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Biochimica applicata - Appunti di lezione Tutte

BIOCHIMICA (Università degli Studi di Urbino Carlo Bo)

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BIOCHIMICA APPLICATA
Negli ultimi anni le proteine hanno acquistato sempre più importanza. Dal
progetto GENOMA UMANO grazie al quale l’intero genoma è stato sequenziato,
si è scoperta una discrepanza tra il numero di geni (circa 40mila) e quello delle
proteine (tra 100 mila e 1 milione).
Questo fenomeno si spiega con le modificazioni post-traduzionali e le interazioni
intermolecolari. Si parla quindi di PROTEOMICA.
Ricordiamo che molte proteine sono enzimi che sono in grado di catalizzare
reazioni termodinamicamente favorevoli e renderle compatibili con i tempi
biologici. Si parla dunque di METABOLOMICA.
Vedremo come i metodi di DOSAGGIO ENZIMATICO saranno fondamentali nel
diagnosticare eventuali enzimopatie e tramite queste si possa intervenire prima
che avvengano condizioni patologiche (es. nell’infarto si ha liberazione di
TROPONINA-I e se noi somministriamo un anticorpo che la riconosca possiamo
prevedere l’infarto!).
Studiare una proteina significa individuarne la struttura primaria cioè
conoscere l’esatta sequenza di AA dal N terminale al C terminale con metodi di
SEQUENZIAMENTO (si lavora poi in HPLC).
La composizione di AA ci dirà quali sono ma non come sono legati l’uno con
l’altro e la loro posizione (16 alanine, 13 triptofani ecc..)
Per conoscere la composizione di AA si effettua: IDROLISI,
DERIVATIZZAZIONE e SEPARAZIONE.
L’idrolisi richiederà del tempo in quanto il legame peptidico è alla base della
vita proprio perché è molto stabile e servirà HCl 6N a 110° per 48h.
Occorre poi derivatizzare, ossia addizionare delle molecole in modo d’avere
diverso spettro d’assorbimento dei composti che si sono formati (molecola +
AA).
Infine si avrà la scomposizione in HPLC di AFFINITA’ e si valuta ad esempio la
capacità di formare ponti disolfuro e in quel caso avremo cisteine.
Il taglio di una proteina è effettuato con distacco di 50-60 AA per volta dal N
terminale, ma risultano ancora unità troppo complesse e dunque si effettua
FRAMMENTAZIONE con enzimi proteolitici (pepsina, tripsina) così che poi dai
frammenti più corti si possa fare il SEQUENZIAMENTO.
N.B. quando formiamo la proteina a partire dai frammenti devo seguire la
corretta sequenza e allora effettuerò tagli a più livelli su due proteine uguali di
modo da fare combaciare perfettamente i pezzi.

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PROTEOMICA
Definiamo PROTEOMA come “rappresentazione QUALITATIVA E QUANTITATIVA
dell’intero pattern di espressione proteica della cellula, organismo o fluido
corporeo in condizioni ESATTAMENTE DEFINITE e controllate”.
È importante considerare le condizioni perché queste influenzano la natura e
l’espressione delle proteine: basti pensare alla loro suscettibilità a temperatura
e pH.
La proteomica e lo studio delle proteine determinano importanti implicazioni in
campi TERAPEUTICO e DIAGNOSTICO!
Dobbiamo evidenziare che GENOMA e PROTEOMA non abbiano una diretta
correlazione. Mentre il GENOMA è costante e identico per tutte le cellule di un
organismo, il PROTEOMA è dinamico nel tempo e in risposta a fattori esterni
(come le chaperonine che sono espresse con innalzamento della temperatura).
Dunque differisce in maniera sostanziale tra i diversi citotipi (glucosio-6-P
FOSFATASI non è espressa nel muscolo anche se il suo gene è presente).
Il PROTEOMA è il complemento tempo e cellulo-specifico del genoma, cioè è la
risultante delle proteine espresse in quella cellula, in quel momento e in quella
particolare condizione fisio-patologica.
Si valutano così tutte le proteine, incluse le ISOFORME e le risultanti modifiche
post-traduzionali (acetilazione, metilazione, fosforilazione, nitrazione e clivaggio
cioè taglio come per pepsinogeno che diventa pepsina se tagliato)
Ecco dunque che alla fine dei 40mila geni arrivo a 1 milione di proteine.
La strategia della proteomica è:
- individuare pattern proteico così da confrontare soggetto sano e malato
- descrivere la struttura 3D per conoscere eventuali siti d’azione per i
farmaci
La proteomica è divisa in STRUTTURALE (o classica) e FUNZIONALE
 La STRUTTURALE dà una definizione quali-quantitativa dell’aumento o
diminuzione dell’espressione in diverse condizioni cellulari (valuteremo la
presenza di macchie cioè proteine e la loro intensità di colore così da
capire le diverse condizioni cellulari anche patologiche che ne alterano
l’espressione)
 La FUNZIONALE consente di comprendere la funzione biologica e
l’associazione proteica (proteina-proteina) IN VIVO che porta al
conoscimento del meccanismo cellulare.
La proteomica strutturale studia il proteoma completo mentre la funzionale
studia gruppi più limitati di proteine.

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L’approccio classico o strutturale prevede:


1) SOLUBILIZZAZIONE del campione: si svuota la cellula del suo
contenuto e lo si porta in soluzione.
2) ISOELETTROFOCALIZZAZIONE: si ha separazione per carica.
Migrazione di molecole cariche in un campo elettrico in cui si dispone un
gel tra anodo e catodo e in cui c’è un gradiente di pH (dato dagli acidi
poliammino-policarbossilici)
Se le proteine sono in un pH al di sotto del loro PI (punto isoelettrico)
saranno protonate e andranno al catodo, se sono ad un pH al di sopra del
PI andranno verso l’anodo. Nel loro viaggio verso l’anodo/catodo
arriveranno ad un pH che è il loro PI dove saranno neutre come carica e
quindi non si muoveranno più. Così le ho divise per carica.
3) SDS-PAGE: si ha separazione per PM.
Si utilizza un detergente anionico (SDS sodio-dodecil-solfato) che
avvolge le proteine di cariche negative annullando così la carica intrinseca
di ogni proteina proveniente dai gruppi R.
Ora le proteine cariche negativamente migreranno verso l’anodo e lo
faranno attraversando un gel poroso (PAGE poli-acriammide-gel-
elettroforesi) e quelle con PM più basso lo attraverseranno più
velocemente. Il gel è formato per polimerizzazione di un liquido tra due
lastre e costituito da legami crociati che ne conferiscono caratteristiche
intermedie tra solido e liquido
Quindi avremo una prima separazione per il PI e poi le varie proteine sono
separate per PM
Successivamente si utilizza un colorante che si lega alla trama del gel e alle
proteine, una successiva decolorazione farà si che il colorante resti attaccato
alle solo proteine.
Questo metodo si chiama ELETTROFORESI BIDIMENSIONALE ed è il metodo
più efficace per separare le proteine.
La riproducibilità del pattern proteico e il confronto con dati computerizzati ne
dimostrano la affidabilità di questa procedura. Sarà dunque possibile
confrontare proteoma di un soggetto sano con quello di uno malato o di uno in
cura con un determinato farmaco.
L’approccio FUNZIONALE prevede:
l’utilizzo di una ESCA che interagisca con la proteina in esame (dopo che sia
stata purificata).
Si immerge la proteina legata ad un MARKER (glutatione-s-transferasi) nel
contesto cellulare solubilizzato e si attende che la proteina interagisca con il
proprio target. Sottopongo il tutto alla cromatografia di affinità e fermo il
marker e così blocco anche la proteina in esame con il suo target legatovi, poi
separo il marker e analizzo il substrato al quale si è legata la proteina. Tale
tecnica è detta FISHING FOR PARTNER.

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Ad ogni modo prima di determinare la struttura 1°,2° o 3° e la sua funzionalità


è essenziale effettuare la PURIFICAZIONE della proteina.
Si sceglie un metodo basandosi su criteri:
- Risoluzione e capacità: il miglior potere di separazione (risoluzione) e la
dose maggiore che si può separare (capacità). Esistono metodo molto
risolutivi ma poco capaci (discriminano benissimo tra poche proteine) e
viceversa (discriminano tra molte sostanze ma non al massimo della
purezza)
- Proprietà fisiche del composto
- Stabilità del composto: lavoro sulla proteina ma senza modificarne la
stabilità
- Visione bibliografia
- Esperienza costi e procedura
Identificata la proteina si sceglie il tessuto da cui prelevarla in modo che dia la
massima espressione. Quindi si sceglie la fonte migliore (G6P fosfatasi dal
mitocondrio per es) e poi ne induco iper-espressione in un sistema opportuno
(con vettori di clonaggio).
Per prelevare la proteina di interesse occorre rompere la cellula e si va incontro
alla OMOGENIZZAZIONE. Alla tecnica di distruzione cellulare vengo aggiunti:
- antiossidanti
- sodio azide
- inibitori degli enzimi proteolitici (liberati dai lisosomi)
- substrati enzimatici e cofattori che servono a formare dei complessi
con la proteina al fine di renderla più resistente.
A seconda del tessuto (si usa quello più ricco della nostra proteina) si useranno
differenti metodi di rottura:
- Shock osmotico: gli eritrociti si lisano in soluzioni IPER/IPOOSMOTICHE
(non in mare perché l’acqua è isoosmotica)
- Congelamento/scongelamento: il leucocita ne è sensibile
- Digestione della parete con enzimi: per cellule vegetali con lisozima
- Solubilizzazione chimica: si usa acetone e altri detergenti organici ma
non si usa perché potrebbero denaturare le proteine e perderne fino
all’80%
- Forze frizionali: si usa mortaio o agitatore di Micheal che dà agitazione
vigorosa, si usa anche un frullatore o un Potter ma visto che sviluppano
calore si usano col ghiaccio per evitare che il calore denaturi le proteine.
- Bombardamento con ultrasuoni della membrana: si usa il sonicatore
- Alta pressione: si utilizza la pressa francese per piccole quantità di
materiale mentre per le grandi la presa di Manton-Gaulin. In entrambe si
spinge la soluzione in un orifizio e si applica pressione fino a 1200 atm
con conseguente lisi cellulare.

