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PREFAZIONE

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Ciao Amico Mio,


forse mi conosci, forse no. Mi presento: mi chiamo
Gianni Luppolata e sono il guardiano del faro di
Cantina della Birra. Il mare mi ha consegnato un
tesoro di birra artigianale che custodisco
gelosamente, minuziosamente catalogato per stile,
che voglio condividere con te.

Ed è proprio attorno allo stile che mi piacerebbe


accompagnarti, cercando di raccontarti qualcosa
che ancora non sai o di portarti sulla strada giusta
per godere al meglio di quella sacra bevanda che è
la birra. Nessuna lezione da impartire ma solo il
piacere di condividere un brindisi gustoso insieme.
GUIDA AGLI STILI - BLANCHE

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STILE BLANCHE / WITBIER / WITTE / WIT


LE ORIGINI.
Chissà quante volte Pierre Celis, il lattaio belga meglio conosciuto come il “salvatore” della birra
Blanche, avrà proferito questa frase: “Non solo malto d’orzo occorre per produrre una birra!”.
E, in effetti, quella del grano o frumento è una storia lunga ormai millenni che ci riporta perfino alla
genesi delle civiltà antiche. I primi coltivatori residenti nella remota Mesopotamia, la regione
compresa tra i fiumi Tigri ed Eufrate nota come "mezzaluna fertile", si resero conto fin da subito
della necessità di realizzare canali d’irrigazione allo scopo di coltivare aree di più grandi
dimensioni, prevedendo altresì la loro difesa mediante fortificazioni nelle aree circostanti alle
colture che dovevano essere anche preservate e difese, obbligando l'uomo a costruire città
fortificate e a organizzare i primi eserciti. In breve, la storia del frumento è antica come quella della
civiltà e tutto sommato non è una casualità che proprio dove si coltivarono le prime piantagioni
di frumento, germogliò anche la birra.

Anche se frequentemente la stessa è associata a un altro cereale, l'orzo, il frumento è l’attore


principale nel palcoscenico di molte birre speciali, grazie al folclore tedesco delle Weizen e a
quello belga delle Blanche. Due tipologie diverse che hanno in comune l'impiego di una discreta
percentuale di grano, benché utilizzato in modo differente, con percepibili diversità di sapore e una
gradevole freschezza che accomuna entrambi gli stili. La differenza fondamentale riguardo alle
Weissbier o Weizenbier sta nell’utilizzo del frumento: la legge belga impone che le Blanche
debbano contenere almeno un 50% di grano non maltato invece del frumento maltato utilizzato
nelle equivalenti tedesche dove peraltro la disciplina in materia non ne specifichi la percentuale.
Inoltre, in Belgio possono essere impiegati altri cerali, fatto totalmente impensabile in Germania; il
cereale prediletto è l’avena che, adoperata in piccole proporzioni, conferisce una delicatezza
“vellutata” alla birra. Il gusto speziato di una Blanche è dato dall’utilizzo di spezie, ad esempio
il coriandolo e di agrumi come la buccia d'arancia, mentre il gusto fruttato delle Weizen si deve a
particolari tipi di lieviti e, infine, ma non ultimo, per creare una Blanche è adoperata, di solito, la
tecnica della rifermentazione in bottiglia, metodo totalmente assente nelle Weizen tedesche (è
la pratica che consente di conferire alla birra una carbonatazione naturale. Al momento
dell'imbottigliamento è, difatti, aggiunta alla birra una piccola quantità di zucchero, 4-7 g/l,
che verrà "mangiata" nella bottiglia chiusa dai lieviti ancora presenti nella birra. Questa reazione è
a tutti gli effetti, una fermentazione e lo zucchero aggiunto è trasformato dai lieviti in alcool e CO2.
Nelle birre non pastorizzate, la rifermentazione in bottiglia garantisce la conservazione del
prodotto). Differiscono dalle proprie epigoni tedesche anche per l’assenza di sottocategorie
particolarmente forti e scure, anche se di recente sono impiegati termini come “Double Blanche” o
“Imperial Blanche”, per birre di frumento belga con più di 6° alcolici; spesso molto luppolate e
aromatizzate con ingredienti particolari.

