BIOCHIMICA APPLICATA
Negli ultimi anni le proteine hanno acquistato sempre più importanza. Dal
progetto GENOMA UMANO grazie al quale l’intero genoma è stato sequenziato,
si è scoperta una discrepanza tra il numero di geni (circa 40mila) e quello delle
proteine (tra 100 mila e 1 milione).
Questo fenomeno si spiega con le modificazioni post-traduzionali e le interazioni
intermolecolari. Si parla quindi di PROTEOMICA.
Ricordiamo che molte proteine sono enzimi che sono in grado di catalizzare
reazioni termodinamicamente favorevoli e renderle compatibili con i tempi
biologici. Si parla dunque di METABOLOMICA.
Vedremo come i metodi di DOSAGGIO ENZIMATICO saranno fondamentali nel
diagnosticare eventuali enzimopatie e tramite queste si possa intervenire prima
che avvengano condizioni patologiche (es. nell’infarto si ha liberazione di
TROPONINA-I e se noi somministriamo un anticorpo che la riconosca possiamo
prevedere l’infarto!).
Studiare una proteina significa individuarne la struttura primaria cioè
conoscere l’esatta sequenza di AA dal N terminale al C terminale con metodi di
SEQUENZIAMENTO (si lavora poi in HPLC).
La composizione di AA ci dirà quali sono ma non come sono legati l’uno con
l’altro e la loro posizione (16 alanine, 13 triptofani ecc..)
Per conoscere la composizione di AA si effettua: IDROLISI,
DERIVATIZZAZIONE e SEPARAZIONE.
L’idrolisi richiederà del tempo in quanto il legame peptidico è alla base della
vita proprio perché è molto stabile e servirà HCl 6N a 110° per 48h.
Occorre poi derivatizzare, ossia addizionare delle molecole in modo d’avere
diverso spettro d’assorbimento dei composti che si sono formati (molecola +
AA).
Infine si avrà la scomposizione in HPLC di AFFINITA’ e si valuta ad esempio la
capacità di formare ponti disolfuro e in quel caso avremo cisteine.
Il taglio di una proteina è effettuato con distacco di 50-60 AA per volta dal N
terminale, ma risultano ancora unità troppo complesse e dunque si effettua
FRAMMENTAZIONE con enzimi proteolitici (pepsina, tripsina) così che poi dai
frammenti più corti si possa fare il SEQUENZIAMENTO.
N.B. quando formiamo la proteina a partire dai frammenti devo seguire la
corretta sequenza e allora effettuerò tagli a più livelli su due proteine uguali di
modo da fare combaciare perfettamente i pezzi.
PROTEOMICA
Definiamo PROTEOMA come “rappresentazione QUALITATIVA E QUANTITATIVA
dell’intero pattern di espressione proteica della cellula, organismo o fluido
corporeo in condizioni ESATTAMENTE DEFINITE e controllate”.
È importante considerare le condizioni perché queste influenzano la natura e
l’espressione delle proteine: basti pensare alla loro suscettibilità a temperatura
e pH.
La proteomica e lo studio delle proteine determinano importanti implicazioni in
campi TERAPEUTICO e DIAGNOSTICO!
Dobbiamo evidenziare che GENOMA e PROTEOMA non abbiano una diretta
correlazione. Mentre il GENOMA è costante e identico per tutte le cellule di un
organismo, il PROTEOMA è dinamico nel tempo e in risposta a fattori esterni
(come le chaperonine che sono espresse con innalzamento della temperatura).
Dunque differisce in maniera sostanziale tra i diversi citotipi (glucosio-6-P
FOSFATASI non è espressa nel muscolo anche se il suo gene è presente).
Il PROTEOMA è il complemento tempo e cellulo-specifico del genoma, cioè è la
risultante delle proteine espresse in quella cellula, in quel momento e in quella
particolare condizione fisio-patologica.
