I: Buon pomeriggio a tutti, siamo qui con lo scrittore
Anand Dílvar che ha all’attivo oltre trenta opere pubblicate e che adesso sta presentando la nuova edizione del libro Lo schiavo, con oltre un milione di copie vendute. Anand, parlaci un po’ del libro.
D: Sì, certo, grazie mille per avermi invitato. Lo schiavo è il
mio diciassettesimo libro. Come hai già detto tu, ne ho pub- blicati trenta, e al momento stiamo festeggiando il raggiungi- mento di un milione di esemplari venduti. Il libro è già stato tradotto in inglese ed è stato pubblicato in Germania e a breve uscirà anche in Italia. #io lo aggiungerei… no?#
I: Di cosa parla Lo schiavo?
D: Lo schiavo è una novità. Attraverso la storia narrata, af- fronto una serie di tematiche quali il perdono, la relazione con i propri genitori. Il protagonista è vittima di un incidente ed entra in coma, ma in una situazione molto particolare perché lui è cosciente e ha gli occhi aperti, cosa piuttosto straordina- ria. Quindi si accorge di tutto ciò che capita intorno a lui, del rapporto tra i suoi genitori, di alcuni conflitti tra sua sorella e suo fratello. E tutto ciò accade mentre gli altri credono che sia in uno stato d’incoscienza, mentre lui invece si accorge di tut- to. Questo dunque diventa uno spazio affinché il lettore possa riflettere sul come mai a volte non riusciamo a essere protago- nisti delle nostre vite, ma semplici spettatori.
I: Certo. Nel libro menzioni il senso di colpa, che è un
sentimento del tutto inutile. Perché però la maggior parte delle persone lo prova?
D: Vedi, il senso di colpa è un sentimento inutile perché
non è un’emozione naturale; riconosco che ci sono delle emo- zioni naturali, come per esempio la rabbia, la tristezza, l’al- legria. Tutte queste emozioni, se espresse in modo naturale, svaniscono. Se si esprime la propria rabbia, per cinque o dieci minuti, in modo consapevole, si dissipa subito e si trasforma in un’altra emozione. Il senso di colpa, invece, non è naturale, è una costruzione della società, della religione e serve a con- trollare le persone. Siccome non è un’emozione naturale, non esiste nemmeno una via di fuga, un modo per sfogarlo. Proprio per questo molti restano intrappolati nel senso di colpa dovuto a condizionamenti ricevuti. Non riescono a lasciarlo andare. Io affermo che è un sentimento inutile perché molte persone credono che provandolo potranno aggiustare qualcosa, ma in realtà non si aggiusta nulla, anzi si peggiora la situazione.
I: Certo. Le persone a volte non riescono a risolvere i propri
problemi e spesso cercano di scappare. Purtroppo a volte lo fanno in modo sbagliato, come nel caso del protagonista che beveva troppo. Cosa puoi consigliarci per evitare di commette- re qualche irrimediabile errore?
D: Prestate molta attenzione a una delle mie riflessioni: se
osservi bene la tua vita, puoi trovare le risposte da solo. Ma non cercando all’esterno, non concentrandoti su situazioni che sono al di fuori di te, bensì in te. Quando punti il dito contro i responsabili delle tue insoddisfazioni, o verso l’esterno, e vai a cercare lì le cause della tua infelicità, ecco dove dirigi il tuo potere personale. Se invece rivolgi lo sguardo verso te stesso, ti accorgerai che sei molto più coraggioso, molto più forte, mol- to più consapevole di quanto hai sempre creduto. E in quello stato di coscienza non ti permetterai nulla che danneggi la tua salute o che alteri la tua coscienza. E non si tratta di forza di volontà. Soltanto che essendo ben presente, ben consapevole, ti accorgi di non voler diventare qualcosa che non è degno di te e quindi non andrai ad abusare di qualche sostanza o a crearti problemi non necessari.
I: Certo. Ecco, proprio come il protagonista che aveva tut-
to per essere felice e non se ne accorge finché non entra in co- ma, anche all’essere umano manca sempre qualcosa per essere felice. A cosa è dovuto?
D: Al fatto che siamo sempre distratti, parecchio distratti.
La società sta attenta a tenerci ben occupati a guardare verso l’esterno. È un po’ come quella storiella dell’asino che ha una carota legata davanti a sé e che non riesce a raggiungere... sono due le condizioni perché l’asino continui a star dietro a quella carota. Numero uno è che abbia fame. E questa si ottiene at- traverso la pubblicità e il mercato che ci rendono perennemen- te “affamati” della nuova macchina, del nuovo cellulare, del nuovo computer. Numero due è che non riesca a raggiungerla. La famosa carota noi non la raggiungiamo mai e così siamo in- soddisfatti. La mia proposta è di tornare a se stessi per rendersi conto che si hanno molte più ragioni di quante si credano per essere felici. Abbiamo la vista, che è una meraviglia. L’olfatto, l’udito… già soltanto queste sono ragioni sufficienti per essere felici. Non è il caso di aspettarsi che prima o poi la felicità ar- rivi dall’esterno.