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L a Bière Blanche, riferita alla lingua francese o Witbier/Witte in olandese, letteralmente e in
entrambi i casi "birra bianca", è originaria del Bramante Fiammingo ed è principalmente prodotta
in queste aree (sia in Vallonia che nelle Fiandre) ma anche nel Nord-Est della Francia e nei Paesi
Bassi (Bramante Settentrionale). La sua ricetta è molto antica ed è utilizzata anche ai giorni nostri
avvalendosi in parte ancora delle prescrizioni medioevali. In questo periodo storico anziché
utilizzare il luppolo come aromatizzante (oltretutto vietato nell'antica legge francese) s’impiegava
una particolare miscela aromatica di erbe e spezie nota in olandese con l’appellativo di Gruit.
Il Gruit, chiamato anche Grut, è una sorta di precursore del luppolo, ottenuto combinando erbe
aromatiche come la Myrica (Myrica Gale), l’Achillea Millefoglie (Achillea Millefolium), l’Artemisia
Comune (Artemisia Vulgaris), l’Edera (Glechoma Hederacea), il Brugo (Calluna Vulgaris) e il
Marrubio Comune (Marrubium Vulgare), alle quali erano aggiunte spezie come lo zenzero, i chiodi
di garofano, la noce moscata, i semi di anice, il Giusquiamo Nero (Hyoscyamus Niger), le bacche
di ginepro e il cumino. Una miscela profumata ed aromatica con, inoltre, un’importante funzione
conservante grazie all’azione di alcune delle essenze vegetali utilizzate.
Le ricette moderne si avvalgono ancora in parte di questi precetti: durante l’attuale processo di
produzione della birra agli ingredienti base sono aggiunte spezie come il coriandolo, il cardamomo
ed agrumi come l’arancia e, dopo la scoperta dell’America, la buccia d’arancia seccata chiamata
Curação che conferiscono un sapore fresco e speziato dal retrogusto acidulo.
Fonte: http://www.guidabirreartigianali.it/birre-blanche-o-bianche.html

Per datare in maniera precisa il periodo storico di nascita della Blanche si deve far ritorno
all’epoca medioevale e più precisamente in un paesino adiacente a Lovanio (oggi città famosa per
la sua Università Cattolica) a 30 km. circa da Bruxelles nelle Fiandre (Brabante
Fiammingo), chiamato Hoegaarden. Qui si produceva birra sin dal 1318 ma tutto cambiò nel XV
secolo, con l’insediamento nella zona di una comunità di padri Begardi.
I Begardi erano “l’alter ego” delle Beghine, movimento religioso dell’Europa settentrionale, formato
da donne, di frequente vedove di guerra o di malattia, che sceglievano di vivere in comunità,
spesso sotto la guida spirituale di un sacerdote. Non erano suore, non rinunciavano alle loro
proprietà, non pronunciavano i voti e potevano tornare alla vita laica quando volevano; le loro
comunità si chiamavano beghinaggi ove si prestava aiuto alle donne sole o ai malati; il ritmo della
giornata era scandito dalla preghiera. Dapprima appoggiato informalmente dalla Chiesa, il
movimento delle Beghine visse alterne vicende e in seguito alle caratteristiche alquanti particolari
della loro corrente (in particolare quello di non prendere i voti), andò incontro anche ad accuse di
eresie, le stesse nelle quali incorsero (insieme a dure repressioni) i Begardi, predicatori erranti
che vivevano in povertà spostandosi di villaggio in villaggio denunciando gli abusi del clero
e predicando il ritorno alle origini del Cristianesimo. Questi movimenti nacquero nelle Fiandre
attorno al 1150 e si propagarono in maniera diffusa in Germania, in Francia e in misura inferiore
anche in Italia. Questa dottrina fu influenzata altresì dagli insegnamenti degli “Albigesi”, seguaci
del movimento ereticale sviluppatosi tra XII e XIII secolo nel Mezzogiorno occitanico della Francia
(Linguadoca) e dai “Fratelli del Libero Spirito”, la cui dottrina fiorì nei pressi di Colonia nello stesso