Si valutano così tutte le proteine, incluse le ISOFORME e le risultanti modifiche
post-traduzionali (acetilazione, metilazione, fosforilazione, nitrazione e clivaggio
cioè taglio come per pepsinogeno che diventa pepsina se tagliato)
Ecco dunque che alla fine dei 40mila geni arrivo a 1 milione di proteine.
La strategia della proteomica è:
- individuare pattern proteico così da confrontare soggetto sano e malato
- descrivere la struttura 3D per conoscere eventuali siti d’azione per i
farmaci
La proteomica è divisa in STRUTTURALE (o classica) e FUNZIONALE
La STRUTTURALE dà una definizione quali-quantitativa dell’aumento o
diminuzione dell’espressione in diverse condizioni cellulari (valuteremo la
presenza di macchie cioè proteine e la loro intensità di colore così da
capire le diverse condizioni cellulari anche patologiche che ne alterano
l’espressione)
La FUNZIONALE consente di comprendere la funzione biologica e
l’associazione proteica (proteina-proteina) IN VIVO che porta al
conoscimento del meccanismo cellulare.
La proteomica strutturale studia il proteoma completo mentre la funzionale
studia gruppi più limitati di proteine.
Abbiamo già visto come l’analisi delle proteine richieda una metodica ben
precisa:
- occorre scegliere il tessuto in cui la proteina di interesse sia
maggiormente espressa
- procedere alla rottura cellulare e formazione dell’omogenizzato
ponendo tutto in soluzione
- si può fare una preselezione scegliendo il solo organello in cui è
localizzata la proteina (centrifuga).
Occorre porre molta attenzione ai valori che ricaviamo:
- RESA: rapporto tra unità enzimatiche nella frazione/unità enzimatiche
nella preparazione originale
- INDICE DI PURIFICAZIONE: rapporto tra attività specifica della
frazione/attività specifica preparazione originale
- ATTIVITA’ SPECIFICA: rapporto tra unità totali enzima nella
frazione/quantità totale di proteine nella frazione.
È fondamentale individuare l’attività specifica così che la quantità di proteina
o enzima di interesse sia confrontata con un valore costante (proteine
Agisco sull’ammino-terminale:
utilizzo ammino-peptidasi anch’esse presenti in diverse isoforme:
la M non lavora se l’AA è una PROLINA che però riesce a rimuovere la
ammino-peptidasi piroglutammato.
Anche qui otteniamo una curva di rilascio analoga a quella di prima.
Può capitare però che l’N-terminale sia bloccato perché l’AA in quella posizione
sia acetilato e cerco di rimuovere quest’ostacolo con l’acido trifluoroacetico o
con l’enzima acilpeptide-idrolasi.
Se non riesco a rimuovere l’acile non posso sequenziare gli AA perché la
metodica di sequenziamento inizia proprio dal N-terminale e quindi al massimo
potrò studiare la composizione degli AA e il PM della proteina.
Si possono usare degli escamotage per lo studio della composizione
aminoacidica ma in maniera indicativa e non precisa: lo
SPETTROFOTOMETRO. Sappiamo che triptofano e tirosina hanno picco di
assorbimento a 280 nm quindi se ho questo assorbimento vuol dire che nella
proteina ho questi AA, però è una conoscenza empirica.
COMPOSIZIONE AMINOACIDICA
A questo punto per conoscere l’intera composizione di AA uso idrolisi,
derivatizzazione e separazione. Questo processo viene fatto prima del
sequenziamento perché ci fornirà indicazioni sugli AA dove potremo
frammentare la nostra proteina.
- IDROLISI
Può avvenire sia in fase liquida che gassosa.
Quella gassosa riduce la probabilità di contaminazione che potrebbe
provenire anche da peptidi delle mani, consente un recupero quantitativo di AA
che sono suscettibili all’ossidazione da cui dipende il turn-over delle proteine nel
corpo, permette di trattare più campioni insieme e viene effettuata con HCl e
acido metansulfonico.