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Ottenuto il materiale di partenza dal tessuto migliore si passa alla procedura di


purificazione che viene fatta per tentativi.
Tutte le tecniche di purificazione sfruttano le proprietà che rendono le proteine
diverse tra di loro.
Si ricava un protocollo dopo molte prove, per questo è importante la
bibliografia.
Generalmente all’inizio si procede con metodi ad elevata capacità ma poco
risolutivi, come ad esempio dialisi, adsorbimento, precipitazione e
cromatografia liquido-liquido.
Poi si introducono metodi ad alta risoluzione ma bassa capacità come la
cromatografia a scambio ionico, di esclusione, di affinità e ultimamente anche
quella ad interazioni idrofobiche.
La purificazione dunque dipende dall’estrazione dalla matrice biologica prima e
poi dall’allontanamento delle altre proteine.
Solo a questo punto poi si faranno studi di attività (funzionale) e di struttura (in
questo caso la proteina può essere anche denaturata, basta ridurre e carbossi-
metilare così la svolgo come anche i ponti disolfuro).
N.B. se la proteina è in un organello si aggiungono:
-Mg2+ se è in nucleo o mitocondri
-Agenti chelanti per metalli bivalenti che fanno da cofattori per enzimi che
così non funzioneranno
-Inibitori delle proteasi
-Agenti riducenti come glutatione e mercaptoetanolo che si opporranno al
danno ossidativo

Importante è dunque prevenire la degradazione proteica da parte di enzimi


proteolitici.
Si procede con il dosaggio di questi enzimi che sono sospesi in soluzione dopo la
rottura dei lisosomi. Questi possono essere o endopeptidasi (taglio all’interno
della catena) o esopeptidasi (attacca il legame peptidico sulle estremità).
È possibile conoscere la quantità di questi enzimi proteolitici:
- si può usare AZEOCASEINA che se tagliata libera componenti che danno
un colore specifico
- si possono usare dei RADIOISOTOPI che marcano il substrato
Una volta conosciuta la dose di proteasi si fa sì che non completino la loro
azione.
Ad esempio alcune metallo-proteasi hanno bisogno di metalli bivalenti per
funzionare e noi possiamo complessarli con EDTA per esempio, oppure
l’esochinasi ha bisogno di Mg2+ per funzionare e se noi glielo togliamo non
funzionerà più.
Si possono inoltre usare degli inibitori delle proteasi.
Chiaramente nella purificazione della mia proteina non devo avere interferenti:

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- Nella cromatografia a gel di filtrazione gli inibitori delle proteasi


rimangono in colonna perché si perdono nei vari percorsi
- Nella precipitazione con solfato d’ammonio avremo la precipitazione
delle sole proteine mentre gli inibitori rimarranno in soluzione. Quindi una
volta risolubilizzato il precipitato andranno rimessi gli inibitori delle
proteasi.
Ricorda che la presenza di un sale determina precipitazione della
proteina, ma essa una volta messa di nuovo in sospensione mantiene
intatta la sua attività biologica (così verranno vendute sotto forma di
precipitato)
- Nel percorso di diluizione di una proteina può avvenire che le sub-unità di
cui era formata si dissocino e allora aggiungerò materiale addensante.
Passo fondamentale rimane comunque l’ESTRAZIONE DELLA PROTEINA e si
deve considerare la sua localizzazione cellulare:
- Per la cellula vegetale devo rompere la parete (peptidasi cellulari)
- Se sono proteine ESTRINSECHE di membrana (come i recettori)
avranno con questa un legame ionico e posso usare la competizione
ionica aggiungendo semplice NaCl e agendo con cicli di
congelamento/scongelamento.
- Se sono proteine INTRINSECHE di membrana (come le 7tm) aggiungo
degli emulsionanti come l’SDS (sodio dodecil solfato) che deterge la
proteina annullandone la carica intrinseca perché la avvolge di cariche
negative, rendendola molto idrofila e facendola staccare dalla
membrana.
- Se la proteina è in un organello subcellulare si utilizza la
CENTRIFUGAZIONE ANALITICA (tecnica che con la spettrofotometria di
massa riesce a determinare il corretto PM. Si può usare anche la
cromatografia ad esclusione molecolare dove le molecole più grandi
vengono eluite prima e se aggiungo delle proteine a PM noto, posso
usarle come campione per misurare un PM relativo cioè se ho proteine
note di 35 e 55 kDa e la mia proteina viene eluita in mezzo avrà un peso
intermedio vicino a 45).
La centrifuga analitica è una tecnica PREPARATIVA: separa ed isola organelli
subcellulari così da avere poi a che fare solo con le proteine di quell’organello.
OMOGENIZZATO DI FEGATO= si rompe la membrana dell’epatocita senza
intaccare gli organelli e metto tutta la sospensione in centrifuga che imposto a
diverse velocità:
- 1000 gravità separa un SOVRATANTE e il precipitato è la frazione
nucleare
- 3300 gravità il precipitato è la frazione mitocondriale
- 16300 gravità il precipitato è la frazione lisosomiale
- 100000 gravità il precipitato è la frazione microsomiale.

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Così facendo con una centrifugazione differenziale sono riuscito a isolare i


vari organelli come tali e ho operato una notevole semplificazione della
procedura di partenza, senza cui mi sarei dovuto occupare di tutto il contenuto
cellulare!
Ma oltre a separare organelli subcellulari si possono anche separare intere
popolazioni cellulari.
Infatti si possono creare delle stratificazioni a concentrazione diversa e
aggiungendo degli eritrociti si osserva come essa si distribuisca secondo un
gradiente osmotico perché si depositano dove trovano la tessa osmolarità.
Lavorando con proteine devo sempre lavorare a condizioni controllate però
per ovviare alla denaturazione e lavorare con materiali inerti come il cloruro di
cesio che è usato per isolare plasmidi e DNA.
Una volta estratte le proteine si procede alla loro separazione in funzione alle
varie differenze:
- Stabilità in un dato ambiente
- Solubilità e precipitazione
- Carica: le proteine possono essere più o meno cariche, gli AA hanno un
pH che è il PI in cui sono sotto forma di zwitterione. La carica delle
proteine però dipenderà dai gruppi R perché COO- e NH3+ formano il
legame peptidico e l’alfa-elica o il foglietto-beta con legami ad idrogeno
- Esclusione molecolare: in base al PM
- Affinità: le proteine riconoscono altre molecole in maniera specifica (es. i
loro substrati)
- Idrofobicità: separazione in base a sequenze idrofobiche.

Abbiamo già visto come l’analisi delle proteine richieda una metodica ben
precisa:
- occorre scegliere il tessuto in cui la proteina di interesse sia
maggiormente espressa
- procedere alla rottura cellulare e formazione dell’omogenizzato
ponendo tutto in soluzione
- si può fare una preselezione scegliendo il solo organello in cui è
localizzata la proteina (centrifuga).
Occorre porre molta attenzione ai valori che ricaviamo:
- RESA: rapporto tra unità enzimatiche nella frazione/unità enzimatiche
nella preparazione originale
- INDICE DI PURIFICAZIONE: rapporto tra attività specifica della
frazione/attività specifica preparazione originale
- ATTIVITA’ SPECIFICA: rapporto tra unità totali enzima nella
frazione/quantità totale di proteine nella frazione.
È fondamentale individuare l’attività specifica così che la quantità di proteina
o enzima di interesse sia confrontata con un valore costante (proteine

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totali) altrimenti se ci accontentiamo della concentrazione basterebbe una


diluizione per alterare il valore!
Nella misura delle proteine totali uso una MISURAZIONE RELATIVA fatta cioè
tramite il confronto con uno standard (in genere l’albumina sierica detta
BSA).
Di fatto si costruisce una retta di taratura dove a concentrazioni note e
crescenti di BSA corrisponderà un aumento di un parametro ad esempio
l’ASSORBANZA così che poi si potrà utilizzare per la nostra preparazione a
concentrazione incognita di proteine.
Ad ogni modo noi possiamo quantificare il contenuto proteico mediante vari
metodi ANALITICI:

 ASSORBIMENTO LUCE ULTRAVIOLETTA


Serve per riconoscere proteine con AA aromatici (triptofano e tirosina) che
hanno spettro di assorbimento a 280 nm. È una misurazione empirica
perché ci sono proteine con più di questi AA rispetto ad altre.
Ha un limite di sensibilità di 10 microgrammi/ml.
C’è interferenza con gli acidi nucleici perché questi assorbono a 260 nm.
Comunque è sufficiente fare una approssimazione per ricavare il valore più
vicino al contenuto totale di proteine che ho.
Il vantaggio è che non è un metodo distruttivo e permette misurazioni in
continuo nel tempo.
 METODO DI LOWRY
Si utilizza un reattivo utilizzato in questo metodo colorimetrico che in
maniera empirica ci dà indicazioni sul contenuto di proteine.
Il reagente sviluppa colorazione porpora-blu a contatto con il gruppo
fenolico delle tirosine.
È il metodo più diffuso, la sensibilità è 10 microgrammi/ml ma può dare
interferenze con EDTA.
 METODO DEL BLU DI COOMASIE
È un colorante che si complessa con la proteina e sviluppa un picco di
assorbimento a 595 nm, dopo si ha decolorazione della trama e il colorante
rimarrà attaccato alle solo proteine determinando le macchie.
Rimane attaccato alle proteine perché si lega con gli AA basici. Il colore
non si deteriora col tempo.
 METODO DI SILVER-BINDING
Si basa sulla capacità delle proteine di legare l’argento. È molto sensibile fino
a 200 microgrammi/ml. Può subire interferenze di molti fattori ed è costoso.
 METODO DEL BIURETO

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Ioni rameici formano un legame di coordinazione con i gruppi amminici e


ciò porta allo sviluppo di colore assorbibile a 540 nm. Ha una scarsa
sensibilità e serviranno quindi molte proteine.
 METODO DI KJELDAHL
Si misura l’azoto nel composto (nelle proteine è circa il 16% in peso). Ormai
non si usa più.
 METODI TURBIDOMETRICI
Misurano il grado di torbidità della soluzione, non si usa più neanche questo.

Una volta nota la quantità totale di proteine devo eseguire la PURIFICAZIONE e


dunque devo sfruttare la differenza di caratteristiche tra le varie proteine
(stabilità, solubilità, carica, dimensione, affinità e idrofobicità).
Dalla combinazione di ciò, filtro le proteine in base a tali caratteristiche e vado a
salvaguardare solo la mia proteina di interesse.
Prima di applicare i metodi altamente RISOLUTIVI (elettroforesi con
conseguente western Blotting o cromatografia) è bene ridurre il carico delle
proteine totali, per ciò effettuo il FRAZIONAMENTO (non frammentazione
che è effettuata quando si vuole la sequenza di AA della proteina).
Si sfrutta dunque l’alterazione della stabilità delle proteine andando ad agire
sulla temperatura e sul pH in presenza di detergenti (come etanolo ed
acetone) e metalli pesanti.
Si induce la PRECIPITAZIONE di proteine (tramite calore o aggiungendo soluti
organici che diano mascheramento dei gruppi idrofobici dando così l’opportunità
di formare legami ionici tra i gruppi carichi che fanno calare la solubilità come
succede per l’anemia falciforme) e precipitazione al punto isoelettrico in cui
si hanno minori effetti repulsivi e dunque maggiori interazioni intermolecolari
che consentono la formazione di aggregati insolubili.
Il metodo di frazionamento più valido è sicuramente il SALTING IN/OUT in cui
si effettuano interventi sulle proteine in modo tale da esaltarne la solubilità
(salting in) o la insolubilità (out).
Un esempio è il recupero della proteina TAT (fondamentale per l’HIV) in cui
sfrutta la precipitazione con solfato d’ammonio.
Si vede come fino a circa metà del sale totale usato si ha precipitazione delle
proteine di non interesse, queste andranno tolte e diamo la quantità di solfato
d’ammonio tale da far precipitare la nostra proteina di interesse.
Il processo di base è che le proteine sono diversamente sensibili alle
concentrazioni di un sale. A questo punto in soluzione avremo la proteina TAT e
il sale che maschererà le cariche della proteina e in caso si volesse poi usare la
CRMOATOGRAFIA A SCAMBIO IONICO sarà necessario filtrare il sale prima
oppure usare una membrana semipermeabile tramite cui esce solo il sale
(dialisi).