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periodo e fu condannata come eretica. In uno dei loro spostamenti i Begardi si stabilirono
dunque a Hoegaarden e lì cominciarono a produrre birra e vino, presto imitati dai contadini
della zona. Fu un vero e proprio exploit produttivo: in un paesino di poco più di 2000 anime si
arrivò agli inizi del 1800 a trentacinque birrifici insediati all’interno del territorio comunale. La
Rivoluzione Francese, con i saccheggi e le ruberie che spesso si trascinò dietro, pose fine a
questo boom produttivo e lo stile birrario della zona corse il rischio dell’estinzione, in
coincidenza anche al grande successo che il mercato tributò alle Pils.

Dai trentacinque birrifici d’inizio ‘800 nei dintorni di Leuven (Lovanio), si passò velocemente ad una
fase di stagnazione diffusa, sino alla conclusione lavorativa degli ultimi 2 birrai nel 1955, Tomsin e
Loriers, gli ultimi e purtroppo soli detentori del segreto produttivo delle Blanche. Loriers si arrese
alle tendenze del mercato e nel 1957 Luis Tomsin, per sopraggiunti limiti di età, smise di produrre.
Ma in questo momento così difficile fece la sua comparsa, un produttore di latticini texano di nome
Pierre Celis (foto 1), figlio di un allevatore e vicino di casa di Tomsin cui prestava aiuto nel tempo
libero come garzone presso il birrificio.

Foto 1: Pierre Celis (1925-2011)

Celis, nel 1965, decise di ridare nuova vita produttiva alla Biere Blanche fiamminga e insieme
a due soci olandesi e grazie ad un prestito fattogli dal padre ricominciò a produrre, all’inizio con
veri e propri mezzi di fortuna acquistando gli impianti di una birreria di Zolder chiusa anch’essa da
tempo. L’impianto utilizzato era poco più che casalingo e fu ubicato nella stalla accanto alla casa
nella quale abitava; e ancora oggi è lì e Pierre, quando era ancora in vita, lo faceva visitare con
orgoglio a coloro che glielo chiedevano.
Utilizzando la stessa ricetta “carpita” in anni di osservazione al vicino birraio Tomsin e mettendo in
pratica ciò che aveva imparato da garzone, brassò nel 1966 la prima cotta di Biere Blanche nel

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suo birrificio, la Celis Brouwerij, con tutta l’intenzione di far rinascere la sua birra preferita dopo
anni di oblio e che chiamò Hoegaarden in omaggio alla città. Fu un vero e proprio colpo di
genio e l’Hoegaarden Blanche conseguì, fin da subito, un’enorme popolarità principalmente tra i
più giovani e una nomea luminosa in tutte le zone del Belgio. Vista la crescente domanda Pierre fu
costretto ad allargare la produzione ed acquistò una vecchia fabbrica di limonata (l’Hougardia),
trasformandola in un nuovo e più grande birrificio nel 1980 denominato De Kluis Brouwerij che gli
consentì di avviare esportazioni sino agli Stati Uniti. Per venti anni Pierre Celis, con i suoi
fermentati, ha rivitalizzato il mercato di questa particolare tipologia birraria ma la fortuna gli voltò le
spalle ed incominciarono un mucchio di sventure: il birrificio, assicurato solo in minima parte,
venne quasi totalmente distrutto da un incendio e Pierre riuscì a recuperare dalle assicurazioni
solo 40 dei 250 milioni di franchi belgi che gli sarebbero serviti per ripartire. Le banche non lo
aiutarono così Pierre si vide costretto dapprima a cedere il 45% della azioni della società
alla Stella Artois in cambio di finanziamenti per la ricostruzione e la successiva quota restante nel
1988 al colosso Interbrew, che aveva già inglobato Stelle Artois e aveva iniziato a “pressare”
Pierre sempre di più, spingendolo a produrre in maniera più economica e quindi con modalità
maggiormente redditizie (per Interbrew).

