in virtù svuotandoli di quanto
è egoistico o provocatorio.

L’istinto in certe circostanze può mettersi


al servizio della collettività dello stato e ASPIRAZIONE ALL’ARMONIA =
contribuire attivamente alla sua
grandezza. temperanza | decorum
È la virtù che permette di controllare gli istinti
e di regolare le virtù: deriva da una naturale
aspirazione umana all’armonia.

Cicerone analizza questi elementi in

un’ottica precettistica relativa ai comporta-


Si manifesta attraverso l’appropriata armonia
menti da tenere nella vita quotidiana e nei dei pensieri, dei gesti e delle parole:

rapporti con gli altri. Inizia una sorta di decorum -> aequabilitas
“tradizione del galateo”: atteggiamenti da

tenere e scelte di vita.

QUALITÀ PERSONALI -> APPROPRIATEZZA DEL COMPORTAMENTO

La filosofia prende atto dei mutamenti nella società e comprende le diverse inclinazioni dei boni:
legittimazione di scelte di vita anche diverse da quella tradizionale delle cariche pubbliche, purché
siano volte in qualche modo ai doveri verso la collettività.

74

LINGUA E STILE DELLA PROSA LETTERARIA DI CICERONE


Innegabile inadeguatezza della lingua latina a rendere la terminologia filosofica greca
(anche Lucrezio lo fa notare).

Dal momento che Cicerone scarta l’ipotesi di usare i grecismi, deve elaborare una
terminologia tecnica adeguata attraverso una profonda sperimentazione lessicale, che
porterà alla creazione di tanti neologismi (Cicerone ne parla con Attico nell’epistolario).
Nascita del “latino astratto”.

Attenta scelta delle parole = chiarezza espositiva manifestata anche da un periodo


complesso ma armonioso:

- Equilibrio e rispondenza delle parti anche in periodi molto lunghi;

- Ipotassi > paratassi;

- Eliminazione delle incoerenze nella costruzione, degli anacoluti, delle constructio ad


sensum;

Cicerone manifesta anche il desiderio di variare i registri stilistici: si verifica una mobilità
degli effetti, quindi ad ogni parte del discorso e ad ogni cambiamento di tono è abbinata
una finalità (probare, delectare, flectere), secondo il principio del decorum.

Armonia ed euritmia intesi come ornatus suavis et adfluens: i punti di forza sono la
forma e il sonus. Anche la disposizione verbale è sempre accurata per realizzare il
numerus: sistema di regole metriche adattate alla prosa.

La sede più importante per questi effetti è la clausola: parte finale del periodo in

cui l’ascoltatore deve essere meravigliato da una serie di effetti.



75

L’EPISTOLARIO
Cospicua quantità di lettere che scrive ad amici e conoscenti, insieme a lettere di risposta
che riceve indietro. Sono tutte lettere vere: Cicerone non pensava alla loro pubblicazione,
quando scriveva. Per questo motivo hanno una fondamentale importanza storica, ci
rivelano il Cicerone delle confidenze private, non ufficiali.

Grazie alle lettere riusciamo a seguire, quasi giorno per giorno, gli sviluppi politici e

gli avvenimenti storici, e conosciamo meglio i personaggi della scena attraverso un

linguaggio non filtrato.

Contiamo 900 epistole in tutto, pubblicate sicuramente postume e divise in 4


raggruppamenti in base al destinatario:

- 16 libri AD FAMILIARES (62-43 a.C.): ad amici e a parenti;

- 16 libri AD ATTICUM (68-44 a.C.);

- 3 libri AD QUINTUM FRATREM (60-52 a.C.);

- 2 libri AD MARCUM BRUTUM (43 a.C.), autenticità controversa;

- COMMENTARIOLUM PETITIONIS del fratello Quinto a Cicerone, manualetto di


campagna elettorale per il consolato del 63.

L’epistolario comprende testi di vario genere e di varia estensione in base alla varietà dei
contenuti, delle occasioni, dei destinatari e dei toni:

da semplici appunti frettolosi a resoconti politici, a lettere più lunghe e profonde.

