ALBERT EINSTEIN
E' più facile spezzare un
atomo che un pregiudizio.
(Albert Einstein)
La prossima guerra
mondiale sarà combattuta
con le pietre.
(Albert Einstein)
Bibliografia:
“Scienze e filosofia nella cultura del Novecento”, di Ludovico Geymonat, a cura di Mario
Quaranta. Edizioni Pagus, Treviso 1993.
“Sottile è il Signore. (La scienza e la vita di Albert Einstein)”, di Abraham Pais. Bollati
Boringhieri Editore, Torino 1986.
“La scienza (spazio, tempo e materia)” volume XI, a cura di Enrico Bellone. De Agostini
Editore, Novara 2005.
“L’evoluzione della fisica. Dai concetti iniziali alla relatività e ai quanti.” di Albert Einstein
e Leopold Infield. Bollati Boringhieri Editore, Torino 1965.
Voglio capire come Dio ha creato il mondo. Non mi interessa questo o quel fenomeno in particolare: voglio
penetrare a fondo il Suo pensiero. Il resto sono solo minuzie... l'esperienza più bella che possiamo avere è il
ALBERT EINSTEIN
senso del mistero. E' l'emozione fondamentale che accompagna la nascita dell'arte autentica e della vera
scienza. Colui che non la conosce, colui non può più provare stupore e meraviglia è già come morto e i suoi
occhi sono incapaci di vedere.
Introduzione
I risultati degli studi intrapresi da Albert Einstein possono essere considerati il culmine massimo e il
termine di un lungo percorso, che la fisica intraprese verso la fine del XIX secolo, quando si trovò
innanzi a gravi difficoltà che decretarono lo scardinamento delle certezze su cui la tale scienza si era
sempre basata. Le scoperte di Maxwell riguardanti i campi, da cui sorse il concetto di etere, e gli
studi sulla natura delle onde elettromagnetiche dimostrarono l’insufficienza del modello
newtoniano, soprattutto per quanto concerne i postulati di Tempo e di Spazio, sui quali intervenne
appunto Albert Einstein, rivoluzionando tali concetti alla radice.
LA BIOGRAFIA E IL PERSONAGGIO
LA VITA
Albert Einstein nacque a Ulm (Württemberg) il 14 marzo 1879. Fece i primi studi a Monaco di
Baviera nel ginnasio di Liutpold ed ebbe la prima educazione matematica da uno zio ingegnere.
Nel 1894, in seguito a un rovescio di fortuna, la famiglia Einstein lasciò la Germania e si trasferì in
Italia dove il padre lavorò come elettrotecnico a Milano, a Pavia, a Isola della Scala e in altre
località del Veneto.
Il giovane Albert peregrinò fino a Genova donde emigrò in Svizzera e, fra non lievi difficoltà
economiche, si iscrisse alla scuola cantonale di Aarau, dove vi guadagnò il certificato di
ammissione alla celebre scuola politecnica di Zurigo.
Qui nel 1910 conseguì la laurea e l'abilitazione all'insegnamento della matematica e fisica.
Nel 1911 ottenne la cittadinanza svizzera e si occupò come perito tecnico dell'Ufficio Federale dei
Brevetti di Berna.
Gli anni dal 1902 al 1909 rappresentano il periodo della sua più intensa produzione scientifica.
La scoperta dei fondamenti della teoria speciale della relatività (relatività in senso stretto o dei moti
multiformi e rettilinei) gli valse nel 1912 la nomina a professore ordinario di matematiche superiori
nel Politecnico di Zurigo.
Nel novembre 1913 ebbe una cattedra di fisica nell'accademia prussiana delle scienze di Berlino e
nella primavera del 1914, succedendo a Enrico Van't Hoff, fu chiamato a dirigere il Kaiser-
Weilhelm-Institut per la fisica.
Nel 1933 le persecuzioni politiche e razziali del nazismo indussero Einstein a lasciare l'Europa.
Emigrò negli Stati Uniti d'America ed entrò a far parte dell'Institute for Advanced Studes di
Princeton, dove morì nel 1955.
