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BMCR
Bryn Mawr Classical Review
BMCR 2013.08.39
Review by
Sergio Audano, Centro di Studi sulla Fortuna dell’Antico “Emanuele Narducci” –
Sestri Levante. sergioaudano@libero.it
L’Epistola 90 di Seneca costituisce uno dei testi più interessanti del filosofo romano: come noto,
si sofferma ad analizzare la natura del progresso umano, nella dialettica tra sapienza filosofica
e sviluppo della cultura materiale, offrendo molteplici spunti di riflessione, che spaziano dalla
filosofia, al pensiero politico, all’antropologia. Seneca rielabora materiali derivati in larga
misura da Posidonio d’Apamea, arrivando però a mettere in discussione molti aspetti della sua
dottrina: se, infatti, per il pensatore greco lo sviluppo delle tecniche ha trovato nel pensiero
filosofico la sua radice più significativa, per Seneca il progresso materiale si è associato alla
degenerazione morale; non sono pertanto casuali le bordate polemiche contro la luxuria e l’
avaritia dell’età giulio-claudia, che si riscontrano nel corso dell’Epistola (anche se allora il
moralismo era comunemente uno dei principali filtri di lettura e interpretazione della realtà).
Nella collana dell’Istituto Italiano di Scienze Umane, presso l’editore “il Mulino”, compare ora
sul tema questa importante monografia di Giovanni Zago, che al testo della lettera senecana (e
all’intera problematica dello sviluppo tecnico, con particolare attenzione alle fonti utilizzate dal
pensatore romano e a quelle che, a vario titolo, possono contribuire alla ricostruzione del
pensiero di Posidonio) aveva già dedicato diversi lavori preliminari (altri sono usciti
immediatamente a ridosso della pubblicazione del volume).1
Passiamo ora a una più puntuale analisi del volume: nella premessa, Zago precisa che il suo
metodo di lavoro si fonda principalmente sulla Quellenforschung. L’impostazione del lavoro
segue, con encomiabile coerenza, un percorso rigorosamente filologico che arriva sempre a
motivare, col conforto dei testi, le argomentazioni proposte, anche quelle che possono risultare
non pienamente condivisibili. Una scelta così netta, tuttavia, porta con sé l’innegabile
svantaggio di precludere a priori ogni possibilità di dialogo con altre metodologie di indagine
(aperte all’approccio dell’antropologia e delle scienze umane oppure dell’intertestualità), che
avrebbero potuto fornire stimoli interessanti e che attualmente stanno offrendo sul tema nuove
prospettive di ricerca. Penso in particolare all’assenza di discussione di importanti lavori, come
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Sapienza filosofica e cultura materiale: Posidonio e le altre fonti dell’Epistola 90 di Seneca. Istituto ita... https://bmcr.brynmawr.edu/2013/2013.08.39/
il saggio di Elisa Romano ‘Il difficile rapporto fra teoria e pratica nella cultura romana’ (peraltro
assente nella bibliografia finale, indubbiamente ricca, ma con qualche sorprendente
imprecisione),2 che avrebbe sicuramente arricchito la discussione sul rapporto tra artes e
sapientia e sul riflesso nel degrado morale della società romana.
Nel primo capitolo lo studioso propone un’attenta analisi dei primi tre paragrafi dell’epistola e
del suo epilogo, strettamente collegato alla parte iniziale in una sorta di Ringkomposition. Il
tema principale è quello topico dell’elogio della filosofia: Zago compie una puntuale analisi dei
principali lessemi specifici della dottrina stoica, in particolare di philosophia e di sapientia, di
cui giustamente sottolinea la distinzione concettuale, arrivando alla conclusione che tanto
l’incipit quanto l’epilogo della lettera rientrano nel solco della piena ortodossia stoica, senza
dover necessariamente ipotizzare, in questi segmenti di testo, una specifica (e univoca)
derivazione posidoniana. In particolare lo studioso è attento a coniugare la pertinenza filosofica
con la tipologia di scrittura che Seneca adotta per i suoi destinatari: giustamente Zago coglie
l’influenza di Cicerone, in particolare dell’ Hortensius (frr. 88-9 e 111 Grilli), un testo noto a
Seneca e che, almeno nei punti di contatto individuati, risulta condivisibile anche da parte
stoica.
Nel capitolo seguente l’analisi si concentra sui §4-7, focalizzati soprattutto sul tema dell’età
dell’oro: anche in questo caso Zago è attento ad analizzare la precisa derivazione posidoniana
del testo di Seneca, che, come lo studioso argomenta in modo convincente, è ravvisabile già nel
§ 4, benché il nome di Posidonio compaia direttamente solo nel paragrafo seguente. Circa il
motivo dell’età dell’oro, Zago giustamente ne valorizza l’interpretazione in chiave politica,
sottolineando come Posidonio abbia attuato una storicizzazione del mito, distaccandosi dalla
nozione tradizionale di età dell’oro. Pienamente convincente è la parte in cui lo studioso
evidenzia l’influsso platonico su Posidonio, in particolare del Politico e delle Leggi, per la
connessione con il tema dell’organizzazione della società e dello sviluppo delle arti materiali.