Quella in fase liquida viene fatta sia in ambiente acido che basico per
confrontare i risultati.
Per quella acida si usa una provetta liofilizzata nel vuoto per evitare
l’ossidazione all’aria e all’ozono e si usa HCl 6N per 2 giorni a 110°.
In questa alcuni AA si trasformano in altri (arginina e glutammina in aspartato e
glutammato) e alcuni come il triptofano vengono denaturati e ciò comporta
una scorretta lettura dei dati, per questo si fa una idrolisi basica con NaOH
per valutare i risultati ottenuti.
L’idrolisi potrebbe avvenire anche con enzimi proteolitici in ambienti controllati.
- DERIVATIZZAZIONE
Ora gli AA avranno il gruppo amminico libero (dopo idrolisi) e si fa reagire con
molecole che li rendano visibili a determinate lunghezze d’onda.
Può essere fatto sia pre-colonna (tratto prima gli AA con queste molecole e poi
le metto in cromatografia con loro separazione) o post-colonna.
Alcune di queste molecole sono:
- O-ftalaldeide: lega l’AA e ne dà un metabolita che emette una
radiazione fluorescente
- fenil-isotiocinato (PITC) o reattivo di Eldman: reagisce con gli AA ma
è in grado di legare l’N-terminale e produrre un derivato che viene
staccato dalla catena proteica (sarà utile nel sequenziamento)
- DASB-Cl: consente di riconoscere AA primari e secondari (i metodo di
prima solo i primari) formando derivati che danno assorbimento a 436
nm.
- ninidrina: reagisce con l’AA dando un colore violetto che assorbe a 590
nm.
Queste molecole vengono messe in eccesso e poi saranno allontanate.
- SEPARAZIONE
Moore e Stein usarono una cromatografia a scambio cationico e l’uscita dei
vari AA avveniva in base alla loro acidità.
Si può fare anche con cromatografia su strato sottile dove su un vetro
dispongo cellulosa e in presenza di un liquido (che sale per capillarità sul foglio
di cellulosa) contenente gli AA li separa in base alle diverse caratteristiche.
- SEQUENZIAMENTO
Si può agire per via enzimatica (con ammino o carbossi-peptidasi) ma è
limitata a 5-6 AA oppure per via chimica con fenil-isotiocinato (reattivo di
Eldman) che riesce a staccare sotto forma di derivato un AA alla volta dall’N-
terminale con il vantaggio che il resto della catena rimane integra.
Quindi si useranno più cicli di questa metodica fino a un max di 70 AA e visto
che ci sono proteine più lunghe di 70 AA si usano dei metodi di
frammentazione.
Questa frammentazione viene effettuata o con la TRIPSINA (taglia se trova
arginina o lisina che usano COOH per formare legame peptidico) o con la
CHIMOTRIPSINA (che taglia su fenilanalina e tirosina). Altra molecola usata per
fare dei frammenti è il bromuro di cianogeno (CNBr) che taglia quando trova
una metionina.
Lisina e arginina sono di solito molto presenti nelle proteine quindi otterrò
molti frammenti al contrario della metionina che è poco presente e avrò pochi
frammenti.
È un processo comunque molto complicato che può essere inattivato da AA
ciclici o AA acetilati sull’N-terminale. Perciò ultimamente si cerca di arrivare
al codone nucleotidico che ha sintetizzato quella proteina usando AA come il
triptofano o la metionina che sono codificati da una sola tripletta (UGA e ATC).
DOSAGGIO ENZIMATICO
Trova senso nell’ambito diagnostico: si vede che alla base di molte patologie ci
sia la mancanza di un enzima o che si abbia liberazione nel plasma di enzimi
non normalmente presenti (se non a bassissimi livelli detti basali) e che
dovrebbero altrimenti essere contenuti in cellule integre, ma vengono liberati in
grande quantità in occasione di necrosi (vedremo il caso dell’infarto del
miocardio e la liberazione di TROPONINA-I, CREATIN FOSFO CHINASI,
LATTATO DEIDROGENASI e ASPARTATO TRANSAMINASI).