IL METODO DI INDAGINE
Albert Einstein era perfettamente padrone di tutti gli strumenti tecnici della matematica, aveva però,
la capacità di enucleare i concetti di fondo dei problemi della natura, liberandoli dal loro usuale
rivestimento matematico, importantissimo per la ricerca, ma che talvolta viene confuso ,a torto, con
l'essenza stessa della teoria.
A questo proposito il fisico tedesco Ehrenfest , amico e collaboratore di Einstein, disse: “Il suo
valore è legato alla sua straordinaria capacità di afferrare l'essenza di una nozione teorica, di
spogliare una teoria del suo rivestimento matematico fino a farne emergere con tutta chiarezza
l'idea di fondo.”
In sostanza Einstein aveva la capacità di andare dritto al cuore del problema, sosteneva infatti che
chi usa cento formule quando ne bastano due o tre, lo fa perchè non riesce a descrivere il nucleo
fondamentale del problema.
La semplicità è, per Eistein, un carattere fondamentale della scienza: " Le nostre esperienze ci
permettono finora, di sentirci sicuri che nella natura si realizza l' ideale della semplicità
matematica."
Anche un altro filosofo matematico, grande personalità della cultura degli inizi del novecento,
Poincarrè, aveva sostenuto l' importanza enorme del criterio della semplicità. Eppure le concezioni
del matematico francese e quelle a cui fa riferimento Einstein, sono notevolmente diverse.
Poincarrè, per esempio, faceva riferimento al criterio della semplicità quando, a proposito delle
geometrie euclidea e non euclidee, diceva: " scelgo quella più semplice.”
Einstein, invece, pensa la semplicità come a un criterio che ci permette di cogliere l' oggetto, la
natura stessa, perchè la natura è semplice e questa semplicità della natura è anche una dimostrazione
della sua razionalità.
La semplicità della natura deve quindi riflettersi in una semplicità delle leggi scientifiche.
Hernry Margenau scrive a tal proposito: " In tutta l'opera di Einstein si trova, insieme con l'ipotesi
che la nostra concezione della realtà debba essere oggettiva, l'implicita convinzione che la migliore
descrizione del mondo debba essere la più semplice."
Einstein ha cercato sempre la semplicità, non la semplificazione. Mirare al semplice non vuol dire
infatti semplificare, ossia trascurare alcuni particolari dichiarandoli irrilevanti, e quindi trascurare
certe caratteristiche profonde esistenti in natura e procedere come se non esistessero.
IL REALISMO CRITICO
Tuttavia non si comporta da filosofo speculativo, non ragiona sulla comprensibilità dell'universo,
sul perchè di questa comprensibilità e sulle sue implicazioni; al contrario è filosofo scienziato:"La
cosa più incomprensibile dell'universo è la sua comprensibilità".
Einstein è consapevole che esiste il problema della comprensibilità dell'universo e si applica ad
esaminare i mezzi che abbiamo a nostra disposizione per conoscerlo, cercando di renderli sempre
più efficaci.
Individua innanzi tutto lo strumento dell' osservazione sensibile per cui un qualsiasi concetto che
non si possa ad un certo punto riferire a dei dati, a delle impressioni sensoriali, deve essere respinto
dalla scienza, per questo è considerato uno dei padri del neopositivismo.
In questa sua concezione fu certamente influenzato dal filosofo e fisico tedesco Mack, il fondatore
dell’empirio-criticismo. Quest’ultimo attuò peraltro una rigorosa critica epistemologica ai principi
newtoniani della dinamica ed ebbe quindi un ruolo fondamentale nella nascita della meccanica
relativistica.
Un altro aspetto fondamentale dell’indagine scientifica einsteiniana consiste nel dichiarare di non
credere che i concetti matematici siano ricavabili dall’induzione empirica. Essi sono invece libere
invenzioni della mente umana, e non hanno valore conoscitivo se non possono essere messe al
vaglio dell’esperienza attraverso un’analisi operativa.
Einstein è inoltre convinto che le teorie fisiche non siano che invenzioni dell’uomo, nel senso che
non sono verità assolute a priori. Esse quindi non derivano dall’esperienza, ma si modellano in
funzione di essa.