Non accettando di snaturare il proprio prodotto, a


sessantacinque anni, Pierre decise di andare in pensione “forzata”,
vendendo ciò che gli restava del capitale societario al colosso belga.
Ma come si dice in gergo “il lupo perde il pelo ma non il vizio” e il non
più giovane birraio non smise di produrre birra; anzi, decise di non
darsi per vinto e si trasferì in America, fondando nel 1990 con
l’aiuto della figlia Christine (foto 2) e di alcuni soci americani un altro
birrificio ad Austin in Texas chiamato Celis Brewing Company. In
questo stabilimento furono prodotte numerose birre come la Celis
White (foto 3), la Celis Pale Bock, la Pale Rider Ale etc. ma, anche in
questo caso, all’apprezzamento generale nei confronti dei suoi
prodotti si uniscono quasi da subito problemi
economici. I soci americani vollero rientrare
Foto 2: Christine Celis rapidamente degli investimenti e per
r a g g i u n g e r e q u e s t ’ o b i e t t i v o , Pierre fu
costretto a fare un secondo “patto con il diavolo”. Questa volta chiese al
colosso americano Miller Coors di dargli una mano, dal punto di vista
finanziario e logistico. Ma la storia americana finisce come quella
belga: Miller prende sempre più il controllo della situazione, tanto da
indurre Pierre, nel 1995, a cedere birre e birrificio alla Miller (che poi lo
chiuderà nel 2001 e nel 2002 lo venderà alla Michigan Brewery Company)
per far ritorno in Belgio. Foto 3: Etichetta Celis
White

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La terza (e ultima) vita birraria della “leggenda” Pierre Celis si chiama Grottenbier (foto 4), la
“madre” di tutte le attuali Champagne Beers (le varie Malheur e la Deus), messa in commercio a
partire dal 1999. L’idea gli venne visitando le grotte a Reims nella regione dello Champagne-
Ardenne in Francia e la mise subito in pratica: “sfruttando” le grotte di Mergelgrotten
Kanne (vicino Riemst), nella provincia belga del Limburgo, dove la temperatura rimane costante
sugli 11° centigradi con una umidità relativa attestata su di un costante 95%. In questo
luogo, brassa la prima birra-champagne in assoluto, facendola maturare a Riemst e applicando
durante la fase di stagionatura in grotta, il canonico processo di Remuage.
Pierre affida inizialmente il progetto birrario alla De Smedt, per poi passare la licenza di produzione
alla St. Bernardus Brewery una volta che Heineken acquisisce De Smedt. Oggi la birra, seppur
ancora ottima, non matura più nelle grotte di Kanne e difatti dall’etichetta è sparita la dicitura
“maturata in grotta”. Pierre dedicò gli ultimi anni della sua vita alla professione di birraio consulente
specializzato in birre Blanche; morì il 9 aprile del 2011, all’età di ottantasei anni. A prescindere dai
patti forzati con la “concorrenza” più volte resi necessari durante la sua vita, è indubbia
l’importanza che abbia avuto la costanza e passione di Pierre per le Blanche e per gli appassionati
di birra in genere. Non sempre vista con la giusta attenzione questa birra è una delle invenzioni
più pazzesche del mondo brassicolo: semplice e complessa al contempo, beverina come
poche. Il “miracolo” era ormai compiuto: le Biere Blanche, da tipologia a rischio d’estinzione, si è
trasformata in birra “trendy”, che si è guadagnata una bella fetta del mercato. I mastri birrai di tutto
il mondo hanno apportato più di una variante allo stile “classico” delle Blanche, impiegando nuove
materie prime (grano kamut, farro e grano saraceno) e speziature sempre più estreme.

Fonte: http://www.organiconcrete.com/2014/04/09/a-sorsi-di-birra-una-blanche-alla-salute-di-pierre-celis/ ed
uno speciale ringraziamento ad Alberto Laschi http://www.inbirrerya.com/2011/03/24/pierre-celis-la-
leggenda/

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BLANCHE- DEGUSTAZIONE

ASPETTO VISIVO.