La chiave di lettura del dosaggio enzimatico è: E+S ES E+P
Per fare un dosaggio enzimatico dunque occorre conoscere:
- Stechiometria della reazione enzimatica
- Se servono cofattori come NADH, NADPH, FADH2
SPETTROFOTOMETRIA
Strumento coadiuvato da una sorgente luminosa, un monocromatore e si
ottiene un raggio che incide sulla cuvetta dove c’è l’enzima. C’è poi un
rilevatore che quantifica l’eventuale assorbimento di luce. Tramite la legge di
Lambert-Beer si mette in relazione l’assorbanza con la concentrazione del
substrato.
Assorbanza= epsilon x c x lunghezza d’onda
Si può vedere la stessa cosa anche con la fosfofrutto chinasi sfruttando più
reazioni accoppiate
F6P + ATP F1,6P2 +ADP (fosfofruttochinasi)
F-1,6-P2 GLICERALDEIDE-3-P +DIIDROSSIACETON-P (aldolasi)
GLIC-3-P + Pi +NAD 1,3-BIFOSFOGLICERATO + NADH (gliceraldeide-3-P
deidrogenasi)
Si può fare lo stesso anche con l’esochinasi che produce glucosio-6-P dal
glucosio, ora con una deidrogenasi e del NADP ho formazione di NADPH e 6-P
gluconato.
Quindi con il meccanismo delle reazioni accoppiate sono in grado di collegare a
ritroso una serie di reazioni così da individuar l’attività di un enzima iniziale
mediante misurazione del prodotto finale.
SPETTROFLUORIMETRIA
Sfrutta la fluorescenza che funge da tracciante. Le molecole quando sono
colpite da una sorgente (raggi x) si eccitano e producono una radiazione con
una lunghezza diversa da quella di entrata. Conoscendo la lunghezza d’onda
uscente è possibile quantificarla.
Le caratteristiche di questa tecnica sono:
- Elevata sensibilità (più della spettrofotometria 10-9 g contro i 10-12 g
della spettrofluorimetria)
- Possibilità di usare reazioni accoppiate (NADH e NADPH sono
fluorescenti al contrario di NAD e NADP)
- Utile per dosare vitamine in alimenti, colesterolo, pesticidi
METODI RADIOISOTOPICI
Sono atomi instabili che emettono particelle per tornare allo stato energetico
di riposo.
Ogni radioisotopo ha il suo tempo di dimezzamento.
Si è usata per la galattosemia (carenza di galattochinasi a livelli così bassi che
non è individuabile con i metodi di prima). Aggiungo un galattosio marcato
(isotopo instabile 14C) e anche galattosio non marcato fino ad avere una
soluzione con concentrazione 10 volte superiore la [S].
Il galattosio marcato emette particelle beta al fine di ritornare a livelli
stabili (12C).
Si lascia lavorare l’enzima per tempo noto e poi si blocca la reazione con una
concentrazione di galattosio non marcato enorme così che l’enzima lavori
solo con questo. Ora devo discriminare tra la radioattività del galattosio
marcato che non ha reagito e quella del galattosio-1-P marcato.
Il galattosio-1-P è carico negativamente ed è filtrato con scambio ionico con
cariche positive. Quindi il galattosio marcato non verrà filtrato e verrà lavato
con dell’H2O così che nel filtro rimanga solo il galattosio-1-P marcato. Ora lo
metto in una soluzione scintillante ed emetterà luce!
Infatti in questa miscela ci sono PPO e DIMETIL POPOV che assorbono
l’energia delle particelle beta ed emettono luce che poi sarà convertita in
elettroni cioè corrente.
Quindi più corrente si forma più radioisotopo c’era e tanto più l’enzima ha
lavorato.
Questa diagnosi è sensibile e certa. Cos’ si è scoperta la galatto chinasi variante
Urbino.