Alcune sono da considerare come “lettere aperte”, pensate forse per una ipotetica
circolazione.

La varietà si riflette anche sulla LINGUA e sullo STILE delle lettere, molto diverso da
quello delle opere pensate per la pubblicazione: si avvicina al sermo cotidianus delle
classi elevate di Roma.

- Periodare ellittico, gergale, pieno di allusioni cifrate;

- Uso di grecismi e colloquialismi, parole pittoresche;

- Sintassi paratattica e parentetica.

76

LA POESIA
Talento molto discutibile di Cicerone riguardo alla poesia. Già i contemporanei non lo
ritenevano un modello all’altezza degli altri, infatti abbiamo solo delle opere molto
frammentate, che conosciamo perché citate dallo stesso Cicerone.

Distinguiamo tre periodi:

1) Poesia alessandrina: in gioventù scrittura di poemetti di argomento mitologico


(Glaucus, Alcyones), vari per metro e per argomento, caratterizzati da uno
sperimentalismo artistico che lo rende quasi precursore dei neoterici.

2) Traduzione in esametri dei Fenomeni del poeta ellenistico Arato di Soli: Aratea,
poemetto didascalico di argomento astronomico che suscita grande interesse tra i
contemporanei. Lo stile ricorda quello della poesia alta di Ennio e Lucrezio, e si tratta
probabilmente dell’opera con più successo tra quelle di Cicerone poeta.

3) Poemi epico-storici sul modello di Ennio: gusti più tradizionalistici che lo portano a
covare ostilità verso i poeti moderni. L’opera principale è il De consolatu suo, che
tratta della "gloriosa” battaglia contro Catilina: già la critica contemporanea lo
sbeffeggia per le lodi stucchevoli che fa verso se stesso e verso il suo consolato.

L’importanza principale del Cicerone poeta risiede nel suo impegno per la
REGOLARIZZAZIONE DEL METRO (esametro più duttile, elegante e vivace nel ritmo) e
per gli ASPETTI TECNICO-ARTISTICI, che in questo senso lo rendono precursore di
una poesia maggiormente libera dal punto di vista espressivo:

- Normalizzazione dell’enjambement e della tecnica di incastro verbale.


77

CESARE
È uno dei maggiori personaggi politici della scena ma anche un autore di notevole
importanza per il I secolo a.C.

Conosciamo la sua vita attraverso:

- Le sue opere;

- Biografia scritta da Plutarco e da Svetonio;

- Testimonianza di Cicerone (orazioni e lettere);

- Bellum civile di Appiano e Historiae di Cassio Dione.

• Nasce a Roma il 13 luglio del 100 a.C., da una famiglia patrizia di antichissima nobiltà.
Poiché imparentato sia con Mario che con Cinna, viene perseguitato dai sillani e si
rifugia in Asia, dove presta servizio militare. Alla morte di Silla (78 a.C.) torna a Roma:

INIZIO DEL CURSUS HONORUM:

• 68 a.C.: questore;

• 65 a.C.: edile;

• 63 a.C.: pontefice massimo;

• 62 a.C.: pretore;

• 61 a.C.: propretore in Spagna Ulteriore.

• 60 a.C.: PRIMO TRIUMVIRATO con Crasso e Pompeo:

• 59 a.C.: CONSOLE (prevaricazione sul collega Bibulo).

• 58 a.C.: proconsole nell’Illiria, in Gallia Cisalpina e Narbonese.

CAMPAGNE IN GALLIA (58-52 a.C.): sottomissione di tutto il mondo celtico

presentata come missione difensiva e preventiva. Acquisizione di un grandissimo

potere personale.

• 10 gennaio 49 a.C.: dichiara la GUERRA CIVILE per ottenere il secondo consolato;

• 48 a.C.: sconfigge Pompeo a Farsalo e diventa padrone assoluto di Roma, ricoprendo


contemporaneamente consolato e dittatura.

• 15 marzo 44 a.C.: viene ucciso da un gruppo di aristocratici repubblicani dopo esser


stato proclamato dictator perpetuus.