Ricoperta da un cappello di schiuma bianca densa, cremosa e spumosa come una chiara
d’ovo montata e dotata di una buona persistenza, mette in mostra una veste che si frappone tra un
colore paglierino molto chiaro ed un dorato. Non essendo filtrata il suo aspetto torbido
caratteristico, lattiginoso e quasi opalescente è determinato dagli amidi e/o dai lieviti e proteine del
frumento non maltato in sospensione, che fanno proseguire il processo di maturazione anche
quando la bottiglia è ancora chiusa. Di solito sono birre “crude”, non pastorizzate, cioè trattate
termicamente allo scopo di eliminare i microorganismi (lieviti) in esse presenti per la lunga
conservazione. Il livello di torbidità varia da esemplare a esemplare.

SENTORI OLFATTIVI.

Le Blanche sfoggiano una moderata dolcezza che s’identifica con note di miele e/o vaniglia. I
cereali utilizzati, in particolare il frumento, elargiscono toni granulosi, piccanti e di frequente
una leggera acidità. Moderati aromi speziati di coriandolo (profumata spezia del Mondo Antico
usata anche nell’Antica Roma), grani del paradiso, pepe e cannella sono spesso frequenti.
Fragranze fruttate (fiori di pesco, prugna e mela), erbacee (camomilla e cumino) ed agrumate di
scorza di limone, Curaçao (Buccia d’arancia seccata proveniente da Curação, isola facente parte
delle Antille Olandesi), arancia amara e buccia d’arancia sono spesso rilevate ma devono
comunque apparire in modo misurato. Un leggero aroma di luppolo speziato/erbaceo è
opzionale ma non deve mai sovrapporsi alle altre caratteristiche. Le spezie devono amalgamarsi
bene con gli aromi fruttati, floreali e dolci e mai essere eccessivamente forti. Aromi vegetali tipo
sedano sono del tutto inopportuni. No Diacetile (componete responsabile di un profumo “burroso”,
il tipico odore che si rileva quando si annusa un sacchetto di pop corn per microonde).

NOTE GUSTATIVE.

Al palato sfoggia un corpo da medio-leggero a medio spesso con una delicata e leggera
cremosità originata dal frumento non maltato e dall’occasionale aggiunta d’avena che se impiegata
in piccole proporzioni (5-10%) conferisce una morbidezza quasi vellutata alla birra;
carbonatazione elevata che la rende molto effervescente. Una molto leggera acidità lattica
derivante dalla fermentazione con l’uso di Lactobacillus è presente in alcuni esemplari, mentre è
totalmente assente in altri. Il gusto è moderatamente dolce (spesso con note di pane, miele e/o
vaniglia), fruttato ed agrumato di arancia. Si può riscontrare una leggera acidità (arancio/citrico) ma
non deve presentare nessuna asprezza o astringenza determinate dalla parte bianca della

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buccia d’arancia. U n a Blanche non deve, inoltre, presentarsi troppo secca e acquosa ma
neppure corposa e pesante. Sono comuni sapori erbacei e speziati di coriandolo o altre
spezie ma devono essere lievi ed equilibrati e non coprire gli altri gusti. Il sapore di luppolo
speziato/terroso s’interpone da nullo a basso e se percepibile, non deve ostacolare la sapidità
speziata. L’amaro da luppolo si frappone da basso a medio-basso (come in una Hefeweizen) e
non deve sovrapporsi ai gusti rinfrescanti di frutta e spezie e non deve persistere nel finale. Si
congeda con un finale fresco e rinfrescante e con una genuina acidità che accompagna un
retrogusto pulito e persistente. No Diacetile.