LUMINOMETRIA
Un sistema di reazioni con emissione di luce che viene diretta ad un
fotomoltiplicatore che la trasforma in energia elettrica. La luce deriva da
una reazione chimica.
Si costruisce un sistema valutando l’attività dell’enzima accoppiandolo non ad
una reazione con NAD/NADH ma con la LUCIFERASI. Questa può essere di
lucciola o batterica.
È una tecnica molto selettiva fino a 10-12 g di ATP (lucciola) e NADH (batterica).
- ASPARTATO TRANSAMINASI
Catalizza la reazione: ossalacetato + glutammato aspartato + alfa-
chetoglutarato.
È legata ai mitocondri (al contrario della alanina transaminasi che è citosolica)
e impiega più tempo ad uscire.
È aspecifico e deriva da: fegato, muscolo cardiaco e scheletrico, rene e
encefalo.
Aumenta soprattutto in epatopatie (anche più dell’infarto perché c’è più
tessuto), aumenti moderati per cirrosi epatica.
- ALANINA AMINO TRANSAMINASI
Catalizza la reazione: piruvato + glutammato alanina + alfa-chetoglutarato.
È localizzata nel citosol (poco nei mitocondri) e aumenta nelle epatopatie.
Per dosare questi due enzimi posso:
- far lavorare gli enzimi e avrò bisogno oltre alle giuste condizioni (pH e
T°) dei loro substrati cioè aspartato e alfa-chetoglutarato in
concentrazione 10 volte la Km. Ora avrò prodotto l’ossalacetato che per
Il gel di poliacrilamide (PAGE) è introdotto come liquido con una siringa, poi
aggiungo monomeri di acrilamide e riboflavina che danno reazioni radicaliche e
si ha polimerizzazione. Si ottiene così la bisacrilamide che forma legami crociati
intracatena formando così un reticolato.
All’interno della struttura viscosa procedo prima con
l’isoelettrofocalizzazione: tra i due elettrodi introduco acidi poliammido-
policarbossilici (anfoliti) che se sottoposti a scarica elettrica si dispongono in
modo tale da creare un gradiente di pH. Così le proteine, che hanno il loro PI, si
sposteranno in modo da raggiungerlo e si dirigeranno verso il catodo o anodo
per poi fermarsi nel punto di pH corrispondente al loro PI.
Ora procedo con la SDS-PAGE inserendo questa nel gel di poliacrilamide; il
sodiododecilsolfato è un detergente anionico che riveste le proteine così che
le loro cariche vengano annullate, allora tutte le proteine andranno verso
l’anodo (+) e qui le discriminerò per il PM.
Ecco perché si parla di elettroforesi bidimensionale perché si combinano due
tecniche che consentono di valutare parametri diversi. È usata per l’80% delle
separazioni.
N.B. si può procedere anche con la colorazione del gel che comporterà anche
colorazione delle proteine. Poi faccio una decolorazione e il colorante resterà
legato solo alle proteine e avrò le cosiddette macchie.
Ricorda inoltre che ci sono anche altre tecniche come quella a gradiente di
porosità (quando la proteina trova il proprio limite non passa).
- CREATINFOSFOCHINASI (è un dimero)
Usato quasi esclusivamente nella diagnosi dell’infarto del miocardio, anche
se presente anche in muscolo scheletrico ed encefalo.
- FOSFATASI ALCALINA e ACIDA (ALP e ACP)
È una idrolasi in grado di staccare un gruppo fosfato da un substrato. Quella
alcalina lo fa in ambiente basico, quella acida in ambiente acido.
Quella alcalina è ubiquitaria (fegato, ossa, reni, intestino) ma ha diverse
isoforme enzimatiche che possono essere divise come prima con la
isoelettrofocalizzazione in base al PI (non si usa SDS-PAGE esattamente
come prima). Aumenta in gravidanza e sviluppo delle ossa del bambino.
È quindi associata a patologie ossee (patologia di Paget) ed epatopatie.