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Nel caso i cui invece volessimo utilizzare la cromatografia ad interazione


idrofobica la presenza del sale sarebbe un vantaggio in quanto
sottrarrebbe acqua alla struttura proteica scoprendo così porzioni
idrofobiche che di solito sono interne alla struttura proteica e che ne
facilitano l’interazione.
A rigor di logica l’uso di solfato d’ammonio va fatto se si prevede l’uso di
quest’ultima tecnica cromatografica al fine che si abbiamo meno passaggi
perché non servirebbe filtrare.
Effettuate le tecniche di frazionamento per ridurre la carica proteica (metodi
molto capaci ma poco risolutivi) si passa alla purificazione:

 CROMATOGRAFIA A SCAMBIO IONICO


Si sfrutta una fase stazionaria (FS) costituita da una matrice in cui aderiscono
per forza elettrostatica dei controioni che saranno successivamente sostituiti
dalle proteine che arriveranno.
Sarà a scambio anionico se la matrice presenterà delle cariche positive
(basi protonate) a cui aderiranno cariche negative (Cl-) che poi saranno
scambiate con proteine aventi cariche negative.
Sarà a scambio cationico se la matrice avrà cariche negative (acidi
deprotonati) e i controioni saranno cariche positive (Na+) che saranno
scambiate da gruppi carichi positivamente delle proteine.
Le proteine si legheranno con intensità proporzionale alla loro densità
di carica.
A questo punto posso effettuare una ulteriore discriminazione (la prima tra
cariche + e – mentre la seconda tra proteine con la stessa carica ma che
differiscono dalla densità di carica) aggiungendo in fase mobile (FM)
concentrazioni via via crescenti di sale così da solvatare gradualmente le
interazioni ioniche createsi.. le prime a venire rilasciate e dunque le prime ad
essere eluite saranno le proteine con legami più deboli cioè con meno
interazioni ioniche formate e poi man mano quelle con più interazioni e
quindi che hanno un legame con la FS più saldo.
Questa tecnica prende il nome di HPLC se si usa il silice come materiale della
FS che crea un impaccamento tale da impedire il normale passaggio della FM se
non con alta pressione e avrà quindi una maggiore risoluzione!

 CROMATOGRAFIA AD ESCLUSIONE MOLECOLARE


Sfrutta il principio in base al quale le molecole ad elevato PM hanno una
maggiore velocità di eluizione perché non si perdono nelle sfere (che sono
la FS) e dunque vengono eluite prima di proteine piccole che si intercalano
nelle sfere.
È utilizzata per:
- purificazione di enzimi, proteine, ormoni ecc

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- determinazione della massa relativa di una proteina (tramite


inserimento di proteine a PM noto posso costruire una retta di taratura e
determinare se ha PM maggiore o minore della nostra proteina nota in
base al tempo di eluizione)
- conoscenza meccanismo d’azione (valutare ad esempio se è una
proteina monomerica o dimerica e in tal caso vedrò che ci mette il doppio
del tempo)
- concentrare la soluzione (raccolgo la proteina in un volume di solvente
più piccolo)
- dissalazione (per allontanare il solfato d’ammonio infatti questo ha PM
più basso e verrà eluito per ultimo rispetto alle proteine).

 CROMATOGRAFIA AD INTERAZIONE IDROFOBICA


Sfrutta la capacità di AA idrofobici di interagire con una FS apolare;
successivamente si aggiunge una FM via via meno polare così da consentire il
rilascio dapprima degli AA meno idrofobici e infine di quelli più idrofobici
che quindi avranno fatto più legami con la FS e saranno più saldamente
legati (come prima nello scambio ionico).
Le interazioni idrofobiche infatti, tramite residui apolari, danno vita a forze di
Van Der Waals che sommate tra loro possono essere anche molto stabili ma
che di per sé sono interazioni molto deboli.
 CROMATOGRAFIA AD AFFINITA’
Sfrutta le interazioni specifiche tra FS e particolare proteina.
Un esempio è lo studio della glicogeno fosforilasi che si assocerà al glucosio
(adeso alla FS).
Questo dava però un problema di ingombro sterico (l’enzima per agirà deve
arrivare facilmente al suo substrato e la matrice impediva ciò facendo da
ingombro sterico).
Allora si decise di distanziare il glucosio dalla matrice con una catena
carboniosa di 4 atomi e si vide che l’interazione con l’enzima era facilitata.
Allora si provò con una catena di 8 atomi e si vide che il complesso enzima-
glucosio era talmente stabile che non si riusciva più a staccarli per
competizione con una FM e dunque capirono che ciò avveniva perché l’enzima
dava un ulteriore legame di tipo idrofobico con lo spaziatore ad 8 atomi di
carbonio e così nacque la cromatografia ad interazione idrofibica.
Abbiamo definito la cromatografia di affinità come metodo che garantisce il
più alto grado di purificazione (infatti è usata alla fine di solito).
Usata per la prima volta nel 1910 per misurare l’amilasi usando l’amido come
ligando nella FS. Nel 1967 si usa una matrice polisaccaridica (agarosio o
destrano) attivata con bromuro di cianogeno (CNBr) e associata con un
ligando che ci interagiva grazie alla presenza di un gruppo amminico
primario. Nel 1972 fu introdotto il SEPHAROSE 4B (matrice di agarosio).

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Stocchi la sfruttò per associarvi la glucosammina (con gr. Amminico 1° che


quindi si legava alla matrice) che presentava il glucosio che è il substrato
dell’esochinasi che dunque poteva associarvisi selettivamente. Si ottiene così
una purificazione che va da 1000 a 300000 volte.
Si ottiene una PURIFICAZIONE all’OMOGENITA’.
Ricordiamo che l’agarosio è un polimero fatto da galattosio e galattosio
anidro che produce un materiale gelatinoso che è caratterizzato da regolarità
di porosità.
Quindi lo schema è matrice + ligando (che formano la FS) a cui si legherà la
proteina di interesse.
Dunque, la matrice deve:
- avere gruppi chimici adatti e in numero sufficiente per legare
covalentemente il ligando (glucosio)
- essere stabile al legame con la macromolecola sua successiva eluizione
(per evitare che la FM interagisca e modifichi la matrice)
- non deve dare interazioni con altre molecole (deve essere inerte)
- buone proprietà di flusso (essere compatta senza creare percorsi
preferenziali, dunque particelle uniformi nella porosità).
Il ligando deve
- esibire una affinità di legame specifica e reversibile
- avere gruppi modificabili chimicamente per venire legato alla matrice
senza alterare la sua capacità di legare la proteina (il glucosio deve
poter legame il gr. Amminico diventando glucosammina che interagisce
comunque con l’esochinasi).
N.B. ricorda il problema sterico che si verificava: glucosammina può associarsi
all’esochinasi solo se c’è un distanziatore formato da una catena carboniosa
se no ci sono fenomeni di ingombro sterico per l’attacco dell’enzima dovuti dalla
presenza della matrice e all’alto impacchettamento della glucosammina.
Quindi una volta che si è associato il ligando alla matrice e che c’è stata
interazione tra ligando e proteina dobbiamo effettuare l’eluizione della
proteina di interesse e avremo 3 modi per farlo:
1) Si adopera un TAMPONE DEFORMANTE (cambio della FM) che incida in
maniera definitiva sulla struttura della proteina così che perda l’affinità
con il ligando e si distacchi da esso; una volta eluita si riporta in un
tampone ottimale così che ristabilisca la propria struttura originaria.
2) Si sfrutta la COMPETIZIONE TRA LIGANDI: si fa passare in colonna un
ligando rispetto al quale la proteina di interesse abbia una affinità
maggiore del ligando a cui è legata così che si distacchi da esso, si leghi
a questo secondo ligando e venga eluita così.
3) Si sfrutta la COMPETIZIONE TRA PROTEINE: si fa passare in colonna
una proteina che sia più affine al ligando legato alla matrice della
mia proteina di interesse la quale si staccherà e verrà così eluita.

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Quindi è di fondamentale importanza che l’interazione ligando-proteina sia


SPECIFICA (in modo che le altre proteine che viaggiano in colonna non si
leghino e vengano così eluite subito) ma anche REVERSIBILE (così da poter
facilmente recuperare quella proteina).
Così otteniamo purificazioni fino alla omogeneità e recupero molto elevato (così
la resa sarà sempre idonea cioè non verranno perse delle proteine nel
processo).
La cromatografia di affinità ci consente di
- purificare sostanze da matrici complesse
- purificare e separare forme native da forme di proteine denaturate
(quelle denaturate non si legheranno al ligando)
- rimuovere piccole quantità di materiale biologico da grandi quantità di
materiale contaminante (decontaminare materiale biologico).
Possono essere usati come ligandi:
- antigeni cui si associano anticorpi
- cofattori che si associano a enzimi
- ormoni che si associano a recettori
- polinucleotidi cui si associano acidi nucleici
- LECTINE cui si associano GLICOCONIUGATI

Vediamo alcuni esempi:


- PURIFICARE ACIDI NUCLEICI: si possono riconoscere mRNA che hanno
coda poli-adeninica (AAAA) se nella matrice abbiamo come ligando una
coda poli-timidinica (TTTT) sfruttando l’interazione tra basi
complementari. Si può usare anche l’interazione con gli istoni per il
DNA.
- come legando può essere usato anche un METALLO e garantisce
selettività nei confronti di molte molecole (interferone, albumina,
ribonucleasi) per interagire con i gruppi IMIDAZOLICI dell’istidina, quelli
TIOLICI della cisteina o quelli INDOLICI del triptofano.
- si possono usare anche gli anticorpi monoclonali marcati con un
elemento paramagnetico che poi saranno riconosciuti con una calamita e
porterà con sé l’antigene cui si è legato.
- SELEZIONARE POPOLAZIONI CELLULARI: immaginiamo di avere
cellule che legano una glicoproteina di membrana e altre no. Queste si
legano con le LECTINE. Se pongo in FS come ligando un anticorpo per
le lectine (antilectina) quest’ultime saranno fermate e con loro le
cellule con le glicoproteine cui sono attaccate; poi per l’eluizione utilizzo
uno zucchero competitivo che si lega alla lectina così che la cellula sia
rilasciata. Le LECTINE sono proteine prodotte da animali, piante e muffe
che legano carboidrati (glicoproteine). Sono utili nella purificazione di
recettori proteici di membrana. Il loro utilizzo può essere condotto in

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presenza di un sale (quindi è ottimo se prima ho fatto il salting in/out


col solfato d’ammonio).