CONSIDERAZIONI GENERALI.
La Bière Blanche, secondo la grafia francese, o Witbier/Witte/Wit se si usa la lingua fiamminga, è
u n a tradizionale birra a base di frumento non maltato, prodotta utilizzando la tecnica
dell’alta fermentazione soprattutto in Belgio (Bramante Fiammingo) e rappresenta, per la
maggior parte delle persone, l’alternativa alle Weizen bavaresi. Il termine ha lo stesso significato di
Weissbier, letteralmente birra bianca. A differenza dalle birre di grano tedesche, è prodotta
utilizzando frumento non maltato e, a volte, aggiungendo avena. Inoltre, la birra subisce, di
solito, una rifermentazione in bottiglia.
Si mostra con un colore dorato lattiginoso e opalescente perché non filtrata e con un’elegante e
ricca schiuma bianca dotata di un’eccellente persistenza. Una birra dalla vivace effervescenza
con un corpo medio-leggero e con una particolarità: il luppolo è impiegato solo saltuariamente
(se si fa riferimento all’originale ricetta) ed in quantità moderate; per aromatizzare la birra si
utilizzano una miscela di spezie ed altre piante come, ad esempio, il coriandolo, le arance, il
Curaçao e le bucce d’arance amare. Non di rado sono presenti sentori fenolici di chiodi di
garofano generati dai lieviti. Questa mistura conferisce un sapore fruttato, leggermente acidulo,
fresco e speziato.
Sono birre di moderato tenore alcolico, non amare, eleganti, gustose, moderatamente
alcoliche e particolarmente dissetanti con un retrogusto fresco e finemente acidulo.
Si prestano quindi bene ad essere consumate nel periodo estivo ma non sono adatte
all’invecchiamento quindi è meglio consumarle giovani e fresche.

BICCHIERE CONSIGLIATO E TEMPERATURA DI ESERCIZIO OTTIMALE.


Il bicchiere consigliato per degustare una birra Blanche è il Jelly francese (foto 4), il nome ha
origine dal fatto che in principio era impiegato per conservare gelatine e marmellate di frutta nelle
provincie francofone di Francia e Belgio (Un bicchiere del tutto somigliante, seppur di vetro meno
spesso, è quello denominato Cantillon, usato per le fermentazioni spontanee) e il Tumbler Alto
(foto 5) impiegato soprattutto nella preparazione e nel servizio di cocktail. Quest’ultimo è di forma
cilindrica o tronco-conica leggermente svasata, robusto e spartano con una capienza di 350 ml
ma ne esistono in commercio anche da 500 ml (tipo quello dell’Hoegaarden), provvisto di un
fondo molto spesso e alto (fino a due centimetri) il cui diametro è in genere di sei centimetri.

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Foto 4: bicchiere Jelly Foto 5: bicchiere Tumbler Alto

L’imboccatura è invece larga per favorire ampi sorsi, per accogliere l’abbondante schiuma,
esaltare i profumi agrumati e permettere l’analisi olfattiva della birra. Essendo un bicchiere classico
e di origini antiche, è stato da sempre accostato alle Blanche/Wit, birre dall’aroma speziato di cui
questo bicchiere ne esalta le qualità. La solidità e la consistenza di questo bicchiere
consentono alla birra di mantenersi fresca, giacché di solito le Blanche hanno una temperatura
di esercizio che varia dai 4-6°C.

ABBINAMENTI CONSIGLIATI.
Tante persone che, di solito, non sono amanti della birra, trovano nella tipologia Blanche un giusto
compromesso poiché queste birre hanno un sapore delicato, poco persistente e non caratterizzato
dalle punte di amaro che contraddistinguono invece altri tipi di birra.
Una Blanche è piacevole tutto l’anno, estate e inverno, ha però un’attrazione tutto particolare in
estate, quando diventa il modo più efficace per rinfrescarsi e dissetarsi. Sono particolarmente
adatte per un fresco aperitivo, magari accompagnate da qualche semplice stuzzichino o tartina,
da una frittatina alle erbe, salumi non eccessivamente saporiti, formaggi cremosi, freschi e
freschissimi, caprini, a pasta molle o a media stagionatura.
Per quanto riguarda l’accostamento con prime portate la freschezza, l'acidità ed i profumi della
Witbier la rendono perfetta in abbinamento a piatti leggeri e dal sapore delicato come il risotto al
limone, pasta al pesto o i tagliolini alle erbe. Immancabile l’abbinamento con il pesce poiché
l a Blanche riesce ad esaltare i delicati sapori del pesce senza mai coprirli e la birra risulterà
equilibrata e dalla leggera percezione amarognola finale. Ed allora pasta con pesce bianco, fritti
leggeri, sushi, pesce alla griglia, pesce azzurro, frutti di mare, antipasti di pesce, risotto di
pesce, carpacci di pesce (come la spigola, l’orato e la ricciola), i crostacei crudi conditi con un