Effettuando un confronto del contenuto sierico si vede come in diversi pozzetti si
evidenzino le differenze quali/quantitative tra le isoforme di fosfatasi in soggetti
diversi.
- Nell’adulto sano ci sono 2 isoforme (2 bande, una più grande e una più
piccola);
- nel bambino la banda più grande coincide mentre quella che nell’adulto
era la più piccola qui sarà la più grande visto che nel bambino ce n’è di
più;
- nella donna incinta c’è un aumento di una isoforma intermedia;
- COLINESTERASI
Catalizza l’idrolisi dell’acetilcolina.
Una sua diminuzione è associata a condizione di malessere epatico che non
produce bene le proteine plasmatiche.
Può essere utile nella diagnosi di epatopatie perché i suoi livelli calano
sensibilmente quando il fegato è in condizione patologiche già da 1
settimana.
Esiste in forma normale e in forma atipica (quando viene poco sintetizzata o
quando se ne produce una poco funzionale per colpa del gene mutato).
Comunque è fondamentale valutare questo enzima prima di un intervento in
caso di somministrazione dell’anestetico (come la succinil-colina) così
da evitare fenomeni di apnea polmonare e poi si avrà bisogno di
ventilazione artificiale.
- GAMMA GLUTAMIL TRANSPEPTIDASI
È una glicoproteina legata alla membrana e coinvolta nella sintesi di glutatione.
I suoi livelli aumentano in condizione di necrosi, proliferazione cellulare o
induzione del gene (anche l’etanolo lo fa aumentare).
- AMILASI
È una classe formata da molteplici isoenzimi (60% salivare, 30% epatica). Quella
salivare aumenta in caso di orecchioni.
- ACE (ANGIOTENSIN CONVERTING ENZIME)
Aumenta se c’è un tessuto granulomatoso (lebbra, silicosi).
- MUSCOLO
L’aldolasi aumenta molto nelle miopatie ma anche in epatite acuta, infarto
del miocardio e carcinoma metastatico; quindi è riferito a diverse patologie
ma se abbinato a creatinfosfochinasi è sicuramente danno muscolare.
- MIOCARDIO
Si hanno alterazione di creatinfosfochinasi prima di tutto già da qualche ora,
ma il picco massimo arriva a 24h, poi se non ci sono altri fenomeni patologici
ritorna allo stato basale in 5 giorni.
Poi la aspartato transaminasi inizia ad aumentare in qualche ora ma il max è
raggiunto dopo 48h e poi scema in 4 giorni.
Infine, la lattato-deidrogenasi inizia ad aumentare dopo 24h e giunge al max
al 4° giorno e ci vogliono molti giorni per scendere.
Quindi così possiamo valutare non solo la diagnosi ma anche il decorso della
malattia.
Oggi con gli anticorpi monoclonali si riconosce la TROPONINA-I e poi si
valuta con metodi immunochimici (radio-immunodosaggio, elisa)
TECNICHE IMMUNOCHIMICHE
Le tecniche immunochimiche sono quelle che si occupano dello studio degli
anticorpi monoclonali a scopo diagnostico.
Il nostro sistema immunitario gode di una immunità INNATA (cellulo-mediata)
che è aspecifica e sempre attiva (costitutiva rappresentata dai macrofagi) e
una UMORALE (o acquisita) che è specifica e si attiva in presenza di
patogeni, riconosciuti come antigeni da particolari proteine chiamate
anticorpi (prodotti dai linfociti B diventati plasmacellule).
Quindi le immunoglobuline prodotte vengono riversate nel sangue e fanno
parte delle proteine plasmatiche. Quando incontrano l’antigene formano un
complesso antigene-anticorpo che consente la neutralizzazione della
tossicità del patogeno mediante precipitazione e fagocitosi o lisi.
Esistono diverse classi di immunoglobuline (IgM, D, G, A, E) di cui in alcuni casi
ancora non si conoscono le azioni (IgE liberate per allergie) che variano per la
struttura (catene leggere e pesanti).