IL PACIFISMO
Uno dei risultati che Einstein aveva dedotto dalla teoria della relatività, che massa ed energia sono
equivalenti, doveva avere quarant'anni dopo una terrificante conferma, con una forza di distruzione
mai conosciuta: lo scoppio della prima bomba atomica.
Pochi sanno che in questo avvenimento Einstein ebbe una parte fondamentale.
Si deve al suo diretto intervento se il Presidente Roosevelt mise a disposizione i colossali capitali
necessari per quelle ricerche che dovevano portare alla bomba di Hiroshima.
Nel 1939 i fisici Fermi e Szilard erano pervenuti a importanti risultati nel campo della fisica
atomica, in particolare nella disintegrazione dell'uranio, e avevano intuite le tremende possibilità
derivanti dall'impiego dell'energia atomica per scopi bellici.
Tuttavia essi sapevano che non sarebbero stati ascoltati a meno che la questione non venisse
direttamente presentata da un'alta personalità mondiale; Fermi e Szilard conferirono con Einstein.
Tuttavia egli sapeva bene che se la Germania fosse giunta per prima in possesso dell'energia
atomica, non avrebbe esitato ad usarla come strumento di dominazione del mondo.
Pochi giorni dopo Einstein scriveva al Presidente Roosevelt: "Alcuni recenti lavori di E. Fermi e di
L. Szilard, che mi furono presentati manoscritti, mi convincono che l'elemento uranio possa essere
usato come nuova ed importante fonte di energia nel prossimo avvenire... Una sola bomba di
questo tipo... che esplodesse in un porto... potrebbe assai facilmente distruggere l'intero porto
insieme al territorio circostante".
Questo argomento mi induce a parlare della peggiore fra le creazioni, quella delle masse armate,
del regime militare voglio dire, che odio con tutto il cuore.
Disprezzo profondamente chi è felice di marciare nei ranghi e nelle formazioni al seguito di una
musica: costui solo per errore ha ricevuto un cervello; un midollo spinale gli sarebbe più che
sufficiente.
Bisogna sopprimere questa vergogna della civiltà il più rapidamente possibile.
L'eroismo comandato, gli stupidi corpo a corpo, il nefasto spirito nazionalista, come odio tutto
questo. E quanto la guerra mi appare ignobile e spregevole! Sarei piuttosto disposto a farmi
tagliare a pezzi che partecipare a una azione così miserabile.
Eppure, nonostante tutto, io stimo tanto l'umanità da essere persuaso che questo fantasma malefico
sarebbe da lungo tempo scomparso se il buonsenso dei popoli non fosse sistematicamente corrotto,
per mezzo della scuola e della stampa, dagli speculatori del mondo politico e del mondo degli
affari.
Dopo la seconda guerra mondiale, Einstein cercò in tutti i modi di favorire la pace nel mondo,
promuovendo una vasta campagna popolare contro la guerra e le persecuzioni razziali. Proprio una
settimana prima di morire, insieme ad altri sette premi Nobel, compilò una dichiarazione pacifista
contro l’utilizzo delle armi nucleari. Questo messaggio all’umanità, che rappresenta una specie di
testamento spirituale dello scienziato, termina con queste parole: “Noi rivolgiamo un appello come
esseri umani a esseri umani: ricordate la vostra umanità e dimenticate il resto. Se sarete capaci di
farlo è aperta la via di un nuovo paradiso, altrimenti è davanti a voi il rischio della morte
universale.”
DALLA CRISI DELLA MECCANICA CLASSICA ALLA TEORIA
DELLA RELATIVITA’
L’effettiva insufficienza della meccanica venne evidenziata dalla scoperta dei fenomeni
elettromagnetici. Alla fine del Settecento, quando Coulomb enunciò la sua famosa legge
sull’attrazione tra le cariche, sembrava ancora vincere il meccanicismo, vista l’analogia tra la legge
di Coulomb e la legge di Newton: la natura poteva ancora essere ricondotta a forze newtoniane.