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solo filo d’olio, filetto di branzino al forno, sino ad arrivare a pietanze dal sapore più deciso come
il salmone affumicato.
Per quanto riguarda i secondi di carne la Blanche si abbina in modo egregio ai bolliti, alle carni
lesse, spezzatino di pollo, vitello in salsa bianca, carni bianche poco elaborate con insalate,
maiale con contorno di verdure fritte in pastella, crauti, würstel e peperoncini non troppo
piccanti. Immancabile l’abbinamento con la pizza Biancaneve, rinfrescante anch’essa poiché
costellata di fiordilatte fresco filante, l’esempio più classico di formaggio a pasta filata. Visto il corpo
leggero e la sua freschezza, la Blanche si abbina egregiamente anche alla pizza all’ortolana o
con pomodorini freschi con l’aggiunta di origano fresco.
Infine, le birre Blanche sono ottime anche in dessert: probabilmente il miglior accostamento è
con le crostate e i sorbetti di frutta, pasticceria secca e si vuole osare un po’ con le torte o
dolci farcite con crema e frutta.

BLANCHE – DATI TECNICI


OG (Original Gravity) 1.044–1.052

FG (Final Gravity) 1.008–1.012

IBUs (International Bitterness Units) 08–20

EBC (European Brewery Convention) 4–8

SRM (Standard Reference Method) 2–4

ABV (Alcohol by Volume) 4,5 – 5,5%

OG.
L’OG (Original Gravity) o Gravità Iniziale è la quantità di zuccheri fermentabili nella mistura di
malto e di acqua presenti all’inizio della fermentazione misurata con il densimetro (foto 6).
Il densimetro o areometro è lo strumento che permette di misurare la densità di un liquido. Il
suo funzionamento è basato sulla spinta di Archimede, ovvero sull’impulso verso l'alto che un
corpo riceve quando è immerso in un liquido. Esistono due tipi di densimetro: a peso e a
volume costante. Il primo è più immediato nell'uso, mentre il secondo consente una maggiore
precisone. Per questo rilevamento si utilizza anche un’altra scala detta gradi Plato che è una

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misura della densità riferita ad una soluzione zuccherina (mosto) ed equivale alla percentuale di
estratto (zuccheri in soluzione) in una data quantità di acqua. Quindi ad esempio una soluzione
avente 10° Plato è una soluzione contenente il 10% circa di zuccheri disciolti, quindi 100g ogni
1000g di soluzione. Per la sua misurazione s’impiega il saccarometro (foto 7).

Fonte: http://www.hbsardi.it/index.php?page=glossario

Foto 6: Il densimetro Foto 7: Il saccometro

FG.
FG (Final Gravity) o Gravità Finale è la quantità di zuccheri/alcool presenti alla fine della
fermentazione ed è misurata anch’essa con il densimetro. Sta a significare che tutti gli zuccheri
fermentabili sono stati convertiti.