LA FORTUNA DI CESARE
ROMANITÀ: giudizi positivi da parte di Cicerone e Irzio sulla sua prosa, definita nuda, pura,

schietta, senza abbellimenti superflui. Il giudizio scema già a partire da

Quintiliano, che ne elogia la figura politica ma non quella di “storico”.

RINASCIMENTO FRANCESE: il suo modello viene recuperato da Montaigne in nome di una

nuova sensibilità artistica, che prevedeva la riscoperta del gusto

per lo stile puro, delicato e limpido. Anche Manzoni lo ammira.

CONTEMPORANEITÀ: modello per lo studio del latino classico nei ginnasi: lingua facile, pulita,

ben costruita.
78

I COMMENTARII
Con il termine commentarius si indica una raccolta di appunti che dovevano servire come
“aiuto alla memoria”. Potevano consistere in schizzi preparatori per la redazione di opere
storiografiche o agli uomini politici per fissare alcuni momenti salienti della propria attività
politica. Cesare si inserisce nella tradizione avviata da altri uomini politici come Silla e
Scauro.

Il tono della narrazione, attraverso elementi formali come il rifiuto degli abbellimenti retorici e
la riduzione del linguaggio valutativo, può apparire oggettivo e impassibile.

Ovviamente non si può dare un giudizio sui Commentarii prescindendo dalla loro
connessione con la lotta politica:

Nel De Bello Civili la connessione è chiarissima: Cesare giustifica il motivo per cui ha

mosso guerra e si presenta come un moderato.

Nel De bello Gallico la connessione è meno immediata: non è un’esaltazione della

conquista ma una spiegazione delle sue esigenze difensive e un’apologia del bellum
iustum.

Si tratta di un procedimento di innegabile deformazione, anche se non si tratta di


falsificazioni vistose ma di omissioni o cambiamenti nella cronologia/disposizione dei fatti
realmente accaduti.

Nel De Bello Gallico per esempio Cesare cerca di ridurre la portata delle sconfitte che

subisce, senza mai escluderle dal racconto, e altera la grandezza delle sue vittorie.

Cesare evidenzia sicuramente le sue capacità politico-militari ma senza mai eccedere nella
mitizzazione della sua figura. Probabilmente è perché si rivolge ad un certo tipo di pubblico
che non esalta eccessivamente la sua figura, come invece faceva il popolo (è probabile che
nelle forme di propaganda orale si descrivesse come voleva la gente: quasi come una figura
divina e irraggiungibile).

RUOLO DELLA FORTUNA


Oltre alle capacità straordinarie di Cesare è l’elemento che influisce nelle azioni militari e
politiche. Non si tratta di una divinità protettrice: l’autore cerca sempre di spiegare gli
avvenimenti secondo cause umani e naturali, di cui può coglierne la logica interna.

È un concetto che serve a spiegare dei repentini cambi di situazione: fattore


imponderabile che a volte aiuta anche i nemici dei romani = ciò che sfugge alle capacità
di previsione e di controllo razionale dell’uomo. 

79

DE BELLO GALLICO

Probabilmente in origine si chiamava

C. IULII CAESARIS COMMENTARII RERUM GESTARUM,

a cui venne aggiunto il sottotitolo successivamente per distinguere le imprese delle


spedizioni in Gallia da quelle della guerra civile.

Il racconto copre gli anni dal 58 al 52 a.C.: sistematica sottomissione della Gallia secondo
fasi alterne di vittorie e sconfitte. L’opera è divisa in 7 libri, a cui ne va aggiunto uno
spurio:

LIBRO I (58 a.C): campagna contro gli Elvezi (Ariovisto) che avevano offerto il casus belli con i

loro movimenti migratori.

LIBRO II (57 a.C.): rivolta delle tribù galliche.

LIBRO III (56 a.C.): campagna contro le popolazioni della costa atlantica.

LIBRO IV (55 a.C): operazioni contro le infiltrazioni di popoli germanici che avevano passato il

Reno e contro i capi Gallici ribelli (Induziomario e Ambiorige).

LIBRO V e VI (55-53 a.C): spedizioni contro i Britanni e campagne di sterminio contro le

popolazioni della Gallia Belgica.