Oltre all’influsso platonico, Zago evidenzia anche l’importanza di Polibio e, in generale, del
pensiero stoico, nelle cui coordinate filosofiche la lettura di Posidonio sull’età dell’oro si
inquadra regolarmente. In coerenza col suo obiettivo di identificare anche i percorsi letterari
che Seneca utilizza nel dialogo col filosofo greco, Zago sottolinea anche l’analogia tra la dottrina
posidoniana e un luogo virgiliano ( Aen. 8,313-27), probabilmente rimarcata volutamente dal
pensatore romano. Su questo punto Zago avrebbe potuto meglio utilizzare il ricco contributo di
Rita Degl’Innocenti Pierini (che pure dimostra di conoscere),3 in particolare la giusta
osservazione secondo cui la polemica di Seneca si estende da Posidonio ai poeti che hanno
raffigurato l’età dell’oro in maniera idealizzata e ottimistica. Come giustamente argomenta la
studiosa, il punto di svolta è segnato dall’incipit del § 7, artes quidam a philosophia inventas
quibus in cotidiano vita utitur, un’espressione che fa immediatamente seguito all’esplicita presa
di distacco di Seneca rispetto al predecessore ( hactenus Posidonio adsentior): come ho altrove
argomentato,4 in queste parole di Seneca ho ravvisato un polemico richiamo intertestuale a un
noto verso virgiliano dedicato alla felicità ultraterrena degli inventores delle artes che hanno
ingentilito il genere umano ( Aen. 6,663: inventas aut qui vitam excoluere per artes), il che
potrebbe confermare ulteriormente la portata polemica della riflessione senecana (e la sua
sofisticata capacità di rapportarsi dialetticamente al testo di Virgilio).
Nel terzo capitolo l’attenzione si concentra sul rapporto tra la sapienza filosofica e l’origine
storica delle leggi, scaturite dalla sapientia; in particolare, Zago, attraverso una serie di puntuali
analisi delle testimonianze, che spaziano dai frammenti vetero-stoici fino al tardo Temistio, si
sofferma a indagare sulle figure dei grandi legislatori menzionati nel § 6 (Solone e i Sette
Sapienti, Licurgo, i pitagorici Zaleuco e Caronda), e arriva alla conclusione che Posidonio abbia
innovato rispetto alla tradizione stoica, annoverando tra i sapientes a pieno titolo anche Solone
e i Sette Savi (da considerarsi esponenti del βίος λογικός piuttosto che di quello πρακτικός o
θεωρικός). Sarebbe stato interessante verificare la possibilità di un eventuale contatto di Seneca
con Cicerone che, in diversi passi (ad esempio nel fr. 23 Vitelli della Consolatio) garantisce
l’immortalità (elemento assente nell’epistola senecana) agli inventori delle leges.
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Il capitolo successivo, che di fatto dà il nome all’intero volume, si focalizza sul rapporto tra
sapienza filosofica e cultura materiale. Zago precisa subito come la riflessione di Posidonio sia
riservata alle arti banausiche, escludendo di fatto le altre τέχναι (anche quelle liberali): secondo
lo studioso, la prospettiva del filosofo greco è radicalmente innovativa rispetto alle
Kulturgeschichten di altre scuole filosofiche (Democrito ed Epicuro, in primo luogo), poiché non
riconosce il bisogno come elemento di spinta per il progresso, ma interpreta lo sviluppo delle
arti banausiche come espressione della ragione perfetta dei sapientes che garantiscono in
questo modo la predominanza antropocentrica dell’essere umano. Particolarmente interessante
la parte in cui, a proposito della scoperta della metallurgia e dei suoi effetti sul progresso, Zago
compara il § 12 di Seneca/Posidonio con un passo analogo di Lucrezio (5,1241-57): dopo
un’analitica discussione, lo studioso dimostra come il poeta latino non conosca Posidonio,
mentre è probabile che entrambi rielaborino materiali topici di estrazione diversa (forse
Democrito, come suggeriva T. Cole, oppure, come propone Zago, il libro XII del Περὶ φύσεως
epicureo).