IBU.
L’IBU (International Bitterness Units) rappresenta uno dei termini birrai che ha suscitato negli ultimi
anni più interesse e fama verso gli appassionati di birre artigianali, grazie soprattutto al successo
delle birre luppolate. Il motivo è semplice: rappresenta la scala internazionale per misurare
l’amaro di una birra. Birre poco amare avranno un IBU di 4-10, birre notevolmente amare
possederanno un IBU di 60-70. 100 IBU indicano il limite di percezione nell’essere umano,
oltre il quale non si riesce più ad avvertire l’aumento di amaro. Pertanto valori più alti
designano birre più amare ma il ragionamento non è così semplice perché nella percezione del
gusto subentrano altri fattori. Se una birra è, molto maltata (dolce), la parte amara sarà meno
evidente anche a fronte di un valore di IBU molto alto. Per di più il valore è spesso teoretico e
non sempre preciso o indicativo al 100%, anche perché esistono diversi sistemi per quantificarlo. È
lampante perciò che l’IBU possa essere adoperato più come strumento di marketing che come
indicazione valida per il consumatore, specialmente quando sono ostentati in maniera palese.

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EBC.
L’EBC (European Brewery Convention) e la SRM (Standard Reference Method) non sono altro
che le scale per misurare il grado di colorazione di una birra. Il colore di una birra è
determinato dal tipo di malto impiegato e, nelle birre più scure, dal suo grado di tostatura.
Tenendo presente che l'acqua è sia inodore che incolore, che il luppolo coadiuva il grado di
amarezza e che i lieviti sono i delegati alla fermentazione, ne deriva che il malto rimane il solo
elemento in grado di dare il colore alla birra. Quando l'orzo viene maltato ed essiccato, cambia di
colore a seconda della temperatura raggiunta per l'essiccazione. Nel caso delle birre scure il

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malto è tostato e tenderà a divenire più scuro con una temperatura più alta di essiccazione
e una maggiore tostatura. Il colore della birra deriverà dalla quantità e dalla proporzione dei malti
utilizzati, ad esempio tra chiari e scuri. Per misurare il colore della birra sono impiegate tre scale: la
Lovibond (°L) che rappresenta la storia della stima del colore della birra, nata nel 1883 quando
Joseph W. Lovibond utilizzò per la prima volta dei vetrini colorati per raffrontarli al colore della
birra. La SRM, impiegata generalmente negli Stati Uniti, che determina quanta luce con
un’intensità regolata a 430 nm riesce a passare attraverso un centimetro di birra all'interno di
un fotometro (sostanzialmente non c'è una grande diversità tra Lovibond e SRM, molti usano la
prima per disegnare quanto è scura la birra, mentre adoperano la SRM per definire il colore vero e
proprio), ed infine la scala denominata EBC che viene impiegata in Europa e si basa sull’utilizzo di
uno spettrofotometro per la misurazione del colore. Il rapporto tra scala EBC e scala SRM è di
circa 2:1 (10 EBC = 5 SRM).

Per convertire i risultati delle diverse scale, di seguito queste pratiche formule:

Da SRM a Lovibond: °L = (SRM + 0.6) / 1.3546


Da Lovibond a SRM: SRM = (1.35 x °L) - 0.76
Da EBC a SRM: SRM = EBC × 0.508
Da SRM a EBC: EBC = SRM × 1.97

Fonte: http://www.giornaledellabirra.it/produzione/i-colori-della-birra-lescale-di-misura/

I colori della birra e le scali EBC, SRM e LOVIBOND

I COLORI DELLA BIRRA E LE SCALI EBC, SRM E LOVIBOND

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ABV.
L’ABV (Alcohol by Volume) è la definizione stabilita in ambito internazionale per designare la
percentuale in volume del contenuto di etanolo in una bevanda alcolica. In Italia prende il nome
di titolo alcolometrico o di gradazione alcolica e si esprime col simbolo “% vol.”.

ESEMPI PRESENTI SUL SITO DI CANTINA DELLA BIRRA:


NAZIONE NOME DEL BIRRIFICIO NOME DELLA BIRRA
Belgio Van Den Bossche Pater Lieven Wit
Francia St. Germain Brasserie Page 24 Blanche
Italia Flea Bianca Lancia
Italia Opperbacco Bianca Piperita
Italia Retorto Latte Più
Italia Eastside Berenice
Belgio De Bastogne Trouffette Belle d’été
Stati Uniti Coronado Orange avenue wit

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