LIBRO VII (52 a.C): campagna di devastazione in Gallia da parte dei Romani (assedio ed

espugnazione di Alesia, cattura di Vercingetorìge).

LIBRO VIII: è spurio, scritto probabilmente dal luogotenente di Cesare, Aulo Irzio, per

completare il resoconto delle campagne e collegare gli eventi del De Bello Gallico

con quelli del De Bello Civili.

Diverse ipotesi sui tempi di composizione dell’opera:

• Alcuni pensano ad una scrittura di getto tra il 52 e il 51, dopo la conclusione della
spedizione:

- Testimonianza di questo è la dichiarazione di Aulo Irzio, che nella prefazione al Libro


VIII ammira la rapidità di stesura dell’opera.

• Alcuni pensano a una scrittura anno per anno, durante i periodi in cui erano sospese le
operazioni militari. Fattori a favore dell’ipotesi:

- Contraddizioni interne all’opera;

Dallo stile scarno e disadorno della prima parte dell’opera Cesare arricchisce l’opera
con elementi tipici della historia:

- Ricorso al discorso diretto;

- Ampliamento lessicale: dalla noncuranza per le ripetizioni al tentativo di trovare


sinonimi.
- Sensibile evoluzione stilistica.

• In ogni caso Cesare avrebbe potuto scrivere anno per anno e poi rielaborare il tutto in
un secondo momento (Irzio potrebbe riferirsi a questo).

80

DE BELLO CIVILI
L’opera tratta della guerra civile ed è diviso in tre libri:

LIBRO I e II: eventi del 49 a.C.


LIBRO III: eventi del 48 a.C. Cesare non finisce di narrare i fatti di quell’anno perché la

narrazione si interrompe lasciando in sospeso l’esito della guerra di

Alessandria, e il Commentarius può dirsi incompiuto.

Ci sono diverse ipotesi sul perché Cesare non abbia concluso la narrazione e sui tempi di
composizione e pubblicazione dell’opera:

• Alcuni pensano sia rimasto incompiuto a causa della morte prematura di Cesare:
spiegherebbe anche una possibile pubblicazione postuma.

• Alcuni pensano sia stato composto tra il 47 e il 46, e pubblicato in quell’anno.

TEMI AFFRONTATI:
Nell’opera sono sicuramente evidenti le TENDENZE POLITICHE DI CESARE, esposte sotto
forma di una satira sobria che colpisce direttamente sia Pompeo (diretto antagonista), che
l’intera classe dirigente romana (ceto senatorio), rappresentata come l’emblema della
corruzione, dell’ipocrisia e del lusso sfrenato.

Questo punto è evidente soprattutto nella rappresentazione dell’accampamento

pompeiano prima della battaglia di Farsalo: tutti sono certi della sconfitta di Cesare e

si preoccupano di stabilire le pene da infliggere, di aggiudicarsi i beni dei proscritti e di

spartirsi le cariche politiche.

Nonostante le critiche mosse alla situazione attuale NON PRESENTA UN PROGRAMMA DI


RINNOVAMENTO POLITICO, ma piuttosto cerca di discolparsi e di cambiare la reputazione
che aveva presso l’opinione pubblica:

Cesare vuole dimostrare di non essere un rivoluzionario, ma di aver sempre rispettato

e difeso le leggi della Repubblica. Giustifica il suo atto di ribellione come un atto di

coraggio per restituire la libertà allo stato, contro i soprusi della classe dirigente.

In questo caso si rivolge soprattutto allo strato medio e benpensante della

popolazione, lo stesso che temeva i rivolgimenti sociali.

Cicerone rassicura i ceti possidenti sulla questione dei debiti: non ci si dovrà

preoccupare delle tabulae novae, non prenderà provvedimenti al riguardo.

Cesare manifesta in generale la volontà di MANTENERE LA PACE: la guerra si deve solo


all’atteggiamento dei pompeiani, incapaci di giungere ad un accordo che mantenesse lo
stato della Repubblica inalterato.