Il nostro obiettivo è isolare anticorpi ad hoc per le nostre proteine di interesse.
Di fatto un linfocita entra in contatto con un EPITOPO antigenico e produce
delle Ig (prima le M che sono indice di risposta primaria dunque, e poi le G
che sono mature e dalle quali si formeranno le cellule della memoria).
Il nostro obiettivo sarà isolare quel dato linfocita che ha riconosciuto
l’antigene e formarne delle copie. Così saremo in grado di ottenere anticorpi
che reagiscono per esempio con un epitopo dell’esochinasi e in caso fosse
presente formerà un complesso poco solubile che noi saremo in grado di
riconoscere come precipitato.
Definiamo:
- Clone: famiglia di cellule aventi identico patrimonio genetico derivato
in maniera asessuata da una singola cellula mediante sue divisioni. Così
i linfociti produrranno un solo tipo di anticorpi!
- Epitopo: piccolo sito dell’antigene (Ag) a cui una molecola di Ig
complementare può legarsi; è costituito da 1 a 6 residui monosaccaridici o
amminoacidici presenti sulla superficie dell’Ag. (l’esochinasi pesa 100 kDa
e ha 1000 AA dunque avrà molti epitopi).
- Linfocita B: globulo bianco che per esposizione all’antigene viene
stimolato a moltiplicarsi e formare un clone di plasmacellule
sintetizzanti una Ig capace di combinarsi specificamente con un dato
epitopo. Caratteristica dei linf B è quella di non sopravvivere ai
terreni di coltura!
formato e ottenere poi la proteina con cui l’Ig si è legata). Perciò se il complesso
Ag-Ig è insolubile basta prendere il precipitato e studiarlo.
Se il complesso non è completamente insolubile (c’è rischio di falso
negativo) allora utilizzo un secondo anticorpo che è in grado di riconoscere
il primo (quello legato all’antigene) e formare un complesso insolubile
formando quindi il precipitato.
ANTICORPI MONOCLONALI
I falsi positivi dati da combinazioni casuali degli antigeni con altre proteine si
evitano con gli anticorpi monoclonali.
L’obiettivo è prelevare un linfocita sensibile ad un epitopo di un antigene, porlo
in coltura, farlo moltiplicare e ottenere milioni di anticorpi attivi contro lo
stesso epitopo antigenico. C’è un limite però che è la breve emivita dei
linfociti in vitro.
Quello che si è cercato di fare è stata una simbiosi (vantaggio reciproco) tra
linfocita e cellula di MIELOMA che in vitro ha infinite possibilità di
moltiplicarsi.
La cellula di mieloma ha la capacità di formare NUCLEOTIDI EX NOVO dal
terreno di coltura grazie alla presenza di basi piridiniche, puriniche,
deossiribosio, gruppi fosfato ecc.
Questo meccanismo è bloccato dalla AMINOPTERINA che inibisce la via
metabolica di sintesi del DNA.
C’è però un escamotage: il processo di SALVATAGGIO cioè la conversione dei
nucleotidi nel corretto acido nucleico tramite la HGPRT (ipoxantina-guanina-
fosfato-ribosil-transferasi) che consente di bypassare il blocco metabolico
della AMINOPTERINA.
Si utilizza il terreno HAT (HGPRT + AMINOPTERINA + TIMIDINA) in cui le
cellule con HGPRT crescono e le altre non lo faranno.
Si fondono le membrane della cellula di mieloma (che può riprodursi in
vitro) e di linfocita (che porta HGPRT) tramite il POLI-ETILE-GLICOLE. Questa
fusione è però casuale e avremo molte fusioni diverse:
- unione tra due linfociti morte
- linfociti soli muoiono
- c. mieloma non fuse muoiono
- 2 c. di mieloma muoiono
- ibridoma linfocita + mieloma sopravvivono
Si unisce la specificità delle reazioni Ag-Ig con la sensibilità dei specifici dosaggi
spettrofotometrici dell’attività enzimatica. Qui l’enzima è il marcatore.
