I lavori della palazzina di Caccia di Stupinigi iniziarono nel 1729 su progetto di Filippo Juvarra.
Anche se nasce come ritrovo per la caccia, rappresenta una vera e propria reggia settecentesca con una
pianta tra le più originali del tardobarocco e rococò.
Dalla strada che parte da porta nuova a Torino ci si imbatte in due corpi di edifici simmetrici destinati a
servizi; questi si distendono formando prima una corte semicircolare e poi uno spazio ottagonale con i lati
diversi, infine un grande cortile esagonale. In fondo vi è la vera e propria palazzina.
Questa pianta ricorda soprattutto i disegni di Sebastiano Serlio, ma, rispetto alla tradizione che tendeva a
concentrare gli spazi, Juvarra ha realizzato un organismo che interagisce con lo spazio circostante dilatando
uno spazio centrale.
- Il salone: Al centro del complesso vi è un grande salone ellittico a doppia altezza. Al primo piano la sala è
articolata da gallerie ondulate e da una balconata e richiama la forma del quadrifoglio.
- Un baldacchino centrale é sorretto da altissimi pilastri, mentre tutto l’ambiente è coperto da una cupola.
La sala è arricchita da affreschi, ornamenti e da ampie finestre che si aprono sul giardino, creando
continuità tra architettura e natura.
Tra 600 e 700 Napoli conobbe un grande rinnovamento urbanistico e architettonico grazie alla committenza
della libertà locale. In particolare, due architetti, Domenico Vaccaro e Ferdinando Sanfelice, furono i
protagonisti della scena. Sanfelice si espresse soprattutto nella tipologia della scala unendo funzionalità ed
estetica: due rampe di scale sono addossate ad una parete esterna in parte coperte da una struttura
muraria alleggerita da archi, come in Palazzo Dello Spagnuolo.
Negli anni ‘30, grazie a Carlo di Borbone, sovrano illuminato, Napoli divenne una capitale moderna. Le
antiche mura furono abbattute, la città fu divisa in quartieri, furono aperte nuove strade e piazze, come il
Foro Carolino, e realizzati grandi edifici pubblici come L’albergo dei poveri, Teatro San Carlo e il Museo
reale borbonico.
L’architettura a Roma: Anche se Roma durante il 700 rimaneva un punto di riferimento per gli artisti, essa
perse il ruolo di guida che aveva nel 600. Le opere principali di questo periodo sono quelle di Ferdinando
Fuga che realizzó il palazzo della consulta e la basilica di Santa Maria Maggiore.
-La reggia di Caserta: Nel 1750 Carlo VII di Borbone decise di realizzare una reggia che fosse residenza del
sovrano e della corte e sede del governo. Affidó l’incarico a Luigi Vanvitelli il cui progetto, che non fu
completato per intero, prevedeva, oltre al palazzo e al parco, un grande acquedotto e le seterie reali
nell’area di San Leucio.
-L’edificio doveva essere collegato a Napoli lungo una strada monumentale di 20 km.
-Il palazzo: Ha forma di rettangolo con un impianto razionale. La facciata é semplice e uniforme con colonne
e finestre ed è realizzata in cotto e travertino sul basamento.
-Il centro del palazzo è un vestibolo ottagonale con spazi aperti e chiusi, circondato da colonne ioniche e
scalinate, come lo Scalone d’onore che porta agli appartamenti reali.
-Al piano terra, secondo la tradizione tardobarocca, una serie di allineamenti in fuga prospettica
allineamento nel corridoio formano il cosiddetto cannocchiale ottico.
-Il parco: Il principio di regolarità è applicato da Vanvitelli anche nella realizzazione dell’immenso parco sul
modello di Versailles: l’architetto disegna forma geometriche e colloca lunghissime fontane in prospettiva
per suscitare meraviglia.
-La veduta corre verso il parco e la collina attraverso una sequenza di fontane e cascate animate da statue
mitologiche.
-Alla fine del secolo la regina di Napoli incaricó il paesaggista inglese john Andrew Graefer di risistemare il
parco secondo il gusto inglese con boschetti, specchi d’acqua e finte rovine.
Gli autoritratti sono opere emblematiche della nuova coscienza di sé che anima l’artista
romantico; si crea l’immagine dell’artista come una figura eccentrica e imprendibile, genio
creativo, solitario e ispirato, spesso incompreso ma fiero della sua libertà interiore.