Un altro tema in questo senso è quello di dimostrare la sua clemenza nei confronti dei

pompeiani sconfitti: in seguito alla sua vittoria non ci sarà crudeltà ma perdono.

L’autore dimostra la sua LEALTÀ ALL’ESERCITO: affezione assoluta ai suoi soldati, che
hanno mostrato valore e fedeltà nel contesto della guerra.

Chiaramente sono evidenti dei motivi propagandistici: promozione sociale dei soldati

per la promozione degli homines novi al rango del senato.



81
CONTINUATORI DI CESARE:

- BELLUM ALEXANDRINUM: guerra contro gli Egiziani (48-47 a.C.). Probabilmente scritto o
comunque redatto da Aulo Irzio, mostra uno stile molto più scarno e sobrio rispetto a quello di
Cesare (probabilmente era così un vero e proprio commentarius).

- BELLUM AFRICANUM: guerra in Africa (46 a.C.). Patina stilistica arcaizzante.

- BELLUM HISPANIENSE: guerra in Spagna (45 a.C.). Scritto probabilmente da un homo


militaris, perché mostra molto squilibrio stilistico: vicino a un tentativo di usare lo stile ricercato
e colto, troviamo alcune parole popolareggianti e colloquiali, oltre che tratti proprio volgari.

Le orazioni
Non è sopravvissuta nemmeno un’orazione cesariana, ma sappiamo che i contemporanei
e scrittori come Quintiliano o Tacito le ammiravano e le prendevano come esempio.

Probabilmente avevano uno stile pulito e privo di tumores, ma non privo di ornamenta:
non possiamo collocarlo nel vero e proprio atticismo radicale ma è la corrente a cui lui si
avvicina di più.

Cicerone lo definisce “purificatore della lingua latina”:

DE ANALOGIA

Tutti i critici antichi riconoscono nella sua lingua “uno stile corretto e puro”: possiamo
notare il suo lavoro di teorico della lingua in quest’opera, composta da tre libri dedicati a
Cicerone (ciò non prova una comunanza di convinzioni letterarie ma quasi un
atteggiamento di sfida in questo senso).

Trattamento razionale e ascetico del latino: alla base si trovano l’eloquenza e l’accorta
scelta delle parole, compiuta attraverso una selezione razionale e sistematica, basata
sull’analogia e contrapposta all’anomalia.

Prevede l’utilizzo di parole già presenti all’interno del sermo cotidianus e il rifiuto di
neologismi o parole strane, per raggiungere:

SEMPLICITÀ | CHIAREZZA | ORDINE



82

SALLUSTIO
È il primo vero storico della romanità, di cui possiamo leggere le maggiori opere per
intero.

Conosciamo la sua vita attraverso:

- Le testimonianze che lui stesso fornisce nel Bellum Catilinae;

- Cronaca di San Girolamo;

- Cassio Dione.

• Nasce in Sabina nell’86 a.C. da una famiglia facoltosa, ma è un homo novus che
decide di dedicarsi alla politica dopo aver compiuto il periodo di studi a Roma.

Inizia il CURSUS HONORUM schierandosi con i Populares:

• 55/54 a.C.: questore;

• 52 a.C.: tribuno della plebe: campagna contro Milone (uccisore dei Clodio) e Cicerone;

• 50 a.C.: viene ESPULSO DAL SENATO per indegnità morale.

• Quando scoppia la Guerra civile si schiera dalla parte di Cesare e ottiene la


RIAMMISSIONE AL SENATO = ricomincia la carriera politica:

• 46 a.C.: pretore;

• 45 a.C.: governatore della provincia di Africa nova (Numidia). Dà prova di malgoverno


e viene accusato di MALVERSAZIONE = Cesare gli consiglia di ritirarsi dalla scena
politica per conservare un po’ di dignità senza essere nuovamente espulso.

Inizia a dedicarsi alla storiografia.

Muore nel 35/34 a.C.