Tuttavia, quando Oersted dimostrò, nel 1820, che la forza agente tra un polo magnetico e un
elemento di corrente non è diretta lungo la retta che li congiunge (come nel caso delle forze
meccaniche), ma perpendicolare rispetto ad esse, l’analogia con il sistema newtoniano scomparì.
Un colpo più grave al meccanicismo doveva venire dalle ricerche di Faraday, che nel 1831 scoprì
l’induzione elettromagnetica: l’azione di un magnete su un corpo conduttore genera in esso delle
correnti elettriche. Per la spiegazione di questo fenomeno, Faraday elaborò un importante concetto,
quello delle linee di forza. Attraverso tali forme di rappresentazione dei campi magnetici ed
elettrici, Faraday spiegò empiricamente che, oltre ad essere l’interpretazione geometrica di un
fenomeno fisico, le linee di forza erano dei veri e propri enti fisici che riempiono, o addirittura
costituiscono, lo spazio circostante. A differenza della meccanica classica, che considerava lo
spazio come il “palcoscenico” all’interno del quale si muovevano corpi e particelle senza influire
sul loro stato o sul loro moto, Faraday dimostrò invece che lo spazio è un vero e proprio ente fisico,
pieno e continuo, in cui si trasmettono forze da un punto all’altro.
Tuttavia, nel tentativo di salvare i principî di Newton, i fenomeni elettromagnetici avrebbero potuto
essere spiegati in base a modelli meccanici del campo: se si ipotizzava l’esistenza di un supporto
materiale e fluido delle linee di forza che pervadesse tutto lo spazio, allora le cose si sarebbero
salvate e la pace tra i fisici sarebbe ritornata. Su questa strada si pose Maxwell, che si propose
proprio di salvare il meccanicismo formulando diversi modelli meccanici. Egli formulò allora le
famose quattro leggi che descrivono la natura dei campi elettromagnetici:
ΓE = - ΔΦB/Δt ΓB = μ0 i + ε0 μ0 ΔΦE/Δt
ΦE = q/ε0 ΦB = 0
Come si può notare un campo magnetico variabile genera un campo elettrico indotto, a sua volta
variabile, che genera un altro campo magnetico indotto variabile, e così via. Ciò avviene anche se
consideriamo una regione priva di cariche. In altre parole, l’induzione reciproca dei due campi deve
autosostentarsi, e quindi può durare un tempo indefinito, propagandosi ben oltre la loro sorgente,
esattamente come delle onde si propagano in uno stagno. Maxwell trovò, sulla base dei suoi calcoli,
che la velocità con cui tali onde elettromagnetiche si propagano nel vuoto:
______
v = 1/ √ ε0 μ0
Questo risultato rappresentava la conseguenza più importante di tutta la teoria. Infatti in base a
calcoli successivi, sempre più accurati,dei valori ε 0 e μ0, si arrivò alla fenomenale scoperta che la
velocità di propagazione delle onde elettromagnetiche è uguale a quella della luce, il che significa
che la luce stessa è un’onda elettromagnetica.
Due secoli dopo che Newton aveva sintetizzato nelle sue leggi della dinamica e della gravitazione la
spiegazione di tutti i fenomeni meccanici, una nuova grandiosa sintesi era stata compiuta: tutti i
fenomeni elettrici, magnetici ed ottici erano ricondotti alle quattro equazioni di Maxwell. Tuttavia
rimaneva ancora un dubbio irrisolto: in che mezzo si propagano le onde? Da tale questione sorse il
concetto di etere.
L'esistenza dell'etere agì come meccanismo di rottura e crisi entro la fisica tradizionale
rappresentata dalla relatività galileiana. Si ragionava nel seguente modo: se l'etere esiste, allora
dovrebbe essere possibile sostituirlo alle stelle fisse di Newton e dichiarare fermo in assoluto
l'osservatore immobile rispetto all'etere. Quello che ci si attendeva era che quei fenomeni fisici che
dipendevano dal moto dell'etere (o meglio rispetto all'etere) potessero venire usati per stabilire il
moto assoluto dell'osservatore, in contrasto con il principio galileiano dei sistemi di riferimento. Tra
questi fenomeni fisici il più adatto era la propagazione della luce. Se soffia vento sappiamo che
dobbiamo sottrarre la velocità del vento a quella del suono se questo si propaga controvento, e
dobbiamo aggiungerla se questo si propaga sottovento.