Nell’”Autoritratto nello studio” di Tommaso Minardi, possiamo cogliere la natura
introspettiva e malinconica dell’essere artista. Il pittore si presenta lontano da ogni
formalismo , steso su un materasso per terra in soffitta, separato dal mondo. Per la
società ottocentesca questo tipo di vita è inaccettabile, ma il pittore vuole trasmettere il
messaggio della figura dell’artista come se fosse un asceta, colui che è pronto a sacrificare
ogni cosa per la propria vocazione religiosa.
Eugene Delacroix si rappresenta nel suo autoritratto come un individuo dalla forte
personalità e dalla fiera indipendenza. Ha uno sguardo intenso, in un atteggiamento di sfida,
ma allo stesso tempo cerca di relazionarsi con la folla. Il chiaroscuro del volto evidenzia
questo contrasto tra il voler aprirsi e il volersi chiudere in sé.
Theodore Géricault in “ritratto di un artista nello studio” posa con un’espressione
malinconica che indica solitudine e infelicità.
Appartato dal mondo e vittima del mal du siècle (uno stato d’animo tra insoddisfazione e
noia), l’immagine dell’artista condivide la sua natura sognante e fantasiosa.
THEODORE GERICAULT (pagina 49)
La pittura di Gericault segna il momento decisivo di passaggio dal neoclassicismo al
romanticismo.
Il suo lavoro si caratterizza per l’energia che si trasforma in spinta dell’azione drammatica,
la sensibilità per le sofferenze degli uomini, la passione per la realtà e la tensione all’ideale e
all’assoluto.
La storia e gli oppressi
L’attenzione alla realtà contemporanea e agli uomini travolti dalla storia è espressa in molti
lavori di Gericault sulla sconfitta napoleonica (ad esempio “la zattera della medusa”).
L’interesse per gli oppressi è alla radice sia di un gruppo di dodici litografie (realizzate nel
1820-21 in Inghilterra) e sia dei dieci ritratti alienati (dipinti nel 1822-23 su incarico
dell’amico Etienne-Jean Georget).
In questa serie l’introspezione romantica di uno stato d’animo si fonde con l’osservazione
realistica delle fisionomie dei malati, i cui ritratti colpiscono per il turbamento, la solitudine.
Essi non hanno gli atteggiamenti eccessivi dei pazzi di Goya, infatti esprimono mitezza e
sensibilità . La novità consiste nel fatto che Gericault comunica anche un senso di
comprensione per i destini di persone instabili ed emarginate.
LA ZATTERA DELLA MEDUSA (pagina 50)
La scelta del tema e la realizzazione
Gericault per la realizzazione di quest’opera si ispirò a un tragico episodio avvenuto nel
1816: il naufragio della nave medusa.
Più di 150 persone rimasero su una zattera per parecchi giorni, fino a quando la nave Argo
riuscì a salvarne solo una quindicina.
Il pittore scelse di ritrarre il momento più drammatico, quando tra i naufraghi ritorna la
speranza illusoria di essere avvistati da una nave all’orizzonte e si protendono per lanciare
segnali di aiuto.
L’intento del pittore non era però ricostruire l’evento in modo fedele, ma imprimergli un
carattere universale.
La scelta finale (pagina 51)
Gericault volle rappresentare tutte le sfumature del dolore fisco e dell’angoscia morale (il
padre addolorato per il figlio morto, i moribondi tutti intorno, il gruppo di persone che si
protende verso la nave in balia delle onde).
Per la prime volta le grandi dimensioni del dipinto e lo stile epico venivano utilizzati per
rappresentare le sofferenze della gente comune. La scena si rivela dunque essere una
metafora della lotta dell’uomo contro le avversità e il destino.
Il sistema delle diagonali (pagina 51)
La scena è costruita su un insieme di diagonali che convergono verso due apici a formare
due piramidi.
La prima ha il suo vertice sulla cima dell’albero della zattera, la seconda su una camicia
agitata da un naufrago.
Il vento soffia però in direzione opposta e il mare respinge la zattera.
Il dipinto è romantico negli intenti e nei contenuti, mentre sul piano formale ricorda modelli
michelangioleschi, caravaggeschi e classici.
EUGENE DELACROIX (pagina 52)
Delacroix è il caposcuola della pittura romantica francese. Il suo carattere romantico si
rivela nella volontà di coinvolgere emotivamente lo spettatore attraverso la dinamicità delle
composizioni, l’inquieto ritmo delle forme, l’espressività dei soggetti, l’uso di colori accesi.
La pittura di Delacoix fu sconvolgente per la sua passionalità e per la capacità di gettare