LA FORTUNA DI SALLUSTIO
ROMANITÀ:

- Successo immediato e rilevante, soprattutto per lo stile di scrittura e per gli argomenti incisivi
e interessanti. Questo provoca anche un interesse all’emulazione: ci sono giunte a suo nome
molte opere falsificate (Invectiva in Ciceronem e Epistulae ad Caesarem);

- Viene criticato perché eccessivamente arcaico da Asinio Pollione;

- Quando nell’età degli Antonini torna il gusto per l’arcaismo viene apprezzato molto;

- Tacito lo ammira moltissimo e lo prende come modello sia di stile che per la scelta di
scrivere monografie;

- Nella tarda antichità faceva sicuramente parte del canone degli autori in prosa.

MEDIOEVO: ammirato soprattutto da Brunetto Latini.

UMANESIMO: è un modello importante per il pensiero politico e le opere di Leonardo Bruni, e

per il Poliziano quando scrive della congiura dei Pazzi.

1700: viene tradotto da Alfieri. 



83

Le monografie (43-40 a.C.)


Si tratta di un sottogenere della storiografia e consiste nel narrare un periodo, un evento o
un luogo di cui l’autore si è interessato particolarmente. Sono opere brevi e di raffinata
fattura stilistica, migliorata anche attraverso l’esperienza dei poeti neoterici.

Prima di lui la tradizione greca aveva conosciuto Tucidide (+ altri autori minori) e a Roma c’era
stato Celio Antipatro (autore di una monografia sulla Seconda Guerra Punica).

Sallustio nei proemi delle sue monografie spiega:

- Il motivo per cui ha abbandonato la vita politica per dedicarsi alla composizione di
opere storiche, dando conto della propria attività intellettuale.

Pur non conferendo alla storiografia un significato “autonomo” (come aveva fatto

Cicerone) Sallustio ne riconosce l’importanza, legandola alla prassi politica e alla

formazione dell’uomo politico.

- La scelta di orientarsi sul genere della monografia.

Sallustio cerca di riscontrare nella storia recente i problemi principali che avevano

causato la crisi delle istituzioni a Roma, che lo avevano costretto ad abbandonare

la vita politica. L’indagine sulla crisi si concentra su due problemi storici principali:

• Pericolo sovversivo conosciuto con la congiura di Catilina.

• Incapacità della nobilitas corrotta a difendere lo Stato.

DE CATILINAE CONIURATIONE (o BELLUM CATILINAE)

L’episodio della congiura di Catilina risale al 63 a.C., quando non viene eletto console e
cerca di coalizzare contro il regime senatorio un blocco sociale formato da: proletariato
urbano, ceti poveri italici, membri indebitati dell’aristocrazia, masse di schiavi.

STRUTTURA:

- PROEMIO con i motivi dell’opera.

- RITRATTO DI CATILINA come un aristocratico corrotto. In realtà il suo ritratto è


decisamente contrastante a tratti: Sallustio lo ammira per la sua energia indomabile e lo
condanna per la sua consuetudine con ogni forma di depravazione. Lo storico lo giudica
per i suoi errori ma non può davvero ricercare le cause profonde della crisi dello stato: la
situazione attuale poteva giustificare il suo comportamento, che era in realtà
imperdonabile.

EXCURSUS 1: archaiologìa tucididea dove Sallustio spiega velocemente la storia

dell’ascesa e della decadenza di Roma. Sallustio fa coincidere il punto di svolta con la

distruzione di Cartagine (146 a.C.): cessazione del metus hostilis e

deterioramento della moralità romana.

Sallustio riconosce in Silla l’iniziatore di queste tendenze rivoluzionarie

(soprattutto per le proscrizioni).

- Catilina raccoglie attorno a sé personaggi che auspicano a un cambiamento di regime.


Raduna un esercito a Fiesole insieme a Manlio composto di disperati. Potere consolare
nelle mani di G. Antonio Ibrida e Cicerone, che viene più volte attaccato e riceve i pieni
poteri dal senato per sedare la situazione.

84
In questa circostanza la FIGURA DI CICERONE assume un notevole

ridimensionamento rispetto a quello che siamo abituati a pensare di lui: Sallustio non

vuole denigrare il suo lavoro ma lo considera come un semplice magistrato che fa il

suo dovere, pur non essendo un eroe. Secondo Sallustio gli unici uomini politici degni

di lode erano Cesare e Catone.