Nel quinto capitolo Zago conferma l’individuazione del Protrettico posidoniano come fonte
utilizzata da Seneca, per la presenza sia dell’elogio della filosofia sia di elementi che sono
caratteristici del pensiero di Posidonio, come l’esaltazione della sapienza filosofica in quanto
origine delle arti banausiche e del conseguente progresso del genere umano (i loro inventori,
come i re primordiali, disponevano dell’autentica sapientia). Nella seconda parte del capitolo
Zago, attraverso una dotta analisi di testimonianze dello stoicismo di età imperiale, dimostra
come la posizione di Posidonio sia rimasta sostanzialmente inascoltata: unica eccezione è
rappresentata dai riecheggiamenti posidoniani nelle Tusculanae di Cicerone (1,52-64 e 5,5-7), il
che induce Zago a ipotizzare che il filosofo greco intendesse rivolgere il suo Protrettico ai
Romani, quali destinatari privilegiati.
Il capitolo finale è espressamente dedicato alla polemica senecana: Zago dimostra come il
filosofo romano si muova dal presupposto secondo cui le τέχναι derivino «dal λόγος distorto,
che si è volto alla luxuria allontanandosi dalla natura » (p. 258); è convincente la proposta di
identificare nel pensiero cinico ed epicureo le matrici filosofiche di questa concezione, pur
senza particolari estremismi da parte di Seneca. Anche in questo capitolo Zago individua nuovi
punti di contatto tra Seneca (§ 16) e Lucrezio (5,1418-31), pur nell’opposta interpretazione del
concetto di natura (negativo e ‘colpevole’ per Lucrezio; favorevole per l’uomo secondo Seneca).
Il volume è concluso da tre appendici (rispettivamente su Alessandro di Afrodisia, De fato, 28;
Galeno, Quod animi mores, II, p. 76, 1-6 M.; il testo completo dell’Epistola 90), dalla bibliografia e
da ricchi indici.
Zago ha inoltre costellato le argomentazioni con frequenti proposte testuali ai vari passi discussi
(alcune già avanzate in contributi preparatori e ora riprese): non si può qui scendere in
dettaglio, ma, a mio parere, alcune di queste proposte sono criticamente fondate (ad es.
modulationis infractissimae a brev. 12,4), mentre altre appaiono poco giustificate (ad. es
l’emendamento omnis al posto del concordemente tràdito omnium in ep. 95,12).
In conclusione, Zago offre non solo allo specialista di Seneca, ma, in generale, allo studioso di
cultura filosofica antica uno strumento prezioso e pienamente affidabile, ricco di dottrina e di
proposte sagaci (talora anche audaci, ma sempre intelligentemente motivate). L’auspicio è che
l’autore possa continuare la ricerca su questa linea e allargare la prospettiva a tutta la
produzione senecana (coinvolgendo, ad esempio, la splendida Epistola 64, sul debito degli
uomini verso gli inventa del passato), potendo già contare su questa prova pienamente
convincente.
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Appendici
1. Alessandro di Afrodisia, De fato, 28
2. Galeno, Quod animi mores, II, p. 76, 1-6 M.
3. Il testo dell’Epistola 90
Riferimenti bibliografici
Indice dei passi citati
Indice analitico
Notes
1. Tra i contributi di Zago, che sono stati poi ovviamente ripresi nel volume, soprattutto nelle
loro conclusioni, vorrei ricordare, per l’apertura della problematica a Leopardi, l’articolo
‘Seneca, Leopardi e la lotta tra gli uomini primitivi e le fiere (Per l’interpretazione di Sen. ep.
90,41)’, Materiali e discussioni per l’analisi dei testi classici 62 (2009), 129-43.
2. Elisa Romano, ‘Il difficile rapporto fra teoria e pratica nella cultura romana’ in Politica e
cultura in Roma antica. Atti dell’incontro di studio in ricordo di Italo Lana, Torino 16-17 ottobre
2003 (a cura di F. Bessone – E. Malaspina), Bologna, 2005, 81-99. Tra le imprecisioni
bibliografiche sorprende la conoscenza non puntuale degli scritti di Alberto Grilli (si ignora la
seconda edizione dell’ Hortensius, Bologna, 2010; non si menziona la raccolta Stoicismo,
epicureismo, letteratura, Brescia, 1992, in particolare il contributo sulla διαστροφή, 375-403).
3. Rita Degl’Innocenti Pierini, ‘Il cielo e il soffitto: riflessioni sull’epistola 90 di Seneca’ in ead., Il
parto dell’orsa. Studi su Virgilio, Ovidio e Seneca, Bologna, 2008, 105-129 (in particolare 108-9).
4. Sergio Audano, ‘Genesi e fortuna di un verso virgiliano: inventas aut qui vitam excoluere per
artes ( Aen. 6, 663)’ in id., Classici lettori di classici. Da Virgilio a Marguerite Yourcenar, Foggia,
2012, 47-8.
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