A questo punto possiamo procedere con lo studio della proteina.


Si effettua con metodica precisa:
1) Scelta tessuto: quello che esprima la massima quantità di proteina
incognita
2) Omogenazione: si fa l’omogenizzato della cellula tenendo conto delle
condizioni che possono denaturare la proteina (aggiungo potere riducente
per esempio)
3) Purificazione: insieme di pratiche che abbiamo visto per ottenere solo la
proteina di interesse
Studio proteina strutturale:
Se è costituita da più catene queste devono essere prima separate.
Si effettua riduzione e carbossi-metilazione dei ponti disolfuro se
presenti.
Una aliquota di proteina è usata per studiare gli AA N e C-terminali, un’altra
per studiare la composizione cioè il numero di AA e quali sono senza però
saperne la posizione (si usa idrolisi, derivatizzazione e separazione).
L’ultima aliquota è usata per lo studio della sequenza di AA (si sfrutta la
frammentazione differenziata cioè si effettuano più metodi di
frammentazione differenti in modo da poter effettuare poi un ri-alleneamento e
tornare alla corretta sequenza di AA quando vado a ricomporre la proteina).
A) Neutralizzo i ponti disolfuro con urea e mercaptoetanolo (ora la
struttura è lineare perché ho rotto i –S-S-) e poi aggiungo iodio-acetato
che interagisce con gli –SH in modo che siano stabili e di non riformare più
–S-S-. Vengono aggiunti sotto forma di sali che sono rimossi in HPLC
B) Effettua una serie di reazioni sfruttando la reattività dei gruppi ammidici,
carbossilici e gr. R dei vari AA così da identificare la sequenza degli AA. Ad
esempio posso ridurre COOH del C-terminale con litio alluminio (LiAlH4) ad
alcol che sarà quindi facilmente visualizzabile.
Quindi agisco direttamente al C-terminale:
uso delle carbossi-peptidasi (esopeptidasi che staccano AA dal c-terminale),
ce ne sono 3 isoforme:
- la A stacca facilmente AA alifatici e aromatici ma si blocca su LISINA e
ARGININA
- la B stacca velocemente LISINA e ARGININA ma si blocca con AA neutri
- la C e la gamma rimuovono tutto
Si ottiene così una curva di rilascio molto complessa che indica la condizione
degli AA rilasciati in corrispondenza della carbossi-peptidasi usata, la curva è
però di difficile lettura e si usa per un max di 5-6 AA.

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Agisco sull’ammino-terminale:
utilizzo ammino-peptidasi anch’esse presenti in diverse isoforme:
la M non lavora se l’AA è una PROLINA che però riesce a rimuovere la
ammino-peptidasi piroglutammato.
Anche qui otteniamo una curva di rilascio analoga a quella di prima.
Può capitare però che l’N-terminale sia bloccato perché l’AA in quella posizione
sia acetilato e cerco di rimuovere quest’ostacolo con l’acido trifluoroacetico o
con l’enzima acilpeptide-idrolasi.
Se non riesco a rimuovere l’acile non posso sequenziare gli AA perché la
metodica di sequenziamento inizia proprio dal N-terminale e quindi al massimo
potrò studiare la composizione degli AA e il PM della proteina.
Si possono usare degli escamotage per lo studio della composizione
aminoacidica ma in maniera indicativa e non precisa: lo
SPETTROFOTOMETRO. Sappiamo che triptofano e tirosina hanno picco di
assorbimento a 280 nm quindi se ho questo assorbimento vuol dire che nella
proteina ho questi AA, però è una conoscenza empirica.

COMPOSIZIONE AMINOACIDICA
A questo punto per conoscere l’intera composizione di AA uso idrolisi,
derivatizzazione e separazione. Questo processo viene fatto prima del
sequenziamento perché ci fornirà indicazioni sugli AA dove potremo
frammentare la nostra proteina.
- IDROLISI
Può avvenire sia in fase liquida che gassosa.
Quella gassosa riduce la probabilità di contaminazione che potrebbe
provenire anche da peptidi delle mani, consente un recupero quantitativo di AA
che sono suscettibili all’ossidazione da cui dipende il turn-over delle proteine nel
corpo, permette di trattare più campioni insieme e viene effettuata con HCl e
acido metansulfonico.
Quella in fase liquida viene fatta sia in ambiente acido che basico per
confrontare i risultati.
Per quella acida si usa una provetta liofilizzata nel vuoto per evitare
l’ossidazione all’aria e all’ozono e si usa HCl 6N per 2 giorni a 110°.
In questa alcuni AA si trasformano in altri (arginina e glutammina in aspartato e
glutammato) e alcuni come il triptofano vengono denaturati e ciò comporta
una scorretta lettura dei dati, per questo si fa una idrolisi basica con NaOH
per valutare i risultati ottenuti.
L’idrolisi potrebbe avvenire anche con enzimi proteolitici in ambienti controllati.
- DERIVATIZZAZIONE
Ora gli AA avranno il gruppo amminico libero (dopo idrolisi) e si fa reagire con
molecole che li rendano visibili a determinate lunghezze d’onda.

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Può essere fatto sia pre-colonna (tratto prima gli AA con queste molecole e poi
le metto in cromatografia con loro separazione) o post-colonna.
Alcune di queste molecole sono:
- O-ftalaldeide: lega l’AA e ne dà un metabolita che emette una
radiazione fluorescente
- fenil-isotiocinato (PITC) o reattivo di Eldman: reagisce con gli AA ma
è in grado di legare l’N-terminale e produrre un derivato che viene
staccato dalla catena proteica (sarà utile nel sequenziamento)
- DASB-Cl: consente di riconoscere AA primari e secondari (i metodo di
prima solo i primari) formando derivati che danno assorbimento a 436
nm.
- ninidrina: reagisce con l’AA dando un colore violetto che assorbe a 590
nm.
Queste molecole vengono messe in eccesso e poi saranno allontanate.
- SEPARAZIONE
Moore e Stein usarono una cromatografia a scambio cationico e l’uscita dei
vari AA avveniva in base alla loro acidità.
Si può fare anche con cromatografia su strato sottile dove su un vetro
dispongo cellulosa e in presenza di un liquido (che sale per capillarità sul foglio
di cellulosa) contenente gli AA li separa in base alle diverse caratteristiche.
- SEQUENZIAMENTO
Si può agire per via enzimatica (con ammino o carbossi-peptidasi) ma è
limitata a 5-6 AA oppure per via chimica con fenil-isotiocinato (reattivo di
Eldman) che riesce a staccare sotto forma di derivato un AA alla volta dall’N-
terminale con il vantaggio che il resto della catena rimane integra.
Quindi si useranno più cicli di questa metodica fino a un max di 70 AA e visto
che ci sono proteine più lunghe di 70 AA si usano dei metodi di
frammentazione.
Questa frammentazione viene effettuata o con la TRIPSINA (taglia se trova
arginina o lisina che usano COOH per formare legame peptidico) o con la
CHIMOTRIPSINA (che taglia su fenilanalina e tirosina). Altra molecola usata per
fare dei frammenti è il bromuro di cianogeno (CNBr) che taglia quando trova
una metionina.
Lisina e arginina sono di solito molto presenti nelle proteine quindi otterrò
molti frammenti al contrario della metionina che è poco presente e avrò pochi
frammenti.
È un processo comunque molto complicato che può essere inattivato da AA
ciclici o AA acetilati sull’N-terminale. Perciò ultimamente si cerca di arrivare
al codone nucleotidico che ha sintetizzato quella proteina usando AA come il
triptofano o la metionina che sono codificati da una sola tripletta (UGA e ATC).

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Infine, si effettua il riallineamento dei frammenti: si utilizzano appositamente


metodi di frammentazione diversi l’uno dagli altri per avere delle linee guida
nella ricostruzione della proteina.

DOSAGGIO DEI NUCLEOTIDI


Facciamo riferimento alla metabolomica cioè studio dei metaboliti espressi dal
proteoma nella cellula. Questo studio richiede un arresto dell’attività cellulare
proteica quindi enzimatica per evitare che si abbia alterazione dei metaboliti.
Si agisce con diversi metodi in base a ciò che vogliamo studiare ma comunque
si escludono le proteine!
- BOLLITURA: così che le proteine precipitino e poi ricavo gli intermedi
metabolici, però ciò che rimane è opaco!
- ACIDO TRIFLUOROACETTICO: consente precipitazione quando la
possibilità di dosare gli intermedi metabolici dipende da un ENZIMA
- ACIDO PERCLORICO: produce un sovranatante che contiene intermedi
limpidi (nucleotidi in questo caso)
- IDROSSIDO DI BARIO e SOLFATO DI ZINCO: si utilizzano per gli
zuccheri in modo che non ci siano interferenti.
- ESTRAZIONE BASICA: per nucleotidi piridinici.
Stocchi e Cucchiarini volevano studiare i nucleotidi adeninici e timidinici e
usarono l’acido perclorico, però in ambiente acido NAD si ossida a NADH dunque
usarono una estrazione alcalina e poi un filtro per recuperare i nucleotidi.
Quindi con un’unica prodcedura (anziché usare reazioni accoppiate) si poteva
conoscere la CARICA ENERGETICA (ATP, ADP, AMP) e STATO REDOX (NADH,
NADPH). Poi si calcolava la carica energetica e valutarono se essa cambiava con
l’età del globulo rosso e poi usarono l’HPLC per avere una fotocopia istantanea
dei vari ATP ecc...