- Catilina fugge e viene dichiarato nemico pubblico.

EXCURSUS 2: regime dei partiti = entrambi sono condannati per i loro

comportamenti, che hanno portato alla degenerazione politica e hanno fornito le

condizioni per l’ascesa di Catilina. I populares hanno aizzato il popolo attraverso

elargizioni e promesse | La nobilitas combatte solo per consolidare e ampliare i suoi

privilegi.

- Cicerone fa incarcerare Catilina e i suoi complici. Per decidere sulla condanna da infliggere
vengono pronunciati due discorsi in senato dai due personaggi politici di spicco, che
Sallustio mette anche a confronto:

CESARE
CATONE UTICENSE
SCONSIGLIA LA PENA DI MORTE, chiede
CONSIGLIA LA PENA DI MORTE

una pena più mite e fa appello a una


considerazione legalitaria.
In un certo senso Sallustio prova a difenderlo
dal polverone che si era sollevato dopo la
Probabilmente questo punto non veniva notizia del suo suicidio.

toccato davvero nel discorso di Cesare, ma


Sallustio lo inserisce perché faceva parte della Incarna le virtù della tradizione:

sua propaganda ed era nei suoi ideali politici:


ritorno all’ordine.

INTEGRITAS | SEVERITAS | INNOCENTIA

Portavoce dei nuovi ideali:

LIBERALITÀ | MUNIFICENTIA |
MISERICORDIA

Sallustio ripone molte speranze in lui:


può costruire un regime abbastanza Il punto su cui Sallustio vuole soffermarsi
autoritario per porre fine alla crisi dello è un tentativo di conciliazione, non solo
Stato, e poi risollevare la res publica.

tra i due personaggi ma in generale tra le


Deformazione della figura di Cesare a
favore dell’ideale che vuole tendenze moralistiche e politiche che
trasmettere: non è definito capo dei rappresentano:
populares e quindi è lontano dalle loro pur essendo così diversi, entrambi sono
forme radicali.

fondamentali, perché le virtù di cui si


L’unica questione su cui Sallustio non fanno portavoce in realtà sono
è d’accordo è la funzione attribuita complementari:
all’esercito: rifiuto dell’ammissione in MAGNITUDO ANIMI PAR, ITEM GLORIA
senato di personaggi provenienti da
ranghi militari.

- I complici di Catilina vengono giustiziati. Lui cerca di rifugiarsi in Gallia Transalpina ma


viene scoperto e muore nella battaglia di Pistoia.

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BELLUM IUGURTHINUM
L’episodio della guerra contro Giugurta risale agli anni 111-105 a.C, e secondo Sallustio
consiste nella prima occasione in cui “si osò andare contro l’insolenza della nobiltà”.

RIASSUNTO:

- Giugurta è il figlio adottivo del re umida Micipsa e nipote di Massimissa. Riesce a prendere
il potere e corrompe con il denaro gli esponenti dell’aristocrazia romana che erano stati
inviati in Africa.

EXCURSUS 1: polemica contro la nobilitas corrotta e nuova esposizione del regime


dei partiti. Rispetto al Bellum Catilinae l’autore riscontra la causa della degenerazione

politica soprattutto nell’aristocrazia. Grande merito all’opposizione che cerca di

difendere Roma attraverso la politica espansionistica, anziché vendersi.

- Metello non aveva raggiunto dei risultati soddisfacenti. Il suo luogotenente, Mario, si
candida al consolato per il 107 e riesce ad ottenere l’incarico di portare a termine la guerra.
Modifica la composizione dell’esercito introducendo i capite censi.

POPULARES
Sono considerati i portatori dei valori etico-politici migliori, e rappresentano la lotta della
“democrazia” romana nei confronti dell’aristocrazia corrotta. La loro linea politica è
esemplificata nei discorsi di:

MEMMIO
È un tribuno della plebe che protesta contro la politica inconcludente del Senato e
l’arroganza dei pauci (oligarchia dominante). Enumera anche i mali del regime:

- tradimento degli interessi dello Stato,

- dilapidazione del denaro pubblico,

- monopolizzazione delle ricchezze e delle cariche.