Elisa ha sostituito RIA perché è più economico, meno rischioso e più semplice la
strumentazione.
Si può usare per dosare sia antigeni che anticorpi.
Per dosare gli antigeni:
a) METODO COMPETITIVO: somministro Ig e Ag marcato con un
enzima. In caso di negatività (assenza di Ag) si formerà solo il
complesso Ig-Ag-enz e dunque riconosceremo il 100% dell’attività
dell’enzima. Altrimenti in presenza di Ag (positivo) non si avrà solo il
complesso con l’Ag marcato ma anche con Ig-Ag e dunque calerà il
prodotto dell’enzima.
RADIOISOTOPI
Più volte citati i radioisotopi si sono dimostrati fondamentali per la
comprensione di molti processi biochimici.
Gli isotopi sono atomi con alterato numero di massa (protoni+ neutroni) in cui
variano solo i neutroni mentre i protoni rimangono uguali (numero atomico
rimane uguale).
Dunque, vengono emesse particelle energetiche e l’atomo decade cercando
di raggiungere la stabilità che dipende dal rapporto protoni/neutroni.
N.B. i radioisotopi usati nel RIA sono ottenuti artificialmente.
Il decadimento (processo tramite cui l’isotopo raggiunge la stabilità) può
avvenire tramite:
- emissione di NEGATRONI (β-)
- emissione di POSITRONI (β+)
- emissione di PARTICELLE α
- emissione di RAGGI γ
POSITRONI
Si ha conversione di un protone in un neutrone e un positrone, così cala il
numero di protoni mentre il numero di massa rimane invariato.
11Na10Ne+ β+
I positroni sono utilizzati in tomografia per vedere le zone attive del cervello.
PARTICELLE α
Questo si usa per elementi ad alto numero atomico. Una particella α sarebbe
l’equivalente di un atomo di elio con 2 protoni e 2 neutroni (He). Dal radio
si passa a Rn ma non finisce qui il decadimento perché si arriva fino al piombo
(Pb).
Le particelle alfa sono tossiche se ingerite!
88Ra2He+ 86Rn 82Pb
CATTURA ELETTRONICA
Un protone cattura l’elettrone più interno e reagisce con un protone
formando un neutrone ed emettendo RAGGI X. Anche qui diminuisce il
numero atomico ma non quello di massa.
53I52Te
RAGGI γ
Sono radiazioni elettromagnetiche simili ai raggi X ma a lunghezza d’onda
inferiore.
Comportano trasformazione del nucleo spesso accompagnato da emissione di
particelle alfa e beta.
Hanno basso potere IONIZZANTE (capacità di decadere in un breve lasso di
tempo e dunque a breve distanza) e alto potere PENETRANTE (capacità di
interagire con la materia).
Queste due caratteristiche sono diverse tra tutte le particelle e sono
inversamente proporzionali tra loro (se uno è alto, l’altro è basso).
Ricorda che ogni radioisotopo ha una sua emivita: tempo necessario affinché
decada del 50% di radioisotopo.
- trizio 3H emette part. Beta per 12 anni
- fosforo decade in 14 giorni
- iodio decade in 60 giorni
- l’ossigeno non si usa come radioisotopo perché decade in soli 2 minuti!
INTERAZIONI RADIOATTIVITA’-MATERIA
Una particella ingombrante come quelle alfa quando è emessa ha alta
probabilità di impattare con la materia e può determinare:
- ECCITAZIONE: quando impatta con un atomo gli rilascia energia che fa
eccitare l’elettrone ad uno stato eccitato per poi tornare allo stato stabile
emettendo LUCE
- IONIZZAZIONE: quando impatta un atomo ne eccita un elettrone ad un
livello più esterno e questo elettrone è spinto a distaccarsi dall’atomo che
di conseguenza diventa ione.