DOSAGGIO ENZIMATICO
Trova senso nell’ambito diagnostico: si vede che alla base di molte patologie ci
sia la mancanza di un enzima o che si abbia liberazione nel plasma di enzimi
non normalmente presenti (se non a bassissimi livelli detti basali) e che
dovrebbero altrimenti essere contenuti in cellule integre, ma vengono liberati in
grande quantità in occasione di necrosi (vedremo il caso dell’infarto del
miocardio e la liberazione di TROPONINA-I, CREATIN FOSFO CHINASI,
LATTATO DEIDROGENASI e ASPARTATO TRANSAMINASI).
La chiave di lettura del dosaggio enzimatico è: E+S ES E+P
Per fare un dosaggio enzimatico dunque occorre conoscere:
- Stechiometria della reazione enzimatica
- Se servono cofattori come NADH, NADPH, FADH2

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- La costante di Michealis (Km) in cui nel rapporto


SUBSTRATO/COFATTORE c’è un punto in cui si ha SATURAZIONE
dell’enzima e quindi se all’inizio la velocità è substrato dipendente,
poi diventa enzima dipendente (la Vmax aumenta solo se aumento
l’enzima ad un certo punto).
- Valutare pH e temperatura ottimale del lavoro dell’enzima
- Disponibilità di metodi analitici per misurare la scomparsa di
substrato e la comparsa di prodotto (se non si forma il prodotto e il
substrato non diminuisce, l’enzima non sta lavorando)
Nel dosare la quantità di enzima si deve utilizzare un riferimento con parametro
confrontabile (enzima per numero di cellule); quindi pur diluendo la soluzione,
l’attività specifica dell’enzima rimane invariata: conc enzima/conc
emoglobina resta uguale come rapporto anche se diluisco la soluzione.
Il dosaggio enzimatico si basa sulla misurazione in condizioni controllate della
velocità di consumo del substrato e la velocità di ottenimento del prodotto.
Per fare queste valutazioni si dà subito una concentrazione di substrato 10 volte
la concentrazione saturante l’enzima così di essere sicuri di essere subito
alla Vmax che dipende solo dalla quantità enzimatica (che conosciamo dalla
Km).
Si possono fare dosaggi enzimatici:
- in CONTINUO in cui ad ogni istante valuto come varia l’attività enzimatica
in funzione del tempo.
- in DISCONTINUO in cui si attende un certo intervallo di tempo in modo
che l’enzima abbia modo di lavorare. Si usa per enzimi con una attività
bassa o quando ho poco enzima!
-
I metodi analitici utilizzati sono:
- Spettrofotometria UV-VIS
- Spettrofluorimetria
- Luminiscenza
- Radioisotopi
- Immunochimici
Sono scritti con una sensibilità alle concentrazioni di proteina crescente
(immunochimici sono i più sensibili).

SPETTROFOTOMETRIA
Strumento coadiuvato da una sorgente luminosa, un monocromatore e si
ottiene un raggio che incide sulla cuvetta dove c’è l’enzima. C’è poi un
rilevatore che quantifica l’eventuale assorbimento di luce. Tramite la legge di
Lambert-Beer si mette in relazione l’assorbanza con la concentrazione del
substrato.
Assorbanza= epsilon x c x lunghezza d’onda

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Capita però che substrato e prodotto subiscono modificazioni ma che la loro


chimica ne permettano comunque l’assorbimento alla stessa lunghezza
d’onda e quindi secondo questa tecnica non ci sarebbero modificazioni del
valore dell’assorbanza e quindi risulterebbe che l’enzima non stia lavorando
quando invece non è così!
Glucosio + ATPglucosio6P + ADP
In questa reazione, catalizzata dall’esochinasi, si ha che glucosio e glucosio-6P
sono praticamente uguali.
Per ovviare a questo problema si possono utilizzare degli ANALOGHI
SINTETICI.
Es. la maltasi scinde il legame tra 2 glucosi e non potremo quantificarne
l’attività, ma se al glucosio leghiamo il para-nitrofenolo, alla scissione con la
maltasi avremo una colorazione gialla e per sapere quanta maltasi c’è basta
quantificare la concentrazione di p-nitrofenolo con la legge di Lambert-Beer.
Oppure posso usare delle REAZIONI ACCOPPIATE.
Es. l’isocitrato liasi scinde l’isocitrato in succinato e gliossilato che assorbono
alla stessa lunghezza d’onda, ma se aggiungo dinitrofenilidrazina questa
reagisce con il gliossilato formando un idrazone che dà colorazione arancione.
In genere le reazioni accoppiate più utilizzate sono quelle che utilizzano i
COENZIMI NICOTINICI (per ossidare NAD/NADH e per ridurre NADP/NADPH).
Si nota infatti che il NAD e il NADP abbiano spettro di assorbimento massimo a
260 nm mentre il NADH e il NADPH assorbano anche a 340 nm oltre che a
260 nm.
Quindi si accoppiano reazioni il cui enzima utilizzi NAD come cofattore così che
se l’enzima lavora allora posso valutarlo con la curva di assorbimento a 340
nm.
Es. la piruvato chinasi converte il PEP in piruvato però in questa reazione non si
noterebbero variazioni sull’assorbimento di substrato e di prodotto e allora
effettuerò una reazione accoppiata.
Metto in soluzione anche NADH e la lattato deidrogenasi che, se la piruvato
chinasi lavora e produce piruvato ha il suo substrato che trasforma in lattato
liberando NAD+ che viene rilevato con la scomparsa del picco di assorbimento a
340 nm.
PEP + ADP  PIRUVATO + ATP (piruvato chinasi)
PIRUVATO + NADH  LATTATO + NAD+ (lattato deidrogenasi)

Si può vedere la stessa cosa anche con la fosfofrutto chinasi sfruttando più
reazioni accoppiate
F6P + ATP  F1,6P2 +ADP (fosfofruttochinasi)
F-1,6-P2  GLICERALDEIDE-3-P +DIIDROSSIACETON-P (aldolasi)
GLIC-3-P + Pi +NAD  1,3-BIFOSFOGLICERATO + NADH (gliceraldeide-3-P
deidrogenasi)

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NADH osservabile a 340 nm.

Si può fare lo stesso anche con l’esochinasi che produce glucosio-6-P dal
glucosio, ora con una deidrogenasi e del NADP ho formazione di NADPH e 6-P
gluconato.
Quindi con il meccanismo delle reazioni accoppiate sono in grado di collegare a
ritroso una serie di reazioni così da individuar l’attività di un enzima iniziale
mediante misurazione del prodotto finale.

SPETTROFLUORIMETRIA
Sfrutta la fluorescenza che funge da tracciante. Le molecole quando sono
colpite da una sorgente (raggi x) si eccitano e producono una radiazione con
una lunghezza diversa da quella di entrata. Conoscendo la lunghezza d’onda
uscente è possibile quantificarla.
Le caratteristiche di questa tecnica sono:
- Elevata sensibilità (più della spettrofotometria 10-9 g contro i 10-12 g
della spettrofluorimetria)
- Possibilità di usare reazioni accoppiate (NADH e NADPH sono
fluorescenti al contrario di NAD e NADP)
- Utile per dosare vitamine in alimenti, colesterolo, pesticidi

Gli svantaggi sono che è influenzata dalla temperatura e dallo


smorzamento del raggio che potrebbe entrare in contatto con altre molecole
ed è anche per questo che si usa per una bassa quantità di molecole.

Gli utilizzi sono:


- Studio di struttura delle proteine infatti il triptofano è fluorescente
o si aggiungono gruppi fluorescenti che derivatizzano i gruppi amminici.
- Studio struttura di membrana (così si è scoperta la fosforilazione
ossidativa)
- Dosaggio AA, ormoni, trigliceridi.

METODI RADIOISOTOPICI
Sono atomi instabili che emettono particelle per tornare allo stato energetico
di riposo.
Ogni radioisotopo ha il suo tempo di dimezzamento.
Si è usata per la galattosemia (carenza di galattochinasi a livelli così bassi che
non è individuabile con i metodi di prima). Aggiungo un galattosio marcato
(isotopo instabile 14C) e anche galattosio non marcato fino ad avere una
soluzione con concentrazione 10 volte superiore la [S].
Il galattosio marcato emette particelle beta al fine di ritornare a livelli
stabili (12C).

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Si lascia lavorare l’enzima per tempo noto e poi si blocca la reazione con una
concentrazione di galattosio non marcato enorme così che l’enzima lavori
solo con questo. Ora devo discriminare tra la radioattività del galattosio
marcato che non ha reagito e quella del galattosio-1-P marcato.
Il galattosio-1-P è carico negativamente ed è filtrato con scambio ionico con
cariche positive. Quindi il galattosio marcato non verrà filtrato e verrà lavato
con dell’H2O così che nel filtro rimanga solo il galattosio-1-P marcato. Ora lo
metto in una soluzione scintillante ed emetterà luce!
Infatti in questa miscela ci sono PPO e DIMETIL POPOV che assorbono
l’energia delle particelle beta ed emettono luce che poi sarà convertita in
elettroni cioè corrente.
Quindi più corrente si forma più radioisotopo c’era e tanto più l’enzima ha
lavorato.
Questa diagnosi è sensibile e certa. Cos’ si è scoperta la galatto chinasi variante
Urbino.

LUMINOMETRIA
Un sistema di reazioni con emissione di luce che viene diretta ad un
fotomoltiplicatore che la trasforma in energia elettrica. La luce deriva da
una reazione chimica.
Si costruisce un sistema valutando l’attività dell’enzima accoppiandolo non ad
una reazione con NAD/NADH ma con la LUCIFERASI. Questa può essere di
lucciola o batterica.

-Lucciola: si usa ATP


GLUCOSIO + ATP  G6P + ADP (esochinasi)
Se aggiungo la luciferina, in presenza di ATP e luciferasi porta a:
LUCIFERINA + ATP +O2  OSSILUCIFERASI + AMP + PPi + LUCE
Quindi se si ha la produzione di luce vuole dire che l’esochinasi non sta
funzionando perché c’è ATP.

-Batterica: qui si usa NAD e NADH e servirà anche un’aldeide


MALATO + NAD  OSSALACETATO + NADH +H+ (malato deidrogenasi)
Qui si produce poco NADH e quindi non si possono usare i metodi di prima.
NADH + H+ + FMN  FMNH2 + NAD+
FMNH2 + RCOH + O2 FMN + RCOOH + H2O + LUCE (luciferasi batterica)

È una tecnica molto selettiva fino a 10-12 g di ATP (lucciola) e NADH (batterica).

Tutte queste tecniche sono in grado di effettuare diagnosi di patologie.


Si valuta il loro aumento in siero (plasma privo di componenti coagulanti), succhi
digestivi, feci.