Sostituendo la luce al suono e l'etere all'aria vediamo che per un osservatore in movimento rispetto
all'etere, la luce dovrebbe propagarsi con velocità diversa nelle varie direzioni. A.A. Michelson e
E.W. Morley decisero appunto di misurare la velocità della luce in funzione della direzione nella
speranza di mettere in evidenza il vento d'etere. L’esperimento era cruciale, poiché avrebbe messo
alla prova la teoria del moto attraverso l’etere quale sistema di riferimento privilegiato. Essi
sfruttarono il moto di rivoluzione della Terra attorno al Sole, aspettandosi che la velocità della luce
lungo la direzione del moto fosse diversa da quella in senso opposto, e che dalla differenza delle
due velocità si potesse risalire al moto assoluto dei sistemi di riferimento.
Utilizzarono un interferometro, un apparecchio molto sensibile, costituito da una serie di specchi
posti su due bracci ortogonali e di ugual lunghezza. L'apparato doveva mettere in evidenza il tempo
impiegato dalla luce per percorrere (andata, riflessione e ritorno) un dato braccio e confrontarlo con
quello impiegato a percorrere l'altro braccio. Il moto rispetto all’etere doveva causare una
variazione nei tempi di transito che cadeva entro i limiti di precisione dell'apparato. L'intero
apparato poteva ruotare su di una piattaforma in modo da scambiare il ruolo dei due bracci.
L'esperimento fu ripetuto più volte ma nel 1887 dette un risultato nullo con grande delusione dei
due sperimentatori e sorpresa nel mondo accademico. L'esperimento fu poi ripetuto con altre
tecniche ma con gli stessi risultati. La velocità della luce era uguale in qualsiasi direzione e per
qualsiasi sistema di riferimento. Tale risultato era in contrasto con il principio della relatività
galileiano. “Si creò così una delle più drammatiche situazioni che la storia della scienza ricordi”,
affermò Einstein, “Tutti i tentativi di fare dell’etere una realtà sono falliti. Esso non ha rivelato né
la propria struttura meccanica, né il moto assoluto. Nulla è rimasto di tutte le proprietà dell’etere,
eccetto quella per la quale venne inventato, ovvero la facoltà di trasmettere le onde
elettromagnetiche. E poiché i nostri tentativi per scoprirne le proprietà non hanno fatto che creare
difficoltà e contraddizioni, sembra giunto il momento di dimenticare l’etere e di non pronunciarne
più il nome.”
Tuttavia la scienza non si perse d’animo. Alcuni tentativi vennero eseguiti per salvare la meccanica
newtoniana e i suoi principi. Nel 1889 il fisico irlandese Fitzgerald suppose che la lunghezza dei
corpi materiali variasse mentre essi si muovono nell’etere, il che avrebbe perfettamente compensato
l’effetto che Michelson e Morley si attendevano di osservare, impedendogli di osservare la
variazione di velocità della luce. Nel 1904 il fisico Hendrik Antoon Lorentz mostrò che era
possibile conciliare il principio di relatività galileiano con le equazioni di Maxwell ammettendo che
il passaggio da un sistema di riferimento a un altro avvenisse attraverso particolari trasformazioni di
coordinate, oggi note come trasformazioni di Lorentz, più complesse di quelle di Galileo; il
significato fisico di queste trasformazioni restava però oscuro.