I: Nel libro dici che la vita è un miracolo e che la maggior
parte delle persone si concentra su problemi e sui fattori ne- gativi. Cosa ci consigli per cambiare questo modo di vedere le cose?
D: Proprio come dico nel libro, non bisogna abituarsi alla
vita. Noi ci abituiamo a svegliarci ogni giorno, ma se siamo presenti ci renderemo conto che in realtà la vita è un dono meraviglioso. Quando mi sveglio, mi piace controllare il mio corpo e dirmi che sono sano, sono forte, che ho la possibili- tà di fare ciò che voglio perché ogni momento è una nuova occasione per migliorare le cose, cambiare quelle che non ci piacciono. Quello che allora consiglio ai miei lettori e di non abituarsi, di non dare per scontato il miracolo di essere vivi, di poter comunicare le nostre emozioni, i nostri pensieri. Il pro- tagonista del mio libro non lo riesce più a fare e si sente smar- rito, ma non è riuscito a rendersi conto prima che la felicità gli poteva derivare dalle cose più semplici, da quelle più basilari. È questo a sconvolgere: che sia tutto nelle cose più semplici, nelle più basilari.
I: Ci potresti spiegare la differenza, di cui parli nel libro, tra
dolore e sofferenza?
D: Certamente. Allora, il dolore fa parte della vita, no?
È come un segnale di allerta del nostro corpo e delle nostre emozioni. Quando capita qualcosa siamo molto vulnerabili, quando perdiamo qualcosa a livello di salute o di relazioni, be’ questo ci fa molto male. Dal dolore non si può scappare, bi- sogna imparare a venirci a patti, dargli il benvenuto e cercargli un senso. La sofferenza, invece è creata da noi quando rifiutia- mo di accettare le cose per come sono. La sofferenza si crea in questo modo o anche quando si va a pescare un dolore del pas- sato. Ci sono persone che hanno vissuto dei traumi dieci anni prima e continuano a viverli come fossero accaduti il giorno prima. Ma questo porta il dolore e la sofferenza nel presente.
I: Nel libro dici anche che le persone sono tristi a causa
del senso di colpa e del risentimento. Cosa possiamo fare per evitare di essere invasi da questi sentimenti?
D: Esprimere apertamente le proprie emozioni, cercare
un modo adeguato e salutare per esprimerle. Il risentimento è rabbia non espressa. Invece di esprimerla e mettere dei limiti, facciamo crescere il risentimento. Un mio amico dice che il ri- sentimento è un veleno che si prepara per un altro ma che poi ci si beve da soli. Quindi ritengo che l’ideale sarebbe imparare piano piano a esprimere le proprie emozioni, a non avere paura di certe emozioni che spesso sono considerate negative. Abbia- mo questa idea per cui la rabbia sia contraria all’amore, che non ci si possa arrabbiare con qualcuno che si ama. Ma non è così, anzi è l’opposto: ci si può arrabbiare e dire “amore mio, mi fa arrabbiare quello che hai fatto. Vorrei per favore che evitassi questo comportamento”. Questo è un atto d’amore. Lo star zit- to e non smuovere nulla per evitare di far emergere i problemi non è un atto d’amore. È un atto di vigliaccheria. Se ti riempi di risentimento prima o poi uscirà, da una parte o dall’altra.
I: Cosa rappresenta per te il fatto che le parole e gli inse-
gnamenti contenuti ne Lo schiavo abbiano cambiato milioni di vite? D: Per me è come una benedizione. Mi sono preso questa responsabilità e da una parte sento una profonda gratitudine. È chiaro che quando scrivi un libro ti auguri che raggiunga il maggior numero possibile di persone, ma è stato tale il succes- so che mi sento molto grato, benedetto, e sento la responsabili- tà di condividere ciò che può essere utile agli altri. Ho ricevuto mail di persone che mi confessavano di aver pensato al suicidio e di averci poi rinunciato. Ecco, una di queste mail è sufficien- te a ricompensare il mio lavoro. Un mail in cui c’è scritto che qualcosa è cambiato nella propria vita, che qualcuno guarda ai propri figli con una diversa attenzione, mentre prima era com- pletamente assorto nel lavoro, ignorando ciò che c’era di più importante come per esempio la propria famiglia, ecco questa per me è una grande soddisfazione. Porto un messaggio che è nell’aria, che tutto il mondo conosce e credo che parte del successo del mio libro sia dovuto al fatto che le persone lo ri- conoscono come qualcosa che avrebbero voluto esprimere loro stesse.
I: Dove possiamo trovarti sui social network?
D: Sono su facebook. La Fan page è “liberandoalesclavo”
I: Vorresti aggiungere qualcosa?
D: Be’, vorrei ringraziare i miei lettori. Come ti ho detto, io
sono molto molto grato, le persone stanno accogliendo il mio messaggio. Quindi vorrei mandare a loro un ringraziamento di cuore nella speranza che quel che faccio gli sia utile. Il mio scopo in questa vita è essere utile alla gente.
I: Bene, ti ringraziamo molto per questa intervista, per il
tempo che ci hai dedicato e ti auguriamo di avere fortuna in tutti i tuoi progetti.
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