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L’enzima nel sangue non ha una valenza fisiologica ma è determinato da una


rottura cellulare.
Ricorda però che ci saranno comunque dei livelli basali di enzimi nel plasma.
Le cause dell’aumento dei livelli basali di enzima nel plasma sono:
- Aumento mobilizzazione enzimi cellulari: in caso di infiammazione
(epatiti rilascio aspartato transaminasi) o necrosi (come nell’infarto del
miocardio)
- Incremento sintesi enzimatica: mancato controllo della fuoriuscita
degli enzimi dalla cellula dovuto a sovrapproduzione degli stessi o
attivazione di un gene (es. iperplasia con le gamma GT)
- Diminuita escrezione urinaria: a causa di patologie renali si ha
accumulo di enzimi (es. amilasi)
Nella lettura di valori enzimatici si deve tener conto di eventuali distorsioni del
quadro enzimatico:
- Diversa localizzazione intracellulare (enzimi citosolici o mitocondriali)
- Diversa velocità di fuoriuscita (quelli citosolici usciranno prima)
- Diversa inattivazione extracellulare (diversa resistenza proteolitica)
- Diversa eliminazione renale (la clearance varia da enzima a enzima.
Notiamo come alcuni enzimi siano ORGANO-SPECIFICI (come gli ossei o quelli
della prostata) mentre altri sono ORGANO-ASPECIFICI e non consentono una
univoca lettura dei dati (aspartato o alanina transaminasi, lattato deidrogenasi,
fosfatasi alcalina).
A volte ci sono degli aumenti enzimatici fisiologici come quelli delle donne in
gravidanza in cui aumenta la fosfatasi alcalina perché ha funzione
OSTEOCLASTICA per formare le ossa del feto.

- ASPARTATO TRANSAMINASI
Catalizza la reazione: ossalacetato + glutammato aspartato + alfa-
chetoglutarato.
È legata ai mitocondri (al contrario della alanina transaminasi che è citosolica)
e impiega più tempo ad uscire.
È aspecifico e deriva da: fegato, muscolo cardiaco e scheletrico, rene e
encefalo.
Aumenta soprattutto in epatopatie (anche più dell’infarto perché c’è più
tessuto), aumenti moderati per cirrosi epatica.
- ALANINA AMINO TRANSAMINASI
Catalizza la reazione: piruvato + glutammato  alanina + alfa-chetoglutarato.
È localizzata nel citosol (poco nei mitocondri) e aumenta nelle epatopatie.
Per dosare questi due enzimi posso:
- far lavorare gli enzimi e avrò bisogno oltre alle giuste condizioni (pH e
T°) dei loro substrati cioè aspartato e alfa-chetoglutarato in
concentrazione 10 volte la Km. Ora avrò prodotto l’ossalacetato che per

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decarbossilazione mi da piruvato. Se metto in soluzione la


dinitrofenilidrazina forma l’idrazone col piruvato che ha colorazione bruna
in ambiente basico.
- posso usare anche delle reazioni accoppiate con lo
spettrofotometro: dopo aver prodotto l’ossalacetato metto in soluzione
la malato deidrogenasi e il NADH, ora si avrà reazione con questi e
produrrò malato e NAD e potrò vedere che la curva di assorbimento a 340
nm scende.
Uguale si può fare con l’alanina transaminasi che dopo aver prodotto
piruvato uso la lattato deidrogenasi che mi produrrà lattato e NAD.
- LATTATO DEIDROGENASI
Responsabile della fermentazione lattica, normalmente si trova nel citosol ed è
ubiquitaria ma ha comunque alto valore diagnostico.
Infatti esistono diversi isoenzimi di questo enzima ognuno dei quali
riconducibili ad un singolo organo.
- LDH1 infarto del miocardio
- LDH2  danno polmonare
- LDH3 danno polmonare
- LDH5 danno epatico.
La tecnica usata per discriminarli è l’elettroforesi bidimensionale che
consiste nella successione di due separazioni, la prima è
l’isoelettrofocalizzazione che permette di separarle in base al diverso PI, la
seconda è la SDS-PAGE che le discrimina in base al PM.
Nel caso delle isoforme abbiamo differenze di un solo AA e ciò non influisce
molto sul PM quanto sulla densità di carica.
Il metodo elettroferetico determina il movimento delle molecole cariche
all’interno di un campo elettrico prodotto in un circuito chiuso con un tampone
che impedisce il contatto tra catodo (-) e anodo (+).
Quando carico il pattern proteico devo fare in modo che gli isoenzimi si
separino.
Una volta separati i vari isoenzimi devo andare a vederne la quantità e per fare
ciò bagno la striscia di acetato di cellulosa con lattato e NAD così che nella zona
in cui c’è l’isoforma essa lavori e formi il piruvato e il NADH il quale in presenza
di sale tetrazolio forma un colorante: il formazano; in base all’intensità del
colore nella banda (ogni isoforma ne ha una) valuto la quantità delle diverse
isoforme. Una volta separati i vari isoenzimi devo andare a vederne la quantità
Il problema è che se si aggiunge del liquido tra le bande gli isoenzimi si
mescolano nel fluido e si perde la risoluzione. Si è pensato di stabilizzare il
campo con un supporto meccanico poroso come la carta da filtro solo che ciò va
bene per molecole piccole come gli AA ma non per le macromolecole come le
proteine.
Allora si pone nella cella elettroforetica un gel scegliendo quello più adatto.
Questi gel vengono formati direttamente all’interno delle due lastre.

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Il gel di poliacrilamide (PAGE) è introdotto come liquido con una siringa, poi
aggiungo monomeri di acrilamide e riboflavina che danno reazioni radicaliche e
si ha polimerizzazione. Si ottiene così la bisacrilamide che forma legami crociati
intracatena formando così un reticolato.
All’interno della struttura viscosa procedo prima con
l’isoelettrofocalizzazione: tra i due elettrodi introduco acidi poliammido-
policarbossilici (anfoliti) che se sottoposti a scarica elettrica si dispongono in
modo tale da creare un gradiente di pH. Così le proteine, che hanno il loro PI, si
sposteranno in modo da raggiungerlo e si dirigeranno verso il catodo o anodo
per poi fermarsi nel punto di pH corrispondente al loro PI.
Ora procedo con la SDS-PAGE inserendo questa nel gel di poliacrilamide; il
sodiododecilsolfato è un detergente anionico che riveste le proteine così che
le loro cariche vengano annullate, allora tutte le proteine andranno verso
l’anodo (+) e qui le discriminerò per il PM.
Ecco perché si parla di elettroforesi bidimensionale perché si combinano due
tecniche che consentono di valutare parametri diversi. È usata per l’80% delle
separazioni.
N.B. si può procedere anche con la colorazione del gel che comporterà anche
colorazione delle proteine. Poi faccio una decolorazione e il colorante resterà
legato solo alle proteine e avrò le cosiddette macchie.
Ricorda inoltre che ci sono anche altre tecniche come quella a gradiente di
porosità (quando la proteina trova il proprio limite non passa).
- CREATINFOSFOCHINASI (è un dimero)
Usato quasi esclusivamente nella diagnosi dell’infarto del miocardio, anche
se presente anche in muscolo scheletrico ed encefalo.
- FOSFATASI ALCALINA e ACIDA (ALP e ACP)
È una idrolasi in grado di staccare un gruppo fosfato da un substrato. Quella
alcalina lo fa in ambiente basico, quella acida in ambiente acido.
Quella alcalina è ubiquitaria (fegato, ossa, reni, intestino) ma ha diverse
isoforme enzimatiche che possono essere divise come prima con la
isoelettrofocalizzazione in base al PI (non si usa SDS-PAGE esattamente
come prima). Aumenta in gravidanza e sviluppo delle ossa del bambino.
È quindi associata a patologie ossee (patologia di Paget) ed epatopatie.
Effettuando un confronto del contenuto sierico si vede come in diversi pozzetti si
evidenzino le differenze quali/quantitative tra le isoforme di fosfatasi in soggetti
diversi.
- Nell’adulto sano ci sono 2 isoforme (2 bande, una più grande e una più
piccola);
- nel bambino la banda più grande coincide mentre quella che nell’adulto
era la più piccola qui sarà la più grande visto che nel bambino ce n’è di
più;
- nella donna incinta c’è un aumento di una isoforma intermedia;

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- in soggetti con patologia di Paget compare una seconda banda molto


più grande.
N.B. nel primo pozzetto di inserisce una miscela di proteine sieriche (albumina
ecc) per avere un riferimento.
N.B. dopo l’elettroforesi c’è il passaggio del BLOTTING (trasferimento): si
trasferisce la proteina dal gel ad un altro materiale (nitrocellulosa). Si può avere
WESTERN blotting per la proteina, SOUTHERN per il DNA. NORTHERN per
l’RNA.
La fosfatasi acida aumenta in condizione di patologia prostatica (no donna
quindi) anche se si può trovare in epatopatie e anche ossee.

- COLINESTERASI
Catalizza l’idrolisi dell’acetilcolina.
Una sua diminuzione è associata a condizione di malessere epatico che non
produce bene le proteine plasmatiche.
Può essere utile nella diagnosi di epatopatie perché i suoi livelli calano
sensibilmente quando il fegato è in condizione patologiche già da 1
settimana.
Esiste in forma normale e in forma atipica (quando viene poco sintetizzata o
quando se ne produce una poco funzionale per colpa del gene mutato).
Comunque è fondamentale valutare questo enzima prima di un intervento in
caso di somministrazione dell’anestetico (come la succinil-colina) così
da evitare fenomeni di apnea polmonare e poi si avrà bisogno di
ventilazione artificiale.
- GAMMA GLUTAMIL TRANSPEPTIDASI
È una glicoproteina legata alla membrana e coinvolta nella sintesi di glutatione.
I suoi livelli aumentano in condizione di necrosi, proliferazione cellulare o
induzione del gene (anche l’etanolo lo fa aumentare).
- AMILASI
È una classe formata da molteplici isoenzimi (60% salivare, 30% epatica). Quella
salivare aumenta in caso di orecchioni.
- ACE (ANGIOTENSIN CONVERTING ENZIME)
Aumenta se c’è un tessuto granulomatoso (lebbra, silicosi).

Vediamo ora gli enzimi SPECIFICI associabili ad un determinato organo o


tessuto.
- TESSUTO OSSEO
La fosfatasi alcalina che pur aumentando in condizioni fisiologiche, è
associata ad una iperattività osteoclastica propria di condizioni patologiche
quali fratture, rachitismo, sarcoma osteogenetico, mieloma e morbo di
Paget.
- PANCREAS

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L’amilasi pancreatica che interviene nella rottura dei legami alfa-1,4


dell’amido. L’amilasi è anche prodotta dalle ghiandole salivari e dalle tube di
Falloppio. Aumenta in caso di pancreatite acuta/cronica, occlusione
intestinale, coliche biliari, ulcera gastrica, parotite.
- PROSTATA
La fosfatasi acida, benché ubiquitaria, è riconducibile al carcinoma
prostatico (anche se c’è lieve aumento in carcinoma mammario, itteri e morbo
di Paget).
- FEGATO
Danni al fegato vengono determinati da:
- In caso di riduzione della secrezione di fattori di coagulazione
(oltre alla colinesterasi)
- In caso di citolisi (aspartato e alanina transaminasi, ornitina
carbamiltransferasi)
- In caso di colon-stasi (mancato svuotamento vie biliari) tramite la
fosfatasi alcalina (quindi non solo per tessuto osseo ma se aumenta con
il gamma glutamil transpeptidasi si capisce che c’è danno epatico), 5-
nucleotiolasi, leucin amino transferasi e gamma glutamil
transferasi.