Lorentz fu il primo a raggiungere una spiegazione esauriente del fallimento e una prima, sia pure
incompleta, formulazione della relatività. Secondo Lorentz, che credeva nell'etere, il vento d'etere
aveva anche altre conseguenze di rilievo. Egli concepiva i corpi materiali come composti da
particelle dotate di cariche opposte e tenute insieme dalle forze elettromagnetiche. Se queste forze
sono propagate dall'etere, dipendono dal vento d'etere (come d'altronde la propagazione della luce),
allora anche la forma dei corpi deve dipendere dal loro stato di moto rispetto all'etere. In base ad
alcune assunzioni sulle forze elettromagnetiche, egli dimostrò che il vento d'etere doveva produrre
un accorciamento dei corpi lungo la direzione del vento. Questo accorciamento, pure predetto da
G.F. Fitzgerald, alterava i tempi di percorso della luce entro l'apparato di Michelson e Morley in
modo da nascondere completamente l'effetto cercato. L'etere possedeva dunque una proprietà
straordinaria, quella di rendersi completamente inosservabile. Nel corso delle sue ricerche Lorentz
dimostrò che il vento d'etere doveva alterare il ritmo degli orologi. Se dunque spirava il vento
d'etere le misure convenzionali di spazio e tempo risultavano alterate ed erronee in modo tale da
simulare una realtà fisica in cui l'etere appariva sempre immobile e la velocità della luce era ancora
la stessa in tutte le direzioni. Questo risultato di Lorentz va sotto il nome di "principio degli stati
corrispondenti". In sostanza asserisce l'esistenza dell'etere e di un sistema di riferimento privilegiato
ancorato all'etere anche se non rilevabile attraverso esperimenti di natura elettromagnetica. In
questo senso esso è in contrasto con il principio di relatività galileiano. Nella teoria di Lorentz, il
moto dell'etere induceva delle distorsioni nell'apparato di misura per cui le trasformazioni di Galileo
andavano corrette. Da questa analisi Lorentz dedusse delle nuove trasformazioni che portano il suo
nome e che tengono conto del moto dell'etere e delle distorsioni da esso indotte. La teoria di
Lorentz contiene molti dei punti essenziali della relatività einsteiniana, ma rimane rivolta al passato.
La situazione era a questo punto, quando intervenne nel dibattito il giovane e ancora sconosciuto
ingegnere tedesco che a quel tempo lavorava presso l’Ufficio Brevetti di Zurigo: Albert Einstein.
In un articolo dal titolo “Elettrodinamica dei corpi in movimento”, pubblicato nel 1905, Einstein
mostra quale sia la soluzione a tutti i dilemmi sui quali si erano affaticati i fisici dei decenni
precedenti.
La teoria di Einstein si fonda su due postulati:
1. Tutte le leggi della natura sono le stesse in tutti i sistemi di riferimento in moto uniforme, gli
uni relativamente agli altri.
2. La velocità della luce, nel vuoto, è la stessa in tutti i sistemi di riferimento in moto uniforme,
gli uni relativamente agli altri.
Se il primo postulato è intuitivo e chiaramente evidente (lo aveva già pronunciato Galileo),
altrettanto non possiamo dire del secondo, che è controintuitivo: è come se un viaggiatore che
cammina su un treno in moto si spostasse alla stessa velocità, sia rispetto a un osservatore che
viaggia con lui, sia rispetto a un osservatore fermo sulla Terra! Per accettare il secondo postulato
era necessario stravolgere i concetti intuitivi di spazio e di tempo assoluti portanti dalla meccanica
classica.
Per spiegare come mai la velocità della luce sia costante in tutti i sistemi di riferimento, Einstein si
fermò ad analizzare il concetto di velocità: la velocità è la distanza percorsa divisa per il tempo
impiegato. Se la velocità della luce è costante in ogni sistema inerziale, ciò che varia tra uno e
l’altro saranno perciò il tempo e lo spazio. Fino ad allora invece si era dato per scontato che fosse il
tempo quel parametro assoluto e costante tra i sistemi di riferimento, tant’ è che non ci si era mai
posti il dubbio che due orologi sincronizzati fra loro variassero di ritmo in base alla velocità dello
spostamento del sistema di riferimento in cui si trovano.