MARIO
Affermazione di una nuova aristocrazia basata sulla virtus: non si considera il diritto di
nascita ma i talenti naturali di ciascuno e l’impegno di tutti per svilupparli. Si richiama ai
valori antichi che hanno fatto la grandezza di Roma.

È l’espressione della volontà di maggiore partecipazione delle élite italiche, quindi degli
homines novi come lui.

Il giudizio che ne dà Sallustio è ambivalente: da una parte c’è molta ammirazione,

dall’altra la consapevolezza delle responsabilità che avrà Mario nello scoppio delle

guerre civili.

Sallustio non approva inoltre la sua riforma dell’esercito, destinato a normalizzare la

pratica di eserciti personali e a rendere più facile lo scoppio di scontri interni.

- La guerra si conclude quando Bocco, re di Mauritania, tradisce Giugurta e lo consegna ai


romani.

RITRATTO DI GIUGURTA: anche in questo caso Sallustio non fornisce un ritratto


esclusivamente negativo: ammirazione per la sua energia, sicuramente un segno di virtus
anche se indirizzata male. Giugurta non è un uomo di indole corrotta, ma lo diventa
(diversamente da Catilina) durante l’assedio di Numanzia.

Nonostante ciò ovviamente è indifendibile: una volta che la sua indole si è corrotta è solo un
tiranno, non ha scusanti o attenuanti in suo favore. 

86

Storiografia annalistica: le HISTORIAE


Sallustio, dopo la composizione delle due monografie, tenta di tornare alla forma
storiografica tradizionale: inizia a scrivere le Historiae nel 39, ma l’opera rimane
incompiuta al libro V.

L’opera doveva ricoprire, in teoria, il periodo tra il 78 e il 67 = morte di Silla - guerra di


Pompeo contro i Pirati (ricominciando la narrazione storica da dove si era fermato Sisenna).

Ci è giunta in modo estremamente frammentario, ma possiamo leggere qualche parte più


lunga rispetto alle altre:

4 DISCORSI: Licinio Macro per la restaurazione dei poteri tribunizi;

Lepido contro il sistema di governo dei sillani;

Marcio Filippo contro Lepido

LETTERE: Pompeo

Mitridate IV (importante perché Sallustio spiega il suo punto di vista nei confronti

dell’imperialismo romano, visto come un impulso della loro inestinguibile sete di

ricchezza e di potere).

Frammenti di carattere geografico ed etnografico.

L’opera rende perfettamente il PESSIMISMO SALLUSTIANO: dopo la morte di Cesare non


ha più un punto di riferimento e non spera in nessun salvatore, quindi dall’opera traspaiono le
tinte cupe e la corruzione dei costumi che dilaga senza rimedio.

LINGUA E STILE DI SALLUSTIO


Sallustio propone un nuovo modello di stile storiografico, ispirato a quello di Tucidide e
di Catone il Censore, molto distante rispetto a quello che pensava Cicerone (che voleva
basarlo principalmente sul quello oratorio).

Si basa sull’INCONCINNITAS:

- antitesi

- asimmetrie
DINAMISMO INQUIETO GRAVITAS

- variationes di costrutto
essenzialità di
pensiero

- asindeti
Contribuisce a questo anche la
- omissione di legami INTENSITÀ
PATINA ARCAIZZANTE sia
sintattici
nella scelta delle parole che
- ellissi
nella concatenazione
- allitterazioni paratattica delle frasi.

Esigenza di SOBRIETÀ e AUSTERITÀ: Sallustio


L’andamento spezzato è sembra allontanarsi dalla storiografia tragica e dal
completamente gusto patetico, anche se in realtà dal momento che
anticonvenzionale rispetto ai l’intensità di questi momenti è rara, quando si verifica è
tentativi (di Cicerone e della ancora più potente.

poesia neoterica) di I protagonisti delle monografie, Catilina e Giugurta,


standardizzare il linguaggio sono personaggi estremamente tragici.

letterario. Probabilmente questo atteggiamento culminava nelle


Historiae.

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