- MUSCOLO
L’aldolasi aumenta molto nelle miopatie ma anche in epatite acuta, infarto
del miocardio e carcinoma metastatico; quindi è riferito a diverse patologie
ma se abbinato a creatinfosfochinasi è sicuramente danno muscolare.
- MIOCARDIO
Si hanno alterazione di creatinfosfochinasi prima di tutto già da qualche ora,
ma il picco massimo arriva a 24h, poi se non ci sono altri fenomeni patologici
ritorna allo stato basale in 5 giorni.
Poi la aspartato transaminasi inizia ad aumentare in qualche ora ma il max è
raggiunto dopo 48h e poi scema in 4 giorni.
Infine, la lattato-deidrogenasi inizia ad aumentare dopo 24h e giunge al max
al 4° giorno e ci vogliono molti giorni per scendere.
Quindi così possiamo valutare non solo la diagnosi ma anche il decorso della
malattia.
Oggi con gli anticorpi monoclonali si riconosce la TROPONINA-I e poi si
valuta con metodi immunochimici (radio-immunodosaggio, elisa)

N.B. un metodo per valutare il danno ad un organo è anche quello di saggiarne


l’efficienza e funzionalità. Il fegato è il biotrasformatore di glucosio e allora
se il soggetto è sano e noi somministriamo del glucosio in abbondanza non
dovrebbero esserci problemi né di glicemia né di glicosuria. Anche per il
galattosio si valuta l’attività epatica misurando eventuale galattosuria.

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TECNICHE IMMUNOCHIMICHE
Le tecniche immunochimiche sono quelle che si occupano dello studio degli
anticorpi monoclonali a scopo diagnostico.
Il nostro sistema immunitario gode di una immunità INNATA (cellulo-mediata)
che è aspecifica e sempre attiva (costitutiva rappresentata dai macrofagi) e
una UMORALE (o acquisita) che è specifica e si attiva in presenza di
patogeni, riconosciuti come antigeni da particolari proteine chiamate
anticorpi (prodotti dai linfociti B diventati plasmacellule).
Quindi le immunoglobuline prodotte vengono riversate nel sangue e fanno
parte delle proteine plasmatiche. Quando incontrano l’antigene formano un
complesso antigene-anticorpo che consente la neutralizzazione della
tossicità del patogeno mediante precipitazione e fagocitosi o lisi.
Esistono diverse classi di immunoglobuline (IgM, D, G, A, E) di cui in alcuni casi
ancora non si conoscono le azioni (IgE liberate per allergie) che variano per la
struttura (catene leggere e pesanti).
Il nostro obiettivo è isolare anticorpi ad hoc per le nostre proteine di interesse.
Di fatto un linfocita entra in contatto con un EPITOPO antigenico e produce
delle Ig (prima le M che sono indice di risposta primaria dunque, e poi le G
che sono mature e dalle quali si formeranno le cellule della memoria).
Il nostro obiettivo sarà isolare quel dato linfocita che ha riconosciuto
l’antigene e formarne delle copie. Così saremo in grado di ottenere anticorpi
che reagiscono per esempio con un epitopo dell’esochinasi e in caso fosse
presente formerà un complesso poco solubile che noi saremo in grado di
riconoscere come precipitato.
Definiamo:
- Clone: famiglia di cellule aventi identico patrimonio genetico derivato
in maniera asessuata da una singola cellula mediante sue divisioni. Così
i linfociti produrranno un solo tipo di anticorpi!
- Epitopo: piccolo sito dell’antigene (Ag) a cui una molecola di Ig
complementare può legarsi; è costituito da 1 a 6 residui monosaccaridici o
amminoacidici presenti sulla superficie dell’Ag. (l’esochinasi pesa 100 kDa
e ha 1000 AA dunque avrà molti epitopi).
- Linfocita B: globulo bianco che per esposizione all’antigene viene
stimolato a moltiplicarsi e formare un clone di plasmacellule
sintetizzanti una Ig capace di combinarsi specificamente con un dato
epitopo. Caratteristica dei linf B è quella di non sopravvivere ai
terreni di coltura!

N.B. le tecniche immunochimiche hanno sia scopo diagnostico (positività o no


vista se si forma il complesso) che preparativo (recuperare il complesso

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formato e ottenere poi la proteina con cui l’Ig si è legata). Perciò se il complesso
Ag-Ig è insolubile basta prendere il precipitato e studiarlo.
Se il complesso non è completamente insolubile (c’è rischio di falso
negativo) allora utilizzo un secondo anticorpo che è in grado di riconoscere
il primo (quello legato all’antigene) e formare un complesso insolubile
formando quindi il precipitato.

Si possono ottenere degli anticorpi POLICLONALI.


Pensiamo ad esempio dell’esochinasi che ha 1000 AA e visto che l’epitopo è di
circa 5 AA, avremo circa 200 linfociti che riconosceranno questo enzima e
ognuno produrrà un Ig che riconoscerà lo stesso enzima ma in punti diversi
(si parla quindi di siero policlonale). Questa condizione può dare origine a falsi
positivi! Gli anticorpi policlonali si ottengono per moltiplicazione in vivo.
Se mettiamo un Ag in un coniglio dopo 10 g avremo una certa quantità di IgM,
ad una seconda iniezione di Ag otterremo dopo 3 g la produzione di IgG e dopo
altri 10 g si avrà risposta massima cioè una quantità di Ig da 3 a 10 volte
superiori rispetto alla prima iniezione.
Se continuiamo a fare iniezioni otterremo una condizione di IPER-IMMUNITA’.
Tuttavia esistono componenti debolmente antigeniche e anche qui adottiamo
degli escamotage:
- estendere il tempo di espressione
- fare iniezioni ripetute
- far sì che depositi di Ag precipitato (con solfato d’ammonio) siano
risolubilizzati e aumentino il tempo di contatto con l’organismo
- aggiungere adiuvanti cioè molecole batteriche che stimolino il
sistema immunitario (S.I.) a dare una risposta immunitaria. Ci sono
due tipi di adiuvanti: quello completo in cui si inietta il micobatterio
tubercolosi inattivato dove come contro si potrebbero formare granulomi;
quello incompleto dove non si usano batteri e si avrà una risposta solo
umorale.
- combinazioni di molecole che attivano la risposta immunitaria
come il MURAMIL-PEPTIDE. Questo lo uso quando l’antigene non è in
grado di evocare tale risposta e sarà detto APTENE mentre l’altra
molecola sarà il carrier. Ora avrò risposta immunitaria ad entrambe le
molecole. Da un aptene si ottengono 6 tipi di Ig diverse.

ANTICORPI MONOCLONALI
I falsi positivi dati da combinazioni casuali degli antigeni con altre proteine si
evitano con gli anticorpi monoclonali.
L’obiettivo è prelevare un linfocita sensibile ad un epitopo di un antigene, porlo
in coltura, farlo moltiplicare e ottenere milioni di anticorpi attivi contro lo
stesso epitopo antigenico. C’è un limite però che è la breve emivita dei
linfociti in vitro.

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Quello che si è cercato di fare è stata una simbiosi (vantaggio reciproco) tra
linfocita e cellula di MIELOMA che in vitro ha infinite possibilità di
moltiplicarsi.
La cellula di mieloma ha la capacità di formare NUCLEOTIDI EX NOVO dal
terreno di coltura grazie alla presenza di basi piridiniche, puriniche,
deossiribosio, gruppi fosfato ecc.
Questo meccanismo è bloccato dalla AMINOPTERINA che inibisce la via
metabolica di sintesi del DNA.
C’è però un escamotage: il processo di SALVATAGGIO cioè la conversione dei
nucleotidi nel corretto acido nucleico tramite la HGPRT (ipoxantina-guanina-
fosfato-ribosil-transferasi) che consente di bypassare il blocco metabolico
della AMINOPTERINA.
Si utilizza il terreno HAT (HGPRT + AMINOPTERINA + TIMIDINA) in cui le
cellule con HGPRT crescono e le altre non lo faranno.
Si fondono le membrane della cellula di mieloma (che può riprodursi in
vitro) e di linfocita (che porta HGPRT) tramite il POLI-ETILE-GLICOLE. Questa
fusione è però casuale e avremo molte fusioni diverse:
- unione tra due linfociti  morte
- linfociti soli  muoiono
- c. mieloma non fuse  muoiono
- 2 c. di mieloma  muoiono
- ibridoma linfocita + mieloma  sopravvivono

Dopo 10-15 g solo gli ibridomi saranno rimasti e avremo che:


alcuni non producono le Ig, altri producono Ig non di nostro interesse e
altri producono quelle di nostro interesse.
Gli ibridomi che non producono le Ig si occuperanno solo della riproduzione e
dunque sono individuabili perché sono i più numerosi come aggregati e vado
ad escluderli.
Le altre due vengono discriminate tramite una piastra con dei pozzetti in cui per
la probabilità andranno a svilupparsi le Ig e poi individuo quelle di interesse. Se
ho 100 pozzetti in 100 ml e 100 cellule ho una buona probabilità che in un
pozzetto finisca solo una Ig. Ora vado a fare uno screening dei pozzetti e scelgo
solo quello con il nostro Ig di interesse.
Comunque questa è una ampia diluizione.
Ricapitolando noi somministriamo Ag in un topo ad esempio aspettando che
produca linfociti e a questo punto faccio fonderli con le cellule di mieloma in
un terreno HAT e facilito ciò aggiungendo BIOTINA alla cellula di mieloma e
AVIDINA al linfocita B così da aumentare la formazione di ibridomi (proteine ad
alta affinità tra loro) e facilitando la fusione delle membrane con scariche
elettriche.
Una applicazione può essere nell’individuazione di patologie a carico di dei
reni causata dall’accumulo sostanze tossiche nel glomerulo, captati

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dall’ambiente di lavoro. Si manifesta la nefropatia quando ormai il danno è


avanzato. Occorre un metodo tempestivo, si può agire con le Ig monoclonali
prodotte da un particolare antigene renale in presenza del quale si forma il
complesso che può essere facilmente individuato e quindi si fa diagnosi. È
chiaro che queste metodiche devono essere applicate su vasta popolazione ed
essere maneggevoli e a basso costo.
N.B. sarebbe lo strumento ideale per identificare anticorpi del COVID-19 in
soggetti anche asintomatici ovviando all’uso di tamponi. (IgM se la risposta è
prematura, IgG e è vecchia).
Ora grazie agli anticorpi monoclonali prodotti posso fare delle analisi
qualitative (positività o no se formano complesso) e quantitative (vedo
quanto Ag c’è).