Einstein rivalutò perciò il concetto di simultaneità, affermando che due fenomeni, come lo scorrere
delle lancette, sono simultanei nello stesso sistema di riferimento, ma non lo sono più se si trovano
in sistemi differenti. Il che significa che se un orologio si muove a grande velocità, il tempo scorre
molto più lentamente rispetto ad uno in quiete, o anche che lo spazio percorso dalla lancetta è
diventato maggiore. Assumere questi considerazioni come reali è necessario per mantenere saldi i
due postulati su cui si fonda la Teoria della Relatività.
La meccanica ci insegna che la forza necessaria a muovere una determinata massa è proporzionale
alla sua accelerazione e alla sua massa (F = ma), e che per accelerare di un metro al secondo un
oggetto che si muove a velocità di 5m/s è necessaria la stessa forza che serve ad un altro che si
muove a 280.000 Km/s. La massa è invece un elemento che si oppone alla forza che agisce su di
esso. Tuttavia Einstein ci insegna che anche in questo caso le cose non sono così semplici: sostituì
la formula a = F/m con la nuova
(1)
(2)
Si osserva così che tanto più aumenta la velocità del corpo (la sua energia cinetica), tanto maggiore
risulta la forza ed il lavoro necessari per accelerarla. In particolare se V = c, allora a = 0 sempre,
anche se continuiamo ad applicare una forza, e L = ∞.
Consideriamo ora un corpo in riposo: esso possiede una massa di riposo che si oppone alla forza, e
nessuna energia cinetica. Un corpo in movimento invece le possiede entrambe. Esso resiste alla
variazione di velocità più fortemente del corpo in riposo. La Teoria della Relatività risolve questa
apparente ambiguità: finora la fisica aveva considerato che esistessero solo due sostanze, la materia,
che possiede una massa, e l’energia, imponderabile; ora invece si considera che l’energia si
comporti esattamente come la materia. Infatti un pezzo di ferro pesa di più quando è caldo di
quando è freddo, la radiazione emessa dal Sole attraverso lo spazio possiede energia e pertanto
anche massa, il Sole e tutte le stelle radianti perdono massa emettendo radiazione.
In altre parole, se prima si esigeva di due leggi di conservazione, una per la massa e l’altra per
l’energia, ora esiste solo la legge della conservazione della massa-energia, ovvero: l’energia
possiede massa, e la massa rappresenta energia.
Se infatti il lavoro contribuisce a dare ad un corpo una maggiore forza inerziale, essa può essere
calcolata come
(3)
(5)
Come mai il fatto che l’energia possiede massa e che la massa rappresenta energia è rimasto così a
lungo all’oscuro? Il motivo è semplice, ed è da riscontrare nel piccolissimo rapporto di scambio tra
massa ed energia: paragonata alla massa, l’energia è di gran lunga minore, ad esempio, la quantità
di calore necessaria per convertire trentamila tonnellate di acqua in vapore non peserebbe più di un
grammo circa! Ciò è immediatamente verificabile dalla (5): anche se attribuiamo a m un valore
basso, dovremmo moltiplicarlo per il valore della velocità della luce al quadrato, un numero
elevatissimo, producendo così moltissima energia. L’energia è stata considerata così a lungo
imponderabile, semplicemente perché la massa che essa rappresenta è così piccola.
Considerazioni finali
La Teoria della Relatività di Einstein ha una portata che oltrepassa di molto il problema dal quale
sorse. Essa elimina le difficoltà, e le contraddizioni della teoria del campo; essa formula leggi
meccaniche di carattere più generale; essa sostituisce una sola legge alle due leggi di conservazione;
essa sovverte il concetto classico del tempo assoluto. La sua validità non è limitata ad un ramo della
fisica soltanto; essa costituisce un’armatura strutturale abbracciante tutti i fenomeni della natura.
LEGGI DI MAXWELL PER IL CAMPO ELETTROMAGNETICO
ΓE = - ΔΦB/Δt ΦE = q/ε0
ΓB = μ0 i + ε0 μ0 ΔΦE/Δt ΦB = 0
______
v = 1/ √ ε0 μ0
a = F/m (1)
L = ½ mV2 (2)
ENERGIA CINETICA AQUISTATA DA UNA MASSA ACCELLERATA
(3)
(4)
(5)