Per fare questa valutazione QUANTITATIVA sfrutto 4 tecniche:


1) RIA: DOSAGGIO RADIOIMMUNOLOGICO che si basa sulla specificità
(propria delle reazioni immunologiche) e sulla sensibilità (propria dei
radioisotopi). È una analisi a saturazione e a spostamento competitivo.
Si somministra Ig pura e Ag marcato con iodio-125 che è beta-emittente
(Agm) e si possono avere diverse possibilità:
- Non c’è Ag nel soggetto (dunque negativo) e si forma solo
complesso Ig-Ag con l’Ag marcato da noi e si riscontra la massima
radioattività:
4Ig+4Agm 4Ig-Agm (100%)
- C’è Ag nel soggetto (positivo) e c’è competizione per l’Ig e si forma sia
il complesso marcato che non:
4Ig+4Ag+4Agm 2Ig-Ag+2Ig-Agm+2Ag+2Agm (50%)
- C’è molto Ag nel soggetto (positivo) e ho rapporto 3:1
4Ig+4Agm+12Ag 1Ig-Agm+ 3Ig-Ag+9Ag+3Agm (25%)
Notiamo che se non allontaniamo la componente antigenica marcata che non
ha reagito essa resta in soluzione e determina comunque una radioattività
del 100%. Quindi vado ad eliminare gli Ag marcati che non hanno formato il
complesso e poi misuro la radioattività.
I vantaggi del RIA sono:
- si può dosare qualunque antigene che può essere marcato
- elevata sensibilità
- elevata specificità e precisione
Gli svantaggi sono:
- costo elevato dell’apparecchiatura
- radioisotopi sono pericolosi perché emettono radiazioni per
migliaia di anni!

2) ELISA (enzime linker immuno sorbent assey)

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Si unisce la specificità delle reazioni Ag-Ig con la sensibilità dei specifici dosaggi
spettrofotometrici dell’attività enzimatica. Qui l’enzima è il marcatore.
Elisa ha sostituito RIA perché è più economico, meno rischioso e più semplice la
strumentazione.
Si può usare per dosare sia antigeni che anticorpi.
Per dosare gli antigeni:
a) METODO COMPETITIVO: somministro Ig e Ag marcato con un
enzima. In caso di negatività (assenza di Ag) si formerà solo il
complesso Ig-Ag-enz e dunque riconosceremo il 100% dell’attività
dell’enzima. Altrimenti in presenza di Ag (positivo) non si avrà solo il
complesso con l’Ag marcato ma anche con Ig-Ag e dunque calerà il
prodotto dell’enzima.

b) METODO DEL DOPPIO ANTICORPO: somministro Ig e un secondo Ig


marcato con un enzima, in caso di negatività non si formerà il
complesso Ig-Ag e il secondo Ig (legato ad un enzima) non si assocerà
ad un altro epitopo di quell’antigene per cui alla fine nella piastra troviamo
solo il primo Ig. Quindi valuto se si è formato il complesso Ig-Ag vedendo
se l’enzima del secondo IG che si lega allo stesso Ag funziona.
Per dosare gli anticorpi:
c) AMPLIFICAZIONE ENZIMATICA: somministro Ag che in caso di presenza
di Ig formerà il complesso, ora aggiungo un secondo Ig marcato con un
enzima che si lega al primo Ig (se c’è) e dunque determina attività
enzimatica. È un po’ il contrario del metodo di prima dove si valutava la
presenza dell’antigene mentre qui valuto la presenza del primo Ig.
L’enzima che viene usato è la fosfatasi il cui substrato è il NADP a cui stacca il
gruppo fosfato facendolo diventare NAD. Ora aggiungo al sistema un secondo
enzima come la alcol deidrogenasi e l’etanolo. L’enzima lavora e forma
acetaldeide e NADH. Ora metto un terzo enzima cioè la DIAFORASI che
forma a partire dallo iodio-nitro-tetrazolo e dal NADH un colorante rosso che
è il FORMAZANO.
Da un NAD si formeranno 500 molecole di formazano (sistema sensibile).

3)PRECIPITAZIONE: è un’altra tecnica che ci consente di individuare la


formazione del complesso Ig-Ag. Si utilizza una piastra di agar con due
pozzetti in cui carico Ig (o Ag) e nel caso sia presente l’altro vedo come attorno
al pozzetto si creerà un gradiente di concentrazione; si avrà che in presenza
sia di Ag che Ig le due orbite si incontreranno e nella zona si sovrapposizione si
formerà il complesso Ag-Ig evidenziato dalla presenza di precipitato.
4)IMMUNOFLUORESCENZA: ultima tecnica immunochimica in cui si marcano
gli Ig con gruppi cromofori che producono luce a lunghezze d’onda nell’UV
(fluorescenza luce verde, rodomina luce arancio, fluorescenza naturale luce blu).

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RADIOISOTOPI
Più volte citati i radioisotopi si sono dimostrati fondamentali per la
comprensione di molti processi biochimici.
Gli isotopi sono atomi con alterato numero di massa (protoni+ neutroni) in cui
variano solo i neutroni mentre i protoni rimangono uguali (numero atomico
rimane uguale).
Dunque, vengono emesse particelle energetiche e l’atomo decade cercando
di raggiungere la stabilità che dipende dal rapporto protoni/neutroni.
N.B. i radioisotopi usati nel RIA sono ottenuti artificialmente.
Il decadimento (processo tramite cui l’isotopo raggiunge la stabilità) può
avvenire tramite:
- emissione di NEGATRONI (β-)
- emissione di POSITRONI (β+)
- emissione di PARTICELLE α
- emissione di RAGGI γ

Ogni tipo di particella ha un potere ionizzante (capacità di interagire con la


materia, generalmente molecole grandi e che fanno meno percorso) e un
potere penetrante (molecole più piccole che viaggiano di più e data la loro
dimensione hanno meno probabilità di impattare con la materia). Queste due
caratteristiche sono inversamente proporzionali tra loro.
NEGATRONI
Si ha conversione di un neutrone in un protone e un negatrone (come se
fosse un elettrone), così aumenta Z (n di protoni) e A (n di massa) rimane
invariato.
Ricorda che il numero di protoni determina le caratteristiche chimiche
dell’atomo e se il carbonio aumenta di protoni (da 6 a 7) diventa azoto
e torna alla stabilità.
Per raggiungere questa stabilità ci vogliono 5000 anni ed è usato per datare
l’età delle rocce.
6C7N+ β-

POSITRONI
Si ha conversione di un protone in un neutrone e un positrone, così cala il
numero di protoni mentre il numero di massa rimane invariato.
11Na10Ne+ β+

I positroni sono utilizzati in tomografia per vedere le zone attive del cervello.

PARTICELLE α

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Questo si usa per elementi ad alto numero atomico. Una particella α sarebbe
l’equivalente di un atomo di elio con 2 protoni e 2 neutroni (He). Dal radio
si passa a Rn ma non finisce qui il decadimento perché si arriva fino al piombo
(Pb).
Le particelle alfa sono tossiche se ingerite!
88Ra2He+ 86Rn 82Pb

CATTURA ELETTRONICA
Un protone cattura l’elettrone più interno e reagisce con un protone
formando un neutrone ed emettendo RAGGI X. Anche qui diminuisce il
numero atomico ma non quello di massa.
53I52Te

RAGGI γ
Sono radiazioni elettromagnetiche simili ai raggi X ma a lunghezza d’onda
inferiore.
Comportano trasformazione del nucleo spesso accompagnato da emissione di
particelle alfa e beta.
Hanno basso potere IONIZZANTE (capacità di decadere in un breve lasso di
tempo e dunque a breve distanza) e alto potere PENETRANTE (capacità di
interagire con la materia).
Queste due caratteristiche sono diverse tra tutte le particelle e sono
inversamente proporzionali tra loro (se uno è alto, l’altro è basso).

Ricorda che ogni radioisotopo ha una sua emivita: tempo necessario affinché
decada del 50% di radioisotopo.
- trizio 3H emette part. Beta per 12 anni
- fosforo decade in 14 giorni
- iodio decade in 60 giorni
- l’ossigeno non si usa come radioisotopo perché decade in soli 2 minuti!

INTERAZIONI RADIOATTIVITA’-MATERIA
Una particella ingombrante come quelle alfa quando è emessa ha alta
probabilità di impattare con la materia e può determinare:
- ECCITAZIONE: quando impatta con un atomo gli rilascia energia che fa
eccitare l’elettrone ad uno stato eccitato per poi tornare allo stato stabile
emettendo LUCE
- IONIZZAZIONE: quando impatta un atomo ne eccita un elettrone ad un
livello più esterno e questo elettrone è spinto a distaccarsi dall’atomo che
di conseguenza diventa ione.

La particella α a causa del suo ingombro impatta con la materia un alto


numero di volte. L’energia associata alla particella alfa è rapidamente dissipata

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ed è talmente elevata che può causare danni al DNA. Nonostante la grande


energia non sono molto penetranti proprio perché impattano spesso causando
ionizzazione o penetrazione.
Le particelle β essendo molto piccole e più veloci delle alfa, hanno minore
probabilità di impattare la materia e sono quindi meno ionizzanti e più
penetranti. Anch’esse possono provocare ionizzazione e eccitazione.
L’energia delle particelle beta dipende da atomo e atomo (trizio 0,018 MeV, Cl
4,81 MeV).
I raggi γ interagiscono scarsamente con la materia e sono quindi molto
penetranti e poco ionizzanti.
MISURA DELLA RADIOATTIVITA’
Abbiamo dei metodi di riconoscimento della radioattività:
- IONIZZAZIONE DI UN GAS: c’è un gas inerte tra due elettrodi, se ci sono
particelle che riescono a ionizzare il gas questo diventa carico e passa la
corrente tra gli elettrodi dando un segnale.
- ECCITAZIONE DI SOLIDI: pongo in contatto con un cristallo solito
(antracene) che si eccita se c’è un radioisotopo e emette luce che è
mandata ad un fotomoltiplicatore che converte la luce in corrente. Si può
usare solo per alfa e le gamma.
- ECCITAZIONE DI LIQUIDI: va bene per particelle beta a bassa
energia che non riescono ad eccitare il solido, così si immerge in un
liquido scintillante contenente un solvente e due scintillatori che si
eccitano tutti e tre uno dopo l’altro emettendo luce che poi va ad un
fotomoltiplicatore. Con questa tecnica si possono fare analisi in
contemporanea di più beta emettitori insieme che libereranno particelle
beta con diversa energia. Questa è detta tecnica della doppia
marcatura.
Questo si può usare anche per lo studio dei dosaggi enzimatici
(galattochinasi), l’importante è he poi venga allontanato il substrato
marcato che non ha reagito!
- IMPRESSIONARE UNA EMULSIONE FOTOGRAFICA: è una auto
radiografia in cui l’emulsione è formata da gelatina+ alogenuro di Ag che
si riduce ad Ag0 e dà una macchia nera.

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